A coloriMoCa Press

Transcript

A coloriMoCa Press
MoCa Press compie sei anni.
Auguri da tutti noi!
s
s
e
r
P
a
MoC
Aprile 2015
Visita il nostro sito internet
www.mocapress.org
Discorsi di ordinaria italianità
No, non sono razzista! È solo
che non capisco perché tutti
questi debbano venire in Italia. Cosa vengono a fare? Non
c’è lavoro per gli italiani, figuriamoci per loro. Non è che
sono razzista, sono loro che
non si comportano bene. Insomma, noi li accogliamo, li
manteniamo, gli diamo un
tetto dove dormire e loro
si ubriacano, ci maledicono, violentano le nostre
donne, addirittura ci uccidono senza motivo. No,
non sono razzista! Però se
vengono qui devono rispettare le nostre leggi, la
nostra cultura, non possono mica pensare di fare
quello che vogliono. Anche
perché se noi ci comportassimo così nei loro paesi, di certo saremmo perseguitati o uccisi. Lo ripeto: no, non sono razzista!
Però non capisco perché
questi, quando arrivano
qui, pensano di essere i
padroni, pensano che tutto gli sia dovuto, addirittura pretendono una moschea per pregare! Lo ribadisco: non sono razzista! Però
preferirei che questi, se proprio devono stare qui, almeno
scegliessero un altro palazzo
o un altro quartiere, non perché io abbia qualcosa contro
di loro, solo perché la loro
cucina è molto speziata, mangiano cose strane, e poi l’odore della loro pelle è molto
forte. E a me gli odori forti
non piacciono e poi vedere
tutte queste con i veli in testa
mi rattrista, perché sono infelici. E io sono solidale con le
donne infelici. E poi urlano
quando parlano tra di loro e
non si esprimono in italiano,
blaterano parole incomprensibili, magari ci offendono
senza che ce ne accorgiamo.
Non sono razzista! Sono solo
indignata perché lo stato si
preoccupa di questi clande-
stini mentre gli italiani sono
sul lastrico. Prima dobbiamo
stare bene noi, poi possiamo
preoccuparci anche di questi.
E invece noi dobbiamo spendere i nostri soldi per recuperarli più morti che vivi in
mare. Ma perché si imbarcano? Non lo sanno a cosa vanno incontro? Chi glielo fa
fare? Addirittura donne in
stato di gravidanza! Sconsiderate proprio! Ma poi se già
sono poveri perché continuano a fare figli? Ecco io lo ridico: non sono razzista! Però
Sommario:
ho chiesto alla maestra se può
cambiare mio figlio di posto,
non perché sia seduto vicino
al figlio di uno di questi, solo
perché è troppo distante dalla
lavagna e non riesce a vedere
bene. Decisamente non sono
razzista! Ma quando li vedo in
giro coi macchinoni non posso
fare a meno di pensare
che siano il frutto di
affari poco puliti. Devo
sottolinearlo di nuovo:
non sono razzista! Però
come faccio a mantenermi calma se questi
osano addirittura scendere in piazza a manifestare! Hanno da ridire perché non li trattiamo da essere umani:
certo i centri di accoglienza sono saturi,
insufficienti in quanto
a servizi, va bene non
ci sono le coperte, non
c’è l’acqua calda e nemmeno la doccia perciò
sono costretti a lavarsi
con il gettito di una
pompa gelata, ma non
si può mica avere tutto
dalla vita? Anche noi siamo
stati migranti, ma quando
mai ci siamo lamentati? Abbiamo accettato senza alcuna
obiezione le regole dei paesi
ospitanti. Oh ma questi cosa
vogliono? Si accontentassero o
se ne tornassero a casa loro!
Come si dice: il troppo stroppia. E questi hanno già avuto
troppo. E lo dico senza alcun
sentimento di razzismo, ovviamente.
La Redazione
[email protected]
Nessuno si salva...
2
Ca a Maronna...
2
Spopolamento Irpino
3
Pedagogia del ricordo
3
Il volo– Parte prima
4
Classifica libri
4
Le ovaie di Angelina..
5
Doppiopesismo
5
Leggi
direttamente
dal tuo
smartphone le
ultime notizie
del nostro sito,
attraverso
questo codice
QR
Pagina 2
Moca Press Aprile 2015
Nessuno si salva dalla monotonia!
Il 5 marzo è uscito nelle sale italiane il
nuovo film di Sergio Castellitto, "Nessuno
si salva da solo", ancora una volta tratto
da un libro di Margaret Mazzantini (che,
per i pochi che ancora non lo sanno, è moglie e musa ispiratrice del regista, nonché
sceneggiatrice). Il binomio ha sempre funzionato con una invidiabile potenza emotiva e, anche se non siamo proprio al livello
di "Non ti muovere" o di "Venuto al mondo", questo ultimo film ci racconta altrettanto intensamente una storia di cuori
spezzati, anime complesse ed istinto, questa volta tutti racchiusi in una ordinaria
vita di coppia. Sì, perché tutto sommato la
storia di Delia (Jasmine Trinca) e Gaetano
(Riccardo Scamarcio) è una storia di routinario amore coniugale, seppur di quel tipo
deleterio a lungo andare, anche perché
basato sulla passione e sulla sfida al tempo che passa. Perché se è vero che nessuno si salva solo, è altrettanto vero che a
volte ci si complica non poco la vita ostinandosi ad amare "finché morte non ci separi" una moglie o un marito! In effetti, la
colonna sonora perfetta di questo film sarebbe stata "L'amore non esiste", del trio Fabi Silvestri Gazzé, perché quella che ci
scorre davanti è proprio una "ribellione alla statistica" di due che si abbracciano, illudendosi di "competere col tempo"! La
coppia Trinca-Scamarcio mi ha convinta. Bellissima e fragile lei, burino ma vero lui. Non saranno Juliette Lewis e Philip
Seymour Hoffman, ma sono assolutamente credibili (e commerciali quanto basta a Castellitto per andare bene al botteghino!). La storia è ambientata tra Ostia e Roma e gli ingredienti del dramma esistenziale ci sono tutti: aspirazioni non coltivate, disoccupazione, routine, un piccolo appartamento ed il sogno della casa in campagna, sesso "bestiale" (come Castellitto
ha voluto, addirittura suggerendo agli attori come muoversi attraverso una radiolina sotto il letto!) e poi la separazione,
ferita profonda che, tuttavia, in questo caso sembra potersi rimarginare. Insomma, ancora un altro bel film italiano (in una
stagione veramente ricca, almeno quantitativamente) per il quale il contributo statale non sembra sprecato!
Giuseppina Volpe
[email protected]
Ca a Maronna c'accumpagna!
È un sabato come tanti altri di quasi primavera e, a casa
mia, la tv è sintonizzata su una diretta da Napoli. La colazione mi tocca farla guardando in tv Papa Francesco che
visita la mia amata città partenopea. In questi anni di
Pontificato anche una scettica come me si ferma a sentire
le parole del pontefice, non fosse altro perché sono le uniche più “umane e vere” che si sentono in giro. Il tempo della colazione e “abbandono” Francesco. Durante la giornata
guardo qualche telegiornale, ovviamente la notizia di punta era la visita partenopea del Papa. Ma verso sera incappo in un video, pubblicato da repubblica.it, della visita al
Duomo del Pontefice. La scena è paradossale: il Cardinale
di Napoli Crescenzio Sepe annuncia che ha dato un permesso speciale alle suore di clausura di uscire e quindi
incontrare il Papa. Le suore, galvanizzate dall’incontro
imminente accerchiano il pontefice dando un assist allucinante al prelato che si lascia andare a commenti non proprio consoni alla sua persona. Si parte con un “Uè, aro
jati?” (dove andate?), per proseguire poi con “dopo! Uarda accà uà, mannag. (sibilato) ma cumm’è ‘o fatto?” (dopo! Ma guarda qua, mannag., ma com’è questo fatto?) e poi si prepara per la stoccata finale dicendo “e che cheste so’ ‘e clausura, figuriamoci quelle ‘e non clausura! E chill se ‘o mangiano n’ato poco, teetè! Sorelle tinimmo che fa. Mannaggia a chella, è semp essa!” (e queste sono quelle di clausura, figuriamoci le altre! Tra poco se lo mangiano, il Papa! Sorelle abbiamo da fare! Mannaggia quella, è sempre lei!). Tutti i giornali titolano “simpatico siparietto del Cardiale”, io onestamente di simpatico non ho
trovato nulla. Un cardinale che si lascia andare a commenti sessisti e cafoni non mi fa ridere. Inutile poi, richiamare alla
proverbiale simpatia dei partenopei, la conosco abbastanza per poter dire che la loro verve è ben lontana da queste cacciate,
sono quelle battute da osteria che più che far ridere indignano perché fuori luogo. Va bene la leggerezza, va bene ironizzare
su ogni aspetto della vita, va bene non prendersi mai troppo sul serio. ma c'è modo e modo e soprattutto vanno rispettati
luoghi e tempi. Non ci resta che augurarci “ca a Maronna c'accumpagna”. Ma veramente!
Laura Bonavitacola
[email protected]
Pagina 3
Moca Press Aprile 2015
Spopolamento Irpino: i numeri lasciamoli ai ragionieri
Lo spopolamento delle nostre aree, soprattutto di quelle interne, è un dato di
fatto, tant’è vero che, in molti casi, gli
abitanti che popolavano i borghi Irpini a
metà del ‘900, erano il doppio rispetto
agli attuali (in alcuni casi il numero di abitanti dei nostri paesi è
addirittura più basso di quello registrato alla fine dell’800!). Il calo
drammatico della popolazione ha
diverse spiegazioni: la riduzione
del numero dei figli per nucleo familiare; una nuova ondata migratoria connessa alla mancanza di
prospettive lavorative; un numero
di anziani maggiore rispetto al
numero dei giovani. Proviamo però
a ragionare anche con parametri
diversi. La cultura dell’arricchimento facile, della megalopoli, degli agglomerati, del cemento a tutto
andare è miseramente fallita. I
grandi numeri non hanno portato grandi gioie, ma solo grandi solitudini, tanto
è vero che il male più diffuso oggi è proprio la depressione. Il senso della vita
sicuramente è racchiuso più nella masseria di campagna che nel palazzo di
città, più in un maiale allevato che in un
hamburger surgelato, più nelle patate
scavate nei nostri orti che in quelle di
origine ignota degli ipermercati. Non è
forse meglio una tavolata di 10 paesani
che si vogliono bene e mangiano prodotti tipici, frutto del loro lavoro, col
sottofondo di tarantella, piuttosto che
un aperitivo o un McBurger di plastica
con altre 100 persone sconosciute e
distaccate a Milano? E non potrebbe
essere proprio questa l’occasione giusta
per ripensare alla nostra esistenza? Smetterla di pensare solo a
se stessi, agli interessi, al proprio orticello, ai falsi miti, e spendersi anche
per gli altri. Smetterla di stimare ed
emulare chi ha il potere o il denaro,
conquistato con qualsiasi mezzo, anche
illecito, ed avere la riconoscenza delle
persone semplici ed oneste, che si prodigano per gli altri. Vivere le comunità
onorando chi le compone, dando il meglio per renderle accoglienti e solidali. Usare cortesia ed affetto verso chi ha le
nostre stesse radici, anche per
il semplice fatto di condividere una parte importante del
nostro passato. Naturalmente questo ragionamento non
deve essere visto come un'assoluzione verso le colpe politiche gravissime che hanno
generato questo spopolamento, sia chiaro. Colpevoli che,
tra l'altro, hanno nomi e cognomi ben noti. Vuole però
essere motivo di riflessione
per dire che bisogna fare i conti con ciò
che oggi si ha a disposizione e da quello
si deve ripartire, con passione e spirito
di collaborazione. Restare con coraggio,
impegnarsi per il proprio sorprendente
territorio. Forse è questa la felicità. Non
serve essere in molti per provarla.
Francesco Celli
(Presidente di Info Irpinia)
Pedagogia del ricordo
Ore 21:00 ritrovo a casa di Fiorenzo. Come da accordi precedenti io e Salvatore puntuali bussiamo al portone di casa Gambone. Ligi a una vecchia,
cara e solita occasione, una cena tra amici, riscopriamo il piacere rinnovato
di sederci ad un tavolo per ripercorrere le tappe della nostra amicizia. Questa volta vi è una piacevole novità che sembra raddoppiare il piacere
dell’incontro. A tavola con noi siede il papà di Fiorenzo. Salvatore, questo è
il suo nome, sembra un ragazzino mentre sorseggia, dopo aver accennato
un sorriso di cortesia, un bicchiere di birra. Osservo i volti dei miei amici
inebriandomi di profumi al pane cotto e soppressata. Rallegrato ascolto
Salvatore parlarmi di una Montella di altri tempi e penso che in quel suo
sorriso ha incantato i suoi quasi novant’anni. L’atmosfera, impreziosita dal
nostro silenzio, è quella tipica dei “ c’era una volta” delle favole che ascoltavo da bambino. Quanto è bella Montella in quei ricordi. Le parole sembrano
modellarsi nello stampo dei ricordi. Gli asini in strada. Le nevicate da record e le osterie con il vino sempre un po’ annacquato. La guerra, i bombardamenti degli alleati e la ritirata dei tedeschi con l’infame sacrificio dei Fratelli Pascale. E poi la
“saponificatrice” e i suoi omicidi. Le segherie che davano lavoro a tanti compaesani. L’eruzione del Vesuvio e il terremoto
del’62 e tanti altri fatti ed esperienze che attraverso il ricordo ridisegnano l’albero genealogico della nostra comunità. Salutando gli amici a fine serata stringo la mano a Salvatore con gratitudine pensando che bisognerebbe riscoprire sin da piccoli, nelle scuole, il valore del ricordo per sentirsi veramente parte di una comunità. I miei studi grafologici mi hanno insegnato il valore innovativo delle nuove frontiere della Pedagogia rispetto gli insegnamenti classici. Penso ai corsi di Arno Stern e
l’esperimento riuscito dell’Educazione Creatrice praticato nelle sue scuole oppure alla cattedra universitaria contro le mafie
della “Pedagogia della Resistenza” attivata presso l’Università di Cosenza. Che bello sarebbe sperimentare una sorta di
“Pedagogia del Ricordo”. Non è un caso, infatti, che un proverbio africano affermi che “quando muore un anziano è come se
bruciasse una biblioteca”. Sono grato a chi mi ha insegnato il vero significato di questa affermazione.
Gianluca Capra
[email protected]
“La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità.
Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001”
Pagina 4
Moca Press Aprile 2015
La Narrativa… a cura di Luigi Capone
Il volo– Parte prima
Prendemmo il volo della Korea Airlines
con molta leggerezza seguendo i consigli
di Arianna, una ragazza che aveva la
passione della cultura orientale e sotto
la sua guida ci avventurammo. Il vecchio autobus di un’azienda prossima al
fallimento, che dall’Irpinia ci portava all’aeroporto di Fiumicino,
passava per tutti i
paesi e la distanza tra
l’Irpinia e Roma pareva confrontabile a
quella tra Roma e
Seul. Poco avvezzi a
salire sui Boeing dovemmo farci coraggio
con qualche battuta
per esorcizzare le paranoie e per una strana ironia l’aereo davvero si mise in moto in
maniera brusca, fece
pochi metri e decollò di
colpo, mentre di solito
percorrono prima qualche chilometro. Il cuore mi balzò in gola
e poco dopo mi vergognai anche di essere stato così sciocco da aver avuto paura; ufficialmente noi eravamo dei ragazzi di provincia e non riuscivamo a comprendere che l’aereo in realtà era un
mezzo molto più sicuro di un autobus o
di un’automobile. Le hostess ci fecero
attaccare le cinture, ci spiegarono cosa
avremmo dovuto fare in caso di pericolo
e arrivammo presto a quota di crociera,
quando l’aereo finalmente viaggia in
modo abbastanza stabile. Atterrammo
comodamente e rapidamente andammo
a posare i bagagli nella casa che avevamo preso in affitto, tanta era la smania
di vedere com’era fatta quella città.
Giungemmo finalmente in piazza, ci
mettemmo in fila come una banda di
scolaretti in gita. In testa, a fare da Cicerone c’era Arianna, io avanzai nel
corteo fino ad arrivare accanto a lei per
farmi dare altre interessanti informazioni circa quel posto. Le chiesi se fosse
Seul, mi disse di no. Disse che si trattava di Namyangju, una città più piccola e
che la Korea era uno stato enorme. In
ogni caso ci condusse verso la piazza
centrale della città a cui si accedeva
scendendo per delle scale mobili. Non
mettemmo nemmeno piede nella piazza
che mi sentii chiamare per soprannome,
una voce disse “cretese”. Era Nino Pellicani, un uomo sui cinquant’anni, irsuto,
con l’aria da professore/pescatore, con
cui avevo parlato una sola volta sulla
spiaggia di Salerno; ci eravamo intratte-
nuti in una conversazione proprio sulla
Korea camminando a piedi dal quartiere Pastena fino al porto. La mia meraviglia era enorme e tuttavia minore di
quella del resto della compagnia. Nino
era seduto su una panchina accanto a
una bella donna dai tratti koreani. Mi
disse con quel suo modo di fare pacato e
indifferente “se non era davvero tutta
un’altra cosa la Korea” così come mi
aveva predetto a Salerno. La donna che
stava con lui sorrise aggiungendo che
tutto ciò che si poteva trovare lì era
soltanto una pallida imitazione, una
copia sbiadita di quello che si poteva
ammirare nella Grande Cina. Arianna,
che aveva già vissuto a Seul in passato,
confermò che Seul era una città decisamente migliore di quella in cui eravamo adesso. Si fece quasi sera ed eravamo ancora lì. Tutta la comitiva si guardava intorno spaesata avvertendo una
vaga paura del buio che stava per sopraggiungere. Guardai in alto e oltre
delle case basse e
piuttosto normali,
vidi in lontananza
dei
monumenti
maestosi, imponenti
e altissimi, estremamente luminosi, poi
grattacieli, chiese e
mausolei illuminati
di una luce abbagliante: era la visione del progresso. La
studiosa dell’Oriente Arianna mi apostrofò con una battuta e mi informò
che si trattava soltanto di ologrammi.
Non le chiesi niente, chiesi solo a me
stesso cosa ci fosse allora dietro a quelle abitazioni così normali. Forse l’oblio,
pensai avvertendo un brivido. Dormimmo in quella piazzetta utilizzando
le panchine come letti e i bagagli come
cuscini. “Dobbiamo ripartire per Seul”
disse la nostra condottiera-studiosa
all’alba, svegliando tutto il gruppo.
(Continua…)
[email protected]
Classifica libri
1. La sposa giovane di Alessandro Baricco € 17.00
2. La banda degli amanti di Massimo Carlotto € 15.00
3. Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli € 10.00
4. Momenti di trascurabile infelicità
di Francesco Piccolo e 13.00
5. Revival di Stephen King € 19.90
6. Nessuno si salva da solo di Margaret Mazzantini € 13.00
7. Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli € 16.00
8. Il regno di Emmanuel Carrere € 22.00
9. Il magico potere del riordino di Marie Kondo € 13.90
10. L'amica geniale di Elena Ferrante € 18.00
Fonte: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/libri/classificalibri.html
Pagina 5
Moca Press Aprile 2015
Le ovaie di Angelina Jolie sui giornali
Angelina Jolie fa di nuovo parlare di sé. Dopo l’asportazione del seno, ora
anche le ovaie. Nulla a che vedere con il mancato senso di maternità, il
tutto è frutto della paura del tumore, essendo un male che ha colpito già
nella sua famiglia. Non sono mancate le polemiche, visto che l’attrice ha
solo 39 anni e l’asportazione delle ovaie, come del seno del resto, avviene
per molte donne dopo una grave malattia. La Jolie, invece, è sanissima.
Lo ha fatto a solo scopo precauzionale. Sarà una scelta avventata? Personalmente sono combattuta. L’asportazione delle ovaie con la conseguente
menopausa forzata a neppure 40 anni è una scelta fortemente drastica
che, a mio avviso, risulta quasi “maniacale”. Dall’altra parte, però, capisco le sue motivazioni. Reduce dall’aver visto soffrire per il tumore sia
sua madre sia sua nonna e sua zia, la Jolie avrà sentito per questioni
genetiche il cancro alitarle sul collo e, conoscendo cosa le sarebbe potuto
succedere, si è preoccupata di fare una scelta tanto importante pensando
solo di proteggere i suoi figli da quel dolore. Allo stesso tempo
(aggiungo), avrà lei modo di evitare certe sofferenze e poter godere della propria salute e della vita dei suoi cari. Quello che
molti si sono chiesti è, però, quali siano i motivi che l’hanno spinta a comunicarlo alla stampa. Su tutte le più note testate
giornalistiche del mondo la notizia è stata diffusa, mettendo l’opinione pubblica nella condizione di non poter fare a meno di
commentare. Era davvero necessario farlo sapere? È facile supporre che la scelta di divulgare la notizia sia dipesa dal desiderio di avere un riscontro mediatico ma questa volta voglio essere ottimista. Voglio credere che la Jolie, “nel suo piccolo”,
abbia voluto sfruttare la propria popolarità per aprire le menti del pubblico ad una nuova realtà, ad una nuova possibilità di
salvaguardare la propria salute mettendo una bella X sul giudizio altrui. Della serie: “lo ha fatto la Jolie, posso farlo anche
io”. Voglio crederci, se così fosse mi sarebbe più facile motivarne il gesto.
Rita Mola
[email protected]
Doppiopesismo sessista
A chiacchiere e pubblicamente, son tutti
liberali, tolleranti e misericordiosi. Basta però il vago (e infondato) senso di
anonimato garantito dal web o anche da
consessi più informali, che la pancia,
vero organo senziente di una opinione
pubblica alimentata per anni a pane e
sensazionalismo, spunta fuori. E sputa
veleno. Che viene spacciato per ponderata reazione al “politically correct”,
diventando tendenza ed elevandosi al
rango di “opinione diffusa”. La pancia
degli italiani, non è meno rozza, gretta
e cinica di altri. Ma sulla scala del maschilismo, si piazza decisamente in pole
position. L'astronauta Samantha Cristoforetti, in pochi clic, diventa una
sciamannata che fluttua in orbita grazie a ruffianerie o favori sessuali, buttando soldi “nostri” (fingendo che tutti
paghino le tasse dovute...) per stare
sempre in TV o sui social. La presidente
della Camera, per fare un altro esempio, fin dal giorno del suo insediamento
è stata oggetto (tanto per cambiare)
delle attenzioni di orde di villici digitali
che, lontani dalla sempre lecita critica
politica o ideologica, preferiscono sfogare i bassi istinti sessisti di cui sono dotati su una donna al vertice che pensa e
parla liberamente senza dover fare da
cornice a qualche figura maschile. L'apoteosi, però, la si raggiunge coi casi di
cronaca “grossi”. Tipo quello delle cooperanti rapite in Siria. I meccanismi
primordiali che vengono abilmente solleticati da loschi personaggi in cerca di
consenso e visibilità, includono il paral-
lelo, in buona parte forzato, coi “marò”
detenuti in India. Una volta impostato il
sillogismo “ggentista”: “Vanessa e Greta
liberate e i “marò” ancora detenuti. Vergognaaa!”, il gioco è fatto. E hai voglia
di spiegare che la vicenda delle due av-
ventate cooperanti rapite in Siria e poi
liberate non ha nulla a che fare con due
militari assoldati da privati che hanno
ammazzato due pescatori e stanno nelle
maglie della giustizia indiana. La macchina infernale è oramai partita. Non si
contano i sostenitori del “lasciatele lì, se
la sono cercata” o del “avete pagato il
riscatto coi nostri soldi per quelle due”.
La trovata del “sesso consenziente coi
guerriglieri a spese nostre”, poi, completa l'atroce escalation delle reazioni aggiungendo quel tocco pruriginoso che
ancora mancava. Ma il “caso” vuole
che, la stessa massa di cinici menefreghisti diventino magicamente patriottici difensori dell'onore italico quando
tocca ai “marò”. Interminabili tirate su
come questi “eroi” difendano la Patria e
gli italiani, e giaculatorie infinite su
quanto sia pavida l'Italia nei confronti
dell'India cattiva. Roba che ai tempi
della “buonanima” non si sarebbe vista.
Tutte boiate, ovviamente. Ma sufficienti a far presa sulle viscere ipersensibili
dell'opinione pubblica: due “soldati
valorosi” contro due “donne che vanno
a fare beneficenza coi soldi nostri”. Il
dubbio, infatti, che modelli di donna e
di idealismo differenti possano insinuare lo status quo della perfetta “madre
di famiglia” fa rabbrividire i più. Che
dalle tastiere, inorriditi, reagiscono per
difendere il fortino della “tradizione”.
Che però è fatta, per le donne italiane,
anche e soprattutto, di carriere azzoppate, gravidanze trattate alla stregua
di malattie, stipendi più magri e occupazione femminile a livelli da terzo
mondo. Certo, cause e concause sono
diverse e variegate, ma finché il mix
micidiale di paternalismo e sessismo la
farà da padrona, la subalternità sostanziale della condizione femminile
non si muoverà di un millimetro.
Luigino Capone
[email protected]
di Dario Di Benedetto
Soluzioni Informatiche
Hardware & Software
Via Verteglia 24– 83048
Montella (AV)
Tel/Fax 0827/61199
Cell. 3473514366