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DISCORSO INTORNO AL TEMPO
Eccoci, qui ANDIAMO INCONTRO AL TEMPO COME ESSO CI CERCA fa dire William
Shakespeare a un personaggio di una sua opera minore.
Conserviamo quanto di meglio ci ha regalato il passato e lasciamoci condurre dal tempo che
passa, gustiamoci il presente e pensiamo già al futuro, corretto Gilberto? In fondo sono già
passati 13 mesi dall’altro evento di Ville Ponti, Piloti del Cambiamento è tantissimo amici,
Andata e Ritorno.
Pensate, al confronto, il volo del Tenente Jury Gagarin, un autentico pilota del cambiamento,
durò 1 ora e 48’, eppure, essendo un evento epico, riteniamo sia stato un viaggio infinito,
eppure, quel 12 aprile 1961, da quando Cedro, questo era il suo nome in codice, pronunciò la
famosa pojechali (andiamo) all’atterraggio della Vostok 1 passarono solo 1 ora e 48’.
E’ il tempo che passa, amici. Come è passato quest’anno che abbiamo oggi ripercorso insieme.
Osservate Robert Plant, giovanissimo, aitante, boccolato, fasciato dai suoi attillatissimi jeans
anni settanta, un’autentica bomba erotica. Siamo al Madison Square Garden di New York, con
lui, Jimmy Page con la sua Telecaster a doppio braccio, John Paul Jones alle tastiere, e John
Bonham alla batteria. Quel concerto si tenne nel 1973, proprio in mezzo a un altro grande
evento di quegli anni, la doppia sfida fra Muhammed Alì e Joe Frazier. Avete visto, all’inizio del
filmato le torri gemelle c’erano ancora. Sono passati oltre quarant’anni da allora e tutti noi
eravamo giovani quanto Robert Plant, quando ascoltavamo i Led Zeppelin, altri fra noi erano
professionisti già affermati, magari erano già Rotariani, non approvavano la musica dei Led
Zeppelin e neppure la loro condotta di vita obiettivamente bizzarra. Quell’anno il Governatore
del Distretto 204 si chiamava Magnoni e diede l’incarico al Rotary Milano Ovest di fondare un
Club, da denominare San Siro; quel Club sarebbe poi stato fondato nell’anno del Governatore
Ricas Castagnedi, nonostante tante resistenze, grazie all’impegno di un giovane ma già
attivissimo Rotariano, Carlo Ravizza.
E quante resistenze intorno al giovane Gruppo inglese, quanti avrebbero immaginato allora,
che sarebbero stati onorati, solo quarant’anni dopo, come degli autentici monarchi. (3’)
C’erano proprio tutti al Kennedy Center, soprattutto chi, dodicenne, ne sentiva parlare perfino
a Honolulu.
Eccoli, i giovani, trasgressivi Led Zeppelin, quasi quarant’anni dopo al Kennedy Center, a
Washington D.C. pronti a ricevere dalle mani di Caroline Kennedy, il premio che viene ogni
anno conferito a coloro che si sono distinti per il loro contributo all’arte e alla cultura.
Chi l’avrebbe mai immaginato, quarant’anni prima? Chi avrebbe scommesso? Chi si sarebbe
permesso di conferire loro una Paul Harris? Eppure, oggi, hanno ricevuto l’ambitissimo
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Kennedy Center Honor, per le stesse ragioni per cui, allora, erano invisi a molti. E’ il tempo che
passa, è il tempo che, in molti casi, come si usa dire, è galantuomo.
Chi li avrebbe anche solo invitati a un Club? E poi erano un tantino presuntuosi, certamente
avrebbero risposto ”Non voglio far parte di un club che persiste a volermi accettare come
membro” come molti anni prima dichiarò il grande Groucho Marx.
Che il tempo sia passato anche per loro è sin troppo, evidente, lo si vede da come lo ricordano
commuovendosi, dal colore dei loro capelli sia che siano bianchi sia che siano tinti, dalle loro
meravigliose rughe che ne solcano i visi. Ma il passaggio del tempo è indicato non solo dalla
loro presenza ma anche dall’assenza, sono rimasti in tre, e dal ricordo; è Jason, il figlio di John
Bonham a suonare la batteria, il figlio del più eccessivo o forse del più sfortunato dei tre.
C’erano proprio tutti al Kennedy Center per onorare i Led Zeppelin.
L’emozione del ricordo la si vede dai loro volti tirati, dalla commozione trasmessa dagli occhi
lucidi, dalle lacrime allontanate da un polpastrello, o da un semplice tic nervoso, da come si
tormentano le barbe che un tempo non incorniciavano i loro visi.
Ora sono due donne a sostituire i 4 divi del rock, ma per sostituire le loro performance ci vuole
un’orchestra intera e un coro per le loro inconfondibili voci.
E’ un’impresa assai coraggiosa emulare gli assolo di Jimmy Page. E l’emozione e il trasporto lo
si legge anche attraverso le sensazioni che provano i cinquantenni in sala, a prescindere dalla
loro cultura di origine.
E’ il tempo che passa, come è passato il nostro, in questo lungo anno cari amici, un’andata e
un ritorno, e, nel mezzo, un lungo meraviglioso viaggio.
Uno di quei viaggi al termine dei quali provi una duplice sensazione, da un lato sei talmente
appagato che hai desiderio di ritornare alle tue cose, dall’altro risaliresti sul primo aereo o
faresti inversione.
Per buona pace di Gilberto ho scelto la prima.
La sensazione è proprio questa cari amici, andata e ritorno e se all’andata si fanno tanti
progetti, il ritorno, certo, è già pieno di ricordi ma soprattutto ci si rende conto di quante cose
in più, imprevedibili, sono state fatte, quanti volti in più si sono ammirati, ti accorgi che le cose
programmate e non fatte erano davvero inutili, e che gli obiettivi si, si possono davvero
raggiungere ma con essi anche ciò che non avresti mai sperato di cogliere.
Voi avete raggiunto un risultato storico con un ritorno alla crescita dell’effettivo e uno
straordinario con i contributi alla Fondazione; l’obiettivo che io ho personalmente raggiunto, se
permettete, è ancora superiore, ed è quello di aver trovato una magnifica sintonia con voi fatta
di piccole cose, di atmosfere semplici, agevolata dalla naturale simpatia del Segretario e dal
calore e dall’efficienza di una Squadra che ha lavorato davvero, duramente, dicendomi sempre
di si, accettando tutte le sfide anche le più apparentemente impossibili, sia che si tratti di
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rompere le convenzioni con un appaluso felice, sia che si tratti del raggiungimento di un
evento di cui parla oggi, con insistenza, l’Italia Rotariana, il Concerto Grosso.
Il Rotary è fatto di persone ma se il Rotary fosse una persona, oggi potrei dire di conoscerla
davvero, intimamente; è come aver conosciuto un divo del rock nei giorni del suo fulgore e
aver rintracciato in esso, a distanza di anni, i segni della vera umanità.
E allora scoprite che il Rotary, amici, è l’autentica fellowship, è la grande efficienza e l’ironia,
che si respirano agli eventi internazionali; il Rotary è la possibilità, a poche ore da una calamità
naturale, di entrare in contatto con il tuo omologo di quel luogo devastato e aiutare subito
tante persone sfortunate. Il Rotary è poter far comprendere a tanti Rotariani scettici o
disincantati che la loro Associazione, paziente da 110 anni, li sta aspettando per regalare loro
ancora forti emozioni e nuove opportunità.
E allora, cari amici, questa è la vera testimonianza che desidero lasciarvi oggi, vivete il Rotary
con entusiasmo, con energia, lasciatevi coinvolgere e coinvolgete le vostre famiglie, le persone
a voi vicine, il Rotary non è un appuntamento settimanale da affrontare percorrendo strade
nebbiose in alternativa a irrinunciabili avvenimenti sportivi, il Rotary è molto di più e l’obiettivo
che con la Squadra ci siamo dati quest’anno è proprio quello di farvelo apprezzare partendo
dai suoi valori, dai nostri valori che sono talmente profondi da travolgere qualsiasi conflitto,
qualsiasi disputa, qualsiasi sensazione di noia o di disincanto.
I motti vanno e vengono, come le cravatte e i foulard, i pin e i guidoncini, ma credo che Light
up Rotary debba resistere nel tempo certamente non più come motto ma sicuramente per
consentire a tante persone e a tanti Rotariani di emanciparsi e salire la scala per il nostro cielo
che è il Rotary; lasciatevi meravigliare anche voi come è scritto nel testo di questa canzone e
vivrete un bellissimo Rotary, più bello, forse, di quello che avete sin qui vissuto.
Grazie
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