La Rassegna d`Ischia
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La Rassegna d`Ischia
Rassegna LIBRI Prove d’amore e di poesia di Pasquale Balestriere Gabrieli Editore, Roma. Copertina di G. Loengrin, 2007 di Giovanni Castagna «Prove d’amore e di poesia», la terza opera poetica, almeno a nostra conoscenza, pubblicata da Pasquale Balestriere, ormai abituato ai primi posti nei concorsi di poesia, pone, già nel titolo, un problema d’interpretazione. Prova, nel senso di esperimento o in quello di verifica? Per quanto mi concerne, lo studio di questa plaquette mi ha spinto a ri percorrere il suo iter poetico dalle precedenti opere: E il dolore con noi, 1979; Effemeridi pitecusane, 1994, rilevando, fra l’altro, una ripresa e un approfondimento di temi e motivi. Nelle liriche dell’opera «E il dolore con noi», di cui alcune, credo, risalgono agli anni giovanili e di tirocinio, quello che mi colpì ed ancora mi colpisce è la visione tragica della vita, la presenza, quasi ossessionante, della morte. Uno spoglio delle parole autosemantiche (verbi, sostantivi, qualificativi e avverbi) fa risaltare gli occorrimenti di vita, morte, morire, dolore; la classica opposizione vita/morte, che in Balestriere, il quale rivendica a gran voce la sua «umanità» («Io sono / solamente / un uomo»), trova la sua giustificazione, dato che anche la vita è quasi sempre caratterizzata in negativo («perché troppo spesso nella biblioteca della vita / ho sfogliato i volumi del dolore»). D’altra parte, in un confronto con le altre opere, si rileva che alcuni di questi lessemi sono quasi assenti nelle altre: morte, dolore, uomo. Sembra quasi un abbandonarsi, quando esclama: «Eccola, nel palmo della mano, la vita / che ho vissuto / segnata dalle linee del dolore / e della morte, con un piccolo / tratto di felicità», ma all’improvviso il poeta sembra che trovi l’àncora di salvezza: «Risorgerò…/ Mi tufferò nelle acque della vita / nuo terò verso le sorgenti del canto / dove lieta ride la vite / e il loto». Il loto per l’oblio. La vite, invece, spinge, sulle orme del padre, «questo / architetto malato di parole», a diventare «faber e poietès»: «Di queste vigne mi pasco / brevis dominus / ne mieto dol cezze fugaci / nell’orizzonte circolare della vita / che s’apre al tramonto». Nasce così «il poeta contadino», come egli stesso si definisce, «il mio cuore contadino», «cuore pulsante d’agreste vigore», donde la rivendica zione «Appartengo alla nazione con tadina / che riposa all’abbeveratoio / dove la mucca trangugia / follie di stel le e scherzi della luna» e l’amara con statazione: «Nelle ore del sole / bambi ni non picchiano più sulle zappe / per fugare uccelli dal grano». Queste ultime sono citazioni da «Effemeridi pithecusane», opera in tre sezioni: «Di momento in momento», «Georgica», «Frammenti per il padre». Il padre, «Ulisse contadino», ricordato in due liriche nella prima opera, diventerà sempre più presente nelle altre, soprattutto quando il poeta si de dica ai lavori della campagna: «Dopo il tuo addio, nel cellaio, solo, / lavoro di vendemmia. La tristezza / per un sono ro chioccolio s’attenua: / s’effondono i profumi, il mosto cola,/ s’addensano presenze. E tu sei lì, / padre, col tuo sorriso soddisfatto, / che conteggi ed assaggi e poi concludi:/ È tutto esat to». In «Prove d’amore e di poesia», l’ungarettiano uomo di pena, nella sua «autunnale maturità», guarda ormai con sguardo e cuore pacato l’irreparabile tempo che fugge. Affiorano, sì è vero, rimpianti come in «Amor ch’a nullo amato amar perdona» in cui un verso «L’avresti detto eterno quest’amore», con il futuro del passato che sembra ne allontani il ricordo, ma il dimostrativo «questo» lo rende presente, forse ancora bruciante, come mettono in risalto i due versi finali: «mi prendo gioco del cuore all’odore / di mosti fervidi, ebbro di basilico». Ancora una volta la consolazione, come un tempo l’apertura verso l’evasione da una «vita che giorno per giorno mi fa bere la morte», è la vite nel «tumido prodigio / di bocci foglie co rimbi / racemi fughe di tralci grappi, / inclita forza, / che la mano dell’uomo / accarezza amorosa promessa.» Conscio che tutti «navighiamo / in quella che crediamo vita / con approdi fissi / e qualche strambata», conclude: «Meglio lasciare somme e libri mastri, / avvicinarsi al fuoco e bere vino, / dar si alla mensa, all’amicizia, al canto,/ avere mente e cuore di bambino». Ho annotato soltanto pochi spunti, riservandomi per uno studio più approfondito della poetica di Pasquale Balestriere. Altri, d’altronde, ne hanno già messo in evidenza la fattura classica, il nitore delle immagini, la sua squisita sensibilità e la perizia notevole. Voglio soltanto concludere mettendo in risalto quella ripresa di temi e motivi dalla prima opera, alla quale ho accennato, facendo ricorso, per adesso, ad un esempio che può sembrare banale, ma fa rilevare una struttura ad anello delle tre opere, che trova riscontro in altre corrispondenze. Nella prima opera, una «nera biscia» «disanima / lentissimamente / la lucer tola» (Urla del silenzio), nell’ultima lirica di «Prove d’amore e di poesie» il poeta scrive: «Osservo. Non serbo / la lucertola alla vita / che il gatto nero finisce, / dopo averci tessuto / intorno tele d’inganni[…] Dorme nel mio cor po il gesto / d’ogni possibile salvezza». Allora, le urla del silenzio ingigantivano impietosamente in lui, ora sembra che resti quasi insensibile, «ossequente» «all’imperiosa norma dell’essere che» gli «svela il nero felino occhiverdi». In un prossimo intervento cercheremo di scoprire dai suoi versi le ragioni di questo mutamento. *** La Rassegna d’Ischia 1/2008 13 Il coraggio di essere se stessi Tre storie ischitane di Luciano Di Meglio Museo del Mare Edizioni, 2007 di Nicola Luongo Luciano Di Meglio, “ischitano verace”, scrittore e fondatore del Museo del mare, situato nel settecentesco palazzo dell’Orologio di Ischia Ponte che, tra l’altro, accoglie cimeli e oggetti marinareschi della millenaria cultura locale, già noto per altre opere, tra cui Sogno infranto di un marinaio ischitano e Pe scatori di un’isola del Sud, ha recentemente pubblicato un testo di agevole e proficua lettura, corredato di illustrazioni e copertine di giornali d’epoca, dal titolo significativo: Il coraggio di essere se stessi, tre storie ischitane. L’autore si immedesima nel narratore che, “catturato dal vortice della memoria”, rievoca le condizioni socio-economiche della nostra isola prima dell’avvento del turismo e mette in risalto in particolare le ingiustizie e il degrado di quella società, «dove la ricchezza e il potere appartenevano solo a poche persone» che si comportavano da veri e propri feudatari. D’altronde gli abitanti dell’isola, in quello stato di arretratezza e di povertà assoluta, spesso erano inconsapevoli dei loro diritti e dei loro requisiti di essere pensanti, quindi meritevoli di dignità e di rispetto. Le vicende vengono esposte con senso di oggettività e impersonalità con- 14 La Rassegna d’Ischia 1/2008 trollata di stile, pervasa da una sentita partecipazione al destino dei personaggi più sfortunati e da una tacita condanna a quelli più prevaricatori ed arroganti. Soprattutto nel primo, lungo racconto, La colomba insanguinata, il comportamento del personaggio principale, il Barone, un vero e proprio Don Rodrigo di manzoniana memoria, conferma l’indifferenza e disprezzo di certi individui del passato e del presente nei confronti di valori morali e sociali in conformità dell’assunto hobbesiano dell’homo ho mini lupus. Il Barone, ricco latifondista ed erotomane da strapazzo, non disdegna di circuire e sedurre la sua procace domestica che, a seguito della relazione, mette al mondo quello che sarà il protagonista del racconto, di cui non è detto il nome e che sarà oggetto di scherno e di umiliazioni da parte dell’ambiente bigotto circostante. Perciò egli nutre odio e rancore verso il genitore che anzi non ha mai accettato ed amato. Il ragazzo riesce a superare con la forza di volontà ostacoli di ogni genere, ma è sempre perseguitato dal padre, che un giorno addirittura aggredisce il figlio che, per difendersi, provoca una frattura allo stesso padre. Il giovane subisce un processo-farsa e, per sfuggire alla detenzione, accetta l’invito di recarsi in Spagna come volontario nella guerra civile spagnola. È in quest’occasione che trapela il messaggio dell’inutilità di tutte le guerre e del valore assoluto della pace, del dovere morale dell’uomo di non scendere a compromessi con la propria coscienza. E, fedele a questi principi, il giovane, avendo conosciuto una ricca armatrice, vera e propria ape regina che vorrebbe legarlo a sé con le sue ricchezze, preferisce il coraggio di essere se stesso alle lusinghe di una relazione priva di amore. Anche quando parte avventurosamente per l’America che aveva tanto mitizzato, si accorge che l’umanità è la stessa ovunque, più disposta al male che al bene. Solo l’amore di una donna olandese, Helen, diventa il suo punto di riferimento e la luce della sua tormentata esistenza. E, in nome di questo amore del senso di altruismo maturato dopo tante peripezie, tradimenti, dolori, il giovane per soddisfare la sua inestinguibile sete di conoscenza e di nuove esperienze, emigra nella Terrasanta dove, pur avendo perso in un attentato dei palestinesi l’unico amore della sua vita e pur animato in un primo momento da un moto di vendetta, compie un gesto che sorprende il lettore e rivela il senso di realismo e l’acume psicologico di Luciano Di Meglio che preferisce evitare al racconto un più facile e scontato happy end che raramente è incluso nella vita degli uomini. Nel secondo racconto, I soldatini, l’autore esprime una chiara condanna della guerra in cui «si deve uccidere per non essere uccisi», attraverso la triste vicenda di un ragazzo di Campagnano di nome Carmine. Questi nei tempi difficili della seconda guerra mondiale, in cui erano imperanti la disoccupazione e la povertà, si imbarcò con sollievo sul piroscafo della Span, il Santa Lucia che fu colpito proditoriamente nella rotta da Ventotene a Ponza. Il giovane, invece di pensare a mettersi in salvo, trovò la morte nell’affondamento della nave nel tentativo di salvare alcuni passeggeri e la ragazza che amava in un supremo atto di eroismo e di abnegazione, gettando nella disperazione la madre che lo aspettava nel villaggio di Campagnano. Nel terzo racconto, Giallo ischitano, nel contesto di un’isola d’Ischia degli anni ‘50-60, quando il turismo aveva assunto una valenza importante e moderna come risposta ad un’esigenza di svago, di mondanità e di cure termali, sentita dagli ospiti provenienti da tutto il mondo, si snoda l’amara vicenda del protagonista, ipostasi del Casanova nostrano ormai tramontato, sempre a caccia di donne straniere disponibili, il quale, dopo l’omicidio della sua amante, sposata a un ricco imprenditore milanese, scopre col suo istinto di detective l’assassino della donna e decide di ucciderlo senza pietà. Riesce nell’intento con un cinismo e con una freddezza eccezionale, realizzando il classico delitto perfetto, del quale si compiace senza provare alcun rimorso. Così viene confermato l’assunto del libro che l’aspirazione al perdono e alla pace è solo un sogno, una utopia, mentre un qualsiasi codice morale che regola il comportamento sociale degli uomini non dovrebbe mai, sia a livello individuale che statale, ammettere la vendetta come avviene purtroppo ancora oggi, ma il male, le ingiustizie e le prevaricazioni fanno e faranno parte di ogni società, finché “il sole risplenderà sulle sciagure umane”. *** Il Rinascimento allo specchio Arte, amore, ricchezza e potere di nobildonne e cortigiane, streghe e borghesi, donne indomite della Storia di Gaia Servadio Salani Editore, 2007. In copertina: Bottega di Giovanni Bellini, Nuda allo specchio (particolare), 1515 circa, New York, collezione Stanley Mos. Un viaggio nel cuore del Rinascimento compiuto da una prospettiva nuova e audace: quella ‘rinascita’ che sfocerà nell’età moderna non ebbe inizio con la scoperta dell’America, ma con l’invenzione della stampa, che rese accessibili anche alle donne i libri e l’istruzione spianando loro la strada verso la consapevolezza di sé. Rinascimento, dunque, come epifania di una nuova idea di femminilità e di un nuovo ideale di donna: non più presenza silenziosa al fianco dell’uomo ma protagonista della scena letteraria, artistica, politica, coinvolta a pieno titolo nel dibattito sulla riforma religiosa e nelle trasformazioni economiche che porteranno all’avvento della borghesia. Un ideale di donna che Gaia Servadio Dieci di Andrej Longo Adelphi Edizioni, 2007 (Dalla bandella del testo) Vanessa che «quando si mette le calze nere e la gonna corta di pelle pare proprio ‘na femmina»; il tredicenne che di fronte alla sofferenza della madre è capace di un gesto terribile: «perché qualcuno doveva farlo», perché «ci sta un limite a tutto»; la ragazza che a una sola persona, un gatto di stoffa chiamato Monnezza, può raccontare che cosa significhi subire sul proprio corpo la violenza di un adulto; il piccolo malavitoso costretto ad abbassare gli occhi davanti a un anziano pensionato pacatamente deciso a non abbassare i propri; Reibàn, che nel corso di una notte balorda in compagnia dei suoi amici Panzarotto e Rolèx ruba la macchina sbagliata e dovrà pagarla cara: sono solo alcuni dei personaggi che il lettore incontrerà in questi dieci racconti - dieci come i dieci coman damenti - e che difficilmente riuscirà a dimenticare. Perché ognuno viene fuori dalla pagina di Andrej Longo con una esattezza quasi dolorosa - con le sue paure e i suoi rimorsi, le sue viltà e la sua grazia -, in virtù di una scrittura asciutta ed esigente, tutta costruita su dialoghi rapidissimi, a volte brutali. Nei racconti ci mostra incarnato da alcune grandi dame dell’epoca: la bella Imperia, amante di aristocratici e ricchi borghesi, Vittoria Colonna, scrittrice e amica di Michelangelo, Tullia d’Aragona, cortigiana nobile e raffinata, Louise Labe, che con lo stesso appassionato ardimento impugnò le armi e compose brucianti poesie d’amore. Leggendone le lettere, i diari e i versi, seguendone gli spostamenti cui furono costrette da matrimoni, amori nuovi o perduti, lutti o battaglie, percorriamo insieme a loro le strade di un’Europa lacerata dalle guerre di religione, entriamo alla corte dei signori e grandi mecenati italiani, di re e regine, ritroviamo la Roma dei papi e la Venezia dei dogi. Con uno stile chiaro e brillante, Il Rinascimento allo specchio ricostruisce con grande vivacità di particolari tutti gli aspetti storici, dinastici, culturali, di moda e di costume - dei secoli che videro l’irresistibile ascesa della donna ad artefice della Storia al pari dell’uomo. (Dalla bandella del testo) di Longo non c’è mai una parola superflua, ci sono tutte quelle che servono a darci di quell’universo metropolitano che si chiama Napoli, un’immagine radicalmente nuova - e folgorante. «A Giggino Mezzanotte lo portano in palmo di mano come a un Dio, perché una maniera o l’altra in tanti si abbuscano qualcosa per mezzo suo. Chi a spacciare, chi a nascondere la roba e chi le armi, chi a vendere il falsificato, chi a prendere una fatica in qualche cantiere o dentro alle imprese di pulizia. Io, se posso, a Giggino Mezzanotte non ci voglio chiedere niente né ora né mai, perché una volta che sei entrato dentro al sistema sei fottuto e non decidi più niente della vita tua. Decide lui al posto tuo, ti dice quello che devi e non devi fare, e se non vuoi stare alle regole lui sicuro ti fa sparare in testa. Perché è così che qua funziona». Andrej Longo divide il suo tempo fra Ischia, dove è nato, e Roma, dove vive e lavora per il cinema e il teatro. Dieci è il suo quarto libro e il primo pubblicato da Adelphi. La Rassegna d’Ischia 1/2008 15 Premio Cypraea L’Associazione Culturale Cypraea con il Comune di Sorrento - Assessorato alla Pubblica Istruzione, alla Pace e ai Diritti Umani, il Museo Correale di Terranova, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Campania Assessorato all’Istruzione e delle Ambasciate di Francia e di Grecia in Italia hanno presentato a Sorrento nella Sala degli Specchi del Museo Correale il XXI Premio Cypraea per la letteratura, il giornalismo, la scienza e l’arte. La manifestazione si è aperta con l’inaugurazione della Mostra “Colori del Mito – Omaggio a Maria Callas“ dipinti dell’artista Giovanni Truncellito, pittore, scenografo, musicista. che collabora con Enti teatrali italiani ed esteri, ultimo il Teatro dell’Opera di Roma. Cecilia Coppola, presidente della Cypraea, spiega: «Abbiamo sempre considerato il linguaggio della musica e del can to un solido ponte di comunicazione fra i giovani al di là di ogni discriminazione razzistica e culturale, per questo motivo rendiamo omaggio alla memoria di una donna, la cui “voce” ha riempito i palcoscenici di tutto il mondo, suscitando ammirazione, entusiasmo e reverente adora zione». Erano presenti a rappresentare la Giuria dei giovani della Cypraea Francesca Di Nola dell’Università Federico II di Napoli Facoltà di giurisprudenza, Federico Iaccarino scultore, Francesco Palmieri dell’Istituto Nautico “ Nino Bixio” di Piano, Annaluisa Sagristano dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma, Selvaggia Senatore violinista, Cristina Biancone dell’Università di Foggia Facoltà di Medicina, Alaa Amoudi della Jamal Abdel Nasser Liceo femminile di Nablus Palestina, delegati a leggere le motivazioni e porre domande ai personaggi ai quali è andato il Premio Cypraea: - per la scienza medica il professor cardiochirurgo Carlo Vosa «in quanto della Sua professione ne ha fatto una vera missione volta al mondo indifeso dell’infanzia, spes so sottoposto nell’immediatezza complessa di situazioni di guerra, spingendoci a riflettere sul prezioso patrimo nio della pace che ognuno ha il dovere di promuovere nella collaborazione dei popoli, nel coraggio dei singoli individui, nel progetto di una comune giustizia per cam biare il mondo nel segno di essa». - per il giornalismo Marco Merola (Venerdì di Repub blica): «i suoi articoli comunicano la gioia di viaggiare, conoscere, sperimentare per recuperare memorie e rac contarne la preziosa eredità come avviene con Tebtunys, definita città della Pace, che riemerge dal deserto con la sua storia costruita grazie a settemila papiri, forse per ammonire quanto sia necessaria la serena convivenza fra i popoli». - per la narrativa Lia Di Renzo «per il libro I ragazzi delle Carine in quanto immerge nelle storie di vita di adolescenti in formazione e del loro viaggio nel mondo 16 La Rassegna d’Ischia 1/2008 (Da sinistra) Carlo Vosa, Mariano Russo, Cecilia Coppola, Rosario Fiorentino La mostra “Colori del mito - Omaggio a Maria Callas” Annaluisa Sagristano dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma della scuola e del suo tessuto sociale, con una immedia tezza di linguaggio sorprendente che spinge a conside rare l’impatto con la vita come una pienezza di rapporti che ripropongono i valori dell’amicizia. E’ evidente nello svolgersi del racconto che l’Autrice ha diretto una comu nità scolastica non facile, l’ ha vissuta e condivisa in tutti i momenti di profondo significato e ha dato ai ragazzi del le Carine una conoscenza umana, nutrita delle proprie esperienze e da quelle altrui». - il Teatro San Carlo «una delle più prestigiose istitu zioni liriche nel mondo, un vero patrimonio storico, arti stico e culturale dell’umanità, una preziosa eredità per la città di Napoli. La musica e il canto sono il linguaggio più emozionale della Pace specie se indirizzato verso i giovani alla ricerca di valori e di ideali». A coronare questo evento si è svolto il Concerto “ Arie d’Opera” dal repertorio di Maria Callas, affidato alla voce del celebre e straordinario soprano Lucia Lui accompagnata al piano da Hiroko Sato e al Coro Tertium Millenium diretto dal M° Roberto Altieri, soprano Anna Maria Gargiulo, pianista Mariano Oliva. Il poeta ischitano Francesco Mattera tra i vincitori del Premio Rabelais 2007 Sì, è proprio lui, il dottor Francesco Mattera, agronomo in Ischia (come si diceva un tempo), riservato e sincero cultore di poesia, uno dei vincitori ex aequo del Premio Rabelais 2007. Questo successo premia la passione, ignota ai più, di Franco per la poesia; passione che si esprime con delicatezza, quasi con pudore; che è volta a carpire, dell’aspetto fenomenico della natura, quei segni, o semplicemente gli accenni, rivelatori di quella realtà eterna, seria e vera che chiamiamo vita e che si manifesta in una polisemia di aspetti, figurazioni, trasformazioni, suoni. Questo mondo, magmatico e accattivante, oltre ad offrire spunto e occasione alla voglia di canto del Nostro, ne soffonde i versi di un tono meditabondo e di una sensibilità malinconica, controbilanciata spesso da una visione serena e positiva della vita. Come accade anche nella poesia qui riportata, in cui il linguaggio disteso e “naturale”, l’adozione in più punti di costrutti inversi e il taglio affabulatorio danno al componimento una dimensione singolare. Pasquale Balestriere Il sindaco di Sorrento Marco Fiorentino ha espresso il suo compiacimento in quanto l’evento crea un legame ideale tra la regina del bel canto e la stessa Sorrento. Il vice sindaco Mariano Russo ha puntualizzato come avvenimenti quali il Premio Cypraea arricchiscono l’immagine turistica e culturale di Sorrento. L’assessore alla Pubblica Istruzione, alla Pace e ai Diritti Umani Rosario Fiorentino ha evidenziato che il Premio Cypraea in venti anni tra i vari personaggi premiati, da Piero Angela ad Antonino Zichichi, da Carlo Sgorlon a Michel Quoist, da Philipe Leroy a Lina Wertumller, da Giovanni Bollea a Roberto De Simone, ha sempre tenuto conto del linguaggio universale della Pace. Il Presidente del Museo Correale di Terranova Giuliano Buccino Grimaldi e il Direttore Filippo Merola hanno accolto la manifestazione per far coniugare ancora una volta l’Arte in ogni sua forma alla Musica ispiratrice di pittura in un comune denominatore. La Mostra che resterà aperta sino a fine dicembre è stata presentata da Cesare Nissirio, Direttore del Museo Parigino a Roma e dell’Associazione Athena Parthenos. *** La perfetta compagnia Mi giunse lontana la chiamata Lungamente squillante dall’uscio della tua cantina: Giua’, vieni a bere , vieni a farti un bicchiere! La mente rivolta altrove, a dolenti pensieri Che torcono dalla gola fin nei visceri profondi E tregua non lasciano. Difetto di circuito, Brevità di raziocinii al momento non sostenibili. Non io giunsi a te, ma la maschera di un automa Con ingranaggi poco oleati. E tu, amico discreto, hai intravisto l’agitazione Della navicella preda della tempesta, L’hai pesata senza aggiungere inutili tare. Con sorriso largo e schietto mi hai offerto il balsamo Della tua parola, calda, scevra da scrutamenti. Vedi Giua’, non si sta bene in due, la perfetta compagnia E’ data dal tre, mi dicesti, e con la mano sulla spalla M’avviasti al fondo più fresco della cantina, Alla botticella tenuta in serbo per la Vita. Ne traesti una magia in bicchieri traboccanti effimere spume, Effluvii dolcissimi in tranquille spire avvolgenti. C’eravamo uniti al terzo compagno, il più gioioso, L’anello che tiene i vertici, storna i pesi, libera la lingua. Qual fluido benefico - sussurrasti – più di questo vino dispone L’animo al sereno? E dunque beviamo di questo nostro rosso amico sincero che nulla chiede e la mente non ottunde Sol che noi si tenga il conto e non si profitti del suo umore. Che di poi avvenisse, spalla a spalla della casa la strada Troveremo alfine! Francesco Mattera La Rassegna d’Ischia 1/2008 17