L`INCASTELLAMENTO MEDIEVALE NELL`ALTO TIRRENO

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L`INCASTELLAMENTO MEDIEVALE NELL`ALTO TIRRENO
con i territori longobardi della costa e allo sbocco dell’importante via che attraverso la valle del Savuto giunge sul Tirreno;
ma probabilmente anche del castello di Sangineto, il
«…castrum quod dicitur Sanguinetum…» (PRATESI 1958), in
posizione strategica sull’omonimo torrente, a controllo di un
percorso utilizzato fin dall’antichità (LA TORRE 1999). Stesso
discorso vale probabilmente anche per il castello di
Fiumefreddo, o per quello di Belvedere per il quale ancora
non si dispone di testimonianze archeologiche e documentarie
significative prima della imponente fase aragonese (per questi
aspetti si rimanda a MARTORANO 1999), o di alcuni meno conservati come quelli di Fuscaldo, S. Lucido, Bonifati.
L’INCASTELLAMENTO MEDIEVALE
NELL’ALTO TIRRENO CALABRESE
(XII-XIV SEC.)
PRIME INDAGINI E PROSPETTIVE DI RICERCA*
di
EUGENIO DONATO
1. PREMESSA
L’alto Tirreno calabrese, in particolare la zona della provincia di Cosenza compresa tra i fiumi Noce (confine amministrativo tra Calabria e Basilicata) e Savuto, delimitata
a est dalla catena appenninica costiera (Fig. 1), è da tempo
oggetto di una serie di indagini archeologiche aventi come
obiettivo principale lo studio delle modalità dell’incastellamento medievale.
Sebbene ancora in fase iniziale, la ricerca (che corrisponde
al tema di dottorato condotto dallo scrivente presso l’Università degli Studi dell’Aquila) può contare su una serie di importanti dati scaturiti dall’analisi di alcuni siti chiave della
zona come il castello di Amantea, quello di Fiume Freddo
Bruzio, e da ricognizioni effettuate nei castelli di Cirella
Vetere, Scalea, Bonifati.
Le ricerche condotte con i metodi propri dell’archeologia
leggera, attraverso l’analisi di dati ricavati dallo studio degli
elevati, e da ricognizioni sui principali siti dell’area, integrate
con i pochi dati provenienti da scavi archeologici, sono supportate da un’adeguata strumentazione informatica, sia nella
fase di lavoro sul campo (come nel caso dell’utilizzo di
ortofotogrammetria digitale per il rilievo degli elevati), sia in
quella di elaborazione dati (è in corso l’informatizzazione della cartografia e delle schede che dovranno confluire in un sistema GIS).
Il territorio dell’alto Tirreno cosentino si configura come
una lunga fascia, vera e propria sub-regione sia per le caratteristiche geomorfologiche che storiche e culturali. Fin dall’antichità infatti l’insediamento è stato condizionato più che
altrove dalle caratteristiche del territorio, soprattutto dalla
presenza del mare e dalle numerose vie di accesso all’interno
della regione (LA TORRE 1999; MOLLO 2001).
Il problema della difesa della costa è stato dunque una
delle necessità primarie tanto che una delle caratteristiche
attuali di questa stretta fascia di territorio è quella di essere
controllata da una fitta rete di fortificazioni con un castello in
ogni centro principale, e circa trenta torri che per lo più fanno
parte del complesso sistema di difesa costiero sviluppatosi in
maniera organica a partire dall’età angioina, ma con importanti preesistenze almeno dall’età normanna (è il caso ad esempio
della cd. Torre a Mare del castello di Amantea, e dellla torre
del castello di Paola che presentano caratteristiche simili ad
altre torri datate prima del XIII secolo. Tra queste si segnala
quella del castello di Le Castella: RAIMONDO 1998).
Di fatto pochissimi sono gli studi sul medioevo in questo
territorio, limitati per lo più ad una serie di censimenti sulle
tipologie dell’architettura fortificata e sul sistema di protezione delle coste (per il censimento più aggiornato: FAGLIA 1984),
tuttavia i risultati delle indagini qui presentati hanno prodotto
dati interessanti che fanno ben sperare per le ricerche future.
Il quadro insediativo in età normanna è quello di una serie
di fortificazioni che sorgono nei siti chiave per il controllo delle popolazioni locali e della viabilità terrestre e marittima, in
gran parte già antropizzati in età altomedievale. È certamente
il caso del castello di Scalea, «…castrum quod Scalea
dicitur…», importante centro fortificato prima dell’arrivo dei
normanni (ZINZI 1999), punto strategico per il controllo dell’accesso verso l’interno ma anche per la viabilità marittima
(la presenza di un porto è segnalata da Idrisi); di quello di Cirella
Vetere, pure legato alla presenza di un importante approdo ricordato da Idrisi (BRESC, NEF 1999); di Amantea al confine
2. LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE: AMANTEA
E FIUMEFREDDO BRUZIO
2.1 Il castello di Amantea
I dati esposti di seguito (solo in forma parziale, la pubblicazione dei risultati della ricerca è in corso di stampa a cura di
G. Vannini, E. Donato e M. Nucciotti) costituiscono il risultato
di una prima campagna di indagini archeologiche nel castello
di Amantea, condotta con i metodi dell’archeologia “leggera”,
elevati, paesaggio, informatica, integrati a sistema (VANNINI
2000) che ha permesso di documentare la consistenza e l’articolazione del deposito archeologico e formulare una prima serie
di ipotesi riguardanti lo sviluppo dell’area del cassero, almeno
per quanto riguarda le emergenze conservate in elevato.
Il castello di Amantea (Fig. 2) sorge sulla sommità del
paese, sopra un pianoro ai piedi del quale scorre il torrente
Catocastro. All’interno di una prima cortina difensiva che,
poco conservata, cingeva l’intero pianoro, sull’angolo orientale, si trova il cassero protetto da un fossato e dallo strapiombo naturale della rocca. Sul lato ovest si trova invece,
isolata dal resto del complesso, la cd. torre a mare, pure compresa nella lettura archeologica.
La lettura stratigrafica sui prospetti dei trenta copri di fabbrica che compongono l’area del cassero, ha permesso di individuare sei principali fasi edilizie distinguibili anche per materiali e tecniche costruttive. Interessanti variazioni tra i tipi sono
caratterizzate, oltre che dalla messa in opera delle pietre, dall’utilizzo delle angolate in pietra squadrata (nella prima fase),
dall’impiego di materiali particolari (ad esempio la pietra lavica certamente di importazione) dalla presenza di buche pontaie a sezione circolare (nella seconda fase) nella presenza di
laterizi come inzeppature (nelle fasi più tarde).
In base ai dati stratigrafici, spesso confrontabili con uno
spoglio effettuato sulla documentazione scritta (per la cospicua mole di documentazione scritta sul castello di Amantea
si rimanda a SAVAGLIO 2002) è possibile ricostruire la cronologia delle principali fasi edilizie a partire dalla prima, con
ogni probabilità relativa all’incastellamento normanno, fino
all’inizio del XIX secolo.
La prima fase è caratterizzata dalla costruzione di un grande torrione quadrangolare forse collegato ad un muro di cinta. Individuata nei paramenti sud ed est del torrione, è caratterizzata da un tipo di muratura in pietre spaccate di medie e
piccole dimensioni legate con malta, disposte su corsi tendenzialmente orizzontali e paralleli con l’impiego di zeppature sia nei giunti che nei letti e presenta buche pontaie a
sezione quadrangolare; di questa muratura si conserva anche
l’angolata, realizzata con pietre squadrate, con le bozze disposte alternativamente per lunghezza e per larghezza.
A questa fase seguono diversi interventi, il più significativo dei quali riguarda una profonda trasformazione del castello, con la realizzazione di un complesso a pianta quadrangolare con torri quadrate agli spigoli. Le murature esaminate relative a questa fase sono costituite da pietre spaccate disposte in posa irregolare in bancate delimitate da corsi di
orizzontamento, ad intervalli regolari di circa 40 cm, con serie di buche pontaie a sezione circolare, e con abbondanti
resti di intonaco.
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La fase successiva è caratterizzata invece, oltre che da vari
interventi di modifica del precedente sistema difensivo (tamponature di feritoie e merlature) dalla costruzione di una torre subcircolare che probabilmente sostituisce una delle precedenti torri quadrate databile in età angioina, e che costituisce un elemento di grande rilievo nella sequenza cronologica: è infatti menzionata nelle fonti la data dell’inserimento nella muratura della
torre dello stemma signorile della casa D’Angiò, il 1304.
Un cambiamento radicale del castello dettato dalle nuove esigenze militari si data invece in età aragonese.
Le murature più tarde sono costituite da pietre spaccate di
varie dimensioni legate con malta, disposte a bancate con corsi
di orizzontamento realizzati con l’impiego di zeppe lamellari e
soprattutto di coppi frammentari di colore ocra e arancione chiaro,
con buche pontaie a sezione quadrangolare.
I corpi di fabbrica sono stati rilevati con l’impiego
dell’ortofotogrammetria digitale che in alcuni casi si è rivelato
uno strumento indispensabile non solo per la rappresentazione
ma soprattutto per l’analisi dei prospetti particolari (es. altezze
inaccessibili) come nel caso del muro nord del cassero dove il
rilievo fotogrammetrico ha contribuito all’identificazione della fase più antica caratterizzata da una serie di feritoie lunghe e
strette tamponate nelle fasi successive (Fig. 3).
2.2 Il Castello di Fiume Freddo Bruzio.
Il castello di Fiume Freddo (Fig. 4) sorge isolato dal centro
storico, sopra un terrazzo roccioso, in posizione dominante sulla
costa. Le notizie storiche sul castello di Fluminis Frigidi (forse
inizialmente noto come “Castelfreddo) sono piuttosto scarse.
La presenza di feudatari normanni è nota dalle fonti a partire
dall’inizio del XIII secolo legate alla fondazione della vicina
abbazia di Fonte Laurato (UGHELLI 1721, p. 453). L’aspetto attuale sarebbe da riferirsi ai lavori effettuati in età postmedievale
dalla famiglia d’Alarcon-Mendoza, marchesi della Valle
(BARILLARO 1972).
Dell’imponente struttura, in cattivo stato di conservazione,
è leggibile ancora l’intero perimetro costituito da un grande rettangolo con i lati corti a est e nord, del quale in elevato si conservano solo parte delle strutture dei lati nord-ovest (prospetto principale) e sud-ovest (torri e cinta muraria).
Vi si accede mediante un ponte in legno al posto del quale doveva trovarsi l’antico ponte levatoio, che conduce al
portale tardobarocco in pietra.
L’interno è caratterizzato da una sorta di corridoio, ai lati
del quale si trovavano i vari edifici, che conduce in un’area
aperta nella quale non si sono conservate strutture in elevato,
dove si apre l’imbocco di una cisterna. Sul lato nord-est non
rimangono che i resti di pochi muri che lasciano comunque
immaginare la disposizione dei vari ambienti.
Situazione migliore si trova invece sul lato opposto dove
si conserva in elevato buona parte dei muri portanti dell’ala
residenziale del complesso.
Questa parte del castello permette di avere un’idea dell’organizzazione dei piani superiori, ai quali si accedeva mediante una scala coperta da volte a botte inclinate, o da una
scala a chiocciola in pietra, in gran parte crollata, forse retaggio di una delle fasi medievali. Entrambe le scale comunicavano con il piano interrato e avevano l’accesso dal corridoio d’ingresso. La scala a chiocciola era racchiusa da una struttura in
muratura della quale si conservano poche tracce.
L’elevato era caratterizzato da due livelli, un primo piano,
che apparentemente sembra riprendere la planimetria degli
ambienti del piano terra, con varie stanze comunicanti tra loro
e caratterizzate da nicchie e camini vari, e un altro piano che
probabilmente era destinato ad ospitare ambienti di servizio.
I prospetti meglio conservati in elevato sono quelli che delimitavano gli ambienti che affacciavano sul prospetto principale. In particolare sul prospetto d’ingresso è possibile osservare
varie fasi edilizie. È interessante notare come l’andamento piuttosto regolare di questi ambienti del piano terra e dei piani superiori non trovi corrispondenza nel piano seminterrato, che probabilmente conserva la pianta di strutture più antiche.
La razionalità che contraddistingue gli ambienti suddetti
(stanze rettangolari di dimensioni simili, comunicanti tra loro,
con elementi architettonici uguali per forma e dimensioni) si
intuisce anche per la parte restante, peggio conservata, ed è
stata confermata dagli scavi, ma anche in questo caso il confronto tra la planimetria del piano superiore con gli ambienti
del piano interrato, tradisce la presenza delle fasi più antiche.
L’ala ovest termina con un edificio quadrangolare, destinato nell’ultima fase a funzioni residenziali che certamente
non aveva nelle sue fasi originarie.
Del lato corto est non rimane quasi nulla all’interno, anche se alcune strutture affioranti lasciano supporre un andamento simile a quello degli ambienti appena descritti. Il muro
perimetrale è invece conservato, anche se in parte interrato, e
collega la torre sud-ovest con i resti di un’altra torre sullo spigolo opposto. Nel punto di collegamento tra il muro e la torre
si segnala la presenza di muri a scarpa non meglio identificabili, forse parte del sistema difensivo del complesso.
Situazione diversa si presenta nell’ala nord, completamente distrutta, che non sembra interessata dalla presenza di
ambienti interrati. Dallo spigolo nord-ovest, dove si conservano (ad una quota più bassa rispetto al livello del piano attuale del castello) i resti di una torre quadrangolare, fino alla
torre nord-est, non si sono conservate che poche tracce del
muro di cinta, e il limite attuale è dato dallo sbalzo di quota
del banco roccioso. È interessante notare come su questo lato
si trovassero due accessi secondari, una sorta di postierle,
una delle quali tagliata nella roccia, l’altra, in pratica addossata alla torre nord-est, in muratura.
Sul lato nord, nonostante l’assenza di strutture in elevato,
è possibile supporre l’organizzazione dei vari ambienti grazie
a resti di muri, segni sulla roccia, tracce di aperture di collegamento o di pavimentazioni. Un dato interessante è quello della
presenza di alcune strutture che lasciano immaginare un andamento simile a quello degli ambienti del lato opposto, insieme
ad altre che invece seguono un andamento differente, e che
sono certamente pertinenti alle fasi più antiche.
Certamente, almeno nell’ultima fase, quest’ala del castello
sembra essere caratterizzata dalla presenza di ambienti di servizio. In un punto, ad esempio, si trovano i resti di un forno con
alcune strutture di non facile interpretazione, annerite dal fuoco.
In questo punto sono stati rinvenuti numerosi mattoni tra i quali
alcuni mattoni romani, e una grossa tegola (anch’essa di forma e
dimensioni estranee ai tipi postclassici) evidentemente reimpiegati come comodi piani di cottura.
2.2.a LO SCAVO
Lo scavo ha interessato parte dell’area sud-ovest del castello delimitata a ovest dal lungo muro perimetrale e, a nord,
da una serie di ambienti non interrati, dei quali è visibile il
piano pavimentale costituito da uno spesso battuto di calce
grossolana di colore biancastro. Questo piano, che compare
in gran parte del castello, è molto importante poiché appartiene all’ultima sistemazione (XVIII sec.) e copre diverse
strutture precedenti.
Sul lato nord-est invece l’area interessata dallo scavo è
compresa fino al limite dello spazio interno del castello che
apparentemente è privo di strutture, mentre a est si interrompe
con un brusco salto di quota, dove si trova un’altra serie di
ambienti, mal conservati e parzialmente interrati.
Al centro dell’area di scavo il crollo di alcune di queste
volte ha fatto sì che l’indagine comprendesse entrambi i livelli (primo piano e piano interrato). Lo scavo ha interessato
inoltre l’interno della torre quadrangolare sud-est, solo per il
piano terra poiché il piano interrato è invaso da puntelli di
legno a sostegno delle volte.
Nella torre (CF 4) all’inizio dei lavori non era visibile il
piano pavimentale, e l’interro raggiungeva uno spessore di circa 1 m. L’accesso avviene dal lato nord, attualmente mediante
una passerella in legno, e l’interno è costituito da un unico
ambiente rettangolare (UF 14), con aperture su tutti i lati. In
particolare sullo spigolo sud-ovest si trovano due porte tramite
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le quali si accedeva ad un terrazzino ricavato dal riempimento
della torre subcircolare sottostante che ormai aveva perduto la
sua funzione originaria. È interessante notare come la stessa
sorte sia toccata all’altra torre subcircolare conservata sullo
stesso lato. La sommità di entrambe le torri è caratterizzata da
una pavimentazione in pietra.
Lo scavo, con la rimozione di un unico grande strato di
riempimento costituito da terreno misto a crolli delle murature
soprastanti (con presenza di mattoni, frammenti di intonaco e
assolutamente privo di ceramica o altri materiali) ha permesso
di portare alla luce tutto il pavimento, sempre costituito dal
solito piano di malta, che si appoggia ai muri perimetrali lasciando un vuoto di qualche mm, e di recuperare una serie di
elementi architettonici provenienti dalle aperture (si tratta sempre di grossi blocchi ben squadrati e lavorati con semplici scanalature, relativi all’ultima sistemazione del castello).
Sul lato est è affiorato un camino, con canna fumaria
inglobata nella muratura, anch’esso simile agli altri presenti
all’interno del castello.
Sempre sullo stesso lato, a sinistra del camino, si trova
una piccola nicchia ricavata sfruttando una vecchia feritoia,
ancora visibile sul lato esterno dello stesso muro, testimonianza di una delle fasi precedenti.
Le pareti della torre sono ricoperte da uno spesso strato
di intonaco, e raramente, soprattutto nella parte più alta, è
visibile la muratura costituita da pietrame di medie e piccole
dimensioni, spaccate e poste in opera su corsi tendenzialmente orizzontali con numerose inzeppature in piccole pietre e frammenti di laterizi.
All’esterno della torre lo scavo ha interessato un’area
abbastanza ampia, con un interro a volte considerevole (a
volte oltre 3 m) caratterizzato, come nel caso precedente, da
terreno misto a crolli, talvolta consistenti, delle strutture superiori come volte, intere porzioni di muri, frammenti del
piano pavimentale superiore (spesso battuto di malta). Anche in questo caso non sono stati rinvenuti frammenti di ceramica o altri materiali d’uso comune.
Nel livello superiore lo scavo ha permesso di chiarire
meglio l’organizzazione dei vari ambienti, individuando quattro nuove stanze (UF 5, 6, 8, 9) di cui due parzialmente distrutte, divise da muri conservati per un’altezza massima di
2,50 m. Si tratta di ambienti pertinenti all’ultima sistemazione del castello, comunicanti tra loro mediante aperture strombate, e caratterizzati dalla presenza di caminetti incassati nei
muri e nicchie rettangolari pure inserite nella muratura, originariamente divise da mensole di legno delle quali rimangono i segni dei relativi alloggiamenti.
Nel punto di collegamento tra questi ambienti e la rampa
di scale che consentiva l’accesso al piano superiore è stata scoperta una latrina ricavata nella muratura, in corrispondenza di
un’altra visibile al piano superiore, entrambe collegate ad un
grosso tubo di scarico in cotto che evidentemente conduceva
ad un pozzo nero ricavato nel piano inferiore.
I muri sono tutti ricoperti da un intonaco lisciato che conserva in alcuni punti tracce di pittura. Su alcune delle pareti
scoperte si trovano disegni a carboncino. Uno di questi, raffigurante alcune navi, reca la data 1837.
Alcuni elementi permettono di supporre una serie di variazioni della destinazione d’uso dei vari ambienti, come una
cesura individuata nel muro divisorio tra UF 5 e 6 o il cambiamento di direzione della strombatura di uno degli ingressi tra
le stesse stanze.
Il pavimento in battuto di calce è ben conservato salvo in
un punto in cui sono crollate le volte sottostanti, e nell’ambiente che dà sul lato est.
Nello spazio tra questa serie di ambienti e la torre dello
spigolo sud-ovest non si è conservato il livello del piano terreno, a causa dei crolli delle volte, e in questo punto lo scavo è
sceso fino alla quota del pavimento del piano inferiore, con la
rimozione del solito strato di terra e macerie varie. Anche in
questo caso i materiali rinvenuti sono costituiti da elementi
architettonici sopravvissuti allo spoglio subito dal castello, o
pezzi reimpiegati dalle fasi più antiche.
Tra questi si segnalano due frammenti di un unico blocco
di arenaria, con un’iscrizione in caratteri medievali, un capitello a stampella non decorato in marmo bianco, un frammento con decorazione simile a quella del blocco con l’iscrizione.
Quest’ultimo (Fig. 5) costituito da due pezzi poi ricomposti, reimpiegati nelle murature della fase seicentesca, reca la
seguente iscrizione: FECIT MG (MAGISTER) PBR
(PRESBITER) ANT[ONIUS]. Il blocco, ancora in fase di studio, è un elemento importante poiché probabilmente fa riferimento ad un lavoro compiuto nel castello in età angioina (stilisticamente sembra databile al XIV/XV secolo) e costituisce
un documento unico nella calabria medievale. Non sono note
in Calabria per questo periodo analoghe iscrizioni in contesti
di edilizia pubblica o privata, mentre non mancano esempi, da
contesti sepolcrali gentilizi come nel caso del celebre “maestro di Mileto”. Nella stessa fascia tirrenica sono presenti importanti opere che attestano la presenza sul Tirreno di maestri
napoletani al servizio dei potenti feudatari angioini, come nel
caso del monumento di Ademaro Romano nella chiesa di S.
Nicola in Plateis a Scalea realizzato entro il 1344 (NEGRI
ARNOLDI 1983, per i pezzi del maestro di Mileto – antonium de
neapoli – si veda anche CAPUTO 2002).
Lo scavo del piano inferiore ha interessato un’area divisa in
tre parti che in apparenza presentava le stesse caratteristiche di
gran parte dell’ala inferiore ovest, con ambienti a pianta rettangolare, divisi in spazi stretti e lunghi da volte a botte poggiate su
pilastri centrali. In realtà lo svuotamento dei crolli ha permesso
di individuare una serie di elementi che sono indizi delle fasi più
antiche. In particolare uno dei pilastri centrali che sosteneva una
delle volte, ha inglobato un precedente pilastro ottagonale, mentre sul lato nord-est si trova un altro semipilastro rettangolare in
blocchi ben squadrati.
Inoltre nonostante la presenza dell’intonaco è stato possibile verificare come sul lato ovest i muri di sostegno delle
volte siano appoggiati al muro perimetrale, in alcuni casi
andando a chiudere una serie di feritoie.
Anche in questo caso i muri intonacati sono caratterizzati da disegni a carboncino raffiguranti animali e con date che
rientrano in genere nella prima metà del XIX secolo.
2.2.b CORPI DI FABBRICA E UNITÀ FUNZIONALI, L’ORGANIZZAZIONE
DEGLI AMBIENTI DEL CASTELLO
Nonostante l’ultima fase edilizia sia stata particolarmente pesante nei riguardi delle murature precedenti, cancellando soprattutto l’aspetto militare delle vecchie strutture, l’analisi delle murature superstiti permette alcune importanti considerazioni sulla successione delle varie fasi.
Dati interessanti sono ricavabili dall’osservazione dei rapporti macrostratigrafici tra i vari corpi di fabbrica, dall’analisi
stratigrafica vera e propria nei singoli prospetti, dalla differenza
dei materiali e delle tecniche edilizie (tipi di apparecchiatura
muraria, tipi di mattoni, tracce di finitura della pietra) nonché
dalle differenze nell’utilizzo dei vari elementi architettonici.
Naturalmente si ribadisce il carattere preliminare di queste osservazioni, suscettibili di futuri approfondimenti. In particolare in questa fase una lettura particolareggiata dei rapporti stratigrafici è stata effettuata solo nell’area interessata
dagli scavi, mentre per il resto del complesso è stata condotta
una ricognizione volta soprattutto al riconoscimento di singoli corpi di fabbrica e relativi tipi murari per la ricostruzione di una cronologia preliminare delle varie fasi del castello.
Uno dei problemi principali che caratterizzano questo
complesso è la difficoltà dell’individuazione di corpi di fabbrica ben definiti. Se lungo parte del perimetro è possibile
‘isolare’ tratti di cortina o torri (es. sul lato ovest) all’interno
non è facile districarsi tra i vari ambienti (soprattutto nel piano interrato) a causa della sovrapposizione, non sempre leggibile, delle varie fasi.
In totale si possono individuare almeno nove corpi di
fabbrica disposti lungo il perimetro (Fig. 6):
CF1 prospetto principale e ambienti retrostanti;
CF2 torre sub-circolare nord-ovest;
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Fig. 1 – I principali centri dell’alto Tirreno calabrese.
Fig. 2 – Castello di Amantea. Il cassero visto da est.
Fig. 3 – Castello di Amantea. Rilievo fotogrammetrico digitalizzato, del muro nord del torrione quadrangolare con relativa cortina, risalente alla fase normanna.
CF3 cortina ovest;
CF4 torre quadrangolare sud-ovest;
CF5 torre sub-circolare sud-ovest;
CF6 cortina est;
CF7 resti torre sud-est;
CF8 resti della cortina est;
CF9 resti della torre nord-est;
La situazione interna è più complicata, con la presenza
di quindici ambienti al piano terra, e nove nel piano interrato, non tutti riconducibili ad un corpo di fabbrica preciso.
2.2.c PERIODIZZAZIONE DELLE STRUTTURE MURARIE.
MATERIALI E TECNICHE COSTRUTTIVE
TIPOLOGIE DI
Le indagini archeologiche nel complesso del castello
di Fiume Freddo, pur con le dovute cautele, forniscono un
quadro interessante sulle fasi di questa struttura che potrà
essere approfondito in seguito con il proseguimento delle
indagini archeologiche (scavo, elevati, ricognizione) e con
opportune indagini d’archivio.
Nonostante il cattivo stato di conservazione è ancora
possibile la comprensione della stratificazione di massima
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Fig. 5a-b – Castello di Fiumefreddo Bruzio. Blocco frammentario con iscrizione.
Fig. 4 – Castello di Fiumefreddo Bruzio.Particolare
del prospetto principale. Sono visibili il tagli del fossato e il portale d’accesso, relativo alle fasi postmedievali.
Fig. 6 – Castello di Fiumefreddo Bruzio. Planimetria con localizzazione di corpi di fabbrica e unità funzionali.
dei vari corpi di fabbrica e delle strutture superstiti, con l’identificazione di quattro fasi principali.
In particolare si individua una prima fase (fase I) costituita
da un rettangolo con torri quadrangolari agli spigoli. Di queste
ne rimangono tre, da identificare nei resti di strutture alla base
della torre semicircolare sud-ovest, alla base della torre sudest, e, sullo stesso lato, con i resti di una torre all’estremità
sinistra del prospetto principale. La quarta, ormai scomparsa,
si trovava allo spigolo nord-ovest, sotto una delle torri sub-
circolari. Non ne rimane traccia anche se il basamento roccioso sotto la torre suddetta ha forma quadrangolare.
Il corpo di fabbrica più antico è dunque il muro di cinta
che difende il lato ovest (CF3). Di fatto il muro è visibile
solo all’interno, dove l’intonaco non permette il rilevamento della tecnica costruttiva, mentre l’esterno è completamente coperto da una sorta di raddoppio a scarpa, caratterizzato da una muratura in pietre (roccia locale) di medie e
piccole dimensioni, spaccate e poste in opera in maniera
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Fig. 7 – Castello di Fiumefreddo Bruzio. Campionatura dei principali tipi di apparecchiature murarie
Fig. 8 – Le principali fasi dell’incastellamento medievale nei castelli di Fiumefreddo, Cirella e Amantea.
irregolare, salvo piccoli tratti dove i corsi di pietre sembrano seguire un andamento tendenzialmente orizzontale (Fig.
7, Campione 1). Ampie porzioni di paramento di questo raddoppio sono restaurate in una fase successiva con una tecnica differente costituita da pietre (roccia locale) di grandi
e medie dimensioni, spaccate o sbozzate e poste in opera su
corsi tendenzialmente orizzontali, alternati a corsi di mattoni, laterizi frammentari (coppi e tegole) e zeppe in pietra.
Il limite tra questi restauri e la vecchia muratura è caratterizzato dalla presenza di grossi blocchi di arenaria che “incatenano” i due paramenti (Fig. 7, Campione 2).
Questo raddoppio ha causato il tamponamento della
parte esterna di una serie di feritoie visibili ancora dall’interno. In particolare le feritoie (se ne contano quattro) sono
tamponate dai pilastri laterali degli archi interni che sostengono le volte a botte. I pilastri sono più stretti dell’imboccatura interna delle feritoie che sono riemerse con il
degradarsi dell’intonaco.
Le due torri sub-circolari alle estremità del prospetto ovest
si legano al raddoppio del muro di cinta. Anche in questo
caso la costruzione di nuove strutture chiude vecchie aperture ormai inutili, come nel caso di una finestra tamponata nell’ambiente interrato della torre quadrangolare sud-est (UF
2). La muratura delle torri è uguale a quella del muro a scarpa.
La fase successiva (fase II) è caratterizzata quindi dalla
sostituzione delle torri quadrangolari con torri sub-circolari agli spigoli nord-ovest sud-ovest, con la costruzione
del muro a scarpa contro la cortina muraria che vede mutare il vecchio sistema difensivo.
La presenza di strutture precedenti la sistemazione settecentesca è confermata anche dalla presenza del pilastro
ottagonale inglobato nella muratura di uno dei pilastri centrali a sostegno delle volte. Questo pilastro, purtroppo mal
conservato, è formato da pietre non lavorate e inzeppate
con schegge di pietre e rari frammenti di laterizi. Conserva ancora tracce di intonaco.
Il sistema di copertura degli ambienti del piano interrato è sempre caratterizzato da volte in muratura. Le volte
non sono tutte uguali nei vari ambienti e le variazioni dei
tipi possono essere indizi della presenza di fasi edilizia differenti. In particolare nell’area di scavo la situazione è quella
analoga a buona parte dell’ala interrata ovest, dove ambienti
quadrangolari sono divisi in piccoli spazi da pilastri che
sostengono strette volte a botte. I pilastri si appoggiano al
muro perimetrale confermando la posteriorità di questo intervento relativo all’ultima fase edilizia del complesso.
Una interessante stratificazione è presente anche nella
torre quadrangolare dello spigolo sud-ovest. In particolare
è evidente il legame di questo corpo di fabbrica con il muro
di cinta anteriore al raddoppio a scarpa, anche se la sovrapposizione di varie fasi non ne permette una chiara lettura.
In particolare si nota come la costruzione della torre abbia
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occluso una finestra aperta sul lato ovest, mentre una feritoia, analoga a quelle situate lungo la cortina ovest, si trova
ancora sul lato sud-est, trasformata in nicchia nella fase settecentesca. L’elevato della torre appartiene in pratica quasi
interamente a quest’ultima fase, ma l’adattamento di una
struttura precedente si nota chiaramente nel raddoppio del
muro sul lato ovest, e nel tamponamento di una finestra sempre sullo stesso lato. Nella fase cinquecentesca, oltre alla
sistemazione interna (solaio, camino, nicchia, intonaco ecc.)
va attribuito il cantonale in pietre ben squadrate (Fig. 7,
Campione 4), analogo a quello che si conserva solo parzialmente nella torre CF 7.
Questa prima osservazione delle caratteristiche delle
murature del castello è interessante poiché individua già
alcuni possibili sviluppi per il proseguimento degli studi.
In particolare tra le esigenze primarie si segnala la necessità di un rilevo accurato che permetta di effettuare considerazioni più precise sulla planimetria. Ad esempio si potrebbe chiarire meglio la situazione di alcuni ambienti del
piano interrato caratterizzati da pilastri con gli angoli smussati, parzialmente inglobati dalle strutture precedenti e solo
parzialmente visibili (es. UF 18 e 21), o tamponamenti di
vecchie aperture (es. UF 22).
Altri sviluppi interessanti potranno venire dallo studio
dei laterizi, presenti in gran numero all’interno del castello.
Una prima ricognizione ha permesso di rilevare la presenza
di vari tipi relativi a utilizzi e fasi differenti, la cronologia
dei quali potrà essere definita solo in seguito.
Anche lo studio delle tracce di lavorazione e finitura
della pietra costituisce un aspetto della ricerca molto interessante. Già da questo lavoro è evidente un utilizzo di strumenti differenti in fasi differenti, anch’esso da approfondire in una fase successiva. In particolare si segnala come
una serie di elementi architettonici reimpiegati nelle murature dell’ultima fase edilizia siano lavorati con uno strumento (la martellina dentata) sconosciuto nelle ultime fasi
dove dominano altri tipi (es. l’ascettino).
Le trasformazioni successive (fasi III e IV), salvo una
serie di interventi poco leggibili quali la costruzione di bastioni difensivi sul lato sud-est, riguardano la sistemazione
ultima del castello, quando questo perde definitivamente il
suo carattere di fortezza militare.
L’abbandono del castello è facilmente databile al 1807,
quando Fiume Freddo subisce l’assalto delle truppe francesi di Giuseppe Bonaparte, comandate da generale Reynier.
Dopo questa data il castello non sarà più abitato. I disegni
sull’intonaco rinvenuti negli scavi testimoniano che trent’anni dopo la struttura è ancora in piedi (almeno in buona parte), e subisce frequentazioni sporadiche e lo spoglio sistematico di tutti gli elementi architettonici.
CONSIDERAZIONI FINALI
I risultati di queste ricerche soprattutto se posti a confronto sono estremamente interessanti poiché permettono
di individuare una serie di elementi comuni nelle varie
fasi edilizie dei siti incastellati in modo particolare per le
strutture e le relative trasformazioni comprese tra l’età normanna e quella angioina (Fig. 8).
Di particolare interesse risultano le problematiche legate alla conquista normanna, attraverso l’individuazione
della fase di incastellamento caratterizzata dalla presenza
del donjon con i resti di una cinta muraria.
Ad Amantea un torrione quadrangolare, forse da mettere in relazione ad un tratto di cortina, rappresenta il nucleo
originario, situazione analoga a quella di Cirella Vetere, dove
la lettura stratigrafica degli elevati ha permesso di collocare la torre quadrangolare come primo corpo di fabbrica sorto nell’area del cassero (PERRONE 2000). Lo stesso sembra
accadere nel castello di Scalea dove alcune ricognizioni preliminari condotte da chi scrive permettono attribuire la costruzione del torrione situato sulla sommità del castello, alla
fase della conquista normanna, verosimilmente parte di quella base scelta dal conte Ruggero per una serie di scorrerie
sul territorio (PONTIERI 1964).
Per quanto riguarda il castello di Fiumefreddo la breve
campagna di scavo, condizionata dalle esigenze del cantiere di restauro, non ha permesso di verificare la reale consistenza del deposito archeologico e solo future e più approfondite indagini potranno verificare la presenza di fasi anteriori a quella del XIII. L’invito rivolto dal feudatario Simone de Mamistra a Gioacchino da Fiore «…in castro nostro Fluminis Frigidi…» (UGHELLI 1721) rimane per ora
l’unico indizio della presenza di una fortificazione normanna.
Il quadro che emerge sembra quindi in accordo con
quanto accade in altri contesti della regione, come Scribla
(NOYÉ 1979), Squillace (AA.VV. 1993), Nicastro (DONATO
2001; ID. 2002), sia per quanto riguarda la tipologia delle
strutture (il donjon protetto da una cinta che segue l’andamento del terreno) che per quanto riguarda le tecniche costruttive. La muratura in pietre di medie e piccole dimensioni, spaccate o sbozzate su corsi tendenzialmente orizzontali e paralleli, rilevata nei siti dell’alto Tirreno, è piuttosto ricorrente nei contesti dell’architettura militare normanna in Calabria, a volte con elementi particolari quali
l’assenza di laterizi (presenti invece in importanti contesti
dell’architettura religiosa normanna, cfr. DONATO 2001) o
l’utilizzo di blocchi squadrati nelle angolate.
Così come accade per la fase normanna, anche l’analisi
delle fasi successive è caratterizzata dalla presenza di situazioni analoghe nei vari castelli dell’alto Tirreno, come
nel caso della fase sveva, in tutti i casi rappresentata da un
castello a pianta quadrangolare (la pianta si adatta comunque alla morfologia del terreno) con torri quadrate agli spigoli nella quale sembra essere ricorrente un tipo di apparecchiatura muraria più regolare con presenza di elementi
architettonici lavorati con la martellina dentata.
Questa fase è ben documentata in molti castelli dell’alto Tirreno da Scalea, a Fiumefreddo (dove costituisce
la prima delle fasi per ora individuata in elevato), a Cirella
(dove rimane solo una delle torri sul lato sud-est), fino ad
Amantea dove invece questa fase, pur con tutte le trasformazioni successive, corrisponde all’attuale perimetro del
cassero. Una prima ricognizione sul castello di Bonifati
ha permesso di ipotizzare che l’impianto attuale, pure caratterizzato dalla presenza delle torri quadrangolari, seppure nella scarsa leggibilità dei resti, possa appartenere
alla medesima fase. I campioni di muratura delle torri, simili a quelli di analoghe strutture, ad esempio quelle del
castello di Fiumefreddo, sembrerebbero confermare questa ipotesi.
L’uniformità della tipologia insediativa insieme a
quella che si rileva nella tecnica costruttiva (apparecchiatura, materiali, strumenti di lavorazione ecc.) costituisce
un importante termine di paragone per l’edilizia di età
sveva in Calabria, finora poco nota se non per i centri
più importanti. In particolare alcuni confronti con importanti edifici federiciani della regione (es. Nicastro,
Vibo Valentia, Cosenza) permettono di stabilire la presenza di differenti tecniche nello stesso periodo, con la
presenza di strutture e tecniche particolari, anche diverse tra loro, dovute evidentemente all’introduzione di
maestranze esterne, nei castelli più importanti (quelli
sotto il diretto controllo della corona). Nel castello di
Nicastro, ad esempio, uno dei centri strategici dell’incastellamento calabrese in età sveva, una serie di scavi e
lettura degli elevati hanno permesso di ricostruire l’importante fase federiciana caratterizzata dalla realizzazione
di grandi strutture tra le quali l’imponente mastio poligonale, caratterizzate da una muratura in blocchi di pietra sbozzata, di dimensioni notevoli, attribuibile all’opera di maestranze esterne al seguito della corte sveva (DONATO, R AIMONDO 2001, I D. 2002). Murature diverse, ma
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sempre di tipo differente da quelle rilevate nell’area dell’alto Tirreno, si trovano nei castelli di Cosenza e di Vibo
Valentia (MARTORANO 1996), dove possono essere facilmente ricondotte alla presenza di maestranze esterne che
introducono nuove tecniche (es. la muratura in blocchi
squadrati) mentre modelli edilizi ‘standardizzati’ sembrano contrassegnare aree, come quella dell’alto Tirreno
appunto, dove i feudatari locali si avvalevano di modelli
e maestranze comuni, forse in buona parte locali.
Assai importanti sono pure gli aspetti riferibili all’insediamento in età angioina, quando una muratura di tipo più
irregolare caratterizza le nuove torri semicircolari abbandonando gli schemi precedenti.
A Scalea una grande torre semicircolare sporgente dalla
cortina si realizza sul lato ovest, nei pressi del mastio normanno, a Cirella con una analoga costruzione viene invece
protetto lo spigolo nord-est, a Fiumefreddo si sostituiscono
addirittura due delle quattro torri della fase precedente, mentre ad Amantea sulla nuova torre si pone lo stemma della
casa D’Angiò a dimostrazione del carattere non solo difensivo, ma forse residenziale o di rappresentanza di queste strutture.
Per questa fase il panorama delle fonti si arricchisce, e
i dati ricavabili dal documento archeologico, già meglio conservato rispetto alle fasi più antiche, possono essere confrontati con quelli di altri tipi di fonti (documenti, epigrafi
ecc.). Un esempio pratico è costituito dal blocco di Fiume
Freddo Bruzio, presentato in questa sede, prima attestazione in Calabria del lavoro di maestranze specializzate al servizio della nobiltà angioina, al di fuori dei contesti dell’architettura funeraria.
NOTA
* Lo studio dell’incastellamento medievale dell’alto Tirreno calabrese tra XII e XIV secolo è il tema di ricerca del
dottorato che lo scrivente sta svolgendo presso l’Università
degli studi dell’Aquila. Le indagini archeologiche sul castello
di Amantea sono state condotte da un gruppo di lavoro diretto
dal Prof. Guido Vannini (condirezione scientifica Cristina Tonghini, lettura degli elevati Eugenio Donato e Michele Nucciotti, archeoinformatica Enrico Reali); Nel castello di Fiumefreddo
Bruzio scavo e lettura degli elevati sono stati eseguiti dallo
scrivente per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. A Cirella Vetere uno studio preliminare sulla
stratigrafia nell’area del cassero è stata condotta da Francesca
Perrone nell’ambito di una tesi di laurea discussa nell’anno
accademico 1999/2000 presso l’Università della Calabria, relatore Prof. Giuseppe Roma (PERRONE 2000).
La documentazione prodotta in questi lavori, sia quella grafica e fotografica, sia i vari tipi di schede, viene informatizzata con
il sistema di data-base PETRAdata, basato su MS Access 1997 e
MS Access 2000, messo a punto dal gruppo di lavoro dell’Università di Firenze (CRESCIOLI et al. 2000).
Si ringrazia il prof. Francesco La Torre ispettore archeologo
della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria all’epoca degli scavi di Fiume Freddo, e l’attuale ispettore
Dott. Luigi La Rocca.
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