d207 - Ecclesia Mater

Transcript

d207 - Ecclesia Mater
D 207 - EPISTEMOLOGIA DELL’IRC
E PASTORALE SCOLASTICA
La presente dispensa è solo un aiuto allo studio per gli studenti, come sussidio e occasione
integrazione delle lezioni in aula. Trattandosi soprattutto di una raccolta di riflessioni e di
citazioni, è importante comprendere perché sono citati questi o quei testi, e
l’interpretazione che se ne fornisce! Ognuno dei 12 capitoli è così articolato:
1. I punti essenziali di ogni argomento sono rapidamente presentati in forma estremamente schematica in carattere piuttosto grande.
2. Segue, di norma, la bibliografia di riferimento, disposta in un riquadro apposito. Si
tratta di suggerimenti bibliografici, la cui consultazione è raccomandata, ma non obbligatoria.
3. I testi indicati nella bibliografia sono poi riportati nella presente dispensa in forma integrale o – più spesso – citandone alcuni passaggi chiave.
4. Occasionalmente i testi citati in bibliografia, essendo piuttosto lunghi, non sono riportati integralmente, ma alcuni sono da conoscere nella loro integrità: in tal caso il testo
viene citato con l’indicazione [DOC…], il cui file è possibile scaricare dal sito internet
dell’«Ecclesia Mater», insieme alla presente dispensa. I documenti sono:
[DOC 01 – CEI 1990]
[DOC 02 – UNESU 2006]
[DOC 03 – CITTCOST 2009]
[DOC 04 – BASSO 2006]
[DOC 05 – BUTTURINI 2004]
[DOC 06 – CEI 1991]
[DOC 07 – CASO ITALIA]
[DOC 08 –CONFRONTI 2010]
[DOC 09 – RSC 2006]
[DOC 10 – DE_LUCA 2006]
[DOC 11 – BAUSOLA 1988]
[DOC 12 – RUINI 2005]
[DOC 13 – CEI 2010]
CEI – UFFICIO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ,
Fare pastorale della scuola oggi in Italia (1990).
Tavola rotonda L’impegno associato dei laici nella scuola e nella comunità cristiana: corresponsabilità, reciprocità, comunione per la missione educativa, in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la
scuola e l’università 1/2006, pp. 44-67.
Dibattito su “Cittadinanza e costituzione” (novembre 2009)
A. BASSO, La scuola cattolica nella chiesa particolare. Il servizio
dell’ufficio diocesano di pastorale della scuola in Notiziario dell’Ufficio
Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università 2/2006, pp. 88-102.
E. BUTTURINI, Profilo storico dell’IRC in Italia, in Z. TRENTI, Manuale
dell’insegnante di religione, Leumann (Torino) 2004, pp. 13-28.
CEI, Insegnare religione cattolica oggi (1991).
E. GENRE – F. PAJER, Il caso Italia, in ID, L’Unione europea e la sfida
delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola,
Torino 2005, pp. 121-160.
G. LIGABUE – E. GENRE – F. MORLACCHI, Un confronto sull’ora di religione a scuola, in «Confronti», Febbraio 2010, pp. 18-22.
Religione Scuola Città 1/2006, pp. 1-45 (diversi contributi).
M. DE LUCA, IR o IRC? Un po’ di tutto o un po’ per il tutto, in Religione
Scuola Città 2/2006, pp. 27-33.
A. BAUSOLA, L’IRC secondo i nuovi programmi come fattore di promozione della cultura religiosa nella scuola e nella società, in CEI, Cultura
e formazione nell’insegnamento della religione cattolica, Brescia 1988,
pp. 34-44.
CAMILLO RUINI, Scuola e Chiesa a Roma: una necessaria collaborazione, una possibile integrazione, in Religione Scuola Città 1/2005, pp. 5662.
CEI, Educare alla Vita buona del Vangelo, Orientamenti pastorali
dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
1.
Premessa: le principali attuazioni della pastorale della
scuola
La Chiesa non può non occuparsi di educazione, perché «ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale» (Gravissimum Educationis, Proemio)
La Chiesa si interessa all’educazione della persona anche in vista della comunicazione della
fede (“se non c’è l’uomo, non ci può essere il cristiano”). Educare significa consegnare alle
nuove generazioni una visione del mondo unitaria e sensata 1, cioè vivere quel dinamismo
che siamo soliti chiamare tradizione. La trasmissione della fede – che costituisce un impegno essenziale della comunità cristiana – è solo “un caso particolare” del meccanismo di
tradizione: se la generazione degli adulti non sa più educare, cioè non sa trasmettere la
propria cultura, non saprà trasmettere nemmeno la propria fede.
Papa Benedetto XVI, sollecitato dalla Diocesi di Roma ad intervenire sull’educazione alla
fede, ha dato un colpo d’ala alla riflessione comune sull’educazione, affermando che non è
pensabile un’efficace educazione alla fede se il dinamismo della comunicazione intergenerazionale – cioè l’educazione in quanto tale – si blocca o non funziona più. Significativi i
suoi interventi ai Convegni Diocesani di Roma 2005-2007 (testi riportati più avanti), in
particolare quello del 2007, in cui per la prima volta si parla di «emergenza educativa». Il
suo apporto alla riflessione sull’educazione è stato decisivo; l’attenzione di papa Francesco
per l’educazione fa pensare che il tema non sarà trascurato neppure in questo pontificato.
Le principali attuazioni della pastorale della scuola sono:
• la riflessione ecclesiale sull’educazione (in particolare quella scolastica);
• il contributo dei cristiani – singoli e associati – al concreto “fare scuola”;
• l’animazione cristiana dell’ambiente;
• l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC);
• la scuola cattolica.
È possibile idealmente immaginare l’impegno della chiesa nella scuola con tre cerchi
concentrici:
a) la pastorale della scuola in genere: l’impegno comune di tutti i cattolici che operano in tutte le scuole, al fine di
animare in senso cristiano l’ambiente scolastico mediante
la propria testimonianza;
b) l’IRC: un insegnamento specifico sulla fede cristiana, con
insegnanti specializzati, presenti in tutte le scuole;
c) la scuola cattolica: il cuore della pastorale della scuola,
che mira non più all’animazione cristiana dell’ambiente
scolastico, ma all’edificazione di un ambiente educativo
specificamente orientato in senso cristiano.
Fig. 1 – I "tre cerchi" della
pastorale della scuola
I seguenti documenti forniscono l’impianto generale.
CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Gravissimum Educationis (1965)
CEI – UFFICIO NAZIONALE PER L’EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ,
Fare pastorale della scuola oggi in Italia (1990) [DOC 1 – CEI 1990]
Documento essenziale che riassume l’impianto complessivo della pastorale della scuola nel contesto italiano.
1
«L’educazione è introduzione alla realtà totale»: è l’assioma da cui prende le mosse don Luigi Giussani ne Il rischio
educativo, Rizzoli, Milano 2005, citando il famoso liturgista J.A. JUNGMANN sj (Christus als Mittelpunkt religiöser Erziehung, Freiburg i.B. 1939, 20: «eine Einführung in die Gesamtwirklichkeit»).
–2–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
BENEDETTO XVI, Discorso in apertura del Convegno della Diocesi di Roma sul tema: “Gesù è il Signore.
Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza” – 11 giugno 2007
BENEDETTO XVI, Lettera sul compito urgente dell’educazione alla Diocesi di Roma, 21 gennaio 2008
Card. AGOSTINO VALLINI, Lettera «Educare con speranza», 21 gennaio 2009
COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, La sfida educativa. Rapporto-proposta sull’educazione, Laterza, Roma-Bari 2009 (spec. pp 3-5 e 49-71).
CEI, Educare alla Vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio
2010-2020
Il ruolo di papa Benedetto XVI nel segnalare la crisi educativa e formulare proposte operative è stato decisivo; la CEI ha raccolto la sfida in molte iniziative del «Progetto culturale orientato in senso cristiano» promosso dal Card. Camillo Ruini. Ma anche papa Francesco si è intensamente occupato di educazione, già
quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires, in particolare (dato il contesto argentino) incontrando ogni
anno i responsabili delle scuole cattoliche. Per conoscere il ricco pensiero di papa Francesco sull’educazione:
J. M. BERGOGLIO – PAPA FRANCESCO, Educare – I. Nel cuore dell’uomo. Utopia e impegno; II. Scegliere la
vita. Proposte per tempi difficili; III. Disciplina e passione. Le sfide di oggi per chi deve educare, tre voll.
Bompiani, Milano 2013; IDEM, La bellezza educherà il mondo, Emi, Bologna 2014.
FRANCESCO, Discorso agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e Albania, 7 giugno 2013
da: CONCILIO VATICANO II, Gravissimum Educationis (1965)
Proemio. …Da parte sua la santa madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal suo divin
Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo,
ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso ed allo sviluppo della educazione. Per questo il sacro Sinodo dichiara alcuni principi fondamentali intorno all’educazione cristiana, soprattutto nelle scuole.
Il diritto di ogni uomo all’educazione
1. Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il
diritto inalienabile ad una educazione, che risponda alla loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene
dei vari gruppi di cui l’uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere.
Il sacro Sinodo dichiara che fanciulli e giovani hanno diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all’amore
di Dio. Perciò chiede e raccomanda a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di fare in modo
che mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutti i settori dell’educazione, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici
dell’educazione e dell’istruzione a tutti, nel mondo intero
L’educazione cristiana
2. Tutti i cristiani, in quanto rigenerati nell’acqua e nello Spirito Santo, son divenuti una nuova creatura,
quindi sono di nome e di fatto figli di Dio, e hanno diritto a un’educazione cristiana. Essa non mira solo ad
assicurare quella maturità propria dell’umana persona, di cui si è ora parlato, ma tende soprattutto a far si che
i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto; imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità […]. Pertanto questo santo Sinodo ricorda ai pastori di anime il dovere gravissimo di provvedere a che tutti i fedeli
ricevano questa educazione cristiana, specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa.
3. I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno
pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita […].
Il compito di impartire l’educazione, che spetta primariamente alla famiglia, ha bisogno degli aiuti di tutta la società. Perciò oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, determinati diritti e doveri spettano alla società civile: […] difendere i doveri e di diritti dei genitori e
–3–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto; in base al principio di sussidiarietà, là dove
manchi l’iniziativa dei genitori e delle altre società, svolgere l’opera educativa rispettando – s’intende – i desideri dei genitori [«attentis quidem parentum votis»]… 2
Infine, ad un titolo tutto speciale, il dovere di educare spetta alla Chiesa: non solo perché essa va riconosciuta anche come società umana capace di impartire l’educazione, ma soprattutto perché essa ha il compito
di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza e di comunicare ai credenti la vita di Cristo […].
La scuola
5. Tra tutti gli strumenti educativi un’importanza particolare riveste la scuola, che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca […].
6. I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di
una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della
libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza.
D’altra parte, tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare in modo
conveniente alla cultura e si preparino adeguatamente all’esercizio dei doveri e dei diritti civili. Sempre lo
Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla salute degli alunni ed in genere promuovere
tutto l’ordinamento scolastico tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni
forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e
alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché al pluralismo che oggi esiste in
moltissime società.3
La scuola non cattolica
7. La Chiesa inoltre, consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente l’educazione morale e
religiosa di tutti i suoi figli, deve rendersi presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi
suoi figli che vengono educati nelle scuole non cattoliche. Essa assicura questa presenza sia attraverso la testimonianza della vita data dai loro maestri e superiori, sia attraverso l’azione apostolica dei condiscepoli, sia
soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici che insegnano loro la dottrina della salvezza, con
metodo adeguato all’età ed alle altre circostanze, ed offrono loro l’aiuto spirituale per mezzo di iniziative opportune secondo le condizioni di tempo e di luogo.
Essa rammenta poi il grave dovere che incombe ai genitori di tutto predisporre o anche di esigere, perché
i loro figli possano usufruire di quegli aiuti ed in armonia con la formazione profana progrediscano in quella
cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro
figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie.
La scuola cattolica
8. La presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera particolare nella scuola cattolica. Al
pari delle altre scuole, questa persegue le finalità culturali proprie della scuola e la formazione umana dei
giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello
spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità
crescano insieme secondo quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo, e di coordinare infine l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede. […]
Pertanto questo sacrosanto sinodo ribadisce di nuovo il diritto della chiesa a fondare liberamente e a dirigere scuole di qualsiasi ordine e grado, già dichiarato in tanti documenti del magistero [ad es. Pio XI, Divini Illius Magistri (1929)], ricordando che l’esercizio di tale diritto contribuisce anche alla tutela della liber2
Il primato dei genitori nella scelta dell’educazione da impartire alla prole è uno dei nodi essenziali della dottrina cattolica sull’educazione, nonché un baluardo contro ogni dottrina dello “stato etico” che provvede alla formazione dei propri sudditi, formandone la coscienza sulla base della propria ideologia. L’educazione cristiana è educazione alla libertà.
3
Il Concilio afferma in pratica che il rifiuto di erogare adeguati finanziamenti statali alle scuole cattoliche contraddice il
pluralismo culturale (oggi ancor più accentuato di cinquanta anni fa) e rischia di produrre un illegittimo monopolio della
cultura da parte dello Stato. Cfr più avanti il capitolo della dispensa sulla scuola cattolica.
–4–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
tà di coscienza e dei diritti dei genitori, come pure allo stesso progresso culturale. Gli insegnanti ricordino
che dipende soprattutto da loro che la scuola cattolica riesca a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative. […]
Per un approfondimento sulla dottrina del Concilio Vaticano II sull’educazione, vedi: F. CASELLA, Punti
nodali della riflessione pedagogica dalla Divini Illius Magistri alla Gravissumum educationis, in: Orientamenti pedagogici 54 (2007) vol. 2, pp. 293-304; A. V. ZANI, Il cammino della Chiesa dalla Gravissimum
educationis a oggi, ivi pp. 203-225. L’intero fascicolo della rivista presenta gli atti di un seminario di studio
tenutosi presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione della UPS (Roma) a quarant’anni dalla Gravissimum
educationis (ottobre 2005). L’innovazione maggiore di Gravissimum Educationis [1965] rispetto a Divini Illius Magistri [1929] è nella definizione del ruolo delle istituzioni preposte all’educazione: nel 1929 prima
veniva la Chiesa, poi seguivano la famiglia e infine lo Stato; nel 1965 l’ordine cambia: prima la famiglia, poi
la società civile e infine la Chiesa (cfr p. 206). Il contributo di F. Casella è corredato da una ricca bibliografia
sulla storia della scuola in Italia.
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma – giugno 2005
«La famiglia e la Chiesa […] sono chiamate alla più stretta collaborazione per quel compito fondamentale che è costituito, inseparabilmente, dalla formazione della persona e dalla trasmissione della fede. Sappiamo bene che per un’autentica opera educativa non basta una teoria giusta o una dottrina da comunicare. C’è
bisogno di qualcosa di molto più grande e umano: di quella vicinanza, quotidianamente vissuta, che è propria
dell’amore […]. Il grande Patrono degli educatori, San Giovanni Bosco, ricordava ai suoi figli spirituali che
“l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone” (Epistolario, 4,209) […] Il rapporto educativo
è per sua natura una cosa delicata: chiama in causa infatti la libertà dell’altro che, per quanto dolcemente,
viene pur sempre provocata a una decisione. Né i genitori, né i sacerdoti o i catechisti, né gli altri educatori
possono sostituirsi alla libertà del fanciullo, del ragazzo o del giovane a cui si rivolgono. E specialmente la
proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Oggi un ostacolo
particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa
l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è
infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità
del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune».
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma – giugno 2006
«Educare le nuove generazioni alla fede è un compito […] oggi per vari aspetti particolarmente difficile,
ma proprio per questo ancora più importante e quanto mai urgente». In tutta l’opera educativa, nella formazione dell’uomo e del cristiano, non dobbiamo dunque, per paura o per imbarazzo, lasciare da parte la grande
questione dell’amore: se lo facessimo presenteremmo un cristianesimo disincarnato, che non può interessare
seriamente il giovane che si apre alla vita. Dobbiamo anche, però, introdurre alla dimensione integrale
dell’amore cristiano, dove amore per Dio e amore per l’uomo sono indissolubilmente uniti e dove l’amore
del prossimo è un impegno quanto mai concreto. Il cristiano non si accontenta di parole, e nemmeno di ideologie ingannatrici, ma va incontro alle necessità del fratello mettendo in gioco davvero se stesso, senza accontentarsi di qualche sporadica buona azione. Proporre ai ragazzi e ai giovani esperienze pratiche di servizio al prossimo più bisognoso fa dunque parte di un’autentica e piena educazione alla fede. Insieme al bisogno di amare, il desiderio della verità appartiene alla natura stessa dell’uomo. Perciò, nell’educazione delle
nuove generazioni, la questione della verità non può certo essere evitata: deve anzi occupare uno spazio centrale. Ponendo la domanda intorno alla verità allarghiamo infatti l’orizzonte della nostra razionalità, iniziamo a liberare la ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera
razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. E proprio qui avviene l’incontro
della ragione con la fede: nella fede accogliamo infatti il dono che Dio fa di se stesso rivelandosi a noi, creature fatte a sua immagine; accogliamo e accettiamo quella Verità che la nostra mente non può comprendere
fino in fondo e non può possedere, ma che proprio per questo dilata l’orizzonte della nostra conoscenza e ci
permette di giungere al Mistero in cui siamo immersi e di ritrovare in Dio il senso definitivo della nostra esistenza».
–5–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno di Verona – ottobre 2006
In concreto, perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da
una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona. Occorre preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità
di amare. E per questo è necessario il ricorso anche all’aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali.
Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere
qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare
consistenza e significato alla stessa libertà. Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione
vengono i nostri “no” a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla
riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi “no” sono piuttosto
dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato da Dio. Voglio esprimere qui tutto il
mio apprezzamento per il grande lavoro formativo ed educativo che le singole Chiese non si stancano di
svolgere in Italia, per la loro attenzione pastorale alle nuove generazioni e alle famiglie: grazie per questa attenzione! Tra le molteplici forme di questo impegno non posso non ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi confronti sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano ritardi
dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l’attività.
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma sul tema: «Gesù è il
Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza» – 11 giugno 2007
L’esperienza quotidiana ci dice – e lo sappiamo tutti – che educare alla fede proprio oggi non è
un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si
parla perciò di una grande “emergenza educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere
alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia
la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi. Possiamo aggiungere che si tratta di un’emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo - il relativismo è diventato una sorta di dogma -, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce
per dubitare della bontà della vita – è bene essere uomo? è bene vivere? - e della validità dei rapporti e degli
impegni che costituiscono la vita. Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza, sia come persone sia come comunità? Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il
desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere.
Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non
comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio così non
offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei
loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita.
Ma questa situazione evidentemente non soddisfa, non può soddisfare, perché lascia da parte lo scopo
essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di
dare il proprio contributo al bene della comunità. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione
autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e
spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del
degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Italia come in molte altre nazioni, perché
vede messe in dubbio dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza. In un simile contesto
l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più
che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la
affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé” che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà.
BENEDETTO XVI, Lettera sull’educazione – 21 gennaio 2008
Cari fedeli di Roma, ho pensato di rivolgermi a voi con questa lettera per parlarvi di un problema che voi
stessi sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si stanno impegnando: il problema
–6–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
dell’educazione. Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini,
adolescenti e giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città. Non possiamo
dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella
vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale.
Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una
grande "emergenza educativa", confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi
per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli
che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una "frattura fra le generazioni", che certamente esiste e pesa,
ma che è l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori.
Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? È forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che
portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima
analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita.
Cari fratelli e sorelle di Roma, a questo punto vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte
queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di
quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna. A
differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a
quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile
possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato
non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta,
scelta personale.
Quando però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze essenziali, il bisogno di quei
valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in concreto, aumenta oggi la domanda di un’educazione
che sia davvero tale. La chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la
chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la società
nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo gli
stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Chi crede in Gesù
Cristo ha poi un ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il
suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una
nuova possibilità di bene.
Cari fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie riflessioni, può essere utile individuare alcune
esigenze comuni di un’autentica educazione. Essa ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia
che nascono dall’amore: penso a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o
almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa
di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore.
Già in un piccolo bambino c’è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue
continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità,
soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita.
Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme.
Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto
equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non
mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben
riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi
–7–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere
di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano.
L’educazione non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile l’esercizio dell’autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria
vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della
verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
Carissimi fedeli di Roma, da queste semplici considerazioni emerge come nell’educazione sia decisivo il
senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore, certamente, ma anche, e in misura che cresce con l’età,
responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. È responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per
primo.
La responsabilità è in primo luogo personale, ma c’è anche una responsabilità che condividiamo insieme,
come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana e, se siamo credenti,
come figli di un unico Dio e membri della Chiesa. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli orientamenti
complessivi della società in cui viviamo, e l’immagine che essa dà di se stessa attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande influsso sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche
per il male. La società però non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme, con gli orientamenti,
le regole e i rappresentanti che ci diamo, sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C’è bisogno dunque del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale, perché la società, a
cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente più favorevole all’educazione.
Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana: anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la
nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini "senza speranza e senza Dio in questo mondo", come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef
2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita.
Non posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la nostra speranza. Solo
Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo
la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La
speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci
isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore. Vi saluto
con affetto e vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, mentre a tutti invio la mia Benedizione.
AGOSTINO Card. VALLINI, Lettera «Educare con speranza» – 21 gennaio 2009
Carissime Educatrici, Carissimi Educatori !
Esattamente un anno fa il Santo Padre Benedetto XVI ha indirizzato una Lettera alla diocesi e alla città
di Roma sul compito urgente dell’educazione. In quell’occasione il Papa ha descritto lucidamente l’attuale
“emergenza educativa” ed ha rivolto un chiaro appello a tutti gli uomini di buona volontà: «C’è bisogno del
contributo di ognuno… perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente
più favorevole all’educazione». Mi sembra opportuno riprendere l’autorevole invito del nostro Vescovo e fare tesoro delle Sue parole.
La consapevolezza che un’efficace azione educativa può realizzarsi solo in modo collegiale, è ormai pacificamente acquisita. Solo lavorando insieme, “in rete”, come oggi si dice, cioè “in comunione”, possiamo
trasmettere alle nuove generazioni la sapienza necessaria per affrontare responsabilmente e con passione la
vita.
Tutti corresponsabili
Mi rivolgo, perciò, a tutti gli educatori scolastici: dirigenti, personale docente e non docente. A tutti e a
ciascuno di voi vorrei dire di non dimenticare mai che educare è soprattutto un impegno d’amore e, come
ogni vero impegno, costa. «Ogni educatore – ci ha ricordato il Papa – sa che per educare deve dare qualcosa
di se stesso». Nell’impegno educativo vissuto con piena dedizione l’adulto educatore è chiamato a dare il
meglio di sé e ad offrirlo alle nuove generazioni, affinché si aprano alla verità, alla bontà e alla bellezza.
«L’educazione è cosa del cuore», diceva don Bosco. Questa è la prima missione di ogni educatore e insieme
la migliore ricompensa di ogni sua fatica.
–8–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
So bene che vi spendete nel mondo della scuola con straordinaria dedizione e competenza, sostenuti dalla convinzione profonda e vissuta di essere tutti accomunati almeno da due valori: il rispetto per la persona
umana e la fiducia nel futuro. Sì, perché senza l’intima convinzione che ogni singolo essere umano è in se
stesso un valore inestimabile, in quanto persona, e che è possibile sperare in un futuro migliore, cercando di
costruirlo, nessuno investirebbe la propria vita nell’impegno educativo. Non ignoro neppure le problematiche
complesse che siete chiamati ad affrontare quotidianamente, riguardanti sia il mondo affascinante e delicato
dei ragazzi e dei giovani che quelle legate all’organizzazione scolastica, che vi colloca in un contesto di vita
personale e professionale impegnativo, stimolante, ma anche oneroso. A tutti voi va la mia stima e la mia
ammirazione.
Cari amici, mi permetto di suggerirvi di essere perseveranti, nonostante tutto, sostenuti dalla rettitudine
della vostra coscienza personale che vi chiede di vivere appieno la responsabilità educativa, puntando in alto
e allargando gli orizzonti.
Mai senza la famiglia
Quest’altissima missione, però – ben lo sapete – non può fare a meno della collaborazione delle famiglie.
Non possiamo dimenticare che i primi educatori sono e saranno sempre i genitori; pertanto, adoperatevi costantemente al dialogo con le mamme e i papà dei vostri alunni. Se, in qualche modo, i bambini e i ragazzi che la
scuola vi affida vi appartengono, è compito di un educatore lavorare in sinergia con le famiglie, collaborando
con esse in un progetto educativo integrale, nel rispetto della libertà e degli orientamenti dei genitori.
La forza della testimonianza
Agli educatori cristiani, di qualunque disciplina e per qualunque fascia d’età, come Pastore, aggiungo
una esortazione: siate testimoni. Alla base della vostra testimonianza vi sia una solida professionalità, responsabilmente esercitata e costantemente aggiornata. La rettitudine morale non si sostituisce alle competenze professionali, ma le promuove e le coltiva.
E, insieme, curate di essere testimoni della verità e dell’amore di Dio. I bambini, gli adolescenti e i giovani cercano ardentemente figure di riferimento credibili: educatori solidi, affidabili e capaci di offrire al
momento opportuno sia una parola di affettuosa vicinanza che un ammonimento, percepiti entrambi come
gesti di amore. È ancora la citata Lettera del Papa a ricordarcelo: «l’autorevolezza… si acquista soprattutto
con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero.
L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene». Voi lo sapete, i vostri alunni vi osservano con attenzione, vi scrutano e si confrontano con voi come modelli da seguire o – al contrario – come figure da non
imitare. Perciò, carissimi educatori cristiani, attingete assiduamente dalla Parola di Dio e dalla grazia dei sacramenti la forza per una testimonianza luminosa e sincera, che vi permette di contribuire efficacemente al
comune sforzo educativo.
Il contributo della fede all’educazione
Una speciale missione, in questo ambito, spetta agli educatori che operano nelle Scuole Cattoliche. Per il
fatto stesso di essere insegnanti in una istituzione che si propone di promuovere una cultura, la cui concezione dell’uomo è ancorata ai valori del Vangelo, vi incoraggio a mostrare con l’esempio della vita quotidiana e
con l’attività professionale, come singoli insegnanti e come comunità educante e solidale, che è possibile superare la frammentazione dei saperi e formulare una visione unitaria e coerente del mondo, capace di coniugare serenamente i valori e le verità della fede con la cultura del nostro tempo. Giovanni Paolo II,
nell’enciclica Fides et ratio, al riguardo, tratteggiò efficacemente l’immagine delle due ‘ali verso il Vero’,
che sono la fede e la ragione. La proposta del messaggio cristiano, pur restando soggetta alla critica dell’età
dei vostri alunni, ai loro stili di vita e ai loro molteplici interessi, ha in sé un valore oggettivo che la vostra
creatività di docenti non mancherà di far apprezzare.
Tutta la Verità del Vangelo
Infine, un pensiero speciale intendo indirizzare agli insegnanti di religione cattolica. Conosco bene i
problemi connessi specificamente alla vostra attività di docenti. Se l’inserimento in ruolo ha dato stabilità a
tanti di voi, restano aperti altri aspetti, quali la considerazione di una certa precarietà della vostra disciplina,
sempre dipendente dagli alti e bassi delle motivazioni giovanili, la ricerca continua dei punti di interesse della materia, che esigerebbe un tempo maggiore di una ora settimanale per essere approfondita e il diverso trattamento tra i diritti e i doveri ad essa collegato nella struttura della docenza. Nondimeno, oltre alla testimonianza della fede, come tutti i docenti cattolici, qualunque disciplina insegnino, a voi spetta il compito di presentare articolatamente il messaggio cristiano e la sua credibilità. È la scuola, anche quella laica, a chiedere il
vostro contributo, ben sapendo che un’educazione muta dinanzi alla dimensione religiosa sarebbe incompleta. Non accontentatevi, pertanto, di presentare i semplici “fatti religiosi” del cristianesimo: parlate anche di
Colui da cui la storia e la cultura cristiana prendono il nome e l’origine. Ogni presentazione del cristianesimo
–9–
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
che non mettesse al centro la persona di Gesù di Nazaret, il Signore della storia risorto e vivo, sarebbe parziale o addirittura fuorviante. Certamente l’insegnamento scolastico della religione non è e non deve essere
una forma velata di catechesi; ma una presentazione onesta e obiettiva della religione cattolica esige di affrontare anche la questione della Verità. Il Vangelo chiede di essere riconosciuto non solo come “buono” o
“bello”, ma anche come “vero”. Non sottraetevi, dunque, al compito di presentare tutta la Verità del Vangelo
(cfr At 20,27). Una proposta in questi termini richiede interiorità, tempo, affidamento: alimentate nella preghiera la vostra vita spirituale e la vostra dedizione professionale, perché possiate adempiere con forza e mitezza la missione che vi è affidata: «sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi… con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,15). Apritevi al dialogo con tutti, abbracciate senza riserve
la «fatica della carità» (1Ts 1,3) nella scuola e fuori dalla scuola, «splendete come astri nel mondo, tenendo
alta la parola di vita» (Fil 2,15-16).
Sappiate attivare collaborazioni con le comunità cristiane del territorio e con le parrocchie, che contribuiranno ad arricchire in modo rilevante il cammino formativo offerto agli allievi dalla scuola, sia dal punto
di vista culturale che umano. Nutro la fiducia che cooperando insieme, con un “supplemento d’anima”, per
un rinnovato impegno educativo, potremo far fronte alle sfide del presente e consegnare alle nuove generazioni la saggezza necessaria per affrontare l’affascinante viaggio della vita. Vi sono davvero grato, perché so
quanto bene già fate, e immagino quanto ancora potrete farne.
Carissimi!
Vorrei concludere questa mia lettera con un invito. Di fronte alle sfide che anche la scuola ci chiama ad
affrontare nel portare avanti il compito meraviglioso dell’educazione, non scoraggiatevi mai: educate con
speranza ed entusiasmo. Il buon seme a suo tempo darà frutto.
Con questi sentimenti di gioiosa fiducia, vi assicuro la mia costante preghiera e su tutti voi invoco la benedizione di Dio.
E. LANCIAROTTA, Passione e progetto. Chiesa e scuola insieme per educare, Ed. Paoline, Milano 2012.
Un buon impianto generale sulla pastorale della scuola con una rassegna di documenti magisteriali
– 10 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
2.
Pastorale d’ambiente
La pastorale scolastica fa sue le finalità della pastorale d’ambiente. La scuola si presenta infatti come un autentico “ambiente di vita”.
Non è sempre possibile creare degli “ambienti cristiani” in cui accogliere le nuove generazioni; occorre anche entrare nei diversi ambienti di vita, così come sono, portandovi la testimonianza evangelica. L’impegno della testimonianza cristiana negli ambienti è un carisma squisitamente laicale.
Le finalità della pastorale d’ambiente sono:
1. formare e sostenere i cristiani perché sappiano assumere e valorizzare i valori positivi
già propri dell’ambiente;
2. compaginare la comunità battesimale, perché possa essere il soggetto che si impegna a
sanare ed elevare cristianamente l’ambiente;
3. raggiungere quanti sono in attesa dell’annuncio cristiano, mediante la testimonianza di
vita e con l’esplicito annuncio, laddove possibile e opportuno;
4. dare efficacia al contributo dei cattolici alla vita della società.
Il Convegno ecclesiale nazionale di Verona (2006) ha messo in rilievo la necessità di una
pastorale attenta alla persona umana nel suo contesto vitale, individuando cinque ambiti
di cura pastorale: a) la vita affettiva; b) il lavoro e la festa; 3) la fragilità; 4) la tradizione; 5)
la cittadinanza. La pastorale d’ambiente oggi non dovrebbe trascurare queste indicazioni.
L’evento ecclesiale italiano che meglio ha espresso l’attenzione alla scuola nel suo insieme è
stato l’incontro con papa Francesco in piazza s. Pietro il 10 maggio 2014. 4
V. GROLLA, «Ambiente», in Dizionario di Pastorale della comunità cristiana, Assisi 1980, pp. 63-66.
CONCILIO VATICANO II, Apostolicam actuositatem (1965), n. 13
V. GROLLA, «Ambiente», in Dizionario di Pastorale della comunità cristiana, Assisi
1980, pp. 63-66.
Con il termine “ambiente” si fa normalmente riferimento a due contesti: il primo, più tradizionale, riguarda l’influenza del clima, della morfologia geografica, della flora, della fauna e di tutti gli altri elementi
naturali sulla vita umana. Di questo si occupa oggi in modo particolare l’ecologia. Il secondo, più moderno,
riguarda l’insieme dei fattori che circondano l’uomo, che lo influenzano sotto forma di esperienze coscienti o
no, ma che a loro volta vengono dall’uomo influenzati o modificati (interdipendenza). In questo senso il concetto di ambiente non delimita un insieme di cose, ma un insieme di funzioni ed è perciò determinato più in
base a criteri sociologici che geografici.
Un tempo l’ambiente era costituito dal vicinato, dal paese, dalle tradizioni. Oggi l’ambiente si costruisce
prevalentemente con l’inserimento in un gruppo sociale o con l’appartenenza a una categoria o classe, che
determinano uno standard di vita e mentalità particolari. Di conseguenza si può considerare l’ambiente come
il luogo sociologico nel quale le idee, il costume, le strutture, le condizioni di vita esercitano profonda influenza in senso positivo o negativo sulle concezioni di vita e quindi sugli atteggiamenti umani di quanti in
esso vivono.
I principali ambienti di vita, a parte la famiglia, sono oggi l’ambiente di lavoro (a tipo rurale, industriale,
commerciale, di servizi), l’ambiente della scuola, l’ambiente che si crea attorno al divertimento e al tempo
libero (sport, turismo di massa, villeggiatura, hobby, evasioni e interessi vari), l’ambiente creato dalla cultura
e dalle comunicazioni di massa, l’ambiente che nasce nel territorio inteso come spazio ideale per una comunità locale.
4
Organizzato con la collaborazione di quattro uffici pastorali della CEI (Pastorale della Scuola e dell’Università; Servizio Nazionale IRC; Pastorale Giovanile; Pastorale della Famiglia). L’evento ha messo in luce, anche dinanzi ai mezzi di
comunicazione “laici”, non l’attenzione privilegiata della Chiesa per la scuola cattolica o per l’insegnamento scolastico
della religione, ma la cura pastorale per l’educazione nel suo insieme (il “terzo cerchio” della pastorale della scuola –
vedi fig. 1 p. 2).
– 11 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
1. È costatazione elementare che ogni uomo è in relazione con uno o più ambienti, nessuno dei quali lo
esaurisce come uomo, mentre ciascuno opera su di lui una influenza proporzionata alla sua forza di pressione. Ciascun ambiente, a sua volta, riceve qualcosa dalle singole persone in proporzione della loro incisività.
Si può dire perciò che da un lato l’ambiente forma le persone, dall’altro la persona modella a sé l’ambiente.
Il mondo esteriore e il mondo interiore costituiscono il sistema ambiente-persona. Heidegger sottolinea
l’unione di questi due mondi con le parole: «essere nel mondo è un carattere fondamentale della esistenza».
L’affermazione è importante anche in prospettiva pastorale e costituisce la base dell’apostolato d’ambiente:
non l’uomo da una parte e il mondo dall’altra, staccato da lui; l’uomo concreto è l’uomo nel mondo (cf. Redemptor Hominis, n. 14).
Se non possiamo accettare le conclusioni di una certa sociologia che considera l’uomo necessariamente
come il prodotto dell’ambiente, perché sarebbe negare qualità intrinseche e insopprimibili nell’uomo, tuttavia non si può non riconoscere come l’ambiente possa favorire o neutralizzare la manifestazione di tali qualità. Tanto più che questa forza dell’ambiente oggi è in crescente aumento per la presenza almeno di tre fattori
di vasta portata:
− la crescente socializzazione, che è uno dei segni tipici di questo nostro tempo (cf. Gaudium et spes, n.
25), favorita da un insieme di fattori (urbanesimo, mobilità sociale, mezzi di·comunicazione sociale,
ecc.);
− il valore dell’ambiente, riscoperto sempre più come occasione per conoscere tipiche realtà capaci di favorire lo sviluppo della persona umana;
− il bisogno di partecipazione, che trova una delle sue tipiche e immediate applicazioni proprio nelle realtà
ambientali in cui si vive.
2. Da quanto detto sugli ambienti e sulla loro rilevanza nella vita dell’uomo emerge la necessità di una
pastorale d’ambiente. E non tanto per evitare il pericolo che la Chiesa rimanga tagliata fuori da una realtà
in movimento che ha spostato il riferimento primario dalla parrocchia agli ambienti di vita; nemmeno solo
per arginare l’influsso spesso negativo che gli ambienti esercitano sulle persone da un punto di vista ideologico, religioso e comportamentale; tanto meno allo scopo di dominare gli ambienti. Ma perché il regno di
Dio, così come è stato annunciato da Cristo, non è solo una trasformazione interiore delle persone, ma un
nuovo stato del mondo (cf. Redemptor Hominis, nn. 16-17). La Chiesa ha il compito di esprimere, soprattutto
attraverso i laici, la Signoria del Cristo sul mondo e di animare cristianamente le realtà storiche perché servano l’uomo e siano frammento costruttivo del regno di Dio. È necessario perciò che la pastorale parrocchiale si integri con una organica pastorale d’ambiente.
Nel corso della storia la Chiesa ha sviluppato una pastorale d’ambiente prevalentemente creando “opere”. Ha così gestito scuole, convitti, ospedali, cinema, ricreatori, ambienti sportivi, ecc. compiendo indubbiamente, attraverso queste opere, una preziosa opera di formazione. Oggi però ci si domanda: raggiungono
le opere lo scopo formativo pieno o non restano spesso ambienti di preservazione? La Chiesa deve creare
“suoi” ambienti, oppure deve animare dal di dentro gli ambienti, le realtà del mondo? Indubbiamente le opere non devono scomparire, anche se quelle che rimangono devono riprendere una funzione profetica ed
esprimere una funzione esemplare per la validità della gestione amministrativa e della conduzione tecnica,
dei metodi pedagogici e della formazione religioso-morale. Ma ora il compito più vasto e primario della
Chiesa è di formare i cristiani e i gruppi ecclesiali a una presenza di animazione attiva e di sviluppo ordinato
di ogni ambiente di vita.
3. Le finalità che l’azione pastorale volta agli ambienti deve porsi sono soprattutto le seguenti:
− formare e sostenere i cristiani in modo che siano pronti ad assumere come valori propri quelli che un determinato ambiente loro offre (valori materiali, tecnici, umani, morali) e a impegnarsi con tutti coloro
che vivono nello stesso ambiente a promuoverli (cf. Lumen Gentium, n. 34);
− fare della comunità cristiana d’ambiente e delle singole persone che in essa operano il soggetto che si
impegna a sanare e a elevare l’ambiente in quanto tale, così che in esso ogni persona abbia il rispetto che
le è dovuto e sia aiutata allo sviluppo della propria personalità;
− fare sì che nell’ambiente l’incontro dei cristiani con gli altri sia occasione di una evangelizzazione, che
partendo dalle esigenze messe in luce dalla comune convivenza, apra gli animi al messaggio cristiano e
fraternamente li guidi all’incontro con la Chiesa.
Il Concilio ricorda che «l’apostolato d’ambiente sociale, cioè l’impegno d’informare dello spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui uno vive, è un compito e un obbligo
proprio dei laici che dagli altri non può mai essere debitamente compiuto. In questo campo i laici possono
esercitare l’apostolato del simile verso il simile. Qui completano la testimonianza della vita con la testimonianza della parola. Qui nel campo del lavoro o della professione o dello studio, dell’abitazione, del tempo
– 12 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
libero e delle associazioni sono i più adatti ad aiutare i propri fratelli» (Apostolicam Actuositatem, n. 13).
Ogni ambiente ovviamente presenta particolari caratteristiche e richiede quindi una azione adeguata, che
comunque fa perno su alcuni impegni. La Chiesa deve anzitutto essere presente e portare testimonianza nel
vari ambienti, nelle modalità suggerite dal decreto sull’apostolato dei laici al n. 13.
La testimonianza rimane sempre il primo mezzo di evangelizzazione (cf. Evangelii Nuntiandi, n. 41). Alla testimonianza deve seguire l’annuncio. L’animazione cristiana dell’ordine temporale è uno dei fini dell’apostolato dei laici, ma non è tutto: «il vero apostolato cerca le occasioni per annunziare Cristo con la parola» (AA, n. 6: cf. EN n. 42). Infine, l’universale vocazione alla santità impegna ogni cristiano a santificarsi
nell’ambiente e attraverso l’ambiente (cf. Lumen Gentium, nn. 34 e 41).
da: CONCILIO VATICANO II, Apostolicam actuositatem (1965)
13. L’apostolato dell’ambiente sociale, cioè l’impegno nel permeare di spirito cristiano la mentalità e i
costumi, le leggi e le strutture della comunità in cui uno vive, è un compito e un obbligo talmente proprio dei
laici, che nessun altro può mai debitamente compierlo al loro posto. In questo campo i laici possono esercitare l’apostolato del simile verso il simile. Qui completano la testimonianza della vita con la testimonianza
della parola. Qui nel campo del lavoro, della professione, dello studio, dell’abitazione, del tempo libero o
delle associazioni sono i più adatti ad aiutare i propri fratelli. I laici adempiono tale missione della Chiesa nel
mondo: a) anzitutto nella coerenza della vita con la fede, mediante la quale diventano luce del mondo, e con
la loro onestà in qualsiasi affare, con la quale attraggono tutti all’amore del vero e del bene, e in definitiva a
Cristo e alla Chiesa; b) con la carità fraterna, con cui diventano partecipi delle condizioni di vita, di lavoro,
dei dolori e delle aspirazioni dei fratelli e dispongono a poco a poco il cuore di tutti alla salutare azione della
grazia; c) con la piena coscienza della propria responsabilità nell’edificazione della società, per cui si sforzano di svolgere la propria attività domestica, sociale, professionale con cristiana magnanimità. Così il loro
modo d’agire penetra un po’ alla volta l’ambiente di vita e di lavoro. Questo apostolato deve abbracciare tutti quelli che vivono nel proprio raggio di azione e non escludere alcun bene spirituale o temporale realizzabile. Ma i veri apostoli non si accontentano soltanto di questa azione, bensì cercano di annunziare Cristo al
prossimo anche con la parola. Molti uomini non possono udire il Vangelo e conoscere Cristo, se non per
mezzo dei laici che stan loro vicino.
da: PAOLO VI, Evangelii Nuntiandi (1975)
70. I laici, che la loro vocazione specifica pone in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti
temporali, devono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evangelizzazione. Il loro compito primario
e immediato non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale - che è il ruolo specifico dei Pastori ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle
realtà del mondo. Il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della
politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte
all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed
esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro
capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo.
da: CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001)
44. – Se comunicare il Vangelo è e resta il compito primario della Chiesa, guardando al prossimo decennio, alla luce del contesto socio-culturale di cui abbiamo offerto qualche lineamento, intravediamo alcune
decisioni di fondo capaci di qualificare il nostro cammino ecclesiale. In particolare: dare a tutta la vita quotidiana della Chiesa, anche attraverso mutamenti nella pastorale, una chiara connotazione missionaria; fondare
tale scelta su un forte impegno in ordine alla qualità formativa, in senso spirituale, teologico, culturale, umano; favorire, in definitiva, una più adeguata ed efficace comunicazione agli uomini, in mezzo ai quali viviamo, del mistero del Dio vivente e vero, fonte di gioia e di speranza per l’umanità intera.
46. – Per dare concretezza alle decisioni che abbiamo indicato – e che, ne siamo consapevoli, richiedono
«una conversione pastorale» –, per imprimere un dinamismo missionario, vogliamo delineare i due livelli
specifici, ai quali ci pare si debba rivolgere l’attenzione nelle nostre comunità locali. Parleremo anzitutto di
– 13 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
quella che potremmo chiamare «comunità eucaristica», cioè coloro che si riuniscono con assiduità nella eucaristia domenicale, e in particolare quanti collaborano regolarmente alla vita delle nostre parrocchie; passeremo quindi ad affrontare la vasta realtà di coloro che, pur essendo battezzati, hanno un rapporto con la comunità ecclesiale che si limita a qualche incontro più o meno sporadico, in occasioni particolari della vita, o
rischiano di dimenticare il loro battesimo e vivono nell’indifferenza religiosa.
57. – La stessa ricerca della piena comunione induce a una sempre più convinta attenzione nella pastorale della Chiesa verso i cosiddetti «non praticanti», ossia verso quel gran numero di battezzati che, pur non
avendo rinnegato formalmente il loro battesimo, spesso non ne vivono la forza di trasformazione e di speranza e stanno ai margini della comunità ecclesiale. Sovente si tratta di persone di grande dignità, che portano in
sé ferite inferte dalle circostanze della vita familiare, sociale e, in qualche caso, dalle nostre stesse comunità,
o più semplicemente sono cristiani abbandonati, verso i quali non si è stati capaci di mostrare ascolto, interesse, simpatia, condivisione. Questa area umana, cresciuta in modo rilevante negli ultimi decenni, chiede un
rinnovamento pastorale: un’attenzione ai battezzati che vivono un fragile rapporto con la Chiesa e un impegno di primo annuncio, su cui innestare un vero e proprio itinerario di iniziazione o di ripresa della loro vita
cristiana.
60. – Occasione importante di apertura alle nuove sfide della pastorale è indubbiamente il dialogo culturale sui grandi temi della nostra società e della vita quotidiana. Incontri di dialogo e di confronto – iniziative
da assumere con discernimento – possono essere un grande beneficio per i cristiani. L’insegnamento sociale
della Chiesa ha sempre insistito sulla collaborazione con gli «uomini di buona volontà». Proprio perché il
Vangelo divenga cultura e questo seme divino possa dare i suoi frutti più belli nella storia, noi cristiani vivremo nella compagnia degli uomini l’ascolto e il confronto, la condivisione dell’impegno per la promozione
della giustizia e della pace, di condizioni di vita più degne per ogni persona e per tutti i popoli, fiduciosi in
un arricchimento reciproco per il bene di tutti.
61. – In rapporto a quanto si è detto e perché a tutti coloro che l’attendono sia donata la parola del Vangelo, è importante la presenza significativa dei fedeli laici negli ambienti di vita. Il riconoscimento della laicità dello Stato e delle sue istituzioni non ci sottrae dal dovere di collaborare al bene del Paese: costituisce
piuttosto il terreno della piena cittadinanza dei cattolici italiani. Alla sua vita essi partecipano sostenuti dalla
convinzione che il fermento del Vangelo non è un bene loro esclusivo, ma un dono da condividere, perché
contributo decisivo per creare condizioni di piena umanità per tutti.
Sentiamo così di condividere la speranza con i tanti giovani che sono in ricerca di un lavoro, o con tutti
quei lavoratori che faticano a trovare punti di riferimento nella complessità e precarietà del mondo del lavoro. La stessa attenzione e partecipazione riteniamo che i laici cristiani devono poter offrire alla scuola e
all’università, interessate da processi di trasformazione in cui occorre ribadire le ragioni dell’educazione della persona nella sua globalità e nella reale libertà. Ancora, il mondo della salute chiede una presenza che garantisca il pieno rispetto dei valori della vita e della persona e assicuri l’accesso di tutti alle cure di cui hanno
bisogno. Processi di umanizzazione piena e vera socializzazione toccano anche l’ambito sempre più ampio
del tempo libero, con le attività sportive e turistiche ad esso connesse. La stessa attività propriamente politica
non può fare a meno del contributo dei fedeli laici: competente, responsabile e coerente, nel rispetto del valore della persona umana e dei principi fondamentali di libertà e solidarietà, nella ricerca del bene comune.
L’intera società, nei suoi vari ambiti, è attraversata da un processo di cambiamenti profondi e accelerati.
Diventa prioritaria, di conseguenza, una lettura attenta di tali contesti, onde poter rilanciare una pastorale
d’ambiente sempre più indispensabile per compaginare la comunità battesimale, per raggiungere quanti sono
in attesa dell’annuncio cristiano, per dare efficacia al contributo dei cattolici alla vita della società. Qui si inserisce l’esigenza di una sempre maggiore vitalità dell’associazionismo sociale e professionale di ispirazione
cristiana, come pure, in forma diversa, dell’apporto di quanti hanno scelto di essere nel mondo testimoni del
Regno negli istituti secolari o in altre forme di consacrazione personale.
La pastorale d’ambiente richiederà che le parrocchie ripensino le proprie forme di presenza e di missione e il loro rapporto con il territorio, aprendosi alla collaborazione con le parrocchie confinanti e a un’azione concertata con associazioni, movimenti e gruppi che esprimono la loro carica educativa soprattutto negli
ambienti. Dove questa dimensione della pastorale eccede la parrocchia, sarà fondamentale il riferimento alla
Chiesa diocesana: è responsabilità e compito dei Vescovi, infatti, dare un volto autenticamente ecclesiale al
generoso impegno che le varie forme di apostolato dei cristiani esprimono in seno alla loro diocesi.
– 14 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: CEI, «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di
Dio all’uomo (maggio 2007) [Documento finale del Convegno di Verona]
12. La vita quotidiana, “alfabeto” per comunicare il Vangelo. Il linguaggio della testimonianza è quello
della vita quotidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare l’alfabeto con cui comporre parole
che dicano l’amore infinito di Dio. Abbiamo declinato pertanto la testimonianza della Chiesa secondo gli
ambiti fondamentali dell’esistenza umana. 5
17. La sfida educativa. L’impegno educativo della Chiesa italiana è ampio e multiforme: si avvale della
crescente responsabilità di molte famiglie, della vasta rete delle parrocchie, dell’azione preziosa degli istituti
religiosi e delle aggregazioni ecclesiali, dell’opera qualificata delle scuole cattoliche e delle altre istituzioni
educative e culturali, dell’impegno profuso nella scuola dagli insegnanti di religione cattolica. L’appello risuonato in tutti gli ambiti ci spinge a un rinnovato protagonismo in questo campo: ci è chiesto un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti. La formazione, a partire dalla famiglia,
deve essere in grado di dare significato alle esperienze quotidiane, interpretando la domanda di senso che alberga nella coscienza di molti. Nello stesso tempo, le persone devono essere aiutate a leggere la loro esistenza alla luce del Vangelo, così che trovi risposta il desiderio di quanti chiedono di essere accompagnati a vivere la fede come cammino di sequela del Signore Gesù, segnato da una relazione creativa tra la Parola di Dio
e la vita di ogni giorno. […] Tutto questo però potrà realizzarsi solo se le comunità cristiane sapranno accompagnare le persone, non accontentandosi di rivolgersi solo ai ragazzi e ai giovani, ma proponendosi più
decisamente anche al mondo adulto, valorizzando nel dialogo la maturità, l’esperienza e la cultura di questa
generazione. Rilevante sarà, in proposito, il contributo delle scuole cattoliche, dei centri universitari e delle
facoltà e degli istituti teologici.
22. La persona, cuore della pastorale. L’attuale impostazione pastorale, centrata prevalentemente sui tre
compiti fondamentali della Chiesa (l’annuncio del Vangelo, la liturgia e la testimonianza della carità), pur
essendo teologicamente fondata, non di rado può apparire troppo settoriale e non è sempre in grado di cogliere in maniera efficace le domande profonde delle persone: soprattutto quella di unità, accentuata dalla frammentazione del contesto culturale. La scelta di articolare i lavori in alcuni ambiti fondamentali intorno a cui
si dispiega l’esistenza umana, in qualsiasi età, ha messo in luce l’unità della persona come criterio fondamentale per ricondurre a unità l’azione ecclesiale, necessariamente multiforme. Mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità.
23. La cura delle relazioni. In un contesto sociale frammentato e disperso, la comunità cristiana avverte
come proprio compito anche quello di contribuire a generare stili di incontro e di comunicazione. Lo fa anzitutto al proprio interno, attraverso relazioni interpersonali attente a ogni persona. Lo stile di comunione che
si sperimenta nella comunità costituisce un tirocinio perché lo spirito di unità raggiunga i luoghi della vita
ordinaria. Il dono della comunione che viene da Dio deve animare, soprattutto attraverso i laici cristiani, tutti
i contesti dell’esistenza e contribuire a rigenerarne il tessuto umano.
5
Gli ambiti prescelti sono: a) la vita affettiva, quindi la famiglia, gli amici, ecc.; b) il lavoro e la festa, ossia il rapporto
con il tempo, l’organizzazione del lavoro, la sua alternanza con i momenti di festa, in particolare la domenica, ecc.; 3) la
fragilità, ossia la vecchiaia, la malattia, l’handicap, ma anche i momenti di crisi personale, ecc.; 4) la tradizione, ossia
la sfida educativa, il rapporto fra le generazioni, l’identità personale e nazionale, ecc.; 5) la cittadinanza, ossia
l’appartenenza del cristiano alla vita sociale e politica in tutte le sue sfaccettature, l’evangelizzazione della cultura, ecc.
– 15 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
3.
Le associazioni professionali e dei genitori,
soggetti di pastorale scolastica
Le associazioni professionali dei docenti (sorte già negli anni ’40) e quelle dei genitori
(sorte nella stagione della “partecipazione”) sono state capaci di dare efficacia al contributo
dei cattolici alla vita della scuola italiana. Oggi, sono chiamate anche a divenire soggetti attivi di evangelizzazione nell’ambiente scolastico.
L’organismo della CEI che presiede alla cura pastorale della scuola e che coordina le diverse realtà associative è l’UNESU – Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università (www.chiesacattolica.it/unesu)
Il diritto delle famiglie a scegliere il tipo di educazione da impartire ai propri figli (cfr
Apostolicam Actuositatem 11) è un diritto fondamentale; lo stato non deve imporre un
proprio tipo di educazione, soprattutto sulle questioni eticamente sensibili
Dal dibattito sui ruoli della famiglia e della scuola nell’educazione dei figli è scaturito il dibattito sull’insegnamento Cittadinanza e costituzione in Italia (novembre 2009), insegnamento voluto e progettato dal pedagogista cattolico Luciano Corradini e contestato da alcuni opinion makers per il suo potenziale rischio di imporre una “religione civile”.
Un vivace dibattito sull’educazione sessuale nelle scuole, e in particolare in relazione alla
cosiddetta gender theory 6 si è sviluppato a partire dal 2012. Le associazioni familiari rivendicano – legittimamente – il diritto che i propri figli vengano educati secondo principi
che non contraddicono le loro convinzioni e le loro scelte educative, soprattutto in materia
così sensibile.
Tavola rotonda «L’impegno associato dei laici nella scuola e nella comunità cristiana: corresponsabilità, reciprocità, comunione per la missione educativa», in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la
scuola e l’università 1/2006, pp. 44-67 [DOC 2 – UNESU 2006] (approfondimento facoltativo)
Dibattito su “Cittadinanza e costituzione” (2009) [DOC 3 – CITTCOST 2009] (approfondimento facoltativo)
Dibattito sulla cosiddetta gender theory e sul ruolo dei genitori circa l’educazione affettiva nelle scuole in
Italia e in Europa: Comunicato stampa dell’Osservatorio Van Thuan 12/11/2013 – Charte de la laïcité à
l’école
da: CEI, Fare Pastorale della Scuola oggi in Italia (1990)
38. Il contributo specifico dei genitori alla costruzione della scuola-comunità può essere individuato
nei seguenti concreti impegni:
6
Una magistrale sintesi della questione fu offerta da papa Benedetto nel Discorso per gli auguri natalizi alla Curia romana del 2012. Ecco il testo: «Simone de Beauvoir [affermò]: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas
femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato
come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che
l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente,
mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa
soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere
umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela.
Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio
come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa
dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio
e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata
la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione,
come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo
dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura» (BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia romana, 21dicembre 2012).
– 16 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
- l’attenzione ai problemi dell’orientamento, delle ripetenze, degli abbandoni precoci, dell’inserimento degli alunni svantaggiati;
- l’impostazione in termini equilibrati dei temi del "tempo scolastico", della qualità dei servizi e delle strutture messi a disposizione dalla scuola;
- la vigilanza sugli interventi operati dalla scuola su temi delicati e di decisiva importanza quali
l’educazione sessuale, l’informazione sanitaria, l’educazione socio/politica, ecc.;
- la richiesta e la collaborazione offerta per la corretta attuazione delle modalità dell’IRC e delle discipline
alternative, secondo la normativa concordataria e lo spirito dell’Intesa;
- l’intervento sui temi delle riforme che sono in fase di discussione o sentite come urgenti: come
l’elevazione dell’obbligo a 16 anni e le modalità della sua attuazione; il nuovo esame di maturità; il dibattito sull’autonomia delle istituzioni scolastiche; l’avvio della "nuova" scuola elementare, ecc.
39. Le Associazioni dei genitori appaiono necessarie di fronte alla complessità dei problemi esposti. Solo esse infatti possono garantire, nel rapido avvicendarsi delle famiglie, l’informazione, la documentazione,
la continuità, i necessari collegamenti sul piano ecclesiale e sociale. Anche nella scuola Cattolica la presenza
associata dei genitori assicura, come hanno già scritto i Vescovi italiani, una maggiore forza all’istituzione,
radicandola più concretamente nella chiesa locale e nella società. Pare giusto qui ricordare l’opera svolta
dall’A.Ge. nella scuola statale e dall’A.Ge.S.C. nella scuola cattolica per la realizzazione di questi obiettivi,
mentre si raccomandano alle due associazioni tutte quelle forme di collaborazione e coordinamento rese possibili dalla comune matrice ideale e che d’altra parte rispondono a esigenze di unità di azione e di economia
ed efficacia propositiva e organizzativa.
40. I docenti cristiani sono depositari di una responsabilità decisiva nei confronti dell’istituzionescuola. Per questo devono essere aiutati a riscoprire, accanto alle nuove esigenze di professionalità, il proprio
ruolo educativo, la loro vera identità e l’esigenza di amare il servizio culturale reso alla società, compiendolo
con competenza e onestà. Da loro ci si aspetta che capiscano l’importanza del dialogo con le famiglie e con
la realtà sociale che circonda la scuola, che siano sensibili ai nuovi termini in cui si pone la questione scolastica.
A queste attese i docenti non possono far fronte senza un cammino di formazione permanente in cui la
professione venga ripensata alla luce della fede come una chiamata al servizio.
Proprio questo appare lo spazio e il compito delle associazioni professionali come l’AIMC e l’UCIIM,
presenti da decenni nella Chiesa e nella scuola, apprezzate per la loro competenza e la garanzia di percorsi
formativi lungamente sperimentati.
Esse sono certo Associazioni di categoria che operano sul piano dell’identità e della problematica professionale, ma completano e anzi superano questa soglia con una esplicita scelta di testimonianza cristiana, proprio perché aiutano i loro membri a realizzare la mediazione tra fede e professionalità: come dice il Concilio
«...favoriscono e rafforzano una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede» (AA n. 19).
Tale unità, cercata e conseguita, affina nel docente cristiano la capacità didattica delle diverse materie facendogli adottare metodologie che aiutino i giovani a non assolutizzare i dati parziali, e spesso provvisori,
forniti nei diversi ambiti disciplinari, ma li spingano piuttosto alla ricerca e all’esigenza di risposte e di sintesi più comprensive, autenticamente aperte anche alla dimensione e all’esperienza religiosa.
Le realtà associative cattoliche in Italia
 Per approfondire l’identità e le finalità delle diverse sigle associative, consultare i singoli siti internet!
ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI
AIMC – Associazione Italiana Maestri Cattolici (www.aimc.it)
L’AIMC nasce ad opera di Carlo Carretto e Maria Badaloni su incoraggiamento di Pio XII che, durante
l’udienza del 4 novembre del 1945, diede ufficialmente avvio alla vita dell’Associazione. Riunisce docenti,
dirigenti scolastici e tecnici del sistema scolastico italiano. È presente su tutto il territorio nazionale nelle diverse articolazioni: sezionali, provinciali e regionali. Opera attivando esperienze di scambio professionale,
organizzando incontri, dibattiti, seminari, stages su tematiche educativo-didattiche, etico-formative e di politica scolastica. Organo ufficiale dell’AIMC è la rivista “Il Maestro”. Aderisce alla Consulta di Pastorale scolastica della Conferenza Episcopale Italiana, alla Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali (CNAL) e,
in ambito mondiale, all’Union mondiale des enseignants catholiques (U.M.E.C.).
Statuto – 1. L’Associazione Italiana Maestri Cattolici è una libera e democratica associazione professionale che si costituisce tra insegnanti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici della scuola, statale e non statale,
– 17 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
dell’infanzia e del primo ciclo, in servizio, aspiranti all’insegnamento e a riposo che intendono operare in solidarietà nella scuola e nella società secondo i principi del Vangelo.
UCIIM – Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (www.uciim.it)
L’UCIIM, associazione professionale cattolica di docenti, dirigenti, ispettori, educatori e formatori della
scuola statale e non statale, è nata il 18 giugno 1944 per iniziativa del prof. Gesualdo Nosengo, grande pedagogista cattolico morto nel 1968. L’associazione ha contribuito con proposte ed iniziative all’elaborazione
delle riforme scolastiche, alla stesura dei programmi e alla sperimentazione. Ha promosso la formazione dei
docenti e dei dirigenti, con decine di volumi, con vari periodici, e in particolare con il mensile “La Scuola e
l’Uomo”, con corsi e convegni. È diffusa su tutto il territorio nazionale, con sede centrale in Roma, ed è articolata in sezioni, province e regioni. Aderisce alla Consulta della pastorale scolastica della CEI, alla CNAL e
alle altre iniziative di cooperazione, sul piano formativo e culturale, anche a livello internazionale.
• Per la categoria degli IdR:
ANIR – Associazione Nazionale Insegnanti di Religione (www.anir.it)
È una Associazione Professionale costituita nel 1982 allo scopo di far partecipare attivamente gli Insegnanti di Religione a tutta la problematica relativa all’Insegnamento religioso nella scuola. L’Associazione
intende operare in comunione con la Chiesa. Si propone i seguenti obiettivi: a) Favorire nella Chiesa e nella
società civile la riflessione e il dibattito sull’educazione religiosa nella scuola. b) Operare perché la scuola
riconosca adeguatamente l’importanza dell’Insegnamento della Religione per la formazione culturale e umana degli studenti. […] e) Riconsiderare, alla luce delle mutate condizioni storiche, culturali e religiose, le finalità dell’Insegnamento della Religione e studiare i nuovi programmi. f) Rappresentare gli iscritti, presso le
autorità ecclesiastiche e civili, in occasione di interventi normativi o legislativi che li riguardano. g) Agire
come centro per la raccolta e la diffusione di informazioni riguardanti i problemi dell’educazione religiosa
nella scuola.
• Fanno parte del mondo dell’educazione anche le realtà legate alla formazione professionale:
CONFAP – Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale (www.confap.it)
La Confederazione si è costituita nel 1974, su iniziativa della CEI, allo scopo di offrire un riferimento
organico ed unitario agli Enti di formazione professionale di ispirazione cristiana nel loro servizio formativo
rivolto a giovani ed adulti nell'ambito dell'Orientamento e della Formazione al lavoro e sul lavoro. Per gli
Enti che ne fanno parte, si propone come luogo di incontro in cui, nella libertà della loro adesione e nel rispetto delle loro peculiarità, sia possibile verificare la qualità dell'attività formativa e concertare prospettive
ed interventi comuni. Promuove una formazione Professionale che mette al centro la persona, il saper essere
prima che il saper fare, l'integrazione del lavoro e della professione nella globalità dell'esistenza, la partecipazione attiva e solidale alla vicenda comunitaria. La CONFAP è tra i Soci fondatori dell’Associazione
FORMA (www.formafp.it), nata ai primi di giugno 1999, che riunisce tutto il mondo della formazione professionale d’ispirazione cristiana (CONFAP, ENAIP-ACLI, CIF, INIPA-Coldiretti, Confcooperative, Confartigianato ..) allo scopo di presentarsi uniti nelle varie sedi istituzionali. Partecipa con propri rappresentanti
al Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica e alle Consulte ecclesiali nazionali e regionali. Collabora attivamente con il CSSC (Centro Studi Scuola Cattolica) per la raccolta e la diffusione dei dati statistici riguardanti le attività di formazione professionale svolte sul territorio nazionale.
ASSOCIAZIONI di GENITORI
AGe – Associazione Genitori (www.age.it)
L’A.Ge. promuove attività per mezzo di genitori, presenti soprattutto nella scuola, ma anche nella società, per l’affermazione dei valori educativi, animati da una chiara ispirazione cristiana. A partire dal 1968
l’A.Ge. è stata un punto di riferimento culturale significativo per i molti gruppi di genitori, che negli istituti
scolastici, nei Comuni, come nei quartieri vissero la stagione della partecipazione, con una mobilitazione notevole in un serrato confronto con una proposta specifica del “genitore come genitore”, che non dovesse essere legata né alla politica né all’ideologia, ma dovesse mantenere una sua autonomia ed una sua specificità.
Si è sempre rivolta indistintamente a tutte le famiglie, proponendo un progetto di famiglia e di scuola condivisibili aldilà delle convinzioni religiose o pratiche. Soprattutto nei momenti delicati per la libertà di scelta
educativa della famiglia, per l’educazione sessuale nelle scuole, per l’adesione all’insegnamento della religione, per il pluralismo e contro l’intolleranza ideologica, l’adesione dei genitori da una parte e la vigilanza
degli eletti negli organismi di gestione della scuola dall’altra, rappresentarono i punti di forza determinanti
perché non si affermassero stravolgimenti educativi e scolastici, estremamente rischiosi.
– 18 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
AGeSC – Associazione Genitori Scuole Cattoliche (www.agesc.it)
L’Associazione è sorta nel 1975. È riconosciuta dalla CEI e dal MIUR. È uno “strumento” che i genitori
delle Scuole Cattoliche si sono dati per aiutarsi ad approfondire i rapporti con la scuola, con la religione cattolica e con la società civile. Gli ambiti dell’operare dell’A.Ge.S.C. sono: con i genitori, nel rapporto quotidiano dato dalla presenza della medesima scuola e dalla comune istanza educativa; con la comunità scolastica, nel rapporto dei genitori con gli altri soggetti istituzionali (docenti, studenti, operatori) teso alla realizzazione di quella "comunità educante" che è la sola condizione possibile per concretizzare un autentico processo educativo; con le diverse scuole, dove l’Associazione è elemento di raccordo tra la scuola e il territorio nel
quale è inserita; con le istituzioni, dove l’Associazione può proporre e sostenere istanze di libertà, di presenza e di controllo della famiglia, della scuola, della concreta libertà di educazione; con le famiglie, impegnate
su altri fronti della politica familiare per promuovere e tutelare i diritti di cittadinanza. Fa parte delle Consulte Nazionali della CEI per la pastorale scolastica, la pastorale familiare e le Aggregazioni Laicali.
FAES – Associazione “FAmiglia E Scuola” (www.faesmilano.it)
Sorta a Milano nel 1974, per iniziativa di un gruppo di genitori e insegnanti; si ispira alle intuizioni educative di san Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, e pone al centro del proprio metodo la condivisione del percorso educativo tra scuola e famiglia, che è e che rimane la principale responsabile dell’educazione
dei figli. Oggi, sotto varie denominazioni, è presente in 25 Paesi dei 5 continenti. Negli anni questa esperienza si è diffusa in altre città italiane, dove enti gestori autonomi hanno istituito Centri Scolastici – abitualmente chiamati “scuole FAES” – che adottano questo sistema educativo. L’associazione è membro fin dalle origini del Forum delle Associazioni Familiari e, in ambito internazionale, dell’EASSE (European Association
for Single-Sex Education) e dell’OIDEL (Organisation Internationale pour le Droit à l’Éducation et la Liberté d’Enseignement, con sede a Ginevra).
NOTA: il FONAGS – FORUM NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI DEI GENITORI DELLA SCUOLA
(http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/fonags) è stato istituito nel 2002 al fine di valorizzare la componente dei genitori e di assicurare una sede stabile di consultazione delle famiglie
sulle problematiche scolastiche. Ne fanno parte tutte le citate associazioni cattoliche dei genitori.
Alcuni problemi sono sorti quando ha iniziato a farne parte anche l’AGEDO – Associazione di
GEnitori Di Omosessuali (www.agedonazionale.org), costituita nel 1992 a Milano, che persegue
l’obiettivo di «dare aiuto e solidarietà alle situazioni di disagio e sofferenza causata, all’interno e
fuori della famiglia, dal rifiuto della persona omosessuale nella società» (art. 2 dello Statuto). In
concreto, i problemi si sono posti in relazione alle iniziative di educazione sessuale che valorizzano
la scelta dell’omosessualità, tramite la lotta al “bullismo omofobico”. Così ad es. alcune campagne
promosse dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (www.unar.it), in linea
con la Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere 7 (2013). Tale Strategia, in ossequio ad una raccomandazione del Consiglio d’Europa 8 (2010), prevede infatti uno specifico asse operativo su “Educazione e istruzione”, in cui si sollecita ad «adottate misure appropriate a
ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Tali misure
dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, per esempio nei programmi
scolastici e nel materiale didattico, nonché la fornitura agli alunni e agli
studenti delle informazioni, della protezione e del sostegno necessari per
consentire loro di vivere secondo il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere […]. Tali misure dovrebbero tenere conto del diritto
dei genitori di curare l’educazione dei propri figli». Le diverse opinioni tra
associazioni cattoliche di genitori e Agedo rendono difficile garantire a tutti
i genitori di poter offrire ai propri figli un’educazione in linea con i propri
orientamenti educativi.
7
8
http://www.unar.it/unar/portal/wp-content/uploads/2014/02/LGBT-strategia-unar-17x24.pdf
CM/Rec(2010)5: http://www.coe.int/t/dg4/lgbt/Source/RecCM2010_5_IT.pdf
– 19 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
ASSOCIAZIONI di STUDENTI
MSAC – Movimento Studenti Azione Cattolica (www.azionecattolica.it/settori/MSAC)
Il Movimento Studenti di Azione Cattolica (MSAC) è la proposta missionaria dell’Azione Cattolica Italiana agli adolescenti nella loro condizione di studenti e costituisce, inoltre, la significativa attenzione di tutta
l’associazione al servizio specifico di pastorale della scuola. Per uno studente di Azione Cattolica che coglie
la sfida dell’impegno a scuola come iscritta nel DNA del suo Battesimo, diventa importante comprendere
che il mondo, la scuola non sono “terreno di conquista” della fede ma luoghi che hanno una “legittima autonomia”, da abitare e da vivificare con la forza trasformante del Vangelo. Nella scuola superiore esiste un potenziale di evangelizzazione ancora poco considerato e gran parte di questa potenzialità risiede proprio nella
componente studentesca:
MSC – Movimento Studenti Cattolici (www.studenticattolici.it)
Il MSC “mira a riunire tutti gli studenti che condividono il progetto educativo e le finalità della Scuola
Cattolica, considerata realtà educativa fondamentale, che svolge un ruolo pubblico al pari della Scuola Statale”.
G.S. – Gioventù studentesca (www.clonline.org/it; cfr anche www.diesse.org)
Gioventù Studentesca (G.S.) è la presenza di Comunione Liberazione dentro il mondo della scuola media
superiore. Questa presenza ha come protagonisti gli studenti, i quali hanno un riferimento di tipo educativo
ad insegnanti o adulti. Ciò che caratterizza Gioventù Studentesca è vivere e proporre l’esperienza cristiana
dentro la scuola, un’esperienza che risponde alle esigenze più vere di ogni studente e che affronta ogni fattore della vita.
Dibattito su “Cittadinanza e costituzione”
L’articolo che ha scatenato il dibattito: E. GALLI DELLA LOGGIA, Così la democrazia diventa catechismo, «Corriere della Sera» 8 novembre 2009. Il resto del dibattito (facoltativo) in DOC 3.
Non sono molti gli italiani a conoscenza del fatto che a partire da quest’anno in tutte le scuole della Repubblica, sia nel primo che nel secondo ciclo, viene insegnata per un’ora alla settimana una nuova materia:
«Cittadinanza e Costituzione». Dunque d’ora in poi, dai sei ai diciotto anni, per un totale non insignificante
di 429 ore, ad ogni giovane del nostro Paese saranno impartite le opportune nozioni per diventare un cittadino modello, nel senso, come vedremo, di «un perfetto democratico»… Il «Documento d’indirizzo» emanato
dal Ministero nel marzo di quest’anno per spiegare in che cosa consista l’insegnamento di «Cittadinanza e
Costituzione» è per l’appunto un esempio perfetto di questo gergo pedagogico-democratico. Il vero autore
dello scritto […è] Luciano Corradini. Vale a dire uno dei massimi esponenti di quell’oligarchia accademicoministeriale d’ispirazione infallibilmente «progressista», in questo caso nella sua versione cattolica… il caposaldo del Corradini-pensiero e dei tanti che lo condividono è proprio l’ineluttabilità, che dico l’assoluta
necessità, del passaggio dall’Istruzione, tipica della vecchia scuola liberal-classista-nozionista, all’Educazione, irraggiante invece roussoiana libertà e armonia. In questa prospettiva «Cittadinanza e Costituzione» è
chiamata per l’appunto a rappresentare il vertice dell’Educazione. Il documento in parola assegna alla scuola
lo scopo, in pratica, di formare nulla di meno che l’Uomo Nuovo… In realtà, quando nella scuola e poi di
conseguenza anche nella società in generale, all’Istruzione si sostituisce l’Educazione, si apre una frattura
gravissima: l’identità della persona e la sua costruzione si slegano dalla fruizione e dall’esperienza dei prodotti culturali, dalla loro polifonia viva ed emotivamente coinvolgente, per essere tutte affidate all’adeguamento a una norma astratta, a una «Tavola del dover essere»…
Comunicato stampa dell’Osservatorio Van Thuan (12 XI 2013)
Dall’emergenza educativa all’allarme educativo
Le notizie che giungono dal fronte dell’educazione ci dicono che un grande cambiamento è in atto rispetto a quanto ormai siamo soliti chiamare “emergenza educativa”. Il primo a parlare di emergenza educativa è
stato, come si ricorderà, Benedetto XVI. Il 21 gennaio 2008, nella Lettera alla diocesi di Roma sui problemi
dell’educazione, egli disse che le difficoltà ad educare da parte della famiglia, della scuola e della società intera derivano dal fatto che non si sa più chi educare e a cosa educare. Derivano da «una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del
bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all'altra
qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria
vita».
– 20 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Ora, l’accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell’educazione ha superato questa visione. Il fronte
dell’emergenza educativa è ormai diventato un altro, al punto che bisogna ormai parlare di nuova emergenza
educativa o, meglio, di allarme educativo. Il fatto nuovo è stata l’irruzione dell’ideologia del gender nell’educazione, soprattutto nelle scuole. La Francia, dopo l’approvazione della “Charte de la laïcité” predisposta
dal ministro Peillon, si prepara ad introdurre nei licei, a partire dal 2015, un’ora di insegnamento di “morale
laica”. Lo Stato impone una propria religione civile ed una propria etica pubblica tese a riplasmare i cittadini,
secondo gli insegnamenti di Rousseau.
In Italia, la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” [1], elaborata dal Ministero per le pari opportunità e dall’UNAR
(Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a difesa delle differenze), sta producendo i suoi effetti nelle
scuole: i corsi per docenti sono impostati secondo l’ideologia del gender. A ciò contribuisce la RE.A.DY, la
Rete delle pubbliche amministrazioni contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, che fornisce sostegno e patrocinio. Sul piano locale c’è una collaborazione educativa ideologicamente
orientata tra aziende sanitarie locali, comuni, scuole statali e associazioni Lgbt 9.
Il governo attualmente in carica in Italia ha approvato un decreto [2], che ha superato l’esame della Camera ed ora è in discussione al Senato, che destina risorse per 10 milioni di euro nel 2014 per la formazione
dei docenti al «superamento degli stereotipi di genere» [3].
La legge cosiddetta sull’omofobia, anche questa già approvata alla Camera ed ora in discussione al Senato, se approvata, creerebbe un quadro di intolleranza ideologica e, insieme al decreto suddetto, stabilirebbe
nella scuola un clima culturale di completa estromissione della famiglia. Diventerebbe impossibile educare
alla famiglia naturale.
Un ulteriore allarme deriva da come viene attuata l’educazione sessuale nelle scuole italiane. Prevale un
pensiero unico basato su contraccezione e aborto a cui ora si aggiunge l’ideologia gender. Nel Discorso al
Corpo diplomatico del 10 gennaio 2011, Benedetto XVI aveva detto: «Non posso passare sotto silenzio
un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte
neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione» [4].
Comincia anche ed esserci un allarme libri di testo. Durante la discussione alla Camera del Parlamento
italiano del suddetto decreto scuola, il governo ha fatto proprio un ordine del giorno che introduce il rispetto
del codice delle pari opportunità nei libri di testo [5]. In Francia c’è già stato un grande dibattito negli anni
scorsi che tuttora continua, ma la cosa comincia a preoccupare seriamente anche in Italia. Questo è sempre
stato un problema, data la forte caratterizzazione ideologica di molti libri che si usano nella scuola italiana,
ma ora la cosa si fa allarmante in quanto i manuali scientifici sempre più veicolano una pseudoscienza del
gender.
La nascita di scuole materne in cui bambini e bambine non sono aiutati a coltivare correttamente la propria identità sessuata, ma educati in modo “neutro” in attesa che siano loro, in futuro, a scegliere; la diffusione di favole per bambini o di spettacoli e sceneggiati per le scuole in cui il naturale approccio alla diversità
sessuale viene stravolto in base alla nuova ideologia gender; la pianificazione centralizzata da parte dei governi di una educazione sessuale praticata in modo discutibile fin dai primissimi anni di vita, come previsto
dagli orientamenti dell’OMS-Europa [6], tutto questo getta una luce molto inquietante sulla educazione dei
nostri figli, davanti a cui nessuno può ritenere di poter tacere.
Questi fenomeni hanno trasformato l’emergenza educativa in allarme educativo. Non si tratta più solo di
non sapere chi sia l’uomo da educare, il fatto nuovo è che si pretende di saperlo benissimo. Non ci si astiene
dall’educare, abbandonando i bambini e i giovani a se stessi, ma si agisce attivamente per educare contro natura. Non ci si limita a prescindere dalla natura umana, la si vuole trasformare e ri-creare.
Lo smarrimento educativo, la fiacchezza, lo sconforto di tanti educatori, che Benedetto XVI ha descritto
benissimo parlando dell’emergenza educativa nella Lettera del 2008, oggi è qualcosa di ben più grave: si rischia l’accondiscendenza passiva ad una contro-educazione. Ed infatti, i gravissimi casi che abbiamo nominato sopra non hanno visto grandi proteste o levate di scudi, se non quelle di alcune agenzie di informazione
e di associazioni che si stanno faticosamente mobilitando.
Davanti a questa nuova situazione, il nostro Osservatorio fa tre riflessioni.
9
La sigla Lgbt è acronimo di lesbian, gay, bisex, transex. Alle volte si aggiunge anche la lettera Q, per indicare le persone che si definiscono queer (cioè “bizzarro, eccentrico”: sono coloro che rifiutano ogni categorizzazione delle pratiche sessuali).
– 21 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
La prima è che si ripropone in modo nuovo il problema della concreta libertà di educazione. È questo un
argomento che di solito emerge solo in situazioni di difficoltà economica delle scuole non statali. Il popolo
cattolico deve sentire in profondità l’importanza formidabile di questa libertà e venire adeguatamente educato a sentirla. Il fronte laico lo considera un terreno pericoloso. Davanti ai pericoli gravissimi che l’allarme
educativo fa trapelare, la lotta per la libertà di educazione deve essere posta in primo piano e condotta con
costanza e consapevolezza. I genitori stanno perdendo la possibilità di educare i loro figli non su cose di
marginale importanza ma sulla identità della natura umana.
La seconda osservazione è che siamo davanti ad una logica a suo modo coerente e rigorosa. In molti
pensano che possa darsi una laicità moderata ed aperta. Ma davanti a questi fenomeni, che ormai interessano
non solo le nazioni rette da sistemi “giacobini”, ma anche quelle caratterizzate in origine o in passato da un
rispettoso equilibrio tra politica e religione, si constata che la moderazione può anche darsi in via temporanea
e in alcune contingenze, ma che, una volta eliminato Dio dalla pubblica piazza, si procede coerentemente con
l’eliminazione dell’umano. È una secolarizzazione sempre più esigente e aggressiva, che spesso invece viene scambiata per semplice laicità.
La terza osservazione è di invito alla mobilitazione. I cattolici, come del resto ogni persona emancipata
dalle sirene del proprio tempo, non possono girarsi dall’altra parte. Si tratta, in questo caso, di una grande testimonianza di carità che ci viene richiesta. Sì, di carità e non solo di verità.
Trieste, 12 novembre 2013
NOTE al testo
[1] Cfr http://www.pariopportunita.gov.it/images/strategianazionale_definitiva%20_logocoenuovo.pdf.
Per una analisi: http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=1675
[2] Si tratta del decreto 104/2013 denominato “La scuola riparte”, approvato dalla Camera il 31 ottobre
2013. Cfr P. FERRARIO, La teoria del gender vuole entrare in aula, “Avvenire” 5 novembre 2013, p. 11.
[3] Per la precisione, l’articolo 16, lettera d), destina la somma «all’aumento delle competenze relative
all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento
degli stereotipi di genere, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n.
93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119».
[4] Cfr http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=1115
[5] http://www.corriere.it/scuola/13_novembre_01/ok-bonus-digitale-fai-da-te-orientamento-d1b8f35242d0-11e3-bd09-5fafe7fa6f7b.shtml
[6] Cfr V. DALOISO, Sessualità, dall’OMS linee ambigue, “Avvenire” 5 novembre
2013, p. 10. Da Zenit (www.zenit.org) del 29 ottobre 2013: «Da pochi giorni la sezione
europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilasciato il documento Standard for Sexual Education in Europe finalizzato a fornire
linee guida per l’educazione sessuale dei bambini a partire dalla p rima
infanzia. Il documento propone di istigare i bambini a comportamenti
sessuali come, ad esempio, la masturbazione infantile, l’esplorazione del
proprio corpo e di quello degli altri a partire dai 4 anni di età, esperimenti
sessuali tra persone dello stesso sesso prima dei 6 anni. L’aspetto più
grave, però, è il voler imporre alle famiglie, e quindi ai bambini stessi,
una educazione da parte dello Stato che quindi intima una propria morale
e una propria etica basate sull'opinione». In realtà il documento Standard
for Sexual
Education in Europe risale al 2010 e pochi lo hanno contestato. Nel maggio 2013, l’OMS-Europa ha elaborato la "Guidance for Implementation". I documenti si trovano nel sito dell’OMS Europa: http://www.bzgawhocc.de/?uid=53d24f0724ffcbe839e48e7405ae27ab&id=home.
[Il comunicato stampa è tratto da http://www.vanthuanobservatory.org/].
La Charte de la laïcité à l’école (Francia 2013)
La Carta della laicità è stata diffusa nelle scuole francesi nell’agosto 2013 per volontà dell’allora ministro
dell’Istruzione, Vincent Peillon. Tutte le scuole hanno l’obbligo di affiggere visibilmente la Carta e farla rispettare. Al di là dell’opinabile declinazione del concetto di laicità (la laïcité, tipica del contesto francese,
che si oppone al modello anglo-americano di pensare il ruolo della religione nello spazio pubblico – cfr
l’ultimo capitolo della dispensa), Peillon ha più volte dichiarato di voler sostituire la religione cristiana con
la “religione della laicità”. Il giornalista Leone Grotti ha convincentemente mostrato che i contenuti della
Carta sono stati suggeriti a Peillon da fonti massoniche (La Carta della laicità voluta da Hollande è tale e
quale a quella della massoneria. Sicuramente una coincidenza, su www.tempi.it, 9 ottobre 2013).
– 22 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
Carta della laicità nella scuola.
La Nazione affida alla scuola missione di far acquisire agli alunni i valori della Repubblica.
La Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale. Essa garantisce l’uguaglianza di
tutti i cittadini davanti alla legge sull’intero territorio e rispetta tutte le credenze
La Repubblica laica stabilisce la separazione delle religioni e dello Stato. Lo Stato è neutrale nei confronti delle convinzioni religiose o spirituali. Non esiste una religione di stato.
La repubblica è laica
La laicità garantisce la libertà di coscienza di tutti: ognuno è libero di credere o non credere. Essa permette la libera espressione delle proprie convinzioni, nel rispetto di quelle degli altri e nei limiti
dell’ordine pubblico.
La laicità consente l’esercizio della cittadinanza, conciliando la libertà di ciascuno con l’uguaglianza e
la fraternità di tutti, nel contesto dell’interesse generale.
La repubblica garantisce il rispetto di tutti i propri principi negli istituti scolastici.
La laicità della scuola offre agli studenti le condizioni adeguate per forgiare la propria personalità, esercitare il libero arbitrio e formarsi alla cittadinanza. Essa li tutela da qualsiasi forma di proselitismo e da
ogni pressione passibile di pregiudicare le loro libere scelte.
La laicità garantisce agli alunni l’accesso a una cultura comune e condivisa.
La laicità consente l’esercizio della libertà di espressione degli alunni nei limiti del buon andamento
della scuola come del rispetto dei valori repubblicani e del pluralismo delle convinzioni.
La laicità implica il rifiuto di ogni violenza e discriminazione, garantisce l’uguaglianza tra maschi e
femmine e si fonda su una cultura del rispetto e della comprensione dell’altro.
Tutto il personale scolastico è tenuto a trasmettere agli studenti il senso e il valore della laicità, come
pure degli altri principi fondamentali della repubblica, nonché a vigilare sulla loro applicazione nel contesto scolastico. È altresì tenuto a portare la presente carta a conoscenza dei genitori degli studenti.
Il personale scolastico deve essere assolutamente neutrale: nell’esercizio delle proprie funzioni non deve pertanto esprimere le proprie convinzioni politiche o religiose.
La scuola è laica
Gli insegnamenti sono laici. Al fine di garantire agli alunni l’apertura più obiettiva possibile alle diverse
concezioni del mondo, nonché alla vastità e alla correttezza dei saperi, nessuna materia è esclusa a
priori dalla sfera scientifica e pedagogica. Nessun alunno può appellarsi a una convinzione politica o
religiosa per contestare a un insegnante il diritto di trattare una parte del programma.
Nessuno può invocare la propria appartenenza religiosa per rifiutare di conformarsi alle regole applicabili nella scuola della Repubblica.
Negli edifici scolastici pubblici, le norme di comportamento relative ai diversi spazi, specificate nel regolamento interno, sono rispettose della laicità. È vietato esibire simboli o divise tramite i quali gli studenti ostentino palesemente un’appartenenza religiosa.
Con le loro riflessioni e le loro attività, gli alunni contribuiscono a far vivere la laicità all’interno del
proprio istituto.
– Deve restare affissa per sempre?
– Sì! Qui la laicità è sacra!
– 23 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
4.
La Pastorale Scolastica nella stagione dell’autonomia
delle istituzioni scolastiche
La legge dell’autonomia scolastica (L. 59/1997; Dpr 275/1999) prevede l’autonomia
didattica e organizzativa e, di conseguenza, una collaborazione sempre più ampia delle
istituzioni scolastiche con il territorio, che possono essere coinvolte nell’elaborazione del
curricolo e del Piano dell’Offerta Formativa.
La pastorale scolastica attuale deve far leva anzitutto su famiglie che vogliano sentirsi corresponsabili anche dell’educazione scolastica dei figli e su comunità cristiane che sappiano
dialogare e interagire con le scuole presenti nel territorio. Il rapporto tra scuola e famiglia
deve essere ridisegnato, a partire da una nuova collaborazione reciproca. Si è sviluppata
così la prassi dei “patti formativi” («patto educativo di corresponsabilità», introdotto
dall’art. 5-bis dello Statuto delle studentesse e degli studenti, modificato dal Dpr 235 del
21/11/2007). «L’introduzione del patto di corresponsabilità è orientata a porre in evidenza
il ruolo strategico che può essere svolto dalle famiglie nell’ambito di un’alleanza educativa
che coinvolga la scuola, gli studenti ed i loro genitori ciascuno secondo i rispettivi ruoli e
responsabilità» (CM 31/07/2008). In questo snodo può e deve rendersi presente la comunità cristiana, eventualmente anche con specifici progetti formativi, da suggerire al collegio
docenti e inserire nel POF (Piano dell’offerta formativa).
L. PATI, «Famiglia e scuola dell’autonomia. Dalla partecipazione alla corresponsabilità» in Notiziario
dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università 2/2003, pp. 25-37
(anche: http://www2.db.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_cei/2003-03/19-19/mm_Pati.pdf)
M. ASTA, La comunità cristiana e la costruzione dei progetti formativi, in Orientamenti pastorali 12/2006,
pp. 29-35
B. STENCO, «La pastorale diocesana della scuola oggi», in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la
scuola e l’università 2/2006, pp. 50-58
da: L. PATI, Famiglia e scuola dell’autonomia. Dalla partecipazione alla corresponsabilità, in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università 2/2003, pp. 25-37.
La corresponsabilità educativa è elemento concettuale da collegare alle istanze della partecipazione e
della cooperazione. Tutte e tre insieme possono aiutare la scuola a delinearsi sempre più come comunità educante, interessata al diretto e significativo coinvolgimento della famiglia.
La partecipazione scolastica sancita dai Decreti Delegati del 1974 emerge soprattutto come strumento
metodologico mediante il quale si cercò d’incanalare le tendenze conflittuali delle famiglie alternative al
funzionamento della realtà scolastica, nella direzione della ricerca del consenso. Strettamente collegata a ciò
appare l’altra preoccupazione posta alla base della Legge Delega: determinare formalmente l’ingresso dei
genitori nella scuola e presentare loro il progetto scolastico, formulato dagli insegnanti, concernente il processo d’istruzione/educazione degli alunni.
I Decreti Delegati, insomma, sancirono la formalizzazione dell’incontro tra due realtà istituzionali sino
ad allora scarsamente collegate. Di esse, una (la scuola) era tenuta a mettere al corrente l’altra (la famiglia)
circa quanto aveva progettato e intendeva perseguire per sostenere il divenire del figli/alunni.
Il contesto socio-politico-culturale del tempo non fu estraneo all’emergere e radicarsi di un certo tipo di
valutazione della presenza dei genitori nella scuola da parte di insegnanti e dirigenti scolastici. Nella fattispecie, rinforzò l’idea che l’ingresso dei genitori nella scuola fosse ispirato dall’intento ideologico di gruppi
di persone d’intromettersi in maniera indebita nel campo educativo-didattico. Ciò motivò l’insorgere negli
insegnanti di atteggiamenti di circospezione e di diffidenza verso i genitori. Si ha l’impressione, soppesando
la situazione trascorsa e quella attuale, che tra insegnanti e genitori non è stato possibile costruire un sia pur
fragile ponte pedagogico.
Negli anni Settanta e Ottanta gli ostacoli al processo di partecipazione tra genitori e insegnanti sono scaturiti soprattutto dalla concezione asimmetrica, complementare del rapporto partecipativo. La scuola, collocata in posizione di dominanza, ha valutato la famiglia come semplice utente, limitandosi a metterla al cor-
– 24 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
rente delle decisioni assunte in maniera discrezionale circa la progettazione e la conduzione del processo di
insegnamento/apprendimento degli alunni.
Nel 1997 il diffuso anelito ad una modificazione del sistema scolastico trova sbocco programmaticoprogettuale in campo politico-istituzionale con l’emanazione della legge n. 59. Questa con l’art. 21 introduce
anche nel sistema scolastico il principio dell’autonomia. Fino ad oggi non ci sono state riformulazioni degli
ordinamenti concernenti la composizione degli Organi Collegiali della scuola.
Con l’espressione di cooperazione l’enfasi è posta sul ruolo attivo dei genitori, sul loro concorso in termini di operatività nel campo dell’istruzione/educazione scolastica. Il rapporto tra scuola e famiglia sembra
subire una modificazione significativa, passando da un modello di complementarità delle posizioni ad uno
segnato dalla reciprocità. Si auspica che famiglia e scuola si pongano sullo stesso piano allo scopo di agire
nel miglior modo.
Il possibile patto formativo tra scuola e famiglia va chiarito alla luce di opportune precisazioni circa la
ridefinizione dei ruoli e delle funzioni delle due istituzioni chiamate a partecipare. La famiglia, stante il suo
primato costituzionale (art. 30) nei campi dell’istruzione e dell’educazione, ha da concorrere affinché
l’azione della scuola si contraddistingua sempre più in termini di efficienza e di efficacia.
Famiglia e scuola come si percepiscono reciprocamente? L’esame del dato di realtà permette di sottolineare i due seguenti aspetti.
a) La scuola continua a valutare la famiglia come l’elemento primario da chiamare in causa, quando si
passa a mettere in luce i fattori eziologici dei disturbi comportamentali e delle difficoltà di apprendimento
dei minori.
b) La famiglia tende a valutare la scuola come semplice luogo di trasmissione e di rielaborazione culturale, mostrandosi restìa a riconoscere alla medesima una forte incidenza sul divenire educativo della personalità minorile. In tal modo, omette di considerare che il processo d’istruzione procede di pari passo con quello
di educazione e che proprio per questo la scuola esige di essere rivalutata nella sua azione e nella sua organizzazione esperienziale.
Anziché il principio della corresponsabilità educativa tra famiglia e scuola, quindi la ricerca comune di
soluzioni e di nuove possibilità d’intesa, spesso prevale il rifiuto delle responsabilità. Presso genitori e insegnanti è carente la cultura della partecipazione, atta a far capire ai medesimi che il dialogo continuo tra famiglia e scuola deve diventare una prassi quotidiana.
Il principio della corresponsabilità legittima ulteriormente la partecipazione e la cooperazione tra famiglia e scuola, collocandoli in una prospettiva squisitamente pedagogica. L’educazione del figlio/alunno è il
terreno su cui il rapporto di partecipazione tra scuola e famiglia è da progettare e strutturare, alla luce di
una chiara e consapevole idea di cooperazione e di corresponsabilità. Ciò significa che, nella scuola della
partecipazione cooperativa e corresponsabile, genitori e insegnanti possono e devono agire all’insegna dello
scambio di contributi, alternativo alla delega e all’autosufficienza.
Come la scuola non può essere sottostimata in riferimento alla sua specificità operativa, che possiamo
riassumere con l’espressione di luogo di elaborazione e di trasmissione culturale, così la famiglia non può
essere sottovalutata per quanto concerne la sua responsabilità e competenza fondamentale: essere luogo primario e privilegiato di relazioni educative, al quale inerisce il diritto/dovere dell’educazione dei figli. In riferimento a ciò, va detto che la scuola educa mentre istruisce; la famiglia istruisce mentre educa.
Parlare di corresponsabilità tra famiglia e scuola significa porre l’accento su di un rapporto di reciprocità,
in virtù del quale un’istituzione non strumentalizza l’altra, non si occupa dell’altra, non prevarica sull’altra.
All’opposto, insieme decidono d’intraprendere un percorso collaborativo sotto il segno del riconoscimento
delle precipue competenze.
Quali valori possono essere condivisi da due istituzioni che ubbidiscono a differenti logiche di scelta e di
proposta educativa? La risposta, evidentemente, va ricercata in ciò che politicamente e culturalmente fonda
tanto la famiglia quanto la scuola pubblica di stato: la carta costituzionale. Da questa sono da desumere i
“significati di quadro” atti a dare vigore al patto educativo. Si pensi, per esemplificare, ai valori della persona, della libertà, dell’uguaglianza, della pari dignità, del bene comune, della solidarietà, della partecipazione.
L’interesse della scuola a coinvolgere la famiglia nel proprio andamento, avvalorandola […] giova: 1) a
orientare meglio in direzione educativa il processo d’insegnamento-apprendimento; 2) a dare il giusto peso
all’ambiente primario in cui l’alunno è inserito e vive; 3) a ricavare indicazioni precise circa il mutare dei bisogni educativi dei minori, dei genitori, della comunità locale.
Il postulare un rapporto di corresponsabilità tra scuola e famiglia non vuol dire tendere ad un legame interistituzionale idilliaco, privo di asperità e di motivi di attrito. Il riconoscimento di un tale stato di cose non
– 25 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
impone la rinuncia verso la ricerca della composizione delle differenze. All’opposto, sollecita a capire che il
rapporto tra genitori e insegnanti non può essere conseguito una volta per tutte: esso va costruito continuamente, giorno dopo giorno, mediante un costante lavoro di confronto, dialogo, negoziazione. Indispensabile
mettere in atto forme di confronto e di dialogo interistituzionale mediante le quali, in riferimento all’obiettivo fondamentale da entrambe perseguito (la buona riuscita del minore) sia permesso identificare i modi attraverso i quali imparare a “governare il conflitto” e muoversi nella linea dell’integrazione educativa.
La corresponsabilità tra scuola e famiglia diventa tanto più necessaria quanto più si radicano le due seguenti tendenze:
a) I genitori esigono una scuola che mostri di essere viepiù idonea ad educare sempre meglio le nuove
generazioni ad essa affidate. C’è in essi la consapevolezza che esiste uno stretto nesso tra processo scolastico
di formazione e affermazione sociale del singolo individuo.
b) Gli insegnanti tendono a circoscrivere con sempre maggiore accortezza i confini della loro professionalità, quindi a porre limiti ben definiti tra il proprio ruolo professionale e il compito educativo che inerisce
ai genitori. Proprio per tale ragione, essi faticano a dare conto ai genitori del loro operato.
Occorre prendere coscienza di un’urgenza fondamentale: famiglia e scuola, che nel definire la loro azione muovono da progetti particolari e differenti, sono chiamate ad elaborare un progetto comune.
da: M. ASTA, «La comunità cristiana e la costruzione dei progetti formativi», in Orientamenti pastorali 12/2006, pp. 29-35
1. Presupposto: l’autonomia scolastica.
L’attuale riforma della scuola si fonda sul principio dell’autonomia scolastica, affermata con la legge
59/97 e poi regolamentata con il DPR 275/99 (“Regolamento recante norme in materia di Autonomia delle
istituzioni scolastiche ai sensi dell'art. 21, della legge 15 marzo 1999, n. 59”). I due indirizzi fondamentali
che tale disciplina imprime all’educazione possono essere schematicamente indicati con i termini di flessibilità e integrazione. La flessibilità fa sì che la scuola non sia più governata in maniera centralistica né considerata come semplice funzione periferica di un progetto educativo statale. Ciascuna istituzione scolastica è
divenuta invece un vero e proprio soggetto autonomo, governato da un Dirigente incaricato di organizzare le
sue attività in maniera originale e creativa, con una quota dell’orario di lezione (attualmente fissata al 20%)
da strutturare in maniera opzionale. Con il termine di integrazione intendiamo invece indicare che alla scuola
non è più lecito chiudersi in un isolamento autoreferenziale. Si rende sempre più necessario invece creare
una rete di relazioni fra diverse agenzie formative e sedi istituzionali, al fine di garantire un’azione educativa
realmente efficace e non solo il meccanico svolgersi di programmi stabiliti dal ministero.
Con l’autonomia delle istituzioni scolastiche, ogni singola scuola dovrebbe rendersi capace di un continuo rinnovamento di se stessa, per garantire un’offerta formativa duttile, attenta al presente, rispondente alla
domanda di cultura che sale dalla società: in questo quadro, essa deve essere aperta al territorio, nella tensione continua a valorizzare le esperienze e le risorse locali. Tale apertura al territorio significa, in concreto,
raccordo con tutte le altre agenzie educative in esso presenti, le quali, dal canto loro, sono sollecitate ad offrire il loro specifico contributo per il bene dei nostri ragazzi e dei nostri giovani.
2. Significato e finalità del POF
Le scelte educative di ciascun istituto devono essere rese pubbliche nel cosiddetto Piano dell’Offerta
Formativa (POF). Il POF costituisce il documento che descrive l’identità culturale e progettuale di ogni singola scuola; in esso vengono illustrate le linee distintive dell’istituto, l’ispirazione culturale-pedagogica che
lo muove, la progettazione curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività. Attività
formative non direttamente appartenenti alle singole discipline scolastiche possono essere inserite nel POF
grazie al loro contributo alla formazione della persona.
L’elaborazione annuale dei Piani dell’Offerta Formativa offre a tutte le istituzioni scolastiche l’occasione
per dotarsi di percorsi formativi individualizzati e caratterizzanti che, pur aderendo agli obiettivi generali ed
educativi definiti a livello nazionale, raccolgono e rispondono alle esigenze del contesto culturale, sociale ed
economico in cui le scuole operano. Soggetti privati e istituzioni possono presentare progetti alle scuole, ritenuti validi dal punto di vista del contributo formativo, da inserire nella programmazione annuale. Vale la
pena sottolineare che il Regolamento dell’autonomia affida al Dirigente scolastico il compito di attivare i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio perché il POF rifletta le esigenze del contesto culturale: è facile osservare che la chiesa
presente nel territorio è anche una realtà istituzionale, culturale e sociale e pertanto sotto questi molteplici
aspetti è pienamente legittimata a dare il suo contributo alle scuole autonome presenti nel suo territorio, sia
nel momento della progettazione del piano globale che nel momento della attuazione di specifiche iniziative.
– 26 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
3. L’analisi del territorio e la “rete” educativa. Il ruolo della famiglie e della comunità cristiana
nella scuola.
La lettura del POF dovrebbe permettere alle famiglie e agli studenti di comprendere che la loro scuola ha
fatto propria la scelta di mirare alla formazione globale della persona, anche e soprattutto nella sua dimensione morale, a partire da scelte valoriali esplicite o implicite; che esiste quindi alla base del POF un progetto
educativo, che costituisce la linfa vitale capace di connettere tra loro i differenti spazi e tempi dell’azione
formativa ed educativa. Preoccupazione fondamentale di una scuola che vive ed opera nell’epoca della complessità deve essere quella di offrire non solo modelli, tecniche, metodi, strategie conoscitive ed operative,
ma anche convinzioni e valori da scoprire, riconoscere ed apprezzare, all’interno di un orizzonte di libertà
che è insieme metodo e valore.
Si tratta in breve di disegnare la “rete” necessaria perché il processo educativo sia efficace e di lavorare
insieme perché esso raggiunga i suoi obiettivi formativi.
• Il punto di partenza delle “rete” è certamente l’ampio contesto culturale che determina l’atmosfera in
cui si collocano la vita e ogni esperienza educativa, formale e non formale; contesto che costituisce il luogo
per eccellenza dell’educazione informale. È – in altre parole – la cultura del nostro tempo, dai media, ai luoghi di associazione sportiva e ricreativa, alla strada. Non si può non tener conto dell’ambiente in cui concretamente gli alunni (bambini/e, adolescenti, ragazzi/e) si trovano a vivere, se si vuole raggiungere un successo
formativo qualificato.
• Poi viene evidentemente la scuola, come espressione della dimensione istituzionale pubblica rivolta
all’istruzione-educazione della persona. La scuola è chiamata ad essere un luogo di incontro tra esperienze e
visioni della vita, poste criticamente a confronto per generare una cittadinanza condivisa e far maturare
l’identità personale e culturale. Al di là delle imprescindibili competenze disciplinari specificamente richieste
per ciascun ordine e tipo di scuola, è possibile ed auspicabile individuare competenze che una singola istituzione scolastica intende promuovere a partire da scelte legittime e dal fabbisogno del territorio.
• Alla famiglia spetta un ruolo centrale: oggi essa è investita ancor più del compito di essere il luogo in
cui si genera l’identità e dove si esprime in pienezza la dimensione personale dell’atto educativo. Il ruolo
delle famiglie nella scuola non va né sopravvalutato né svilito. I genitori non possono né devono colmare le
insufficienze della scuola; ma d’altro canto – ed il caso è molto più frequente – non possono neppure demandare alla scuola il loro ruolo di educatori primari dei propri figli. Sono invece chiamati ad esprimere le loro
legittime preferenze formative non solo scegliendo per i propri figli questa o quell’altra istituzione scolastica,
ma anche intervenendo nei modi e nei tempi previsti per orientare le opzioni delle scuole. In questa linea, si
può dunque auspicare una presenza più audace e consapevole delle famiglie cristiane negli organi di rappresentanza (presso i consigli di classe e di istituto), per far sentire anche la voce dei credenti, e non lasciare negligentemente che siano sempre altri a scegliere l’orientamento da conferire alla formazione delle nuove generazioni.
• In questa “rete” possiamo chiedere che sia riconosciuto un posto specifico anche alla comunità ecclesiale. Non si tratta di riprendere degli spazi di potere o di voler manipolare le coscienze malleabili dei più
piccoli. Anzitutto, c’è la consapevolezza che la visione cristiana del mondo, ancora largamente diffusa presso
il popolo italiano, è capace di offrire all’educazione del cittadino maturo e responsabile un suo contributo
specifico ed apprezzabile anche da coloro che non hanno in comune con noi la fede cristiana, o almeno non
la praticano. Si tratta della nostra antropologia compiuta, che propone una visione dell’uomo comprensiva di
tutte le sue dimensioni e che può, per questo, farsi paradigma di una educazione piena. Se le famiglie cristiane sono chiamate ad un rinnovato sforzo di presenza, anche le comunità cristiane – che certamente non possono rivendicare spazi privilegiati nella scuola pubblica – possono rendersi presenti in vario modo nel mondo
della scuola.
4. Il POF di una scuola cattolica: opportunità di presenza per la comunità cristiana
In primo luogo, le scuole cattoliche sono chiamate oggi a riscoprire la loro originaria vocazione educativa. Esse possono, grazie all’autonomia scolastica, presentare dei POF realmente ispirati al pensiero cristiano,
elaborandoli attraverso l’azione congiunta di una dirigenza illuminata e credibile, di un corpo docenti selezionato e qualificato, che condivida cordialmente la visione cristiana della vita, e delle famiglie realmente
interessate alla formazione umana e cristiana dei propri figli. Non si tratta di formulare proclami tanto generosi quanto generici sulla “ispirazione cristiana della scuola”, ma di introdurre progetti significativi, esperienze qualificanti – ad esempio esperienze di servizio, di apertura alla mondialità, di formazione alla responsabilità etica – che possano incidere in maniera consistente sugli alunni.
La mediazione culturale dell’educazione scolastica impone perciò di non limitarsi dunque a celebrazioni
convenzionali o liturgie di inizio anno (che in ogni caso, qualora vengano adeguatamente curate, rivestono
– 27 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
un pregevole valore educativo), ma formulare una proposta formativa organica, in cui la componente della
fede costituisca piuttosto uno stile di fondo che uno specifico oggetto di attenzione. In una società che soffre
di una profonda carenza di valori capaci di giustificare l’esistenza e che, di conseguenza, espone i più giovani alla dispersione e all’insignificanza delle scelte, è grande il compito di una scuola che sappia sostenere il
processo attraverso cui il giovane elabora il proprio progetto di vita, lo accompagni nella ricerca e gli insegni
a leggere la realtà con categorie culturali capaci di illuminarla.
5. Il POF di una scuola di stato: ampi spazi di presenza se si rispettano le finalità educative della
scuola
Nettamente diversa – come ovvio – è la situazione nelle scuole statali o comunali, dove il ricorso alla
“laicità dello stato” viene regolarmente invocato (non sempre in modo fondato e pertinente) non appena si
faccia riferimento ad una appartenenza religiosa confessionale. Tuttavia, anche se non è certo possibile (né
forse auspicabile) curvare in senso esplicitamente cristiano i progetti formativi delle scuole, l’attuale normativa consente spazi di manovra preziosi che meriterebbero di essere adeguatamente riconosciuti e sfruttati
dalle comunità cristiane. Sia ben chiaro, non si tratta di fare pressione, come se la chiesa costituisse una lobby che cura i propri interessi di parte; al contrario, si vuol mettere a servizio di tutti, compresi i non credenti,
il patrimonio educativo di due millenni di storia di fede. Concretamente, come possono agire le comunità cristiane?
Alle scuole arrivano regolarmente le proposte più varie di progetti da inserire nel POF: corsi di fotografia
e di musica, sportelli di consulenza psicologica, interventi di prevenzione o sensibilizzazione proposti dalle
associazioni e istituzioni più diversificate (dall’Azienda Sanitaria Locale a Greenpeace a Emergency, ecc.). I
soggetti privati lo fanno, di norma, anche per ricavarne un profitto economico; gli enti pubblici piuttosto per
svolgere un servizio e come promozione delle proprie attività presso la popolazione studentesca. Ebbene, anche le parrocchie possono presentare le loro proposte di progetto, purché rispettino le finalità educative della scuola, ossia non siano “proposte di evangelizzazione” (che non rientra nelle finalità della scuola) ma proposte di formazione culturale e di educazione alla cittadinanza.
Il mondo della scuola è oggi particolarmente sensibile alla dimensione dell’interculturalità: tutto ciò che
parla di globalizzazione, mondialità, accoglienza del diverso, volontariato sociale, ecc. trova facilmente una
buona accettazione. Una parrocchia può attivare ad es. un progetto di gemellaggio con una realtà missionaria, sottolineando la dimensione di promozione umana e sensibilizzando al volontariato, ecc. Altrettanto interessante potrebbe essere l’offerta di un intervento di prevenzione delle tossicodipendenze, o la proposta di
aprire uno servizio di consulenza psicologica, o alcuni incontri sul tema del dialogo generazionale tra genitori e figli; simili proposte, se organizzate con professionisti laici di riconosciuto valore e però vicini alla parrocchia o alla Chiesa in genere, possono raccogliere un diffuso consenso ed interesse. O ancora, si possono
pensare iniziative di tutela artistica, come l’adozione di un monumento sacro o la pulizia del quartiere, ecc.
Non si tratta solo di avere fantasia: occorre capire le esigenze del territorio e cosa può coinvolgere i concreti
alunni della scuola (e le loro famiglie). Difficilmente saranno presi in considerazione progetti autoreferenziali o finalizzati alla parrocchia stessa (tipo: servizio di animazione nell’oratorio, ecc.).
In che modo si può concretamente entrare a far parte di un POF? È possibile inviare i propri progetti anche direttamente alle segreterie scolastiche o ai dirigenti scolastici, ma in tal caso è improbabile che essi
vengano accolti. Infatti ogni progetto deve essere poi presentato al collegio dei docenti e riceverne
l’approvazione. Senza un insegnante che si faccia promotore dell’iniziativa ben difficilmente tale procedura
giunge a buon fine. Pertanto qui entrano in gioco i docenti cristiani: gli insegnanti di religione in primo luogo, ma non solo loro. Un progetto ben elaborato può essere presentato da qualsiasi insegnante, che dichiari di
volersi servire della collaborazione esterna della parrocchia o di altra istituzione ecclesiale. In tal modo le
porte della scuola, altrimenti piuttosto blindate, possono aprirsi con fiducia e generosità insospettate.
6. La sfida di una presenza professionalmente qualificata e culturalmente mediata: testimonianza
sì, catechesi no.
Tutto quanto finora esposto è realmente praticabile nella scuola dell’autonomia, senza ledere il diritto di
nessuno e senza varcare i limiti del lecito in un ambiente pubblico e delicato come la scuola. L’essenziale è
che la scuola non venga considerata impropriamente “terra di missione”, ovvero spazio da recuperare ad una
più o meno larvata catechesi. La fede cristiana ha anche una storia culturale e un patrimonio educativo che
non teme confronti: queste sono le chiavi che consentono di attivare una presenza totalmente legittimata dei
cristiani nella scuola.
È lo spirito di servizio che deve guidare le iniziative ecclesiali indirizzate al mondo della scuola: servire
gli alunni offrendo gli strumenti per decifrare il patrimonio culturale che, in Italia come in tutta Europa e forse anche oltre, risulta incomprensibile senza gli strumenti ermeneutici offerti dalla fede cristiana, donando il
– 28 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
proprio contributo per formare nuove generazioni aperte ai valori di solidarietà, condivisione, responsabilità
ecc. che costituiscono patrimonio non esclusivo, ma certamente caratteristico dell’etica cristiana. Infine – ma
non è elemento da poco – la fede costituisce da sempre un risorsa generatrice di senso, capace di convogliare
le migliori risorse dei giovani verso l’impegno di vita, superando la serpeggiante tentazione di affidare la
propria vita al caso e al qualunquismo. L’ambiente scolastico può essere recettivo dinanzi a forme di testimonianza cristiana capace di accendere slanci ideali e senso di responsabilità. Non si può fare catechesi a
scuola, perché il luogo proprio della trasmissione della fede è appunto la comunità cristiana; ma offrire la
propria testimonianza è possibile, a patto che essa sia mediata e rispetti le finalità educative proprie
dell’istituzione scolastica.
7. Le possibili interazioni tra comunità scolastica e comunità cristiana: intersezioni, ricadute reciproche
La scuola sta facendo propria in forme nuove la consapevolezza di non essere l’unico luogo educativo;
coscienza che la chiesa, in maniera analoga, ha maturato a sua volta. In questo orizzonte si colloca l’impegno
a valorizzare anche all’interno del percorso scolastico le conoscenze e le abilità acquisite nell’educazione
non formale e informale. Il progetto educativo della scuola è chiamato ad accogliere questi contributi esterni
nella elaborazione del Piano dell’offerta formativa, per obbedire al principio della personalizzazione.
La Chiesa esprime la stessa consapevolezza di non autosufficienza quando nei programmi pastorali usa
l’espressione “pastorale integrata”, ossia una modalità di evangelizzazione che richiede una sinergia nuova
tra le varie realtà ecclesiali presenti nel territorio.
Sembra dunque legittimo auspicare che le comunità cristiane, nel momento in cui elaborano progetti pastorali per le nuove generazioni, sappiano valorizzare gli esiti dell’educazione scolastica e le competenze ivi
acquisite: i giovani che frequentano il catechismo o le associazioni sono anche alunni che godono dei benefici provenienti dal loro impegno scolastico (non esclusa l’«ora di religione», forse troppo ingiustamente vituperata). Ma d’altro canto e specularmente, sarebbe bene che anche le scuole, alla luce dei principi di flessibilità e di personalizzazione, apprendessero a riconoscere le competenze acquisite nei percorsi educativi ecclesiali. Gli insegnanti di ogni disciplina si trovano in classe alunni che hanno fruito di una educazione e
formazione, spesso preziosa e fruttuosa, da parte della comunità credente. Quando la scuola sarà più consapevole di questo non trascurabile contributo da parte della Chiesa, sarà anche più propensa ad accogliere la
presenza dei credenti all’interno delle mura scolastiche: una presenza qualificata, articolata e strutturalmente
inserita nei POF. In questo modo si realizzeranno in contesti concreti, seppur diversificati, vere e proprie “alleanze educative”, per il bene delle nuove generazioni.
Questa proposta non vuole mettere in discussione il contesto pluralista della scuola di oggi e tornare a
proporre una “religione di stato” o una “catechesi scolastica”. Anzi, proprio una onesta considerazione del
pluralismo rende urgente l’elaborazione di piani dell’offerta formativa in cui cresca l’attenzione per le richieste di educazione rispettose delle convinzioni religiose e filosofiche delle famiglie e dei percorsi dei singoli
alunni.
da: B. STENCO, «La pastorale diocesana della scuola oggi», in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università 2/2006, pp. 50-58.
Va individuata anche in chiave pastorale la possibile “novità” dell’autonomia in quanto essa, ridisegnando progressivamente la scuola nel contesto del territorio, propone un’ottica nuova e nuovi appelli per la
missione della Chiesa nei confronti della scuola considerando soprattutto il principio della sussidiarietà. Essa non può più considerarsi un ufficio periferico della pubblica amministrazione statale, ma sempre più
servizio della società civile. La Chiesa stessa è parte della società civile e del territorio e offre la sua collaborazione. Si tratta di un dialogo che occorre rendere stabile. Si tratta di:
– riconoscere il soggetto primo della pastorale della scuola: la comunità ecclesiale e le sue articolazioni nel
territorio (le parrocchie);
– riconoscere che al centro dell’attenzione vanno posti i soggetti titolari dell’educazione e dell’educazione
scolare (genitori, studenti, docenti);
– riconoscere che la soggettività ecclesiale e civile del laicato cattolico impegnato in campo educativo trova
un momento significativo nelle sue strutture associative ed è un aspetto costitutivo della pastorale della scuola;
– riconoscere il ruolo peculiare dell’IRC e anche della scuola cattolica come espressioni della elaborazione
culturale ed educativa della fede della comunità cristiana;
– riconoscere che tutto ciò richiede un agire in rete e quindi secondo una linea di “pastorale integrata” con
gli altri settori pastorali.
– 29 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Il seguente prospetto riassume le modalità con cui una parrocchia o altra realtà associativa può presentare
efficacemente un progetto scolastico, rispettando l’autonomia delle scuole ed entrando in una logica di servizio alla scuola stessa. Lo schema è stato elaborato dalla Diocesi di Roma nell’as 2007-2008 e diffuso tra le
parrocchie e le associazioni laicali di fedeli. Nonostante il numero dei progetti scolastici sia diminuito negli
ultimi anni, soprattutto a causa dei tagli ai finanziamenti, nondimeno lo schema risulta ancora valido.
Cosa è e come si fa un PROGETTO SCOLASTICO
1. Cosa è l’autonomia scolastica?
In base alla legge 59/1997 le scuole godono di una autonomia amministrativa che consente loro di elaborare
una proposta formativa personalizzata.
2. Cosa è un POF?
Il Piano dell’offerta formativa (POF) è la “carta d’identità” della scuola: in esso vengono illustrate le linee
distintive dell’istituto, l’ispirazione culturale-pedagogica che lo muove, la progettazione curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività.
3. Cosa significa «presentare un progetto da inserire nel POF»?
L’elaborazione annuale dei Piani dell’Offerta Formativa è l’occasione per le istituzioni scolastiche di dotarsi
di percorsi formativi individualizzati e caratterizzanti che, pur aderendo agli obiettivi generali ed educativi
definiti a livello nazionale, raccolgono e rispondono alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico in cui le scuole operano. Soggetti privati e istituzioni possono presentare progetti alle scuole, ritenuti validi dal punto di vista del contributo formativo, da inserire nella programmazione annuale.
4. Quali possono essere i progetti interessanti?
Alle scuole arrivano regolarmente le proposte più varie: dal corso di fotografia a quello di musica, oppure gli
interventi delle associazioni e istituzioni più diversificate (dalla Asl a Greenpeace a Emergency ecc.). I soggetti privati lo fanno, di norma, anche per ricavarne un profitto; gli enti pubblici piuttosto per svolgere un
servizio e come promozione delle proprie attività presso la popolazione studentesca. Anche le Associazioni
cattoliche possono presentare le loro proposte di progetto, purché rispettino le finalità educative della scuola, ossia non siano “proposte di evangelizzazione” (che non rientra nelle finalità della scuola) ma proposte di
formazione culturale e di educazione alla cittadinanza.
5. Chi presenta i progetti?
È possibile inviare un progetto anche direttamente alle segreterie scolastiche o i dirigenti scolastici, ma in tal
caso è improbabile che detto progetto venga accolto. Infatti ogni progetto deve essere poi presentato al collegio dei docenti e riceverne l’approvazione. Senza un insegnante che si faccia promotore dell’iniziativa ben
difficilmente tale procedura giunge a buon fine.
6. Quando vanno presentati i progetti?
Di norma, entro la fine dell’anno scolastico, perché possano diventare operativi nell’anno scolastico successivo. In pratica, per riuscire a fare un progetto nel 2008-’09, bisogna che il progetto sia totalmente formulato
e proposto entro aprile o maggio 2008. Una iniziativa proposta ad es. ad ottobre non ha nessuna speranza di
essere presa in considerazione per il corrente anno scolastico.
7. Quali temi risultano più interessanti?
Il mondo della scuola è oggi particolarmente sensibile alla dimensione dell’interculturalità: tutto ciò che parla di globalizzazione, mondialità, accoglienza del diverso, volontariato sociale, ecc. trova facilmente una
buona accettazione. Un’associazione può attivare ad es. un progetto di gemellaggio con una realtà missionaria, o di servizio sociale, sottolineando la dimensione di promozione umana e sensibilizzando al volontariato,
ecc. Altrettanto interessante può essere un intervento di prevenzione delle tossicodipendenze, o uno sportello
di consulenza psicologica o sul dialogo generazionale tra genitori e figli, se organizzato con professionisti
laici di riconosciuto valore e però vicini alla parrocchia o alla Chiesa in genere. O ancora, iniziative di tutela
artistica, come l’adozione di un monumento sacro o la pulizia del quartiere, ecc. Non si tratta solo di avere
fantasia: occorre capire le esigenze del territorio e cosa può coinvolgere i concreti alunni della scuola (e le
loro famiglie). Difficilmente saranno presi in considerazione progetti autoreferenziali o finalizzati
all’Associazione stessa (tipo: servizio di animazione per le attività formative, ecc.).
– 30 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
8. Come può un parroco / responsabile di Associazione agire concretamente?
Sarebbe auspicabile che ogni responsabile locale attivasse in primis un contatto con le scuole cattoliche, in
cui è più facile accedere. Poi un analogo lavoro si può pensare contattando i dirigenti scolastici delle scuole
statali, individuando sia il grado (primarie, medie e/o superiori?) che il tipo di scuola (ad. es.: professionali?
tecnici? licei?...) a cui ci si vuole indirizzare. Una via di accesso preziosa può essere quella degli insegnanti
di religione (IdR) o di altri docenti appartenenti all’Associazione stessa. Poi sarebbe desiderabile attivare una
rete stabile e permanente di collaborazione con gli IdR e gli altri insegnanti cattolici; saggiando la loro disponibilità – che non va data per scontata, ma può essere sollecitata – è possibile proporre alle scuole progetti
concreti. L’Ufficio Scuola può fornire indicazioni precise sugli IdR, ma non può contattare direttamente gli
insegnanti di altra disciplina.
9. Come si scrive un progetto?
Qui sotto viene presentato un modello standard (da modificare in base alle esigenze) di come formulare un
progetto da concordare con la curia diocesana e che possa essere ragionevolmente preso in considerazione da
un collegio docenti, in modo da realizzare un intervento pastorale strutturato in una scuola.
Carta intestata
dell’Associazione
o della Parrocchia
Luogo e data
Progetto di … (nome progetto)
Finalità
Il progetto dell’iniziativa deve essere descritto nelle sue finalità: ad esempio «intende
promuovere la sensibilità degli alunni al volontariato» ecc.
Descrizione
Si devono indicare le procedure operative: ad es. «servizio presso la mensa…», «formazione a…», ecc.. La descrizione deve essere più dettagliata possibile, indicando gli
obiettivi e le strategie prescelte.
Destinatari
Indicare il tipo di alunni coinvolti: ad es. «gli alunni del triennio superiore».
Modalità
Si deve specificare se le attività si svolgono in classe o in altra sede, quali sono gli
strumenti che servono o se li portate voi (ad es. videoproiettore, ecc).
Tempi
Specificare il tempo che l’attività comporta, soprattutto se ci sono incontri in orario
scolastico: ad es. «due incontri di due ore in orario scolastico, seguiti da due verifiche
pomeridiane di un’ora, per un totale di n. 6». Indicare anche se il progetto ha una
flessibilità (ad esempio un programma di massima con 4 incontri e uno di minima con
un incontro solo, ecc.).
Docenti coinvolti
Indicare se si chiede la partecipazione dell’Insegnante di Religione, o di quali altri. È
opportuno decidere se il progetto è proposto direttamente dall’insegnante (e
l’Associazione allora figura come «ente esterno collaborante» alle attività didattiche
ordinarie) oppure dall’Associazione in prima persona (in tal caso non è bene specificare su quale/i docente/i si intende fare affidamento).
Costi
I progetti a costo zero sono normalmente i meglio accetti; ma un modesto rimborso spese
(se giustificato) può essere giudicato come indizio di serietà. Tuttavia da parte di associazioni cattoliche sarebbe preferibile una attività gratuita.
Nell’as 2013-2014, al fine di semplificare l’organizzazione di progetti legati al volontariato e al servizio, la
Diocesi di Roma ha istituito un gruppo di coordinamento tra Caritas e Ufficio Pastorale scolastica. È disponibile un Vademecum che illustra le principali strutture caritative e fornisce i necessari contatti.
– 31 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
5.
La scuola cattolica
La scuola cattolica è luogo di educazione integrale della persona umana attraverso
un chiaro progetto educativo che ha il suo fondamento in Cristo. «Suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito
evangelico» (Gravissimum Educationis 8). Di per sé, dovrebbe essere la “prima scelta”
dei genitori cristiani per l’educazione dei figli (can. 798 CIC).
Si struttura come soggetto ecclesiale, luogo di autentica e specifica azione pastorale: condivide la missione evangelizzatrice della Chiesa ed è luogo privilegiato in cui si realizza
l’educazione cristiana. La sua comunità educante ha uno specifico stile educativo. La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha dedicato numerosi documenti a definire l’identità
e il servizio della scuola cattolica e il profilo dei suoi insegnanti (vedi bibliografia).
È chiamata a realizzare la sintesi tra cultura e fede. Svolge un servizio di pubblica utilità:
l’attuale assetto normativo in Italia («sistema nazionale di istruzione e formazione pubblico integrato»: legge 62/2000) prevede la compresenza di scuole statali e scuole paritarie
(non vanno definite “private”, perché svolgono un servizio pubblico!).
Un elemento critico è il profilo professionale del docente di scuola cattolica (di IRC o di altra disciplina): è decisivo che condivida l’antropologia cristiana e il suo progetto educativo.
→ Problema del turn-over accelerato dei docenti, che appena possibile preferiscono il
transito alla scuola statale per una maggior sicurezza economica.
→ Problema del finanziamento statale: la Costituzione (art. 33, § 3) prevede che «Enti e
privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato».
Alcuni interpretano l’articolo come un veto al finanziamento delle scuole cattoliche. Ma la
clausola “senza oneri per lo Stato” 10 si riferisce evidentemente all’“istituire”, non al “soste10
Il senso autentico della locuzione è facilmente deducibile dagli Atti dell’Assemblea Costituente. Nella seduta del 29
aprile 1947 [http://www.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/Assemblea/sed105/sed105.pdf] il democristiano Giovanni
GRONCHI (che fu poi il 3° presidente della Repubblica) si oppose all’aggiunta “senza oneri per lo stato”: «Non comprendiamo molto questa preoccupazione così bruciante che hanno i colleghi presentatori dell’emendamento, perché non
arriviamo a pensare utile, opportuno e necessario che non si crei alcun obbligo per lo Stato di venire in aiuto ad enti e
privati che intendono istituire scuole e istituti di educazione. Ma fo notare soprattutto ai colleghi, i quali sentono il valore delle scuole e degli istituti di educazione come strumenti di elevazione popolare, che è estremamente inopportuno
precludere per via costituzionale allo Stato ogni possibilità di venire in aiuto ad istituzioni le quali possono concorrere a
finalità di così alta importanza sociale…». Quando l’on. Epicarmo CORBINO chiese la parola, suscitò perplessità: «Lei è
un firmatario dell’emendamento; perché chiede di parlare?» – gli fu obiettato. E Corbino rispose così: «Vorrei chiarire
brevemente il mio pensiero. Forse, da quello che avevo in animo di dire, il collega Gronchi avrebbe capito che le sue
preoccupazioni sono infondate. Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa
diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare». Dopo la replica di Gronchi, il quale esprimeva il timore che «per
prevenzione contro queste ombre immaginarie di scuole confessionali che vanno a mendicare i mezzi della loro sussistenza allo Stato» la locuzione potesse «essere anche interpretata in senso assai più estensivo» (come, di fatto, purtroppo
sembra accadere oggi), l’on. Tristano CODIGNOLA aggiunse, a scanso di errori: «Dichiaro che voteremo a favore, chiarendo ai colleghi democristiani che, con questa aggiunta, non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato
a scuole professionali: si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene
chiarirlo» (Atti dell’Assemblea costituente, p. 3378). L’emendamento all’art. 33 fu approvato con 244 sì e 204 no.
Cfr anche C. BORTOLANI, Guida alla costituzione. Articolo per articolo, Zanichelli, Bologna 62002, pp. 147-149: «Dalla norma in esame deriva che lo Stato non ha il dovere di agevolare enti o privati che vogliono istituire o gestire scuole
(diversamente da quanto è previsto per il diritto al lavoro, nei confronti della famiglia, o in altri campi) ma non ha neppure il dovere di astenersi, nel senso che lo Stato può scegliere liberamente quale comportamento assumere a riguardo.
In altre parole, come non deriva nessun obbligo, così dal discusso comma dell’art. 33 non deriva alcun divieto se non
per quanto riguarda la fase iniziale, vale a dire il momento istitutivo della scuola gestita da enti o privati. […] Tale interpretazione sembra attualmente la più accreditata in base al principio che l’istruzione è un servizio pubblico e come
tale può essere gestito sia dallo Stato, sia da altri enti pubblici o privati. […] È da notare che in ogni caso eventuali contributi o agevolazioni di carattere generale destinati agli alunni (libri di testo, borse di studio, ecc.) non possono escludere allievi che frequentano scuole private riconosciute o pareggiate senza ledere il principio di uguaglianza dei cittadini».
– 32 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
nere” o “finanziare”: il diritto di istituire nuove scuole, riconosciuto costituzionalmente a
condizione di non gravare sul bilancio dello Stato, non comporta però affatto il divieto di
finanziare le scuole già istituite per retribuirle del pubblico servizio svolto. Solo l’Italia, tra i
paesi europei, non riconosce il servizio fornito dalle scuole cattoliche e non le finanzia, se
non in misura molto modesta 11. Gli alunni delle scuole cattoliche paritarie sono oltre un
milione, pari a quasi il 12% della popolazione studentesca, ma ricevono appena l’1% delle
risorse destinate alle scuole statali (cfr i Dossier a cura dell’AGeSC).
L’idea che le scuole cattoliche siano un “onere” per lo Stato è quindi smentita dai fatti. Di
fatto, il costo pro capite di un alunno nella scuola statale è molto più alto del costo di un
alunno di scuola cattolica: se tutti gli alunni di scuola cattolica passassero alle statali, lo
Stato dovrebbe sborsare una somma molto più elevata (vedi tabella sotto).12 In pratica, la
scuola cattolica fa di fatto risparmiare circa 6 miliardi di euro (calcolo sui dati del 2006).
COSTO STANDARD PRO CAPITE DEGLI ALUNNI NELLA SCUOLA STATALE E
CONTRIBUTI STATALI ALLA SCUOLA PARITARIA NEL 2006
Infanzia Primaria Secondaria I gr. Secondaria II gr.
Costo scuola statale
5.828
6.525
7.232
7.147
Contributi alla paritaria
584
866
106
51
Risparmio (stimato) per lo Stato
5.244
5.659
7.124
7.096
Per una conoscenza aggiornata della situazione della scuola cattolica in Italia, si può consultare il sito del
Centro Studi Scuola Cattolica (www.cssc.it). Il CSSC pubblica annualmente un dettagliato rapporto su questioni di particolare rilievo. Tra gli organismi, si menzionano la FISM – Federazione Italiana Scuole Materne
(www.fism.net), la FIDAE – Federazione Istituti di Attività Educative (www.fidae.it), l’AGIDAE – Associazione
Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica (www.agidae.it).
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica (1977)
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica - lineamenti per la riflessione e la revisione (1988).
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio (1997)
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare insieme nella scuola cattolica – Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici (2007)
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica.
Vivere insieme per una civiltà dell’amore (2013)
CEI, La scuola cattolica oggi in Italia (1983)
A. BASSO, «La scuola cattolica nella chiesa particolare. Il servizio dell’ufficio diocesano di pastorale della
scuola» in Notiziario dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università 2/2006, pp. 88-102
[DOC 4 – BASSO 2006]
CSSC – CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, A dieci anni dalla legge sulla parità. Scuola cattolica in
Italia. Dodicesimo rapporto, La Scuola, Brescia 2010 (specialmente le conclusioni generali, pp. 355-402).
G. RUSCONI, L’impegno - Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, cap. VI
11
La maggior parte dei paesi dell’Unione Europea finanzia il sistema scolastico non statale coprendo fra il 50 e l’80%
dei suoi costi; in sei paesi del Nord Europa il finanziamento supera l’80% e in Svezia arriva al 93% (dati forniti da Education at a Glance 2011). In Italia invece non arriva al 10% (cfr tabella del sul costo standard degli alunni e i contributi
statali).
12
La richiesta, recentemente avanzata dall’AGeSC, di ricevere un finanziamento statale pari al “costo standard” per
alunno è stata criticata come eccessiva da parte di alcuni studiosi del sistema scolastico (A. Gavosto), perché il calcolo
non terrebbe conto dei costi fissi per lo Stato (sistema informatico, personale dirigente, ecc.), che resterebbero immodificati se gli alunni delle paritarie passassero alle scuole statali. In ogni caso, anche se il calcolo di 6.000 € dovesse essere ritoccato come eccessivo, i contributi statali attualmente erogati attualmente alle scuole paritarie risultano del tutto
inadeguati alla realtà e rappresentano una deplorevole eccezione rispetto al panorama europeo.
– 33 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
G. RUSCONI, L’impegno - Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di
ogni giorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, cap. VI
CAPITOLO VI – LA CHIESA E LA SCUOLA PARITARIA CATTOLICA
I – Un’attenzione che viene da lontano
Le scuole medievali parrocchiali, vescovili, benedettine. Poi quelle domenicane, le altre di dottrina cristiana. Con la Controriforma le scuole dei Gesuiti, degli Scolopi, dei Cappuccini, dei Barnabiti, dei Somaschi… Più recentemente ecco le Scuole salesiane, dei Fratelli delle scuole cristiane, dei Maristi, delle Orsoline, delle Maestre Pie e di tante altre congregazioni… poi dei nuovi movimenti ecclesiali sviluppatisi nella
seconda metà del Novecento. Insomma da sempre la Chiesa considera l’educazione come uno dei fattori decisivi per una ‘vita buona’. Grande perciò l’attenzione per la prima educatrice, la famiglia; altrettanta per la
scuola, che necessariamente integra e amplia quanto proposto tra le mura di casa. Proprio in tempi incerti
come i nostri – in cui sia la famiglia che la scuola hanno perso parte della loro importanza oggettiva quali
agenzie educative e sono state affiancate da nuove realtà, spesso incontrollabili e di configurazione ambigua
– la Chiesa vuole nuotare controcorrente, richiamando con forza la necessità della sfida educativa, come confermato da Benedetto XVI nel Messaggio per la XLV Giornata mondiale della Pace e nel successivo discorso al Corpo diplomatico del 10 gennaio 2012.
L’Italia, grazie alla Legge 62 del 2000 (ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer), ha riconosciuto che la
scuole paritarie private (per circa due terzi cattoliche) fanno parte del sistema nazionale di istruzione. E,
nell’articolo 1 comma 9 della stessa legge, si legge che «al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie (…) lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento». Ovvero lo Stato si impegna a concretizzare la parità dichiarata. Riguardo ai modi e alla misura di tale concretizzazione registriamo due tra i tanti interventi del cardinale Angelo Bagnasco, presidente di
quella Cei che ha posto al centro degli “Orientamenti pastorali” per il secondo decennio proprio la questione
educativa. Così il porporato alla Rai (“A sua immagine”) il 14 novembre 2010: «È in questione la libertà
educativa: i genitori debbono essere liberi di offrire ai loro figli l’educazione che scelgono. Solo in Italia c’è
questo macigno, mentre in Europa le scuole paritarie sono dovunque finanziate. È una questione che dovrebbe essere affrontata e risolta con giustizia». Così durante la prolusione del 26 settembre 2011 davanti al
Consiglio permanente della Cei: «Alla classe politica e amministrativa chiediamo di dare ragione della centralità della scuola, con lucidità e lungimiranza, adottando decisioni di equità e di giustizia rispetto a tutte le
esperienze proficuamente attive, dalla scuola materna all’università, valorizzando anche il patrimonio della
scuola cattolica e sostenendo il diritto dei genitori di scegliere l’educazione per i propri figli. Senza considerare che ogni volta che una scuola paritaria è costretta a chiudere, ne deriva un aggravio economico per lo
Stato e una ferita per la scuola nel suo insieme». Una osservazione questa che non può non pesare se si vuol
affrontare con onestà e lungimiranza ad esempio la questione dell’imposizione del balzello detto Imu anche
alle scuole paritarie (vedi capitolo XX).
Secondo una elaborazione di dati – relativi all’anno scolastico 2011-2012 – da parte del Centro Studi
Scuola Cattolica (CSSC), le scuole paritarie cattoliche (comprese quelle definite di ‘ispirazione cristiana’, gestite da gruppi e da laici che si ispirano negli statuti ai principi del Vangelo) in Italia sono circa 9mila (su un
totale di scuole paritarie intorno alle 13.500). Come vivono le difficili contingenze attuali? Ecco un esempio,
che non pretende di essere rappresentativo dell’intero pianeta scolastico cattolico, ma è adatto per stimolare
una riflessione approfondita sul tema.
II – San Giovanni Evangelista: nuove sfide, maggior inserimento nel territorio
Roma, quartiere Nomentano-Italia, a ridosso del centro. Via Livorno si può imboccare da piazza Bologna: percorrendola, si incontra dapprima, sulla destra, la chiesa di Sant’Orsola, con annesso l’Istituto
Sant’Orsola, una scuola di qualità e di forte identità ciellina. Proseguendo, in fondo alla via ecco, sulla sinistra, l’Istituto San Giovanni Evangelista, accanto alla chiesa di S. Francesca Cabrini. Qui l’impegno è dei
padri maristi, appartenenti alla Società di Maria fondata agli inizi dell’Ottocento dal francese Jean-Claude
Colin (riconosciuta da Roma nel 1836). Come tante altre scuole paritarie anche il San Giovanni Evangelista
– che aprì le porte nel 1949 – si è venuto a trovare in questi ultimi anni in una condizione precaria sotto il
profilo finanziario, derivata in particolare dal calo degli iscritti ed anche dalla diminuzione dei religiosi- docenti. I Maristi però hanno deciso di scommettere sul suo avvenire, potenziandone e arricchendone l’identità
cattolica. Il rilancio è reso possibile anche dalla recente unificazione delle province mariste europee, dato che
tale ‘razionalizzazione’ delle risorse stimola rapporti più profondi tra le realtà scolastiche mariste in Europa e
nel mondo. Si tratta sotto quest’ultimo aspetto di inserire la scuola nella ricca rete internazionale dell’educazione marista; il che significa più gemellaggi, possibilità di interscambio di alunni e professori, opportunità –
grazie alle nuove tecnologie (tutte le aule sono state ‘cablate’, tutte sono in grado di avere una lavagna inte-
– 34 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
rattiva) – di collegarsi per seguire lezioni negli istituti ad esempio inglesi, irlandesi o tedeschi. Bisognerà
inoltre continuare a dare grande attenzione, per quanto riguarda gli aspetti ‘interni’, alla formazione continua
degli insegnanti, all’adeguatezza delle strutture, puntare all’‘ottimizzazione’ delle risorse. Nell’ambito del
rilancio è previsto anche un maggior inserimento nel territorio circostante, collaborando più strettamente
dapprima con la stessa parrocchia marista, poi con le autorità, con gli altri istituti, con la popolazione cui il
San Giovanni Evangelista propone tra l’altro la possibilità di praticare sui nuovi campi esterni e in palestra
vari sport.
Nel rafforzamento dell’identità cattolica del San Giovanni Evangelista crescerà l’attenzione alla persona:
quella, oltre che dell’insegnante, degli allievi cui si offrono una valorizzazione culturale e sociale del pomeriggio, e dei genitori cui si proporrà un percorso per sviluppare un linguaggio comune con i docenti. Auspicata anche una collaborazione più intensa con i molti universitari della zona di piazza Bologna. Insomma il
comitato di gestione (formato dai padri maristi, affiancati da alcuni consulenti e dal preside Francesco Loreti,
laico, che proviene da un istituto dei ‘cugini’, i Fratelli maristi) guarda al futuro con speranza, elaborando
idee portanti così che l’identità cattolica sia sempre più chiara, pur in un contesto scolastico aperto a tutti coloro che desiderino fruirne.
L’Istituto oggi è frequentato da circa 300 allievi: 64 nella scuola primaria, 54 nel grado medio, 70 nel liceo classico, 105 in quello scientifico. In quest’ultimo anno scolastico si è registrato un calo delle iscrizioni,
determinato da una parte dalla gravità della crisi economica, dall’altra anche da un cambio di indirizzo pedagogico teso a perseguire una qualità sempre migliore così da aprire ai ragazzi nuove strade. Una trentina i
docenti. Gli allievi provengono in prevalenza da un’area che comprende, oltre al quartiere Nomentano-Italia,
Montesacro e il Tiburtino. Quasi tutti sono cattolici, ma ci piace ricordare quanto accaduto in una quinta
elementare nel 2011: dopo il ‘Padre nostro’ iniziale, risuonava sempre anche lo Shemà Israel, breve preghiera liturgica recitata da uno scolaro di religione ebraica. Da notare le due lingue straniere scelte: inglese (dalla
scuola primaria) e spagnolo.
Come su tante altre scuole paritarie, in particolare quelle cattoliche, grava poi anche sul San Giovanni
Evangelista il nuovo, contestato e per alcuni anticostituzionale obbligo di pagare quella tassa chiamata Imu.
Il che toglie il sonno ai gestori e che potrebbe ripercuotersi pesantemente anche sulle rette scolastiche.
III – Uno sforzo ecclesiale che fa risparmiare allo stato quattro miliardi e mezzo l’anno
Le scuole paritarie cattoliche in Italia sono oggi circa 9mila, come si diceva citando il rapporto La scuola
cattolica in cifre. Anno scolastico 2011-12, curato dal CSSC della Conferenza episcopale italiana: 6610
dell’infanzia, 1130 di grado primario, 591 secondarie di primo grado, 621 secondarie di secondo grado. Sono
circa due terzi del totale delle scuole paritarie. Gli allievi delle scuole cattoliche si aggirano attorno ai
730mila. I dipendenti sono circa 90mila. Si noterà che il 60% degli allievi della scuola cattolica frequenta la
scuola materna, il 20% quella primaria, il 10% quella secondaria di primo grado, un altro 10% la secondaria
di II grado. Ancora un dato molto significativo: nel settembre 2011 sono state circa 600 le scuole che non
hanno riaperto i battenti.
Dal 2002 le sovvenzioni dello Stato per il settore paritario (oltre un milione di allievi) sono state mediamente poco più di 500 milioni di euro l’anno (497 milioni nel 2011, 483 nel 2012, ma versate solo in parte). Per il settore delle scuole statali (allievi circa 8 milioni) lo Stato versa oggi una cifra attorno ai 50 miliardi di euro. Una spesa legittima e giustificata dall’importanza che lo Stato deve dare alla sua scuola: e qui si
comprende come ogni ‘taglio’ sia percepito dolorosamente da tanti cittadini. Resta il fatto che in media ogni
allievo di scuola statale costa allo Stato una somma più di dieci volte superiore a quello del coetaneo iscritto
a una scuola paritaria. Ciò emerge da dati incrociati di varie fonti: Miur, Cssc, Istat, Ocse su dati 2003, Censis, Agesc. Utile anche il capitolo scritto da don Francesco Macrì, presidente della Federazione istituti attività educative (Fidae) nel XII Rapporto del Cssc; parimenti interessante il dossier “La Scuola cattolica paritaria” del 2010 della Conferenza episcopale del Triveneto.
In questi ultimi due documenti sono contenuti dati particolarmente significativi riguardo al risparmio per
lo Stato costituito dalla presenza delle scuole paritarie. Lo quantifica il 2 gennaio 2012 in un’intervista a La
Stampa Maria Grazia Colombo, presidente dell’Associazione genitori scuole cattoliche (AGESC): lo Stato
risparmia annualmente e complessivamente 6.245 milioni di euro grazie alle paritarie, di cui 3.436 milioni
nella scuola dell’infanzia, 1202 nella primaria, 496 nella secondaria di primo grado, 1100 nella secondaria di
secondo grado. In effetti per ogni allievo della scuola statale dell’infanzia lo Stato spende 6.116 euro contro
584 per allievo che frequenta la scuola paritaria; nella scuola primaria a 7366 euro se ne contrappongono
866, nella secondaria di primo grado a 7688 se ne contrappongono 106, nella secondaria di secondo grado a
8108 se ne contrappongono 51. Anche nel citato dossier della Conferenza episcopale del Triveneto si leggono raffronti interessanti, fondati sulla realtà locale, che confermano il rapporto da uno a dieci tra le sovven-
– 35 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
zioni statali per l’iscritto alla scuola paritaria dell’infanzia e quella per il coetaneo che frequenta la corrispondente scuola statale. Da ricordare ancora che alcune Regioni e Comuni sovvenzionano di propria volontà le scuole paritarie in varia forma (vedi i ‘buoni-scuola’), sebbene l’aiuto sia in genere finanziariamente
modesto.
Per negare la legittimità del finanziamento statale alle scuole paritarie spesso si cita il comma 3 dell’articolo 33 della Costituzione italiana: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Qui sarebbe utile scorrere il resoconto della seduta dell’Assemblea Costituente del 29 aprile 1947, rileggendo la risposta data dal proponente, il liberale Epicarmo Corbino, a una
obiezione di Giovanni Gronchi sull’emendamento all’articolo 33: «Noi non diciamo che lo Stato non può intervenire mai in favore degli istituti privati, diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare».
Balza evidente all’occhio un altro fatto innegabile: il genitore di un iscritto alla scuola paritaria paga ogni
anno una doppia retta scolastica. Da cittadino-contribuente ne versa una allo Stato tramite le tasse; da genitore un’altra all’Istituto frequentato dal figlio. Giusto?
In conclusione: da quanto appare, nel rapporto tra Stato e scuola paritaria si prefigura una sorta di applicazione del principio di sussidiarietà al contrario, nel senso che sono le scuole paritarie ad aiutare finanziariamente lo Stato, per non meno di sei miliardi di euro annui. Tra le scuole paritarie quelle cattoliche sono la
maggioranza, attorno ai due terzi . Ne consegue che nel settore educativo, essenziale per il futuro della Nazione, la Chiesa con le ‘sue’ scuole paritarie sostiene in misura importante lo Stato (e dunque l’intera comunità) anche sotto l’aspetto finanziario (oltre che valoriale), facendogli risparmiare ogni anno circa
4.500.000.000 di euro.
Ci piace chiudere questo capitolo con una riflessione d’annata… ma quanto mai attuale! La firma è quella del cardinale Carlo Maria Martini, che il primo dicembre 1998 rilevava in una ‘Nota’: «Oggi assistiamo
spesso a un esacerbarsi degli animi, a un crescendo di pregiudizi contro la scuola cattolica e a una sorta di
spontanea e insuperabile avversione verso ogni proposta di provvedimenti tesi a sostenere anche le scuole
pubbliche non statali. (…) La Chiesa, col suo agire, difende una concezione pluralistica dello Stato, fondata
sul principio della sussidiarietà. Tale concezione sarebbe ferita se prevalesse, di fatto, un monopolio assoluto
dello Stato in campo scolastico. Se la scuola cattolica sarà costretta a chiudere, ne scapiteranno quei principi
democratici che sono meglio promossi in un sistema integrato, come mostra l’esempio di tanti Paesi europei».
Carlo card. CAFFARRA, Educare: una responsabilità, un compito, una gioia (3.V.2010)
La seguente conferenza chiarisce il senso dell’educazione in una scuola cattolica: «il rapporto educativo dal
punto di vista della fede cristiana […] si istituisce quando l’educatore fa alla persona educanda la proposta
cristiana della vita».
[Sottopongo] alla vostra riflessione alcune considerazioni che prendono spunto dalla Carta formativa
della Scuola cattolica dell’Infanzia, un documento che ho pubblicato nel settembre scorso.
1. Essenzialmente il rapporto educativo è un rapporto fra un’autorità ed una libertà. Il contenuto di questo rapporto è costituito dall’offerta di una proposta di vita fatta dalla persona autorevole alla persona in formazione. Che cosa si intende per «proposta di vita»? Se paragoniamo la vita alla costruzione di un edificio,
ciò che è il progetto per l’edificio è la «proposta di vita» (che costituisce il contenuto del rapporto educativo)
per la persona educanda.
In queste semplici osservazioni è racchiuso tutto: il compito, la responsabilità, la gioia di educare. Ma
anche i gravi problemi.
2. Esistono alcuni presupposti che implicitamente o esplicitamente devono essere ammessi dall’educatore, altrimenti la relazione educativa non può neppure essere istituita, o rischia comunque di isterilirsi.
• La libertà ed il suo esercizio non è un assoluto al di sopra del quale e prima del quale non esiste nulla. Mi
spiego con un esempio molto semplice. Hitler e Madre Teresa hanno vissuto secondo un progetto esistenziale liberamente scelto e realizzato. Sono sicuro che nessuno di voi però pensa che sia la vita di Hitler
che la vita di Madre Teresa meritano lo stesso giudizio, dal momento che ambedue erano liberamente vissute. L’esempio ci fa capire una cosa di fondamentale importanza. Esistono progetti di vita buoni e progetti di vita cattivi. O – il che equivale – esiste una verità circa ciò che è bene e ciò che è male, che precede l’esercizio della nostra libertà e in base alla quale esso è giudicato. Perché una persona si assume il
compito e la responsabilità di fare ad un’altra una precisa proposta di vita? Perché ritiene che questa pro-
– 36 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
posta sia vera: dica cioè la verità circa ciò che è il bene e il male della persona. Ed anche perché ritiene
che l’altro possa sbagliarsi nel progettare la sua vita: siamo al secondo presupposto.
• La persona umana nasce avendo nel cuore un desiderio illimitato di beatitudine, e in questo desiderio di
beatitudine la mano creatrice di Dio ha seminato una inestinguibile sete di verità e di bontà. La persona
umana, quando giunge nel mondo, è come una grande promessa che può essere realizzata e può essere delusa. Non può essere lasciata a se stessa: ha bisogno di essere, e chiede di essere aiutata a realizzarsi nella
verità e nel bene. L’atto educativo nasce dalla condivisione del destino dell’altro. Non una condivisione
qualsiasi, ma che si concretizza precisamente nell’indicazione della via che porta alla beatitudine.
• Tutto questo comporta da parte dell’educatore una visione della persona umana; l’educatore deve saper
rispondere alla domanda: chi è l’uomo? Il rapporto educativo si radica sempre in un’antropologia.
3. A questo punto abbiamo tutti gli elementi per definire il rapporto educativo dal punto di vista della fede cristiana. Esso si istituisce quando l’educatore fa alla persona educanda la proposta cristiana della vita. È
fondamentale capire che cosa significa «proposta cristiana della vita».
Gli storici dell’arte cristiana ci dicono che sui più antichi sarcofagi Cristo era spesso raffigurato sotto la
figura del filosofo e del pastore. Tralasciamo la considerazione della seconda raffigurazione, e riflettiamo
sulla prima.
Nell’antichità, filosofo era colui che insegnava «l’arte di essere uomo in modo retto – l’arte di vivere e
morire». Raffigurando Cristo come filosofo, i nostri fratelli di fede volevano dirci: «Egli ci dice chi in realtà
è l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli ci indica la via e questa via è la verità»
(BENEDETTO XVI, Lett. Enc. Spe salvi 6).
La proposta cristiana della vita è l’indicazione di come realizzare la nostra umanità secondo la via indicataci da Cristo e sempre presente nella Tradizione della Chiesa.
Due precisazioni importanti. La proposta cristiana non si aggiunge estrinsecamente alla realizzazione
della nostra umanità, ma è la modalità della perfetta realizzazione della medesima. Quando poi si parla di
“vita umana” si intende tutto ciò che concretamente costituisce la trama della nostra vita quotidiana.
L’educazione dunque cristiana si definisce in riferimento alla proposta di vita propria della visione cristiana
(cfr. art. 2 della Carta formativa).
Possono sorgere dentro di noi a questo punto due difficoltà nei confronti della definizione cristiana di
educazione.
La prima: in un contesto sempre più pluralistico, anche dal punto di vista religioso, non è contrario ad
una pacifica convivenza sociale educare la persona ad una forte identità? Questa difficoltà fa parte oggi del
comune sentire, e sembra essere come una specie di dogma indiscutibile. In realtà è profondamente disumana
e disumanizzante. Per varie ragioni. Ne accenno alcune.
Essa parte da una visione astratta della persona umana, cioè falsa. Ogni persona umana nasce all’interno
di una cultura e di una tradizione. Realizza cioè la comune umanità nella molteplice diversità delle culture.
La convivenza fra varie persone non si ottiene azzerando le diversità, credendo in questo modo di raggiungere la natura umana “pulita” da ogni incrostazione storica. Sarebbe come se, partendo dal fatto che di ogni
uomo è proprio il linguaggio, si ritenesse che esista una sola lingua uguale per tutti.
Poiché è questa una visione astratta, non reale, ideologica, c’è un solo modo per proporla: imporla per
legge. (cfr. il tentativo di una Costituzione Europea). Pensare di creare comunione interpersonale, vera convivenza mediante le regole, è un’illusione. Se non altro perché non esiste regola capace di far rispettare le regole.
La seconda difficoltà: educare nel modo suddetto non è contro la libertà della persona? Anche questa
idea che vede l’educazione e la libertà come due grandezze confliggenti è oggi comune, ma va rifiutata.
La libertà umana non è della stessa natura della spontaneità animale. La libertà umana è un autodeterminarsi, e quindi un scegliere in base alla conoscenza di ciò che scelgo. È la verità circa il bene e il male
la radice della libertà. Il pensare che la libertà della persona possa nascere come per generazione spontanea
da un terreno incolto, e che pertanto vada evitata ogni coltivazione della persona, è ignorare completamente i
grandi dinamismi dello spirito.
4. Che cosa muove una persona ad interessarsi del bene di un’altra nel modo proprio dell’educazione?
Nulla, se non volere il bene del persona bisognosa di educazione. Cioè: l’amore per essa. L’atto educativo è
sempre frutto di amore: “un affare del cuore”, diceva S. Giovanni Bosco.
Esiste in natura una condivisione originaria del destino, del bene dell’altro: la relazione genitori-figlio. È
questa la ragione profonda per cui educare la persona è il compito e la responsabilità dei genitori. Altri pos-
– 37 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
sono avere compiti e responsabilità educative, ma solamente su delega dei genitori. E pertanto sono da considerarsi non sostituti, ma cooperatori dei genitori medesimi.
Esiste anche una condivisione del destino della persona che è propria della Chiesa. Gesù dice, prima di
lasciare visibilmente questo mondo: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato»
(Mt 28,19-20a). È mediante la Chiesa che Cristo realizza la sua opera redentiva. In questa prospettiva anche
la Chiesa ha un compito ed una responsabilità educativa propria ed originaria. Ma essa è di natura diversa di
quella della famiglia.
Solo se il genitore intende educare nella fede cristiana il proprio figlio, deve chiedere alla Chiesa – non
ad altri – di collaborare e di aiutarlo. La Chiesa, infatti, da quando esiste ha educato; ha pensato e vissuto la
propria missione come missione educativa. Ed uno degli strumenti fondamentali di cui si è ben presto dotata,
è stata la scuola. Impedire alla Chiesa di educare è impedire alla Chiesa di esistere.
Anche lo Stato ha una responsabilità. Ma è di natura completamente diversa. Esso non ha, non deve e
non può avere un compito ed una responsabilità educativa: sarebbe la dittatura. È accaduto storicamente. Lo
Stato ha solo un ruolo sussidiario: favorire l’esercizio della libertà educativa dei genitori, e la libera proposta
educativa. Esso deve intervenire in “prima persona” solo quando e solo dove diventa necessario per tutelare
il diritto delle giovani generazioni ad essere educate.
5. Da che cosa oggi l’opera educativa è insidiata, e quindi su che cosa chi ha responsabilità educativa deve vigilare?
In primo luogo deve vigilare che non entri nei luoghi dell’educazione la falsa visione della persona umana che confonde libertà e spontaneità: la spontaneità può essere solo regolamentata; la libertà può essere
educata.
In secondo luogo deve vigilare che non sia distrutto il principio di autorità, senza del quale ogni opera
educativa è destinata al fallimento. Il rapporto educativo non è fra uguali. L’educatore ha una sua propria autorità che consiste: a) nel fare una precisa proposta di vita; b) nel documentarne la verità e la bontà mediante
la testimonianza della vita. Si potrebbe anche dire che l’autorità propria dell’educatore ha la caratteristica
propria della testimonianza.
In terzo luogo deve vigilare sul non ridurre l’educazione alla formazione, al know-how come di dice oggi. È una modalità di vita che è trasmessa dall’educatore.
Termino con un riferimento a ciò che accadde nella Chiesa antica, ma che resta paradigmatico per noi
anche oggi. Essa (soprattutto con Origene) ha avuto la grande intuizione che la proposta cristiana era
l’adempimento e il grado più alto della “paideia” dell’uomo. «Riprendendo questa idea fondamentale e dandone una propria interpretazione, la religione cristiana si mostrò capace di offrire al mondo più di qualsiasi
altra setta religiosa» (W. JAEGER, Cristianesimo primitivo e paideia greca, La Nuova Italia ed., Firenze
1966, pag. 93). L’annuncio del Vangelo aveva individuato la struttura umana in cui radicarsi: l’uomo è un
essere che raggiunge la pienezza della sua umanità solo mediante l’educazione. Ed è nella luce di una tale
verità antropologica che la Chiesa si prende cura dell’uomo.
– 38 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
6.
La storia dell’IRC nella scuola italiana
Anche prima del Concordato Lateranense (11 febbraio 1929) la scuola dello stato unitario
italiano ha sempre previsto una qualche forma di insegnamento della religione cattolica,
per inerzia rispetto della precedente situazione o per motivi pedagogici / ideologici.
Le categorie di laicità della scuola e confessionalità dell’IR emergono già nel dibattito preconcordatario.
Il Concordato Lateranense del 1929 prevede l’IR come un privilegio, mentre l’Accordo di
revisione del 1984 intende l’IRC come una forma di collaborazione sussidiaria della Chiesa verso lo Stato per la promozione dell’uomo e il bene del paese.
E. BUTTURINI, Profilo storico dell’IRC in Italia, in Z. TRENTI, Manuale dell’insegnante di religione, Leumann (Torino) 2004, pp. 13-28 [DOC 5 – BUTTURINI 2004]
(cfr anche E. BUTTURINI, La religione a scuola dall’unità ad oggi, Brescia 1987).
G. BERTAGNA, Le stagioni dell’IRC nelle scuole statali italiane dalla legge Casati (1859) ai nostri giorni.
Elementi per un quadro interpretativo, in: G. BERTAGNA – G. SANDRONE BOSCARINO (edd.), L’insegnamento della religione cattolica per la persona, Centro Ambrosiano, Milano 2009, 163-182.
A. FAMÀ, L’insegnamento della religione a scuola: un lungo cammino, in:
http://www.olir.it/areetematiche/69/documents/Fama_Unlungocammino.pdf
E. GENRE, L’insegnamento della religione, in Cristiani d’Italia. L’unificazione italiana, Treccani, Roma
2011 (http://www.treccani.it/enciclopedia/l-insegnamento-della-religione_(Cristiani-d'Italia)/)
[NB: la ricostruzione di Genre è svolta dalla prospettiva di un valdese, e quindi da leggere con senso critico: molti giudizi di valore di questo testo – peraltro ricco di informazioni interessanti – non sono condivisibili].
L. CAIMI – G. VIAN (edd.), La religione istruita nella scuola e nella cultura dell’Italia contemporanea, Morcelliana, Brescia 2014. [Atti di un convegno svoltosi a Venezia il 12-13 gennaio 2012].
«Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani» (M. D’Azeglio)
0. Premessa: lo Statuto Albertino (4 marzo 1848)
In Occidente la scuola nasce con le Chiese. → Impegno delle chiese protestanti per la conoscenza della Bibbia; Catechismo di Lutero. → Impegno della Chiesa cattolica con gli ordini religiosi dediti all’educazione:
- S. Antonio M. ZACCARIA fonda nel 1530 i Barnabiti o Chierici regolari somaschi;
- S. Angela MERICI nel 1535 fonda le Orsoline, per l’educazione delle fanciulle;
- S. Giuseppe CALASANZIO fonda nel 1597 a s. Dorotea [Trastevere] apre la “scuola Pia”, prima pubblica
gratuita d’Europa e fonda i padri “Scolopi”;
- S. IGNAZIO DI LOYOLA († 1556) promuove numerose scuole e collegi, poi organizzati sulla base di una
Ratio studiorum pubblicata nel 1599 e considerata il fondamento dell’educazione moderna (oltre 500
scuole in tutta Europa nel 1640);
- San Giovanni Battista DE LA SALLE fonda nel 1684 i Fratelli delle scuole cristiane con scuole in Francia, Italia, Belgio…;
- San Giovanni BOSCO fonda nel 1859 i Salesiani e nel 1872 le Figlie di Maria Ausiliatrice;
- San Leonardo MURIALDO – sempre nella “laicissima” Torino! – fonda nel 1873 i Padri Giuseppini;
- ecc…
Solo gradualmente lo Stato ha rilevato l’impegno di dedicarsi all’istruzione del popolo, a partire dai processi
di laicizzazione della Rivoluzione Francese.
• Lo Statuto di re Carlo Alberto (1848) sancisce: «La religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alla legge». Il Regno di Sardegna “tollera” le minoranze (prevalentemente valdesi ed ebrei).
• Sei mesi dopo, la Legge Boncompagni (4 ottobre 1848). Si ispira al principio cavouriano “Libera chiesa
in libero stato” (→ separatismo). «La Religione Cattolica sarà fondamento dell’educazione morale…
[Nei Convitti] la Religione formerà l’oggetto di un insegnamento speciale, il quale verrà dato dal Direttore di spirito; gli alunni esterni accattolici non potranno essere obbligati ad intervenirvi» (artt. 15 e 16).
– 39 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
L’idea di fondo è che «l’istruzione è ufficio non ecclesiastico ma civile»: è il primo tentativo di “laicizzare l’istruzione”, sostituendo alla pedagogia dei gesuiti allora dominante un modello “militare”.
1. Primo periodo: dalla legge Casati (1859) alla Circolare Correnti (1870)
•
Legge Casati (Regio decreto n. 3752, del 13 novembre 1859), proposta dal ministro Gabrio Casati, approvata nel Piemonte Sabaudo e poi estesa all’Italia unita dopo il 1861. Intende sottrarre al monopolio
della Chiesa l’istruzione. Impone:
− La religione cattolica come religione di stato (sulla base dello Statuto Albertino);
− IRC obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle università;
− nelle magistrali non possono iscriversi gli acattolici, perché tutti i maestri devono fare religione.
Nel 1860 un Regolamento introduce la possibilità di esonero.
Il governo della Destra storica (1849-1976) pose fine allo stato pontificio, ma tollerava, bene o male, la
religione cattolica. «Le ragioni che indussero lo stato a introdurre l’IR nelle scuole non derivavano da valutazioni teologiche o pedagogiche: avevano unicamente lo scopo politico di una concessione della classe dirigente (ancorata al più rigido anticlericalismo) alle masse cattoliche per non perderne l’assenso» (C. CARDIA).
La pubblicazione del Sillabo (1864) inasprisce i rapporti già tesi fra Chiesa e Stato italiano nascente.
• La situazione peggiora gradualmente: la Circolare del ministro Cesare Correnti (circolare n. 274 del 29
settembre 1870: appena nove giorni dopo la presa di Porta Pia!) impone l’obbligo di una esplicita richiesta da parte dei genitori per avere un IR nella primaria.
2. Secondo periodo: dalla Legge Coppino (1877) all’età giolittiana (19011914)
La fine dello Stato pontificio (1870) e l’insorgere della cosiddetta “questione romana”, con i conseguenti
scontri fra Stato e Chiesa, portò ad una politica sempre più anticlericale, con molti e significativi cambiamenti nel mondo dell’istruzione, ad es.:
• soppressione delle facoltà Teologiche statali (Legge del 26 gennaio 1873). Soppressione voluta dai laici, per tutelare il principio separatistico, ma approvata dalla Chiesa e dai gesuiti de La Civiltà Cattolica
perché consentiva un maggior controllo ecclesiastico.
• Ministro Borghi, 1875: «Conviene combattere la prevalenza del Clero nelle scuole dei piccoli Comuni».
La politica anticlericale si fece ancora più decisa con i governi della Sinistra storica (1876-1896).
L’espressione più compiuta di questa stagione di avversione alla Chiesa fu la Legge Michele Coppino (1877)
che intendeva sostituire l’insegnamento della religione alle elementari con «le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino» (evidente il riferimento ai principî della Rivoluzione Francese). In sintesi:
− tre anni di istruzione elementare inferiore (6-9 anni) obbligatoria e gratuita, con sanzioni per i genitori che non portano a scuola i propri figli → impegno per combattere fortemente l’analfabetismo;
− IRC escluso dalla scuola di ogni ordine e grado (poi ripristinato nelle elementari per le famiglie che
ne facevano richiesta: primo esempio di IRC “facoltativo”).
• L’età dei governi di G. Giolitti fu quella della “crisi modernista” → netta distinzione tra “catechesi”
(bandita dalla scuola) e “cultura religiosa” (considerata di «alta importanza civile e politica»: così diceva
Antonio Fogazzaro, che discute con Giovanni Crispolti, uomo di fiducia della Santa Sede).
• Mozione di Leonida Bissolati per abolire l’IR confessionale della scuola elementare (1908): «La Camera
invita il Governo ad assicurare il carattere laico della scuola elementare, vietando che in essa venga impartito sotto qualsiasi forma l’insegnamento religioso». La proposta fu bocciata a larga maggioranza.
3. Terzo periodo: la riforma Gentile(1923)
Nel 1919 don Sturzo fonda il partito popolare; ma nel 1922 Mussolini marcia su Roma. Il filosofo Giovanni Gentile, da buon idealista, riteneva la religione un fattore positivo di sviluppo culturale, ma imperfetto
e da superare. «Il senso della vita, dacché il mondo è mondo, l’ha dato all’uomo la religione o la filosofia;
sicché dove non può entrare la filosofia, dev’essere, deve restare la religione». Gentile maturò gradualmente
le sue idee e poi le impose come ministro della Pubblica istruzione nel primo governo fascista (1922-’24).
G. Gentile critica il concetto di laicità negativa, a favore di quella positiva. «Fin dalla scuola elementare,
si miri a formare la coscienza e a promuovere il senso vero della vita. E questo, dacché il mondo è mondo,
l’ha dato la religione o la filosofia; sicché dove non può entrare la filosofia, deve essere, deve restare la religione» (così già nel 1907).
– 40 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
G. Gentile, 1922: «Religione esplicitamente cattolica perché non ha senso dire “religione sì, ma non una
data religione” [...]. Sarebbe come dire: “poesia sì, ma né Omero, né Dante, né Shakespeare, né altri”».
G. Gentile, Riforma della scuola (1923): insegnamento della religione cattolica nella scuola elementare
e nelle scuole magistrali (per formare adeguatamente le maestre, che avrebbero poi dovuto insegnare religione. «Lo Stato non intende imporre la sua volontà a nessuno. Se uno non si sente di fare il maestro di scuola,
potrà fare un’altra cosa; ma la scuola essendo italiana, e perciò cattolica, porta con sé le esigenze del popolo
italiano». «Al fanciullo italiano deve essere insegnata la religione cattolica, nello stesso modo che gli si insegna la lingua degli scrittori italiani».
In sintesi:
− IRC «fondamento e coronamento dell’istruzione elementare» (Regio decreto 1° ottobre 1923, n.
1285, art. 3), cioè come base “popolare” dell’identità italiana;
− ma questo compito vale solo come “propedeutica” alla filosofia (idealismo);
− «insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta nella tradizione cattolica», «perché
non ha senso dire “religione sì, ma non una data religione: sarebbe come dire: poesia sì, ma né Omero, né Dante, né Shakespeare».
− docenti dichiarati idonei dall’autorità ecclesiastica, con possibilità di revoca.
4. Quarto periodo: dal Concordato(1929) alla Costituzione (1948)
Solo sei anni dopo la riforma Gentile, il Concordato Lateranense cambia ancora una volta le carte in tavola. «Se i neo-idealisti si erano avvalsi dei cattolici per sconfiggere il disegno pedagogico laico-democratico, impiegandovi all’incirca 15 anni [1909-1923], adesso i cattolici si apprestavano ad infrangere
l’imperante modello neo-idealistico, riuscendovi in appena cinque anni [1923-1929]» (BETTI, 147).
Tre sono i documenti dell’11 febbraio 1929, tradizionalmente chiamati «Patti lateranensi», firmati da
Benito Mussolini per l’Italia e dal card. Pietro Gasparri per la Santa Sede:
− il Trattato, con cui l’Italia riconosceva la personalità giuridica internazionale alla Santa Sede e la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, ponendo fine alla cosiddetta “Questione romana”;
− la Convenzione finanziaria, che risarciva in parte il danno economico subito dalla S. Sede con la perdita del potere temporale;
− il Concordato vero e proprio, che regolava i rapporti della Chiesa in Italia con lo Stato italiano.
CONCORDATO 1929, art. 36:
«L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora
impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nella scuola media, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato.
Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’ordinario diocesano.
La revoca del certificato da parte dell’ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare.
Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati
dall’autorità ecclesiastica».
− Confermata l’impostazione gentiliana, ma estesa anche tutta la scuola secondaria;
− insegnamento pienamente confessionale (catechesi scolastica);
− concessione di uno spazio alla Chiesa nella scuola da parte dello Stato;
− come controparte, fedeltà della Chiesa allo Stato (→ “religione di Stato”).
In tal modo l’IR diventa uno spazio concesso dallo stato alla Chiesa all’interno della scuola perché possa svolgervi la sua missione. In concreto: un’ora settimanale in tutte le classi, tranne nei primi due anni delle
magistrali, dove se ne facevano due.
«La religione cattolica avrebbe quindi dovuto svolgere anche nelle scuole secondarie la funzione educativa unitaria, di causa e di fine, prima attribuita, da Gentile, alla filosofia idealistica» (G. BERTAGNA, 166).
«Spicca, nei concordati con Italia, Austria, Portogallo, Spagna, il tentativo di restaurare il prestigio e il
potere della Chiesa, perso nei precedenti periodi separatisti: riassunzione della religione cattolica a sola religione di Stato, con conseguente caduta del principio di laicità» (C. CARDIA)
– 41 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
5. Quinto periodo: dopo il 1948 (la Costituzione)
Dibattito sull’insegnamento religioso alla Costituente
Molto interessante alla Costituente fu il dibattito sull’IR 13, con il tentativo di inserire un’esplicita garanzia di tale insegnamento in uno dei primi articoli della Costituzione. Il dibattito sui problemi della scuola si
svolse sulla base di due relazioni, una di Concetto Marchesi per il PCI e i partiti «laici» (cfr. Rinascita (1946)
n. 9) e l’altra di Aldo Moro per la DC (cfr Humanitas (1947), n. 1).
Quella di Marchesi non era molto distante dal testo Una fede comune di Dewey (1934), con l’accentuazione della “religiosità” come “funzione” piuttosto che della “religione” come “contenuto”. Propugnava
una concezione statalista della scuola («la scuola deve appartenere allo Stato») e chiedeva che la Costituzione non si esprimesse sull’istruzione religiosa nelle scuole. Moro sostenne invece l’astrattezza giuridica di una
indifferenza dello Stato in tema di religione, che poteva servire a «mascherare la volontà di distruggere la coscienza religiosa del nostro popolo, sostituendovi una religione laica della libertà o una mistica collettiva».
Proprio accettando un concetto di uno Stato che non ha alcuna verità da insegnare né in materia religiosa né
altrove, non si poteva negare l’esigenza che esso accogliesse democraticamente i contenuti educativi proposti
dalla coscienza sociale, in modo che l’«orientamento spirituale della maggioranza» costituisse «la sostanza
spirituale della scuola, con le dovute garanzie per le minoranze non cattoliche». Ignorare nella scuola le problematiche religiose significava per Moro «negare un rapporto reale dello Stato e delle sue istituzioni con le
esperienze morali dei cittadini e con le correnti vive della società». Diverso era il discorso se si considerava
il problema dal punto di vista dei singoli cittadini, dei quali doveva essere garantita la piena libertà di scelta,
come intendeva appunto fare Moro con la sua proposta del 18 ottobre 1946 così formulata: «In ogni ordine
di scuola della Stato, escluso quello universitario, sarà impartito agli studenti, i cui genitori non ne chiedano
la dispensa, l’insegnamento religioso, nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica». Dopo giorni di dibattito, il 30 ottobre la proposta fu così riformulata: «Nelle sue scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato assicura agli studenti, che vogliano usufruirne, l’insegnamento religioso, nella forma ricevuta
dalla tradizione cattolica». Due modifiche sostanziali in questa riformulazione: non più “sarà impartito agli
studenti”, ma “lo Stato assicura agli studenti” l’insegnamento religioso; inoltre, non si parla di “dispensa”
per chi non lo vuole, ma al contrario di una scelta positiva degli “studenti che vogliano usufruirne”. Nel dibattito intervenne Togliatti, rilevando che «oggi nelle scuole, quando si insegna la religione, si fa della politica […] diretta specificamente contro l’idea e la parte comunista». Il democristiano Dossetti suggerì di rimandare la discussione sull’IR in sede di valutazione generale dei rapporti fra Stato e Chiesa.
In poche settimane la prima sottocommissione giunse a formulare ciò che sarebbe poi diventato l’art. 7
(«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono
regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale»). Ci si accorse allora che il dibattito sull’IR era rimasto in sospeso. Ma
l’art. 7 aveva reintrodotto nella carta costituzionale i Patti lateranensi: a questo punto, le posizioni fra comunisti e democristiani si invertirono sulla questione dell’IR: i comunisti si mostrarono favorevoli a inserire nel
testo la proposta di Moro, utile a ridurre la posizione filocattolica del concordato del ’29, mentre i democristiani la rifiutavano, ritenendola “un passo indietro” rispetto alle garanzie offerte dal Concordato. Pochi mesi
dopo, nella notte fra il 25 e il 26 marzo 1947, l’art. 7 della Costituzione fu definitivamente approvato (350
favorevoli, 149 contrari): la proposta di Moro, che conteneva in nuce le due fondamentali innovazioni del
“nuovo Concordato” del 1984 (cioè l’IR assicurato da parte dello Stato e l’affermazione del diritto di scelta
se avvalersi o meno dell’IR, e non di esonero per chi non voleva l’IR) fu così lasciata cadere.
Il dibattito verso l’accordo di revisione
A partire dagli anni ’60 matura l’idea di una necessaria evoluzione del ruolo della religione a scuola.
DPR 647/69: necessità che nella scuola materna si consideri la «possibile presenza in classe di bambini
che provengano con diverse concezioni religiose e con un orientamento non religioso» → «necessità del pieno rispetto di tali concezioni o orientamenti diversi, evitando che questi bambini possano sentirsi esclusi dalla comunità infantile» (cfr Famà).
6. Sesto periodo: l’accordo di revisione del Concordato (1984)
→ Vedi capitolo seguente.
13
Cfr V. Onida, L’insegnamento della religione cattolica negli atti dell’Assemblea costituente. Una cronaca parlamentare, in A. MELLONI (ed.), Rapporto sull’analfabetismo religioso, il Mulino, Bologna 2014, 155-163.
– 42 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
7.
La storia dell’IRC nella scuola italiana (dal 1984 a oggi)
Nel 1984 matura la revisione del Concordato Lateranense. L’Accordo di Villa Madama
(volgarmente detto “nuovo concordato”, ma più correttamente Accordo di revisione del
concordato) fu stipulato fra Bettino Craxi e il card. Agostino Casaroli il 18 febbraio 1984.
Ratificato nell’ordinamento giuridico italiano con Legge 25 marzo 1985, n. 121. L’IRC è
trattato nell’art. 9 dell’accordo, con un protocollo addizionale relativo al medesimo
articolo, che ne determina i dettagli.
Il 14 dicembre 1985 viene firmata l’Intesa circa l’IRC, tra il Ministro della Pubblica Istruzione Franca Falcucci e il presidente della CEI card. Ugo Poletti, recepita nell’0rdinamento
italiano con Dpr n. 751 del 16 dicembre 1985
L’intesa è stata revisionata una prima volta il 13/06/1990 (recepita nell’ordinamento italiano con Dpr 202 del 23/06/1990), e da ultimo il 28/06/2012 (ministro Francesco Profumo – presidente CEI card. Angelo Bagnasco; recepita nell’ordinamento italiano con Dpr
175 del 20/08/2012).
Tre i tratti essenziali:
• «Nel quadro delle finalità della scuola»: l’IRC persegue le finalità proprie della
scuola, dunque non deve realizzarsi non con fine di proselitismo e modalità catechistiche, ma con rigore critico e con impegno pedagogico aperto a tutti;
• «in conformità alla dottrina della Chiesa»: la Repubblica Italiana ha il dovere di
continuare ad assicurare l’insegnamento della religione (perché riconosce il valore della cultura religiosa) e – pur in un contesto di “stato non confessionale” – della religione
cattolica (non, ovviamente, per motivi meramente numerici, ma perché il cattolicesimo
fa parte del patrimonio storico del popolo italiano);
• «nel rispetto della libertà di coscienza dell’alunno»: la garanzia di piena libertà di coscienza esige che l’insegnamento sia pienamente facoltativo: chi sceglie di non
avvalersene non può essere obbligato a svolgere attività alternative.
I primi anni di attuazione del nuovo IRC inserito nelle finalità della scuola sono caratterizzati da apprezzamento nella scuola e da vivaci polemiche politiche.
In Parlamento si cerca di escludere l’IRC dai normali strumenti di valutazione, di costringere ad una collocazione penalizzante dell’orario delle lezioni, e di diminuire il valore
del giudizio dell’IdR. Alcune circolari ministeriali difendono gli IdR.
Mentre le forze politiche cercano di rafforzare le attività alternative (AA) per indebolire l’IRC, nelle aule giudiziarie (con pronunciamenti anche della Corte costituzionale) lo
stesso obiettivo è perseguito affermando che le AA non possono essere obbligatorie.
S. CICATELLI, Prontuario giuridico IRC, Queriniana, Brescia 20127 (spec. pp. 9-18)
S. CICATELLI, Costituzione, religione e scuola. L’insegnamento della religione cattolica nella giurisprudenza
costituzionale, Lateran University Press, Roma 2009
NORMATIVA CONCORDATARIA e sua applicazione (da conoscere bene!)
– ACCORDO DI VILLA MADAMA, art. 9;
– PROTOCOLLO ADDIZIONALE n. 5, che ne declina le modalità;
– INTESA che dà attuazione dettagliata a quanto disposto nel Protocollo
ACCORDI DI REVISIONE DEL CONCORDATO LATERANENSE fra Italia e Santa Sede
(Legge 25-3-1985, n. 121)
Art. 9 - 1. La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della scuola e dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire
liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione. A tali scuole che ottengano la parità è assi-
– 43 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
curata piena libertà ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole
dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l’esame di Stato.
2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi
del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori,
è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto
dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
PROTOCOLLO ADDIZIONALE, n. 5 (in relazione all’Art. 9)
a) L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole indicate al n. 2 è impartito – in conformità alla
dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica.
Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall’insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall’autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1) i programmi dell’insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi delle scuole
pubbliche;
2) le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro
degli orari delle lezioni;
3) i criteri per la scelta dei libri di testo;
4) i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.
c) Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle regioni di confine nelle quali
la materia è disciplinata da norme particolari.
***
INTESA CEI – MIUR DEL 28/06/2012
RECEPITA NELL’ORDINAMENTO ITALIANO CON DPR 175 DEL 20/08/2012
IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA quale autorità statale che
sovraintende al sistema educativo di istruzione e di formazione, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 26 giugno 2012 a norma della legge 23 agosto 1988, n. 400,
e
IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA che, debitamente autorizzato, agisce
a nome della Conferenza stessa ai sensi dell’art. 5 del suo statuto e a norma del can. 804, par. 1, del Codice
di diritto canonico,
- vista l’Intesa del 14 dicembre 1985, resa esecutiva nella Repubblica Italiana con d.P.R. 16 dicembre
1985, n. 751, e modificata con l’intesa del 13 giugno 1990, resa esecutiva con d.P.R. 23 giugno 1990, n.
202,
- visto il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e in particolare gli articoli 309 e 310,
- ritenuto di aggiornare i profili di qualificazione professionale degli insegnanti di religione cattolica, adeguandoli ai nuovi criteri degli ordinamenti accademici,
- in attuazione dell’art. 9, n. 2, dell’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984
che apporta modificazioni al Concordato Lateranense e che continua ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni
ordine e grado,
DETERMINANO
con la presente intesa gli specifici contenuti per le materie previste dal punto 5, lettera b), del protocollo
addizionale relativo al medesimo accordo.
1. INDICAZIONI DIDATTICHE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA
1.1. Premesso che l’insegnamento della religione cattolica è impartito, nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni, secondo indicazioni didattiche che devono essere conformi alla dottrina della Chiesa e
– 44 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
collocarsi nel quadro delle finalità della scuola, le modalità di adozione delle indicazioni didattiche stesse
sono determinate da quanto segue.
1.2. Le indicazioni didattiche per l’insegnamento della religione cattolica sono adottate per ciascun ordine e grado di scuola con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca previa intesa con la Conferenza episcopale italiana, ferma restando la competenza esclusiva di quest’ultima a definirne la conformità con la dottrina della Chiesa.
Con le medesime modalità potranno essere determinate, su richiesta di ciascuna delle Parti, eventuali
modifiche delle indicazioni didattiche.
2. MODALITÀ DI ORGANIZZAZIONE DELL’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA
2.1. Premesso che:
a) il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, assicurato
dallo Stato, non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la
formazione delle classi, alla durata dell’orario scolastico giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni;
b) la scelta operata su richiesta dell’autorità scolastica all’atto dell’iscrizione ha effetto per l’intero anno
scolastico cui si riferisce e per i successivi anni di corso nei casi in cui è prevista l’iscrizione d’ufficio,
fermo restando, anche nelle modalità di applicazione, il diritto di scegliere ogni anno se avvalersi o non
avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica;
c) è assicurata, ai fini dell’esercizio del diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi, una tempestiva informazione agli interessati da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca sulla disciplina dell’insegnamento della religione cattolica;
d) l’insegnamento della religione cattolica è impartito ai sensi del punto 5, lettera a), del protocollo addizionale da insegnanti riconosciuti idonei dalla competente autorità ecclesiastica;
le modalità di organizzazione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche sono determinate come segue:
2.2. Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, l’insegnamento della religione cattolica è organizzato attribuendo ad esso, nel quadro dell’orario settimanale, le ore di lezione previste dagli ordinamenti
didattici attualmente in vigore, salvo successive intese. La collocazione oraria di tali lezioni è effettuata dal
dirigente scolastico sulla base delle proposte del Collegio dei docenti, secondo il normale criterio di equilibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e nella settimana, nell’ambito della scuola e per ciascuna classe.
2.3. Nelle scuole primarie sono organizzate specifiche e autonome attività di insegnamento della religione cattolica secondo le indicazioni didattiche di cui al punto 1. A tale insegnamento sono assegnate complessivamente due ore nell’arco della settimana.
2.4. Nelle scuole dell’infanzia sono organizzate specifiche e autonome attività educative in ordine all’insegnamento della religione cattolica nelle forme definite secondo le modalità di cui al punto 1. Le suddette
attività sono comprese nella progettazione educativo-didattica della scuola e organizzate, secondo i criteri di
flessibilità peculiari della scuola dell’infanzia, in unità di apprendimento da realizzare, anche con raggruppamenti di più ore in determinati periodi, per un ammontare complessivo di sessanta ore nell’arco dell’anno
scolastico.
2.5. L’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle
competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale. Ai fini del raggiungimento dell’intesa per la
nomina e l’assunzione dei singoli docenti l’ordinario diocesano, ricevuta comunicazione dall’autorità scolastica delle esigenze anche orarie relative all’insegnamento in ciascuna istituzione scolastica, propone i nominativi delle persone ritenute idonee e in possesso dei titoli di qualificazione professionale di cui al successivo
punto 4.
2.6. Nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie, in conformità a quanto disposto dal n. 5, lettera a),
secondo comma, del protocollo addizionale, l’insegnamento della religione cattolica, nell’ambito di ogni istituzione scolastica, può essere affidato dall’autorità scolastica, sentito l’ordinario diocesano, agli insegnanti
della sezione o della classe riconosciuti idonei e disposti a svolgerlo, i quali possono revocare la propria disponibilità prima dell’inizio dell’anno scolastico.
2.7. Il riconoscimento di idoneità all’insegnamento della religione cattolica ha effetto permanente salvo
revoca da parte dell’ordinario diocesano.
– 45 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
2.8. Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi
scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti ma partecipano alle valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica, fermo quanto previsto
dalla normativa statale in ordine al profitto e alla valutazione per tale insegnamento. Nello scrutinio finale,
nel caso in cui la normativa statale richieda una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso
dall’insegnante di religione cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale.
3. CRITERI PER LA SCELTA DEI LIBRI DI TESTO
3.1. Premesso che i libri per l’insegnamento della religione cattolica, anche per quanto concerne la scuola primaria, sono testi scolastici e come tali soggetti, a tutti gli effetti, alla stessa disciplina prevista per gli
altri libri di testo, i criteri per la loro adozione sono determinati come segue:
3.2. I libri di testo per l’insegnamento della religione cattolica, per essere adottati nelle scuole, devono
essere provvisti del nulla osta della Conferenza episcopale italiana e dell’approvazione dell’ordinario competente, che devono essere menzionati nel testo stesso.
3.3. L’adozione dei libri di testo per l’insegnamento della religione cattolica è deliberata dall’organo scolastico competente, su proposta dell’insegnante di religione, con le stesse modalità previste per la scelta dei
libri di testo delle altre discipline.
4. PROFILI PER LA QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE DEGLI INSEGNANTI DI RELIGIONE
4.l. L’insegnamento della religione cattolica, impartito nel quadro delle finalità della scuola, deve avere
dignità formativa e culturale pari a quella delle altre discipline. Detto insegnamento deve essere impartito in
conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica e in possesso di qualificazione professionale adeguata.
4.2. Per l’insegnamento della religione cattolica si richiede il possesso di uno dei titoli di qualificazione
professionale di seguito indicati:
4.2.1. Nelle scuole secondarie di primo e secondo grado l’insegnamento della religione cattolica può essere affidato a chi abbia almeno uno dei seguenti titoli:
a) titolo accademico (baccalaureato, licenza o dottorato) in teologia o nelle altre discipline ecclesiastiche, conferito da una facoltà approvata dalla Santa Sede;
b) attestato di compimento del regolare corso di studi teologici in un seminario maggiore;
c) laurea magistrale in scienze religiose conseguita presso un istituto superiore di scienze religiose approvato dalla Santa Sede.
4.2.2. Nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie l’insegnamento della religione cattolica può essere impartito:
a) da insegnanti in possesso di uno dei titoli di qualificazione di cui al punto 4.2.1.;
b) da sacerdoti, diaconi o religiosi in possesso di qualificazione riconosciuta dalla Conferenza episcopale italiana in attuazione del can. 804, par. 1, del Codice di diritto canonico e attestata dall’ordinario
diocesano.
L’insegnamento della religione cattolica può essere altresì impartito, ai sensi del punto 2.6, da insegnanti
della sezione o della classe purché in possesso di uno specifico master di secondo livello per l’insegnamento
della religione cattolica approvato dalla Conferenza episcopale italiana.
4.2.3. La Conferenza episcopale italiana comunica al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca l’elenco delle facoltà e degli istituti che rilasciano i titoli di cui al punto 4.2.1. e provvedono alla formazione accademica di cui al punto 4.2.2., nonché delle discipline ecclesiastiche di cui al punto 4.2.1., lettera
a).
4.3. I titoli di qualificazione professionale indicati ai punti 4.2.1. e 4.2.2. sono richiesti a partire dall’anno
scolastico 2017-2018.
4.3.1. A decorrere dall’entrata in vigore della presente intesa e fino al termine dell’anno scolastico 20162017, l’insegnamento della religione cattolica può essere affidato, fermo il riconoscimento di idoneità di cui
al punto 2.5.:
a) nelle scuole di ogni ordine e grado:
a.1) a coloro che siano in possesso di un diploma accademico di magistero in scienze religiose rilasciato,
entro l’ultima sessione dell’anno accademico 2013-2014, da un istituto superiore di scienze religiose approvato dalla Santa Sede;
a.2) a coloro che siano in possesso congiuntamente di una laurea di II livello dell’ordinamento universitario italiano e di un diploma di scienze religiose rilasciato, entro l’ultima sessione dell’anno accademico
2013-2014, da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale italiana;
– 46 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
b) nelle scuole dell’infanzia e primarie:
b.1) a coloro che siano in possesso di un diploma di scienze religiose rilasciato, entro l’ultima sessione
dell’anno accademico 2013-14, da un istituto di scienze religiose riconosciuto dalla Conferenza episcopale
italiana;
b.2) agli insegnanti della sezione o della classe che abbiano impartito l’insegnamento della religione cattolica continuativamente per almeno un anno scolastico nel corso del quinquennio 2007-2012;
b.3) a coloro che abbiano frequentato nel corso dell’istituto magistrale l’insegnamento della religione
cattolica e abbiano impartito l’insegnamento della religione cattolica continuativamente per almeno un anno
scolastico nel corso del quinquennio 2007-2012.
4.3.2. A far data dall’anno scolastico 2017-2018, sono in ogni caso da ritenere dotati della qualificazione
necessaria per l’insegnamento della religione cattolica gli insegnanti che, riconosciuti idonei dall’ordinario
diocesano, siano provvisti dei titoli di cui al punto 4.3.1. e abbiano anche prestato servizio continuativo per
almeno un anno nell’insegnamento della religione cattolica entro il termine dell’anno scolastico 2016-17.
Sono altresì fatti salvi i diritti di tutti coloro che, in possesso dei titoli di qualificazione previsti dall’intesa del 14 dicembre 1985, come successivamente modificata, entro la data di entrata in vigore della presente
intesa, abbiano prestato servizio, nell’insegnamento della religione cattolica, continuativamente per almeno
un anno scolastico dal 2007-2008.
4.4. Per l’aggiornamento professionale degli insegnanti di religione in servizio la Conferenza episcopale
italiana e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca attuano le necessarie forme di collaborazione nell’ambito delle rispettive competenze e disponibilità, fatta salva la competenza delle regioni e degli
enti locali a realizzare per gli insegnanti da essi dipendenti analoghe forme di collaborazione rispettivamente
con le Conferenze episcopali regionali o con gli ordinari diocesani.
Nell’addivenire alla presente intesa le Parti convengono che, se si manifestasse l’esigenza di integrazioni
o modificazioni, procederanno alla stipulazione di una nuova intesa.
Parimenti, le Parti si impegnano alla reciproca collaborazione per l’attuazione, nei rispettivi ambiti, della
presente intesa, nonché a ricercare un’amichevole soluzione qualora sorgessero difficoltà di interpretazione.
Le Parti si daranno reciproca comunicazione, rispettivamente, dell’avvenuta emanazione e dell’avvenuta
promulgazione dell’intesa nei propri ordinamenti.
Roma, 28 giugno 2012.
IL PRESIDENTE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Angelo Card. BAGNASCO
IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE,
DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
Francesco PROFUMO
***
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Per la preparazione dell’esame:
Chiarire il diverso valore giuridico dell’accordo di revisione e dell’intesa (quale autorità firma un concordato? Quale invece firma un’intesa?
Definire le maggiori novità e differenze rispetto al concordato del ’29
Saper esporre i quattro punti dell’intesa definiti nel protocollo addizionale
Spiegare l’evoluzione dai “programmi” del 1984 alle “indicazioni didattiche” del 2012, nonché la procedura necessaria per la loro definizione o modifica
Chiarire la differenza tra titolo di qualificazione professionale, riconoscimento dell’idoneità e nomina
d’intesa
Esporre la procedura per l’affidamento dell’IRC a insegnanti di sezione e classe
Chiarire la differenza tra nulla osta della CEI e imprimatur dell’Ordinario per i libri di testo
Conoscere l’organizzazione oraria dell’IRC nei diversi ordini e gradi di scuola
Chiarire i dettagli discussi circa la valutazione dell’IRC, in particolare il senso del «giudizio motivato
iscritto a verbale»
Indicare – almeno per sommi capi – i titoli di qualificazione professionale richiesti, e le innovazioni introdotte dall’ultima intesa rispetto a quella del 1985
«Il vecchio concordato era in sostanza un contratto a livello diplomatico tra due ordinamenti diversi che si facevano reciprocamente delle concessioni: lo Stato concedeva alla chiesa dei privilegi; la Chiesa accettava questi privilegi e assicurava una lealtà politica allo Stato. Molti pensano che il nuovo concordato sia qualcosa di meno del vecchio concordato, mentre ritengo che sia qualcosa di diverso, specie nel campo dell’IRC» (GALLONI 1988).
– 47 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
***
Quindi l’IRC non è concessione di privilegio ma è un compito in primo luogo proprio dello Stato. Interesse dello Stato a fare rientrare tra i fini della scuola l’IRC per effetto del riconoscimento di valore costituzionale che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Restano comunque alcune incongruenze:
“La contraddizione più evidente emerge là dove si parla di un IR assicurato «nel quadro delle finalità
della scuola», per «il valore della cultura religiosa» e la pertinenza dei «principi del cattolicesimo» con il
«patrimonio storico del popolo italiano», e nello stesso tempo si offre la libertà di avvalersene o meno, «nel
rispetto della libertà di coscienza». L’appello ad una tale libertà non ha molto senso di fronte ad un’attività di
prevalente scambio culturale come è quella scolastica, dove semmai ci si dovrebbe appellare alla libertà di
pensiero e al pluralismo culturale, cioè al «confronto di diverse posizioni culturali», come è previsto dall’art.
1 del vigente decreto n. 417/1974 sullo stato giuridico dei docenti. È singolare che lo Stato si impegni a tutelare i cittadini da ciò che ha appena riconosciuto come valore, che fa parte del loro patrimonio storico! Evidentemente si è trattato di un compromesso, forse l’unico politicamente possibile, come si è detto da più parti, considerando la natura di tale insegnamento, esistenzialmente tanto impegnativo da non poter essere mantenuto obbligatorio e culturalmente tanto importante da non poter essere trascurato, dato che si può giungere anche a negare l’esistenza di Dio, ma non l’esistenza di un diffuso vissuto religioso tra gli uomini” (E.
BUTTURINI).
La sfida oggi è rappresentata dal mostrare la plausibilità dell’attuale assetto neoconcordatario dell’IRC. Il punto debole è rappresentato dalla facoltà, garantita a tutti gli
studenti italiani, di non avvalersi di nessun insegnamento della religione. Un alunno italiano potrebbe “attraversare indenne” ben 16 anni di istruzione scolastica (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado) senza frequentare nemmeno un’ora di lezione sulla
religione cattolica. Anche in considerazione dell’incremento di alunni stranieri, questo è un
fattore di cui non si può non tenere conto. Il capitolo 9 affronterà il dibattitto sull’opportunità di sostituire o integrare l’attuale insegnamento della religione, facoltativo e confessionale, con uno obbligatorio e non confessionale.
***
Il dibattito giurisprudenziale negli anni successivi alla revisione: attività alternative e valutazione dell’IRC
A) Centrale è il dibattito sulle attività alternative (AA), legato alla questione della facoltatività o opzionalità. Dapprima ci si è orientati sulla opzionalità (necessario optare
tra IRC e AA, onde non modificare le ore di insegnamento nel curricolo). Poi, anche a seguito di una questione sollevata dalla Tavola valdese (firmataria di una Intesa con lo Stato:
Legge 449/84), ci si è spostati su una assoluta facoltatività (Corte costituzionale, sent.
203/1989).
CM 368/1985: [Dato il valore della cultura religiosa] la scuola assicura agli studenti che non si avvalgono dell’IRC ogni opportuna attività culturale, escluse le attività curricolari comuni a tutti gli alunni. La collocazione oraria (dell’IRC) è effettuata secondo il normale criterio di equilibrata distribuzione.
Risoluzione Camera dei Deputati, 16.1.86: La Camera impegna il Governo a fissare natura, indirizzi e
modalità di svolgimento e di valutazione delle attività offerte a chi intenda non avvalersi, al fine di assicurare
la scelta tra alternative entrambe note e definite.
CM 302/86: rafforza il carattere di opzione obbligatoria tra IRC e AA: «la frequenza delle attività integrative – in quanto nella fattispecie rivolta ad assicurare la fruizione di un uguale tempo scuola agli alunni
che comunque non abbiano dichiarato si avvalersi dell’IRC – viene ad assumere per gli alunni stessi carattere di obbligatorietà».
Presidenza CEI, 17.12.86: La CEI interviene, dicendo che le difficoltà organizzative relative alle AA non
sono imputabili alla Chiesa: «La Presidenza della CEI non può non valutare con preoccupazione il clima di
tensione, soprattutto a livello politico, che viene suscitato nella scuola e nell’opinione pubblica… Le difficoltà nell’applicazione dell’Intesa risalgono a cause di organizzazione scolastica di competenza dello Stato, in
– 48 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
particolare riguardo alle attività previste per i non avvalentisi…» La CEI si dichiara disponibile a verificare
le difficoltà di attuazione dell’Intesa. Ma non a rimettere in discussione punti conseguenti all’Accordo (IRC
assicurato nel quadro delle finalità della scuola, dignità pari alle altre discipline, la scelta non deve determinare alcuna forma di discriminazione, collocazione oraria equilibrata, IdR con diritti e doveri pari agli altri
docenti).
Presidenza CEI, 5.9.87: «Perché tanto accanimento contro l’IRC nella scuola? La conoscenza del cattolicesimo, il Vangelo di Cristo, il confronto sulle domande che la religione cristiana accoglie e orienta, non
giustificano a pieno titolo la presenza dell’IRC nella scuola? Il doveroso rispetto della scelta di coloro che
non intendono avvalersi dell’IRC non può indurre a rendere disagevole l’esercizio del diritto di avvalersi».
La Tavola Valdese aveva firmato una intesa (21.02.1984, approvata con L. n. 449 del 11.08.84). Al n. 9,
Istruzione religiosa nelle scuole, vi si legge:
La Tavola valdese, nella convinzione che l’educazione e la formazione religiosa dei fanciulli e della gioventù sono di specifica competenza delle famiglie e delle chiese, non richiede di svolgere nelle scuole
gestite dallo Stato o da altri enti pubblici, per quanti hanno parte nelle chiese da essa rappresentate,
l’insegnamento di catechesi o di dottrina religiosa o pratiche di culto.
La Tavola valdese prende atto tuttavia che la Repubblica italiana, nell’assicurare l’insegnamento della
religione cattolica nelle scuole pubbliche, materne, elementari, medie e secondarie superiori, riconosce
agli alunni di dette scuole, al fine di garantire la libertà di coscienza di tutti, il diritto di non avvalersi delle pratiche e dell’insegnamento religioso per loro dichiarazione, o di uno dei loro genitori o tutori.
La Tavola valdese prende altresì atto che, per dare reale efficacia all’attuazione di tale diritto, l’ordinamento scolastico provvede a che l’insegnamento religioso ed ogni eventuale pratica religiosa, nelle classi in cui sono presenti alunni che hanno dichiarato di non avvalersene, non abbiano luogo in occasione
dell’insegnamento di altre materie, né secondo orari che abbiano per i detti alunni effetti comunque discriminanti.
La Tavola valdese presentò ricorso al TAR contro l’obbligatorietà dell’opzione “ aut IRC aut AA”, interpretando l’art. 9 della legge n. 449/84 come se imponesse la collocazione dell’IRC in orario extrascolastico,
in modo tale da permettere a chi decidesse di non avvalersene di essere assente da scuola e di non partecipare ad alcuna attività alternativa per evitare ogni forma di discriminazione (di conseguenza, IRC facoltativo e non opzionale)…
CM 284/87: consente di non avvalersi dell’IRC senza l’obbligo di frequentare AA: è possibile «la semplice presenza nei locali scolastici, senza peraltro allontanarsene».
Interviene il Consiglio di Stato:
→ Consiglio di Stato, sent. 1066 del 17.06.88 = obbligo di provvedere alle attività alternative, obbligatorie solo se vengono scelte
«Lo Stato, pur nella sua laicità, adegua i suoi fini essenziali, relativi al miglioramento dell’uomo, considerandone la connaturale religiosità “nel quadro delle finalità della scuola”. L’IRC non è più una mera concessione fatta alla Chiesa Cattolica, rientrando, bensì, a titolo proprio, nelle finalità dello Stato in ordine alla
elevazione della cultura e della coscienza del singolo cittadino… L’IRC contribuisce alla determinazione del
complessivo quadro orario, dal che consegue che «la scuola è tenuta ad offrire in alternativa ai non avvalenti altro insegnamento, ovvero attività culturali e formative equivalenti, che, una volta esercitata l’opzione, è
obbligatorio frequentare».
Ma il tentativo di orientare ad una scelta di opzione obbligatoria fra IRC e AA fu SMENTITO dalla seguente, importantissima sentenza:
→ Sentenza della Corte Costituzionale n. 203 dell’11.04.89 = IRC facoltativo, non opzionale (“facoltativo” significa che non è necessaria una opzione tra IRC e alternativa)
«Il principio di laicità implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato
per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale… Il genus
(«valore della cultura religiosa») e la species («principi del cattolicesimo nel patrimonio storico del popolo
italiano») concorrono a descrivere l’attitudine laica dello Stato-comunità, che risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto
alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini… L’insegnamento della religione cattolica sarà impartito, dice l’art. 9, «nel quadro delle
finalità della scuola», vale a dire con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche… Con l’Accordo del 18 febbraio 1984 emerge un carattere peculiare dell’insegnamento di una religione positiva: il potere
– 49 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
suscitare, dinanzi a proposte di sostanziale adesione ad una dottrina, problemi di coscienza personale e di
educazione familiare, per evitare i quali lo Stato laico chiede agli interessati un atto di libera scelta… La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo
schema logico dell’obbligazione alternativa, quando dinanzi all’insegnamento di religione cattolica si e
chiamati ad esercitare un diritto di libertà costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività
di coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche. Lo Stato è obbligato, in forza dell’Accordo
con la Santa Sede, ad assicurare l’insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro famiglie
esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo. Per
quanti decidano di non avvalersene l’alternativa è uno stato di non-obbligo. La previsione infatti di altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione della coscienza,
che deve essere conservata attenta al suo unico oggetto: l’esercizio della libertà costituzionale di religione».
CM 188 e 189/1989: nasce la modulistica con tre opzioni alternative: attività didattiche, studio individuale assistito, studio personale non assistito.
Ulteriore passaggio: la quarta opzione, l’uscita libera. Nasce ufficialmente “l’ora del nulla”:
Sentenza Corte Costituzionale 11.01.91 n. 13 (chi non si avvale può uscire dalla scuola, ma l’orario
dell’IRC rimane quello ordinario delle lezioni)
«Lo “stato di non-obbligo” vale a separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di
libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica. Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo “stato di non-obbligo” può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola. Quanto
alla collocazione dell’insegnamento nell’ordinario orario delle lezioni, nessuna violazione dell’art. 2 della
Costituzione è ravvisabile».
Negli ultimi 20 anni, però, si è fatto ben poco per sviluppare AA di pari dignità. Non mancano le accuse
alla Chiesa di osteggiare l’offerta di attività alternative, come se queste rappresentassero un pericoloso
concorrente, capace di scoraggiare la scelta di avvalersi dell’IRC. La vera “minaccia” per l’IRC è piuttosto
rappresentata dalla – concretissima! – possibilità di non fare assolutamente nulla, soprattutto nella scuola
secondaria di II grado. Diverso sarebbe il caso di AA alternative non paragonabili all’IRC, appetibili e concorrenziali proprio perché “non scolastiche”, ma presentate prima dell’inizio dell’anno come possibile opzione.
B) Altre controversie sono sorte in relazione alla valutazione, prima dell’IRC, e poi anche delle Attività Alternative. Fermo restando che la valutazione dell’IRC può riguardare
solo gli alunni che se ne avvalgono, il dibattito giurisprudenziale si è concentrato sul punto
2.8 dell’attuale intesa: «Nello scrutinio finale, nel caso in cui la normativa statale richieda
una deliberazione da adottarsi a maggioranza, il voto espresso dall’insegnante di religione
cattolica, se determinante, diviene un giudizio motivato iscritto a verbale». L’interpretazione giurisprudenziale che si è imposta ritiene che il giudizio degli IdR “iscritto a verbale”
sia in grado di «mantenere un carattere decisionale e costitutivo della maggioranza» (TAR
Puglia, sez. I, sent. N. 5 del 05/01/1994). Infatti sarebbe inaccettabile una norma che dichiarasse che “qualora il voto dell’IdR sia determinante per la promozione o meno, in tal
caso perde il suo carattere di voto determinante e si trasforma in un semplice giudizio di
motivato disaccordo”. 14
Più recentemente è stata messa in discussione la legittimità per l’IRC di contribuire alla
composizione del credito scolastico nel triennio finale della secondaria di II grado. Dal
momento che la valutazione dell’IRC si esprime su una nota a parte, con un giudizio e non
in voti (D.Lgs. 297/1994 [“Testo unico della scuola”] art. 309; ribadito dal DPR 122/2009,
artt. 2.4 e 4.3), negare all’IRC di poter almeno rappresentare uno dei parametri per la formulazione del credito scolastico significherebbe dichiararne l’assoluta irrilevanza. Il Consiglio di Stato si è espresso energicamente a favore della valutabilità dell’IRC.
14
Le possibilità che il voto sia determinante si riducono a quelle con consiglio di classe composto da un numero dispari
di docenti (in caso di parità, infatti, il voto del presidente del consiglio “vale doppio”). Purtroppo non mancano pubblicazioni che orientano i Dirigenti scolastici a negare ogni valore decisionale all’IdR. Non riporto la giurisprudenza in
merito: è reperibile sul sito www.olir.it (Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose).
– 50 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Consiglio di Stato, decisione 2749 del 16.03.2010 = legittimità del credito IRC – dovere da parte delle
scuole di istituire attività alternative valutabili, qualora ci siano alunni che le richiedono
«16. E su questo quadro normativo che intervengono le ordinanze impugnate, le quali si limitano a prevedere che, ai fini dell’attribuzione del credito scolastico nell’ambito della banda di oscillazione, si tiene
conto anche del giudizio formulato dai docenti di religione o di insegnamenti alternativi. Il loro giudizio è
quindi solo uno dei tanti elementi da prendere in considerazione, nell’ambito di un giudizio complessivo sulla carriera scolastica e sul comportamento dell’alunno, al fine dell’attribuzione di un punto.
Il che non vuol dire – questo va ribadito – che chi non segue religione (o l’insegnamento alternativo)
non possa avere questo punto in più: potrà comunque averlo sulla base degli altri elementi che la legge considera rilevanti (media dei voti, l’assiduità della frequenza scolastica, l’interesse e l’impegno nella partecipazione al dialogo educativo e alle attività complementari ed integrative ed eventuali crediti formativi).
Chi segue religione (o l’insegnamento alternativo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l’interesse che mostra e il profitto che consegue anche nell’ora di religione (o del corso alternativo). Chi non segue religione né il corso alternativo, ugualmente, non è discriminato né favorito: semplicemente non viene valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui
non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell’ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore.
17. Occorre, tuttavia, a questo punto, affrontare un problema che, pur non rientrando nel thema decidendum del presente giudizio, è stato tuttavia oggetto di specifica di trattazione da parte del primo giudice: ovvero la constatazione che in molte scuole gli insegnamenti alternativi all’ora di religione non sono attivati, lasciando così agli studenti che non intendono avvalersi come unica alternativa quella di non svolgere alcuna
attività didattica. Si tratta di un argomento che, come si ricordava all’inizio, è stato utilizzato dal T.a.r. per
rafforzare la tesi della illegittimità delle ordinanze impugnate.
Pur non essendo specificamente dedotto nei motivi di ricorso, la preoccupazione manifestata dal giudice
di primo grado va tenuta nella massima considerazione. Non vi è dubbio, infatti, che la mancata attivazione
dei corsi alternativi rischi di mettere in crisi uno dei presupposti su cui si fondano le ordinanze impugnate,
che, nel mettere sullo stesso piano, ai fini della valutazione come credito scolastico nell’ambito della c.d.
banda di oscillazione, l’insegnamento della religione e l’insegnamento dei corsi alternativi per i non avvalentisi, danno quasi per scontato che i corsi alternativi esistano ovunque.
Al contrario, è circostanza nota che in molte scuole i corsi alternativi non sono attivati e questo rischia di
pregiudicare la libertà religiosa dei non avvalentisi e di compromettere la logica delle ordinanze in esame.
Infatti, nelle scuole in cui il corso alternativo non è attivato, lo studente che per motivi religiosi non intenda avvalersi dell’insegnamento della religione, ha come sola alternativa quella di non fare nulla (a parte
eventuali iniziative individuali o di c.d. studio assistito).
La mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o
delle famiglia: la scelta di seguire l’ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall’assenza
di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente ad incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all’istruzione sancito dall’art. 34 Cost.
Ciò evidentemente non contraddice il carattere facoltativo dell’insegnamento alternativo: tale insegnamento è, e deve restare, facoltativo per lo studente, che può certamente non sceglierlo senza essere discriminato, ma la sua istituzione deve considerarsi obbligatoria per la scuola, specie alla luce della scelta compiuta nelle ordinanze della cui legittimità ora si discute. Di questo aspetto il Ministero appellante dovrà necessariamente farsi carico, perché altrimenti si alimenterebbe una situazione non coerente con quanto le stesse ordinanze impugnate sembrano invece presupporre».
– 51 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
8.
La dottrina della Chiesa circa l’IRC
Le modalità concrete di esercizio dell’insegnamento scolastico della religione variano in
funzione dei doversi contesti: i documenti del magistero universale della Chiesa (ad es. il
Direttorio Generale per la Catechesi della S. Congregazione per il Clero, o le encicliche papali) devono essere contestualizzate poi mediante le indicazioni degli episcopati nazionali
(ad es. Insegnare religione cattolica oggi della CEI, 1991).
L’IRC:
• è una attività ecclesiale che si colloca nell’ambito del munus docendi;
• è un diritto della Chiesa, della famiglia, della libertà personale;
• è «distinto e complementare» 15 rispetto alla catechesi;
• dà un contributo all’istruzione o all’educazione religiosa;
• pone la questione della verità del contenuto cattolico.
L’IdR deve essere in piena comunione con la Chiesa: questo è il senso autentico del riconoscimento dell’idoneità: non un titolo che si acquisisce, ma un modo di essere che viene riconosciuto. 16 «L’idoneità non è paragonabile a un diploma che abilita a insegnare correttamente la religione cattolica. Essa stabilisce tra il docente di religione e la comunità ecclesiale nella quale vive un rapporto permanente di comunione e di fiducia, finalizzato a un
genuino servizio nella scuola, e si arricchisce mediante le necessarie iniziative di aggiornamento, secondo una linea di costante sviluppo e verifica» (CEI, Insegnare religione cattolica oggi, n. 22).
Pertanto l’idoneità non deve essere considerata come causa efficiente dell’insegnamento,
ma come sua causa formale: non qualcosa di passato (“sono stato dichiarato idoneo, quindi ho diritto ad insegnare”), ma qualcosa di presente e immanente (“sono – ora! – considerato idoneo dalla Chiesa”, perché vivo un rapporto di comunione con essa). L’IdR non accede quindi all’insegnamento per iniziativa privata, ma su mandato della Chiesa.
Quanto al rapporto tra IRC e catechesi, secondo la nota CEI Insegnare religione cattolica
oggi (n. 13) essi convergono quanto a contenuto e destinatari (entrambi hanno per oggetto la “fede cattolica” e i destinatari sono per lo più gli stessi), mentre si discostano quanto a finalità e metodo (la catechesi vuol far maturare la fede all’interno di un’esperienza
di Chiesa mentre l’IRC non mira all’adesione personale di fede; inoltre la catechesi non segue la didattica tipica della scuola). In verità, l’evoluzione degli ultimi decenni mostra che i
destinatari si diversificano sempre più (sono sempre numerosi i fanciulli o gli adolescenti
non cattolici che ovviamente non fanno catechismo, ma frequentano l’IRC: i due gruppi
non sono più del tutto coestensivi!), mentre le metodologie si avvicinano progressivamente tra loro (la didattica scolastica non è più solo frontale, ma ha integrato nuove forme che
mirano non solo alla trasmissione di contenuti, ma alla crescita della persona, come nella
catechesi). Pertanto si può dire che oggi IRC e catechesi si differenziano per finalità e, almeno parzialmente, per destinatari; convergono invece per i contenuti e, almeno parzialmente, per il metodo, mirando alla piena maturazione della persona.
La complementarietà dovrebbe realizzarsi soprattutto negli alunni cattolici; in una prospettiva di pastorale integrata, la catechesi dovrebbe saper valorizzare gli esiti dell’IRC. 17
15
La locuzione fu coniata da S. Giovanni Paolo II nell’Allocuzione ai Sacerdoti della Diocesi di Roma del 5 marzo
1981, e divenne poi di uso comune.
16
«Mentre gli altri insegnanti devono acquisire l’abilitazione all’insegnamento, l’IdR deve essere riconosciuto idoneo.
L’idoneità diversamente dall’abilitazione ha a che fare con il profilo testimoniale dell’insegnante, più che con una abilità che egli può acquisire» (F. TOGNI, Sapere religione cattolica. Dati e significato di una ricerca, Ed. Studium, Roma
2013, p.162).
17
Si tenga conto, ad es., che di norma un bambino che inizia la catechesi per la prima comunione (di norma i terza classe primaria) ha già frequentato –almeno potenzialmente – ben cinque anni di IRC (tre di infanzia e due di primaria). La
catechesi dovrebbe tener conto di questi elementi…
– 52 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la catechesi (1997), nn. 73-76
CEI, Insegnare religione cattolica oggi (1991) [DOC 6 – CEI 1991]
G. BETORI, L’insegnante di religione, risorsa per la società e per la Chiesa,
in Notiziario del Servizio Nazionale IRC, 1/2006, pp. 8-16
CEI – SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, Nella scuola a servizio della persona. La scelta per l’IRC, Elledici,
Torino – Leumann 2009.
BENEDETTO XVI, Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, 5 maggio 2009
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo (2011) [DOC 13 – CEI 2010] n. 47
da: CONCILIO VATICANO II: Gravissimum educationis (1965)
I genitori hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole. Questa funzione educativa è tanto importante
che, se manca, a stento può essere supplita... soprattutto nella famiglia cristiana. (…) Il compito educativo
richiede l’aiuto di tutta la società. A un titolo tutto speciale il dovere di educare spetta alla chiesa, società
umana capace di impartire l’educazione ma soprattutto perché ha il compito di annunciare la via della salvezza.
La chiesa loda quelle società civili che, garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché
l’educazione dei figli possa avere luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle
stesse famiglie”
da: GIOVANNI PAOLO II: Catechesi tradendae (1979)
Esprimo il vivissimo auspicio che, rispondendo ad un ben chiaro diritto della persona umana e delle famiglie e nel rispetto della libertà religiosa di tutti, sia possibile a tutti gli alunni cattolici di progredire nella
loro formazione spirituale col contributo di un insegnamento religioso che dipende dalla chiesa, ma che, a
seconda dei paesi, può essere offerto dalla scuola, o nel quadro della scuola, o ancora nel quadro di un’intesa con i pubblici poteri circa gli orari scolastici, se la catechesi ha luogo soltanto in parrocchia o in altro centro pastorale. In effetti, anche dove esistono difficoltà oggettive, ad esempio quando gli alunni sono di religioni diverse, bisogna disporre gli orari scolastici in modo da consentire ai cattolici di approfondire la loro
fede e la loro esperienza religiosa, sotto la guida di educatori qualificati, sacerdoti o laici (n. 69).
da: Codice di diritto canonico, Cann. 793-806 (1983)
L’educazione cattolica
Can. 798 – I genitori affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica; se
non sono in grado di farlo, sono tenuti all’obbligo di curare che la debita educazione cattolica sia loro impartita al di fuori della scuola.
Can. 799 – I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei
giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza
dei genitori.
Can. 804 – § 1. All’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che
viene impartita in qualunque scuola o viene procurata per mezzo dei vari strumenti di comunicazione sociale;
spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo
diocesano regolarlo e vigilare su di esso...
§ 2. L’Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e
per abilità pedagogica.
Can. 805 – È diritto dell’Ordinario del luogo per la propria diocesi di nominare o di approvare gli insegnanti di religione, e parimenti, se lo richiedano motivi di religione o di costumi, di rimuoverli oppure di esigere che siano rimossi.
– 53 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la catechesi (1997)
Catechesi e insegnamento scolastico della religione
Il carattere proprio dell’insegnamento scolastico della religione
73. Una considerazione speciale merita — all’interno del ministero della Parola — il carattere proprio
dell’insegnamento religioso scolastico e il suo rapporto con la catechesi dei fanciulli e dei giovani.
Il rapporto tra insegnamento religioso scolastico e catechesi è un rapporto di distinzione e di complementarità: «C’è un nesso inscindibile e, insieme, una chiara distinzione tra l’insegnamento della religione e
la catechesi». (220)
Ciò che conferisce all’insegnamento religioso scolastico la sua peculiare caratteristica è il fatto di essere
chiamato a penetrare nell’ambito della cultura e di relazionarsi con gli altri saperi. Come forma originale del
ministero della Parola, infatti, l’insegnamento religioso scolastico fa presente il Vangelo nel processo personale di assimilazione, sistematica e critica, della cultura. (221)
Nell’universo culturale, che è interiorizzato dagli alunni e che è definito dai saperi e dai valori offerti
dalle altre discipline scolastiche, l’insegnamento religioso scolastico deposita il fermento dinamico del Vangelo e cerca di «raggiungere realmente gli altri elementi del sapere e dell’educazione, in modo che il Vangelo penetri nella mente degli alunni sul terreno della loro formazione e l’armonizzazione della loro cultura sia
fatta alla luce della fede». (222)
È necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la
stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento
cristiano con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare. Questo
dialogo deve essere istituito, innanzi tutto, a quel livello in cui ogni disciplina plasma la personalità
dell’alunno. Così, la presentazione del messaggio cristiano inciderà sul modo in cui si concepisce l’origine
del mondo e il senso della storia, il fondamento dei valori etici, la funzione della religione nella cultura, il
destino dell’uomo, il rapporto con la natura. L’insegnamento religioso scolastico, mediante questo dialogo
interdisciplinare fonda, potenzia, sviluppa e completa l’azione educatrice della scuola. (223)
Il contesto scolastico e i destinatari dell’insegnamento scolastico della religione
74. L’insegnamento scolastico della Religione si sviluppa in contesti scolastici differenti, la qual cosa fa
sì che esso, pur mantenendo il suo carattere proprio, acquista accentuazioni diverse. Queste dipendono dalle
condizioni legali e organizzative, dalla concezione didattica, dai presupposti personali degli insegnanti e degli alunni e dal rapporto dell’insegnamento religioso scolastico con la catechesi familiare e parrocchiale.
Non è possibile ricondurre a un’unica forma tutti i modelli di insegnamento religioso scolastico sviluppatisi storicamente in seguito alle Intese con gli Stati e alle delibere delle singole Conferenze Episcopali. È tuttavia necessario impegnarsi perché, secondo i relativi presupposti, l’insegnamento religioso scolastico risponda alla finalità e alle caratteristiche sue peculiari. (224)
Gli alunni «hanno il diritto di apprendere con verità e certezza la religione di appartenenza. Questo loro
diritto a conoscere più a fondo la persona di Cristo e l’interezza dell’annuncio salvifico da Lui recato, non
può essere disatteso. Il carattere confessionale dell’insegnamento religioso scolastico, svolto dalla Chiesa secondo modi e forme stabilite nei singoli Paesi, è, dunque, una garanzia indispensabile offerta alle famiglie e
agli alunni che scelgono tale insegnamento». (225)
Per la Scuola cattolica, l’insegnamento religioso scolastico così qualificato e completato con altre forme
di ministero della Parola (catechesi, celebrazioni liturgiche, ecc.) è parte indispensabile del loro compito pedagogico e fondamento della loro esistenza. (226)
L’insegnamento religioso scolastico, nel quadro della Scuola statale e di quella non confessionale, laddove le Autorità civili o altre circostanze impongono un insegnamento della religione comune ai cattolici e
non cattolici (227) avrà un carattere più ecumenico e di conoscenza interreligiosa comune.
In altre occasioni l’insegnamento religioso scolastico potrà avere un carattere piuttosto culturale, indirizzato alla conoscenza delle religioni, presentando con il dovuto rilievo la religione cattolica. (228) Anche in
questo caso, soprattutto se impartito da un professore sinceramente rispettoso, l’insegnamento religioso scolastico mantiene una dimensione di vera «preparazione evangelica».
75. La situazione di vita e di fede degli alunni che frequentano l’insegnamento religioso scolastico è caratterizzata da notevole e continuo cambiamento. L’insegnamento religioso scolastico deve tener conto di tale dato per poter raggiungere le proprie finalità.
L’insegnamento religioso scolastico aiuta gli alunni credenti a comprendere meglio il messaggio cristiano in relazione ai grandi problemi esistenziali comuni alle religioni e caratteristici di ogni essere umano, alle
– 54 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
visioni della vita maggiormente presenti nella cultura, e ai principali problemi morali capitali, in cui, oggi,
l’umanità si trova coinvolta.
Gli alunni, invece, che si trovano in una situazione di ricerca, o di fronte a dubbi religiosi, potranno scoprire nell’insegnamento religioso scolastico cos’è esattamente la fede in Gesù Cristo, quali sono le risposte
che la Chiesa dà ai loro interrogativi, dando ad essi l’occasione di scrutare meglio la propria decisione.
Invece, quando gli alunni non sono credenti, l’insegnamento religioso scolastico assume le caratteristiche
di un annuncio missionario del Vangelo, in ordine a una decisione di fede, che la catechesi, da parte sua, in
un contesto comunitario, farà poi crescere e maturare.
Educazione cristiana familiare, catechesi e insegnamento religioso scolastico al servizio
dell’educazione nella fede
76. L’educazione cristiana nella famiglia, la catechesi e l’insegnamento della religione nella scuola, ciascuno secondo le proprie caratteristiche peculiari, sono intimamente correlati tra loro nel servizio
dell’educazione cristiana dei fanciulli, adolescenti e giovani. In pratica, però, occorre prendere in considerazione differenti variabili che puntualmente si presentano, al fine di procedere con realismo e prudenza pastorale nell’applicazione degli orientamenti generali.
Pertanto, spetta a ciascuna diocesi o regione pastorale discernere le diverse circostanze che intervengono,
sia per quanto riguarda l’esistenza oppure no dell’iniziazione cristiana nell’ambito delle famiglie per i propri
figli, sia per quanto riguarda le incombenze formative che nella tradizione o situazione locale esercitano le
parrocchie, le scuole, ecc.
Di conseguenza, le Chiese particolari e la Conferenza Episcopale stabiliranno gli orientamenti propri per
i diversi ambiti, stimolando attività che sono distinte e complementari.
______________________________
(220) CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Dimensione religiosa dell’educazione nella Scuola cattolica.
Lineamenti per la riflessione e la revisione (7 aprile 1988), n. 68, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988; cf
Giovanni Paolo II, Allocuzione ai Sacerdoti della Diocesi di Roma (5 marzo 1981): Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, IV1, pp. 629-630; CD 13c; CIC 761.
(221) Sacrée Congrégation pour l’Education Catholique, Document L’école catholique (19 mars 1977), n. 26, Typographie Polyglotte Vaticane 1977.
(222) Catechesi tradendae [CT] 69. Si noti come, per CT 69, l’originalità dell’insegnamento religioso scolastico non
consiste solo nel rendere possibile il dialogo con la cultura in generale, giacché questo riguarda tutte le forme del
ministero della Parola. Nell’IRS si cerca, in un modo più diretto, di promuovere questo dialogo nel processo personale di iniziazione sistematica e critica, e di incontro con il patrimonio culturale che promuove la scuola.
(223) Cfr CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Dimensione religiosa dell’educazione nella Scuola cattolica. Lineamenti per la riflessione e la revisione, n. 70, l.c.
(224) Cfr GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione al Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa
sull’Insegnamento della Religione Cattolica nella scuola pubblica (15 aprile 1991): Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, XIV1, pp. 780s.
(225) Ibid.
(226) Cfr CT 69; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Dimensione religiosa dell’educazione nella Scuola cattolica. Lineamenti per la riflessione e la revisione, n. 66: l.c.
(227) Cfr CT 33.
(228) Cfr CT 34.
CEI, Insegnare religione cattolica oggi (1991)
→ Riporto qui solo l’indice del documento, perché il testo è troppo lungo per essere riportato integralmente:
ma è importante che leggerlo tutto, in particolare i §§ 4-24.
Il documento, nonostante sia vecchio di quasi 25 anni, è estremamente attuale. Segno che è stato scritto
con lungimiranza profetica, oppure che il cammino da allora è stato modesto…
PREMESSA
1.
2.
3.
Chiarimenti e impegni
I tre aspetti secondo cui si considera l’IRC
I destinatari
– 55 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
L’IRC NELLA SCUOLA PUBBLICA:
SIGNIFICATO E PORTATA DI UN SERVIZIO EDUCATIVO
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
L’IRC per l’educazione della persona
In una scuola formativa
Il contributo dell’IRC
Un IRC rivolto a tutti gli alunni
Secondo le indicazioni dei nuovi programmi
Le motivazioni del contenuto cattolico dell’IRC
Il Cattolicesimo è parte del nostro patrimonio storico
La garanzia di autenticità
Piena disponibilità a un servizio richiesto
IRC e catechesi
Complementarità tra dimensione religiosa e culturale
Libertà di scelta e responsabilità educativa dei genitori
IRC e alunni che non se ne avvalgono
L’INSEGNANTE DI RELIGIONE CATTOLICA:
PROFILO PROFESSIONALE E IMPEGNO EDUCATIVO
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
24.
Motivazioni ideali e passione educativa
Il docente di religione uomo di fede
Professionalità e sue problematiche
I docenti di classe e gli incaricati nella scuola materna ed elementare
La questione dello stato giuridico
Idoneità e rapporto di comunione con la Chiesa
L’insegnante di religione come uomo della sintesi
La spiritualità del docente di religione
L’IRC NELL’IMPEGNO DELLA COMUNITÀ CRISTIANA
E NELLA COMUNITÀ CIVILE
25.
26.
27.
28.
29.
30.
Corresponsabilità educativa
La famiglia per la crescita dell’IRC
Responsabilità della comunità cristiana verso l’IRC
IRC e pastorale della scuola
Il contributo del mondo cattolico
l’apporto della società civile e degli uomini di cultura
CONCLUSIONE
31.
32.
33.
34.
35.
36.
Traguardi operativi
In ogni diocesi un corpo di docenti stabilmente dediti all’IRC
I docenti di religione laici
I docenti di religione sacerdoti e religiosi
Gli ISR per la formazione e per l’aggiornamento dei docenti
Realismo e fiducia.
BENEDETTO XVI, Discorso agli Insegnanti di Religione Cattolica, 25 aprile 2009
Il discorso pronunciato dal santo Padre dinanzi alla folla entusiasta degli IdR italiani in Aula Paolo VI sintetizza la storia di una consapevolezza: «La dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla
formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita… non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia… La dimensione
religiosa rende l’uomo più uomo». Questo è il presupposto dell’IRC culturale e confessionale, al cui centro si
pone la concreta persona dell’IdR: «a voi… appartiene la vocazione a lasciar trasparire che quel Dio di cui
parlate nelle aule scolastiche costituisce il riferimento essenziale della vostra vita».
Cari fratelli e sorelle, è un vero piacere per me incontrarvi quest’oggi e condividere con voi alcune riflessioni sulla vostra importante presenza nel panorama scolastico e culturale italiano, nonché in seno alla co-
– 56 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
munità cristiana. Saluto tutti con affetto, a cominciare dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto, presentandomi questa numerosa e vivace Assemblea. Ugualmente rivolgo un saluto cordiale a tutte le autorità presenti.
L’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l’insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti. È significativo che con lui
tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi. L’altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è inoltre il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un
indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto. In un suo recente messaggio la Presidenza della Cei ha
affermato che «l’insegnamento della religione cattolica favorisce la riflessione sul senso profondo dell’esistenza, aiutando a ritrovare, al di là delle singole conoscenze, un senso unitario e un’intuizione globale. Ciò è
possibile perché tale insegnamento pone al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità, lasciandosi illuminare dalla vicenda unica di Gesù di Nazaret, di cui si ha cura di investigare l’identità, che non cessa da duemila anni di interrogare gli uomini».
Porre al centro l’uomo creato ad immagine di Dio (cfr. Gn 1, 27) è, in effetti, ciò che contraddistingue
quotidianamente il vostro lavoro, in unità d’intenti con altri educatori ed insegnanti. In occasione del Convegno ecclesiale di Verona, nell’ottobre 2006, io stesso ebbi modo di toccare la «questione fondamentale e decisiva» dell’educazione, indicando l’esigenza di «allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle
grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto
dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità
che le tiene insieme» (Discorso del 19 ottobre 2006: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2 [2006], 473; 471).
La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona
e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita.
Il vostro servizio, cari amici, si colloca proprio in questo fondamentale crocevia, nel quale – senza improprie invasioni o confusione di ruoli – si incontrano l’universale tensione verso la verità e la bimillenaria
testimonianza offerta dai credenti nella luce della fede, le straordinarie vette di conoscenza e di arte guadagnate dallo spirito umano e la fecondità del messaggio cristiano che così profondamente innerva la cultura e
la vita del popolo italiano. Con la piena e riconosciuta dignità scolastica del vostro insegnamento, voi contribuite, da una parte, a dare un’anima alla scuola e, dall’altra, ad assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura in generale. Grazie all’insegnamento della religione cattolica,
dunque, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando
l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio
comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro.
L’appuntamento odierno si colloca anche nel contesto dell’Anno Paolino. Grande è il fascino che
l’Apostolo delle genti continua ad esercitare su tutti noi: in lui riconosciamo il discepolo umile e fedele, il
coraggioso annunciatore, il geniale mediatore della Rivelazione. Caratteristiche, queste, a cui vi invito a
guardare per alimentare la vostra stessa identità di educatori e di testimoni nel mondo della scuola. È Paolo,
nella prima Lettera ai Tessalonicesi (4, 9), a definire i credenti con la bella espressione di theodìdaktoi, ossia
“ammaestrati da Dio”, che hanno Dio per maestro. In questa parola troviamo il segreto stesso dell’educazione, come anche ricorda sant’Agostino: «Noi che parliamo e voi che ascoltate riconosciamoci come fedeli
discepoli di un unico Maestro» (Serm. 23, 2).
Inoltre, nell’insegnamento paolino la formazione religiosa non è separata dalla formazione umana. Le ultime Lettere del suo epistolario, quelle dette “pastorali”, sono piene di significativi rimandi alla vita sociale e
civile che i discepoli di Cristo devono ben tenere a mente. San Paolo è un vero “maestro” che ha a cuore sia
la salvezza della persona educata in una mentalità di fede, sia la sua formazione umana e civile, perché il discepolo di Cristo possa esprimere in pieno una personalità libera, un vivere umano “completo e ben preparato”, che si manifesta anche in un’attenzione per la cultura, la professionalità e la competenza nei vari campi
del sapere a beneficio di tutti. La dimensione religiosa non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia; è apertura fondamentale all’alterità e al mistero che presiede
ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani. La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo. Possa il
vostro insegnamento essere sempre capace, come lo fu quello di Paolo, di aprire i vostri studenti a questa
dimensione di libertà e di pieno apprezzamento dell’uomo redento da Cristo così come è nel progetto di Dio,
esprimendo così, nei confronti di tanti ragazzi e delle loro famiglie, una vera carità intellettuale.
Certamente uno degli aspetti principali del vostro insegnamento è la comunicazione della verità e della
bellezza della Parola di Dio, e la conoscenza della Bibbia è un elemento essenziale del programma di insegnamento della religione cattolica. Esiste un nesso che lega l’insegnamento scolastico della religione e
– 57 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
l’approfondimento esistenziale della fede, quale avviene nelle parrocchie e nelle diverse realtà ecclesiali. Tale legame è costituito dalla persona stessa dell’insegnante di religione cattolica: a voi, infatti, oltre al dovere
della competenza umana, culturale e didattica propria di ogni docente, appartiene la vocazione a lasciar trasparire che quel Dio di cui parlate nelle aule scolastiche costituisce il riferimento essenziale della vostra vita.
Lungi dal costituire un’interferenza o una limitazione della libertà, la vostra presenza è anzi un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata
sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un Paese ha sempre bisogno.
Come suggeriscono le parole dell’apostolo Paolo che fanno da titolo a questo vostro appuntamento, auguro a tutti voi che il Signore vi doni la gioia di non vergognarvi mai del suo Vangelo, la grazia di viverlo, la
passione di condividere e coltivare la novità che da esso promana per la vita del mondo. Con questi sentimenti benedico voi e le vostre famiglie, insieme a tutti coloro – studenti e insegnanti – che ogni giorno incontrate in quella comunità di persone e di vita che è la scuola.
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera Circolare n. 520 agli Em.mi ed
Ecc.mi Presidenti delle Conferenze Episcopali sull’insegnamento della religione nella scuola –
Roma, 5 maggio 2009
Eminenza/Eccellenza Reverendissima,
la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola è divenuto oggetto di dibattito e in alcuni casi di nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso
di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni.
Pertanto, con la presente Lettera Circolare, indirizzata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, questa
Congregazione per l’Educazione Cattolica, ritiene necessario richiamare alcuni principi, che sono approfonditi nell’insegnamento della Chiesa, a chiarificazione e norma circa il ruolo della scuola nella formazione
cattolica delle nuove generazioni; la natura e l’identità della scuola cattolica; l’insegnamento della religione
nella scuola; la libertà di scelta della scuola e dell’insegnamento religioso confessionale.
I. Il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni
1. L’educazione si presenta oggi come un compito complesso, sfidata da rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. La sua missione specifica rimane la formazione integrale della persona umana. Ai fanciulli e ai giovani va garantita la possibilità di sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali, intellettuali e spirituali; ed essi vanno anche aiutati a perfezionare il senso di responsabilità, ad imparare il retto uso
della libertà, e a partecipare attivamente alla vita sociale (cfr c. 795 Codice di Diritto Canonico [CIC]; c. 629
Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [CCEO]). Un insegnamento che disconoscesse o emarginasse la
dimensione morale e religiosa della persona costituirebbe un ostacolo per un’educazione completa, perché «i
fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente». Perciò, il Concilio Vaticano II ha chiesto e raccomandato «a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di preoccuparsi
perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto» (Dichiarazione Gravissimum educationis, 1).
2. Una tale educazione richiede il contributo di molti soggetti educativi. I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, sono i primi e principali educatori (cfr GE 3; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, n. 36; c. 793 CIC; c. 627 CCEO). Per tale ragione, spetta ai genitori cattolici, curare
l’educazione cristiana dei loro figli (c. 226 CIC; c. 627 CCEO). In questo compito primario i genitori hanno
bisogno dell’aiuto sussidiario della società civile e d’altre istituzioni, infatti: «la famiglia è la prima, ma non
l’unica ed esclusiva comunità educante» (FC 40; cfr GE 3).
3. «Tra tutti gli strumenti educativi, un’importanza particolare riveste la scuola» (GE 5), che è «di precipuo aiuto ai genitori nell’adempiere la loro funzione educativa» (c. 796 §1 CIC), particolarmente per favorire
la trasmissione della cultura e l’educazione al vivere insieme. In questi ambiti, in conformità anche alla legislazione internazionale e ai diritti dell’uomo, «deve essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla
scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa» (FC 40). I genitori cattolici «affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica» (c. 798 CIC) e, quando ciò non è possibile, devono
supplirne la mancanza (cfr ibidem).
4. Il Concilio Vaticano II ricorda «il grave dovere, che incombe sui genitori, di tutto predisporre o anche
di esigere», perché i loro figli possano ricevere un’educazione morale e religiosa «e in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le
– 58 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie» (GE 7).
In sintesi:
- L’educazione si presenta oggi come compito complesso, vasto ed urgente. La complessità odierna rischia di far perdere l’essenziale, cioè la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione religiosa e spirituale.
- L’opera educativa pur compiuta da più soggetti ha nei genitori i primi responsabili dell’educazione.
- Tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola che garantisca una educazione
conforme ai propri principi religiosi e morali.
II. Natura e identità della scuola cattolica: diritto ad un’educazione cattolica per le famiglie e per gli
alunni. Sussidiarietà e collaborazione educativa
5. Nell’educazione e nella formazione un ruolo particolare riveste la scuola cattolica. Nel servizio educativo scolastico si sono distinte e continuano a dedicarsi lodevolmente molte comunità e congregazioni religiose, ma tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di «disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica» (c. 794 §2 CIC) e, più precisamente, per avere «scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano» (c.
802 CIC; cfr c. 635 CCEO).
6. Una scuola cattolica si caratterizza dal vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cfr c. 803 CIC; cc. 632 e 639 CCEO). In questi centri educativi, aperti a tutti coloro i quali ne condividano e rispettino il progetto educativo, deve essere raggiunto un
ambiente scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, che favorisca uno sviluppo armonico
della personalità di ciascuno. In quest’ambiente viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo (cfr GE 8; c. 634 §1 CCEO).
7. In questo modo, è assicurato il diritto delle famiglie e degli alunni ad un’educazione autenticamente
cattolica e, allo stesso tempo, si attuano gli altri fini culturali e di formazione umana e accademica dei giovani, che sono propri di qualsiasi scuola (cfr c. 634 §3 CCEO; c. 806 §2 CIC).
8. Pur sapendo quanto ciò oggi sia problematico è auspicabile che, per la formazione della persona, esista una grande sintonia educativa fra scuola e famiglia, così da evitare tensioni o fratture nel progetto educativo. È quindi necessario che esista una stretta e attiva collaborazione fra genitori, insegnanti e dirigenti delle
scuole, ed è opportuno incoraggiare gli strumenti di partecipazione dei genitori nella vita scolastica: associazioni, riunioni, ecc. (cfr. c. 796 §2 CIC; c. 639 CCEO).
9. La libertà dei genitori, delle associazioni e istituzioni intermedie e della stessa gerarchia della Chiesa
di promuovere scuole d’identità cattolica costituiscono un esercizio del principio di sussidiarietà. Questo
principio esclude «ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché a
quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società» (GE 6).
In sintesi:
- La scuola cattolica è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si
fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.
- Essa è aperta a tutti coloro che ne vogliano condividere il progetto educativo ispirato dai principi cristiani.
- La scuola cattolica è espressione della comunità ecclesiale e la sua cattolicità è garantita dalle competenti autorità (Ordinario del luogo).
- Assicura la libertà di scelta dei genitori cattolici ed è espressione di pluralismo scolastico.
- Il principio di sussidiarietà regola la collaborazione tra la famiglia e le varie istituzioni deputate
all’educazione.
III. L’insegnamento della religione nella scuola
a) Natura e finalità
10. L’insegnamento della religione nella scuola costituisce un’esigenza della concezione antropologica
aperta alla dimensione trascendente dell’essere umano: è un aspetto del diritto all’educazione (cfr c. 799
CIC). Senza questa materia, gli alunni sarebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e
per il loro sviluppo personale, che li aiuta a raggiungere un’armonia vitale fra fede e cultura. La formazione
morale e l’educazione religiosa favoriscono anche lo sviluppo della responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche, e costituiscono dunque un rilevante contributo al bene comune della società.
– 59 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
11. In questo settore, in una società pluralista, il diritto alla libertà religiosa esige sia l’assicurazione della
presenza dell’insegnamento della religione nella scuola, sia la garanzia che tale insegnamento sia conforme
alle convinzioni dei genitori. Il Concilio Vaticano II ricorda: «[Ai genitori] spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I
diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono
alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa» (Dichiarazione Dignitatis humanae 5; cfr c. 799 CIC; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, art. 5, c-d). Questa affermazione trova riscontro nella
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) e in molte altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.
12. La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica, ad
assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e “neutro”. A questo
riguardo, Giovanni Paolo II spiegava: «La questione dell’educazione cattolica comprende (...) l’insegnamento religioso nell’ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento
hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica – proprio
perché aperta a tutti – non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato
insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e
vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose» (Discorso ai Cardinali e ai collaboratori della Curia Romana, 28 giugno1984).
13. Con questi presupposti, si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: «il potere civile, il
cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o
di impedire gli atti religiosi» (DH 3). Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici
dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico.
14. La Chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente della natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è
impartita. Perciò: «all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che
viene impartita in qualunque scuola (...); spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso» (c. 804 §1 CIC; cfr, inoltre, c. 636 CCEO).
b) L’insegnamento della religione nella scuola cattolica
15. L’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche identifica il loro progetto educativo, infatti, «il
carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero
preferirla, consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato nell’educazione degli
alunni» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979, 69).
16. Anche nelle scuole cattoliche, va rispettata, come altrove, la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori. Questo non impedisce, com’è chiaro, il diritto-dovere della Chiesa «di insegnare e di
testimoniare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto», tenendo conto che «nel diffondere la fede
religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta» (DH 4).
c) Insegnamento della religione cattolica sotto il profilo culturale e rapporto con la catechesi
17. L’insegnamento scolastico della religione s’inquadra nella missione evangelizzatrice della Chiesa. È
differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli. Oltre al diverso ambito in cui ognuna è impartita,
sono differenti le finalità che si prefiggono: la catechesi si propone di promuovere l’adesione personale a
Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti (cfr Congregazione per il Clero, Direttorio
generale per la catechesi [DGC], 15 agosto1997, nn. 80-87); l’insegnamento scolastico della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, il Papa Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione, ha indicato l’esigenza «di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza
– 60 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale,
concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita».
A tal fine concorre l’insegnamento della religione cattolica, con il quale «la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si
abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il
senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro» (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009).
18. La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica;
al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: «è necessario, perciò, che
l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità
e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento cristiano con la stessa serietà e
profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca
come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare» (DGC 73).
In sintesi:
- La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell’insegnamento della religione nello
spazio pubblico scolastico.
- Una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale ne è la condizione culturale.
- Nella scuola cattolica l’insegnamento della religione è caratteristica irrinunciabile del progetto educativo.
- L’insegnamento della religione è differente e complementare alla catechesi, in quanto è insegnamento
scolastico che non richiede l’adesione di fede, ma trasmette le conoscenze sull’identità del cristianesimo
e della vita cristiana. Inoltre, esso arricchisce la Chiesa e l’umanità di laboratori di cultura e umanità.
IV. Libertà educativa, libertà religiosa ed educazione cattolica
19. In conclusione, il diritto all’educazione e la libertà religiosa dei genitori e degli alunni si esercitano
concretamente attraverso:
a) la libertà di scelta della scuola. «I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di
educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i
propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza». (GE 6; cfr DH 5; c. 797 CIC; c. 627 §3 CCEO).
b) La libertà di ricevere, nei centri scolastici, un insegnamento religioso confessionale che integri la
propria tradizione religiosa nella formazione culturale e accademica propria della scuola. «I fedeli facciano
di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole
stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori» (c. 799 CIC; cfr GE 7,
DH 5). Infatti, all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene
impartita in qualunque scuola (cfr c. 804 §1 CIC; c. 636 CCEO).
20. La Chiesa è consapevole che in molti luoghi, adesso come in epoche passate, la libertà religiosa non
è pienamente effettiva, nelle leggi e nella pratica (cfr DH 13). In queste condizioni, la Chiesa fa il possibile
per offrire ai fedeli la formazione di cui hanno bisogno (cfr GE 7; c. 798 CIC; c. 637 CCEO). Nello stesso
tempo, d’accordo con la propria missione (cfr Gaudium et spes, 76), non smette di denunciare l’ingiustizia
che si compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è
ferita la loro libertà religiosa, ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi perché quei diritti siano effettivi (cfr c.
799 CIC).
Questa Congregazione per l’Educazione Cattolica è certa che i principi sopra richiamati possono contribuire a trovare una sempre più ampia consonanza tra il compito educativo, che è parte integrante della missione della Chiesa, e l’aspirazione delle Nazioni a sviluppare una società giusta e rispettosa della dignità di
ogni uomo.
Da parte sua la Chiesa, esercitando la diakonia della verità in mezzo all’umanità, offre ad ogni generazione la rivelazione di Dio dalla quale si può imparare la verità ultima sulla vita e sul fine della storia. Questo
compito non è facile in un mondo secolarizzato, abitato dalla frammentazione della conoscenza e dalla confusione morale, coinvolge tutta la comunità cristiana e costituisce una sfida per gli educatori. Ci sostiene,
comunque, la certezza - come afferma Benedetto XVI - che «i nobili scopi […] dell’educazione, fondati
sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di
speranza» (Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).
Mentre preghiamo l’Eminenza/Eccellenza Vostra di voler portare a conoscenza di quanti sono interessati
al servizio e alla missione educativa della Chiesa i contenuti della presente Lettera Circolare, La ringraziamo
– 61 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
della cortese attenzione ed in comunione di preghiere a Maria, Madre e Maestra degli educatori, ci valiamo
volentieri della circostanza per porgere i sensi della nostra considerazione, confermandoci dell’Eminenza/
Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mi nel Signore
Zenon Card. GROCHOLEWSKI, Prefetto
+ Jean-Louis BRUGUÈS, O.P., Segretario
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo (2010)
47. Al raggiungimento di questi obiettivi può dare un qualificato contributo il docente di religione cattolica, che insegna una disciplina curriculare inserita a pieno titolo nelle finalità della scuola e promuove un
proficuo dialogo con i colleghi, rappresentando – in quanto figura competente e qualificata – una forma di
servizio della comunità ecclesiale all’istituzione scolastica. L’insegnamento della religione cattolica permette
agli alunni di affrontare le questioni inerenti il senso della vita e il valore della persona, alla luce della Bibbia
e della tradizione cristiana. Lo studio delle fonti e delle forme storiche del cattolicesimo è parte integrante
della conoscenza del patrimonio storico, culturale e sociale del popolo italiano e delle radici cristiane della
cultura europea. Infatti, «la dimensione religiosa… è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione
globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita» (BENEDETTO XVI, Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009). Per questo motivo «la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo,
si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il
senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro» (Ibid.).
– 62 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
9.
L’educazione religiosa, parte essenziale dell’educazione
della persona
Gli sviluppi della pedagogia degli ultimi decenni, in Italia e in Europa, hanno messo in rilievo che la scuola non può limitarsi ad istruire (fornire nozioni o conoscenze) o a formare
in vista del futuro lavoro (fornire abilità pratiche o competenze meramente funzionali), ma
è chiamata a favorire la crescita della persona, mediante quattro tipi di apprendimento:
imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere (J.
Delors, autore di un famoso Rapporto sull’educazione commissionato dall’UNESCO).
L’educazione integrale non si riduce a semplice “istruzione” (cognitivismo) né ad “auto-educazione” (spontaneismo, antiautoritarismo): è importante che si istituisca una vera
relazione educativa, in cui l’educatore presenti all’alunno contenuti che lo aiutino ad elaborare una vera sintesi tra il suo mondo interiore, il mondo e la Verità.
La scuola educa mediante la cultura; poiché la religione è forma alta – e qualcuno dice
“prima” – della cultura, è necessario che la scuola accolga un insegnamento religioso. Gli
attuali documenti ministeriali sulla scuola (Indicazioni Nazionali per il curricolo della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, 4 settembre 2012, in part. Profilo delle
competenze al termine del primo ciclo di istruzione; cfr PECUP del I [2004] 18 e II ciclo
[2005] 19) chiedono che non si trascuri la dimensione religiosa: lo studente deve essere
educato – tra l’altro – a «riconoscere… l’identità spirituale e materiale dell’Italia e
dell’Europa, ma anche l’importanza storica e attuale dei rapporti e dell’interazione con altre culture; collocare in questo contesto la riflessione sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana e, per gli studenti che se ne avvalgono, l’insegnamento della Religione Cattolica impartito secondo gli accordi concordatari e le successive intese» (PECUP 2005).
La logica delle competenze è il tema ricorrente delle indicazioni europee sulla scuola.
L’alunno, dotato per natura di alcune capacità, acquisisce nel percorso scolastico conoscenze teoriche e abilità pratiche; ma solo quando sa valorizzare queste acquisizioni per la
propria vita si potrà parlare di competenze. Una interpretazione “funzionalistica” delle
competenze (intese cioè solo come “maestria nell’esercizio di un lavoro” e non come “saper
valorizzare gli apprendimenti in un contesto di senso personalmente efficace”) è purtroppo
frequente, ma ne contraddice il significato autentico.
J. DELORS, Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della commissione internazionale sul XXI secolo, Armando, Roma 1997
G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia 2000
BENEDETTO XVI, Discorso all’assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010
J. DELORS, Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della commissione internazionale sul XXI secolo, Armando, Roma 1997
Poiché il prossimo secolo fornirà mezzi senza precedenti per la comunicazione e per la circolazione e
l’immagazzinamento delle informazioni, imporrà all’educazione due imperativi che a prima vista potrebbero
apparire contraddittori. L’educazione deve trasmettere, efficacemente e massicciamente, una crescente quantità di conoscenze e cognizioni tecniche in continua evoluzione, adattate a una civiltà basata sul sapere, perché proprio questo forma la base delle competenze del futuro. Nello stesso tempo, essa deve trovare e additare i punti di riferimento che, da una parte, consentano agli individui di non essere sommersi dal flusso delle
informazioni, molte delle quali effimere, che stanno invadendo la sfera pubblica e privata, e, dall’altra, sappiano prospettare lo sviluppo degli individui e delle comunità come suo fine. L’educazione deve, per così di18
D. L.vo n. 59/2004 - Allegato D: «utilizza gli strumenti di conoscenza per comprendere se stesso e gli altri, per riconoscere a apprezzare le diverse identità, le tradizioni culturali e religiose, in un’ottica di dialogo e di rispetto reciproco».
19
D. L.vo n. 226/2005 - Allegato A.
– 63 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
re, offrire simultaneamente le mappe di un mondo complesso in perenne agitazione e la bussola che consenta
agli individui di trovarvi la propria rotta.
In questa prospettiva del futuro, le risposte tradizionali alla domanda d’educazione, che sono essenzialmente quantitative e basate sulla conoscenza, non sono più adeguate. Non è sufficiente fornire ad un bambino, all’inizio della sua vita, un bagaglio di conoscenze al quale possa attingere per il resto della vita. Ciascun
individuo deve essere messo in grado di cogliere ogni occasione per imparare nel corso intero della sua vita,
sia per ampliare le proprie conoscenze, abilità e attitudini, sia per adattarsi ad un mondo mutevole, complesso e interdipendente.
Per riuscire nei suoi compiti, l’educazione deve essere organizzata attorno a quattro tipi fondamentali
d’apprendimento che, nel corso della vita di un individuo, saranno in un certo senso i pilastri della conoscenza: imparare a conoscere cioè acquisire gli strumenti della comprensione; imparare a fare, in modo tale
da essere capaci di agire creativamente nel proprio ambiente; imparare a vivere insieme, in modo tale da partecipare e collaborare con gli altri in tutte le attività umane; imparare ad essere, un progresso essenziale che
deriva dai tre precedenti. Ovviamente; questi quattro percorsi della conoscenza formano un tutt’uno, perché
vi sono tra loro molti punti di contatto, d’incrocio e di scambio.
Eppure, l’educazione formale si è accentrata tradizionalmente soprattutto, se non esclusivamente,
sull’imparare a conoscere e, in minore misura, sull’imparare a fare. Gli altri due apprendimenti sono lasciati
per lo più al caso, o ritenuti come il prodotto naturale dei due precedenti. La Commissione ritiene che si debba prestare eguale attenzione, in tutto l’apprendimento organizzato, a ciascuno di questi quattro pilastri, in
modo tale che l’educazione sia considerata come un’esperienza totale per tutta la vita, avendo a che fare sia
con la comprensione che con l’applicazione, e concentrando l’attenzione sia sull’individuo sia sul posto che
ciascuno ha nella società.
Fin dall’inizio dei suoi lavori, la Commissione ha compreso che per far fronte alle sfide del prossimo secolo è necessario cambiare gli obiettivi dell’educazione e le attese che si nutrono nei suoi confronti. Una
concezione ampia e globale dell’apprendimento dovrebbe tendere a consentire a ciascun individuo di scoprire, svelare e arricchire il suo potenziale creativo, di rivelare il tesoro che c’è in ciascuno di noi. Questo significa andare oltre una visione strumentale dell’educazione, cioè come un processo al quale ci si sottopone per
raggiungere determinati scopi (in termini di abilità, di capacità o di potenziale economico), per arrivare a una
visione che metta in risalto lo sviluppo della persona nella sua interezza, cioè della persona che impara ad essere.
Imparare a conoscere
Questo tipo d’apprendimento implica non tanto l’acquisizione d’informazioni classificate, codificate,
quanto il venire in possesso degli strumenti stessi della conoscenza, e può essere considerato sia un mezzo
che un fine della vita umana. Come mezzo, esso serve a consentire a ciascuna persona di capire almeno quel
tanto del suo ambiente che gli permetta di vivere con dignità, di sviluppare le capacità professionali e di comunicare. Come fine, la sua base è il piacere di capire, conoscere e scoprire. Anche se studiare per un fine
non immediatamente utile sta diventando meno comune, poiché le conoscenze applicabili sono così importanti nella vita di oggi, la tendenza ad un periodo più lungo di educazione, ed a un tempo più libero, dovrebbe condurre a un numero crescente di adulti in grado di apprezzare i piaceri della ricerca personale.
L’ampliamento dei saperi, che permette a ciascuno di comprendere i vari aspetti del proprio ambiente favorisce il risveglio della curiosità intellettuale, stimola il senso critico e consente di decifrare il reale acquisendo
l’autonomia del giudizio.
Imparare a fare
Imparare a conoscere e imparare a fare sono in larga misura indissociabili, ma imparare a fare è più strettamente legato al problema della formazione professionale: in che modo si possa insegnare agli alunni a mettere in pratica ciò che hanno appreso e in che modo l’educazione possa essere adattata al futuro lavoro quando è impossibile prevedere esattamente quale evoluzione questo lavoro potrà avere.
A questo proposito, è necessario distinguere tra le economie industriali, dominate dal lavoro dei salariati,
e le altre economie ancora ampiamente dominate dal lavoro autonomo e informale. Nelle società dominate
dal lavoro dei salariati, che si sono sviluppate nel corso del ventesimo secolo secondo il modello industriale,
la sostituzione delle macchine al lavoro umano ha l’effetto di renderlo sempre più immateriale; essa accentua
la componente conoscitiva del lavoro, anche nell’industria, e l’importanza del settore dei servizi. [Dal concetto di abilità a quello di competenza].
Imparare a vivere insieme, imparare a vivere con gli altri
Questo tipo d’apprendimento costituisce oggi probabilmente uno dei maggiori problemi nell’educazione.
Il mondo contemporaneo è troppo spesso un mondo di violenza che delude le speranze che alcuni hanno po-
– 64 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
sto nel progresso umano. In tutta la storia umana ci sono sempre stati conflitti, ma nuovi fattori stanno accentuando il rischio, in particolare la straordinaria capacità di autodistruggersi che l’umanità ha creato nel corso
del ventesimo secolo. Attraverso i media, il grosso pubblico sta diventando un osservatore impotente, anzi
l’ostaggio, di coloro che creano o alimentano conflitti. L’educazione non è stata capace, finora, di fare molto
per alleviare la situazione. È possibile concepire una forma di educazione che possa consentire di evitare i
conflitti o di risolverli pacificamente sviluppando il rispetto per gli altri, per le loro culture e per i loro valori
spirituali?
L’idea d’insegnare la nonviolenza nelle scuole è lodevole, anche se è soltanto un mezzo fra tanti per
combattere i pregiudizi che conducono al conflitto. Il compito è difficile, perché, in maniera del tutto naturale, gli esseri umani tendono a sopravvalutare le loro qualità e quelle del loro gruppo d’appartenenza ed a nutrire pregiudizi sfavorevoli nei confronti degli altri. Inoltre, il clima generale di competizione che oggi caratterizza l’attività economica, all’interno delle nazioni e soprattutto tra nazioni diverse, tende a dare priorità
allo spirito competitivo e al successo individuale. Tale competizione si esprime oggi in una spietata guerra
economica e in una tensione tra ricchi e poveri che sta dividendo le nazioni e il mondo, ed esasperando rivalità storielle. Si deve lamentare che talvolta l’educazione contribuisce a conservare questo clima con la sua
interpretazione errata dell’idea di emulazione.
Imparare ad essere
Fin dalla sua prima riunione, la Commissione ha riaffermato con forza il principio fondamentale che
l’educazione deve contribuire allo sviluppo totale di ciascun individuo: spirito e corpo, intelligenza, sensibilità, senso estetico, responsabilità personale e valori spirituali. Tutti gli esseri umani debbono essere messi in
grado di sviluppare un pensiero autonomo e critico e di formarsi un proprio giudizio, per poter decidere da
soli ciò che, a loro parere, debbono fare nelle diverse circostanze della vita.
Il preambolo del rapporto Imparare ad essere esprimeva il timore di una disumanizzazione del mondo
dovuta all’evoluzione tecnica, e uno dei suoi messaggi fondamentali è che l’educazione deve consentire ad
ogni individuo “di risolvere i suoi problemi, di prendere le sue decisioni e di assumersi le sue responsabilità”.
Tutti i cambiamenti verificatisi da allora nella società, e particolarmente lo straordinario sviluppo del potere
dei media, hanno accentuato questo timore e reso anche più legittimo l’imperativo che ne deriva. Nel ventunesimo secolo, questi fenomeni potrebbero apparire anche ampliati. Il problema, allora, non sarà più tanto il
preparare i bambini per una determinata società, quanto il fornire continuamente a tutti gli individui le forze
e i punti intellettuali di riferimento di cui essi hanno bisogno per capire il mondo che li circonda e per comportarsi in maniera responsabile e giusta. Più che mai, il ruolo fondamentale dell’educazione sembra essere
quello di dare agli individui la libertà di pensiero, di giudizio, di sentimento e d’immaginazione di cui essi
hanno bisogno per poter sviluppare i propri talenti e per rimanere per quanto è possibile al controllo della
propria vita.
Suggerimenti e raccomandazioni
L’educazione nel corso della vita è basata su quattro pilastri: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme e imparare ad essere.
Imparare a conoscere, combinando una conoscenza generale sufficientemente ampia con la possibilità di
lavorare in profondità su un piccolo numero di materie. Questo significa anche imparare ad imparare, in modo tale da trarre beneficio dalle opportunità offerte dall’educazione nel corso della vita.
Imparare a fare, allo scopo d’acquisire non soltanto un’abilità professionale, ma anche, più ampiamente,
la competenza di affrontare molte situazioni e di lavorare in gruppo. Ciò significa anche imparare a fare nel
contesto delle varie esperienze sociali e di lavoro offerte ai giovani, che possono essere informali, come risultato del contesto locale o nazionale, o formali, che implicano corsi dove si alternano studio e lavoro.
Imparare a vivere insieme, sviluppando una comprensione degli altri ed un apprezzamento
dell’interdipendenza (realizzando progetti comuni e imparando a gestire i conflitti) in uno spirito di rispetto
per i valori del pluralismo, della reciproca comprensione e della pace.
Imparare ad essere, in modo tale da sviluppare meglio la propria personalità e da essere in grado di agire
con una crescente capacità di autonomia, di giudizio e di responsabilità personale. A tale riguardo,
l’educazione non deve trascurare alcun aspetto del potenziale di una persona: memoria, ragionamento, senso
estetico, capacità fisiche e abilità di comunicazione.
I sistemi educativi formali tendono a sottolineare l’acquisizione delle conoscenze a detrimento di altri tipi d’apprendimento; ma ora è di fondamentale importanza concepire l’educazione in una maniera più globale. Una tale visione deve informare e guidare le future riforme e politiche scolastiche, in rapporto sia ai contenuti che ai metodi.
– 65 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia 2000, 196ss
Quando si può dire che la scuola impieghi la cultura per educare l’uomo?
Idealtipo illuministico astratto: programma formativo oggettivo e universalistico, tipico delle certezze
scientifiche. Bisogna proporre agli allievi le conoscenze, le abilità, i valori riconosciuti da tutti. Ogni soggetto poi dovrà trasformarli in competenze personali. Di conseguenza, fede religione, ideologia, ogni credenza… sono “privato”: non sono universali, non possono ambire al riconoscimento – pubblico – di essere promossi per tutti.
Idealtipo romantico concettuale: partire dai valori, conoscenze, abilità di fatto ritenute importanti per la
vita dalle famiglie e dai gruppi sociali e perciò amati dagli allievi. Dopo l’immersione nel mondo vitale, indagine critico-razionale della cultura antropologica. Partire da ciò che i soggetti considerano verità, per sé, e
riflettere su di essa per considerare se e quanto resiste alla critica scientifica, scoprendosi, alla fine, o credenze non motivate da abbandonare o verità scientifiche certificate. A scuola non basta esporre certezze scientifiche per educare, ma bisogna trasformare tale sapere in vita, in essere; per far ciò, bisogna partire dalla vita
e ritornarvi, riflettendoci.
Necessità di una compresenza degli idealtipi.
PECUP 2004 (alcuni tratti essenziali)
Un ragazzo è riconosciuto “competente” quando, facendo ricorso a tutte le capacità di cui dispone, utilizza le conoscenze e le abilità apprese per:
• esprimere un personale modo di essere e proporlo agli altri;
• interagire con l’ambiente naturale e sociale che lo circonda, e influenzarlo positivamente;
• risolvere i problemi che di volta in volta incontra;
• riflettere su se stesso e gestire il proprio processo di crescita, anche chiedendo aiuto, quando occorre;
• comprendere, per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali;
• maturare il senso del bello;
• conferire senso alla vita.
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Indicazioni per il curricolo, 2007
Gli ambienti in cui la scuola è immersa sono più ricchi di stimoli culturali, ma anche più contraddittori.
Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici. Ma proprio per questo la scuola non può abdicare al compito di promuovere la capacità degli studenti di dare senso
alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di
caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti. [p. 15]
Alla scuola spettano alcune finalità specifiche: offrire agli studenti occasioni di apprendimento dei saperi
e dei linguaggi culturali di base; far sì che gli studenti acquisiscano gli strumenti di pensiero necessari per
apprendere a selezionare le informazioni; promuovere negli studenti la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di fare da bussola negli itinerari personali; favorire l’autonomia di pensiero degli studenti, orientando la propria didattica alla costruzione di saperi a partire da concreti bisogni formativi. [p. 16]
CENTRALITÀ DELLA PERSONA
Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del
suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti
sociali. La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. [p. 17]
IL SENSO DELL’ESPERIENZA
Fin dai primi anni del percorso formativo, la scuola svolge un fondamentale ruolo educativo e di orientamento, fornendo all’alunno le occasioni per capire se stesso, per prendere consapevolezza delle sue potenzialità e risorse, per progettare percorsi esperienziali e verificare gli esiti conseguiti in relazione alle attese.
La scuola favorisce lo sviluppo delle capacità necessarie per imparare a leggere le proprie emozioni e a
gestirle, per rappresentarsi obiettivi non immediati e perseguirli.
Promuove inoltre quel primario senso di responsabilità che si traduce nel fare bene il proprio lavoro e nel
portarlo a termine, nell’avere cura di sé, degli oggetti, degli ambienti che si frequentano, sia naturali sia sociali.
– 66 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Sollecita gli alunni a un’attenta riflessione sui comportamenti di gruppo al fine di individuare quegli atteggiamenti che violano la dignità della persona e il rispetto reciproco, li orienta a sperimentare contesti di
relazione dove sviluppare atteggiamenti positivi e realizzare pratiche collaborative.
Segue con attenzione le diverse condizioni di sviluppo e di elaborazione dell’identità di genere, che nella
preadolescenza ha la sua stagione cruciale.
Facilita le condizioni di fruizione e produzione della comunicazione tra coetanei e dei messaggi provenienti dalla società nelle loro molteplici forme.
Crea contesti in cui gli alunni sono indotti a riflettere per comprendere la realtà e se stessi, diventano
consapevoli che il proprio corpo è un bene da rispettare e tutelare, trovano stimoli al pensare analitico e critico, coltivano la fantasia e il pensiero divergente, si confrontano per ricercare significati ed elaborare mappe
cognitive.
Di fronte alla complessa realtà sociale, la scuola ha bisogno di stabilire con i genitori rapporti non episodici o dettati dall’emergenza, ma costruiti dentro un progetto educativo condiviso e continuo. La consapevolezza dei cambiamenti intervenuti nella società e nella scuola richiede la messa in atto di un rinnovato rapporto di corresponsabilità formativa con le famiglie, in cui con il dialogo si costruiscano cornici di riferimento condivise e si dia corpo a una progettualità comune. [pp. 41-42].
da: BENEDETTO XVI, Discorso all’assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010
Venerati e cari Fratelli, […] corroborati dallo Spirito, in continuità con il cammino indicato dal Concilio
Vaticano II, e in particolare con gli orientamenti pastorali del decennio appena concluso, avete scelto di assumere l’educazione quale tema portante per i prossimi dieci anni. Tale orizzonte temporale è proporzionato
alla radicalità e all’ampiezza della domanda educativa. E mi sembra necessario andare fino alle radici profonde di questa emergenza per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida. […] Una radice essenziale
consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se
stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in
questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro,
l’“io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione
antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori
di dare agli altri, cioè questo “tu” e “noi” nel quale si apre l’“io” a se stesso. Quindi un primo punto mi sembra questo: superare questa falsa idea di autonomia dell’uomo, come un “io” completo in se stesso, mentre
diventa “io” anche nell’incontro collettivo con il “tu” e con il “noi”. […]
Quindi le difficoltà sono grandi: ritrovare le fonti, il linguaggio delle fonti, ma, pur consapevoli del peso
di queste difficoltà, non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione. Educare non è mai stato facile,
ma non dobbiamo arrenderci: verremmo meno al mandato che il Signore stesso ci ha affidato, chiamandoci a
pascere con amore il suo gregge. Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa, che
è una passione dell’“io” per il “tu”, per il “noi”, per Dio, e che non si risolve in una didattica, in un insieme
di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni, perché
sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma
accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore
condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio.
I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani
autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro, reso meno incerto da una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo
valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili. La nostra risposta è l’annuncio
del Dio amico dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte irrinunciabile della formazione integrale della persona, perché in Gesù Cristo si realizza il progetto di una vita
riuscita: come insegna il Concilio Vaticano II, “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più
uomo” (Gaudium et spes, 41). L’incontro personale con Gesù è la chiave per intuire la rilevanza di Dio
nell’esistenza quotidiana, il segreto per spenderla nella carità fraterna, la condizione per rialzarsi sempre dalle cadute e muoversi a costante conversione.
Il compito educativo, che avete assunto come prioritario, valorizza segni e tradizioni, di cui l’Italia è così
ricca. Necessita di luoghi credibili: anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola,
orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, “fontana del villaggio”, luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti resta decisiva la
– 67 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
qualità della testimonianza, via privilegiata della missione ecclesiale. L’accoglienza della proposta cristiana
passa, infatti, attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. In un tempo nel quale la grande tradizione del
passato rischia di rimanere lettera morta, siamo chiamati ad affiancarci a ciascuno con disponibilità sempre
nuova, accompagnandolo nel cammino di scoperta e assimilazione personale della verità. E facendo questo
anche noi possiamo riscoprire in modo nuovo le realtà fondamentali. […]
Cari Fratelli, vi incoraggio a percorrere senza esitazioni la strada dell’impegno educativo. Lo Spirito
Santo vi aiuti a non perdere mai la fiducia nei giovani, vi spinga ad andare loro incontro, vi porti a frequentarne gli ambienti di vita, compreso quello costituito dalle nuove tecnologie di comunicazione, che ormai
permeano la cultura in ogni sua espressione. Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere
dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la
Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza. Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la
misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio, al
matrimonio, sappiano rispondere con generosità all’appello del Signore, perché solo così potranno cogliere
ciò che è essenziale per ciascuno. La frontiera educativa costituisce il luogo per un’ampia convergenza di intenti: la formazione delle nuove generazioni non può, infatti, che stare a cuore a tutti gli uomini di buona volontà, interpellando la capacità della società intera di assicurare riferimenti affidabili per lo sviluppo armonico delle persone.
Questo discorso è stato considerato dai Vescovi italiani di tale importanza da essere stato inserito integralmente in appendice agli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, che peraltro lo citano
in numerosi passaggi.
– 68 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
L’evoluzione dei modelli di riforma scolastica:
uno schema “provocatorio”
Il seguente schema (e soprattutto la sua prima colonna) non pretende affatto di descrivere esaustivamente
o rigorosamente la situazione reale della scuola italiana. Piuttosto, attraverso una riduzione grossolana e
forse caricaturale degli elementi in gioco, intende mettere in luce alcuni elementi macroscopici che hanno
caratterizzato l’evoluzione della scuola italiana dell’ultimo decennio e far riflettere sulle possibili direzioni
future.
MORATTI
Legge 53/2003
Consulente:
G. Bertagna
PERSONALIZZAZIONE
“riforma di destra”
FIORONI
Consulente:
M. Ceruti
(→ E. Morin)
CURRICOLO
“riforma di sinistra”
PRIMO CICLO
Indicazioni Nazionali
SECONDO CICLO
Indicazioni Nazionali
OSA in due colonne
(conoscenze e abilità)
OSA in due colonne
(conoscenze e abilità)
PECUP o “Profilo in uscita (allegato
D del DLgs 59/2004)
PECUP “Profilo in uscita generale”
(allegato A del DLgs 226/2005)
Indicazioni per il curricolo
per infanzia e primo ciclo
• tre aree disciplinari:
•
1. linguistico-artistico-espressiva;
2. storico-geografica;
3. matematico-scientifica- tecnologica)
•
• OA (Obiettivi di apprendimento)
• TSC (Traguardi per lo sviluppo
delle competenze)
•
GELMINI
Consulente:
M. Bruschi
(→ G. Israel e altri)
CONTENUTI
Modifiche più “gestionali
e amministrative”
che “pedagogico-didattiche”,
finalizzate ad armonizzare
Indicazioni Nazionali (Moratti)
e
Indicazioni per il Curricolo
(Fioroni)
“riforma della
nostalgia”
Dpr 89/2009
Regolamento dell’obbligo
(DM 139/2007)
“Documento tecnico”
tre “colonne”:
competenze – abilità/capacità – conoscenze
quattro assi culturali
1. linguaggi,
2. matematico,
3. scientifico-tecnologico,
4. storico-sociale
otto competenze chiave di cittadinanza
Indicazioni nazionali
tre PECUP (Licei – IT e IP – IFP),
aggiunti a quello “generale” del 2005
cinque aree
1. metodologica;
2. logico-argomentativa;
3. linguistica e comunicativa;
4. storico-umanistica;
5. scientifica, matematica e tecnologica.
LICEI: Profilo culturale, educativo e
professionale per i Licei
RA (Risultati di Apprendimento dei distinti percorsi liceali)
Una presentazione succinta ma condivisibile e aggiornata delle riforme scolastiche degli ultimi anni in:
G. MALIZIA – S. CICATELLI, Le riforme della scuola e l’IRC, in Z. TRENTI – C. PASTORE (edd.), Insegnamento della religione: competenza e professionalità. Prontuario dell’insegnanti di religione, Elledici, Torino
2013, pp. 19-35.
Nella pagina seguente ne offro un breve riassunto.
– 69 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
La riforma del ministro Berlinguer si proponeva di rimettere al centro l’elemento “educativo” (legge
30/2000: riordino dei cicli dell’istruzione in un «sistema educativo di istruzione e formazione»), aprendo il
sistema statale alla collaborazione sussidiaria delle scuole paritarie (legge 62/2000: «unico sistema nazionale
di istruzione e formazione pubblico integrato»). Nonostante le buone intenzioni, in particolare il passaggio
dalla logica dei programmi (cioè: l’insegnante deve solo applicare quanto definito dal Ministero) a quella del
curricolo (cioè: l’insegnante è chiamato a sviluppare una programmazione autonoma), la riforma peccava
per un modello funzionalista dei saperi, e una persistente marginalizzazione della formazione professionale.
La riforma del ministro Moratti (legge 53/2003) si muove in una prospettiva più umanistica e personalistica, sebbene con il rischio di privilegiare la dimensione individual-liberale su quella comunitaria. L’autonomia scolastica è portata a compimento dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale
3/2001): lo Stato ha competenza solo per le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che le scuole devono garantire. Le scuole autonome non sono più mere esecutrici di quanto ordinato dal Ministero, ma soggetti autonomi e responsabili; i presidi diventano “Dirigenti scolastici”; gli insegnanti non possono più esser paragonati a semplici “lavoratori dipendenti”, ma “liberi professionisti” dell’insegnamento, chiamati a raggiungere obiettivi educativi mediante la costruzione di piani di studio personalizzati. Il Pecup (Profilo educativo culturale e professionale) rappresenta l’obiettivo finale del processo educativo; le indicazioni nazionali rappresentano le tappe didattiche intermedie per raggiungere le competenze attese. Quanto all’IRC, l’antropologia sottesa alla progetto di riforma, grazie alla consulenza del pedagogista
cattolico G. Bertagna, era chiaramente aperta alla dimensione religiosa. Il Pecuc del I ciclo richiede per gli
alunni «la riflessione sulla dimensione religiosa dell’esperienza umana e l’insegnamento della religione cattolica, impartito secondo gli accordi concordatari e le successive intese».
Il ministro Fioroni dichiarò di accettare nella sostanza l’operato precedente, applicando una politica “del
cacciavite” (semplici ritocchi e aggiustamenti). In realtà, gli interventi non furono morbidi. In positivo, il diritto-dovere all’istruzione e formazione viene prolungato fino ai 16 anni, e non è più obbligo “scolastico” (si
possono frequentare altre istituzioni formative accreditate). In relazione all’IRC, le Indicazioni per il curricolo (primo ciclo) mettono in rilievo, più che in precedenza, la dimensione pluralistica e interreligiosa (si parla
più di “religioni” al plurale, che di religione cattolica).
La riforma Gelmini, nel bene e nel male, ha condotto a termine le riforme attese da sessant’anni, nel segno di un nostalgico ritorno al passato pre-sessantottino. Il primo impegno è stato quello di una razionalizzazione della spesa per l’istruzione, in vista di una maggiore efficienza (ci furono molte contestazioni: nel
triennio 2009-2012, un taglio di quasi 90.000 cattedre). Sono state praticamente azzerate le compresenze di
maestri nella scuola primaria. È stata condotta a termine la riforma della scuola secondaria, con una tripartizione. Se Berlinguer diceva “tutti licei”, e Moratti diceva “licei da una parte, formazione e istruzione professionale dall’altra”, Gelmini sceglie una ripartizione a tre poli: i licei, gli istituti tecnici e professionali,
l’istruzione e formazione professionale. Nonostante la dichiarata attenzione all’emergenza educativa, la dimensione religiosa non viene considerata una dimensione della persona, ma quasi un “elemento di disturbo”
e fonte di conflitti: la convivenza di religioni e culture diverse è considerata una “sfida” che la scuola deve
affrontare. I tre Profili del II ciclo elencano i Risultati di apprendimento senza una parola sulla sfera religiosa, salvo nel Profilo dei licei (appunto, una parola: «conoscere gli aspetti fondamentali della cultura e della
tradizione letteraria, artistica, filosofica, religiosa italiana ed europea»). Inoltre il ministro Gelmini ha ripristinato il voto numerico anche nel primo ciclo, tranne che per l’IRC: la valutazione dell’IRC ne è uscita ancora indebolita.
Il breve ministero “tecnico” di Profumo sembra trascurare l’approccio umanistico a favore di uno più
funzionalistico-strumentale. L’elemento di spicco è che è stata firmata da lui la nuova Intesa (28 giugno
2012), finalizzata soprattutto ad adeguare i titoli di qualificazione professionale degli IdR da un lato alla riforma degli Istituti Superiori di Scienze Religiose promossa dal “processo di Bologna”, dall’altro agli standard di preparazione richiesti agli altri insegnanti (laurea specialistica per tutti).
Il ministero Carrozza ha destinato maggiori attenzioni all’Università che alla scuola. Si deve apprezzare
l’impegno per una migliore politica di orientamento scolastico, volta a ridurre la dispersione scolastica e il
numero di studenti universitari che, avendo fatto una scelta sbagliata, si arenano negli studi. L’attuale ministro Giannini sembra mostrare un’apertura non formale alla dimensione personalistica e religiosa della persona. L’intervento pronunciato dal ministro il 10 maggio 2014 in piazza s. Pietro davanti a papa Francesco
ha espresso, senza che fosse stata formulata un’esplicita richiesta in tal senso, un apprezzamento per
l’operato delle scuole cattoliche e una chiara valorizzazione del contributo che la fede può offrire ad
un’educazione integrale.
– 70 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
10. L’IRC inserito nelle finalità della scuola
Voci di un dibattito sull’IR(C)
Il capitolo presenta una rassegna di alcune voci e riflessioni sull’importanza dell’insegnamento della religione per una educazione integrale, e un IRC pienamente inserito nelle finalità della scuola.
È possibile conciliare la confessionalità dell’IR (e quindi necessariamente la sua facoltatività) con una sua piena disciplinarizzazione? Alcuni ritengono che solo un pieno distacco
dall’appartenenza confessionale possa rendere l’IRC una disciplina al pari delle altre.
Esistono sostanzialmente quattro modelli di insegnamento scolastico della religione: 20
1. Insegnamento catechistico: è l’insegnamento confessionale strutturato in base alla
fede di una chiesa o tradizione religiosa, che esige non solo l’adesione di fede e la fedeltà
dottrinale del docente, ma tende anche all’adesione di fede da parte dell’alunno (per gli anglosassoni: learning [into] religion “imparare [nel]la religione”); era – ad es. – il modello
italiano secondo il Concordato del 1929;
2. Confessionalità aperta: il riferimento alla fede e alla teologia della Chiesa garantisce
la fedeltà alla dottrina ufficiale e la testimonianza del docente, ma accoglie e rispetta l’alunno di altra (o nessuna) appartenenza religiosa; è il modello attualmente vigente in Italia;
3. Insegnamento aconfessionale del “fatto religioso”: basato sulla descrittività delle scienze della religione, non coinvolge le convinzioni personali né dell’alunno né del docente: è il modello della «multifaith religious education» (ad es. Gran Bretagna, Olanda)
basato sul learning about religion[s] (“imparare sulla religione [o sulle religioni]”);
4. Insegnamento interdisciplinare dei fenomeni religiosi: non esiste una disciplina specifica per accostarsi alla religione in quanto tale, ma le altre discipline (arte, filosofia,
ecc.) li studiano a causa degli influssi della religione sulla cultura.
Scartati i modelli n. 1 (massimalista e poco rispettoso della laicità) e n. 4 (minimalista e riduttivista), rimane il dibattito tra gli altri due. Alcuni (Prenna, Pajer, Genre ecc.) premono
affinché l’Italia si sposti verso il terzo modello, ritenuto l’unico plausibile in una nuova società multi religiosa. Altri (Trenti, Baldus, Bausola, Lorizio, ecc.), con sfumature differenti,
difendono la validità e l’efficacia dell’attuale assetto dell’IRC italiano, in linea con le indicazioni della CEI.
Qualcuno infine (Lettieri) rinnova la richiesta del “doppio binario” formulata prima del
1984 da P. Scoppola e L. Pazzaglia, ossia l’accostamento di un insegnamento religioso
aconfessionale, cui si riconosce un “primato culturale”, a quello confessionale (cui si riconosce un maggior impatto “etico-educativo”).
Tuttavia negli ultimi anni sembra stia maturando una convinzione più condivisa che i modelli “intermedi” (ossia una maggior apertura del modello di confessionalità aperta al contributo delle scienze delle religioni ) potrebbe dar luogo a interessanti forme “ibride”.
R. REZZAGHI, Manuale di didattica della religione, La Scuola, Brescia 2012.
Questo volume presenta un impianto epistemologico che difende il modello di confessionalità aperta in
modo ben fondato, perfettamente in linea con le indicazioni della Chiesa. L’Introduzione e i primi tre capitoli (pp. 5-74) sono una lettura decisamente raccomandabile!!
L. PRENNA, La religione nella scuola italiana: assicurata ma facoltativa, in L. PRENNA, Assicurata ma facoltativa. La religione incompiuta, Roma 1997, pp. 45-79.
20
Cfr F. PAJER, Religioni a scuola. Modelli, problemi e sfide dall’Europa, in Studi e materiali di storia delle religioni
75/2 (2009) 387-408, spec. 396ss. In questo contributo i quattro modelli vengono da Pajer definiti: a) insegnamenti religiosi a base teologica; b) insegnamenti a base mista di teologia e scienze della religione; insegnamenti a base di scienze delle religioni; approcci interdisciplinari al fatto religioso. Cfr anche più avanti, il dibattito europeo.
– 71 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
E. GENRE – F. PAJER, Il caso Italia, in ID, L’Unione europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Torino 2005, pp. 121-160. [DOC 7 – CASO ITALIA]
Z. TRENTI, Nuove prospettive per l’IRC e il suo insegnante, in G. MALIZIA - Z. TRENTI - S. CICATELLI (edd.),
Una disciplina in evoluzione, Elledici, Leumann (Torino) 2005
Z. TRENTI, Natura e finalità dell’IRC, in Z. TRENTI – C. PASTORE (edd.), Insegnamento della religione:
competenza e professionalità. Prontuario dell’insegnanti di religione, Elledici, Torino 2013, pp. 59-76.
G. LIGABUE – E. GENRE – F. MORLACCHI, Un confronto sull’ora di religione a scuola, in «Confronti», Febbraio 2010, pp. 18-22. [DOC 8 – CONFRONTI 2010]
G. LETTIERI, L’ora di religione come questione aporetica, in Studi e materiali di storia delle religioni, 75/2
(2009) 534-563.
Lino Prenna ritiene che sia contraddittorio affermare che la religione ha una oggettiva rilevanza
culturale e, nello stesso tempo, farne materia facoltativa di studio; una contraddizione resa necessaria dalla scelta – opinabile – della confessionalità: non sarebbe necessaria la facoltatività se si
trattasse dei soli aspetti conoscitivi della religione.
da: L. PRENNA, La religione nella scuola italiana: assicurata ma facoltativa, in ID., Assicurata ma facoltativa. La religione incompiuta, Roma 1997, pp. 45-79
La legittimazione concordataria è parziale e insufficiente rispetto alla piena legittimazione culturale pedagogica e scolastica. Intendiamo reperire i tratti formali di figurazione della scuola e stabilire a quali condizioni l’IR può dirsi scolastico. (p. 47)
L’educazione scolastica è parziale rispetto all’intera educazione umana. Di conseguenza, l’IR fornisce
un’educazione religiosa parziale rispetto alla piena educazione religiosa. (p. 50)
L’autonomia amministrativa è strumentale all’autonomia pedagogica. Per essa intendiamo la libertà della
scuola di educare attraverso l’insegnamento. Di questa autonomia partecipano le discipline insegnate che
perciò hanno uno specifico statuto di autonomia disciplinare. Anche l’IR si scolarizza nella misura in cui
iscrive il suo statuto in quello della scuola. (p. 54)
La scuola educa istruendo; istruire è il suo modo specifico di educare. (p. 55)
L’istruzione è educazione della razionalità scientifica ed è, perciò, formativa delle virtù intellettuali che
sono attitudini di abituale esercizio dell’intelligenza su un determinato oggetto. Sta in questo la specificità e
la parzialità dell’educazione scolastica, che riguarda più l’intelligenza e il sapere che la volontà e le virtù
morali, e si impegna più a dire ai giovani come pensare che a dire loro come vivere. (p. 57)
La scuola ha un suo modo proprio di trattare la cultura: lo studio, che è un’attitudine sistematica e organizzata di fare cultura. (p. 57)
Il sapere che ha per oggetto la religione può assumere la forma di scienza e dirsi, perciò, scientifico:
quindi sapere descrittivo del mondo come è, agli antipodi del sapere ideologico che è prescrittivo del mondo
come deve essere. Sapere problematico, che procede per ipotesi e non dogmatico, che procede per tesi. (p.
58)
L’insegnamento scolastico della religione non può essere finalizzato al consenso ideologico. La sua finalità è di formare una abituale capacità di intelligenza della religione: una virtù intellettuale. L’IR ha come fine di educare gli alunni a saper pensare la religione. (p. 59)
Oggetto dell’IR sono i fatti religiosi. (p. 62 )
Noi riteniamo che la distinzione e la complementarità relativamente all’oggetto rinvii alla relazione distinta e complementare tra religione e fede e che autorizzi a considerare la religione come oggetto specifico
dell’insegnamento e la fede come oggetto specifico della catechesi. La religione è un fatto che può essere rilevato, la fede un atto che può essere solo compiuto soggettivamente. (p. 70)
L’Accordo, in base al principio del non confessionismo, esclude che le finalità dell’insegnamento della
religione possano essere confessionali perché non sono confessionali le finalità della scuola. (p. 73)
Le ragioni addotte per legittimare l’insegnamento nella scuola sarebbero state sufficienti per ricondurre
la titolarità [ecclesiale dell’insegnamento] a ragioni culturali e storiche. È contraddittorio affermare che la
religione ha una oggettiva rilevanza culturale e, nello stesso tempo, farne materia facoltativa di studio; non
sarebbe necessaria la facoltatività se si trattasse dei soli aspetti conoscitivi della religione (p. 75)
È stato indebolito il profilo scolastico dell’insegnamento della religione, sono stati immessi nella scuola
elementi di atipicità e di diversità che ne impediscono la piena scolarizzazione. (p. 76)
– 72 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
E. GENRE – F. PAJER, Il caso Italia, in ID. L’Unione europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Torino 2005, pp. 121-160
→ Riassumo brevemente il contenuto del saggio, da leggere integralmente e criticamente.
Il capitolo dedicato al “caso Italia”, più che mostrare la asserita “anomalia italiana”, trasformandola in un
caso rispetto agli altri paesi europei, cerca di legittimare la proposta dell’insegnamento aconfessionale:
- in primo piano, c’è l’affermazione che il pericolo maggiore è il fondamentalismo, considerato una malattia religiosa presente non solo nell’Islam, ma anche nell’ebraismo e nel cristianesimo (125); ci si può tuttavia chiedere se definire il fondamentalismo tout court come «l’identificazione del vero e dell’assoluto
con il mio proprio punto di vista che non intende venire a patti» (125) comporti una presa doverosa di distanza da forme religiose estremiste o coinvolga piuttosto inevitabilmente ogni religione che abbia coscienza di verità e che quindi ritenga che ci siano punti di dottrina non negoziabili. Questo tipo di affermazioni sembra confermare l’ipotesi che la battaglia per l’insegnamento aconfessionale sia dettata più
dall’adesione alla mentalità illuministica, secondo la quale alla fine le religioni debbono essere ridotte
all’etica e alla loro capacità di contribuire all’educazione civica, che non dal desiderio di accogliere e
valorizzare le differenze: bisogna impegnarsi perché si realizzi dialogo tra le varie confessioni, senza alcuna pretesa di reductio ad unum («soltanto un processo educativo che comincia nella scuola è in grado
di evitare l’assolutizzazione delle questioni religiose»: 125) [→ manca il principio della valorizzazione
delle differenze];
- c’è poi la accettazione della posizione che la chiesa valdese ha affermato nella sua Intesa con la Repubblica, per cui per definizione (e non per argomentazione) «la scuola non deve confondersi con la realtà
confessionale delle chiese e comunità religiose che hanno altri luoghi e altri tempi di educazione e di
formazione» (128): tesi comprensibile per il valdese Genre, un po’ meno per un cattolico come Pajer.
- è contraddittorio affermare che «la scuola debba occuparsi di una formazione religiosa dei ragazzi»
(131), chiedersi se l’IRC «influisce creativamente e criticamente nella costruzione della propria identità»
(130), e poi però dichiarare che è indispensabile «superare i limiti della religione pattizia» (cioè l’attuale
assetto concordatario dell’IRC: 130). È vero che finora le confessioni religiose che hanno stipulato
l’Intesa con lo Stato hanno preferito non chiedere un loro insegnamento confessionale; ma è anche vero
che in futuro altre confessioni potrebbero fare altre scelte, proprio per il timore di non essere presentate
in modo autentico da docenti a loro estranei;
- non manca il riferimento critico alla percentuale degli avvalentisi dell’IRC, con la scontata allusione alla
mancata qualità di questo insegnamento e al fatto che in alcune città già si sia scesi al 50%. Se il problema è anche di quantità, bisogna ricordare, proprio perché gli autori vogliono ragionare in termini di cittadinanza europea, che l’Unione Europea che faticosamente stiamo costruendo è soprattutto un’Europa
delle minoranze; l’Europa intravista da Pajer e Genre è più invece l’Europa in cui la maggioranza “illuminata” e laicizzata, che fa sua la “religione” della laïcité francese (per la quale la scuola non deve ammettere la presenza di appartenenze religiose confessionali!), vorrebbe impedire di fatto alle concrete religioni (di minoranza o di maggioranza, poco importa) di essere presenti nella scuola di tutti. La scuola
che riesce a comprendersi come una funzione della società civile in corresponsabile dialogo con la famiglia dovrebbe voler collaborare con la famiglia anche in questo campo della formazione religiosa.
***
Zelindo Trenti: la tendenza attuale della pedagogia religiosa sembra spostare l’attenzione sul fronte dell’educazione integrale della persona: meno preoccupata di trasmettere una visione cristiana,
più impegnata nella esplorazione della dimensione religiosa che unifichi e dia significato all’esistenza. È il cosiddetto «approccio ermeneutico» alla religione, ossia il tentativo di interpretare e
sviluppare le aperture alla dimensione religiosa presenti, in modo latente o più esplicito, in ogni
persona. La scuola che privilegia la maturazione del soggetto, trova nella collaborazione dell’IRC
un alleato straordinariamente prezioso.
da: Z. TRENTI, Nuove prospettive per l’IRC e il suo insegnante, in G. MALIZIA - Z. TRENTI S. CICATELLI (edd)., Una disciplina in evoluzione, Leumann (Torino) 2005, pp. 165-181.
Le scienze della religione incontrano i grandi temi del cristianesimo e li analizzano con certo rigore critico e certa preoccupazione oggettiva. La ricerca religiosa offre strumenti complementari talora alternativi a
quelli teologici per l’analisi stessa del cristianesimo. (p. 166).
– 73 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
La disciplina IRC, ove sappia interpretare il contributo effettivo della religione, ha tutte le carte in regola
per qualificarsi come apporto prezioso alle finalità della scuola. (p. 167)
L’IRC assolve la sua funzione educativa precisamente dove interpreta l’attesa e l’aspirazione dell’uomo
e dove esplora la tradizione religiosa che ne costituisce la risposta o offre elementi significativi per elaborarla. (p. 170)
Si tratta di evidenziare ciò che accomuna le religioni, di esplorare il substrato da cui le diverse elaborazioni culturali che costituiscono le molteplici religioni, prendono linfa e vigore. (p. 177)
Nelle ricerche precedenti l’attenzione ai problemi a all’esperienza degli studenti era nettamente prevalente. Nella ricerca che andiamo esplorando l’attenzione sembra essere anche sull’esposizione completa e corretta della dottrina. (p. 178)
Nella proporzione in cui l’educazione religiosa sposa la logica ermeneutica, cambia l’obiettivo: non
l’assimilazione integrale dei contenuti ma il significato che i contenuti hanno sul progetto di vita dello studente diventa l’asse portante dell’intero processo educativo. (p. 180)
G. LETTIERI, L’ora di religione come questione aporetica, in Studi e materiali di storia
delle religioni (2010), 75/2 (2009) 534-563.
Mi pare fondamentale garantire le universali esigenze laiche di analisi scientifica del fatto religioso introducendo un insegnamento non confessionale, culturale, storicamente garantito tramite una preparazione
storico-religiosa pubblica dei suoi insegnanti, insegnamento che potremmo definire di “storia delle religioni”
(ove, in relazione alla progressione del livello scolare, si passerebbe da un insegnamento antropologicoculturale dei diversi fenomeni religiosi – “religioni nella storia” – ad uno studio storico critico degli stessi.
Ma, in tal caso, come collocare questa che, per brevità definiamo ora di storia delle religioni? Come alternativa all’ora di religione cattolica (quindi limitata a coloro che non vogliono avvalersi di essa) o come parallela ad essa? [… Propongo] un’ora di storia delle religioni curricolare, obbligatoria per tutti gli studenti e con
voto di profitto, insegnata da laureati in discipline storico-religiose nelle università statali (analogamente a
quanto avviene per l’insegnamento della storia e della filosofia, della storia della letteratura italiana e della
storia dell’arte […]. Considero perdente l’opzione la scelta di proporre come opzionalmente alternativa l’ora
di storia delle religioni all’ora di religione: a) perché comunque la presenza di un’ora di religione confessionale, in rispettosa e dialogante tensione dialettica con la laicità che l’accoglie, è un’opportunità formativa laicamente preziosa; b) perché è opportuno assicurare l’insegnamento della storia delle religioni a tutti gli studenti almeno dalla scuola secondaria superiore, per l’immensa portata storica e culturale del suo oggetto e
per la stessa portata di preziosa sfida che essa presenta nei confronti di una testimonianza confessionale consapevole e pubblicamente significativa (pp. 541s; 552s).
da: Z. TRENTI, Natura e finalità dell’IRC, in Z. TRENTI – C. PASTORE (edd.), Insegnamento
della religione: competenza e professionalità, Elledici, Torino 2013, pp. 59-76
L’apprendimento religioso è un sapere consapevole di una presenza arcana in grado di illuminare il mistero in cui l’esistenza trova senso e l’intera realtà prende consistenza. La ricerca scolastica non decide sulla
«verità oggettiva» della religione; prende sul serio l’analisi dell’atteggiamento religioso e si impegna a capirlo nella sua risorsa qualificante, la fede, senza di cui la religione non è capita ma fraintesa, non è esplorata,
ma evasa.
***
La sistematica contestazione dell’efficacia educativa
dell’IRC ha dato origine ad alcune ricerche valutative (vedi nella bibliografia seguente i testi di Boscarino,
Castegnaro, Togni e – su un versante ideologico opposto
– Melloni). La ricerca presentata da Togni, curata con
estremo rigore metodologico dall’Università di Bergamo
su un significativo campione di alunni della Lombardia,
è molto interessante. L’indagine rileva infatti un livello
tutto sommato accettabile di conoscenze e nozioni; ma
la ricerca dichiara onestamente la possibilità non remo-
– 74 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
ta che molte nozioni siano state acquisite dagli alunni non nelle ore di IRC, bensì in altri
contesti. 21 D’altronde l’autore invita a riflettere che se l’IRC deve avere una vera valenza
educativa, il suo specifico non dovrebbe essere il “fornire nozioni”, ma piuttosto lo sviluppare il senso critico, la sensibilità e la consapevolezza verso i fenomeni religiosi e la fede
(non “conoscere sulla religione”, ma “capire / sapere di religione”): e questa competenza è
molto difficile valutarla con un test!
Il recente studio curato dal prof. Melloni rappresenta invece una bocciatura feroce dell’IRC neoconcordatario, ritenuto del tutto inefficace, anzi
addirittura una delle cause principali dell’analfabetismo religioso degli
italiani. Gli autori del volume sono di impostazione laicista; molti non sono cattolici, tutti sono più o meno violentemente critici dell’attuale assetto dell’IRC. 22 La logica neocordordataria non viene a volte nemmeno
compresa da alcuni autori. 23 L’inaccettabile assunto (non esplicitamente
dichiarato, ma serpeggiante in quasi gli interventi) è una sostanziale sfiducia nei confronti del sapere teologico, ritenuto acritico e non scientifico, unita ad una fiducia sconfinata nel rigore dei saperi storico-positivi
sulle religioni. Nondimeno, il ponderoso volume (oltre 500 pagine scritte in caratteri molto
piccoli!) ha i pregi di fornire una ricostruzione organica del quadro storico e giuridico
dell’IRC, anche se spesso condita da valutazioni opinabili, di metterne a nudo tutte le contraddizioni del sistema, e di formula alcune stimolanti proposte di revisione. 24 Il saggio di
F. Pajer mi sembra di particolare interesse perché alcune posizioni intransigenti espresse
in precedenza dall’autore sembrano ora in parte stemperarsi, e i diversi modelli epistemologici sono valutati come fonte di possibile reciproca fecondazione. 25
21
«[L’indagine] fornisce alcune indicazioni sulle nozioni possedute dagli intervistati, senza però dire se queste sono
frutto di un percorso scolastico di IRC. Esistono fondati sospetti (…) che tali informazioni pervengano agli studenti dai
contesti non formali e informali, cioè dagli itinerari della catechesi, in particolare, e da molti altri strumenti (internet,
TV, ecc.) che prescindono dall’IRC. Dunque l’IRC non sembra strategico per l’acquisizione di nozioni» (F. TOGNI, Sapere religione cattolica. Dati e significato di una ricerca, Ed. Studium, Roma 2013, p. 149).
22
«L’ora di religione liberata dal cattolicesimo di Stato, ma ancora sotto la tutela dei vescovi, non è un antidoto
all’analfabetismo religioso, ma un suo ingrediente: “A scuola non si impara né la Bibbia, né la storia della Chiesa, né il
catechismo, né la teologia: ma si fa perlopiù della psicologia religiosa, legata alla quotidianità” (A. Melloni). […]
L’analfabetismo religioso non corre parallelo all’incompleto e ambiguo sviluppo del diritto della libertà di coscienza e
religione in Italia. Ne è il presupposto e la conseguenza» (M. VENTURA, Analfabetismo e libertà religiosa, in A. MELLONI (ed.), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, il Mulino, Bologna 2014, pp. 249-258, qui 252 e 258)
23
Sorprende che diversi contributi parlino ancora di “esonero dall’IRC”, a distanza di 30 anni dall’Accordo di Villa
Madama che ha trasformato la possibilità di esonero nel dovere positivo di scegliere se avvalersi o meno!
24
Originale, ad es., la proposta di Fulvio DE GIORGI (La conoscenza religiosa nella scuola, oltre ogni rischio di religione civile, pp. 333-348) di articolare i tre principali modelli epistemologici di insegnamento (into religion o catechisticoconfessionale; about religions o aconfessionale; from religions o etico-esistenziale) in forma mista nei diversi gradi scolastici. In concreto, nella scuola dell’infanzia il primato andrebbe all’educazione all’alterità e all’affettività, con differenziazioni pedagogiche legate alle scelte delle famiglie; nella primaria si dovrebbero valorizzare le diverse appartenenze religiose degli alunni, educando al pluralismo delle concezioni religiose; nella secondaria, infine, un insegnamento
curricolare about religions valido per tutti potrebbe essere affiancato a proposte di approfondimento confessionale, laddove richiesto. Qualcosa di simile anche nel contributo di Luciano PAZZAGLIA, I tentativi di riforma dell’ora di religione in Italia, pp. 259-281, che a p. 279s riprende una proposta di E. Genre e F. Pajer (alfabetizzazione simbolicoreligiosa nell’infanzia e primaria, alfabetizzazione etica nella secondaria di I grado, studio storico-critico nella secondaria di II grado).
25
F. PAJER, Scuola e università in Europa: profili evolutivi dei saperi religiosi nella sfera educativa pubblica, pp. 5997. L’Autore è trai massimi esperti della normativa europea sull’IR, e rileva che «è in atto nel continente un fermento
pedagogico teso a creare e collaudare – dopo secoli di didattica intra-confessionale – nuove vie per una necessaria didattica interreligiosa, anzi “interconvinzionale”» (p. 81). Egli propone di articolare non più quattro, ma tre paradigmi
epistemologici principali: politico-concordatario con approccio confessionale; accademico-curricolare, con approccio
transconfessionale o interreligioso; etico-valoriale, con approccio transreligioso. Nondimeno aggiunge che i tre paradigmi si influenzano e si contaminano a vicenda: «nessuno di questi paradigmi esiste allo stato puro, né in prospettiva
diacronica, né in quella sincronica. Se infatti è innegabile una certa successione cronologica [dal primo, al secondo, al
terzo paradigma] è altrettanto plausibile la permanente attualità di insegnamenti confessionali locali. […] Visti in
– 75 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Ricerche sulla qualità degli apprendimenti e sull’efficacia dell’IRC:
G. SANDRONE, Promossi o bocciati? Da un’indagine sugli apprendimenti di religione cattolica nella diocesi
di Bergamo a una proposta di lavoro nazionale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009
A. CASTEGNARO (ed.), Apprendere la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono
dell’IRC, EDB, Bologna 2009
F. TOGNI, Sapere religione cattolica. Dati e significato di una ricerca, Ed. Studium, Roma 2013
A. MELLONI (ed.), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, il Mulino, Bologna 2014
***
Una sintesi del mio punto di vista si trova nel seguente dibattito (il testo completo nel DOC 8):
F. MORLACCHI, L’IRC è aperta a tutti non è catechismo, in «Confronti», Febbraio 2010, pp. 2122.
Desidero fare una premessa generale, senz’ombra di polemica: si ha l’impressione che le minoranze non
cattoliche si uniscano, a volte, nell’ottica di un “Davide contro Golia”. È certo che la Chiesa cattolica si presenta come un “Golia”; ma per la sua imponenza, non per cattiveria. Senza dimenticare che la controparte
non è sempre un Davide. Siamo tutti un po’ Davide e un po’ Golia: l’importante è discutere insieme, in modo
che “il Vangelo possa seguire la sua corsa”. Come ha recentemente detto il Papa nel suo viaggio a Praga, il
cristianesimo è nato dall’azione di una minoranza creativa. Ora, non sta a noi essere maggioranza o minoranza; ma sta a noi, tutti noi, l’essere creativi o no.
Vengo ora ai problemi posti dal prof. Genre:
1) Perché la CEI non prende atto che in Italia non c’è più religione di Stato? dato, che, se lo facesse, non
dovrebbe più permettersi il privilegio d’un IRC.
Rispondo che l’IRC non si configura come un insegnamento religioso catechistico. L’insegnamento della
religione può comportare tre possibili confessionalità: della disciplina, del docente, dello studente. Ora,
l’attuale modello di IRC comporta la confessionalità della disciplina (cioè si insegna la dottrina della Chiesa
cattolica e del suo magistero) e del docente (deve essere una persona cattolica, riconosciuta idonea all’IRC
da parte dall’autorità ecclesiastica cattolica), ma non è richiesta la confessionalità dello studente (all’IRC
partecipa chi vuole). Nel saggio Quale laicità nella scuola pubblica italiana? dell’ed. Claudiana si legge che
la presenza di studenti di altre confessioni religiose, durante l’ora di RC, è un abuso. Non così per noi, che lo
consideriamo un successo formativo: se uno studente, di fronte all’alternativa spesso inesistente e più leggera
(come il restare in corridoio a divertirsi o uscire dalla scuola) sceglie l’ora di RC, significa che ne riconosce
il valore.
2) L’ora di insegnamento alternativo, rispetto alle disposizioni concordatarie.
La logica dell’attuale IRC è quella di uno Stato che, proprio perché laico, riconosce di non avere strumenti adatti per impartire un insegnamento adeguato della religione cattolica. È infatti dal 1873 che non esistono, in Italia, facoltà teologiche. Lo Stato, riconoscendo che una parte consistente della cultura italiana ha a
che fare con la religione cattolica, chiede alla Chiesa cattolica di svolgere un servizio di sussidiarietà. La collaborazione tra Stato italiano e Chiesa cattolica ha comportato un accordo sulle modalità. L’Intesa del 1985
richiede ai docenti di IRC sia i titoli teologici di qualificazione (baccalaureato, licenza, dottorato…), sia la
dichiarazione di idoneità da parte dell’autorità ecclesiastica (conoscenza della dottrina cattolica, competenza
culturale, abilità pedagogica). In tal senso, l’IRC non è un “privilegio dei cattolici” ma un servizio alla cultura religiosa. Non mi nascondo che non siamo d’accordo su questo punto, ma proprio per questo è necessario
il confronto. Pienamente d’accordo, invece, sul lavorare per una buona e seria attività alternativa, che renderebbe più significativa la scelta dello studente. E si sappia che, anche solo utilitaristicamente, una simile ora
converrebbe alla CEI.
Riguardo, poi, alle due Ordinanze del ministro Fioroni, esprimono il riconoscimento non di un privilegio
per chi segue l’IRC, ma del valore formativo d’una attività dalla valenza culturale e non catechistica, e parallelamente di attività alternative davvero valide; la sospensiva del Consiglio di Stato contro il Tar tutelava infatti anche chi segue l’ora alternativa.
un’ottica geografica, i tre paradigmi sono facilmente abbinabili a determinate aree culturali-confessionali del continente,
ma si farebbe torto alla realtà di fatto se non si riconoscessero reciproche e progressive contaminazioni da una frontiera
nazionale all’altra…» (p. 66s).
– 76 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
3) La dimensione europea (e la sentenza di Strasburgo sul crocifisso nelle scuole pubbliche).
È certamente importante sprovincializzarsi, allargandosi a una prospettiva europea; ma esprimo anche
perplessità nei riguardi di alcune derive europeiste. Non ci si può modellare solo sugli standard di Strasburgo, aprendosi al rischio di scontri tra stati europei, dato che le differenze locali sono abissali: basti pensare a
come la politica culturale, sociale, religiosa della Finlandia non sia comparabile con quella della Grecia.
Non è corretto poi ragionare in termini di laicità minimale, per cui lo spazio pubblico dovrebbe restare
vuoto. La laicità non è l’azzeramento delle differenze in un minimo comune denominatore, ma è lo spazio
dove dev’essere possibile esprimere la ricchezza di ogni singola confessione. Perciò dissento dalla sentenza
di Strasburgo: innanzi tutto il crocifisso non è un simbolo solo “cattolico”, perché dovrebbe unificare tutti i
cristiani; inoltre una parete bianca non è più “neutra” se prima c’era un crocifisso: il volerlo togliere rimanda
a quella laicità che vuole azzerare tutto.
Ancora:
Chi non è cattolico, è fuori contesto?
No, perché nell’ora di IRC tutti – almeno lo vorremmo – dovrebbero sentirsi a casa, il musulmano come
l’ebreo o l’ortodosso. Così si fa IRC oggi: una presentazione onesta e non faziosa dell’insegnamento cattolico; laddove vi siano connessioni con le altre confessioni, si deve entrare con serietà nel loro merito. Questo
non significa che si pretenda garantire un insegnamento super partes, perché un punto di vista c’è sempre,
anche quando si insegna storia o letteratura. Nell’IRC si dà il punto di vista cattolico, non la verità oggettiva.
Obbligatorietà dell’IRC?
Nessuno oggi desidera che l’ora di IRC sia obbligatoria; ma il motivo della facoltà di non avvalersene
non dipende dall’essere cattolici o no. L’ora di IRC intende porre la questione della verità ultima, proponendo la risposta della Chiesa cattolica. È il problema della verità, che viene posto; e per questo qualcuno potrebbe volersi sottrarre al confronto.
La storia della cultura italiana è segnata da un pesante storicismo, per cui tutte le discipline – eccetto
quelle matematiche – vengono lette in chiave storica. In questo contesto, il rischio dell’insegnamento del
“fatto” religioso è quello di svuotarlo dell’impatto squisitamente religioso, che è la questione della verità e la
domanda di senso. Un insegnamento aconfessionale potrebbe ridursi facilmente ad una presentazione stinta e
sbiadita, poggiata unicamente sulle manifestazioni storico-sociali.
L’attuale configurazione dell’IRC, proprio perché non esige l’adesione confessionale di chi ascolta, ma
intende esprimere onestamente il punto di vista cattolico, senza né vantare una presunta neutralità né pretendere l’adesione di fede dell’alunno, mantiene la sua validità – fermo restando che domani potrebbe cambiare.
Per concludere: la percezione che l’IRC nella scuola pubblica sia un problema e non una risorsa – risorsa da affiancare alle altre – non è la percezione della Chiesa cattolica né di quelli che si avvalgono dell’IRC.
– 77 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
11. L’IR nelle scuole dei paesi europei.
L’Unione Europea può essere l’Europa aperta e accogliente che tutti desideriamo o
l’Europa in cui la maggioranza “illuminata” e laicizzata – che fa sua la religione della laïcité
francese, per la quale la scuola è un “santuario repubblicano” – non permette alle religioni
(di minoranza o di maggioranza, poco conta) di essere presenti nella scuola di tutti. Il dibattito è serrato: presso alcune istituzioni della Comunità europea (soprattutto il Consiglio
d’Europa) si registra una [pericolosa] tendenza a rifiutare l’insegnamento confessionale della religione e a sostituirlo con un insegnamento del “fatto religioso” sotto il controllo delle autorità civili
(cfr Raccomandazione 1720/2005 su Educazione e religione 26). In
questa prospettiva, ogni singola religione sarebbe in sé qualcosa
di negativo, in quanto fonte di appartenenza identitaria e dunque
di fanatismo, e solo lo studio comparativo delle religioni potrebbe
avere un valore educativo. Analogamente i Toledo guiding principles (2007), in cui si esortano gli insegnanti ad «insegnare circa le
religioni e le credenze in modo elegante ed equilibrato» 27. Nella
stessa linea si pone ancora la sentenza della Corte di Strasburgo
sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche (03/11/2009 –
“Caso Lautsi”) 28.
Ben diverso appare il quadro emergente da uno studio sulla situazione nei paesi europei
promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dalla CEI (L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa), il cui Documento finale dichiara l’apprezzamento dell’insegnamento confessionale nella nuova Europa.
Nella maggioranza dei paesi europei è infatti presente un insegnamento della religione
confessionale. I sistemi vigenti in Europa indicano la preferenza degli stati per una pluralità di insegnamenti confessionali piuttosto che per un insegnamento storico-critico che abbia per oggetto il fenomeno religioso.
L’insegnamento aconfessionale si realizza in prevalenza nei paesi in cui c’è una religione di
stato: un suo logico presupposto è infatti più la competenza dello stato in materia religiosa
che la sua laicità.
La scuola che riesce a comprendersi come una funzione della società civile in corresponsabile dialogo con la famiglia deve voler collaborare con la famiglia anche in questo campo
della formazione religiosa.
26
La Raccomandazione rimanda alla precedente Raccomandazione 1396 (1999) che affermava: «c’è un aspetto religioso in molti problemi che deve affrontare la società contemporanea, come movimenti fondamentalisti intolleranti e atti
terroristici, razzismo e xenofobia, e conflitti etnici». E rincara la dose: «l’educazione è essenziale per combattere ignoranza, stereotipi e malintesi delle religioni» (n. 6), sul presupposto che «la religione di ciascuno, compresa l’opzione di
non averne nessuna, è una faccenda strettamente personale» e che «una buona conoscenza generale delle religioni e il
senso di tolleranza che ne scaturisce sono essenziali all’esercizio della cittadinanza democratica» (n. 1). In altre parole:
solo uno studio relativizzante e comparativistico delle religioni potrebbe guarire i futuri cittadini europei dalla superstizione fanatica e dall’intolleranza!! Il testo della Raccomandazione in OSCE – ODIHR [Office for Democratic Institutions and Human Rights], Toledo guiding principles on teaching about religion and beliefs, Warsaw 2007, pp. 87-90.
27
OSCE – ODHIR, Toledo guiding principles …, Warsaw 2007, p. 16.
28
Tale sentenza è stata ribaltata con decisione definitiva della Grand Chambre (Grande Camera della Corte Europea)
del 18 marzo 2011, n. 30814/06, che ha assolto l’Italia dall’accusa di aver violato la Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo. Il testo completo della sentenza è consultabile on-line sul sito www.olir.it nella sezione relativa al
tema del “crocifisso” (http://www.olir.it/documenti/index.php?argomento=&documento=5609) oppure su il Regno 7
(2011) 233-248. In sintesi, la sentenza rimanda alla diversificata legislazione nazionale, ricorrendo al principio di sussidiarietà, e afferma che «il crocifisso appeso al muro è un simbolo essenzialmente passivo» e che «non si potrebbe attribuire a tale simbolo una influenza sugli alunni comparabile a quella che può avere una lezione o la partecipazione ad
attività religiose»; pertanto esso non lede la libertà religiosa.
– 78 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Una educazione scolastica integrale deve poter includere la dimensione religiosa. I giovani
hanno il diritto di usufruire di tale educazione. Esso si fonda sul rispetto della libertà religiosa. L’IR confessionale rappresenta la forma più adeguata a tale scopo e quindi appartiene necessariamente al quadro europeo della formazione. In questo modo si prolunga nel
futuro la tradizione cristiana in Europa. Ciò non esclude l’apporto critico delle scienze della
religione, ma soprattutto richiede l’esercizio della razionalità teologica scientifica.
L’EuFRES (European Forum for Religious Education in Schools – www.eufres.org), organismo composto da esperti di insegnamento della religione, che negli anni ’90 sembrava
piuttosto orientato a favorire l’insegnamento aconfessionale della religione, negli ultimi
anni ha progressivamente rivalutato l’importanza dell’insegnamento confessionale, ancora
ampiamente diffuso in molti paesi europei.
INTER-EUROPEAN COMMISSION ON CHURCH AND SCHOOL, “Giving Europe a Heart and Soul”. A Christian
vision for Education in Europe’s Schools. A Discussione Report of a Working group of the Inter-European
Commission on Church and School (ICCS), Munster 2003. [trad. italiana: ICCS, Dare un cuore e un’anima
all’Europa. Una visione cristiana dell’educazione nelle scuole europee, in E. GENRE – F. PAJER, L’Unione
europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Torino 2005, pp. 9100].
OSCE – ODHIR (OFFICE FOR DEMOCRATIC INSTITUTION AND HUMAN RIGHTS), Toledo guiding principles
on teaching about religion and beliefs. Prepared by the ODIHR Advisory Council of experts on freedom of
religion or belief, Warsaw 2007 (www.osce.org/odhir).
F. PAJER, Scuola e istruzione religiosa nell’Europa multireligiosa: problemi e sfide, in F. PAJER (ed), Europa, scuola, religioni, Torino 2005, pp. 1-31 (cfr anche dello stesso autore, Nuova cittadinanza europea, in Il
Regno–attualità, 22/2002, pp. 774-788).
M. BALDUS, Nuova cittadinanza europea: il contributo dell’insegnamento della religione, in F. PAJER (ed),
Europa, scuola, religioni, Torino 2005, pp. 65-93.
CEI, SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (Ed.), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa, LDC,
Leumann (To) 2008. I documenti finali sono scaricabili dal sito del Servizio Nazionale per l’IRC della CEI:
http://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/s2magazine/index1.jsp?idPagina=3640
V. BUONOMO, L’ambiguo riferimento agli orientamenti europei in materia di religione, in
Religione Scuola Città 1/2006, pp. 19-26. [DOC 9 – RSC 2006]
M. CATTERIN, L’insegnamento delle religione nella scuola pubblica in Europa. Analisi e
contri buti di istituzioni europee, Marcianum Press, Venezia 2013
→
Ampia e documentata analisi della situazione europea, che sostiene con buoni argomenti
la permanente validità dell’insegnamento confessionale, anche nel contesto pluralistico.
F. PAJER, Scuola e istruzione religiosa nell’Europa multireligiosa:
problemi e sfide, in ID. (ed), Europa, scuola, religioni, Torino 2005, pp. 1-31
(cfr anche dello stesso autore, Nuova cittadinanza europea, in Il Regno-attualità,
22/2002, pp. 774-788).
La disciplina religione viene normalmente trainata nel processo di innovazione della scuola con due possibili esiti: una maggiore integrazione nel progetto educativo della scuola, quando la religione mostra di poter dare il suo specifico apporto culturale adeguandosi agli obiettivi comuni o, al contrario, l’esito di una inevitabile emarginazione quando il corso religioso continuasse a rivendicare uno statuto atipico, separato
dall’organico dei saperi scolastici e finalizzato alla cura educativa del solo gruppo di alunni credenti.
I corsi confessionali istituiti in base a intese tra stati e chiese e quindi fruibili su base volontaria sono
quelli più esposti a una progressiva emarginazione culturale oltre che organizzativo-didattica, specialmente
in quei sistemi privi di una reale opzionalità obbligatoria.
In un’Europa dove il cristianesimo è ridiventato diaspora o conserva un ruolo residuale di religione civile, si apre inevitabilmente il problema del nuovo profilo che dovrà assumere l’identità plurale della società di
domani.
– 79 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
L’adozione di leggi sulla libertà religiosa non può comportare una disseminazione di corsi confessionali
nella scuola pubblica, pena il dissolvimento della educazione pubblica in una polverizzazione ingovernabile
di opzioni particolaristiche, che segnerebbe la fine del senso stesso di un sistema integrato pubblico.
La tradizionale pretesa delle chiese di tenere in vita nella scuola pubblica un’educazione religiosa a carattere identitario si scontra con una situazione culturale di fatto ampiamente postcristiana e multiculturale.
Lo studio scolastico della religione, nel mettersi al servizio dei valori della cittadinanza e della convivenza,
assumerà presumibilmente una crescente curvatura etico-civica, passando «dal kerigmatico al culturale, dal
teologico al fenomenologico, dal monoconfessionale al pluri-transconfessionale, dal veritativo all’etico, dal
cristiano all’ecumenico e all’interreligioso».
XI Forum EuFRES – Carini, 14-18 aprile 2004 – Comunicato finale [in F. PAJER (ed.),
Europa, scuola, religioni, Torino 2005, p. 212].
- I genitori devono poter far valere il loro diritto a un’istruzione scolastica in corrispondenza alle proprie
convinzioni religiose, culturali e pedagogiche;
- lo stato deve garantire le condizioni perché ogni cittadino – che si riconosca in una tradizione religiosa o
in nessuna – possa ricevere dalla scuola una pertinente offerta culturale per affrontare con sufficiente
competenza critica il problema religiosa;
- le chiese cristiane e le altre organizzazioni religiose … hanno il diritto di negoziare le condizioni di una
collaborazione con i sistemi educativi nazionali o locali ai fini di offrire una proposta educativa , anche
confessionalmente connotata, ma rispettosa della natura laica, pluralista e democratica della scuola pubblica;
- la scuola pubblica deve poter elaborare in termini di cultura e di competenza religiosa quello che le persone e le comunità sperimentano in termini di credo e di vissuto religioso; compito della scuola è non solo o non tanto quello di descrivere oggettivamente e di far studiare il fenomeno religioso come tale, ma
di diventare un laboratorio di educazione al dialogo e alla pace, mettendo a confronto universi simbolicoreligiosi diversi tra loro e per questo potenzialmente conflittuali.
M. BALDUS, Nuova cittadinanza europea: il contributo dell’insegnamento della religione, in F. PAJER (ed.), Europa, scuola, religioni, Torino 2005, pp. 65-93.
Lo Stato democratico costituzionale non è in grado di garantire da se stesso i presupposti etici che sono
necessari per il successo della convivenza (BOCKENFÖRDE). Questi presupposti sono sviluppati, tra l’altro,
nelle iniziative della società civile libere dallo stato [tra cui in un certo senso la Chiesa] (p. 74).
Il diritto dei genitori di avere assicurata un’educazione e un insegnamento ai loro figli corrispondente alle proprie convinzioni religiose viene rispettato dall’Unione Europea nella misura prevista dall’ordinamento
degli stati membri. Il diritto alla formazione sancito nel diritto europeo postula come finalità dello stato il
miglioramento dell’uguaglianza di opportunità nel sistema formativo… La salvaguardia della neutralità si
realizza a livello europeo nel fatto che per principio, nell’attivazione dell’IR confessionale, a nessuna denominazione religiosa in quanto tale venga rifiutato tale diritto (pp. 83-85).
È ovvio considerare un’esigenza inderogabile della formazione scolastica l’educazione alla tolleranza e,
in questo quadro, attribuire allo stato il compito di “teaching about religion” (insegnare sulla religione) e non
“teaching religion” (insegnare la religione). Al contrario, rispetto allo stato, la religione deve porre il problema della verità (p. 86).
Bilancio e prospettive
La forma dominante è costituita dall’insegnamento confessionale della religione che, senza eccezione,
beneficia di una accettazione elevata. La tendenza ad assicurare un adeguato influsso ecclesiastico sull’IR
gestito dallo stato, anche contrattato a norma del diritto ecclesiastico, è da definirsi stabile.
La legittimazione dell’IR a partire dal diritto dei genitori deve essere chiarita come garanzia di un diritto
individuale di libertà nell’adempimento di un compito pubblico.
La concezione della chiesa come associazione libera dallo stato e favorita dal principio di sussidiarietà
chiarisce il suo ruolo nella definizione dei contenuti dell’offerta formativa.
Nel quadro della sua responsabilità di garanzia per i valori fondamentali della società, lo stato è subordinato a una collaborazione con le chiese e con le comunità religiose interessate all’IR nelle scuole pubbliche.
L’istituzione di una materia alternativa o sostitutiva libera l’IR confessionale dalla prevalenza dei temi
della religione civile (p. 92).
– 80 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Da: CCEE, L’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica dei paesi
europei, Leumann (Torino) 1991
A) GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Simposio della CCEE “L’insegnamento della religione cattoli-
ca nella scuola pubblica dei paesi europei”, Roma 15 aprile 1991 (pp. 9-13).
Al centro dell’IR sta la persona umana da promuovere, aiutando il ragazzo e il giovane a riconoscere la
componente religiosa come fattore insostituibile per la sua crescita in umanità e in libertà. Il processo didattico proprio della scuola di religione dovrà essere caratterizzato da una chiara valenza educativa, volta a formare personalità giovanili ricche di interiorità, dotate di forza morale e aperte ai valori della giustizia, della
solidarietà e della pace, capaci di usare bene della propria libertà.
[Pur nella diversità legittima dei vari ordinamenti scolastici] è opportuno che l’IR nella scuola pubblica
persegua un comune obiettivo: promuovere la conoscenza e l’incontro col contenuto della fede cristiana secondo le finalità e i metodi propri della scuola e pertanto come fatto di cultura. Tale insegnamento dovrà far
conoscere in maniera documentata e con spirito aperto al dialogo il patrimonio oggettivo del cristianesimo,
secondo l’interpretazione autentica ed integrale che ne dà la Chiesa cattolica, in modo da garantire sia la
scientificità del processo didattico proprio della scuola, sia il rispetto delle coscienze degli alunni.
Ai responsabili sociali, in particolare alle autorità politiche dei singoli paesi, la Chiesa esprime il fermo
convincimento che l’insegnamento religioso, lungi dall’essere un fatto puramente privato, si pone come servizio al bene comune. Nell’Europa dei diritti dell’uomo e del cittadino, la realizzazione di tale insegnamento
garantisce fondamentali diritti di coscienza, che sarebbero feriti da ogni forma di emarginazione e svalutazione.
B) Punti di riferimento conclusivi del Simposio della CCEE «L’insegnamento della religione catto-
lica nella scuola pubblica dei paesi europei» (pp. 75-76).
2. Una educazione scolastica integrale deve poter includere la dimensione religiosa. I giovani hanno il
diritto di usufruire di tale educazione. Esso si fonda sul rispetto della libertà religiosa. L’IR confessionale
rappresenta la forma più adeguata a tale scopo e quindi appartiene necessariamente al quadro europeo della
formazione. In questo modo si prolunga nel futuro la tradizione cristiana in Europa.
3. La formazione religiosa e morale degli alunni nella scuola deve corrispondere alle convinzioni dei
propri genitori. Appare sempre più che l’IR non può realizzare il suo compito senza l’aiuto e la partecipazione attiva delle famiglie. Per questo si devono loro offrire concrete possibilità di cooperazione.
6. L’IR contribuisce in maniera rilevante alla cultura scolastica e all’umanizzazione del contesto quotidiano della scuola. Deve perciò essere preservato da ogni forma di isolamento dalla altre materie scolastiche
ed efficacemente integrato nella globale vita della scuola, sul piano dei programmi e della programmazione,
dei libri di testo, degli orari e della organizzazione scolastica.
CEI, SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (Ed.), L’insegnamento della religione risorsa per
l’Europa, LDC, Leumann (To) 2008, pp. 432-435 («Documento finale»)
Introduzione
La Chiesa cattolica d’Europa avverte l’esigenza di conoscere meglio e riflettere sulle molteplici modalità
dell'Insegnamento della Religione nelle scuole, nei diversi Paesi, con le sue opportunità e prospettive. Per
questo ha partecipato ad una ricerca che, su proposta della Conferenza Episcopale Italiana e con il coordinamento del CCEE, ha coinvolto in modo diretto le Conferenze Episcopali d’Europa.
Tale ricerca ha sottolineato la necessità di riconoscere e rispettare le significative differenze tra le diverse
regioni d'Europa e allo stesso tempo ha reso evidente come alcuni nodi problematici sono presenti in ogni
parte del continente. Vi sono fattori decisivi che spiegano analogie e differenze: lo spazio riconosciuto
all’espressione religiosa in una società pluralista e secolarizzata; l'atteggiamento dei legislatori nei confronti
delle religioni; l'atteggiamento dei cattolici nei confronti della cultura in cui vivono; il modo in cui la gente si
rapporta alla Chiesa come istituzione; la qualità della testimonianza dei credenti e la loro credibilità.
Il compito principale della Chiesa è l’annuncio del Vangelo e, mentre cerca i mezzi adeguati per sviluppare la propria missione di evangelizzazione, si interroga sui cambiamenti e le opportunità che caratterizzano
il momento attuale della vita in Europa. In particolare essa ha sempre avvertito come cruciale l'incontro con
le culture e il contributo che può dare alla ricerca di verità e all'ampliamento degli orizzonti di senso.
La maturazione nella fede delle nuove generazioni è uno degli ambiti in cui la Chiesa continua a profondere grandi energie: Ogni generazione, come scriveva Giovanni Paolo II «è un nuovo continente» cui deve
arrivare la proposta di Cristo. Oggi è tempo di accogliere e accompagnare i giovani, rispettandoli, valoriz-
– 81 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
zandoli e amandoli, in modo che possano imparare a vivere in comunione con se stessi e con gli altri, nella
Chiesa e nella società.
Per questo la Chiesa ha sempre considerato la scuola come un ambiente importante della sua missione
evangelizzatrice e nel tempo ha istituito scuole proprie (scuole cattoliche) e si è impegnata nell'Insegnamento
della religione.
Dall'analisi dei rapporti pervenuti dalle Conferenze episcopali sono emersi, in particolare, alcuni ambiti
di riflessione per l’approfondimento comune: l'Insegnamento della religione nella missione evangelizzatrice
della Chiesa; l'Insegnamento della religione nell'oggi dell'Europa; le competenze professionali e la testimonianza degli insegnanti; il contributo dell'Insegnamento della religione al dialogo interconfessionale, interreligioso e alla convivenza civile.
1. L’Insegnamento della religione nella missione evangelizzatrice della Chiesa
Le Chiese cattoliche d’Europa sono consapevoli che anche attraverso il compito dell’Insegnamento della
religione nelle scuole si realizza il mandato dell’evangelizzazione.
1.1 L'Insegnamento della religione in rapporto con la catechesi
1.1.1 Nella maggioranza dei Paesi e delle Chiese d’Europa esiste una avvertita distinzione tra Insegnamento della religione scolastico e catechesi, attività differenti che comunque trovano un raccordo interno
all’azione pastorale. Il primo è normalmente considerato come un prezioso contributo alla formazione umana
e culturale dei cittadini, all'interno delle finalità delle diverse istituzioni scolastiche. La seconda ha invece un
raggio più ampio e mira in particolare alla formazione e istruzione dei credenti, nella vita di fede.
1.1.2 Si tende a considerare l’Insegnamento della religione come un contributo alla conoscenza e
all’apprezzamento dei contenuti e dei valori della tradizione cristiana, offerto dalla / nella scuola a tutti gli
alunni, in vista della loro crescita e maturazione personale. La catechesi, invece, richiede o propone
un’adesione esplicita alla fede, nel contesto della comunità ecclesiale.
1.1.3 Nonostante la distinzione sia chiara sul piano teorico, in alcuni Paesi le istituzioni scolastiche accolgono tuttora un Insegnamento della religione di impianto catechistico.
1.2 L'Insegnamento della religione in rapporto con la famiglia e la parrocchia
1.2.1 Chiesa, scuola, parrocchia e famiglie interagiscono in diversi modi a riguardo dell’Insegnamento
della religione, con attese e responsabilità differenti. Pur avendo ciascuna di queste un proprio ambito ben
definito in cui operare si avverte l’esigenza di una più consapevole cooperazione, di un nuovo “patto” tra i
diversi soggetti coinvolti nell’educazione, anche attraverso l’Insegnamento della religione. A questo proposito ci si aspetta dalla scuola anche la trasmissione di una tradizione e di una cultura cristiana, una sensibilizzazione ai valori cristiani e umani, uno sguardo attento alla situazione plurireligiosa contemporanea, delle
risposte alle domande sul senso della vita. In tutto questo l’Insegnamento della religione svolge un’evidente
funzione educativa.
1.3 L'Insegnamento della religione nella scuola cattolica
1.3.1 Le Chiese cattoliche d’Europa avvertono la particolare responsabilità affidata alle scuole cattoliche,
istituite e sostenute dalle diocesi, dalle parrocchie e dagli Istituti religiosi, dalle associazioni e da altri soggetti della comunità cristiana. Da sempre svolgono un prezioso compito educativo verso le nuove generazioni.
Vi è la consapevolezza che, anche per quanto riguarda l’Insegnamento della religione, quello delle scuole
cattoliche è un ambiente privilegiato e da sostenere ai fini di una formazione cristiana e umana integrale.
2. L'Insegnamento della religione nell'oggi dell'Europa
2.1 Attraverso l’Insegnamento della religione entrano nella scuola e nel percorso di formazione delle
giovani generazioni oltre all’apertura a Dio, anche l’attenzione alla formazione integrale della persona,
l’esplorazione in ordine alle domande di senso dell’esistenza, la sensibilità sulle questioni etiche e sulle dimensioni del dialogo e della convivenza in una società pluralista e multireligiosa come quella europea.
2.2 In particolare, la dimensione della conoscenza di specifiche tradizioni religiose, della loro storia, e la
ricerca di confronto e dialogo tipica delle modalità scolastiche, fornisce un utile contributo alla formazione
sociale e civica della persona in Europa e alla sua collocazione consapevole e protagonista nella società di
oggi e di domani.
2.3 Le Chiese cattoliche d’Europa avvertono la presenza di un clima culturale spesso sfavorevole
all’Insegnamento della religione nelle scuole. In molti Paesi è presente il dubbio sulla legittimità
dell’esistenza stessa dell’Insegnamento della religione nella scuola perché viene detto, nel clima culturale
emergente, che la religione è una questione privata. Tuttavia, proprio la presenza diffusa di un Insegnamento
della religione con caratteristiche scolastiche avvalora la convinzione dell’insegnabilità della religione, in
– 82 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
particolare per quanto riguarda la Bibbia, le tradizioni, la storia e il portato culturale. In questa prospettiva la
Religione rivendica piena cittadinanza tra le materie di insegnamento.
2.4 Per aiutare l’Insegnamento della religione a svolgere la propria funzione, occorrono garanzie istituzionali e giuridiche stabili, pieno riconoscimento scolastico, inserimento nei curricoli, offerta a tutti, alternative coerenti e credibili, valutazione riconosciuta ed efficace.
3. Le competenze professionali e la testimonianza degli insegnanti
3.1 L’Insegnante di religione si trova in presenza di situazioni giuridiche differenti nei Paesi d’Europa
circa titoli di studio riconosciuti, nomina da parte dello Stato, come per i docenti di altre materie, stipendi a
carico delle istituzioni scolastiche, condizioni che ne determinano diversamente il pieno inserimento scolastico. Le Chiese cattoliche d’Europa vogliono dedicare grande attenzione agli insegnanti di religione, con i
quali la comunità cristiana mantiene un legame vitale, affinché siano professionalmente preparati per la funzione docente e possano svolgere il loro mandato come testimoni credibili, inseriti nella comunità ecclesiale.
3.2 Particolare attenzione è avvertita dalle Chiese d’Europa per scegliere, formare ed aggiornare gli insegnanti di religione, offrendo loro un particolare accompagnamento spirituale e percorsi di formazione continua che tenga conto dei nuovi programmi, delle nuove tecnologie, della flessibilità degli orari di lavoro, ecc.
E’ poi anche avvertito il bisogno di gruppi o di associazioni in cui poter dialogare sulle tematiche della loro
spiritualità e professionalità e sui contenuti del loro insegnamento.
4. Contributo dell'Insegnamento della religione al dialogo interconfessionale, interreligioso e alla
convivenza civile
4.1 L’Insegnamento della religione in Europa si svolge nel contesto dei rapporti tra le diverse confessioni
cristiane e tra le religioni. Questo avviene sia per quanto riguarda gli aspetti istituzionali – il coinvolgimento
e la eventuale cooperazione tra confessioni diverse – sia per quanto riguarda gli aspetti di contenuto
dell’insegnamento.
4.2 Le peculiarità dell’Insegnamento della religione, contribuiscono ad orientare l’istruzione scolastica
alla piena formazione della persona, riducendo il rischio di limitarsi agli aspetti professionalizzanti richiesti
dal mercato del lavoro.
4.3 Anche per questi motivi l’Insegnamento della religione in Europa, nelle sue differenti espressioni,
può essere considerato come un laboratorio di grande interesse in relazione al dialogo interconfessionale, interreligioso e su temi etici che animano la convivenza civile. Può configurarsi, l’Insegnamento della religione, come un “luogo” nel quale si incontrano e si misurano in modo speciale le diversità, in una prospettiva di
sostanziale apertura reciproca che pure non esclude problemi e difficoltà.
5. Conclusione
La ricerca sull’Insegnamento della religione, promossa dal CCEE, oltre alla raccolta di informazioni sulle diverse situazioni europee, ha anzitutto messo in moto le Chiese cattoliche d’Europa raccogliendo e valorizzando sensibilità talvolta diverse, che hanno avuto l’occasione di incontrarsi, conoscersi, dialogare. Con il
risultato prezioso di aver avviato una rete di persone attraverso le Chiese cattoliche del Continente per rendere sempre più consapevole, condiviso ed efficace il compito di servizio all’uomo e al Vangelo che passa anche attraverso l’Insegnamento della religione nelle scuole.
Considerando le informazioni raccolte nel corso della ricerca e in sintonia con esse, i delegati vogliono
sottolineare:
• la necessità di valorizzare il ruolo delle famiglie nel sostegno all’Insegnamento della religione, ribadendo,
secondo il Concilio Vaticano II, la primaria e inalienabile responsabilità educativa dei genitori e il diritto
dei bambini e dei giovani alla formazione religiosa;
• l’impegno della Chiesa a migliorare continuamente la propria attenzione al mondo della scuola, con una
presenza efficace al servizio delle giovani generazioni. Le difficoltà (istituzionali, culturali, ...) di oggi
non dovrebbero scoraggiare ma dare modo di cogliere opportunità nuove da attivare;
• la convinzione che l’Insegnamento della religione possa essere proposto agli allievi, indipendentemente
dalle scelte di fede e nel rispetto della libertà di coscienza. Un insegnamento che, nel contesto particolare
dell’Europa, è bene che si realizzi in forme di collaborazione ecumenica e aperto al dialogo interreligioso;
• che nel rispetto delle diversità registrate nei singoli Paesi, l'Insegnamento della religione meglio rispondente alle esigenze del mondo di oggi risulta essere quello "a contenuto confessionale", perché mette in
dialogo con una religione "vivente" e significativa per l’esistenza di ciascuno;
• l'esigenza di aprire occasioni comuni di confronto, nelle Chiese cattoliche d’Europa, anche per ripensare
complessivamente la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti di religione, alla luce dei cambia-
– 83 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
menti in atto. In modo da valorizzare il prezioso servizio che questi docenti rendono alla Chiesa e alla società.
• l'importanza che le Conferenze episcopali d'Europa continuino a promuovere le occasioni per lavorare "in
rete", su alcuni obiettivi concreti, come ad esempio la costituzione di un Osservatorio permanente
sull’Insegnamento della religione in Europa; la circolazione di esperienze significative elaborate nei diversi Paesi su alcuni nodi cruciali (la cooperazione ecumenica e interreligiosa, il dialogo interculturale, la
capacità di collaborare con gli Stati rendendo presenti le istanze delle comunità religiose…).
Affidando questa sintesi, attraverso il CCEE, alle Chiese locali d’Europa i delegati qui riuniti, dopo un
intenso lavoro svolto in spirito di comunione, vogliono evidenziare l’importanza dell’Insegnamento della religione nelle scuole e insieme rivolgere il loro ringraziamento sincero a tutti gli insegnanti di religione che,
con passione e competenza, sono al servizio dell’educazione delle nuove generazioni.
Roma, 30 novembre 2007 – S. Andrea apostolo
O. MARSON Il carattere confessionale dell’Ir come consapevolezza della missione
educativa della Chiesa in: Cei, SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (Ed.), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa, LDC, Leumann (To) 2008, pp. 334ss.
Mi propongo in primo luogo di presentare un quadro sufficientemente completo delle diverse tipologie di
Ir, mostrando in filigrana propriamente le diverse fisionomie che l’istruzione religiosa presenta, con le relative implicazioni e conseguenze. […]
1) Assenza di un Ir, con eventuale istruzione religiosa interna ad alcune discipline scolastiche
In Francia non esiste uno specifico Ir, fuorché in Alsazia e Mosella. Va, però, osservata e rilevata una linea di discussione e di sviluppo in atto: una volta squillato l’allarme per l’incultura e l’analfabetismo di carattere religioso, si è pensato di coinvolgere gli insegnanti in un’azione culturale e didattica volta a riconoscere e valorizzare la dimensione religiosa nel patrimonio elaborato a scuola, in modo particolare nelle discipline storiche, letterarie e umanistiche. È una soluzione che mira a colmare un vuoto, ma l’IR non sembra in
questo modo aver trovato una sua legittimazione piena né tanto meno una sua autonomia. Al di fuori della
Francia, soltanto in Bulgaria e in Bielorussia non sembra esistere, almeno per il momento, una disciplina che
si possa considerare Ir.
2) Un’istruzione religiosa fondata sulle scienze della religione
L’Ir è fondamentalmente di tipo storico-fenomenologico, con particolari attenzioni ermeneutiche e comparative nei confronti dei testi e dei simboli delle religioni. Non vengono direttamente chiamate in gioco le
convinzioni dei docenti e degli studenti. Sicuramente sono presenti le finalità educative della scuola, e dunque l’esigenza di cercare significati e valori per la vita e per la società, in uno spirito di dialogo tra le varie
appartenenze religiose. Talora viene chiamato laico, o neutrale, oppure anche post-confessionale.
Questo approccio caratterizza in particolare la scuola inglese e quella dei paesi scandinavi, se pur con diversità di accenti. In Inghilterra, nell’ottobre 2004, l’Autorità per le qualifiche e i Curriculum ha pubblicato
una griglia nazionale non vincolante per l’istruzione religiosa. Tale griglia orientativa, che include le finalità,
gli obiettivi e la natura dell’istruzione religiosa nelle scuole, è stata concordata con le principali comunità
confessionali e con le associazioni professionali della disciplina Ir. Si prevede che l’insegnamento religioso
sviluppi negli alunni la conoscenza e la comprensione del cristianesimo, delle altre grandi religioni, e in generale delle varie tradizioni religiose e visioni del mondo. Le Autorità Locali (= distretti scolastici recentemente ridisegnati) offrono un’ulteriore mediazione per la predisposizione dei programmi delle scuole “sovvenzionate” (in gran parte senza uno specifico carattere religioso, con anche con una forte presenza della
Chiesa d’Inghilterra e un’azione significativa della Chiesa cattolica; non mancano scuole appartenenti ad altre confessioni cristiane o ad altre religioni). Le scuole “indipendenti” possono naturalmente organizzare l’Ir
in maniera più autonoma. In Scozia le scuole statali offrono un IR non confessionale obbligatorio (Educazione morale e religiosa); l’Ir confessionale è proibito. In Norvegia l’Ir si presenta con la denominazione sintetica di Insegnamento cristiano e religioso (KRL): un’ impostazione “accademica” e neutrale, di fatto attraversata profondamente dalla secolarizzazione. In Svezia, l’Ir presente nei curricoli scolastici si colloca
nell’ambito delle scienze sociali, con un programma stabilito dal Dipartimento per l’istruzione. In Danimarca, il curriculum stabilito dallo Stato ha come scopo quello di stabilire una base comune di valori per la società.
In Lituania, un paese con popolazione suddivisa fra cattolici, luterani e ortodossi, la normativa prevede
un corso obbligatorio di etica e/o insegnamento cristiano obbligatorio, con programmi approvati dallo Stato,
mentre si ammette la possibilità di corsi facoltativi confessionali.
– 84 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
In diversi altri paesi europei è previsto un insegnamento di etica non confessionale come materia alternativa. A questo proposito vanno esaminate con particolare attenzione – così mi pare - le scelte adottate in Belgio, in Germania e più recentemente in Spagna (tentativo poi bruscamente interrotto), con il modello dei due
canali o percorsi (o molteplici canali): gli studenti scelgono tra un insegnamento confessionale e un insegnamento non confessionale.
3) I due volti della confessionalità
La formula “Ir confessionale” va precisata e esaminata con attenzione. Senz’altro, analizzando le varie
esperienze europee che possono essere fatte rientrare all’interno di tale impostazione e confrontandole sotto
il profilo epistemologico, si vedono chiaramente delinearsi e distinguersi due figure: la prima tende a proporsi come istruzione catechistica in ambiente scolastico, la seconda come insegnamento propriamente culturale della tradizione confessionale. Non sempre i confini fra le due figure sono nitidi, ma tale distinzione è oggettivamente necessaria e importante.
a. Un’istruzione religiosa a base teologico-catechistica
Si tratta di insegnamenti organizzati in base alla fede e alla dottrina di una chiesa o di una confessionetradizione religiosa; anche la gestione dipende dalle rispettive autorità religiose. Rientrano i questa categoria
gli insegnamenti o i corsi proposti all’interno della scuola dalle principali chiese cristiane, dalle comunità
ebraiche, dalle organizzazioni musulmane. Così avviene in diversi paesi di lunga e profonda tradizione cattolica o almeno a maggioranza cattolica: in Polonia, in Irlanda (la maggior parte delle scuole sono di ispirazione cattolica), come in Slovacchia, nella Repubblica Ceca, in Croazia, in Lituania, in Ungheria. Questa è anche la situazione nella piccola Islanda, di tradizione luterana. In Ucraina - paese a maggioranza ortodossa
(patriarcato di Mosca e patriarcato di Kiev) e significativa minoranza greco-cattolica, con un’ulteriore piccola percentuale di protestanti - è stata scelta una via ecumenica: il curriculum contiene solo ciò che è condiviso da tutte le confessioni cristiane, con l’approvazione della Conferenza delle Chiese cristiane dell’Ucraina e
del Ministero dell’Educazione. Di tipo confessionale è l’insegnamento religioso ortodosso nelle scuole della
Grecia. Entro questo alveo vanno collocati i corsi facoltativi coranici attivati in Germania e Belgio. Per quanto riguarda l’ambito cristiano, si può dire che ci troviamo di fronte a offerte catechistiche ospitate in contesto
scolastico, con funzione “sussidiaria” rispetto ad una catechesi parrocchiale, spesso problematica e difficile.
b. Un’istruzione religiosa “nel quadro delle finalità della scuola”, a base culturale teologica in dialogo con le scienze della religione
In questo caso si tiene conto in maniera precisa della collocazione scolastica dell’IR: “nel quadro delle
finalità della scuola”, si potrebbe dire, con un linguaggio familiare in Italia. Nell’elaborazione e nella proposta dei contenuti, salvaguardando la fedeltà al patrimonio consegnato dalla tradizione e dunque all’ortodossia
dottrinale, si opera per realizzare un dialogo aperto con le varie scienze della religione e dell’educazione, in
modo da poter dispiegare un reale confronto con le altre discipline scolastiche e da venire incontro in maniera articolata alle domande di conoscenza e di senso degli studenti e delle famiglie. Questo tipo di insegnamento può essere detto confessionale solo in rapporto ai contenuti, ma formalmente presenta una natura originale, tanto che la qualifica della confessionalità si presenta come inadeguata, tenendo anche conto che non
è rivolto solo agli appartenenti alla confessione che offre l’insegnamento e non si propone scopi di iniziazione alla fede. Il panorama si presenta variegato e come tale ora verrà tratteggiato.
In Belgio, bisogna distinguere fra il sistema scolastico della Comunità Fiamminga e quello della Comunità Francese e Germanofona. Nella Comunità Fiamminga, ogni alunno di età compresa fra i 6 e i 18 anni ha
diritto a un corso filosofico a scelta, il cui contenuto è di competenza dei “culti riconosciuti” o delle “associazioni riconosciute” (Chiesa cattolica romana, Chiesa anglicana, Chiesa ortodossa, Chiese protestanti,
Islam, religione ebraica, Associazione dei Liberi Pensatori); può esserne dispensato chi non si riconosce in
nessuna organizzazione; per l’Ir cattolico, i programmi vengono emanati dai vescovi e si propongono di concorrere alla formazione globale degli studenti, in relazione alle finalità generali della scuola; il corso entra
nel curriculum personale dell’allievo e fa media. Nella Comunità Francese e Germanofona, l’insegnamento
ufficiale propone la scelta tra un corso di religione (religione cattolica) e un corso di morale non confessionale. In Belgio, va ricordato, sono molto numerose e attive le scuole cattoliche.
L’Ir confessionale è disciplina curriculare in quasi tutti i Länder della Germania (eccetto Berlino, Brandeburgo e Brema); vengono offerti generalmente gli insegnamenti protestante e cattolico, in molti casi anche
corsi di Ir ortodosso e ebraico, in alcune scuole si svolgono in forma sperimentale lezioni coraniche. Per l’Ir
cattolico, la Chiesa formula obiettivi e contenuti dei programmi, approvando i libri di testo; lo Stato è responsabile della corrispondenza di tali obiettivi e contenuti rispetto ai principi della Costituzione. “La lezione
di religione si orienta agli obiettivi pedagogici e educazionali della scuola e al compito della Chiesa di annunciare il Vangelo. Deve trasmettere le nozioni fondamentali della fede cattolica, familiarizzare gli alunni
– 85 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
con la fede vissuta e promuovere la capacità di dialogo e di giudizio dei ragazzi”. “L’insegnamento della religione è res mixta di Chiesa e Stato”. Per chi non sceglie alcuno degli insegnamenti confessionali, sono istituiti corsi di etica e filosofia.
In Austria, l’Ir è confessionale, per tutte le denominazione riconosciute (il paese è a grande maggioranza
cattolico). I programmi dell’Ir cattolico sono elaborati da gruppi di lavoro con competenza pedagogicodidattica, approvati dalla Conferenza episcopale e ratificati dallo Stato. Essi si inquadrano pienamente nel
sistema di istruzione nazionale, dal momento che fra i “Compiti della scuola” si fa riferimento esplicito alla
“dimensione religioso-etico-filosofica dell’istruzione”. Per chi non segue l’Ir di una confessione religiosa, è
obbligatorio un insegnamento di Etica; in Austria si evitano espressioni come “materia alternativa” o “di sostituzione”.
In Portogallo, le linee guida per i programmi sono definite dal Segretariato nazionale per l’educazione
cristiana della Conferenza episcopale, integrate nella legislazione scolastica nazionale, per offrire un contributo di carattere culturale e non direttamente un’esperienza di fede.
In Romania, con popolazione ortodossa quasi al 90%, dove l’Ir è stato reintrodotto nel 1990 a tutti i livelli di scuola, si sta realizzando un percorso che va segnalato. Lo Stato assicura i piani-quadro, in cui sono
inclusi i programmi di religione, approvati da un gruppo di lavoro misto tra Ministero e culti autorizzati, con
alcune “competenze generali” comuni e competenze specifiche legate ai contenuti propri dei vari culti. Si
prevede l’esonero o un insegnamento alternativo (proposte dalle singole scuole).
Mi pare di capire che l’esperienza in atto in Finlandia, a sua volta, presenta alcune caratteristiche proprie,
da poter venire almeno avvicinata alla tipologia in esame. Di fatto l’Ir è quello della chiesa evangelica luterana, però l’assetto complessivo vede l’istruzione religiosa inserita all’interno delle finalità della scuola allo
scopo di fornire allo studente conoscenze utili alla costruzione della propria identità e visione del mondo.
L'attuale figura dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana trova nell’articolo 9
dell'Accordo di revisione del Concordato del 1984 il punto di riferimento fondante "La Repubblica italiana,
riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del
patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado". Esistono
quattro possibilità per chi sceglie di non avvalersi dell’Ir cattolico: un’attività alternativa, affidata
all’autonomia delle istituzioni scolastiche, “escluse le attività comuni a tutti gli alunni” (circolari ministeriali
128, 129, 130 e 131 del 1986); un’attività di studio assistita; un’attività di studio senza la presenza di alcun
docente; l’uscita dalla scuola (proprio così!). La situazione oggi, in contraddizione con la rilevanza culturale
e pedagogica dell'insegnamento religioso scolastico, vede una parte degli studenti, per il momento piuttosto
contenuta, non solo senza una cultura religiosa da parte dell'istituzione scolastica, ma anche senza la possibilità di un confronto con i significati e i valori delle tradizioni religiose.
Conclusioni: verso dove sta andando l’Ir in Europa?
Il panorama che il Progetto di ricerca su “Religione e scuola in Europa”, voluto dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), mostra allo sguardo dell’osservatore e all’esame dello studioso, non
appare né monolitico né statico, ma plurale e dinamico, resistente a qualsiasi tipo di cattura unilaterale, refrattario a tentazioni di presa semplicistica. La lettura delle varie situazioni deve riconoscere la reale diversità
di assetti epistemologici e organizzativi, con rispetto.
Certamente è un fatto positivo il riconoscimento sempre meno osteggiato e più esteso del patrimonio religioso come codice ineludibile di cultura, sorgente di valori etici, offerta di orizzonti di senso e di futuro;
patrimonio da proporre all'interno dell'istituzione scolastica; patrimonio che può contribuire alla paidéia di
una cittadinanza europea e planetaria aperta e dialogica. Il caso dei paesi ex-comunisti è clamoroso, ma anche il dibattito aperto in Francia sul concetto di laïcité risulta assai significativo. La scuola assume, più che
nel recente passato, il compito di offrire un sapere circa la "religione", con i suoi linguaggi e i suoi simboli.
Ad esempio, l’importanza dell’istruzione religiosa è stata riconosciuta in Gran Bretagna da una Dichiarazione congiunta diffusa dal Dipartimento per l’Istruzione e la Formazione Professionale di Sua Maestà (DfES) e
da alcune comunità confessionali, firmata nel dicembre 2005, con una serie articolata di motivazioni.
Non ritengo, però, si possa affermare che sta vincendo il modello dell’“istruzione religiosa basata sulle
scienze della religione”, che talora viene anche chiamato modello laico e post-confessionale. La maggior
parte dei paesi di tradizione cristiano-evangelica si è allineata lungo questa direttrice, ma non si tratta della
totalità e nemmeno della maggioranza delle scelte in Europa. Il dato aiuta almeno a non considerare
l’evoluzione verso un Ir post-confessionale come una tendenza ineluttabile. La discussione deve rimanere
aperta e non cedere troppo facilmente a mode politicamente corrette, che sono chiamate a misurarsi fino in
fondo su un confronto a tutto campo. […]
– 86 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
L’esperienza di un’istruzione religiosa “nel quadro delle finalità della scuola”, a base mista: teologia +
scienze della religione, che possiamo anche chiamare confessionale-scolastica, con la possibilità di altre opzioni alternative, de facto occupa un posto centrale nella multiforme realtà europea. In linea di principio, de
jure, si presenta con tutte le carte in regola per essere considerata una strada fondata e significativa per il
presente e per il futuro. È importante su questa base continuare la riflessione.
L’insegnamento religioso di Europa – Sintesi da M.CATTERIN, L’insegnamento della religione nella scuola pubblica in Europa a cura di M. Ferragina.
«Ancora oggi ripeto a te, Europa, che sei all’inizio del terzo millennio: “ritorna te stessa. Sii te stessa.
Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici”. Nel corso dei secoli hai ricevuto il tesoro della fede cristiana.
Esso fonda la tua vita sociale sui principi tratti dal Vangelo e se ne scorgono le tracce dentro le arti, la letteratura, il pensiero e la cultura delle tue nazioni. Ma questa eredità non appartiene soltanto al passato: essa è un progetto per l’avvenire da trasmettere alle generazioni future, poiché è la matrice della vita delle
persone e dei popoli che hanno insieme il Continente Europeo». (Ecclesia in Europa, 120)
L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Ecclesia in Europa definisce molto bene lo scenario entro
il quale si muove la questione dell’insegnamento religioso: quello di una Europa nella quale si avverte la necessità di rilanciare e ripensare le modalità di annuncio e testimonianza del vangelo, nella consapevolezza
che stiamo attraversando un tempo delicato e di grandi trasformazioni che riguardano la società civile ma anche le Chiese. Il cambiamento principale è in termini negativi, la “perdita della memoria” da parte delle nuove generazioni presenti, in rapporto alle radici spirituali e culturali da cui vengono i nostri modi di vivere e di
pensare. La scuola ovviamente è interpellata naturalmente da queste problematiche. È attraverso i processi di
apprendimento e i percorsi educativi sviluppati nelle scuole che i più giovani maturano conoscenze e abilità
tali da permettere loro una vita da protagonisti nel proprio contesto sociale e culturale. In questa prospettiva
emerge una chiara responsabilità della scuola nei confronti del mondo religioso. Responsabilità che alcune
tendenze in atto in Europa connotano sempre più laicamente nella direzione della cultura religiosa e
dell’apprendimento delle chiavi di lettura generali piuttosto che dell’educazione alla fede. Con questa premessa cerchiamo di capire come è strutturato l’insegnamento di religione (IR) in Europa, nei singoli Stati
membri.
Lo scenario di fondo
Il dibattito sull’IR in Europa ha come sfondo la contrapposizione tra laicità e diritto alla libertà religiosa
che è certamente un fattore di disgregazione della società a cui non si può restare insensibili. L’uomo europeo, il futuro uomo europeo, se consideriamo i giovani studenti, trova un suo punto di forza sul piano decisivo dell’educazione e della cultura nella scuola considerata sempre più il laboratorio sociale dove è possibile
costruire personalità forti e cittadinanze condivise tra quanti partecipano al suo progetto formativo. La presenza nella scuola di alunni di diverse confessioni cristiane e di non credenti sollecita la ricerca di dialogo e
di un comune coinvolgimento nella ricerca di quelle radici comuni, che hanno fatto e sono tuttora determinanti per il presente ed il futuro del Continente. Si tratta di radici in gran parte derivate dalla fede e dalla cultura cristiana su cui poggia il cammino storico, religioso e culturale dei popoli europei. Identità e dialogo si
intrecciano in questo sforzo di mantenere vive le radici e aprire percorsi di allargamento nelle conoscenze di
impostazione, di finalità, di contenuti ma soprattutto alla base troviamo l’emergenza di favorire in ogni paese
un comune sentire circa il contributo offerto dalla religione, e da quella cristiana in particolare, per la costituzione dell’Europa. L’IR si inserisce in questo sfondo come via privilegiata sul piano educativo e culturale
delle nuove generazioni. Non è possibile, infatti, realizzare un autentico processo di unificazione e integrazione delle persone e dei popoli dell’Europa se non partendo da uno sforzo educativo, teso a promuovere
nuovi modelli di cittadinanza, a sviluppare orientamenti e capacità di dialogo e cooperazione, a costruire prospettive di futuro conviviale. In questo scenario sono interessanti le riflessioni di Edgar Morin che, ipotizzando sette saperi necessari all’educazione del futuro, indica espressamente, tra l’altro, la necessità di “insegnare la condizione umana”, così come quella di affrontare “l’etica del genere umano”, nel triplice e circolare rapporto individuo-specie-società. La prospettiva è quella di una solidarietà planetaria, di un destino comune, che non azzera le diversità proprie della complessità, per cui uno sviluppo pienamente umano “deve
comportare il potenziamento congiunto delle autonomie individuali, delle partecipazioni comunitarie e della
coscienza di appartenere alla specie umana” 29.
Alcune coordinate
29
E. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, 2001, p. 15
– 87 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
Quando vogliamo parlare di IR nella scuola pubblica dobbiamo tener presenti alcune coordinate:
1. i diversi regimi giuridici di rapporto Stato e Chiesa che si concretizzano in sistemi di separazione o nella
stipulazione di Concordati o Accordi;
2. la strutturazione e il funzionamento del sistema educativo nazionale;
3. la base epistemologica su cui poggia il sapere religioso insegnato, e cioè se siamo di fronte ad un insegnamento impartito su base di sole Scienze teologiche, oppure di Scienze religiose e teologiche, oppure
di sole Scienze religiose, oppure se siamo di fronte all’insegnamento del Fatto religioso letto secondo
l’epistemologia delle diverse discipline scolastiche;
4. i modelli didattici di insegnamento, e cioè se siamo di fronte a un modello monoconfessionale, biconfessionale, transconfessionale, aconfessionale; come pure la natura dell’attività scolastica, e cioè se è pienamente curricolare, curricolare opzionale, curricolare ma facoltativa, extracurricolare.
Con queste coordinate possiamo fare una lettura dell’IR nei 28 paesi membri dell’Unione Europea. Siamo coscienti di trovarci di fronte ad una pluralità di sistemi d’insegnamento che devono essere presi singolarmente in considerazione. In Europa infatti vi sono Paesi dove nelle scuole pubbliche non avviene alcuna
forma di IR, Paesi dove avviene un insegnamento confessionale affidato alle comunità religiose, Paesi dove
viene impartito un insegnamento aconfessionale della religione. La questione IR in Europa sta molto a cuore
alla CCEE (Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae) e alle politiche dei singoli paesi in quanto il
fenomeno del flusso immigratorio ha trasformato l’Europa in un continente multiculturale. L’interesse politico e delle Chiese è motivato dal fatto che la presenza di molte culture potrebbe produrre un’ibridazione irreversibile di molte culture tale da generare l’ingovernabilità; la scuola resta uno dei luoghi strategici dell’integrazione ed è chiamata a fornire strumenti ai giovani per appropriarsi della cultura della propria Nazione e
per poter dialogare con le culture Altre. Anche l’IR ne è coinvolto, non senza coinvolgimento dei modelli
epistemologici…qui si inserisce pienamente la nostra riflessione. Per fare un discorso chiaro su cosa
s’intende per IR in Europa è necessario affrontare il suo profilo epistemologico, cioè del modo di accreditare
oggi l’IR nella scuola pubblica. Possiamo parlare di quattro modelli epistemologici principali:
1. insegnamento su base teologica;
2. insegnamento a base mista;
3. insegnamento su base di scienze religiose non teologiche;
4. insegnamento laico basato sul “fatto religioso”.
Insegnamento a base teologico-confessionale
Questo primo modello ha a che vedere con il riferimento classico alla teologia intesa come “scienza della
fede creduta”. Di questo modello si avvalgono gli IR confessionali gestiti dalle Chiese e proposti in funzione
di educazione alla fede con l’obiettivo di un migliore inserimento nella comunità credente. Si tratta di IR impartito nelle scuole confessionali solitamente integrati a pieno titolo nel sistema educativo pubblico, prevedono una visione teologica e antropologica interna a ciascuna fede che viene trasmessa agli studenti, insegnamenti gestiti direttamente dalle Chiese. Questo modello è in uso nell’IR ortodossa in Grecia, a Cipro, in
Romania, oppure dell’IR cattolico confessionale a Malta, in Irlanda, in Polonia, e in Ungheria.
La GRECIA è membro dell’Unione Europea dal 1981 ed è autocefala dal punto di vista religioso. Lo Stato
e la Chiesa non sono separati, il ministero dell’Istruzione si chiama infatti ministero dell’Istruzione e Culti.
L’art. 16 della Costituzione greca pone come obbiettivi fondamentali del sistema istruzione : l’educazione
morale, spirituale e professionale; lo sviluppo della coscienza etnica e religiosa; l’educazione alla cittadinanza libera e responsabile. L’ora di religione ortodossa è obbligatoria dalle elementari alle secondarie. Vi è
possibilità di esonero per tre categorie: atei, credenti non cristiani, cristiani non ortodossi. (dodici righe
all’Islam nei libri di testo…). In Grecia i libri di testo sono più importanti degli insegnanti, essi vanno letti
passo passo e memorizzati nelle loro tesi.
CIPRO: l’IR è come in Grecia, obbligatorio. Gli insegnanti vengono formati in Grecia. Qui non sono previste materie alternative, è possibile l’esonero su richiesta dei genitori o a sedici anni dallo studente. Concorre all’ammissione alla classe successiva.
In ROMANIA: l’IR è obbligatorio nella scuola primaria e opzionale nelle medie e superiori. I programmi
sono decisi dal Ministero dell’educazione e ricerca ma con grande pressione della Chiesa ortodossa rumena.
Dopo il 2007 un Accordo ha generato dei programmi con competenze comuni alle elementari e specifiche
nelle superiori.
MALTA: qui l’IR cattolico è garantito nella scuola pubblica con un accordo tra Santa Sede e Repubblica
di Malta. Responsabile di stabilire i programmi il metodo e i libri di testo è la conferenza episcopale maltese.
Gli argomenti base, presenti nei libri di testo sono: Dio, Dio mi ama, Gesù, la Chiesa, Lo Spirito santo, con il
Signore tutto l’anno (si consideri che Malta è un paese di fortissima matrice cattolica).
– 88 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
In IRLANDA: l’IR è previsto in tutte le scuole primarie e secondarie a eccezione di alcune scuole del movimento Educate Togheter che offre etica e spiritualità. L’insegnamento è obbligatorio opzionale prevede
l’esonero ed è gestito dalla conferenze episcopale irlandese. La particolarità è che nella scuola primaria è
prevista mezz’ora al giorno di religione, nelle secondarie due ore settimanali su tre giorni. Dopo una riforma
scolastica del 2006 alcune scuole decidono liberamente se offrire l’IR o meno e se far sostenere un esame o
meno. L’IR è centrato sulla comprensione della propria storia religiosa, essere capaci di dialogare con altre
fedi e rispettarle; deve essere presentato un IR per la maggior parte confessionale cattolico aperto
all’ecumenismo.
In POLONIA: qui l’IR è facoltativo e confessionale, è stato introdotto nel 1990 ed è regolato dalla Costituzione della Repubblica del 2 aprile 1997 e le modalità di reclutamento degli insegnanti sono stabilite e gestite dal Ministero della pubblica istruzione in intesa con la Conferenza Episcopale Polacca. Sono i genitori a
decidere se i figli faranno IR, fino all’età di 18 anni. L’IR è finalizzato alla trasmissione del sapere religioso,
non introduce all’iniziazione cristiana. Sostanzialmente l’IR in Polonia si limita all’istruzione della religione
cattolica in sintonia con il Catechismo della Chiesa cattolica. L’alternativa è Etica: poco realizzata, dove si
fa viene impartita da professori di filosofia, ma i programmi sono scritti da sacerdoti e si tratta di etica e morale cattolica.
In UNGHERIA: qui vige il principio di neutralità nelle scuole pubbliche (legge 79 del 12 luglio 1993). Divieto di promuovere una determinata religione o ideologia nella scuola pubblica e contestuale obbligo di fornire informazioni oggettive sulle varie religioni e convinzioni filosofiche e un’istruzione etica di base. L’IR
non fa parte dei curricolo scolastico, l’insegnante non fa parte del corpo docente e non ci sono voti in pagella. Le Chiese sono libere di organizzare i programmi senza seguire il principio di neutralità, l’insegnamento è
confessionale e opzionale in alternativa ci sono lezioni di morale. L’IR viene impartito o prima o dopo le lezioni. I genitori possono scegliere la scuola che più conviene alla loro religione.
In BULGARIA: dal 1997 l’IR è stato introdotto in molte scuole in Bulgaria prima come insegnamento facoltativo poi come obbligatorio e opzionale. Purtroppo di recente l’IR è stato tolto per sovraccarico di discipline, si pensa di reinserirlo, la Chiesa Bulgara lo vorrebbe obbligatorio ma il Consiglio sociale per l’IR vorrebbe fosse “storia delle religioni”. La chiesa ortodossa bulgara sta cercando di inserire l’IR nella scuola
elementare ma sempre comunque come un percorso di fede, il dibattito tra la Chiesa e il Ministero si basa su
questo.
Insegnamento a base mista di Teologia e scienze religiose
Si tratta del modello dove catechesi e IR sono complementari e distinti: stesso oggetto materiale, ma l’IR
fa proprie le finalità della scuola ed è orientato verso la formazione del cittadino. Si è arrivati lentamente a
questa distinzione. In questo modello l’IR confessionale conserva come oggetto materiale di studio il cristianesimo, le sue fonti bibliche e la sua storia, senza però proporsi come una formale educazione alla fede cristiana. Nella prassi didattica questa distinzione è problematica: come trasmettere un sapere religioso senza
strumentalizzazioni e idealizzazioni? Questo modello ha coinvolto una dozzina di paesi europei. Alcuni di
questi paesi hanno sancito dei concordati (Italia, Spagna, Portogallo) regolando l’IR formalmente confessionale e trasmesso come cultura indipendentemente dall’appartenenza ad una comunità o all’essere battezzati.
Si tratta di un sapere che nasce dal diritto di uno studente di essere informato correttamente su un dato credo
religioso e sulle altre confessioni e religioni senza però essere iniziato alla fede, questo è possibile solo
dall’alleanza tra scienze religiose (cristianesimo come oggetto di conoscenza) e scienze teologiche ( cristianesimo come verità credibile, fede).
In SPAGNA: il fondamento è l’articolo 27.3 della Costituzione del 1978 e l’accordo tra la santa Sede e la
Spagna del 3 gennaio del 1979. L’IR è previsto in modalità obbligatori in tutte le scuole, pubbliche e private.
I genitori o i tutori possono scegliere quale istruzione religiosa trasmettere ai figli, quindi la forma è obbligatoria/opzionale. Si è tentato con i vari governi socialisti di ripensare l’IR. Cambiamenti sono stati fatti per la
classe terza e quarta secondaria dove si parla di “Storia e cultura delle religioni” con programmi scritti dal
governo in chiave laica e hanno come scopo sviluppare uno spirito critico e tollerante pluralista. L’IR cattolica è regolato dalle disposizioni della Conferenza episcopale spagnola che nel 1979 ha pubblicato gli orientamenti pastorali per l’insegnamento della religione.
PORTOGALLO: si tratta di un insegnamento confessionale facoltativo. Fino al 1976 lo Stato aveva
l’obbligo dell’insegnamento morale e della religione nelle scuole. A seguito della Costituzione del 2 aprile
1976 fu stabilito che non vi era nulla che impediva allo Stato di garantire questo IR ma le scuole non lo applicarono più. Ci fu un dibattito e fu introdotto un insegnamento Etico e di Morale cattolica ad esclusione
delle scuole secondarie si secondo grado. L’IR nella scuola primaria è garantito dallo Stato su domanda
– 89 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
dell’alunno o dei genitori e i contenuti sono regolati dalla Autorità ecclesiastica in conformità agli orientamenti generali del sistema di insegnamento portoghese.
In ITALIA: non ci soffermiamo…
Insegnamento su base di Scienze religiose non teologiche
In Europa esistono anche forme di insegnamento della religione non confessionale, gestiti direttamente
dall’autorità scolastica. Sono fondati unicamente sullo studio scientifico sociale dei fenomeni religiosi (Religious studies, Religionswissenschaften, Science des religion). Si sforzano di presentare eventi, dottrine religiose e sistemi etici nel modo più imparziale possibile. È l’insegnamento definito “about religion(s)”, volto a
fornire una consapevolezza dei fenomeni religiosi, rispettando l’appartenenza confessionale altrui. È il modello della Multifaith Religious Education della Gran Bretagna, i corsi obbligatori di “Storia religiosa” tipici
dei paesi scandinavi, o anche delle Lezioni bibliche aconfessionali dei paesi di lingua tedesca.
DANIMARCA: l’IR, previsto per tutte le classi fino a tredici anni, è aconfessionale e curricolare; viene
chiamato studi cristiani e mira a far capire l’importanza della dimensione religiosa nel rapportarsi con gli altri; nella scuola secondaria si tratta di studi di scienze religiose a livello storico fenomenologico. Esiste un
dipartimento universitario per formare gli insegnanti. Possiamo dire che il modello danese è interessante dal
punto di vista politico, perché gli studi religiosi sono idealmente volti a favorire la coesione sociale.
SVEZIA: uno dei paesi più scristianizzati dell’Europa, l’IR confessionale è proibito anche nelle scuole religiose (se si volesse attivarlo, si dovrebbe svolgere in orario extra scolastico). Il corso esistente è denominato “conoscenza della religione” fa parte degli studi sociali e viene impartito in ben tre ore settimanali. Gli
obiettivi finali sono: manifestare valutazioni personali su questioni di fede e morale, conoscere e riferire alcuni brani biblici, riconoscere come le religioni influenzino il modo di pensare della gente.
Approccio al “fatto religioso”
Qui l’elemento religioso viene letto esclusivamente in base alle regole epistemologiche delle scienze
umane. Tale approccio si caratterizza perché non ha nessuna base teologica (verità di fede) e nessuna base di
scienze della religione (fenomeno e dato religioso). Questo modello è stato formalizzato in Francia, dove esiste una netta separazione tra Stato e Chiesa (legge di separazione fra Stato e Chiesa, 1905) e nella scuola
pubblica non è possibile istituire nessun IR aconfessionale. L’unica soluzione è inserire il fatto religioso nelle discipline, arte, storia, letteratura. La conseguenza è evidente: un diffuso analfabetismo religioso che negli
anni novanta hanno obbligato il governo ad inserire nei programmi disciplinari delle secondarie nozioni di
storia del cristianesimo e dell’ebraismo. Nel 2002 dopo il rapporto Debray sono stati attivati corsi di formazione per gli insegnanti stessi al fine di essere in grado di riconoscere la dimensione religiosa nel patrimonio
culturale. Questo però non rende insensibile il paese al fatto religioso: infatti nelle elementari è previsto un
giorno a settimana di vacanza per partecipare a momenti di catechesi in parrocchia; alle scuole medie è prevista l’assistenza spirituale (aumônerie) se richiesta dai genitori e in accordo con i presidi.
Conclusioni: cosa emerge da questa analisi?
La prima cosa che notiamo è che dal punto di vista della didattica disciplinare della materia, il vasto panorama europeo presenta paesi dove l’insegnamento della religione può essere definito integrativo cioè disciplina indipendente che viene studiata dagli studenti di una classe indipendentemente dalle loro basi culturali religiose o non religiose. Un secondo dato emerso è che in Europa possiamo distinguere quattro modelli
di riferimento dal punto di vista epistemologico. Un terzo dato emerso è che nei Paesi dove è proibito l’IR
aconfessionale è possibile richiedere l’IR in orario extracurricolare. Un quarto dato emerso è che la maggior
parte dei Paesi europei sta vivendo un ripensamento ininterrotto che sta portando l’IR oltre la stagione confessionale. Si sta andando oltre la stagione del sapere religioso i cui contenuti sono desunti direttamente dalla
elaborazione teologica o dal testo biblico e resi semplificati a scopo didattico; si va verso ibridazioni di cultura religiosa sempre più vicine alle scienze non teologiche delle religioni. Il processo non dipende solo dal
dato di fatto del crescente multiculturalismo europeo, ma anche – e in misura non secondaria – dagli orientamenti di politica educativa delle istituzioni europee.
XVI Forum EuFRES – Praga, 23-27 aprile 2014 – Comunicato finale
Il seguente comunicato non è ancora stato pubblicato. I nomi tra parentesi sono gli autori dei diversi contributi presentati al Forum e poi confluiti nel comunicato finale.
La Chiesa cattolica con il Concilio Vaticano II ha modificato il proprio rapporto con le persone non cattoliche, passando da un paradigma di ecclesiocentrismo esclusivista ad un cristocentrismo inclusivo. Cristo è
il centro, e tutti gli uomini sono diversamente uniti o almeno ordinati a Lui. Allargare le frontiere dell’incon-
– 90 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
tro comporta anche la necessità di approfondire la conoscenza della nostra tradizione e della nostra identità
(TÜCK)
Papa Francesco invita la Chiesa ad uscire dal centro e andare verso le periferie: «per capire davvero la
realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e dirigerci verso la zona periferica»
(intervista alle riviste dei Gesuiti). L’insegnamento della religione può essere un modo eccellente per andare
verso le “periferie esistenziali”.
Ma è anche vero che “le periferie vengono verso il centro” (MUCHOVÁ): questa contaminazione non è
una minaccia, ma una opportunità. Il modo (o lo stile) di insegnare è decisivo almeno quanto i contenuti.
Passare da un insegnamento dogmatico-kerygmatico (dall’alto) ad uno stile più pastorale e correlativoantropologico (dal basso) può aiutare l’incontro.
Compito dell’IR è aiutare ad «orientare nella vita» (USAI), «sviluppare il senso critico» (REIMER), «valutare se una religione è sana, benefica e ragionevole, oppure no» (BARNETT). Si tratta in fondo di sviluppare
una razionalità critica, eppure profondamente radicata nella fede (REVILLA). Il modello epistemologico
dell’IR è quindi non la teologia dogmatica, né le scienze della religione, ma la teologia fondamentale, che si
sforza di presentare la ragionevolezza della fede cristiana anche ai non credenti (MORLACCHI).
I destinatari dell’IR – sia nelle scuole statali che nelle scuole cattoliche – sono sempre più spesso estranei
alla esperienza di vita cristiana: questo dato è uno degli elementi essenziali dei quali tenere conto nel rinnovare l’IR secondo i bisogni formativi reali degli alunni. E questo giustifica considerare la scuola come un
nuovo “cortile dei gentili”, o – meglio – un “luogo di incontro” (RIU). I nuovi programmi scolastici devono
tener conto di queste mutate circostanze (BISSOLI).
È necessario anche elaborare nuovi linguaggi integrali, meno “formali” e più simbolici, e far vivere agli
alunni alcune “esperienze antropologiche” legate alla logica del dono (e non solo alle categorie metafisiche)
per rendere possibile una vera “iniziazione” al significato della fede cristiana (GRILLO). Si richiede una traduzione / ermeneutica dei contenuti della fede, comprensibile per l’uomo e la donna di oggi. Questo servizio,
che si può svolgere anche con nuovi linguaggi architettonici (OSEWSKA), è di natura “culturale” e scolastica,
non catechistica; intende aiutare gli studenti a diventare “competenti” (cioè capaci di una valutazione e presa
di posizione positivamente critica) nei confronti della religione (cattolica) anche nel contesto del mondo secolarizzato e post-moderno (BIRK). In tal modo l’IR nelle scuole diventa luogo di crescita umana e di incontro con tutti.
F. PAJER, Scuola e università in Europa: profili evolutivi dei saperi religiosi nella
sfera educativa pubblica, in A. MELLONI (ed.), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia,
il Mulino, Bologna 2014, 59-97.
VALUTAZIONE: questo contributo del noto studioso riduce la classificazione dei modelli di insegnamento
religioso da quattro (come in altri suoi testi di qualche anno prima) a tre soli, come segue [a pagina seguente lo schema completo proposto da Pajer]:
PARADIGMA 1
PARADIGMA 2
PARADIGMA 3
POLITICO – CONCORDATARIO
ACCADEMICO – CURRICOLARE
ETICO – VALORIALE
Approccio confessionale
Approccio transconfessionale
Approccio transreligioso
Learning INTO religion, con tenLearning ABOUT religions con
Learning FROM or THROUGH redenza all’ABOUT religion
tendenza al FROM religions
ligions / beliefs, con tendenza
all’OUT OF religions
Condivido l’idea che i paradigmi non siano “a compartimenti stagni”, e manifestino invece una «tendenza»
a scivolare l’uno nell’altro. Tutto sommato, però, questa classificazione tripartita mi convince meno di quella quadripartita: il paradigma che Pajer cerca di cancellare è proprio quello misto, cioè a “confessionalità
aperta”, quello che io difendo! Infatti del primo paradigma si sottolinea la natura politico-concordataria
(cioè: lo vuole il potere delle chiese); ma questo sarebbe il modello catechistico-dottrinale, che di fatto oggi
è alquanto abbandonato! Il secondo paradigma viene definito a partire dallo spessore accademico-epistemologico e dalla conseguente possibilità di renderlo curricolare, cioè obbligatorio: come se solo questo
modello, che nei fatti diffida della razionalità teologica, fosse l’unico fondato su un sapere veramente scientifico e rigoroso. Al contrario, ritengo che tra il modello catechistico-politico-dottrinale (privo di senso critico) e quello accademico-curricolare ce ne sia in mezzo un altro: quello che chiamerei “accademico, teologico, critico e sapienziale”, ossia fondato sul rigore epistemologico della TEOLOGIA FONDAMENTALE: disciplina
mista, in quanto radicata nella fede, ma aperta alla riflessione critica e al confronto contestuale.
– 91 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
– 92 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
12. La nostra proposta
• Occorre superare il pregiudizio che solo un insegnamento “neutrale” (a-valutativo e/o
aconfessionale) della religione possa avere dignità di “disciplina scolastica”. Al contrario, proprio la forza di un insegnamento confessionale può permettere allo studente di
comprendere la concreta, reale rilevanza della religione nella cultura e nella società;
• la principale disciplina accademica di riferimento dell’IRC è la teologia fondamentale e non le “scienze della religione” (storia delle religioni, fenomenologia della religione,
ecc.), anche se il loro contributo non è escluso; 30
• la confessionalità è una preziosa risorsa: se infatti la laicità non viene intesa
nell’accezione francese (laïcité = laicità “negativa” = nessuna presenza della religione
nello spazio pubblico), ma secondo il modello americano (laicità “positiva” o inclusiva =
tutte le appartenenze confessionali sono dichiarate legittime nello spazio pubblico, a
patto di non privilegiarne una a discapito di altre), il contributo dell’IRC è un arricchimento per tutti, perché interpella la libertà senza costringere;
• questo comporta una chiara comprensione del fatto che il modello italiano prevede la
confessionalità della disciplina e del docente, ma non dell’alunno: in tal senso si distingue dalla catechesi, non impone la fede e si presenta come un contributo offerto allo
studente nel quadro delle finalità della scuola. In vista di un insegnamento che educhi
alla dimensione interculturale ed interreligiosa, è proprio l’insegnamento confessionale
ad offrire un maggior apporto. I problemi di convivenza nascono, infatti, non dal confronto astratto tra le religioni, ma dal confronto concreto tra persone effettivamente
credenti (così come le tensioni negli stadi avvengono tra tifosi di squadre diverse, e non
fra persone che studiano sociologicamente i fenomeni sportivi).
Le dimensioni qualificanti dell’IRC inserito nelle finalità della scuola sono:
• motivare l’agire responsabile;
• educare a una identità accogliente;
• porre costantemente la questione della verità.
M. ASTA – C. BRIENZA – F. MORLACCHI, Pluralismo della scuola, pluralismo nella scuola, in Religione
Scuola Città 1/2006, pp. 3-10. [DOC 9 – RSC 2006]
M. DE LUCA, IR o IRC? Un po’ di tutto o un po’ per il tutto, in Religione Scuola Città 2/2006, pp. 27-33
[DOC 10 – DE_LUCA 2006] (approfondimento facoltativo)
L. DIOTALLEVI, Il contributo culturale ed educativo dell’IRC per la convivenza civile in Italia e in Europa,
in Religione Scuola Città 1/2006, pp. 11-18 [DOC 9 – RSC 2006]
G. LORIZIO, L’IRC tra teologia fondamentale e scienze della religione, in Religione Scuola Città 1/2006, pp.
41-47 [DOC 9 – RSC 2006]
A. BAUSOLA, L’IRC secondo i nuovi programmi come fattore di promozione della cultura religiosa nella
scuola e nella società, in CEI, Cultura e formazione nell’insegnamento della religione cattolica, Brescia 1988, pp.
34-44. [DOC 11 – BAUSOLA 1988] (approfondimento facoltativo)
A. BAGNASCO, L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia: continuità e innovazione nelle finalità della scuola, in CEI – SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, “Io non mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16). Irc
per una cultura a servizio dell’uomo. Meeting IDR 2009, EDB, Bologna 2010, pp. 23-36.
30
Questo è uno snodo essenziale del problema. Se infatti si contesta l’esistenza di un vero sapere teologico, ritenendolo
“metodologicamente non rigoroso”, “non sufficientemente scientifico”, o simili, l’unico modo di garantire un adeguato
fondamento epistemologico alla disciplina IRC è quello di riferirla alle “scienze della religione”. Solo se “la teologia è
scienza” è possibile un IRC confessionale (cioè che non espunge l’atto di fede) e insieme culturalmente attrezzato (cioè
che non sia irrazionale o destituito di valore scientifico).
– 93 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
M. CROCIATA, Sulla formazione degli insegnanti di religione cattolica: prendere forma come processo di
autoformazione, in CEI – SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, “Io non mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16).
Irc per una cultura a servizio dell’uomo. Meeting IDR 2009, EDB, Bologna 2010, pp. 55-68.
V. CHIARIELLO, Formazione morale, OSA della convivenza civile e IRC, in Religione Scuola Città 1/2005, pp. 510.
F. MORLACCHI, L’IRC: dove sta andando, in Insegnare religione, maggio-giugno 2007, pp. 22-23
CARD. CAMILLO RUINI, Scuola e Chiesa a Roma: una necessaria collaborazione, una possibile integrazione,
in Religione Scuola Città 1/2005, pp. 56-62 [DOC 12 – RUINI 2005]
1 – Il necessario superamento della “neutralità” dell’insegnamento.
M. ASTA – C. BRIENZA – F. MORLACCHI, Pluralismo della scuola, pluralismo nella
scuola, in Religione Scuola Città 1/2006, pp. 3-10.
Riporto il testo integrale dell’editoriale della rivista Religione Scuola Città sopra citato; gli altri articoli, riportati in parte, sono disponibili come documento.
Non pochi esperti del settore si stanno interrogando sul senso, l’opportunità e perfino la legittimità della
presenza dell’«ora di religione» nella scuola italiana, così come essa oggi si configura. L’attuale modello,
come tutti ben sappiamo, prevede infatti un insegnamento della religione cattolica confessionale e non obbligatorio per chi – per qualunque motivo – non desideri avvalersene, affidando all’autonomia degli istituti scolastici l’incarico di organizzare eventualmente l’insegnamento di un’attività alternativa. Lo Stato Italiano riconosce in tal modo il ruolo decisivo svolto dal cristianesimo e dalla Chiesa cattolica per la formazione e lo
sviluppo dell’identità nazionale e culturale dell’Italia, e in base al regime concordatario attualmente vigente,
chiede la collaborazione della Chiesa cattolica anche per la proposta di docenti di religione idonei a questo
compito. Ciò non esclude, ovviamente, che anche altre confessioni cristiane o persino altre religioni possano
un domani stipulare altre intese, in vista di un insegnamento religioso impartito da propri docenti in grado di
assolvere questo compito. Fino ad oggi però, mentre alcune comunità religiose hanno già firmato accordi con
lo Stato Italiano per la ripartizione dell’‘otto per mille’ del gettito fiscale – meccanismo presieduto dalla stessa logica pattizia – di fatto nessun accordo è stato raggiunto da parte di altre confessioni o religioni in vista di
un insegnamento religioso nella scuola statale. Il che non esclude tuttavia che ciò possa accadere in futuro,
come il dibattito attuale mostra.
Da diverse parti si alzano invece voci che sembrano suggerire una logica differente per l’insegnamento
religioso scolastico. In ordine ad una migliore formazione alla reciproca conoscenza ed alla pacifica convivenza di religioni diverse – obiettivo indubbiamente di primaria importanza nell’Europa che si sta edificando
– qualcuno suggerisce invece di attivare un insegnamento della religione che sia aconfessionale ed obbligatorio per tutti. In tal modo, affermano i sostenitori di questo indirizzo, l’alfabetizzazione religiosa, impartita
da insegnanti svincolati da appartenenze confessionali sarà più efficace ed imparziale. Attraverso un approccio super partes, ispirato alla metodologia delle cosiddette «scienze delle religioni», si potrebbero educare le
nuove generazioni ad un rispetto sincero, basato sulla conoscenza reciproca, capace di superare le reciproche
e istintive diffidenze basate sull’ignoranza del diverso.
***
Alcuni autori sono convinti che questo modo alternativo di insegnare la disciplina sia “il modello del futuro”, verso il quale la nuova Europa è sicuramente incamminata; e si tratterebbe di un movimento non solo
da accettare in quanto inarrestabile, ma anche da promuovere perché desiderabile. In questa linea possiamo
leggere il Documento-proposta elaborato nell’ambito del VI Convegno Libertà delle religioni – laicità dello
Stato. Rispetto delle fedi e rispetto delle leggi, svoltosi recentemente nell’Abbazia di Vallombrosa (5-7 settembre 2005), che propone di tendere all’istituzione di «un corso obbligatorio per tutti, a gestione scolastica,
[…] di cultura religiosa, come approccio educativo e culturale al fatto religioso, considerato nella concretezza delle sue manifestazioni, di carattere non confessionale o transconfessionale» (§ 1; il testo è disponibile in
«Religione e Scuola» 34 (2005) 2, pp. 89-94). Altrettanto si può leggere in tante pagine di Flavio Pajer, che
accusa «un IRC che arranca per mantenere le posizioni confessionali acquisite e che, surrettiziamente, si autoincarica di parlare anche delle altre fedi…» (Irc, le priorità dimenticate, in «Religione e Scuola» 34 (2005)
2, pp. 11-22, qui 21). O ancora, dello stesso studioso, in un volume scritto a quattro mani con il teologo valdese Ermanno Genre, la speranza di superare «le poche luci e le molte ombre di questo insegnamento confessionale della religione» mediante un insegnamento che si basi «esclusivamente sulla razionalità avalutati-
– 94 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
va delle scienze della religione» (L’Unione europea e la sfida delle religioni. Verso una nuova presenza della religione nella scuola, Claudiana, Torino 2005, p. 130 e 136). Analoghe considerazioni si possono leggere
nei tanti contributi di La cultura assente. L’istruzione religiosa a scuola. Voci di una proposta, curato ancora
dal Pajer e da Lino Prenna, e stampato dall’associazione Agire Politicamente. Il testo è stato distribuito ai
partecipanti del Colloquio del 16 dicembre 2005 su La cultura religiosa nella scuola italiana (a 20 anni
dall’Intesa tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la CEI); la “proposta” sostenuta da tante “voci” consisterebbe nell’organizzare gradualmente «un corso di cultura religiosa inteso come conoscenza dei fatti religiosi, da attuarsi, compatibilmente con l’età dell’alunno, secondo un approccio prevalentemente storicofenomenologico, integrato eventualmente da un approccio antropologico-ermeneutico» (p. 9-10), con
l’intento di «sviluppare le potenzialità del sistema pattizio e, comunque, “andare oltre”, proponendo intanto
alcuni passaggi che consentano di correggere l’ “anomalia italiana”» (ivi, p. 10). Da ultimo, vogliamo citare
il filosofo laico Massimo Cacciari, che in una recentissima intervista ha dichiarato: «sono favorevole a una
materia fondamentale, obbligatoria, sulle tradizioni europee giudaico-cristiane. Con gli insegnanti selezionati
con gli stessi metodi con cui si scelgono gli insegnanti di storia e filosofia. Naturalmente non indicati dalla
Curia» (la Repubblica, 16 febbraio 2006, p. 13).
I sostenitori di queste idee, ciascuno con le proprie sfumature, si dicono dunque risolutamente convinti
che questa sia la via migliore per provvedere alla nuova paideia etico-religiosa del futuro cittadino europeo,
dichiarando l’inadeguatezza del regime concordatario nelle mutate condizioni sociali. Rifiutarsi di seguire
queste indicazioni – condivise, a quanto sembra, dalla maggioranza dei parlamentari europei – significherebbe andare incontro ad una progressiva, ingovernabile proliferazione di insegnamenti confessionali e continuare a relegare lo studio della religione, a causa del regime di non-obbligatorietà, al di fuori delle discipline
scolastiche “serie”. Ma siamo proprio sicuri che le cose stiano così? Questa semplice domanda, forse irriverente nella sua banalità, ispira i diversi articoli di questo numero della nostra rivista.
***
Abbiamo chiesto un contributo a diversi specialisti, per verificare se davvero l’attuale regime concordatario sia così superato ed inadeguato. Abbiamo preso in considerazione il punto di vista sociologico, giuridico, pedagogico, teologico e più genericamente culturale. E ci è sembrato che nonostante la plausibilità del
progetto suesposto (che nessuno vuol disconoscere), esso manifesti anche numerose incognite e significative
fragilità. Il pregio maggiore ci sembra quello di prendere in seria considerazione la fascia dei “nonavvalentisi”, che – in assenza di valide proposte alternative – rimane allo stato attuale del tutto sprovvista di
una (in-)formazione religiosa anche elementare. D’altro canto però non siamo affatto convinti né dell’effettiva praticabilità né della reale convenienza di impartire un insegnamento religioso avalutativo. Ci sembra
che i rischi implicati in questa presunta “neutralità” debbano essere accuratamente soppesati. In primo luogo,
il rischio di perdere la dimensione propriamente religiosa, arrivando a cogliere solo gli elementi periferici
(tradizioni, religiosità popolare, realtà istituzionali, sedimentazioni storiche, ecc.) ma non il nucleo vero e
proprio della fede vivente. Limitarsi a fare una «storia delle religioni» potrebbe condurre a presentare il cristianesimo come un relitto del passato, una serie di “ricordi di famiglia” utili al massimo per consolidare – o
viceversa per contestare – un’identità culturale sempre più appannata.
Del resto, è ben noto che anche i valori propriamente umani non possono essere trasmessi né fatti apprezzare agli alunni senza la testimonianza personale dell’insegnante: nessun docente potrebbe comunicare
credibilmente i valori della convivenza civile mostrando indifferenza nei confronti di quanto espone. A maggior ragione, ci sembra improbabile che un’esposizione freddamente cognitiva o “neutra” possa educare ad
una profonda comprensione del “religioso” in quanto tale. Chi partecipa dell’esperienza vitale non è meno
“esperto” e competente del puro e semplice “tecnico” a cui quei contenuti sono indifferenti: ben a ragione
san Tommaso sosteneva che si conosce anche «per connaturalità» (cfr Summa Theologiae II-II, q. 45 a. 2);
l’appartenenza, quando sia dichiarata, garantisce forse una maggiore verità rispetto ad un presunta (o presuntuosa?) oggettività.
***
Ovviamente questo non significa che la scuola possa trasformarsi in luogo di cripto-catechesi o di proselitismo: l’insegnamento scolastico della religione si legittima solo in base alla sua componente culturale
(«nel quadro delle finalità della scuola», come recita il testo dell’Intesa). Ma proprio per questo deve condurre gli alunni all’esplorazione rispettosa della religiosità che percepiscono in se stessi, attraverso la conoscenza del fenomeno religioso in quanto tale, e poi nelle sue concrete declinazioni: non basta presentare una vetrina di variopinti elementi storici, come se si volesse costruire a tavolino, con questi frammenti, una comune
religione civile, sfruttabile come collante generico in una società sempre più differenziata e multietnica.
D’altronde ci sembra che l’«anomalia italiana» – per dirla con gli autori citati – esprima una peculiarità di
– 95 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
grande interesse: e cioè il fatto che l’insegnamento della religione cattolica è stato inserito nel curricolo scolastico proprio perché lo Stato ne riconosce l’alto valore formativo. Non a caso i programmi scolastici (e recentemente gli “obiettivi specifici di apprendimento”) sono sempre stati concordati tra l’autorità civile e
l’autorità religiosa: in tal modo lo Stato riconosce il contributo formativo – anche da un punto di vista “laico”
– di quel percorso educativo e culturale. È un’intesa tra pari in vista di una miglior formazione dell’uomo e
del cittadino italiano ed europeo, non la concessione di privilegi alla “religione dominante”. Sarebbe bello, in
un regime di piena e libera laicità, che anche altre intese di questo tipo venissero stipulate; e però soltanto
laddove le altre confessioni e religioni fossero davvero in grado di fornire un insegnamento di piena dignità
culturale ed educativa. In tal modo la conoscenza delle altre realtà religiose non si ridurrebbe al “gusto del
nuovo e dell’esotico” (che non ci sembra sufficiente per contribuire efficacemente alla pacifica convivenza
dei diversi), ma consentirebbe diversi accessi formativi, di pari dignità intellettuale e culturale, capaci di far
riflettere le nuove generazioni sul senso della vita e sui destini eterni dell’uomo, in una logica veramente pluralistica ma profondamente educativa.
***
Evidentemente l’ampio progetto culturale di questi studiosi intende tutelare la laicità dello Stato, la quale
vieta di garantire privilegi a qualsivoglia confessione religiosa, anche maggioritaria. Una laicità che fosse intesa solamente così rischierebbe però di diventare un “letto di Procuste” che cancella ogni specifica appartenenza religiosa. Come viene illustrato nel contributo sociologico del prof. DIOTALLEVI, esiste infatti un altro
concetto di laicità, anch’esso figlio legittimo del mondo moderno, che non rimuove bensì promuove la presenza delle diverse confessioni religiose nello spazio pubblico. Ci sembra un fatto tristemente vero, come rileva anche il contributo di Mons. ZANI, che la logica neoilluministica, la quale considera «l’esperienza religiosa, anche e soprattutto quella cristiana e cattolica, come un dato di superstizione, di infantilismo, tollerabile soltanto come “affare privato”, da escludere accuratamente dal numero delle categorie etiche preposte alla
formazione impartita dallo stato» (cfr G. MUCCI, I cattolici nella temperie del relativismo, Jaca Book, Milano 2005, p. 62) ispira oggi la maggior parte degli orientamenti della Comunità Europea. Altrettanto mette in
luce il contributo del prof. BUONOMO, il quale illustra una recente Raccomandazione del Consiglio
d’Europa, di cui rileva i gravissimi limiti. Non sempre gli orientamenti dominanti di Strasburgo sono perciò
da incoraggiare! La soluzione migliore per educare alla pace e alla convivenza civile non è, a nostro avviso,
quella di smussare le caratteristiche identitarie in una presunta neutralità laica, abolendo gli insegnamenti
confessionali. Piuttosto, la vera sfida ci sembra quella di educare alla conoscenza non solo delle astratte differenze, ma dei realissimi diversi, i soggetti umani cioè, che di fatto appartengono all’una o all’altra confessione religiosa, e nondimeno sono chiamati a riconoscersi e rispettarsi. Del resto, come mette in luce il contributo teologico-fondamentale del prof. LORIZIO, un minimo di consapevolezza ermeneutica invita a non
presupporre con troppa facilità che sia facilmente praticabile un insegnamento religioso avalutativo (si pensi,
a titolo di esempio, alla reale fattibilità di tale progetto in una scuola primaria). Infine, anche da un punto di
vista pedagogico, come ricorda il prof. CORRADINI nel suo equilibrato contributo, l’avvio di una didattica interreligiosa richiede cautela e circospezione, valorizzando l’esistente pur senza demonizzare l’innovazione.
***
In conclusione, riteniamo positivo che, proprio da parte degli ambienti in cui si affermava che
l’insegnamento religioso dovesse rimanere escluso dalla scuola italiana, ora se ne auspichi la presenza. Infatti la proposta con cui ci stiamo confrontando vede il coinvolgimento di alcuni esponenti della Tavola Valdese, la quale nell’Intesa stipulata a suo tempo con lo Stato Italiano (1984) non ha richiesto l’insegnamento della dottrina religiosa nelle scuole pubbliche, in base alla convinzione che l’educazione e la formazione religiosa della gioventù sia «di specifica competenza delle famiglie e delle chiese» (art. 9). Ci auguriamo ora che
questi stessi ambienti – e non solo loro – facciano l’ulteriore passo: riconoscere che nella scuola ogni disciplina può e deve essere educativa. Il positivo superamento del cognitivismo secondo quanto autorevolmente
proposto a livello internazionale alle politiche educative degli stati (ci riferiamo al Rapporto UNESCO,
Nell’educazione un tesoro) comporta la messa in questione del modello avalutativo delle scienze della religione. Reintrodurre questo modello significa basarsi su una concezione di scuola ormai superata, che non
tiene conto delle novità apportate dal riconoscimento dell’autonomia. Una concezione che si rifà più alla
scuola ottocentesca, intesa come “instrumentum regni” per fare gli italiani dopo che è stata fatta l’Italia, che
alla scuola della società aperta, di cui bisogna riconoscere la complessità. Siamo convinti che la soluzione
vada cercata nell’ottica del pluralismo delle istituzioni scolastiche e nelle istituzioni scolastiche.
– 96 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica, Brescia 2000
L’IR trova la sua finalizzazione nel favorire una conoscenza del fenomeno religioso nelle configurazioni
presenti nel contesto vitale. Il tentativo di proporre un’istruzione religiosa in chiave di scienza delle religioni
neutrale e asettica, richiama da vicino la sensibilità pedagogica dell’illuminismo… La formazione integrale
implica la formazione di tutte le dimensioni della personalità, in primis quella emotivo – affettiva: la scuola
deve farsi carico anche della formazione dell’intelligenza emotiva. Questa prospettiva mette molto in dubbio
l’adeguatezza di un insegnamento religioso avalutativo. Un IR confessionale può rivelarsi molto più scolastico – cioè formativo – e onesto di una generica storia delle religioni.
A. BAUSOLA, L’IRC secondo i nuovi programmi come fattore di promozione della cultura religiosa nella scuola e nella società, in CEI, Cultura e formazione nell’insegnamento
della religione cattolica, Brescia 1988, pp. 34-44.
È compito della scuola proporre la religione cattolica come componente rilevante della cultura del nostro paese: la religione che si è fatta e si fa cultura. La religione non può non farsi cultura; però 1. la religione non è in quanto tale “cultura”: è principio, fondamento della cultura, ma non si riduce ad essa, perché la
cultura è opera degli uomini, la religione no; 2. la religione, pur non essendo opera di uomini, risponde a bisogni universali: le risposte religiose sono diverse, ma le domande sono sempre le stesse; 3. non c’è una sola
cultura, ma molte; neppure una sola cultura cristiana, ma molte culture cristiane. Ne consegue che se l’IRC
si incentrasse solo sulla cultura religiosa, darebbe una rappresentazione inadeguata della religione, perché legata a una sua realizzazione storica: da qui il dovere di proporre le ragioni della religione in sé, [effetti e
principi fondativi]. Perché si dia IRC, è necessario proporre il Cristianesimo nella sua universalità non solo
nella sua forma eurocentrica. Uno studio anche delle altre religioni deve soprattutto portare a cogliere
quell’«esperienza universale del sacro» che, in sé, è già motivo di riflessione; e non in maniera distaccata («È
ragionevole temere che il non credente parli della religione come un cieco dei colori, o un sordo di una bella
composizione musicale»: W. Schmidt), ma attraverso il contatto con testimoni che presentino al vivo
l’esperienza religiosa.
2 – Il riferimento epistemologico essenziale: la teologia fondamentale
da: G. LORIZIO, La teologia tra scienza e sapienza», in F. MORLACCHI (ed.), Verso l’unità
dei saperi. Il contributo dell’IRC, Roma 2006, pp. 85-98.
L’orizzonte in cui si muove l’IRC è dato dalla dimensione sapienziale e scientifica del sapere teologico;
qualora assumesse come proprio riferimento scientifico-accademico le ‘scienze della religione’ finirebbe col
produrre e proporre un approccio frammentato e difficilmente componibile con l’oggetto che si propone di
indagare e trasmettere.
L’IRC è chiamato a mediare – in situazione di frontiera – il sapere teologico, in quanto sapere della fede
nei diversi momenti della formazione scolastica. 85
Il sapere che l’IRC media è chiamato a rapportarsi alla dimensione sapienziale della conoscenza (“far
maturare la scienza in sapienza”). 86
da: G. LORIZIO, L’IRC tra teologia fondamentale e scienze della religione,
in Religione Scuola Città 1/2006, pp. 41-47.
Si intende smascherare una diffusa e fuorviante idea della laicità, secondo cui questa abbia sempre e comunque a significare neutralità rispetto all’appartenenza credente. 41
Bisogna diffidare di dichiarazioni di neutralità che precedono o accompagnano studi sull’esperienza religiosa, anzi è quello il caso in cui occorre esercitarsi con maggiore impegno a smascherare i presupposti contestuali di quanto ci viene proposto. 42
da: G. BETORI, L’insegnante di religione, risorsa per la società e per la Chiesa,
in Notiziario del Servizio Nazionale IRC, 1/2006, pp. 8-16.
È un servizio che, ovviamente, vale per tutti gli studenti, credenti e non credenti, e si realizza come rendere ragione alla fede: nel mostrarne le ragioni, storiche e ontologiche, esso chiarifica per gli uni il linguaggio della fede e esplicita i motivi di credibilità ovvero di plausibilità per gli altri, dando cittadinanza alla fede
nell’ambito dell’esperienza umana (p. 9).
– 97 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
3 – La confessionalità come risorsa (e non come ferita alla laicità)
da: L. DIOTALLEVI, Il contributo culturale ed educativo dell’IRC per la convivenza civile in Italia e in Europa, in Religione Scuola Città 1/2006, pp. 11-18.
Esistono due modelli diversi di intendere la “laicità” e quindi di intendere il possibile contributo della religione all’ordine sociale: c’è una laicità “continentale”, figlia della rivoluzione francese, fondata sulla cancellazione delle differenze religiose, ed una laicità “anglofona”, figlia della rivoluzione americana, che accetta invece di promuovere tutte le differenti appartenenze confessionali, purché non si stabiliscano gerarchie
e privilegi. È almeno in parte praticabile una soluzione “angloamericana” nello spazio europeo-continentale
anche in una area – come l’Italia – a quasi-monopolio sui mercati religiosi locali.
Nella sua attuale versione, può l’insegnamento della religione cattolica fornire un contributo culturale ed
educativo alla convivenza civile in Italia ed in Europa? Con l’IRC nelle scuole statali, la Chiesa interpreta un
ruolo pubblico: 1. “non opzionale”; 2. sottratto alla “aconfessionalità”; 3. “non esclusivo”; 4. “non irresponsabile” (anche se, forse, a responsabilità meglio definibile e più imputabile: si pensi al problema della valutazione degli insegnanti). Mi sembra di aver così potuto fornire alcune ragioni empiriche a sostegno della valutazione secondo cui questo IRC nelle scuole statali, oggi, è in condizione di costituire un contributo culturale
ed educativo alla convivenza civile in Italia ed in termini rilevanti ed interessanti per l’intero scenario europeo (in particolare “continentale”). L’insegnamento confessionale, se ci si libera dal pregiudizio di considerare esclusivo il modello europeo-continentale di relazione tra religione e spazio pubblico, può concorrere
alla produzione di valori e all’edificazione di società più armonicamente articolate.
Card. A. BAGNASCO, L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia: continuità e innovazione nelle finalità della scuola, in CEI – SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, “Io non
mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16). Irc per una cultura a servizio dell’uomo. Meeting IDR 2009,
EDB, Bologna 2010, pp. 23-36.
L’«IRC», nella sua peculiarità «cattolica», dunque «confessionale» – secondo quanto afferma il Concordato del 1984: «in conformità alla dottrina della Chiesa» – più che un problema nella laicità dello Stato, diviene una «risorsa» per la scuola che, in questo caso realizza con la Chiesa una vera e propria «alleanza educativa»! […] La «confessionalità» non può essere vista come una complicazione o un intralcio all’esercizio
della laicità, bensì essa costituisce una garanzia di identità, un impegno per un insegnamento che sia non
«a-situato», cioè fuori contesto, ma, al contrario, «radicato» in una tradizione viva, capace a sua volta di vivificarlo continuamente e farlo progredire, in un costante confronto con la realtà (pp. 28-29).
M. CROCIATA, Sulla formazione degli insegnanti di religione cattolica: prendere
forma come processo di autoformazione, in CEI – SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, “Io non
mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16). Irc per una cultura a servizio dell’uomo. Meeting IDR 2009,
EDB, Bologna 2010, pp. 55-68.
Il carattere confessionale dell’insegnamento della religione non è un diminutivo della dignità del sapere
o della presenza e competenza educativa ma, al contrario, ne è l’intensificazione. Deve considerarsi falsa e,
al limite, disumanizzante, l’idea che per essere veri educatori bisogna essere neutrali, non avere convinzioni,
non avere nulla da dire e da trasmettere. Avere idee, convinzioni, visioni ideali non è una minaccia per la libertà e l’autonomia, ma è, al contrario, l’unico modo di renderle possibili. Rispettare l’altro, specialmente
colui che deve essere educato, non vuol dire nascondergli una scelta possibile e una decisione per la verità,
ma offrirgliela come una strada possibile. Solo se si vedono strade da percorrere si può camminare; e solo
conoscendo strade che sono state positivamente percorse, ciascuno per sé e noi insieme possiamo trovare la
nostra strada.
4 – La dimensione interculturale e interreligiosa
La presunta opposizione tra «identità (religiosa)» e «dialogo (interreligioso)» è fallace. L’insegnamento confessionale della religione non impedisce il confronto e il dialogo, ma lo fonda su presupposti corretti: non la
riduzione o l’eliminazione delle differenze (→ indifferentismo, relativismo) ma la loro onesta comprensione
e valorizzazione. «Per sostenere con capacità il dialogo interdisciplinare e quello interculturale, appare efficace l’insegnamento confessionale della religione» (CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Educare al
dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore (2013), n. 75). Il seguente articolo ne illustra il motivo
– 98 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: F. MORLACCHI, La scuola: ambiente nodale per l’incontro con le religioni, in Orientamenti Pastorali, 12/2013, 31-37
La scuola come ambiente di vita: l’integrazione “naturale” dei bambini
I contesti di meticciato culturale e linguistico già avviato sono quelli in cui la dimensione religiosa acquista un significato decisivo. La religione manifesta infatti il nucleo più profondo della persona e rappresenta l’espressione più radicale dell’identità personale. Nell’ambiente scolastico, in cui il confronto e il dialogo
si sviluppa non solo fra bambini, ma anche, attraverso di loro, fra genitori che rivendicano la propria libertà
di educazione, il tema si fa ancora più delicato e scottante. Lo dimostra il dibattito sull’insegnamento scolastico della religione, che si mostra tutt’altro che sopito, e che negli ultimi anni è assai vivace già nella delicata fase della scuola dell’infanzia (4-6 anni).
L’identità religiosa rappresenta infatti uno dei più delicati punti di attrito nell’educazione dei fanciulli.
Prima dell’adolescenza le opzioni etiche sono ancora piuttosto elementari e facilmente condivisibili: le regole essenziali di comportamento sono le stesse per tutti i bambini, indipendentemente dalla loro specifica appartenenza religiosa. L’unico aspetto educativo su cui già nei primissimi anni di vita i genitori vigilano costantemente, è la fede religiosa o, nel caso di famiglie non credenti, la visione del mondo. Per questo motivo,
fintanto che non si affronta la questione religiosa, il nocciolo del problema dell’integrazione e del dialogo
non viene affrontato.
Esempi ed esperienze
Le situazioni e le modalità relazionali cambiano radicalmente a seconda dei diversi contesti (tipologia di
territorio, ambienti urbani o rurali, presenza dell’una o dell’altra minoranza straniera, ecc.). A titolo di esempio, mi limito a brevi considerazioni a partire dalla situazione di Roma, che mi è più familiare. Nella Capitale
la comunità immigrata più rappresentativa, capillarmente disseminata su tutto il territorio urbano, è quella
rumena, perlopiù di confessione ortodossa. In questo caso il confronto interreligioso – o, più propriamente,
ecumenico – è senza dubbio l’aspetto più facile del dialogo. Le differenze tra ortodossia e cattolicesimo sono
modeste, e soprattutto non sono percepite come minacciose: i pregiudizi che rendono difficile la convivenza
tra italiani e rumeni nascono da altri presupposti. Nel caso della popolosa comunità cinese, tendenzialmente
concentrata nel solo quartiere Esquilino, il problema maggiore sembra essere rappresentato dalla propensione
di questa etnia a conservare un rigido isolamento; anche in questo caso l’aspetto religioso sembra incidere in
misura modesta. La comunità islamica è certamente ben rappresentata, come testimonia la presenza di numerose moschee, ma è ripartita tra diverse provenienze nazionali (Marocco, Sudan, Bangladesh…): in questo
caso il dialogo interreligioso non riesce ad esaurire il confronto con le diverse identità culturali. Nel caso delle folte comunità latinoamericane o di quella filippina, quasi totalmente cattoliche, non si pongono problemi
di dialogo interreligioso; ma il confronto culturale è invece assai complesso. Infine va segnalato che non
sempre il dialogo interreligioso comporta un dialogo con stranieri. L’esempio tipico è quello della vivace
comunità ebraica romana: spesso sono italianissimi, romani a tutti gli effetti, eppure esprimono un’identità
religiosa e culturale fortemente identitaria, che si manifesta anche nella presenza di una scuola ebraica assai
frequentata.
Non mancano esperienze di dialogo e di integrazione nella scuola variamente collaudate. Ne segnalo alcune, anche stavolta a mero titolo di esempio: la maggior parte del lavoro di integrazione è infatti svolto nascostamente da tante maestre e da tanti insegnanti nelle loro classi, senza che nessuno lo sappia. Da alcuni
decenni la Comunità di Sant’Egidio svolge un prezioso servizio educativo, con numerosi volontari che favoriscono l’accoglienza dei bambini rom che frequentano – spesso, purtroppo, a singhiozzo – tanti istituti romani. Nel novembre 2013 è stato celebrato il 30° anniversario della Scuola di Lingua e Cultura Italiana,
promossa dalla Comunità: alle attività di promozione umana, di primaria importanza, si affiancano così iniziative di natura culturale, che coinvolgono anche adulti, nelle quali la dimensione religiosa viene tenuta in
debita considerazione. Il “Centro Astalli”, espressione del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS), offre da
oltre un decennio due progetti per le scuole romane: “Finestre – Storie di rifugiati” e “Incontri”, quest’ultimo
dedicato alla conoscenza delle cinque principali religioni mondiali (buddismo, cristianesimo, ebraismo, induismo, islamismo). Alcuni credenti delle diverse fedi spiegano a turno alle classi le proprie usanze, e invitano a conoscere i propri luoghi di culto nella città. Anche il Comune di Roma ha promosso negli anni scorsi
un “tavolo interreligioso” per favorire la conoscenza nelle scuole delle diverse religioni. A dire il vero, le
modalità di realizzazione di questi progetti non convincono del tutto: gli incontri con gli alunni si svolgono
in giornate distinte, senza far incontrare gli esponenti delle varie fedi. Più che un “tavolo interreligioso”
sembra trattarsi di una sequenza di “tavolini separati” in cui ciascuno espone la propria appartenenza, senza
un vero confronto; di conseguenza, le diverse convinzioni e usanze descritte possono facilmente essere percepite dagli studenti come espressioni più o meno stravaganti di “folklore religioso”, in un contesto sostan-
– 99 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
zialmente relativistico, in cui si trasmette solo la percezione di una confusa varietà di appartenenze.
L’iniziativa del Tavolo interreligioso è stata sospesa da qualche anno, forse anche per via della difficoltà di
trovare persone disposte a presentare la propria religione in orario antimeridiano (gli incontri erano in orario
scolastico, cioè lavorativo). A riprova del fatto che il dialogo è sempre impegnativo.
Il laboratorio dell’insegnamento scolastico della religione
Se il confronto con l’identità religiosa è un nodo imprescindibile del vero dialogo interculturale, è necessario affrontare anche l’argomento dell’insegnamento scolastico della religione. In Italia vige un modello di
questo insegnamento peculiare nel panorama europeo. Per questo motivo alcuni esperti di pedagogia religiosa lo considerano una “anomalia” da superare; personalmente, ritengo al contrario che si tratti di un modello
straordinariamente efficace, anche in vista di una migliore integrazione culturale e religiosa.
L’insegnamento religioso nelle scuole italiane è un insegnamento confessionale (l’acronimo “IRC” significa “Insegnamento della Religione Cattolica”), e quindi presenta i contenuti specifici della fede cattolica;
ma ha una forma scolastica e culturale, non catechistica, e pertanto è offerto a tutti: anche ad alunni di famiglie non cattoliche o non credenti, rinunciando a qualsiasi forma di proselitismo. Qualcuno vorrebbe sostituirlo con una “storia delle religioni” o una “fenomenologia del fatto religioso”. Ma, come ebbe a dire quasi
un secolo fa il filosofo G. Gentile, «non ha senso dire “religione sì, ma non una data religione” [...]. Sarebbe
come dire: “poesia sì, ma né Omero, né Dante, né Shakespeare, né altri”». In altre parole, non si può imparare “il linguaggio”, ma sempre una concreta lingua storico-naturale, e solo a partire da quella se ne possono
apprendere altre. Inoltre – ed è il secondo punto da sottolineare – non è bene che la religione sia presentata
da parte di docenti distaccati e neutrali (almeno nelle intenzioni dichiarate), come se si trattasse di un relitto
da museo. Le religioni sono ancora ben vive, e proprio questo esige un dialogo attento e perseverante. Un insegnamento puramente comparativista sarebbe scarsamente utile proprio dal punto di vista dell’educazione
interreligiosa. Nessun conflitto religioso, infatti, nasce oggi in relazione alle divinità del Pantheon greco o
sumero, per il semplice fatto non ci sono più credenti di quelle religioni. L’educazione interreligiosa ha senso
solo se riguarda persone reali, e non astrazioni. Non esistono scontri tra le “religioni” o le “culture”, ma solo
tra persone concretissime che credono una data fede o incarnano una data cultura. Dirò di più: le tensioni
sorgono solo tra persone profondamente convinte della propria fede. Per chi, come me, ha un interesse molto
blando per il calcio, non si pongono problemi di conflitto con chi parteggia per una squadra diversa: i problemi veri nascono quando si incontrano due tifosi accaniti, o – fuor di metafora – due credenti convinti. Sono loro che devono imparare a rispettarsi e a convivere serenamente.
Infine, ritengo che l’insegnamento aconfessionale delle religioni, presentato da alcuni come “più inclusivo”, esprima un punto di vista profondamente egocentrico (o eurocentrico) e poco aperto, nonostante le apparenze contrarie. Se infatti si vuol favorire l’integrazione degli stranieri, la cosa migliore è consentire loro
di conoscere meglio la cultura e la religione del paese in cui vengono a vivere. L’Italia rimane un paese essenzialmente segnato dal cristianesimo cattolico, ed è doveroso offrire a chi viene nel nostro Paese innanzi
tutto la possibilità di conoscere adeguatamente questa fede e la cultura che ha generato. Per gli immigrati che
vivono in Italia è certamente più utile conoscere il cattolicesimo, che non le altre religioni mondiali. Solo dal
“nostro” punto di vista si percepisce come innovativo e interessante lo studio delle altre religioni. Dovremmo invece piuttosto “fare gli onori di casa”, e offrire generosamente ciò che è nostro agli ospiti che vengono
a trovarci. A tal fine, anche a Roma e nel Lazio, come già in altre città e regioni italiane, le comunità ecclesiali diocesane hanno diffuso nelle scuole un dépliant multilingue (italiano, inglese, spagnolo, rumeno,
ucraino, arabo, cinese, filippino) come gesto di accoglienza, per spiegare alle famiglie straniere come funziona l’IRC e invitare gli alunni a scegliere di avvalersene, anche come laboratorio di approfondimento culturale e di integrazione.
Si tratta dunque di educare ad una «identità chiara e gioiosa» (Evangelii Gaudium n. 251), custodendo le
differenze e insegnando a rispettarle. Ultimamente papa Francesco si è espresso su questo tema con parole
illuminanti: «Dialogare non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro… Un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più caro, non
sarebbe certamente una relazione autentica… Dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro
l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale» (Discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio
Consiglio per il dialogo interreligioso, 28 novembre 2013). Solo su questi presupposti di sincerità e apertura
è possibile costruire un dialogo efficace, anche nella scuola.
– 100 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
5 – Le dimensioni qualificanti dell’IRC
da: CARD. CAMILLO RUINI, Scuola e Chiesa a Roma: una necessaria collaborazione,
una possibile integrazione, in Religione Scuola Città 1/2005, pp. 56-62.
Il rischio maggiore che l’insegnamento della religione cattolica ha corso in anni abbastanza recenti è
quello di essere presente nella scuola senza però un vero inserimento nel suo progetto, a causa di alcune resistenze, più o meno velate, ad accettare la dimensione religiosa della cultura. Di conseguenza, la sua presenza alcune volte è stata presentata solo come un privilegio della Chiesa cattolica e non come un prezioso contributo per il pieno raggiungimento delle finalità della scuola. Voi sapete che – secondo l’accordo di revisione del Concordato – le motivazioni dello Stato per continuare ad assicurare l’insegnamento della religione
cattolica sono quelle della promozione della cultura religiosa (che però non può essere affidata solo
all’insegnamento della religione cattolica) e dell’acquisizione di quella parte tanto significativa del patrimonio storico del popolo italiano che è il cattolicesimo. 60
Gli anni più recenti hanno dato ulteriori motivazioni alla presenza dell’insegnamento della religione cattolica e alla scelta di avvalersene. Si tratta di motivazioni che restano nell’ambito della scuola: la questione
dell’agire responsabile, dell’identità, della passione per la verità.
Con l’espressione “agire responsabile” faccio riferimento all’educazione alla convivenza civile, assunta
in alcuni documenti prescrittivi della riforma come sintesi di vari tipi di educazione (alla cittadinanza, ambientale, stradale, alla salute, alimentare, all’affettività). L’obiettivo si presenta nobile e degno: la scuola è
interessata anche alla saggezza del vivere e dell’agire bene. Nello stesso tempo, però, il compito può apparire
problematico, proprio a causa del disorientamento e del clima di relativismo diffuso; alcuni paventano che ci
si limiti alla definizione di un galateo sociale, riflesso della legittimazione di un minimo etico, visto come
l’unica possibilità di una convivenza civile. Si tratta allora di offrire le motivazioni interiori a questo agire
bene, compito a cui non si sottrae l’insegnamento della religione cattolica, che si sforza di stimolare la crescita delle capacità di discernimento, evitando sia il conformismo del “così fan tutti”, sia la rivendicazione
epidermica dello spontaneismo. L’insegnamento della religione cattolica può accogliere la consegna di Giovanni Paolo II, per il quale «in questi ambiti delicati e controversi, è importante fare un grande sforzo per
spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di
imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura
stessa dell’essere umano. La carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura, alla politica,
all’economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il
destino dell’essere umano e il futuro della civiltà» (NMI, n. 51). 60
Circa l’identità, è facile intuire il legame con le radici storiche della nostra società; ma vorrei aggiungere
che la realizzazione di un insegnamento della religione cattolica di buon livello può contribuire in modo determinante a sviluppare in ogni allievo anche un’identità accogliente. In effetti, sappiamo che da parte di alcuni la richiesta di coltivare e nutrire l’identità nazionale e locale nasce dalla paura di chi è diverso, e può
condurre a forme di gelosia della propria identità che tendono a escludere chi non rientra nei propri canoni. È
però anche vero che la coscienza di identità è un requisito previo del dialogo: voi sapete per esperienza infatti come i docenti con l’identità più caratterizzata – gli insegnanti di religione cattolica – siano spesso quelli
più attivi sul fronte dell’educazione interculturale. Acquisire la coscienza delle radici cattoliche della nostra
cultura – compito della scuola tutta, non solo dell’insegnamento della religione cattolica –, permette di perseguire i due obiettivi dell’identità e dell’accoglienza. Il cattolicesimo infatti, proprio perché “cattolico” cioè
universale, non si accontenta della riduzione alla sua forma europea né ad espressioni di miope particolarismo. (p. 61)
Voglio infine richiamare la vostra attenzione su un’altra caratteristica dell’insegnamento della religione
cattolica. Il “pensiero forte” che l’insegnamento della religione cattolica porta con sé, obbliga la scuola tutta
a non potersi rifugiare nel “pensiero debole” e a confrontarsi inevitabilmente con la questione della verità.
Dal momento che il Cattolicesimo porta con sé la sua pretesa di verità, perché si realizzi un autentico insegnamento della religione cattolica è necessario che si ponga costantemente anche la questione della verità di
quanto viene insegnato; di conseguenza, non si compie un vero insegnamento della religione cattolica se ci si
limita alla sola fenomenologia del religioso, anche nella forma di una storia delle religioni. Non si tratta di
imporre agli alunni la verità della fede cattolica, ma di invitarli a riflettere criticamente sulla pretesa di verità
delle fede stessa. In tal senso l’insegnamento della religione cattolica obbliga tutta la scuola a porsi il problema della verità e diventa stimolo importante per ogni altra disciplina, perché la scuola sia un luogo in cui
ci si educa alla passione per la ricerca del Vero. (p. 61)
– 101 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
da: V. CHIARIELLO, Formazione morale, OSA della convivenza civile e IRC, in Religione
Scuola Città 1/2005, pp. 5-10.
Se è vero che l’ampio respiro morale e di ricerca di senso che caratterizza la filosofia pedagogica della
riforma chiama maggiormente in causa la dimensione religiosa della persona, è altrettanto vero che più subdolo è il rischio che l’IRC diventi, perdendo la propria specificità, una sorta di “religione delle buone maniere”. Proprio quando è chiamato ad uscire dall’isolamento cha lo ha caratterizzato, bisogna stare attenti che
non si passi inavvertitamente all’Insegnamento della Religione Civile: una sorta di campo neutro da cui tener
fuori ogni sorta di connotazione morale e religiosa identitaria, vista come ostacolo alla costruzione di uno
spazio comune. L’IRC contribuisce alla formazione della coscienza morale e alla convivenza civile sotto tre
aspetti:
Antropologico, l’IRC, proprio perché abbraccia la questione del senso, sottolinea che i valori della convivenza civile sono tali solo se debitamente interiorizzati e personalmente elaborati.
Culturale, perché può far presente che i valori che ispirano la dimensione morale e la convivenza civile
sono valori anche cristiani ma secolarizzati.
Sociale: può svolgere un ruolo significativo in ordine alla relativizzazione e alla stabilità dei valori.
F. MORLACCHI, L’IRC: dove sta andando,
in Insegnare religione, maggio-giugno 2007, pp. 22-23.
La falsa alternativa fra catechesi e cultura
Come va inteso il ruolo dell’IRC nella scuola di uno stato laico? Con una grossolana schematizzazione, è
possibile individuare tre tappe di evoluzione dell’IRC come disciplina scolastica: 1) prima del Concordato
dell’84, il tempo della (con-)fusione tra IRC e catechesi; 2) dopo il Concordato, il tempo della differenziazione, che talora ha prodotto separazione tra IRC e catechesi; 3) oggi, finalmente, la stagione propizia per un
nuovo equilibrio di “distinzione e complementarietà”. I motivi che rendono possibile questo nuovo equilibrio
sono: il recupero della finalità educativa della scuola, che non può circoscrivere il suo compito alla semplice
istruzione o informazione, ma è chiamata a educare e formare l’uomo e il cittadino; una più condivisa consapevolezza del contributo squisitamente culturale che la fede offre al pensiero e alla convivenza umana; la
consapevolezza che l’insegnamento confessionale della religione cattolica, se correttamente praticato, non
compromette la convivenza civile, ma favorisce la conoscenza delle differenze e il rispetto reciproco.
Evidentemente esistono metodologie, accentuazioni e sfumature assai variegate. C’è chi desidera privilegiare la specifica dimensione scolastica dell’IRC, e dunque sottolinea soprattutto la mediazione culturale
dei contenuti della fede, pur senza voler cedere ad un insegnamento asettico e avalutativo (trasformando
l’IRC in mera “fenomenologia delle religioni”); e chi al contrario considera di primaria importanza l’ispirazione evangelica e la motivazione “apostolica” dell’insegnamento, pur senza trasgredire il dettato concordatario, in base al quale l’ora di religione non dev’essere un’ora di cripto-catechismo.
Rimane dunque ancora un lungo percorso da fare, per chiarire i diversi punti di vista e stabilire con saggezza i confini che non vanno superati né sul versante della testimonianza (sconfinamento nella catechesi) né
sul versante della cultura (sconfinamento nell’avalutatività). All’interno di questi paletti sarà possibile una
certa gamma di posizioni intermedie, diversificate ma sostanzialmente coerenti, che consentono all’IdR di
essere, sì, un operatore culturale legittimamente stipendiato dallo stato per il suo lavoro, ma anche una figura pastoralmente rilevante, fedele al rapporto con la Chiesa che viene sancito dal decreto di idoneità
all’insegnamento emesso dall’ordinario diocesano e custodito da un vigoroso senso di appartenenza ecclesiale. In fondo, si tratta solo di valorizzare bene la vecchia definizione dell’IRC come «distinto e complementare» rispetto alla catechesi (cfr Giovanni Paolo II, Discorso al clero di Roma, 5 marzo 1981).
Una presentazione integrale del cristianesimo
In questa direzione, sembra importante non perdere di vista l’importanza di presentare in ogni caso –
qualunque sia la sfumatura preferita – il fenomeno cristiano nella sua integrità: non solo quindi come storia e
dottrina, ma anche (e forse soprattutto) come proposta attuale e come scelta di vita totalizzante. Una semplice riduzione del cristianesimo ai suoi effetti culturali, pur decisivi (si pensi, soprattutto in Italia, all’arte, alla
letteratura, alla filosofia, alla musica, ecc.) non renderebbe ragione del senso autentico del messaggio evangelico. Presentare agli alunni un museo di testimonianze passate, sia pur preziose e bellissime, non è ancora
“far conoscere il cristianesimo”. Occorre invece presentare Colui che è la causa originante di tutta questa
“storia degli effetti”: Gesù di Nazareth, che noi cristiani adoriamo come Signore. Dinanzi al vuoto valoriale
diffuso e alle inquietanti prospettive di vuoto di senso, il cristianesimo ha ancora oggi un messaggio chiaro e
provocante, che costituisce una sfida per l’intelligenza e la volontà dell’uomo e costringe a prender posizione. Dunque proprio una presentazione integrale della fede cristiana (il che è ben diverso però da un fideismo
– 102 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
integralista o da un proselitismo ottuso) costituisce il contributo più prezioso e più caratteristico che l’IRC
può offrire alla scuola italiana.
Educare all’interiorità e al senso del mistero
Uno dei compiti che l’IdR non deve trascurare nel suo servizio è quello di educare le nuove generazioni
all’interiorità e alla spiritualità. Troppo spesso manca alla scuola di oggi un’educazione al senso del mistero, e l’esperienza umana si impoverisce tristemente. Non si tratta – è ovvio – di “far pregare in classe”, ma di
indirizzare nelle giuste forme alla conoscenza del mondo interiore e dei fenomeni dello spirito, il che significa educare alla valorizzazione del religioso in quanto tale. Inoltre questa attenzione al senso del sacro e del
mistero impedisce lo scivolamento dell’IRC in una ora di semplice socializzazione, che ne snaturerebbe le
finalità.
L’importanza di “starci”: la presenza dell’IdR e del docente cattolico
Se l’IRC in quanto disciplina è un concetto astratto, l’IdR è invece una persona concreta. Ogni lavoro
educativo efficace parte non dalle discipline, ma dalle relazioni personali che gli insegnanti intrecciano con i
loro alunni: sono sempre le relazioni che educano davvero, perché la comunicazione più profonda della verità (e soprattutto della Verità con la V maiuscola) è possibile sono nella comunicazione intersoggetiva (in
termini teologici, è il «noi» ecclesiale; ma in termini pedagogici è il «noi» della comunità scolastica). Gli IdR
sono chiamati a comunicare non solo i contenuti del cristianesimo, ma anche il suo spirito, che è la carità di
Cristo.
Al di là della disciplina che insegna, l’IdR è innanzi tutto un insegnante cattolico, ossia un credente che
vive nel mondo della scuola. Senza voler imporre niente a nessuno, dichiarare ed esprimere la propria fede
non è proibito, e può invece costituire un faro o una bussola per tanti adolescenti in cerca di punti di riferimento.
In conclusione, l’IRC non deve più essere considerato come un «fortino» da difendere con i denti contro
la lenta erosione del numero degli avvalentisi, o da riconquistare con nuove crociate, ma come una «piazza»
aperta, in cui trafficare con zelo e senza timore le ricchezze della nostra fede, ricordando che «l’uomo è la
via della Chiesa» (Redemptor Hominis, 14) e che formando l’uomo si prepara il cristiano.
– 103 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
13. Indice
1.
Premessa: le principali attuazioni della pastorale della scuola ..................................2
da: CONCILIO VATICANO II, Gravissimum Educationis (1965) .................................................................... 3
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma – giugno 2005 ................................... 5
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma – giugno 2006 ................................... 5
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno di Verona – ottobre 2006 ...................................................... 6
da: BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma sul tema: «Gesù è il Signore. Educare
alla fede, alla sequela, alla testimonianza» – 11 giugno 2007....................................................................... 6
BENEDETTO XVI, Lettera sull’educazione – 21 gennaio 2008 ..................................................................... 6
AGOSTINO Card. VALLINI, Lettera «Educare con speranza» – 21 gennaio 2009......................................... 8
2.
Pastorale d’ambiente ....................................................................................................11
V. GROLLA, «Ambiente», in Dizionario di Pastorale della comunità cristiana, Assisi 1980, pp. 63-66. . 11
da: CONCILIO VATICANO II, Apostolicam actuositatem (1965) .................................................................. 13
da: PAOLO VI, Evangelii Nuntiandi (1975)................................................................................................. 13
da: CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001) ............................................................. 13
da: CEI, «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo
(maggio 2007) [Documento finale del Convegno di Verona] ..................................................................... 15
3.
Le associazioni professionali e dei genitori, soggetti di pastorale scolastica ..........16
da: CEI, Fare Pastorale della Scuola oggi in Italia (1990) ........................................................................ 16
Le realtà associative cattoliche in Italia ...................................................................................................... 17
Dibattito su “Cittadinanza e costituzione” .................................................................................................. 20
Comunicato stampa dell’Osservatorio Van Thuan (12 XI 2013) ............................................................... 20
La Charte de la laïcité à l’école (Francia 2013) ......................................................................................... 22
4.
La Pastorale Scolastica nella stagione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche 24
da: L. PATI, Famiglia e scuola dell’autonomia. Dalla partecipazione alla corresponsabilità................... 24
da: M. ASTA, La comunità cristiana e la costruzione dei progetti formativi .............................................. 26
da: B. STENCO, La pastorale diocesana della scuola oggi ......................................................................... 29
5.
La scuola cattolica .........................................................................................................32
G. RUSCONI, L’impegno - Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno, ..... 34
C. CAFFARRA, Educare: una responsabilità, un compito, una gioia ........................................................ 36
6.
La storia dell’IRC nella scuola italiana ......................................................................39
0.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Premessa: lo Statuto Albertino (4 marzo 1848) ............................................................................. 39
Primo periodo: dalla legge Casati (1859) alla Circolare Correnti (1870) ...................................... 40
Secondo periodo: dalla Legge Coppino (1877) all’età giolittiana (1901-1914)............................. 40
Terzo periodo: la riforma Gentile(1923) ........................................................................................ 40
Quarto periodo: dal Concordato(1929) alla Costituzione (1948)................................................... 41
Quinto periodo: dopo il 1948 (la Costituzione).............................................................................. 42
Sesto periodo: l’accordo di revisione del Concordato (1984) ........................................................ 42
La storia dell’IRC nella scuola italiana (dal 1984 a oggi) .........................................43
NORMATIVA CONCORDATARIA
ACCORDO DI VILLA MADAMA, art. 9; – PROTOCOLLO ADDIZIONALE n. 5 – INTESA ................................ 43
Il dibattito giurisprudenziale negli anni successivi alla revisione ............................................ 48
– 104 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
8.
La dottrina della Chiesa circa l’IRC ...........................................................................52
da: CONCILIO VATICANO II: Gravissimum educationis (1965) .................................................................. 53
da: GIOVANNI PAOLO II: Catechesi tradendae (1979) ................................................................................ 53
da: Codice di diritto canonico, Cann. 793-806 (1983)................................................................................ 53
da: CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio Generale per la catechesi (1997)..................................... 54
CEI, Insegnare religione cattolica oggi (1991) .......................................................................................... 55
BENEDETTO XVI, Discorso agli Insegnanti di Religione Cattolica, 25 aprile 2009 .................................. 56
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera Circolare n. 520 (2009)................................ 58
CEI, Educare alla vita buona del Vangelo (2010) ...................................................................................... 62
9.
L’educazione religiosa, parte essenziale dell’educazione della persona ..................63
J. DELORS, Nell’educazione un tesoro ....................................................................................................... 63
G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica ..................................................................................... 66
PECUP 2004 .............................................................................................................................................. 66
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Indicazioni per il curricolo, 2007 .......................................... 66
da: BENEDETTO XVI, Discorso all’assemblea generale della CEI, 27 maggio 2010 ................................ 67
L’evoluzione dei modelli di riforma scolastica: uno schema “provocatorio” ....................................... 69
10. L’IRC inserito nelle finalità della scuola Voci di un dibattito sull’IR(C) ................71
da: L. PRENNA, La religione nella scuola italiana: assicurata ma facoltativa .......................................... 72
E. GENRE – F. PAJER, Il caso Italia ............................................................................................................ 73
da: Z. TRENTI, Nuove prospettive per l’IRC e il suo insegnante ................................................................ 73
G. LETTIERI, L’ora di religione come questione aporetica ........................................................................ 74
da: Z. TRENTI, Natura e finalità dell’IRC .................................................................................................. 74
F. MORLACCHI, L’IRC è aperta a tutti non è catechismo .......................................................................... 76
11. L’IR nelle scuole dei paesi europei. .............................................................................78
F. PAJER, Scuola e istruzione religiosa nell’Europa multireligiosa: problemi e sfide .............................. 79
XI Forum EuFRES – Carini, 14-18 aprile 2004 – Comunicato finale ...................................................... 80
M. BALDUS, Nuova cittadinanza europea: il contributo dell’insegnamento della religione . ................... 80
Da: CCEE, L’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica dei paesi europei ................ 81
CEI, SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (Ed.), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa ........ 81
O. MARSON Il carattere confessionale dell’Ir ............................................................................................ 84
L’insegnamento religioso di Europa – Sintesi a cura di M. Ferragina. ....................................................... 87
XVI Forum EuFRES – Praga, 23-27 aprile 2014 – Comunicato finale ...................................................... 90
F. PAJER, Scuola e università in Europa: profili evolutivi dei saperi religiosi nella sfera educativa
pubblica ...................................................................................................................................................... 91
12. La nostra proposta ........................................................................................................93
1 – Il necessario superamento della “neutralità” dell’insegnamento..................................... 94
M. ASTA – C. BRIENZA – F. MORLACCHI, Pluralismo della scuola, pluralismo nella scuola . ................. 94
da: G. BERTAGNA, Avvio alla riflessione pedagogica ............................................................................... 97
A. BAUSOLA, L’IRC secondo i nuovi programmi come fattore di promozione della cultura religiosa ..... 97
2 – Il riferimento epistemologico essenziale: la teologia fondamentale ................................. 97
da: G. LORIZIO, La teologia tra scienza e sapienza ................................................................................... 97
da: G. LORIZIO, L’IRC tra teologia fondamentale e scienze della religione .............................................. 97
da: G. BETORI, L’insegnante di religione, risorsa per la società e per la Chiesa ...................................... 97
3 – La confessionalità come risorsa (e non come ferita alla laicità) ...................................... 98
da: L. DIOTALLEVI, Il contributo culturale ed educativo dell’IRC per la convivenza civile ...................... 98
– 105 –
D207 – Epistemologia dell’IRC e Pastorale scolastica – A.A. 2013/’14
A. BAGNASCO, L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia: continuità e innovazione nelle
finalità della scuola .................................................................................................................................... 98
M. CROCIATA, Sulla formazione degli insegnanti di religione cattolica: prendere forma come processo di
autoformazione ........................................................................................................................................... 98
4 – La dimensione interculturale e interreligiosa .................................................................... 98
da: F. MORLACCHI, La scuola: ambiente nodale per l’incontro con le religioni ....................................... 99
5 – Le dimensioni qualificanti dell’IRC ................................................................................. 101
da: C. RUINI, Scuola e Chiesa a Roma: una necessaria collaborazione, una possibile integrazione . ..... 101
da: V. CHIARIELLO, Formazione morale, OSA della convivenza civile e IRC ......................................... 102
F. MORLACCHI, L’IRC: dove sta andando, ............................................................................................. 102
13. Indice ............................................................................................................................104
La presente dispensa ad uso interno degli studenti per l’Anno Accademico 2013/2014 è da considerarsi
ancora provvisoria. Sono benvenute correzioni e proposte di integrazione o miglioramento. (d. F. M.)
– 106 –