Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell`infanzia. Il registro

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Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell`infanzia. Il registro
G It Diabetol Metab 2011;31:88-96
Rassegna
Ipoglicemia da iperinsulinismo
congenito dell’infanzia.
Il registro italiano
RIASSUNTO
L’ipoglicemia è una frequente anomalia endocrino-metabolica in
età pediatrica, soprattutto nel periodo neonatale, ed è particolarmente temibile per le conseguenze sul sistema nervoso centrale.
Le cause di ipoglicemia sono numerosissime e comprendono
condizioni transitorie, malattie metaboliche e patologie endocrine
congenite. L’iperinsulinismo congenito dell’infanzia (congenital
hyperinsulinism of infancy, CHI) è la causa più comune di ipoglicemia persistente in età pediatrica ed è dovuto a
un’inappropriata secrezione di insulina a fronte di bassi livelli di
glicemia. È un’entità eterogenea dal punto di vista clinico, genetico e istologico. Una diagnosi tempestiva e una pronta istituzione della terapia sono necessarie per evitare che gravi e ripetute
ipoglicemie provochino danni cerebrali irreversibili. Mutazioni a
carico di 7 diversi geni possono causare CHI; la maggior parte
dei casi è dovuta a mutazioni a carico dei geni che codificano per
le subunità dei canali del K+ ATP-dipendenti. Nonostante i progressi nella comprensione dei meccanismi molecolari alla base di
questa patologia e nella diagnostica delle forme diffuse verso le
focali, grazie alla PET con 18-fluoro DOPA, molto è ancora da
fare per migliorare la prognosi dei pazienti affetti da CHI.
È stato recentemente istituito il Registro Italiano Iperinsulinismo
Congenito dell’Infanzia (RICI) con l’obiettivo di migliorare la
conoscenza e la gestione di questa rara e complessa malattia.
SUMMARY
Hypoglycaemia due to congenital hyperinsulinism of infancy. The
italian registry
Hypoglycaemia is a frequent metabolic disorder in pediatric age
particularly in the newborn period, with major consequences on
central nervous system. Among the causes of hypoglycaemia
are included transient conditions due to metabolic adaptation
after birth, inborn errors of metabolism, hormonal disorders.
Congenital hyperinsulinism of infancy (CHI), the most frequent
cause of persistent hypoglycaemia in children, is due to inappropriate insulin secretion at low blood glucose levels. It is an heterogeneous entity in terms of clinical presentation, genetics and
histology. Prompt diagnosis and therapy are necessary to avoid
that serious and recurrent hypoglycaemia causes irreversible
brain damage. Mutations in 7 different genes can be responsi-
C. Ingegnosi1, M. Crapanzano1,
S. Di Candia2, P. Sogno-Valin2,
M.C. Proverbio3, C. Battaglia3,
I. Zamproni4, S. Mora4, V. Guardabasso5,
S. Bianca6, A. Salvatoni7,
M. Caruso-Nicoletti1
1
Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Catania,
AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 2Centro di
Endocrinologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università
Vita-Salute San Raffaele, Istituto Scientifico San Raffaele,
Milano; 3Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche,
Università degli Studi di Milano; 4Laboratorio di
Endocrinologia Pediatrica, Divisione di Scienze Metaboliche
e Cardiovascolari, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano;
5
SIS, AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 6Genetica
Medica, ARNAS Garibaldi Nesima, Catania; 7Dipartimento
di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi
dell’INSUBRIA, Varese-Como
Corrispondenza: prof.ssa Manuela Caruso-Nicoletti,
Centro di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica,
Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi
di Catania, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Policlinico-Vittorio Emanuele, via Santa Sofia 78,
95123 Catania
G It Diabetol Metab 2011;31:88-96
Pervenuto in Redazione il 03-01-2011
Accettato per la pubblicazione il 03-03-2011
Parole chiave: ipoglicemia, iperinsulinismo,
beta-cellule pancreatiche, mutazioni, geni
Key words: hypoglicaemia, hyperinsulinism,
pancreatic beta-cells, mutations, genes
Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia
ble of CHI; the great majority being mutations of the genes coding for the subunits of ATP sensitive K+ channels. Despite major
progresses in the understanding of molecular mechanism
underlying this condition and in the diagnosis of diffuse versus
focal forms, thanks to 18-fluoro DOPA PET, most needs to be
done to improve the prognosis of CHI patients. Recently the
Italian Registry for Congenital Hyperinsulinism of Infancy has
been instituted with the aim of implementing knowledge and
management of this rare and complex disease.
Ipoglicemia in età pediatrica
L’ipoglicemia è una della più comuni anomalie endocrinometaboliche in età pediatrica, particolarmente temibile per le
conseguenze a livello del sistema nervoso centrale. Tale
patologia si manifesta per lo più nel periodo neonatale e nel
corso del primo anno di vita. L’incidenza varia tra 1 e 4/1000
nati vivi ed è superiore in gruppi di neonati ad alto rischio. Il
mantenimento dell’omeostasi glicemica dipende dall’intake
di nutrienti (carboidrati e substrati neoglucogenetici), dall’attività del sistema enzimatico epatico deputato a gluconeogenesi e glicogenolisi, dall’utilizzazione di altri substrati e dall’efficienza del sistema endocrino (insulina, glucagone, GH, cortisolo, adrenalina) responsabile della mobilizzazione dei substrati, della loro utilizzazione e riconversione. Nelle prime 72
ore di vita l’efficienza di questi meccanismi non permette un
adeguato mantenimento dell’omeostasi glucidica: alla nascita la glicemia scende sino a raggiungere i 50 mg/dl, per risalire a circa 70 mg/dl a 72 ore di vita nel neonato a termine.
Si considera pertanto patologica una glicemia ≤ 40 mg/dl
nelle prime 24 ore di vita, ≤ 45 mg/dl dopo le 24 ore. I livel-
89
li sono più bassi nei neonati pretermine e piccoli per l’età
gestazionale (small for gestational age, SGA). In epoca postnatale viene considerata ipoglicemia un valore di glicemia
plasmatica < 50 mg/dl1-3. Le sindromi ipoglicemiche possono essere classificate in base all’età di comparsa (neonato,
prima infanzia, età successive), alla relazione temporale con
il pasto (ipoglicemia a digiuno o spontanea e ipoglicemia
postprandiale o reattiva), alla presenza o meno di chetonemia, alla presenza o meno di epatomegalia, o alla causa
patogenetica. Le ipoglicemie neonatali possono essere
transitorie se si risolvono entro la prima settimana di vita,
persistenti se si prolungano oltre. Le ipoglicemie neonatali
transitorie sono le forme più frequenti in assoluto; si distinguono in forme associate a carenza di substrato e/o aumentato consumo e forme associate a iperinsulinemia. La classificazione riportata in tabella 1 è basata sull’età di esordio e
sul meccanismo patogenetico.
La causa più frequente di ipoglicemia persistente a esordio
nel neonato o nella prima infanzia è l’iperinsulinismo congenito dell’infanzia. La forma che si presenta con maggiore frequenza nella fascia di età successiva è invece l’ipoglicemia
chetotica idiopatica che esordisce solitamente tra i 18 mesi
e i 5 anni e si risolve spontaneamente entro gli 8-9 anni. In
questa forma di ipoglicemia, le crisi ipoglicemiche compaiono quasi sempre dopo il digiuno notturno e in concomitanza
con episodi febbrili. Sono più spesso bambini di basso peso,
con scarso appetito e storia di vomito frequente. Al momento dell’ipoglicemia si osservano: chetonuria, chetonemia,
insulina soppressa, bassi livelli di alanina. Si ipotizza un difetto transitorio in uno dei passaggi del catabolismo proteico o
della deaminazione ossidativa degli aminoacidi o del metabolismo dell’alanina4.
Tabella 1 Classificazione delle ipoglicemie in età pediatrica.
Ipoglicemie neonatali
Ipoglicemie nel bambino
Ipoglicemie transitorie (< 7 giorni)
Iperinsulinismo congenito
Associata a mancanza di substrato (neonati,
Deficit ormonali
pretermine, SGA, gemelli, distress respiratorio,
Glicogenosi
infezioni, anomalie del SNC)
Galattosemia; intolleranza al fruttosio
Associata a iperinsulinemia (figli di madre diabetica,
Disordini della gluconeogenesi
neonati con eritroblastosi fetale)
Disordini della beta-ossidazione degli acidi grassi
Ipoglicemie persistenti
Disordini della chetogenesi
Iperinsulinismo congenito
Disordini congeniti della glicosilazione
Disordini della gluconeogenesi
Difetti della catena respiratoria mitocondriale
Deficit ormonali
Ipoglicemia chetotica
Disordini della beta-ossidazione degli acidi grassi
Ipoglicemia nel diabete
Glicogenosi tipo I
Ipoglicemia factitia (sindrome di Münchausen)
Disordini della chetogenesi
Galattosemia
Leucinosi
Intolleranza al fruttosio
Disordini congeniti della glicosilazione (CDG)
Tirosinemia di tipo I
Difetti della catena respiratoria mitocondriale
90
C. Ingegnosi et al.
Iperinsulinismo congenito dell’infanzia
Con il termine di iperinsulinismo congenito dell’infanzia (CHI)
ci si riferisce a un gruppo eterogeneo di malattie, differenti
dal punto di vista clinico, genetico e anatomopatologico, e
che dovrebbe essere più correttamente definito “inappropriata secrezione di insulina”; infatti i pazienti affetti non presentano necessariamente livelli circolanti di insulina elevati in
assoluto, ma livelli inappropriati rispetto ai valori glicemici5,6.
Questa malattia rappresenta una delle condizioni più impegnative da affrontare per il medico che si prende cura del
giovane paziente, infatti, le persistenti e ricorrenti ipoglicemie
possono essere causa di handicap neurologico e, in alcuni
casi, l’evoluzione verso un diabete iatrogeno è inevitabile.
L’incidenza di queste due complicanze (circa 50% dei
pazienti) si è solo leggermente ridotta negli ultimi vent’anni, il
che sta a indicare che la corretta gestione e il corretto trattamento di questa malattia sono ancora un problema7-9.
Epidemiologia
CHI è una malattia rara e i dati epidemiologici sono carenti.
Sono state descritte forme sia sporadiche sia familiari. Le
forme sporadiche hanno un’incidenza di 1:20-50.00010. È
stata riportata un’incidenza di 1:20.000 in Kuwait11, di
1:27.000 in Irlanda12, 1:40.000 in Finlandia13 e 1:50.000 in
Olanda14. Tuttavia, in alcune comunità isolate in Finlandia13 e
in popolazioni Arabe con elevato livello di consanguineità10
sono state riportate incidenze pari a 1:3000 e 1:2300, rispettivamente. Il rapporto dell’incidenza maschi/femmine è di
1,2:1 nella forma diffusa e 1,8:1 nella forma focale. Mentre in
passato si riteneva che la forma diffusa rappresentasse la
maggior parte dei casi, casistiche recenti suggeriscono che
la forma focale possa essere presente sino al 70% dei casi15.
Poiché le basi genetiche sono marcatamente eterogenee e
molti difetti genetici sono ancora da individuare, non si può
escludere che diverse popolazioni presentino, oltre che una
diversa incidenza, anche una diversa frequenza e distribuzione delle varie forme genetiche, che a loro volta si rifletteranno in una diversa frequenza e distribuzione di fenotipi clinici.
so funzionale costituito da una subunità, SUR1 o recettore
per le sulfoniluree, che conferisce al canale sensibilità nei
confronti degli effetti stimolatori (per es. le sulfoniluree) o inibitori (per es. il diazossido, DZ) e da una subunità, Kir 6.1
che determina le proprietà biofisiche del canale, tra cui la
selettività al K+. Il metabolismo del glucosio, aumentando il
rapporto ATP/ADP, inibisce i canali e quindi la fuoriuscita di
K+, a questo consegue la depolarizzazione della membrana
cellulare e l’apertura dei canali del calcio; l’afflusso di Ca+
all’interno della cellula determina il rilascio di insulina per
esocitosi (Fig. 1). Sono state descritte mutazioni inattivanti
recessive e dominanti a carico del gene ABCC8 (circa 150
mutazioni) e del gene KCNJ11 (circa 25 mutazioni). Le
mutazioni che portano a una perdita di funzione dei geni
codificanti le subunità per il canale del K+ se recessive in
omozigosi sono responsabili di forme di iperinsulinismo
severo a esordio precoce in epoca neonatale, non responsive al DZ; le mutazioni recessive in eterozigosi composta e
quelle dominanti determinano dei quadri clinici meno
gravi17,18. HI-ATP si può manifestare come una malattia diffusa (Di-HI) coinvolgente tutto il pancreas o come
un’iperplasia adenomatosa localizzata o una forma focale
(Fo-HI). Le forme, diffuse e focali, hanno lo stesso locus
genetico, ma modalità di trasmissione diverse. Sebbene
siano state descritte delle mutazioni di tipo autosomico
dominante, Di-HI origina prevalentemente da una mutazione a livello dei geni codificanti il canale del K+ (ABCC8 e/o
KCNJ11) a trasmissione autosomica recessiva. Le forme di
Fo-HI invece, originano da una mutazione con trasmissione
di tipo non mendeliano. Una mutazione paterna ereditata a
carico di ABCC8 o KCNJ11 è ridotta allo stato di emizigosi
da una seconda mutazione, di tipo somatico, a livello di una
piccola regione di 11pl5.1-p ter e a volte di tutto l’allele
materno del cromosoma 11. Il risultato è una perdita di eterozigosità (loss of heterozygosity, LOH) a livello delle aree di
Genetica
Nei pazienti affetti da CHI sono state evidenziate mutazioni in
7 geni diversi, ed è stata dimostrata un’ereditarietà di tipo sia
autosomico recessivo sia dominante.
Circa il 50% dei casi è causato da mutazioni dei geni
(ABCC8 e KCNJ11) che codificano per SUR1 e Kir6.2, le
subunità costituenti il canale del K+ ATP-dipendente nelle
beta-cellule pancreatiche (HI-KATP). L’identificazione di
queste mutazioni e la caratterizzazione dei loro effetti hanno
fornito nuove importanti informazioni sulla struttura e funzione di questo canale dal ruolo così cruciale16. I canali del
K+ ATP-dipendenti rappresentano uno strumento di collegamento tra l’attività elettrica e lo stato metabolico della
cellula, agendo come sensori della concentrazione dei
nucleotidi intracellulari. Il canale del potassio è un comples-
Figura 1 Ruolo del canale del potassio ATP-dipendente nel
regolare il rilascio di insulina.
Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia
adenomatosi iperplastica focale a carico del pancreas19,20.
Fino al 1997, si pensava che Di-Hi fosse la causa principale
di iperinsulinismo congenito, mentre adesso si sa che le
forme focali, Fo-HI, potrebbero essere la causa principale di
HI-ATP e arrivano a percentuali del 70%15.
Se nel 90% dei casi può essere identificata una forma diffusa o focale, una piccola parte di pazienti invece presenta
un’istopatologia atipica, con un’eterogeneità a livello delle
isole pancreatiche caratterizzata da zone iperfunzionanti e
zone ipofunzionanti19.
Circa il 5% dei pazienti affetti da CHI presenta mutazioni dominanti nel gene che codifica per la glutammato deidrogenasi
(GLUD1), enzima mitocondriale responsabile della conversione reversibile del glutammato ad α-chetoglutarato (HI-GDH).
La mutazione del gene è responsabile di un’aumentata affinità dell’enzima per il suo substrato; l’incremento di α-chetoglutarato è responsabile dell’incremento del rapporto ATP/ADP e
quindi dell’inibizione del canale K+ ATP-dipendenti. I pazienti
con queste mutazioni presentano, di solito, un’ipoglicemia
relativamente lieve, responsiva alla terapia farmacologica e
associata a un’iperammoniemia asintomatica21-23.
La glucokinasi rappresenta un enzima chiave del metabolismo del glucosio, il cui tasso di fosforilazione a opera dell’enzima, nella prima tappa della glicolisi, è proporzionale alla
concentrazione stessa di glucosio e svolge un ruolo cruciale
nella secrezione di insulina. Il gene della glucokinasi (GCK),
oltre alle mutazioni loss of function responsabili di diabete
neonatali se presenti in omozigosi e di MODY 2, se presenti
in eterozigosi, può presentare mutazioni dominanti gain of
function che provocano rarissimi casi di iperinsulinismo congenito (HI-GCK)24,25.
Recentemente sono stati descritti alcuni casi di iperinsulinismo congenito associati a mutazioni nel gene (HADH) che
codifica per l’enzima L-3-idroacil-CoA deidrogenasi (HADH o
SCHAD = short chain L-3 hydroxyacil-CoA deidrogenase)
che catalizza la penultima tappa della beta-ossidazione.
HADH sembra essere un regolatore negativo della secrezione di insulina, ma l’esatto meccanismo con cui queste mutazioni provocano ipoglicemia da iperinsulinismo congenito
(HI-SCHAD) non è noto26,27.
In passato era stata descritta in più elementi di alcune famiglie una sindrome singolare caratterizzata da ipoglicemia con
iperinsulinismo conseguente all’esercizio fisico (HI-EI), recentemente è stata identificata la base molecolare di questa
forma in mutazioni dominanti del gene SLC16A1 che codifica per l’MCT1 (monocarboxilate transporter 1); la mutazione
determina un’aumentata espressione del gene nella betacellula con conseguente aumento dell’up-take del piruvato e
del rilascio di insulina stimolato dal piruvato28,29.
Infine, sono stati recentemente riportati casi di macrosomia
e ipoglicemia iperinsulinemica, transitori o permanenti, associati a mutazioni del gene HNF4α che codifica per il fattore
di trascrizione hepatic nuclear factor 4 α che, oltre a essere
coinvolto nello sviluppo e nella funzione di fegato e pancreas,
nella beta-cellula regola diversi geni che controllano la secrezione di insulina stimolata dal glucosio. Mutazioni eterozigoti
del gene sono responsabili del MODY 1; a oggi non è ancora stato chiarito come mutazioni eterozigoti dello stesso
gene siano responsabili di CHI30.
Nonostante questo panorama genetico già discretamente
eterogeneo, in circa il 50% dei casi non viene individuata
un’eziologia genetica precisa, suggerendo la possibilità di
altri loci di malattia18,31,32.
La tabella 2 riassume le cause genetiche di CHI.
Clinica
L’esordio della malattia si verifica quasi sempre in epoca neonatale, a volte nel corso del primo anno di vita, raramente nel
bambino più grande. L’inappropriata secrezione di insulina è
responsabile di grave, a volte incontrollabile, ipoglicemia. La
Tabella 2 Cause genetiche dell’iperinsulinismo congenito dell’infanzia (CHI).
Gene
Proteina
Meccanismo
Difettoso
funzionamento della subunità
ABCC8
SUR1 (recettore 1 della sulfonilurea)
SUR1 del canale del K+
Difettoso funzionamento della subunità
KCNJ11
Kir6.2
Kir 6.2 del canale del K+
Mancata inibizione della produzione
di α-chetoglutarato con conseguente
GLUD 1
Glutammato deidrogenasi
incremento del rapporto ATP/ADP
e quindi dell’inibizione del
canale K+ ATP-dipendente
Aumento dell’affinità della GCK
GCK
Glucochinasi
per il glucosio
HADH
L-3-idroacil-CoA deidrogenasi
Sconosciuto
SLC16A1
Monocarboxilate transporter 1 (MCT1) Aumentata espressione di MCT1
HNF4A
Hepatic nuclear factor 4 α
Sconosciuto
AD, autosomica dominante; AR, autosomica recessiva.
91
Trasmissione
AD/AR
AD/AR
AD
AD
AR
AD
AD
92
C. Ingegnosi et al.
sintomatologia è caratterizzata da convulsioni, coma e, nei
casi più gravi, morte neonatale. Le convulsioni da ipoglicemia
sono una tipica modalità di presentazione, altri sintomi possono essere cianosi, ipotermia, ipotonia, inappetenza, letargia, apnee, tremori, nervosismo, tachicardia, pallore, sudorazione, irritabilità. La difficoltà nel riconoscere e trattare prontamente l’ipoglicemia nel neonato o nel lattante può determinare danni cerebrali irreversibili con successivo ritardo dello sviluppo psicomotorio, ritardo mentale, epilessia. Sono state
descritte complicanze neurologiche nel 25-50% dei pazienti33. Obiettivo della gestione del bambino con CHI è quindi
una diagnosi precoce, una pronta istituzione della terapia e
un adeguato follow-up al fine di prevenire i danni cerebrali e
garantire uno sviluppo psicomotorio normale.
Diagnosi
La valutazione laboratoristica dell’ipoglicemia si basa sulla
determinazione di un certo numero di parametri metabolici
che possono essere indicativi del corretto funzionamento o
meno dei diversi meccanismi deputati al mantenimento dell’omeostasi glucidica; spesso tali parametri sono diagnostici solo se valutati durante la crisi ipoglicemica. È di fondamentale importanza ottenere un campione di sangue al
momento dell’ipoglicemia, per la determinazione di: pH
ematico, glicemia, insulina, lattato, 3-idrossi-butirrato, GH,
cortisolo. Nelle urine verrà ricercata la presenza di chetoni,
sostanze riducenti e verrà studiata l’aciduria dicarbossilica.
Altri esami utili per la diagnosi differenziale sono: acidi grassi liberi, glicerolo, aminoacidi, piruvato, carnitina libera ed
esterificata, C-peptide, glucagone3,34. Nel caso non fosse
stato possibile valutare il quadro metabolico in corso di ipoglicemia è necessario ricorrere al test del digiuno. Il test al
glucagone è di indubbia utilità per valutare la riserva epatica
di glicogeno e porre diagnosi differenziale tra forme dovute
a glicogenosi, difetti della gluconeogenesi, ipoglicemia chetotica idiopatica e CHI35,36. Poiché la prognosi, riguardo ai
danni neurologici che possono avere questi bambini, è correlata alla severità e alla durata soprattutto dei primi episodi
ipoglicemici, questo implica la necessità di una diagnosi
rapida di queste condizioni e di un management ottimale.
Oggi vi è accordo generale su quali siano i criteri diagnostici per CHI:
– glicemia di laboratorio < 50 mg/dl;
– aumento dell’insulinemia e del C-peptide al momento
dell’ipoglicemia; con valore di glicemia di 40 mg/dl
l’insulinemia dovrebbe essere < 5 µU/ml, nei soggetti
iperinsulinemici è superiore a 10 µU/ml;
– assenza di chetoni durante l’ipoglicemia;
– livelli inappropriatamente bassi di acidi grassi liberi;
– necessità di apporto di glucosio maggiore di 6-8
mg/kg/min per mantenere livelli glicemici > 50 mg/dl;
– incremento della glicemia ≥ 40 mg/dl dopo somministrazione di glucagone9,34.
Posta diagnosi biochimico-metabolica di CHI, oggi è indicato cercare conferma mediante l’esame genetico con la
ricerca di mutazioni dei geni SUR1, KYR6.2, GLUD1, GCK,
HADHSC, HNF4A, SLC16A1, pur tenendo presente che a
oggi solo nel 50% dei casi si individua una mutazione.
Altra tappa fondamentale dell’iter diagnostico è la distinzione tra forma focale e forma diffusa che riveste una valenza
clinica importante. Pazienti con una forma focale infatti, possono essere curati con una pancreasectomia parziale.
Invece, in caso di Di-HI non responsivo al trattamento farmacologico, è necessario ricorrere a un’asportazione del 95%
del tessuto pancreatico, con conseguente diabete e necessità di terapia insulinica e con enzimi pancreatici. Le metodiche adottate fino ad alcuni anni fa per differenziare le forme
focali da quelle diffuse preoperatoriamente consistevano in
metodi invasivi: il sampling pancreatico; la risposta insulinica
acuta (AIR) alla tolbutamide37,38. Il sampling venoso pancreatico percutaneo consiste nella cateterizzazione per via transepatica delle vene pancreatiche, nel prelievo di sangue da
ognuna di esse per il dosaggio della glicemia e dell’insulinemia e nella dimostrazione della presenza di aree di secrezione di alti livelli di insulina accompagnati da bassi livelli di glicemia. Questo metodo prevede che la terapia venga sospesa nei giorni precedenti e che la glicemia venga mantenuta
al di sotto dei 54 mg/dl. Come risultato si potrà verificare o
l’esistenza di una disregolazione globale della secrezione di
insulina (Di-HI) o invece di una o più aree affette (Fo-HI). Il
sampling è quindi una procedura tecnicamente non semplice e rischia di esporre i piccoli pazienti a ipoglicemie prolungate. Il test della risposta insulinica acuta all’infusione endovenosa della tolbutamide (antagonista dei canali del potassio
ATP-dipendenti) si basa sul fatto che il pancreas normale
(quiescente), che si ritrova nelle Fo-HI al di fuori delle lesioni,
può essere ancora stimolato a produrre insulina per azione
del farmaco, diversamente da quanto ci si attende di osservare nelle forme in cui è affetto tutto il tessuto pancreatico38.
Tuttavia, uno studio recente effettuato su bambini che sono
poi andati incontro a intervento chirurgico dei quali è pertanto nota l’istologia, ha evidenziato che il test alla tolbutamide
è quasi sempre positivo (90%) per le lesioni focali, ma contrariamente alle aspettative, anche molti pazienti (più del
50%) con una forma diffusa hanno presentato una risposta
positiva. Questo reperto è stato messo in relazione con
l’osservazione che alcune mutazioni recessive a carico dei
geni del canale del potassio ATP-dipendente appaiono giustificare la coesistenza di una marcata risposta al DZ e della
capacità dei canali di essere stimolati dalla tolbutamide39.
Anche questa metodica quindi è invasiva e non del tutto
informativa. Recentemente questi metodi sono stati soppiantati dalla TAC/PET con 18-fluoro-DOPA. La PET viene
comunemente utilizzata per identificare tumori neuroendocrini funzionanti e si è ipotizzato di utilizzarla per identificare le
lesioni nelle forme di Fo-HI utilizzando la 18F-di-idrossi-fenilalanina, un aminoacido marcato con F1840. La capacità di
captare la L-DOPA e di trasformarla in dopamina è correlata
con l’attività della decarbossilasi degli aminoacidi aromatici e
risulta aumentata nelle aree pancreatiche interessate da iperfunzione, rispetto alle aree con normale funzionamento. La
tecnica consiste nell’iniezione endovenosa di 18F-L-DOPA
(dose media di radioattività iniettata 4,2 MBq/kg di peso corporeo ± 1,0 SDS) e nell’esecuzione, dopo 45-65 minuti dall’iniezione del radiotracciante, di una scansione PET toraco-
Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia
addominale (con modalità di acquisizione tridimensionale).
La metodica si è rivelata estremamente sensibile, oltre che
poco invasiva, e permette al chirurgo di eseguire una resezione limitata alla zona interessata41,42 (Fig. 2).
Terapia
Un’ipoglicemia acuta grave è un’urgenza medica, e il trattamento consiste nel fare risalire in tempi brevi i livelli glicemici
e stabilizzarli; questo comporta l’infusione per via endovenosa di glucosio al 10% alla dose di 6-8 mg/kg/min, preceduta da un bolo alla dose di 200 mg/kg se il paziente è sintomatico, e modificando successivamente la velocità e la concentrazione dell’infusione allo scopo di mantenere i livelli di
glicemia nel range di normalità. Il CHI richiede quasi sempre
un aumento della velocità di infusione endovenosa di glucosio sino a valori ≥ 15 mg/kg/min. Questo elevato fabbisogno
di apporto di glucosio in fase diagnostica è un criterio di
sospetto di CHI e può richiedere il posizionamento di un
catetere venoso centrale per la somministrazione di una
soluzione glucosata ipertonica al 15-20%. Inoltre, se
l’ipoglicemia non risponde al glucosio per via endovenosa, in
attesa di definizione diagnostica, possono essere aggiunti
farmaci come idrocortisone o glucagone.
Nel trattamento del CHI ci si avvale di terapie il cui target sia
l’inibizione del rilascio di insulina o la mobilizzazione di glucosio epatico. I farmaci di prima scelta sono quelli che possono essere somministrati per via orale, seguiti in seconda battuta da quelli somministrabili endovena o sottocute7,43.
Il diazossido (DZ) è il farmaco di prima scelta nel trattamento del CHI; viene somministrato per via orale, la dose è generalmente calcolata in base al peso corporeo e varia da 5 a 15
93
mg/kg/die in 2-3 somministrazioni. Il DZ agisce legandosi
alla subunità ABCC8 del canale del K+ ATP-dipendente e
quindi aumentando la probabilità di apertura del canale, con
conseguente iperpolarizzazione della membrana e inibizione
del rilascio di insulina. Ci sono pareri discordanti riguardo alla
frequenza con cui i pazienti rispondono completamente a
questo farmaco, la letteratura, infatti, riporta tassi di successo variabili dal 15 al 60% o più. Queste differenze riflettono
la diversa selezione di casi candidati al trattamento,
l’efficacia delle diverse dosi in vivo e la nota eterogeneità
nella biologia molecolare, nella genetica e nell’istopatologia
riscontrata nel CHI. Nella pratica clinica, il tasso di risposta al
DZ viene limitato dal livello di tolleranza clinica, che dipende
dalla gravità degli effetti collaterali che questo farmaco può
comportare. Principali effetti indesiderati sono la ritenzione di
liquidi (edema dei piedi, delle mani e del viso), che nei bambini piccoli può causare insufficienza cardiaca, e ipertricosi
su braccia, gambe, dorso e viso che compare nella quasi
totalità dei pazienti trattati.
Dimostrato il collegamento fra la perdita dei canali K+ ATPdipendenti e l’aumento della secrezione insulinica, questo ha
suggerito la possibilità che gli inibitori dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti possano essere un valido aiuto nel trattamento del CHI. L’efficacia della nifedipina è stata documentata a partire del 1996; essa ha il vantaggio, rispetto al DZ,
di modulare direttamente gli eventi molecolari alla base della
secrezione insulinica, può essere assunta oralmente alla
dose di 0,25-2,5 mg/kg al giorno, tuttavia pochi pazienti
sono responsivi, il monitoraggio pressorio è imprescindibile e
l’esperienza clinica appare attualmente limitata.
L’octreotide è un octapeptide, analogo della somatostatina,
potente inibitore dell’ormone della crescita, del glucagone e
Figura 2 Immagini TC/PET con F-DOPA in 2 pazienti con iperinsulinismo congenito dell’infanzia; a sinistra forma diffusa, a
destra forma focale.
94
C. Ingegnosi et al.
dell’insulina e agisce attraverso una modulazione multifattoriale a livello beta-cellulare. Questa induce un aumento del
potenziale di membrana beta-cellulare che previene l’influsso
di calcio nella cellula e conseguentemente il rilascio di insulina.
Per ottenere questo effetto la somatostatina agisce a vari livelli
attivando diversi canali del potassio, fra cui quelli ATP-dipendenti in maniera indipendente dal potenziale di membrana44.
La secrezione insulinica viene inibita anche attraverso meccanismi diversi rispetto alla modulazione del potenziale di membrana e a valle rispetto all’influsso di calcio, riducendo i livelli
plasmatici di cAMP e interagendo direttamente con il meccanismo di esocitosi6. Viene somministrato per via sottocutanea
alla dose di 2-10 mg/kg/die. L’uso degli analoghi della somatostatina è gravato da effetti collaterali tra cui: soppressione
della secrezione di GH, del TSH e dell’ACTH, steatorrea, colelitiasi, distensione addominale e rallentamento della crescita.
La terapia farmacologica del CHI è limitata dal fatto che nessun farmaco usato nella pratica clinica è specifico per
l’inibizione del rilascio insulinico, e il glucagone, utilizzato per i
suoi potenti effetti di mobilizzazione del glucosio epatico, induce anche il rilascio di insulina. Inoltre il DZ, ma in parte anche
gli altri farmaci utilizzati nella terapia del CHI, agiscono a livello
del canale del potassio ATP-dipendente e richiedono quindi
l’integrità della funzione del gene ABCC8; tuttavia, la correlazione tra difetto genetico e responsività alla terapia farmacologica è ancora da chiarire45,46. Recentemente è stato riportato
che un trattamento intensivo combinato con basse dosi di
octreotide e infusione continua sottocute di glucagone, in
pazienti con forma diffusa resistente al DZ può ritardare se non
eliminare la necessità di un intervento chirurgico47. Nei pazienti non responsivi al trattamento farmacologico e che presentano una forma focale si procede con l’intervento chirurgico di
pancreasectomia parziale che oggi, grazie alla PET con 18FDOPA, permette una resezione selettiva e può rappresentare
la terapia risolutiva. Nei pazienti con forma diffusa si effettua
una pancreasectomia totale, che comporta la necessità di
terapia sostitutiva della funzione esocrina del pancreas con
enzimi digestivi, e nel tempo la comparsa di un diabete iatrogeno e somministrazione di insulina.
Storicamente più dell’80% dei neonati con CHI persistente
sono stati trattati chirurgicamente. Oggi il trattamento combinato con DZ e octreotide a lungo termine, o quello più
recentemente proposto con octreotide e glucagone, hanno
ridotto il numero di pazienti che devono essere sottoposti al
trattamento chirurgico.
Il registro italiano dell’iperinsulinismo
congenito dell’infanzia
Da quanto esposto si evince come l’iperinsulinismo congenito dell’infanzia sia una rara malattia di non facile diagnosi e
gestione e presenti le problematiche comuni a tutte le malattie rare come: garantire un’adeguata rete assistenziale, utilizzare protocolli/linee guida validati, affrontare problematiche
psicosociali. L’iperinsulinismo congenito dell’infanzia non
compare nell’elenco delle malattie del Centro Nazionale
Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità e non gode di
un’esenzione specifica per la spesa sanitaria.
Attualmente non sono disponibili dati relativi a incidenza o
prevalenza in Italia. A nostra conoscenza, non sono stati
pubblicati studi su numeri significativi di pazienti italiani e di
conseguenza non ci sono informazioni sulla distribuzione
dei casi nel territorio nazionale, frequenza delle varie forme
istopatologìche, terapie e outcome. Inoltre, poco è noto in
merito alle basi genetiche del CHI nei pazienti italiani e presumibilmente molti dei pazienti non sono stati ancora studiati dal punto di vista genetico. Abbiamo quindi pensato
che un’indagine su scala nazionale avrebbe permesso di
ottenere un’ampia casistica e che un registro nazionale
sarebbe stato lo strumento migliore per raccogliere, registrare ed elaborare dati sui pazienti affetti da CHI. Per tale
motivo, nell’ambito di un programma di ricerca cofinanziato
dal MIUR e a cui partecipano il Centro di Endocrinologia
dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Università Vita-Salute San
Raffaele di Milano, il Dipartimento di Biologia e Genetica per
le Scienze Mediche dell’Università degli Studi di Milano, il
Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università
degli Studi dell’Insubria e il Dipartimento di Pediatria
dell’Università degli Studi di Catania, è stato istituito il
Registro Italiano dell’Iperinsulinismo Congenito dell’Infanzia
(RICI). Lo scopo del RICI è quello di valutare l’incidenza della
patologia in Italia, i protocolli di accesso alla diagnosi, le procedure diagnostiche, le basi genetiche della patologia, le
procedure di follow-up. Inoltre il registro è un mezzo per
aumentare le conoscenze sulla storia naturale della patologia in quanto consente lo sviluppo di studi combinati tra epidemiologia e aspetti clinici, volti a evidenziare i determinanti eziologici e i fattori di rischio a essi associati.
Un’aggregazione nazionale di esperienze, con il necessario
confronto internazionale, consente inoltre di esprimere una
massa critica di ricerca utile per lo sviluppo di approcci diagnostici, terapie e modalità assistenziali.
Il registro è stato realizzato presso l’unità di ricerca del Dipartimento di Pediatria dell’Università di Catania ed è attivo dal
2008. È stato creato un sito internet (www.progettorici.it),
che presenta il progetto e permette la registrazione dei medici. I medici registrati possono stampare dal sito i moduli per
la segnalazione dei pazienti. I moduli, compilati in forma cartacea, vengono inviati attraverso un web-fax, che archivia i
documenti ricevuti in area riservata e protetta e permette la
stampa presso la sede del registro. Attraverso il modulo è
possibile richiedere per il paziente inserito nel registro la diagnosi genetica; lo studio genetico dei pazienti italiani con CHI
rappresenta infatti parte fondamentale del progetto nell’ambito del quale è stato istituito il registro. Dall’inizio dell’attività
del registro sono stati individuati circa 90 pazienti, e già
acquisiti i dati di 48 casi (29 maschi e 19 femmine). I pazienti provengono da: Lombardia, Sicilia, Campania, Emilia,
Marche, Puglia, Sardegna, provincia di Trento e Bolzano.
L’età mediana attuale dei pazienti è 6 anni (range 1-35) e la
durata mediana del follow-up risulta di 4,2 anni. Dati preliminari suggeriscono che dal punto di vista clinico i pazienti del
RICI presentano delle peculiarità rispetto a quanto si evince
dalla letteratura. Lo studio genetico ha già permesso di indi-
Ipoglicemia da iperinsulinismo congenito dell’infanzia
viduare 5 mutazioni nuove dei geni ABCC8/KCNJ11 e una
rarissima mutazione del gene HADH.
Molto è ancora da fare al fine di migliorare la gestione clinica
di questi pazienti e ridurre la prevalenza delle gravi complicanze cui possono andare incontro. Tra le diverse strategie che
possono essere perseguite a tal fine, un ruolo cruciale sarà
sicuramente svolto dai progressi nella comprensione delle basi
genetiche e nell’individuazione di nuovi loci genetici e nuove
mutazioni coinvolti nel CHI. Quando l’analisi genetica potrà
essere eseguita di routine, queste informazioni rivestiranno un
ruolo nella fase diagnostica e nella scelta dell’approccio terapeutico. Tuttavia, i benefici clinici delle conoscenze genetiche
deriveranno dall’estensione dell’analisi genetica a grandi
numeri di pazienti e da conseguenti studi di correlazione genotipo-fenotipo. Il progetto iniziale di ricerca delle mutazioni
genetiche note nei pazienti inseriti nel registro, proseguirà con
l’applicazione di tecniche di sequenziamento ultramassivo allo
scopo di individuare nuovi loci di malattia.
Nonostante la comunicazione dell’istituzione del registro sia
stata ampiamente diffusa attraverso comunicazioni telematiche, e non solo, alle strutture sanitarie e alle società scientifiche, presso tutto il territorio nazionale, i casi, pur cominciando a costituire una casistica significativa, sono a oggi
inferiori a quelli attesi.
In conclusione, auspichiamo di sensibilizzare e coinvolgere
un numero sempre maggiore di centri e di specialisti che
hanno in carico pazienti affetti da CHI, in modo da implementare la casistica del RICI e contribuire significativamente
al progresso delle conoscenze e della gestione di questa
rara e complessa malattia.
Fonti di finanziamento
Il progetto di ricerca sull’iperinsulinismo congenito dell’infanzia è stato finanziato dal MIUR: PRIN 2006063299.
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