scarica - People – Università di Pisa
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ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 1 Produzione di energia e strategie per ridurre l’effetto serra Opere di geoingegneria Con il termine geoingegneria si intendono dei progetti su grande scala finalizzati a modificare il clima su tutto il pianeta. L’obiettivo è di contrastare il riscaldamento globale, causato dall’aumento dei gas serra. Finora nessun progetto è stato sperimentato su larga scala, per cui ad oggi nessun progetto risulta realmente fattibile, anche se non è escluso che ulteriori studi e sperimentazioni possano portare in futuro all’attuazione di un qualche progetto di geoingegneria. I modi per cercare di rallentare il riscaldamento globale si possono raggruppare in due filoni. Aumentare l’albedo, riflettendo nello spazio una piccola frazione di radiazione solare che raggiunge l’atmosfera e che viene poi convertita in calore. Queste azioni avrebbero un effetto rapido sul clima terrestre, alcuni anni L’obiettivo specifico dichiarato è di ridurre di circa il 2% l’intensità della radiazione solare sulla Terra, che sarebbe sufficiente a contrastare l’aumento dell’effetto serra causato dal raddoppio di CO 2 nell’aria. Rimuovere parte dell’anidride carbonica dall’atmosfera e immagazzinarla nel sottosuolo o nei fondali oceanici, in modo che non contribuisca all’effetto serra. Questi tipi di azioni avrebbero un effetto lento sul clima terrestre. Metodi per aumentare l’albedo nell’atmosfera. Uso di superfici riflettenti nello spazio. Si tratta di posizionare un grande numero di dischi di Silicio nella zona dove le attrazioni gravitazionali delle Terra e del Sole si equivalgono. Questo metodo avrebbe il vantaggio che i dischi resterebbero nella zona per molto tempo, ma gli enormi costi associati rendono questo progetto per adesso non realizzabile. Uso di specchi nell’orbita della Terra. Assomiglia un poco al precedente, con la differenza che gli specchi sarebbero vicini alla Terra e ruoterebbero attorno ad essa in orbite casuali, come fanno i satelliti. Occorrerebbero dei dischi spessi per contrastare la pressione della luce, che tenderebbe a farli ricadere sulla Terra. Anche questo progetto è molto ambizioso, ma non risulta fattibile a causa degli enormi costi necessari. Aumento di aerosol di solfato nella stratosfera. È il metodo più discusso, in quanto gli effetti che causerebbe sono tuttora oggetto di un acceso dibattito. Si tratterrebbe di immettere microscopiche particelle di solfato nella bassa stratosfera. In questa regione si trova già una piccola quantità di goccioline di acqua contenenti acido solforico, che ha origine dalla ossidazione dei gas contenenti zolfo: principalmente SO2 e H2S. Queste hanno diametro dell’ordine di 10-6 m e riflettono in una certa misura la luce solare, per cui aumentano l’albedo, con un conseguente abbassamento di temperatura. Questa convinzione si basa anche sugli esperimenti eseguiti in occasione dell’eruzione del vulcano Pinatubo, dove di osservò una diminuzione di temperatura a causa della presenza di particelle di solfato di piccole dimensioni. Il problema fondamentale che ostacola la realizzazione di un tale progetto riguarda la quantità di solfato da immettere nella stratosfera, che si stima dell’ordine di 109 kg ogni anno, per avere un raffreddamento efficace. Questo progetto prevede dei costi ancora molto alti, seppur ben inferiori ai precedenti progetti basati su specchi. In ogni caso i dettagli della tecnologia necessaria non sono ancora stati messi a punto, e non si prevede che ciò avverrà a breve termine. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 2 Metodi per aumentare l’albedo a livello del suolo. Sbiancamento delle nuvole. Si vorrebbe di aumentare l’albedo delle nuvole marine a bassa quota. Le superfici degli oceani sono coperte da nuvole per circa il 25% per cui un tale effetto già esiste in natura. Occorre immettere molte altre nubi fatte di goccioline di dimensioni molto piccole, affinché prevalga la riflessione piuttosto che l’assorbimento di luce solare. Particelle efficaci potrebbero essere costituite semplicemente da acqua marina che potrebbe essere spruzzata da delle navi in modo continuativo, affinché l’azione sia efficace. Un difetto di questo progetto è che solo le aree oceaniche sarebbero interessate. Verniciatura di tetti e strade. Se si verniciassero tetti e strade di una vernice bianca brillante, essi rifletterebbero in misura maggiore la luce solare con un certo raffreddamento delle città. I vantaggi sarebbero importanti: si avrebbero abitazioni più fresche ed anche un minore uso di condizionatori. Naturalmente sarebbero interessate soprattutto le fasce tropicali, ma anche le temperate nelle stagioni soleggiate. Tuttavia i costi di verniciatura e mantenimento sarebbero alti. Oggetti riflettenti nei deserti. I deserti coprono circa il 10% della superficie terrestre. Molti di essi sono caldi e ricevono molta luce solare anche per la scarsità di nuvole. Si stima che attualmente i deserti riflettano circa 1/3 della luce che ricevono. Con il posizionamento di oggetti riflettenti sulla loro superficie, la frazione di radiazione solare riflessa potrebbe arrivare fino a 3/4. Se tutti i deserti fossero dotati di efficaci specchi, si avrebbe un raffreddamento significativo, almeno a livello locale. C’è però il rischio che alterazioni locali del clima possano causare effetti climatici imprevedibili su larga scala. Effetti collaterali. Le azioni di geoingegneria, una volta realizzate, tenderebbero ad abbassare la temperatura e perciò influenzerebbero il clima globale della Terra. In particolare esse porterebbero a una diminuzione delle precipitazioni in molte zone abitate, causa la minore evaporazione dell’acqua a livello del suolo. Un simile fenomeno fu già osservato nel periodo seguente l’eruzione del vulcano Pinatubo. In particolare le azioni locali potrebbero provocare alterazioni su larga scala delle precipitazioni, con possibili effetti anche sui monsoni annuali che portano pioggia nell’Africa sub sahariana. La difficile previsione di questi effetti riguarda soprattutto le azioni intraprese a livello locale, come gli specchi nei deserti e la verniciatura di tetti e strade. Va infine menzionato che si teme che l’immissione di solfati nella stratosfera possa favorire la catalisi di distruzione dell’ozono, come sembra sia stato osservato (ancora) per l’eruzione del vulcano Pinatubo. In conclusione, anche i progetti menzionati con più alto indice di fattibilità, sono visti con molta cautela, poiché è molto difficile prevedere le reazione meteorologiche su larga scala e per tempi lunghi. I possibili effetti di tali azioni vanno valutati con molta attenzione per essere ragionevolmente sicuri che l’azione intrapresa provochi benefici e non vada a peggiorare la già seria situazione determinata dal riscaldamento globale. Sequestro della CO2 Oltre ai progetti per diminuire l’albedo appena discussi, ci sono altri progetti per cercare di evitare il rilascio di anidride carbonica nell’aria. L’obiettivo è di estrarla dai gas di scarico e immagazzinarla in opportuni siti sotterranei o oceanici, in modo che non contribuisca all’effetto serra. L’azione è rivolta soprattutto verso le centrali elettriche a combustione, che sono responsabili per circa 1/3 delle emissioni di CO2 antropica. Fino ad oggi sono stati realizzati solo progetti su piccola scala, per verificarne la fattibilità pratica e i costi da sopportare. Qualunque progetto diretto al sequestro di CO2 deve tener conto di due aspetti importanti. Il primo è che la CO2 deve essere concentrata sul posto, per evitare il trasporto di tutto il gas di scarico, che avrebbe costi eccessivi. Si pensa invece di trasportare solo la CO 2 concentrata in loco dai gas di scarico. Un’ipotesi realistica è di trasportarla come fluido supercritico, dato che la pressione e temperatura critiche hanno valori non troppo spinti, Pc=73 bar Tc=31 ºC. Il vantaggio di ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 3 trasportare fluidi supercritici è che hanno densità dello stesso ordine di grandezza di un liquido, ma proprietà di trasporto simili a quelle di un gas. In particolare per il trasporto in oleodotti è importante la bassa viscosità dei fluidi supercritici. Il secondo aspetto da considerare attentamente è che la separazione della CO2 da N2,H2O(g),O2 richiede una certa dose di energia, cioè più carburante e perciò una maggiore quantità di CO 2 emessa. Ciò provoca anche un incremento dei costi, per cui si stima che il sequestro totale di CO2 nelle centrali elettriche produrrebbe un aumento di 1/3 del prezzo attuale dell’energia elettrica. Schema di sequestro della anidride carbonica. I gas di scarico della centrale elettrica a conbustibile fossile entrano nel separatore, che sequestra la CO2 e rilascia nell’aria gli altri gas. La CO2 viene trasportata al sito di stoccaggio in forma supercritica. Notare che il funzionamento del separatore richiede una certa quantità di energia. Modo 1 – condensazione della CO2. Una strategia di separazione dell’anidride carbonica dagli altri gas di scarico prevede due passaggi distinti. Nel primo passo i gas di scarico vengono raffreddati in modo che il vapore acqueo si condensi e formi così una fase liquida facilmente separabili. I gas di scarico rimanenti (essenzialmente N2, CO2 e O2) vengono ulteriormente raffreddati fino a -80 ºC per far condensare l’anidride carbonica, ma non l’azoto molecolare. In questo modo la separazione è semplice da un punto di vista chimico, ma il raffreddamento a -80 ºC è molto costoso in termini di energia e il metodo globale non è efficiente. Modo 2 – sequestro chimico reversibile della CO2 in soluzione alcalina. Un’altra strategia per la separazione dell’anidride carbonica dagli altri gas di scarico prevede l’uso di agenti chimici in grado di catturare selettivamente l’anidride carbonica senza alcuna azione sugli altri gas N 2 , H2O e O2. Si tratta di far gorgogliare i gas di scarico in una soluzione acquosa di una certa sostanza in modo che la CO2 venga legata, ma non gli altri gas. Il legame deve essere piuttosto debole, in modo da creare condizioni di temperatura e/o pressione che ne favoriscano il rilascio. La sostanza adatta allo scopo deve essere solubile in acqua ed essere alcalina, in modo da sfruttare l’acidità della CO2, che in acqua forma acido carbonico. Vediamo nel dettaglio una possibile soluzione (illustrata nella figura sotto). I gas di scarico sono fatti salire dentro una torre a riempimento nella quale scorre una soluzione acquosa di un’ammina primaria o secondaria. La torre è concepita per creare una grande superficie di contatto tra la fase liquida e vapore, in modo che possano avvenire reazioni tra le sostanze presenti nelle due fasi. Nella soluzione avviene la reazione di protonazione della base H2CO3(aq) + RNH2(aq) → HCO3- (aq) + BH+(aq) per cui parte della CO2 che si è sciolta in acqua, vi rimane nella forma di bicarbonato. Gli altri gas di scarico non subiscono alcuna reazione del genere, passano attraverso la soluzione e vengono emessi nell’aria. L’equilibrio di questa reazione è spostato verso destra a temperatura ambiente, ma ad alte temperature è spostato verso sinistra, cioè un aumento di temperatura può invertirne il senso. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 4 La soluzione contenente bicarbonato viene allora scaldata a 120 ºC. In queste condizioni si libera CO2(g) che viene facilmente separato dalla soluzione e avviato allo stoccaggio. La soluzione rimanente è priva di bicarbonato e può essere di nuovo utilizzata per catturare altro biossido di carbonio. Dopo essere stata raffreddata, viene quindi reimmessa nella torre a riempimento, dove viene a contatto con i gas di scarico e il ciclo può continuare. Con questo metodo si riesce a ottenere un tasso di recupero di CO2 del 90%. Cattura reversibile della CO2 nel solvente amminico. Nel gorgogliatore la CO2 viene trattenuta nella soluzione,. Una volta riscaldata a 120 ºC rilascia la CO2(g) catturata, che può essere avviata allo stoccaggio. Gli altri gas di scarico vengono rilasciati in aria. Una volta raffreddata, la soluzione viene immessa di nuovo nel gorgogliatore per ripetere il ciclo di cattura della CO2. I passaggi energeticamente più dispendiosi sono il riscaldamento della soluzione con bicarbonato in modo da far rilasciare la CO2, il successivo raffreddamento e la compressione della CO 2 separata per l’avvio al sito d’immagazzinamento. Anche gli spostamenti della soluzione sono energeticamente costosi. Eventuali ossidi di azoto e di zolfo nei gas di scarico devono essere preventivamente allontanati, per evitare che entrino in contatto con l’ammina, degradandola. In ogni caso la soluzione amminica non può essere usata indefinitamente, dato che a ogni ciclo la purificazione non è perfetta a causa della formazione di ammoniaca e sali amminici. Dal punto di vista chimico questa tecnica sfrutta la variazione della costante di equilibrio con la temperatura. Dato che la reazione sopra è esotermica, la sua costante di equilibrio (in base al principio di Le Chatelier) deve diminuire con un aumento di temperatura. Immagazzinamento della CO2 nei fondali marini L’anidride carbonica in condizioni ambientali normali (20 ºC, 1 atm) si presenta come un gas e un abbassamento di temperatura provoca il passaggio di stato alla fase solida (brinamento a ghiaccio secco), diversamente dalla maggior parte delle sostanze, che passano prima alla fase liquida e successivamente alla fase solida. Nei progetti di immagazzinamento della CO 2 sui fondali oceanici o sotto terra, occorre tener conto che le pressioni saranno molto più alte, per cui la fase liquida può essere quella termodinamicamente più stabile a seconda della temperatura. Nel diagramma delle fasi dell’anidride carbonica che per pressioni superiori a 73 atm il gas non esiste e, a seconda della temperatura, le fasi stabili sono il solido o il liquido o il fluido supercritico. I fluidi supercritici hanno proprietà intermedie tra i gas e i liquidi. Una caratteristica importante è che tali fluidi possono avere densità paragonabili ai liquidi, ma mantengono proprietà di trasporto più simili ai gas, come la viscosità. Un’altra caratteristica importante della CO2 supercritica riguarda la sua densità (massa/volume). A pressioni > 270 atm la densità della CO2 è maggiore di ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 5 quella dell’acqua per cui, nelle deposizioni di anidride carbonica sui fondali oceanici la profondità risulta molto importante. Poiché la pressione nei mari aumenta di 1 atm per ogni 10 m di profondità, i fondali oceanici più profondi di 2700 m possono essere adatti allo stoccaggio dell’anidride carbonica, in quanto questa, una volta depositata come liquido compresso o come fluido supercritico, non risale in superficie. Dato che gli oceani coprono circa il 70% della superficie terrestre e hanno profondità media intorno a 3800 m, in linea di principio sarebbe possibile immagazzinare una quantità enorme di CO2 sui fondali degli oceani. Vi sono però altri problemi, di cui il principale riguarda l’interazione dell’anidride carbonica con l’acqua marina. All’interfaccia CO2/H2O si formano dei clatrati solidi di anidride carbonica (retidoli di H2O che ingabbiano molecole di CO2) per cui, di fatto, una parte del deposito si scioglierebbe in acqua, e in tempi lunghi potrebbe anche arrivare in superficie. Un altro serio problema riguarda il fatto che al di sotto del deposito di CO2 la vita marina sarebbe sterminata a causa della completa assenza di acqua e di ossigeno. Inoltre una parte della CO 2 si scioglierebbe nell’acqua provocando un’acidificazione dell’acqua marina (diminuzione di pH). Il comportamento acido del biossido di carbonio avviene tramite la reazione di dissociazione dell’acido carbonico CO2 aq H2O H2CO3 aq HCO3 aq H L’acido carbonico può anche reagire con il bicarbonato di sodio di a formare bicarbonato di calcio H2CO3 aq CaCO3 ( s) Ca(HCO3 )2 aq Questa reazione implica la dissoluzione del carbonato di calcio, di cui sono composte le conchiglie, con conseguenze negative sulla vita degli organismi marini con guscio calcareo. In una variante di questo progetto l’immagazzinamento della CO2 avverrebbe in contemporanea al carbonato di calcio, per cui si eviterebbe l’acidificazione degli oceani. Per questo sarebbero necessarie enormi quantità di calcare, ma si potrebbero comunque realizzare enormi stoccaggi. principio di Le Chatelier) deve diminuire con un aumento di temperatura. Immagazzinamento della CO2 nelle profondità della terra Un altro filone con gli stessi obiettivi appena visti, riguarda il seppellimento sotto terra a grandi profondità di enormi quantità di anidride carbonica. Per questo scopo si potrebbero utilizzare giacimenti esauriti di petrolio e gas naturale, che hanno lasciato enormi caverne sotterranee di grande stabilità geologica. Oppure si potrebbe pompare CO2 in filoni di carbone troppo profondi per essere estratti, con il vantaggio di provocare il rilascio di metano contenuto nel carbone. Un’altra possibilità è di pompare CO2 nei giacimenti petroliferi per aumentarne il recupero, coda già in opera in alcuni pozzi petroliferi, anche se fino ad oggi la CO2 viene recuperata e riutilizzata. in alcuni pozzi petroliferi, anche se fino ad oggi la CO2 viene recuperata e riutilizzata. Produzione di energia Fattori che determinano il consumo di energia Dalla Rivoluzione industriale in poi il fabbisogno di energia è cresciuto anno dopo anno. Corrispondentemente si è osservato un costante incremento di produzione di energia, ottenuta per la maggior parte da combustibili fossili e in misura minore da reazioni nucleari e fonti rinnovabili. Negli ultimi 40 anni il tasso medio globale di aumento è stato di circa 1–2% annuo, anche se nell’ultimo decennio il tasso è cresciuto fino al 3%, a causa del rapido sviluppo dei paesi emergenti. Il massimo incremento annuo è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale, quando la produzione di energia era circa il 10% di quella attuale. Si prevede che nel 2035 la produzione di energia sarà aumentata del 46% rispetto a quella del 2010, per lo più dovuta ai paesi in via di sviluppo. Due fattori determinano il fabbisogno energetico di un paese: ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 6 1. la popolazione. Anche se la quantità pro capite di energia disponibile varia molto da paese a paese, è evidente che il numero di abitanti è all’incirca proporzionale al fabbisogno energetico totale. Molti fattori influenzano la quantità di energia pro capite; tra questi ci sono i fattori climatici che determinano il fabbisogno energetico per il riscaldamento delle abitazioni . In Canada ogni abitante ha a disposizione 8,17 t di petrolio equivalente, mentre India solo 0,53. 2. le attività economiche. Il fattore più importante che determina il consumo di energia di un paese è il suo Prodotto Interno Lordo (PIL), che misura la quantità di beni e servizi prodotti dagli abitanti in un anno. Il rapporto tra l’energia consumata e il PIL viene chiamato Intensità Energetica (IE) Intensità Energetica = Consumo di energia PIL Una bassa IE indica una buona efficienza di come l’energia è impiegata, mentre, viceversa, un’alta IE indica che nella produzione di beni e servizi ci sono molti sprechi energetici. Di solito durante la fase di espansione economica di un paese la IE è piuttosto alta, mentre in seguito tende a scendere, grazie ad accorgimenti atti a migliorare i metodi di produzione. Qui sotto è riportata l’efficienza energetica di alcuni paesi. Stati Uniti Gran Bretagna Russia Cina 7.9 4.5 15.4 11.7 Le fonti di energia Il continuo aumento di fabbisogno energetico ha determinato un grande sviluppo di produzione di energia, essenzialmente sotto forma di energia termica, che vien poi in parte trasformata in energia elettrica. Nella tabella sotto sono riportate le percentuali mondiali di utilizzo delle principali fonti di energia: combustibili fossili, rinnovabile e nucleare nell’anno 2008 ed anche, secondo le previsioni, nel 2035. fonte di energia 2008 2035 combustibili fossili liquidi 35% 30% petrolio, benzine, gasolio carbone 27% 28% gas naturale 23% 22% rinnovabili 10% 14% nucleare 5% 6% Il petrolio è la più utilizzata fonte di energia, seguita dal carbone, che in futuro, potrebbe superalo a causa del suo basso prezzo e delle enormi risorse ancora a disposizione. Anche il gas naturale ha raggiunto livelli apprezzabili di utilizzo, mentre in futuro ci si aspetta un forte aumento delle energie rinnovabili. La percentuale di utilizzo varia molto a seconda della regione geografica. Per esempio il carbone è la principale fonte energetica dei paesi asiatici (> 50%), mentre il Nord America e l’Europa sono più in linea con le medie globali. Il minor consumo energetico si riscontra nell’Africa e Sud America a causa della poca industrializzazione di quelle regioni. I combustibili fossili Carbone – Da un punto di vista chimico il carbon fossile è grafite (uno stato allotropico del carbonio) con varie impurezze, principalmente SO2, Uranio e Fluoro. Il carbone si è formato a partire da 300 milioni di anni fa (era carbonifera), quando un clima caldo ed umido e alte concentrazioni di CO2 favorirono la crescita di grandi alberi. Una volta morte, queste piante si ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 7 depositarono in ambienti subacquei anaerobici, nei quali l’assenza di ossigeno impedì la loro decomposizione con rilascio di biossido di carbonio. A parità di energia prodotta, il carbon fossile emette più CO2 degli altri idrocarburi, per cui ai fini dell’effetto serra è il meno raccomandabile. È molto usato nelle centrali termiche per produrre energia elettrica, soprattutto in Asia, ma anche in Nord America e Europa. Negli Stati Uniti circa la metà dell'elettricità è generata dal carbone, in Italia la quota è attualmente del 10%. In passato era utilizzato anche per alimentare alcuni mezzi di trasporto, quali le locomotive e le navi a vapore, ed anche per il riscaldamento degli edifici. A causa delle sue impurezze, che vengono rilasciate in aria durante la combustione, e del fatto che produce notevoli quantità di fuliggine, il carbone si è guadagnato la reputazione di “combustibile sporco”. Le riserve di carbone sono le più grandi al mondo e si prevede che dureranno ancora almeno altri 200 anni. Per questa ragione ed anche per la semplicità di raccolta, il carbone è l’idrocarburo più economico, la qual cosa determina il suo largo consumo. Gas naturale – Gas naturale e petrolio sono miscele di idrocarburi formatisi sotto la superficie terrestre per decomposizione di organismi marini animali e vegetali, ad opera di batteri anaerobi, durante il periodo paleozoico quando esisteva un’abbondante flora marina. Lo sprofondamento ha evitato il contatto con l’ossigeno dell’aria, per cui il gas naturale (e petrolio) contiene carbonio in forma ridotta. Il gas naturale si trova in depositi ad alta profondità intrappolati da rocce impermeabili. Il gas naturale è composto per il 60 – 90% di metano con quantità minori di etano, propano e butano. A causa della sua bassissima temperatura di ebollizione (Tb= -164 ºC), il metano non può essere liquefatto anche a pressioni moderatamente alte, per cui si usa come gas in tutte le fasi dall’estrazione alla combustione. Il metano si separa facilmente dagli altri gas, che bollono a temperature molto più alte. Tra questi l’etano viene per lo più convertito in etilene, a sua volta utilizzata per produrre il polimero polietilene. L’impurezza più rilevante del gas naturale è costituita da acido solfidrico H2S, che è rimosso sfruttando la sua maggiore solubilità in acqua rispetto al metano. Il metano si trasporta sotto pressione attraverso i gasdotti e qui una piccola parte sfugge nell’atmosfera a causa delle perdite. L’aumento di effetto serra che ne consegue cancella in parte i suoi vantaggi come combustibile fossile, dato che è più efficiente del petrolio e del carbone in termini emissioni di CO2. Il trasporto nei gasdotti presenta anche il problema di un possibile uso politico da parte dei paesi attraversati. Il trasporto su nave è pericoloso e molto costoso. Per queste (e altre) ragioni in Arabia Saudita il metano che fuoriesce insieme al petrolio viene bruciato sul posto. Molto metano si trona anche nei clatrati (idrati di metano) dei sedimenti oceanici e nel permafrost. Una tecnologia efficiente ed economica per estrarlo dai clatrati ancora non esiste. Il metano si trova anche nel gas di scisto, immerso nelle rocce in profondità, ma l’estrazione è assai complicata e non viene eseguita. I giacimenti di carbon fossile contengono una certa quantità di metano, la cui separazione è complessa. Uno dei vantaggi del metano rispetto alle benzine e al gasolio, è che non rilascia particolati o altri idrocarburi reattivi (e perciò tossici) per cui non inquina l’aria. Questo accade perché il metano non contiene catene di carbonio. Inoltre ha un’efficienza energetica superiore alle benzine e al carbone in termini di energia prodotta rispetto alle emissioni di CO2. Per questo il metano è stato associato alla parola “energia pulita”. Come accennato sopra, le perdite nei gasdotti fanno però perdere parte di questi vantaggi. La componente di propano può essere invece liquefatta sotto pressione (Gas di Petrolio Liquefatto, GPL) e si può immagazzinare in modo efficace ed utilizzare come combustibile per autoveicoli. Petrolio – Il petrolio greggio è una miscela di tanti composti, la maggior parte dei quali sono idrocarburi. La proporzione cambia da un giacimento all’altro. Gli idrocarburi più abbondanti sono ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 8 alcani (da CH4 a C100) sia a catena lunga che ramificata, ma sono presenti anche ciclo alcani e idrocarburi aromatici, tra cui benzene e toluene. Il petrolio greggio ha origini fossili come il gas naturale e si trova intrappolato nelle rocce a grande profondità, da cui viene pompato in superficie tramite i pozzi petroliferi. Per essere utilizzato deve essere separato, nelle raffinerie, in diverse frazioni che trovano ciascuna uno specifico utilizzo. Le frazioni più rilevanti sono la parte liquida (da C5 a C20) e la parte solida, le cere. Il petrolio contiene anche zolfo fino al 4% nella forma di H 2S e tioli, che può essere rimosso facilmente nel processo di distillazione frazionata. Poiché il petrolio è liquido, questa separazione è molto più semplice che nel carbone. I carburanti del petrolio (benzine, gasolio) sono liquidi ad alta densità di energia, economici e di facile impiego, e vengono largamente usati negli autoveicoli e per il riscaldamento delle abitazioni. Le benzine contengono alcani C7 – C8, mentre il gasolio contiene C9-C11 per cui è meno volatile, dato che la volatilità diminuisce all’aumentare della massa molecolare. Nei motori a benzina occorre aggiungere un antidetonante al carburante, per evitare l’esplosione in anticipo rispetto alla fine corsa del pistone. Si usava piombo tetrametile Pb(CH 3)4, che ha causato seri inquinamenti da piombo ed inoltre avvelena i convertitori catalitici. Attualmente, nei paesi industrializzati alla benzina si aggiunge benzene, toluene, xileni che vengono distrutti solo parzialmente dal convertitore, per cui una frazione viene rilasciata nell’aria, con effetti cancerogeni sulla salute umana. In alcuni paesi si aggiunge invece etanolo. Efficienza energetica Un’importante quantità di energia che è attualmente utilizzata per scopi domestici e industriali potrebbe essere risparmiata con l’adozione di tecnologie più efficienti, per ogni tipo di utilizzo. In pratica si tratta di ottenere lo stesso obiettivo, con un consumo minore di energia, il che significa migliorare il rendimento energetico. Un esempio sono le lampadine fluorescenti per l’illuminazione delle case, che consumano molta meno energia di quelle a filamento per produrre la stessa quantità di luce. Naturalmente esse sono più costose, per cui il recupero sulla bolletta richiede un certo tempo. In modo simile l’uso dell’energia elettrica prodotta dalle celle fotovoltaiche comporta una spesa iniziale, che viene recuperata nel corso di pochi anni. Anche l’efficienza delle automobili è migliorata negli ultimi anni, soprattutto con l’adozione di nuovi e più efficienti materiali, per cui a parità di prestazioni, la benzina o il gasolio consumati per chilometro sono diminuiti. Se l’obiettivo è di consumare meno energia, va comunque considerato che se un dispositivo diventa più efficiente, e quindi più economico, si tende ad usarlo di più, per cui non è scontato che a un miglioramento dell’efficienza energetica corrisponda un minor consumo di energia. Gli Stati Uniti sono stati il principale emettitore di gas serra, ma sono stati sorpassati dalla Cina dal 2006 in poi. Fino ad ora quasi tutti gli aumenti di emissioni di CO2 sono il risultato dell’aumentato utilizzo di combustibili fossili, dalla rivoluzione industriale in poi. Tuttavia il rapporto tra energia prodotta e CO2 generata cambia molto da paese a paese ad anche nello stesso paese con il tempo. Una variabile che in diversi paesi è cambiata nel tempo è la frazione dei vari combustibili bruciati per produrre energia. I combustibili fossili più usati hanno una diversa efficienza energetica, cioè il biossido di carbonio prodotto per ottenere la stessa quantità di energia è diverso come mostrato nella tabella sottostante. carbone > petrolio > gas naturale >> fonti rinnovabili e nucleare Il meno efficiente è il carbone, mentre quello che produce meno CO 2 è il gas naturale, che viene considerato il miglior combustibile fossile in termini di emissioni di gas serra e di altri gas inquinanti. Va anche notato che la produzione di energia da fonti rinnovabili e da energia nucleare comporta una certa quantità di emissioni, nella realizzazione dei componenti e nella fase di realizzazione dell’impianto. Il vantaggio di queste strutture è che nel funzionamento normale non si hanno emissioni di gas serra. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 9 Sfortunatamente, nel futuro, a causa del progressivo esaurimento dei giacimenti di petrolio e gas naturale (e del loro conseguente aumento di prezzo), si prevede che l’uso del carbone aumenterà soprattutto nei paesi emergenti. Biocombustibili I vari problemi di tipo ambientale, economico e di approvvigionamento, legati all’uso di combustibili fossili per la produzione di energia, hanno stimolato la ricerca di altri tipi di combustibili e fonti alternative di produzione di energia. Questi modi devono avere almeno due caratteristiche fondamentali. 1. Basse emissioni di gas serra, per combattere il riscaldamento globale. 2. Fonti rinnovabili, nel senso che ci siano riserve per molti anni. Tra i vari possibili miglioramenti c’è il filone dei biocombustibili, da usare al posto dei tradizionali combustibili fossili. I biocombustibili che discuteremo sono prodotti a partire da biomasse vegetali, sono in forma liquida, hanno un’alta densità di energia e per combustione rilasciano CO 2 in aria. La biomassa, prodotta dalla fotosintesi, rappresenta una forma indiretta di immagazzinamento dell’energia solare nel tessuto vegetale. Infatti, come schematizzato nella figura, la radiazione solare innesca la fotosintesi clorofilliana che trasforma acqua e anidride carbonica in tessuto vegetale con rilascio di ossigeno. Questo sistema ha un’energia superiore a quella dei reagenti, perché contiene anche l’energia radiante che ha assorbito nella fotosintesi. Una volta bruciato il vegetale con ossigeno molecolare formatisi nella fotosintesi, si riformano le sostanze elementari acqua e biossido di carbonio e l’energia in eccesso viene convertita in calore. L’efficienza della fotosintesi nella conversione di energia solare in energia chimica è assai bassa, circa 1%. Per i bisogni energetici attuali occorrerebbe utilizzare tutto il terreno agricolo terrestre. Quindi una sostituzione completa dei combustibili fossili con i biocombustibili è impossibile. Vantaggi dei biocombustibili: 1. I biocombustibili sono carbonio neutrali. La quantità di anidride carbonica emessa nella combustione è la stessa utilizzata nella fotosintesi, per cui l’uso dei biocombustibili non incrementerebbe la quantità di CO2 nell’atmosfera. 2. Sono rinnovabili, nel senso che la produzione può essere sostenuta per tempi indefiniti. Svantaggi dei biocombustibili. 1. Per i terreni non coltivati sarebbe necessaria una deforestazione, con l’eliminazione della biomassa attualmente presente, per ottenere aree dove coltivare piante per la produzione di biocombustibili. Nelle deforestazioni spesso gli alberi sono bruciati sul posto, generando CO2 senza un utilizzo dell’energia termica rilasciata. Inoltre distruggere foreste giovani implica la rinuncia al sequestro di carbonio che si avrebbe lasciandole crescere. Per i terreni già in uso per l’agricoltura, si tratterebbe di cambiare tipo di coltivazione, rinunciando così alla produzione alimentare. 2. Per ottenere questi cambiamenti sarebbe necessario del carburante, le cui emissioni sarebbero compensate dai risparmi derivanti dall’uso di biocombustibili in decenni. Questa e altre situazioni in cui si consuma una certa spesa energetica necessaria per attivare nuove ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 10 forme di produzione di energia in modo più vantaggioso per i gas serra, prende il nome di debito di carbonio (vedi dopo). 3. La conversione della biomassa in biocombustibili richiede una spesa energetica non indifferente. Se questa fosse ottenuta dai combustibili fossili, il risparmio nelle emissioni di gas serra inerente all’uso di biocombustibili, sarebbe parzialmente cancellato. 4. Per la coltivazione delle piante atte a essere trasformate in biocombustibili (per esempio mais e soia), sarebbero necessari dei fertilizzanti azotati, che aumenterebbero le emissioni di N2O (ossido nitroso) che è un efficace gas serra. Il debito di carbonio (in inglese upfront carbon debt) corrisponde alla quantità di CO2 prodotta per dare inizio a nuove forme di produzione più vantaggiose in termini di emissione di gas serra. Esso include, non solo la “spesa” iniziale una tantum, ma anche le emissioni legate a quelle attività, periodicamente necessarie per la produzione di biocombustibili. In particolare, per preparare il terreno a una nuova coltivazione, per esempio di mais, occorre bruciare i residui della precedente coltivazione, con un rilascio di CO2 da compensare. I vantaggi della nuova coltivazione arriveranno dopo un certo lasso di tempo, per cui si crea un debito iniziale di emissioni che verrà compensato in futuro. Il debito di carbonio va considerato proprio come un debito da ripianare, nel senso che i vantaggi dell’uso dei biocombustibili inizierebbero solo quando tale debito sia stato compensato dai risparmi energetici che ne derivano. Nel caso dei biocombustibili il debito di carbonio deriva dalla combustione delle piante nei processi di deforestazione, dal carburante necessario all’ottenimento dei biocombustibili dalle piante e dal mancato sequestro di carbonio che si avrebbe se quelle aree adibite per la produzione di biocombustibili fossero usate per foreste. Le stime sui tempi necessari per ammortizzare questo debito di carbonio sono molto varie, da decenni a secoli. Competizione per le terre fertili: cibo o energia? Una delle principali critiche che viene fatta all’uso e produzione di biocombustibili, parte dalla considerazione che la quantità di terre fertili sulla Terra è una risorsa limitata. Perciò un incremento di coltivazioni adibite alla produzione di biocombustibili porterebbe, inevitabilmente, ad una diminuzione di terre destinate all’agricoltura. Tutto ciò va considerato anche alla luce della bassa efficienza (<2%) con cui l’energia solare viene convertita in energia chimica disponibile per produrre energia. La conseguenza è che per produrre biocombustibili in misura significativa occorrerebbero enormi estensioni di terreni fertili. Si stima che per sostituire il 10% dei carburanti fossili con biocombustibili, occorrerebbe il 30% dei terreni agricoli negli USA, il 70% in Europa mentre solo il 3% in Brasile. Mediamente ogni persona ha a disposizione 0.45 ettari (4.500 m2) di terreno coltivabile. Quale frazione può essere usata per produrre energia? Consideriamo anche che la domanda di cibo, secondo le previsioni, raddoppierà attorno al 2050. Questa maggior richiesta di derrate alimentari provocherà presumibilmente ulteriori deforestazioni per creare nuovi terreni coltivabili, con un aumento di biomassa vegetale. Un’altra conseguenza sarebbe probabilmente l’aumento del prezzo degli alimenti, con conseguenze negative soprattutto sulle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. A questo va aggiunto il problema del debito di carbonio sopra discusso, derivante dalla conversione di foreste in terreni coltivati, che provocherebbe un consistente rilascio di CO2 in aria, nella fase preparatoria. Queste considerazioni e queste cifre ci dicono chiaramente che una produzione di biocombustibili capace di sostituire significativamente i combustibili fossili, sembra poco realistica, sia per i tempi correnti che per il futuro. Per concludere questa parte, si legga un interessanti articolo di un quotidiano, scritto da un eminente scienziato, il Prof. Balzani, che ha lavorato nel campo della produzione di energia e dello sviluppo sostenibile. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 11 LA STAMPA 09/04/2014 Volete la terra o le bistecche? È arrivato il momento di scegliere. VINCENZO BALZANI, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA Per decenni, prima della crisi attuale, siamo stati così abituati alla crescita economica e allo spreco da non riuscire ad immaginare possibili alternative. Ma è scientificamente assurdo, oltre che in contrasto con il buon senso, pensare ad una crescita infinita in un sistema, come la Terra, che ha risorse «finite» e capacità limitate di accogliere rifiuti. Fra le risorse di cui abbiamo bisogno, quella più importante è l’energia. Non solo usiamo energia in ogni azione della nostra vita, ma c’è energia nascosta in ogni oggetto che ci circonda. Per fortuna l’energia è anche l’unica risorsa che ci arriva dall’esterno, dal Sole che continuerà a splendere per più di 4 miliardi di anni. Oggi, però, gran parte dell’energia utilizzata viene dai combustibili fossili, una risorsa in via di esaurimento, il cui uso causa danni alla salute e all’ambiente. Quindi, bisogna agire rapidamente su tre fronti: risparmio (che significa non produrre cose inutili e non fare attività inutili), efficienza (che significa usare in ogni caso la minima quantità di energia possibile) e infine sviluppo delle energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica e così via). Risparmio ed efficienza sono il contrario di spreco e sono strategie che devono essere messe in atto non solo con riferimento all’energia, ma riguardo alll’uso di qualsiasi altra risorsa. 1. La dieta. Lo spreco alimentare non è legato solo al cibo che non viene utilizzato, ma anche, e forse di più, alla dieta. Un kg di grano ha un contenuto energetico di 3500 kcal, fornite per ¾ dall’energia del sole e per ¼, 800 kcal, dai combustibili fossili utilizzati nei lavori agricoli. Per ottenere 1 kg di carne bovina servono però non 800 kcal, ma 40 mila kcal di combustibili fossili. La differenza fra grano e carne, poi, non sta solo nella differente quantità di energia consumata per produrli, ma riguarda il terreno e l’acqua. Considerando che 1 kg di carne fornisce solo la metà delle calorie che fornisce 1 kg di grano, si stima che 1 kcal ottenuta dalla carne richiede circa 100 volte più energia, 15 volte più terreno e 20 volte più acqua rispetto a 1 kcal ottenuta dal grano. E’ chiaro, quindi, che dovremo orientarci sempre più verso una dieta vegetariana. Negli USA è in atto una campagna per sollecitare le persone a fare a meno della carne almeno un giorno la settimana e anche in Cina il governo cerca di disincentivare l’uso di carne. 2. Competizione tra cibo e biocombustibili. Per utilizzare al meglio l’energia solare dobbiamo considerare due punti fermi, due dati che non possiamo cambiare: la superficie di terra disponibile, 150 milioni di km2, e la quantità di energia che ci arriva dal sole, in media 170 W/m2. Circa il 13% del suolo è terreno coltivabile; il resto sono pascoli, foreste, deserti. Il terreno coltivabile non si può ampliare più di tanto per vari motivi, fra i quali la necessità di conservare la biodiversità e gli ecosistemi che forniscono all’uomo servizi insostituibili per il mantenimento della vita sulla Terra. Il terreno coltivabile è oggi oggetto di competizione fra produzione di cibo e di biocombustibili. Si tratta di un problema che, anzitutto, ha profondi risvolti etici: per riempire di biocombustibile il serbatoio di un Suv si utilizza una quantità di mais che sarebbe sufficiente a nutrire una persona per un anno. Oltre al problema etico, bisogna riconoscere che dal punto di vista energetico usare terreno fertile per produrre biocombustibili non è una scelta giusta, perché il rendimento della fotosintesi naturale - il processo con cui le piante convertono l’energia solare in energia chimica - è bassissimo: 0.1-0.2%. E’ più conveniente convertire quei 170 W di energia solare che cadono in media su ogni metro quadrato di terreno, in energia elettrica mediante i pannelli fotovoltaici, la cui efficienza è del 15-20%, cioè circa 100 volte più alta di quella della fotosintesi. I pannelli fotovoltaici, ovviamente, non dovrebbero essere collocati sui terreni fertili, che vanno riservati all’agricoltura, ma sui tetti dei fabbricati o su terreni non coltivati. Non è vero che dovremmo coprire gran parte dell’Italia di pannelli fotovoltaici per produrre energia. Si può calcolare che per fornire tutta l’energia elettrica utilizzata in Italia sarebbe sufficiente ricoprire di pannelli fotovoltaici lo 0.8% del territorio, una superficie poco superiore a quella dei tetti e dei cortili dei 700 mila capannoni industriali o commerciali. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 12 Combustione diretta della biomassa La combustione di legna, residui da raccolti agricoli e sterco è stata la prima fonte di energia calorica nella storia dell’umanità ed è tuttora usata nei paesi a basso sviluppo industriale, soprattutto a livello domestico. L’efficienza è piuttosto bassa e inoltre risulta molto inquinante per la varietà di sostanza contenute in tali combustibili. Generalmente, con lo sviluppo economico di un paese la combustione di biomassa su piccola scala viene gradualmente sostituita da fonti energetiche commerciali, come i combustibili fossili e l’elettricità, che sono più versatili e meno inquinanti. Tuttavia una certa pratica domestica è rimasta nel tempo, soprattutto nelle zone rurali. Ci sono delle tecniche per produrre energia elettrica dalle biomasse ed anche per ottenere dei biocarburanti, quest’ultima con rese piuttosto basse. Il problema della combustione diretta di biomasse deriva dalla difficoltà di un approvvigionamento costante di materia prima in modo affidabile nel tempo. In India si brucia pellet a base di pula di riso, disponibile in grande quantità, per produrre vapore che genera elettricità. Etanolo come carburante per veicoli L’etanolo (o alcool etilico, EtOH) è un liquido incolore componente delle bevande alcooliche e usato come solvente, che viene anche usato come carburante per gli autoveicoli fin dalla nascita dell’automobile. Sembra che Henry Ford abbia progettato le sue prime automobili per essere alimentate da etanolo. L’etanolo come carburante può essere usato liscio (cioè puro) o mescolato con benzina. In questo caso si usa il simbolo Ex per indicare la composizione della miscela; x indica la percentuale di etanolo nella miscela. In Nord America si usa E10, cioè miscele al 10% di etanolo e 90% di benzina, in Brasile si usano invece E25 e E100 (etanolo puro). Data la sua bassa tensione di vapore, l’etanolo puro non può essere usato nei paesi freddi, dove invece si usa una miscela intorno a E 85 che ha tensione di vapore anche più alta anche della benzina pura. Uno svantaggio dell’etanolo rispetto alla benzina è che un litro del primo produce circa lo 80% dell’energia prodotta da un litro della seconda, anche se l’efficienza della combustione è maggiore per l’etanolo, cioè rimane meno materiale incombusto. L’etanolo, come altri combustibili ossigenati, produce meno inquinanti della benzina e del gasolio, in particolare alcheni, ossido di carbonio, idrocarburi aromatici, particolato, che comunque possono essere eliminati in gran parte dai convertitori catalitici. Tuttavia sembra che nelle condizioni di lavoro rilasci acetaldeide CH3-CHO, che può essere eliminata da opportuni convertitori catalitici. Un altro importante vantaggio riguarda le minori emissioni di NOx, a causa della minore temperatura di esercizio dei motori a etanolo rispetto a quelli a benzina e gasolio. Produzione di Etanolo La produzione industriale dell’etanolo sfrutta la reazione di addizione di acqua all’etilene (presente nei giacimenti di gas naturale e che può essere ottenuta dagli idrocarburi del petrolio) CATALIZZATORE CH2 =CH2 +H2O CH3 -CH2 -OH Il bioetanolo (la stessa molecola ottenuta da biomassa) invece si ottiene dalla fermentazione degli zuccheri o dell’amido delle piante, che sono dei polimeri che hanno come unità monomerica uno zucchero. Si può ottenerlo anche dalla fermentazione della cellulosa. Una possibile reazione usando il glucosio è LIEVITO C6 H12O6 2CH3 -CH2 -OH+2CO2 Da questa reazione si liberano 2 molecole di anidride carbonica e l’energia solare indirettamente contenuta del glucosio è trasferita nell’etanolo. Notare che i numeri di ossidazione degli atomi di carbonio dell’etanolo sono -3 e -1, mentre il massimo numero di ossidazione del carbonio (nella CO2) è +4. Quindi l’etanolo è suscettibile di essere bruciato con ossigeno (ossidato). Le piante più usate sono il mais, la barbabietola da zucchero, frumento, orzo e, soprattutto i Brasile, la canna da zucchero. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 13 La fermentazione per produrre etanolo deve essere realizzata in modo da evitare concentrazioni alte di etanolo, altrimenti i batteri del lievito muoiono e la reazione si arresta. Una volta ottenuto in forma diluita, l’etanolo deve essere concentrato per distillazione, che è un processo ad alto consumo energetico. Si ottiene al massimo EtOH al 95% con un 5% di acqua. Ulteriori purificazioni possono essere messe in atto con setacci molecolari, ancora con consumi energetici. In molti paesi comunque quest’ultima fase non viene eseguita e il carburante si ottiene dalla miscelazione di etanolo al 95% con benzina. In Brasile si usa direttamente l’etanolo al 95% senza miscelazione con benzine. Nel grafico accanto è riportata la produzione mondiale di bioetanolo, insieme con quella dei paesi più attivi in questo campo. Come si vede l’inizio della produzione risale al 1975 in Brasile, che ha aumentato quasi costantemente la produzione. Nel Nord America la produzione, se pur minore, sta crescendo ed in Europa è iniziata molto più tardi ed è tuttora limitata. Ricordiamo infine che luso di bioetanolo per veicoli a motori a livello mondiale è circa il 3% rispetto a quelle dei carburanti di origine fossile. Bioetanolo: benefici sui gas serra Il problema fondamentale è dello stesso tipo già visto in precedenza: per distillare l’etanolo occorre molto calore e, perciò, molto combustibile fossile con le conseguenti emissioni di biossido di carbonio. Tuttavia, come è stato fatto in Brasile, per alimentare la distillazione si utilizzano i residui della biomassa dei raccolti, per cui il biossido di carbonio rilasciato nella combustione verrà riassorbito nel raccolto successivo. Questa pratica e però limitata dalle emissioni di fumo delle biomasse grezze ed è vietata dagli ordinamenti di molti paesi. Considerando anche i co-prodotti delle coltivazioni (glutine di mais, olio di mais ecc.) si è arrivati alla conclusione che l’uso di bioetanolo richiede circa 2/3 della benzina necessaria a ottenere la stessa quantità di energia. Questo significa che approssimativamente l’energia solare effettivamente sfruttata è 1/3 di quella necessaria dai combustibili fossili. Energia idroelettrica L’energia idroelettrica è la più importante tra tutte le forme di energia rinnovabili, e produce attualmente una percentuale significativa di energia. Anche se in alcune aree la sua disponibilità dipende dalle variazioni stagionali delle precipitazioni, la sua disponibilità risulta affidabile. La sua discreta diffusione dipende anche dal fatto che questa forma di produzione di energia è iniziata molti anni fa, quando i suoi vantaggi non erano legati al riscaldamento globale, quanto alla sua economicità e alla sua disponibilità per tempi indefiniti. In ogni caso l’energia idroelettrica presenta l’indiscutibile vantaggio ambientale di non emettere polveri, calore, sostanze inquinanti, gas serra. ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 14 L’energia idroelettrica è una forma indiretta di energia solare. Infatti, l’energia del Sole che riscalda la Terra produce evaporazione dell’acqua dal mare, laghi e fiumi e le molecole d’acqua arrivano a grandi altezze, dove ricadono al suolo con le piogge. Le piogge cadono anche sulle montagne per cui attraverso questo processo l’acqua liquida passa da basse ad alte quote. Nei fiumi di montagna l’acqua possiede un’energia potenziale gravitazionale, ed è proprio questa forma di energia che viene sfruttata per produrre energia idroelettrica. Negli impianti che usano laghi artificiali con dighe, l’energia potenziale gravitazionale dell’acqua è prima convertita in energia cinetica nelle condutture forzate discendenti. Poi il flusso d’acqua a grande velocità fa girare una turbina, il cui albero è accoppiato a un alternatore, che è una macchina ad alto rendimento che converte energia meccanica in energia elettrica. La tensione elettrica viene poi innalzata da un trasformatore e avviata alla distribuzione (si veda la figura). Si calcola che lo sfruttamento di questa forma di produzione di energia sia circa il 20% di quella che si potrebbe ottenere se si sfruttassero tutte le situazioni favorevoli nel mondo. Anche se potrebbe sembrare che la produzione di energia idroelettrica non sia inquinante, ci sono dei costi ambientali per niente trascurabili legati alla costruzione di bacini artificiali contenuti dalle dighe. L’effetto maggiore deriva diverse modificazioni indotte dallo sbarramento fluviale. 1. lo spostamento forzato delle popolazioni delle terre che diventeranno laghi artificiali. 2. il rilascio di gas serra nelle aree allagate del bacino, soprattutto metano. dovuto alla macerazione delle piante preesistenti. 3. il rallentamento del fluire delle acque fluviali, per cui i sedimenti essenziali arrivano in minore quantità alla foce per la formazione del delta e dei litorali sabbiosi. Ciò provoca anche infiltrazioni di acque marine nelle zone costiere vicino alla foce. 4. il possibile rilascio di mercurio nelle aree allagate, dovuto a rocce mercurose precedentemente asciutte, con conseguenze sui pesci e sulla catena alimentare. 5. l’eutrofizzazione dell’acqua dei bacini per la concentrazione di sostanze nutrienti, che precedentemente seguivano il corso del fiume fino alla foce. 6. l’ostacolo che le dighe formano per la risalita del fiume, soprattutto per i salmoni e storioni, ostacolandone la riproduzione. In genere la fauna ittica fluviale è sostituita da quella lacustre. 7. la diminuzione della fauna ittica a valle della diga, con conseguenze sulla pescosità. Oltre alla produzione di energia ci sono altri importanti vantaggi. 1. L’acqua del bacino può essere usata per l’irrigazione a valle della diga, utilizzando parte dell’energia idroelettrica prodotta. 2. Un miglior controllo delle piene del fiume, per le quali il bacino serve da contenitore di emergenza. 3. Il contenuto idrico del bacino serve a mitigare le siccità e le conseguenti carestie 4. In molti paesi emergenti l’energia idroelettrica prodotta ha permesso a grandi popolazioni di avere per la prima volta una connessione elettrica nelle abitazioni. La centrale elettrica più grande del mondo è stata costruita in Cina pochi anni fa (la diga delle tre gole) e produce l’equivalente di 4 centrali a carbone. Per la sua realizzazione si sono dovute spostare un milione di persone. Il corrispondente lago è lungo 660 km. La diga è anche usata per ivo cacelli – chimica ambientale I - 2015 energia - 15 controllare le esondazioni del fiume Yangtze. In questi laghi artificiali nelle acque profonde c’è pochissimo ossigeno e la decomposizione anaerobia delle piante sui fondali produce sia CO 2 che CH4. Queste emissioni supplementari richiedono un certo tempo affinché l’energia idroelettrica prodotta sia vantaggiosa in termini di emissioni. Una realizzazione assai discussa è stata la costruzione della diga di Assuan in Egitto, realizzata sotto la presidenza di Nasser negli anni 60. Essa ha portato innegabili benefici alla popolazione, come la mitigazione delle piene del fiume Nilo e la produzione di circa la metà dell’energia elettrica prodotta in Egitto. La sua realizzazione ha però avuto anche serie conseguenze sull’equilibrio dell'ecosistema di una grande area, soprattutto perché in fase di progettazione non si è tenuto conto dell'impatto ecologico dell'opera sulla fauna e flora locale. Alcune delle più serie conseguenze ambientali sono state la scomparsa di specie ittiche che migravano lungo il corso del Nilo, l’avanzamento delle acque salate del Mediterraneo lungo il corso del Nilo, la diminuzione della produttività della pesca lungo il fiume, l’inquinamento del fiume dovuto a fertilizzanti e pesticidi preesistenti nelle zone allagate. In Italia l’energia idroelettrica ha contribuito fortemente all’avvio dell’industrializzazione durante la rivoluzione industriale. Dopo essere stata la principale fonte di energia elettrica fino agli anni Sessanta (82% del totale), la frazione di questa fonte rinnovabile è progressivamente diminuita per l’aumento delle centrali a combustibile, mentre la quantità prodotta è rimasta costante. Negli anni Ottanta, la quota dell’idroelettrico era già ridotta al 25%, mentre la produzione termoelettrica, nello stesso periodo, era passata dal 14% al 70%, per il forte incremento della domanda di energia. Il potenziale della risorsa idroelettrica nell’Italia è sfruttato praticamente al 90% e si è quasi giunti al limite del massimo sfruttamento possibile. Non sembra quindi essere un settore capace di espandersi ulteriormente. Questo dipende dal fatto che i siti più favorevoli e convenienti dal punto di vista tecnico ed economico sono già stati utilizzati, mentre insorgono numerosi ostacoli tecnici, ambientali ed economici alla realizzazione di nuovi grandi invasi e centrali di potenza elevata. La produzione di energia idroelettrica in Italia è segnata da un grave incidente avvenuto nel 1963 nel bacino artificiale del torrente Vajont, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno. La sera del 9 ottobre 1963 si staccò una grande frana dal monte Toc che finì nel lago artificiale e si elevò un’immane ondata, che scavalcò la diga e si riversò a valle e in particolare nel paese di Longarone, provocando oltre 1900 vittime. Furono commessi tre fondamentali errori umani che hanno portato alla strage: l'aver costruito la diga in una valle non idonea sotto il profilo geologico; l'aver innalzato la quota del lago artificiale oltre i margini di sicurezza; il non aver dato l'allarme la sera del 9 ottobre per attivare l'evacuazione in massa delle popolazioni residenti nelle zone a rischio inondazione. Fu aperta un'inchiesta giudiziaria. Il processo fu celebrato nelle sue tre fasi dal 1968 al 1971 e si concluse con il riconoscimento di responsabilità penale per la prevedibilità dell’inondazione. In seguito Longarone e gli altri paesi colpiti sono stati ricostruiti.