Premetto che non sono un antropologo e nemmeno un filosofo
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Premetto che non sono un antropologo e nemmeno un filosofo
LE MANI NON SERVONO SOLO PER ESSERE INFILATE NEL NASO… MA ANCHE PER GRATTARSI LE ORECCHIE (appunti sparsi e disordinati sul lavoro manuale) Premetto che non sono un antropologo e nemmeno un filosofo, sono solo un pover'uomo a cui è stato chiesto un favore. Farò quello che posso. Il lavoro manuale può essere accostato da molti punti di vista. In quanto lavoro richiama la creazione o meglio la ri-creazione da parte dell'uomo di quanto il buon Dio gli ha messo nelle mani. In questo senso però non si distacca molto da quello che noi chiamiamo lavoro intellettuale: il lavoro è lavoro, in qualsiasi forma lo si compia, porta comunque ad una trasforamzione, ricreazione. Il lavoro manuale mi sembra che abbia una marcia in più in questo senso: è la totalità dell'uomo che ne viene investita. Mi spiego meglio: lavorare manualmente significa progettare qualcosa, quindi utilizzare il cervello e la fantasia, la creatività e il metodo, significa sognare qualcosa come se fosse presente (vorrei una cornice, una sedia, un tavolo, un porta CD, ecc.), proiettare su quel qualcosa il proprio gusto (un angolo tondo non è un angolo a 90°, la lamiera non è legno e viceversa, ecc.) e poi, però, investirsi della responsabilità dell'opera: le mie mani affondano sulla materia perché il mio pensiero, la mia creatività prenda forma. Questo riproduce in piccolo ciò che succede per la vita: tra il dire e il fare….; ogni realizzazione umana è in qualche modo inferiore a ciò che desideravo; è la sperimentazione del mio limite (non del desiderio ma della mia capacità di riprodurlo). Il lavoro manuale è un rapporto "fisico" con la materia, in questo senso è umanissimo: la materia la tocco, l'accarezzo, la conosco (o imparo a conoscerla), è un altro da me, in questo senso è molto diverso dalla materia virtuale quale può essere un file del computer (che esiste ma non lo tocco). Questo implica secondo me due cose: - la materia va conosciuta e rispettata per quello che è: c'è un modo in cui va presa e un modo in cui non va presa (un nodo nel legno è praticamente impossibile da tagliare, devi per forza cercare una soluzione diversa per quel pezzo di legno; una colla vinilica per legno ha dei tempi d'azione precisi se si vuole che serva a qualcosa, altrimenti non serve; un martello va preso alla fine del manico, prenderlo vicino alla testa significa non poter fare forza… con un martello si può piantare un chiodino da calzolaio ma si può anche spaccare qualcosa e questo dipende dalla forza che io metto in quella cosa), questo significa che nel lavoro manuale riprende importanza in modo determinante il tempo in tutte le sue sfumature: quello che serve per imparare, quello che serve per manipolare la materia, quello che serve per assemblare. Il tempo assume importanza soprattutto per come io decido di spenderlo: se voglio una cosa subito oppure sono disposto ad aspettare perché questo desiderio si realizzi (e nello stesso tempo accetto che si compia dinanzi a me, per gradi, per passi successivi… come succede per la vita); - il lavoro manuale poi manipola una materia "fisica" e questo secondo è forse l'aspetto tra i più educativi. Una materia fisica e non virtuale significa che in sé porta i segni della mia azione (nel bene e nel male). Se sego male un pezzo di legno posso porconare, posso dare la colpa alla sega, posso dire quello che voglio, ma nulla toglie che io sono presente a un mio sbaglio, a un mio insuccesso, a una mia inabilità. Un file perso non lascia traccia, il foglio virtuale sul quale sto scrivendo mi permette di sbagliare un mucchio di volte senza che succeda niente, basta cancellare o addirittura distruggere il file e crearne uno di nuovo. Col la voro manuale certo si può fare anche questo, ma uno ha davanti lo spreco o lo scempio che ha contribuito a creare. E' vero ovviamente anche il contrario: ho davanti la "giustezza" della cosa che ho fatto, e questo, per chi lo ha provato, sa quale soddisfazione sia. Questo è un punto su cui gli animatori secondo me dovrebbero insistere molto, anche con se stessi! Nelle nostre attività manuali abbiamo - - sempre troppi ragazzi, i quali sprecano un sacco di materiale come se niente fosse e infine non vedono mai qualcosa di veramente bello! Per cercare di essere anche un minimo concreto e saggio direi che in una attività manuale (pena la dispersione e l'immobilità totale) perché vi sia un minimo di spazio educativo ci deve essere un minimo di ordine. Gli utensili vanno tenuti bene (i pennelli vanno puliti…) e riposti al loro posto, così per il materiale in lavorazione e quello ancora da lavorare. La stanza va tenuta pulita perché a nessuno piace lavorare in un luogo sporco e disordinato. Poi i ragazzi vanno seguiti: incoraggiati e corretti a tempo opportuno. Questo è quello che manca spesso a noi: pensiamo che in una attività bisogna infilarci una ventina di ragazzi (vi rendete conto quale sia l'organizzazione di una qualsiasi "officina" di venti persone??), che tanto grossi danni non ne faranno e che qualcosa, comunque, combineranno… sbagliamo proprio in questo! Non c'è più niente di frustrante che constatare "de visu" il proprio fallimento; e diciamocelo una volta tanto: i lavoretti dei nostri ragazzi sono normalmente un fallimento, nella migliore delle ipotesi sono delle opportunità non sfruttate bene. Quello che propongo è di mettere al max. una decina di ragazzi per attività (se si può sdoppiamo i laboratori) con almeno un paio di animatori per favorire una interazione e un aiuto che siano realmente tali. Infine (poi starò zitto per sempre) credo che il problema dei lavori manuali vada risolto in settembre (cioè con largo anticipo): esiste una gradualità anche nei lavori (da bambino mi compravano quei quaderni con i disegni già fatti che chiedevano solo di essere colorati… era un inizio!): per affezionare i ragazzi al lavoro manuale penso si debba partire da piccoli lavori di assemblaggio: che significa buon risultato e non grande competenza. Il resto può venire dopo con calma.. già calma: una parola da tempo dimenticata. Un'ultima cosa: che gli animatori "facciano", "sperimentino" cosa significa fare quello che propongono ai ragazzi, si addestrino alle difficoltà per poter realmente aiutare poi. Un anedotto finale: c'era un tale che decise di imparare a lavorare la giada. Si recò quindi in Oriente da quello che era universalmente riconosciuto uno dei più grandi artigiani del settore. Quale grande disappunto quando l'artigiano lo accolse dicendogli che la prima cosa era quella di "conoscere la materia". Consegnò all'allievo un pezzo di giada. La cosa si ripetè per giorni e giorni e anulla valevano le rimostranze dell'allievo che diceva di essere pronto. Un giorno il maestro consegnò un pezzo di giada all'allievo, il quale senza guardare disse: "Ma questa non è giada!!". A quel punto il maestro rispose: "Ora conosci la giada".