• Rispetto al racconto evangelico dove mi colloco? Al bordo della

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• Rispetto al racconto evangelico dove mi colloco? Al bordo della
Dalla Lettera del Vescovo (n. 23):
Essere battezzati significa seguire Gesù
nella propria storia, avanzare nel tempo
dietro a lui, praticando una fedeltà spesso esigente, bisognosa di lotta, di conversione continua. Non è un caso che
dopo il battesimo ricevuto al Giordano
(quello amministrato da Giovanni Battista, diverso dal nostro) Gesù si rechi nel
deserto, dove «rimase quaranta giorni,
tentato da Satana» (Mc 1,12). In questo
cammino di sequela, che può farsi difficile, soggetto alle seduzioni del male, il
richiamo al proprio battesimo diviene
prezioso e stimolante.
Il rito del battesimo ci ricorda questo
impegno di lotta per la conversione soprattutto nella “orazione di esorcismo” e
nell’unzione pre-battesimale (con l’olio
detto dei catecumeni). Una delle formule
dell’orazione di esorcismo recita:
«Umilmente ti preghiamo per questi
bambini, che fra le seduzioni del mondo
dovranno lottare contro lo spirito del male: per la potenza della morte e risurrezione del tuo Figlio, liberali dal potere
delle tenebre, rendili forti con la grazia di
Cristo, e proteggili sempre nel cammino
della vita». L’unzione, fatta sul petto del
bambino, richiama quella del lottatore.
Nel rito antico, spogliato delle sue vesti
prima di entrare nella vasca battesimale,
il battezzando veniva unto interamente
come il lottatore prima della sua competizione. Da sempre la vita cristiana è
stata pensata anche come un impegnativo co mb a t t ime n t o . Rico rd ia mo
l’espressione dell’anziano Paolo a Timoteo: «Ho combattuto la buona battaglia,
ho terminato la corsa, ho conservato la
fede» (2 Tim 4,7).
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G. Nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo.
T. Amen.
Vieni, Spirito Santo,
nei nostri cuori
e santificali.
Vieni, Padre dei poveri,
e sollevaci.
Vieni, Autore di ogni bene,
e consolaci.
ASCOLTIAMO LA PAROLA DI DIO (GV 5,1-8)
Dal Vangelo secondo Giovanni (5,1-8)
DOMANDE PER NOI
• Rispetto al racconto evangelico dove mi colloco? Al bordo della piscina a chiedere aiuto, a cercare salvezza magari a discapito di altri, ad offrire aiuto a chi lo
chiede?
• Posso anch’io affermare di essermi incontrato con l’acqua della vita che mi ha
ridato fiducia e speranza, mi ha rimesso in piedi perdonando il mio peccato?
Terzo incontro
PREGHIERA A MARIA
Beata tu, Maria, divenuta Madre del Signore dei re!
Nel tuo seno ha abitato colui della cui lode sono pieni i cieli.
Beata tu, o Benedetta, perché per te è stata cancellata la maledizione di Eva!
Grazie a te è stato pagato il debito comune
contratto dal serpente per le generazioni.
Tu hai generato quel tesoro che ha colmato il mondo di ogni aiuto.
Da te è sorta la luce che ha distrutto il regno delle tenebre.
(Efrem, il Siro)
Amen
IL PARALITICO DI BETZATA “VUOI GUARIRE?” (GV 5,6)
La liberazione dal male
Dopo questi fatti, ricorreva una
festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
A Gerusalemme, presso la porta
delle Pecore, vi è una piscina,
chiamata in ebraico Betzatà, con
cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi,
ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da
trentotto anni era malato.
Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così,
gli disse: «Vuoi guarire?».
Gli rispose il malato: «Signore,
non ho nessuno che mi immerga
nella piscina quando l’acqua si
agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di
me». Gesù gli disse: «Alzati, prendi la tua barella e cammina».
E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a
camminare.
PER RIFLETTERE INSIEME
• La crisi
Per poter arrivare ad aprire il nostro cuore e la nostra esistenza al Signore, a volte, dobbiamo percorrere strade del tutto
personali e lunghe. Lo stesso Signore
permette che la nostra esistenza “vaghi”
attraverso luoghi lontani ed esperienze
limite.
Non tutti, certo e per fortuna, compiono
percorsi di fallimento, e neppure è necessario arrivare fino ad esperienze di quel
tipo, ma ad ognuno di noi spetta una
“caduta da cavallo”, un momento nel
quale le certezze e le sicurezze vengono
a mancare.
«Non ho nessuno che mi immerga nella
piscina quando l’acqua si agita. Mentre
infatti sto per andarvi, un altro scende
prima di me», dice il paralitico a Gesù. La
salvezza che Dio ci dona nel Figlio Gesù
ci raggiunge nella misura in cui noi liberamente apriamo la nostra vita a Lui invocandone l’aiuto.
• Il compagno di viaggio
Proprio il momento e l’esperienza del fallimento e del peccato può diventare strada di rinnovato incontro con il Signore
della vita. A volte, infatti, Egli ci attende
attraverso varchi inattesi e inaspettati,
momenti della vita che, guidati dalla sua
provvidente azione, diventano occasioni
uniche di incontro con Lui. In questi momenti la vicinanza di qualcuno che apre
un senso, dischiude un significato, offre
una nuova chiave di lettura, permette alla
persona di dare un significato nuovo a
ciò che sta vivendo. Il credente cristiano
è quel compagno di viaggio che si accorge di chi lungo la strada della vita giace a
terra malmenato, e sa chinarsi e spargere il vino della consolazione. A volte si
tratta di offrire una nuova chance, porgere la mano dell’amicizia, lasciare che
l’altro entri, con la sua fatica, nella propria vita e famiglia.
• La guarigione
Quando ciò accade, quando cioè il Signore Gesù entra e tocca la vita della
persona, essa si può rialzare in piedi.
Alla piscina di Betzatà addirittura non c’è
neppure bisogno che lo storpio entri
nell’acqua. La parola/comando del Signore - «Alzati, prendi la tua barella e cammina» - è sufficiente per rimetterlo in piedi e compiere il miracolo della guarigione.
Il compagno di strada, il credente che
aiuta il viandante a relazionarsi con il
Signore, porta ed accompagna fino a
quell’incontro, non si sostituisce al Signore in quanto la salvezza avviene attraverso un incontro unico e personale. E il
“salvato” diventa, a sua volta, capace di
farsi compagno di strada per altre persone che cercano salvezza.
L’origine di questi incontri liberanti è
nel nostro battesimo, quando Gesù ci ha
liberato da quella realtà di morte che ci
induce a fare alleanza con il male piuttosto che con il bene: il peccato originale.
Immersi nel suo amore crocifisso, ormai
nulla può separarci da lui e con lui possiamo lottare contro ogni forma di male
che affligge noi e l’umanità.
LA VITA CI PARLA
L’avventura cristiana di Paolo Caccone (1948-1992) è affascinante perché ci
mostra come anche nel nostro tempo sia
possibile intendere la promessa di vita
eterna contenuta nel Vangelo e credere
ad essa. E come sia possibile credervi
anche per uomini che vengono da lontano e che hanno vissuto devastanti ribellioni.
Paolo nasce a Modena da una famiglia operaia, cresce lontano da ogni chiesa, fa politica. Ha vent’anni nel 1968, è
iscritto alla Fgci, vive in una «comune»,
entra in un gruppo filo-maoista. È iscritto
a Biologia a Modena.
La politica lo delude, la lettura di un
libro sul Buddismo lo porta in India e in
Pakistan, dove spera di trovare «il suo
guru» e invece trova la droga. Arriva a
spacciarla e viene arrestato durante un
soggiorno romano: fa due anni di carcere. Poi un’altra fuga in Francia e in Gran
Bretagna. Rottura completa con la famiglia d’origine. Non spaccia più, ma viene
picchiato dagli spacciatori perché non
paga le dosi. È in queste condizioni
quando si presenta – nel gennaio del
1986 – al pronto soccorso dell’ospedale
di Modena per una colica renale: risulta
sieropositivo.
Ha preso l’Aids dalla droga, probabilmente, attraverso una siringa usata e di Aids
morirà sei anni più tardi. Ma intanto, in
uno dei suoi passaggi in ospedale, incontra un monaco della comunità di don Dossetti, che gli dice «Venga a trovarci». Paolo va, incontra don Neri e poi don Dossetti e si confessa e si converte e
nell’autunno del 1989 entra nella
«Piccola famiglia dell’Annunziata», come
si chiama la comunità monastica dossettiana. In essa vive tre anni da novizio.
Muore monaco.
All’omelia della messa di commiato, Dossetti parlò così di questo suo figlio
dell’ultima ora: «Aveva percorso tutte le
strade del mondo e tutte le possibilità
terrene, in un’inquietudine che talvolta si
cambiava in ribellione, e tal altra diventava ricerca sincera».
Don Giuseppe invitò i genitori e i parenti
di Paolo a vederlo come il figlio prodigo:
«Egli è ritornato, capite? Il figliol prodigo
è ritornato in bellezza, e vi è stato restituito dal Signore meglio e più grande di
quello che era».
E concluse così: «Nella nostra Famiglia è
vissuto come un monaco perfetto, dandoci esempio e commuovendo tutti. Sicché
noi diciamo: Paolo, prega per noi!».
Quante volte le mie scelte sbagliate,
il mio modo di comunicare, di amare,
mi hanno gettato nell’isolamento.
In quei momenti, per non morire,
ho cercato di raggiungere una sicurezza,
ho voluto aggrapparmi a qualcuno che mi
potesse aiutare,
ho tentato di evitare gli sguardi taglienti di
chi mi giudicava.
In quei momenti,
in cui mi ritenevo perduto,
ho afferrato l’ultima spiaggia
che potesse guarire il mio cuore:
Te, Signore!
don Angelo Saporiti