Guida all`ascolto

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Guida all’ascolto
A differenza dei grandi Preludi e fughe di Bach il Preludio di Buxtehude dispone
generalmente più episodi consecutivi alternando fughe con sezioni libere di raccordo.
La struttura del Praeludium in Mi magg. BuxWV 141 prevede ben tre fughe e fornisce
anche qualche prescrizione esecutiva. La brillante apertura conduce alla prima fuga su un
tema con due quarte ascendenti seguite da una discesa di semicrome, questa sfruttata
come figurazione di sviluppo; un episodio toccatistico con lunghi trilli al pedale e un
virtuosistico «Presto» si apre, attraverso un passaggio da suonarsi «con discrezione»,
sulla seconda fuga in stile di giga, mentre il tema della terza fuga riprenderà l’idea
dei sedicesimi discendenti. La Passacaglia di Johann Kaspar Kerll si compone di 40
variazioni elaborate sulla base del tetracordo discendente Re–Do–Si bem.–La, emblema
di molti ‘lamenti’ vocali dell’epoca. Ornamentata, ridotta in progressioni o armonizzata
in maniere diverse, la cellula fa scaturire un fluente discorso musicale che nella seconda
parte, denominata Adagio, esplora con sistematicità la trasformazione delle formule
ritmico-melodiche. Meno nota è l’opera di Carlmann Colb organista e compositore
benedettino attivo presso l’Abbazia di Asbach. Il suo Certamen aeonium del 1733 è
una raccolta di serie di preludi seguiti da tre Versus in forma di breve fughetta e da
una cadenza, una per ogni modo ecclesiastico, secondo la radicata tradizione della
Germania meridionale di cui Colb è considerato uno dei migliori rappresentanti.
Le generazioni a cui appartenevano i tre maestri sopra ricordati hanno sempre
riconosciuto i modelli dell’arte contrappuntistica che risalivano a Frescobaldi come i più
autorevoli. Per un uso del cantus firmus il Recercar settimo del primo libro dei Recercar
e canzoni francesi del 1615 è un esempio calzante. La sequenza di suoni enunciata nel
titolo costituisce appunto l’‘obbligo’ a cui si attiene l’autore ferrarese: posto sempre
nella parte del Tenore, all’occorrenza anche trasportato o aumentato nelle durate, esso
è letteralmente inglobato nel serrato e rigorosissimo discorso imitativo impostato su un
soggetto autonomo che informa le altre tre voci.
L’abitudine di allestire manoscritti in intavolatura alfabetica con una massiccia
presenza di danze fa pensare a una ricca tradizione sviluppata negli ambienti d’oltralpe.
Anche in paesi come la Polonia si assiste ad una grande fioritura di questo repertorio.
La serie di danze qui presentate provengono da fonti diverse, ma sono accomunate
da un scrittura la cui apparente semplicità non nasconde talvolta raffinate soluzioni
ritmiche: spesso in ritmo ternario – ma una anche «in tempo di marcia» – spiccano
sempre per la loro eleganza melodica.
Dei due maestri dell’Ottocento italiano qui proposti Giovanni Morandi è
probabilmente la voce preminente nel panorama organistico del suo tempo. La sua è
una produzione di forte personalità che ebbe anche una grande risonanza grazie alla
fortunatissima Raccolta di Sonate per gli organi moderni uscita presso l’editore Ricordi.
Nelle sue Sonate, come quella in Do minore qui eseguita, forte è la matrice rossiniana
dell’invenzione melodica, la padronanza della tastiera e la profonda conoscenza dei
mezzi tecnici dello strumento: tutti ingredienti che trovano una felice sintesi in una
scrittura sempre fresca. Tratti personali mostra anche Antonio Diana, autore forse
di area bolognese noto per la Raccolta di composizioni per organo di ogni genere
divisa in tre parti di cui furono pubblicate solo la prima, dedicata agli organi «comuni e
antichi», e la seconda per l’«organo moderno e sul modo di registrarlo». La Polonese è
un’estesa composizioni ispirantesi al genere ballabile: il turbinante Allegro alla polacca,
dal caratteristico ritmo sincopato, è introdotto da un Moderato con tremoli e terza
mano ed è inframezzato da un sorprendente Trio Pastorale.
François Benoist, insieme a Lemmens, è uno dei fondatori della scuola organistica
francese ottocentesca e pur essendo stato molto apprezzato come insegnante (di
Franck e di Saint-Saëns) è oggi poco conosciuto. Non fu mai considerato un grande
virtuoso dell’organo ma la sua produzione per questo strumento è considerevole ed
è principalmente contenuta nei dodici libri della Bibliothèque de l’organiste dove la
sua scrittura presenta di rado parti indipendenti di pedale, ma si mostra, nonostante la
qualità non sia sempre elevata, sempre scritta con mano sicura e con un non comune
gusto per l’armonia, come l’Allegretto che si porge con grazia e in qualche slancio più
lirico si colora di sfumature accordali inaspettate.