Mio Padre, L`architetto - Ordine Architetti Pescara

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Mio Padre, L`architetto - Ordine Architetti Pescara
Mio Padre, L’architetto
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Mio padre era un architetto. Non un semplice architetto, non uno della massa.
Io odiavo mio padre.
Lo sentivo molto spesso arrabbiarsi e urlare perché i progetti a cui lavorava non rispettavano gli standard.
Parlo dei suoi standard, non quelli che la legge imponeva, che per lui erano solo “garbage” come amava
dire. La sua morale lo portò dapprima a rifiutare i progetti che non rientravano nello sviluppo
ecosostenibile e in seguito a denunciare tutti i colleghi ancorati ai vecchi standard.
Io a quei tempi ero adolescente e piuttosto inesperto del settore, allora facevo notare a mio padre che non
poteva denunciare qualcuno che fosse nella piena legalità solo perché non rispettava i suoi standard.
Ogni volta mi rispondeva con molta partecipazione che le sue denunce miravano a promuovere un risveglio
delle coscienze, a comprendere in tempo cosa stavamo già distruggendo, e che forse era già troppo tardi
per salvare ciò che restava del nostro pianeta. Diceva che fin quando non ci si rende conto veramente di
quello che stiamo facendo non potremo mai cambiare idea, né cambiare modo di essere. Ma c’era una
frase che ripeteva sempre e che ogni volta mi dava gli stessi brividi. La diceva mettendomi le mani sulle
spalle e guardandomi fisso negli occhi: “Le generazioni future non ci perdoneranno mai quello che stiamo
facendo”.
Mio padre perse tutti i lavori ai quali stava lavorando e non riuscì a trovarne altri.
Mio padre partì per salvare il mondo.
Mio padre divenne un architetto senza frontiere.
Mio padre non era mai a casa.
Io odiavo mio padre.
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Dopo tanto tempo sono tornato alla Spes, il primo eco-villaggio realizzato in Italia, da mio padre. Con
questo nome, che in latino vuol dire speranza, aveva voluto dare un’impronta ecologica all’edilizia.
Gli anni della sua realizzazione erano stati gli stessi in cui avrei avuto più bisogno di mio padre ma lui era
sempre molto impegnato. Ricordo ancora quando progettava il villaggio. Io mi avvicinavo e gli chiedevo
come mai avesse bisogno di fare tanti calcoli per decidere dove piazzare una costruzione. Allora lui si
fermava a guardarmi e, accarezzandomi il capo con una mano, cercava di spiegarmi con parole semplici il
suo concetto di bellezza. Un giorno mi parlò del numero della bellezza, l’1,618, e di come corrispondesse al
rapporto fra due numeri contigui di una sequenza numerica inventata da un certo Fibonacci.
Io lo fissavo incuriosito senza riuscire a capirlo. Fu allora che prese il progetto e me lo mostrò per la prima
volta, riempiendomi di orgoglio. Riconobbi che un’inspiegabile armonia regnava nella disposizione. Papà mi
fece notare che la pianta era rettangolare e che il rapporto tra base e altezza era di 1,618. Poi mi indicò un
piccolo rettangolo al centro del progetto, dal quale si susseguivano rettangoli sempre più grandi, tutti con
lo stesso rapporto fra loro, di 1,618. Dal punto centrale del progetto, cioè dall’interno del rettangolo più
piccolo partiva una spirale che toccava l’altezza di ogni rettangolo in successione, e il disegno finale che ne
derivava era un’armoniosa spirale, quella che mio padre chiamava Spirale Aurea. Lungo le sue curve si
disponevano gli edifici le cui piante avevano proporzioni che rispettavano il Golden ratio, ovvero l’1,618.
Ora la struttura è assolutamente funzionante, un ecosistema a sé stante, un ingranaggio perfettamente
oleato. Sembra che non vi possa essere altro modo di funzionare se non il suo: recupero dell’acqua
piovana, riciclo delle acque reflue, fossa biologica naturale, energia prodotta da fotovoltaici, riscaldamento
naturale, sistema di aerazione naturale aprendo solo qualche pannello di vetro, e chissà quant’altro ancora.
Ovunque io mi giri c’è qualcosa che per anni ho letto solo sulle riviste ma non ho mai visto in funzione da
nessuna parte. Ora che sono qui a guardare dal vivo questa grande armonia posso dire che mio padre era
davvero un grande architetto.
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L’edificio che preferisco è adibito ad aule e mensa ed ha la particolarità di essere quasi interamente
costruito in paglia. Al suo interno si respira un’atmosfera di tranquillità, piacevolezza e pace.
Gli intonaci di argilla e calce dai caldi e accoglienti colori pastello contribuiscono ad una migliore qualità
della vita nello spazio abitativo, papà amava sottolinearlo sempre. Mi faceva notare che gli intonaci
possono avere una piacevole varietà di colori e finiture, ed era importante pitturarli usando tempere molto
diffusive a poro aperto, in modo da non alterare il passaggio di vapore nell’intonaco, poi mi prendeva la
mano e la faceva scorrere sopra l’intonaco, affinché ne apprezzassi la ruvidità. Oggi la sensazione è ancora
la stessa, accarezzo lo stesso punto e un fulmine di emozioni torna a rispolverare le mie memorie.
I grandi pori nell’intonaco sono la sensazione che il tatto mi trasmette, ma nell’animo quelle stesse
sensazioni si trasformano in un sentimento di famiglia, come se quella costruzione fosse sempre stata parte
di noi, come ciascun membro della famiglia, o come un gatto, un cane, un qualsiasi essere vivente che le
appartenesse.
La particolarità di questi muri è che sono fatti di paglia. Sul lato nord, sud e ovest è mista a terra per
assicurare un più alto livello di coibentazione. Ad est si apprezza un doppio muro di forati con intercapedine
in sughero granulare. Il muro a sud è arricchito di mattoni pesanti di argilla e scaglie di legno per garantire
la funzione di massa termica. Tutti i divisori interni sono realizzati in terra e paglia.
Ricordo che quando papà stava realizzando i muri in paglia mi fece venire in mente la favola dei tre
porcellini e molto ingenuamente gli feci notare che anche nelle favole dicono che i muri di paglia sono
fragili, tanto che basta un soffio a farli cadere. Lui fece un gran sorriso e con la sua solita meticolosità e
premura mi fece notare che le favole sono ottime per far apprendere lezioni di vita, ma pessime per
insegnare l’architettura. Poi si fece serio e iniziò a spiegarmi che per lui la paglia era una delle possibilità per
costruire in modo ecosostenibile, ed era quello che lo affascinava di più. Le balle di paglia, unite a terra e
legno provvedono ad un eccellente isolamento termico e conferiscono un maggiore comfort grazie alle loro
qualità traspiranti. Si ottiene così un ambiente di vita sano e naturale.
Una delle particolarità che mi affascinavano sin da bambino era la forma facilmente modificabile di questi
muri, che non necessita di assoluta precisione e crea curve invece che spigoli. La forma che chiesi a mio
padre di realizzare sul muro ovest affinché fungesse da panchina, è ancora lì.
Quando la ultimò, lui mi guardò interdetto non riuscendo a capire cosa fosse, invece per me rappresentava
la cosa più bella che avessi mai visto: Una panchina a forma di drago.
In realtà oggi mi rendo conto che il profilo del drago è appena accennato, eppure da bimbo quello
rappresentava per me un animale enorme, dal verde intenso della pittura e dalle scaglie squamose
dell’intonaco, un vero drago che io potevo cavalcare!
Adesso una lacrima mi bagna il viso.
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Uscito dall’edificio torno con la mente nel presente e mi appresto a fare quello per cui sono venuto:
adempiere all’ultima volontà di mio padre.
L’ultimo desiderio era quello di spargere le sue ceneri nel posto dove tutto era iniziato, ovvero al centro
dell’amata spirale aurea. In quel punto decise di non costruire alcun edificio, ma piantare un singolo, e oggi
devo dire bellissimo, albero di mele. Scelse di piantare il melo perché simboleggiasse l’inizio di una
importante rivoluzione, come nella bibbia .
Sto spargendo le ceneri di mio padre e le emozioni sono troppi forti. Il muro di egoismo che avevo innalzato
nei suoi confronti, crolla improvvisamente. La vita è lì, pronta ad insegnarmi una lezione durissima.
Mio padre che con la sua testardaggine e con l’amore innato per i suoi ideali era riuscito a cambiare
qualcosa su questo bizzarro pianeta, in verità non è mai stato troppo impegnato da non dedicarsi a me.
Solo ora che lui non c’è capisco cosa sia realmente la sua assenza e quanto sia invece stato presente nella
mia vita e quanto importante sia stato per me. E’ stato un padre modello, che non è mai mancato nei
momenti importanti, perché ho sempre potuto contare su di lui.
Ero io l’egoista che lo volevo a casa come tutti gli altri padri, sdraiato sul divano a guardare la TV, presente
e “normale”, laddove invece lui aveva cambiato il mondo in meglio ed era sempre stato impegnato in
questo. Anche quando era all’estero, lui non era mai assente. Solo la mia percezione di crederlo un padre
“strano” mi induceva a odiarlo.
Col suo modo di fare è riuscito ad insegnarmi i veri valori della vita, ad essere un uomo, a conoscere e
inseguire i miei sogni. Anche se l’odiavo, o credevo di odiarlo, mi ha cresciuto in maniera impeccabile. Non
avrei potuto desiderare di più.
Grazie papà.
Adesso ogni giorno la mia vita è scandita dalle note della sua frase migliore: “Smetti di essere un uomo
quando tradisci i tuoi ideali”.
Mio padre era un grande uomo.
Io amo mio padre.