DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE 2 Tutto
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DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE 2 Tutto
AUDIOVISIVI ELLE DI CI Fotogrammi 180 Teresio Chiesa DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE 2 Tutto Valdocco (DB/2, 1-180) Audiovisivo con cassetta di sonorizzazione sincronizzata ELLE DI CI - 10096 LEUMANN (TORINO) DB 2 A DON BOSCO che ho imparato a conoscere e amare dalla mamma, dal fratello Serafino e da zio «Carlin» PRESENTAZIONE Ecco un nuovo lavoro di approfondimento su Don Bosco e il suo ambiente. L’Opera, portata avanti da Teresio Chiesa come parte di un programma animato dalla Elle Di Ci, ha il pregio di penetrare il piccolo e semplice mondo di Valdocco per offrire una lettura ricca di significato storico, religioso e soprannaturale al cammino fatto da Don Bosco fondatore ed educatore. Lavoro lungo, paziente e certamente travagliato — come sostiene l ’Autore — si converte in un sussidio necessario per chi vuole percorrere, nei dettagli, l’azione di Dio nei pri mordi deU’Oratorio Salesiano. E catechesi audiovisiva che aiuta, nella semplicità delle forme, a scoprire il mondo spirituale e apostolico dove si modellarono i discepoli di Don Bosco, dove lo slancio per i giovani acquistò la carta di cittadinanza del Sistema Preventi vo, dove, all’insegna della devozione alla Madonna Ausiliatrice e nell’ambiente di lavoro e di gioia, i giovani di Don Bosco seppero dare consistenza personale alla santità giovani le: «Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri», diceva san Domenico Savio. Ecco un luogo che ci parla di Dio! Oggi l ’immagine, con agilità e incisività, ci fa lo stupendo servizio di dare significato di fedeltà ai grandi momenti educativo-apostolici vissuti da Don Bosco. La fedeltà ha bisogno della storia, per fare la strada dell’autenticità e per garantire lo sviluppo nel tempo di quei valori e di quella tradizione che oggi sono parte viva nella crescita del carisma salesiano. L’immagine è impressione di esperienze vissute, pedagogia per capire o per far compren dere il divenire di un progetto, fatto scuola, storia, luogo, tempo. L’immagine, in questo caso, come arte, è contemplazione della storia concreta che diven ta luogo di incontro tra ideale progettato e vita vissuta. L’immagine provoca una attenzio ne piena di rispetto e affina il nostro spirito e lo eleva a una intuizione poetica, che dà vita a una contemplazione fino a scoprire l ’eco impercettibile del mistero umano e so prannaturale che emana dalla fondazione dell’opera salesiana. L’immagine ci avvicina a Don Bosco, al suo ambiente, ai suoi giovani, ai mille incontri, alle esperienze educative, per portare questi stessi giovani alla santità. Auguro che questi sussidi facciano gustare la storia di Valdocco, che penetrino nei valori e nei criteri permanenti dell’opera di Don Bosco e che diano la chiave di interpretazione per moltiplicare esperienze nuove, dove lo spirito di Valdocco sia il fermento inesauribile di creatività nel servizio dei giovani. Auguri e complimenti all’Autore. Roma, 24 agosto 1985 Proprietà riservata alla Elle Di Ci - 1986 2 Don Sergio Cuevas Leon Consigliere per la Famiglia Salesiana e la Comunicazione Sociale INTRODUZIONE Con gli stessi criteri del DB/1, seguendo passo passo Don Bosco nella realizzazione della sua opera, questo DB/2 presenta le tappe della sua opera a Valdocco. Si comincia con l ’affitto e l ’acquisto di casa Pinardi, poi la costruzione della chiesa di san Francesco e le prime costruzioni accanto a casa Pinardi; l ’abbattimento della casa e della storica cappella Pinardi, l ’ampliamento del nucleo storico con successive costru zioni: l ’acquisto di casa Filippi, il completamento del palazzo delle Camerette, le costru zioni adiacenti sorte successivamente. Ci inoltriamo poi nelle Camerette abitate da Don Bosco, come sono oggi, per scoprire la povertà della sua abitazione, le modeste suppellettili e gli oggetti di suo uso, ora con servati nel Museo Don Bosco. Infine seguiremo con una precisa documentazione la costruzione della Basilica di Maria Ausiliatrice, che fu un incessante miracolo della Vergine Maria, dalla progettazione da lei suggerita fino alla sua realizzazione, che costò a Don Bosco fatiche e sacrifici innume revoli. Continuando nella ricerca e nel cammino storico, vedremo ambienti ormai scomparsi e non più identificabili nell’attuale topografia di Valdocco; troveremo documenti sull’atti vità di Don Bosco, sul suo apostolato, sull’iter storico della Congregazione. Sono diapo sitive su luoghi e documenti oggi difficilmente reperibili, o visibili soltanto negli archivi storici della Congregazione. Immacolata 1985 Teresio Chiesa Hanno collaborato alla stesura del testo: Enzo Bianco e Teresio Bosco. Bibliografia: Oltre a quella già citata in DB/1: F. G i r a u d i , Il santuario di Maria SS. Ausiliatrice, Torino 1948. G. B o n e t t i , Cinque lustri di storia dell’Oratorio Salesiano, Torino 1892. G. V e s p i g n a n i , Un anno alla scuola del beato Don Bosco (1876-1877), San Benigno Can. 1930. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE Schema dell’intera raccolta di diapositive sulla vita e sui luoghi dove Don Bosco visse ed operò D B/l DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: DAI «BECCHI» A VALDOCCO Le origini A - Capriglio: il paese di mamma Margherita (D B /l, 3-14) B - La casa patema di Don Bosco (D B /l, 15-26) C - Moncucco: garzone di campagna alla cascina Moglia (D B /l, 27-50) La prima scuola D - Morialdo e la cascina Sussambrino (D B /l, 52-82) E - Giovanni Bosco a Castelnuovo (D B /l, 83-101) Studente e seminarista a Chieri F - Giovanni Bosco studente a Chieri (D B /l, 103-147) In cerca di una dimora stabile G - L’inizio della missione: al convitto e al rifugio (DB/l, 149-161) H - L’Oratorio vagante (D B /l, 162-180) DB/2 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: TUTTO VALDOCCO Valdocco oggi I - L’Oratorio a Valdocco: il sogno diventa realtà (DB/2, 1-12) L - La chiesa di San Francesco di Sales (DB/2, 13-24) M - Il palazzo delle camerette di Don Bosco (DB/2, 25-48) N - Il museo storico di Don Bosco, a Valdocco (DB/2, 49-60) La basilica di Maria Ausiliatrice O - La basilica di Maria Ausiliatrice (DB/2, 61-108) Valdocco storico P - Costruzioni e realizzazioni (DB/2, 109-156) Apostolato e carismi di Don Bosco Q - Itinerari di salesianità: Apostolato - Devozione mariana - Don Bosco scrittore (DB/2, 157-180) 4 DB/3 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: DA VALDOCCO AL MONDO INTERO Espansione d ell’opera di Don Bosco R - Nuove fondazioni (DB/3, 1-12) S - Missioni e missionari (DB/3, 13-24) T - Personaggi storici (DB/3, 25-42) U - Santa Maria Domenica Mazzarello (DB/3, 43-54) Sintesi V - Le passeggiate autunnali (DB/3, 55-78) Z - Morte e glorificazione di Don Bosco (DB/3, 79-90) Iconografia di Don Bosco X - Ritratti - Gruppi - Quadri (DB/3, 91-138) Dalle umili origini dei «Becchi» alla gloria del Tempio al Colle Y - I «Becchi» - La casa di Giuseppe - Colle Don Bosco (DB/3, 139-198) In questo secondo volume, nelle diapositive, il titolo DB 2,1: «DON BOSCO E IL SUO AM BIENTE: Tutto Valdocco» è riportato una sola volta, all’inizio dell’opera. Quando si proiettano le immagini con la cassetta di sonorizzazione, prima di ogni unità sonorizzata conviene riportare ogni volta il titolo DB 2,1: «DON BOSCO E IL SUO AM BIENTE: Tutto Valdocco», come è indicato nel testo sonorizzato alle pp. 6, 16, 23, 31. Il primo impulso sul nastro per l’avanzamento automatico delle diapositive è sempre messo sopra la diapositiva iniziale: DB 2,1. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco VALDOCCO OGGI (Prima unità sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco I - L’ORATORIO A VALDOCCO: IL SOGNO DIVENTA REALTÀ DB 2,2 Casa Pinardi (dipinto del Crida sotto il porticato) Casa Pinardi aveva la facciata rivolta a mezzogiorno. Misurava 20 metri di lunghez za e 6 di larghezza, quasi 7 di altezza. A metà circa della facciata si apriva una stret ta porta d’ingresso, e, accanto, era fissata al muro una vasca di pietra con una pom pa che gettava acqua fresca e abbondante. Dietro questa abitazione era appoggiata la tettoia trasformata in cappella, utilizzata dal 1846 fino al 13 giugno 1852. DB 2,3 L ’attuale Cappella Pinardi Il 12 aprile 1846, solennità di Pasqua, si prese possesso alla misera tettoia convertita in chiesa. E ancora qui, quella tettoia, rannicchiata in fondo agli edifìci di Valdocco, oscuro e piccolo ceppo da cui si è sviluppato tutto. Ora è una cappellina ricca di fregi e lapidi, ma allora era solo una tettoia bassa. Un muretto tutto intorno la trasforma va in una specie di baracca. Per 320 lire, la tettoia e la striscia di terra intorno diven nero la sede stabile dell’Oratorio. DB 2,4 Statua della Consolata, nella cappella Pinardi A custodirla, Don Bosco comprò questa statua della Madonna Consolata. Non è in legno né di metallo, ma di umilissima cartapesta. Sotto i suoi occhi, Don Bosco lavo rò per i ragazzi fino all’esaurimento. Rischiò di morire la prima domenica di luglio. Guarì per le preghiere dei suoi ragazzi, e promise davanti alla Vergine: «La mia vita la devo a voi, ma siatene certi: la spenderò tutta per voi». DB 2,5 Mamma Margherita Don Bosco andò in convalescenza ai Becchi. Tornò il 3 novembre non più solo, ma accompagnato da mamma Margherita. A 58 anni questa anziana contadina divenne la mamma dell’Oratorio. 6 DB 2,6 Finestra attraverso la quale spararono a Don Bosco 1848. È l ’anno frenetico del Risorgimento e della prima Guerra d’indipendenza. I preti sono odiati come «nemici della patria». «Un giorno, mentre facevo catechismo — scrisse Don Bosco, — una palla d’archibugio entrò per la finestra e mi strappò la veste tra il braccio e le coste, facendo largo guasto nel muro» (MO 205). Una lapide ricorda il fatto drammatico. DB 2,7 Mappa dell’Oratorio dal 1847 al 1851 Dal 1846 al 1851 l’opera di Don Bosco si estese. Alla tettoia Pinardi (A) si aggiunse la casa Pinardi (B) dove Don Bosco nel 1851 ospitava ormai una trentina di giovani interni. Essi, con i ragazzi dell’Oratorio, giocavano in cortili sempre più vasti (C, D, F). Mamma Margherita aveva trasformato in orto un vasto tratto di prato: vi piantava lattughe e pomodori per arricchire la poverissima mensa dei ragazzi (E). DB 2,8 Disegno della casa Pinardi e delle successive costruzioni Incoraggiato dai sogni che gli spalancavano il futuro, Don Bosco investì capitali in genti per ampliare la sua opera. Costruì nel 1851-52 la chiesa di S. Francesco di Sales, e un nuovo fabbricato accanto alla casa Pinardi nel 1852-53. Unica sua fonte di finanziamento: la Provvidenza. DB 2,9 Ala del primo fabbricato eretto accanto alla casa Pinardi D nuovo edificio fu iniziato nell’autunno inoltrato del 1852. Si procedette a tutta for za, ma presto cominciò il brutto tempo. «L’acqua diluviò per giorni e notti — scrisse Don Bosco. — Nella mezzanotte del 2 dicembre si udì un rumore violento. Erano le mura che cadevano rovinosamente». Don Bosco disse ai ragazzi: «È uno scherzo del diavolo. Con l’aiuto di Dio e della Madonna ricostruiremo tutto». Ciò si verificò puntualmente nell’estate 1853. I ragazzi poveri premevano alle porte dell’Oratorio. Ne furono accettati 32 nel 1852, 76 nel 1853, 115 nel 1854. A questo punto Don Bosco fece un altro atto di coraggio. Al posto della vecchia casa Pinardi elevò un nuovo edificio a tre piani. Nel 1860 furo no così accettati 470 ragazzi interni. DB 2,10 La fontana presso il porticato È ancora al suo posto dopo 140 anni, la fontana di quei primi tempi. Qui i ragazzi venivano a «bagnare la pagnotta» della colazione e della merenda: l’acqua era 0 solo companatico. Nel 1867, fissandola, Don Bosco disse a Luigi Costamagna: «Avrei bi sogno che buttasse marenghi. Così potrei salvare la gioventù povera e abbandonata in tutto il mondo» (MB 8, 906). DB 2,11 II porticato e le scritte bibliche Torino è la città dei portici. Sono necessari per potersi muovere nel lungo inverno. Anche Don Bosco volle ampi portici nei suoi fabbricati; ma sui pilastri e nelle lunette degli archi egli fece scrivere frasi bibliche per richiamare a ragazzi e visitatori le ve rità eterne. 7 DB 2,12 La statua di Maria Immacolata Al fondo del porticato è la statua di Maria Immacolata. Don Bosco l’aveva collocata in una nicchia presso la sacrestia del grande Santuario. A Giovanni Cagliero, nel 1862, Don Bosco disse: «Maria SS. è la fondatrice, e sarà la sostenitrice delle nostre opere» (MB 7, 334). L - LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI SALES DB 2,13 La chiesa di S. Francesco di Sales Una sera del febbraio 1851, mentre con mamma Margherita aggiustava gli abiti dei ragazzi che dormivano, Don Bosco mormorò quasi tra sé: «E ora voglio innalzare una bella chiesa in onore di san Francesco di Sales». La prima pietra fu posta il 20 luglio. A costruirla, portando calce e mattoni, diedero mano anche i ragazzi dell’O ratorio. DB 2,14 L ’interno della chiesa al tempo di Don Bosco Fu consacrata il 20 giugno 1852, festa della Madonna Consolata. Per 16 anni (fino al 1868) essa rimase il cuore della Congregazione Salesiana che nasceva. Dal 1852 al 1856 sostava a lungo negli ultimi banchi, sgranando il Rosario, la vecchia e stanca mamma Margherita. DB 2,15 L ’altare maggiore Nel 1854 ci fu a Torino il grande colèra che uccise più di tremila persone. Anche i ragazzi dell’Oratorio andarono per la città a soccorrere i colerosi. Un ragazzo, che non aveva più nulla con cui coprire il suo malato, chiese ancora qualcosa alla mam ma. E Margherita lo portò a questo altare, e gli diede la tovaglia bianca. «Portala al tuo malato. Non credo che il Signore si lamenterà». DB 2,16 La balaustra di legno A questa balaustra di legno, oggi conservata nel museo presso le «Camerette di Don Bosco», i ragazzi dell’Oratorio si inginocchiavano per ricevere la Comunione. Dal 29 ottobre 1854 si inginocchiò anche san Domenico Savio, il ragazzino di 12 anni ap pena arrivato dal suo paese, Mondonio. DB 2,17 II retro altare In questa stessa chiesa, dietro l’altare maggiore, Domenico Savio ebbe un’estasi da vanti al tabernacolo che durò più di sei ore. DB 2,18 Pulpito e altare della Madonna ai tempi di Don Bosco L’8 dicembre 1854 il Papa proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione. In quelle stesse ore, Domenico Savio s’inginocchiò davanti a questo altare e si consacrò alla Madonna con questa brevissima preghiera: «Maria, vi dono il mio cuore, fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei, ma per pietà fatemi morire piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere anche un solo peccato». DB 2,19 II pulpito in legno donato dal Cafasso Da questo pulpito, che si trova oggi nel museo storico di Valdocco, per oltre 10 anni Don Bosco predicò ai suoi ragazzi. Da questo pulpito Domenico Savio sentì la predi ca che lo mise profondamente «in crisi»: «È volontà di Dio che ci facciamo santi; è assai facile riuscirci; un gran premio è preparato in Cielo a chi si fa santo» (Bosco, Vita di Domenico Savio, SEI ed. 1963, pg. 44). DB 2,20 Altare della Madonna rinnovato L’8 giugno 1856 Domenico Savio tornò a inginocchiarsi davanti a questo altare, non più solo, ma in compagnia dei migliori ragazzi deU’Oratorio. Aveva fondato la «Com pagnia deirimmacolata»: un gruppo di piccoli apostoli, che si trapiantò in ogni casa salesiana, diventando un nucleo di ragazzi impegnati e di sicure vocazioni salesiane. DB 2,21 Altare di San Luigi Un altare di questa chiesa, Don Bosco volle dedicarlo a san Luigi Gonzaga. Il giova ne principe che lasciò la corte per consacrarsi al Signore era da lui presentato a tutti i giovani come modello di carità e di purezza. DB 2,22 Interno della chiesa oggi In questa chiesa, oggi rinnovata e arricchita di marmi, dissero la loro Prima Messa il beato Michele Rua, il 30 luglio 1860, il primo missionario salesiano Don Cagliero e Don Francesia il 15 luglio 1862. Vennero pure a pregare Michele Magone e France sco Besucco, due ragazzi che rinnovarono neU’Oratorìo la bontà di Domenico Savio. DB 2,23 Porta secondaria, che ricorda la moltiplicazione dei pani Vicino a questa porta laterale, da cui uscivano i ragazzi dopo un ritiro spirituale, il 22 ottobre 1860 Don Bosco operò un prodigio. Francesco Dalmazzo, che fu testi mone, affermò sotto giuramento: «Quando arrivò Don Bosco a distribuire il pane, guardai nel cesto e vidi che conteneva una ventina di pagnotte... DB 2,24 Chiesa di S. Francesco vista dal cortile ...Tutti gli alunni, circa 400, passando dalla chiesa al cortile, sfilarono davanti a Don Bosco e ricevettero da lui un pane, insieme a una parola buona e ad un sorriso. Quando tutti furono passati, riesaminai la cesta: c’era la stessa quantità di pagnotte di pri m a... Questa fu la sola causa che mi indusse a restare all’Oratorio e farmi Salesiano» (MB 6, 777). 9 M - IL PALAZZO DELLE CAMERETTE DI DON BOSCO DB 2,25 II porticato con il pulpito della «buona notte» Ogni sera i ragazzi dicevano le preghiere davanti a una statuetta della Madonna, che è ancora sotto il porticato, a Valdocco. Al termine, Don Bosco saliva sul pulpitino e dava la «buona notte»: alcune buone parole che chiudevano la giornata. Don Bosco era geloso di questa «buona notte»: la dava sempre lui, quando poteva (MB 6, 94). Da questo pulpitino egli raccontò i famosi «sogni», attesi con viva curiosità, perché sovente in essi prevedeva l'avvenire. DB 2,26 La lapide ricorda il cane Grigio Sotto il porticato c ’è una scala che ai tempi di Don Bosco portava alla cucina di mam ma Margherita. Sul primo gradino, una sera dell'inverno 1854, Don Bosco vi trovò sdraiato un misterioso cane che gli impedì di uscire di casa. Si seppe poi che qualcu no lo attendeva per fargli del male. Per il colore del suo pelo, Don Bosco lo chiamò «Grigio». Una lapide ricorda questa singolare figura che ebbe un ruolo importante nella vita di Don Bosco. DB 2,27 Don Bosco, mamma Margherita e il cane Grigio (dipinto) Il Grigio si fece vedere diverse volte a Valdocco. Una sera, non avendo incontrato Don Bosco, andò in refettorio per assicurarsi che egli fosse in casa, andando a fargli festa. Don Bosco tentò più volte di scoprire la provenienza di quel cane, ma non riu scì a niente. Nel 1872, alla baronessa Frascati che l’interrogava, rispose: «Dire che sia un angelo, farebbe ridere. Ma neppure si può dire un cane ordinario». DB 2,28 Il cane Grigio difende Don Bosco (quadro) Una sera piovosa mentre attraversava 0 terreno boschivo che separava Valdocco da Torino, due malviventi gli gettarono addosso un mantello e cominciarono a malme narlo. Don Bosco gridò. Fu allora che saltò fuori da una macchia «quel cane». Balzò alla gola dei malviventi e li mise in fuga. Poi accompagnò Don Bosco fino a Valdocco. DB 2,29 Il porticato di casa Pinardi e casa Don Bosco Questo ampio porticato fu costruito nel 1860, quando Don Bosco elevò un nuovo edi ficio al posto.della casa Pinardi. L’inverno, a Torino, è lungo e nevoso, e la primave ra è molto sovente la stagione delle piogge. Don Bosco volle questo porticato perché i giovani potessero giocare in ogni stagione. DB 2,30 Il palazzo delle camerette Nel costruire la prima parte del nuovo ospizio, Don Bosco aveva progettato anche un braccio di fabbricato che doveva prolungarsi verso mezzogiorno, parallelamente alla nuova chiesa. Egli non ebbe mai il denaro sufficiente per fare di Valdocco una costruzione unitaria. Questo edificio centrale, che ospitò la sua camera-ufficio per 35 anni, fu costruito in quattro tempi successivi. Nel cortile sottostante, già orto di mamma Margherita, è stato recentemente eretto un monumento a Don Rua. 10 DB 2,31 Il ballatoio che porta alle camerette Tutte le volte che Don Bosco usciva dalla sua camera per scendere nei cortili, percor reva questo ballatoio tra le grida festanti dei ragazzi. Oggi il ballatoio è tutto ornato di fiori, quasi a richiamare con venerazione il sogno del pergolato di rose piene di spine che Don Bosco immaginava di percorrere con i suoi ragazzi (cf MB 3, 32). DB 2,32 Altra veduta del ballatoio Su questo ballatoio Don Bosco conduceva gli ospiti illustri perché potessero contem plare la marea di ragazzi che giocavano nel cortile sottostante. Di qui il Santo si af facciava per partecipare ai loro giochi, parlare con loro e talvolta lanciare manciate di caramelle. Sui tetti si affacciano ancora oggi gli «abbaini», dove dormivano i primi Salesiani. Erano stanzini gelidi di inverno e per lavarsi aprivano il finestrotto, racco glievano la neve e si strofinavano energicamente la faccia. DB 2,33 La facciata a sud del palazzo delle camerette Nel 1874 si prolungò l’edificio delle camerette, e Don Bosco fece piantare a terra al cune viti. Da allora così si presenta la facciata, rivestita da un intreccio di viti che in autunno offrono profumati grappoli di uva. DB 2,34 La statua della Madonna, sul nuovo ampliamento Nella notte del 15 maggio 1861 scoppiò un violento temporale, e un fulmine, penetra to nella camera di Don Bosco, rischiò di provocare mali seri. Qualcuno consigliò di mettere un parafulmine. Don Bosco s’arrampicò sul palco dei muratori, e collocò tra i due oblò una statuina della Madonna: «Ecco il nostro para fulmine». DB 2,35 Altra veduta generale del palazzo delle camerette A livello del cortile, sul lato destro, è posta una lapide che ricorda la festa della rico noscenza celebrata a Valdocco con grande solennità. Ogni anno, il 24 giugno, a Valdocco si celebrava la festa onomastica di Don Bosco. Don Lemoyne ce ne ha lasciato una bella descrizione: «Era calato il sole. Dai cortili saliva il mormorio dei giovani che passeggiavano allegramente. Su tutte le finestre e le ringhiere dei poggioli erano accese cento e cento fiammelle nei bicchieri colorati. In mezzo al cortile stava la banda musicale. Don Bosco e io stavamo alla finestra. Lo spettacolo era incantevole». DB 2,36 Veduta generale del palazzo delle camerette, «cuore di Valdocco» Quando i pellegrini entrano in Valdocco, corrono con lo sguardo lassù, dove sono conservate con geloso amore le camerette di Don Bosco e i suoi ricordi. Ai piedi del l’edificio, dov’era l’orto di mamma Margherita, sorge il monumento a Don Bosco. Lo scultore Cellini ha cercato di fissare nel bronzo 0 volto sereno e il sorriso buono che incantava i suoi ragazzi. 11 DB 2,37 La prima camera abitata da Don Bosco dal 1853 al 1861 In questa stanzetta, abitata da Don Bosco dal 1853 al 1861, per i Salesiani è avvenuto «tutto». Il 26 gennaio 1854 Don Bosco raduna qui i giovani Rua, Cagliero, Rocchietti, Artiglia, e propone loro di iniziare la Congregazione Salesiana. Il 29 ottobre di quello stesso anno, in questa stessa stanza, entra per la prima volta Domenico Savio. Il 25 marzo 1855 Michele Rua si inginocchia su questo pavimento, pronuncia i voti davanti a Don Bosco e diventa il primo Salesiano. Qui ancora Don Bosco ha scritto le prime Regole della Società Salesiana. DB 2,38 La seconda camera abitata da Don Bosco per 27 anni Nel 1861 l’edificio fu raddoppiato. Don Bosco si spostò nella stanza di fronte, dove abitò e lavorò per 27 anni. Visitatori sempre più numerosi di Torino e di ogni parte d’Italia salivano ad incontrarlo, per avere da lui un consiglio, una benedizione, per portargli un’offerta, o semplicemente per confessarsi da lui. DB 2,39 Fotografia di Don Bosco nella sua seconda stanza Questa antichissima fotografia ci mostra Don Bosco al suo tavolo di lavoro. Nella semplicità-di questa stanza egli scrisse decine di libri per i suoi ragazzi e la gente del popolo. Scrisse migliaia di lettere per chiedere offerte, ringraziare, dare consigli di vita cristiana. Il suo epistolario ne raccoglie attualmente oltre 2800. DB 2,40 La stanza adibita a cappella nel gennaio 1886 Nel 1876 questo edificio fu allungato di alcuni metri. Se ne ricavarono due nuove stanze e un lungo corridoio. Una stanza fu trasformata in cappella e benedetta dal cardinale Alimonda. Quando non poteva scendere nel Santuario, Don Bosco celebra va la Messa qui, con sereno raccoglimento. L’ultima volta fu il 14 dicembre 1887. DB 2,41 La veranda dove Don Bosco passeggiava e confessava Il lungo corridoio sul fondo fu battezzato un po’ pomposamente «galleria Don Bo sco». Su questo seggiolone egli confessò negli ultimi tempi. Nel 1887 si confessò da lui un ragazzo, Luigi Orione, che oggi veneriamo beato. Aveva tanta paura di non confessarsi bene. Don Bosco stracciò i fogli da lui riempiti «di peccati», gli sorrise, e disse: «La tua confessione è fatta. Ricordati che noi due saremo sempre amici». DB 2,42 Una finestra della veranda con grappoli d ’uva Alle finestre della galleria si affacciano i tralci delle viti con i grappoli che s’arrampi cavano su dal cortile. Don Bosco li coglieva con gioia per offrirli ai suoi figli e bene fattori. Nel 1886, con gesto gentile, non volle che si staccassero i grappoli prima del l’arrivo di mons. Cagliero dall’America. Era il suo primo missionario. DB 2,43 La camera dove Don Bosco morì il 31 gennaio 1888 Solo negli ultimi mesi di vita, il letto di Don Bosco fu trasportato in quest’ultima stanza, separando l ’ufficio di lavoro dalla stanza da letto. Il lavoro stressante e continuo, i debiti, le preoccupazioni, avevano ormai segnato profondamente il suo fìsico. Ave va quasi 73 anni. 12 DB 2,44 Particolare della camera Una scaletta di legno aiutava le sue gambe gonfie a salire e scendere dal letto. Un campanello il cui filo scorreva sopra il letto, serviva da richiamo in caso di necessità. DB 2,45 La scrivania della camera Su questa scrivania vergò con mano stanca le sue ultime lettere. Il piccolo globo gli servì per seguire «sospirando» (come dice il suo biografo) le imprese dei suoi missio nari, che nel 1875 erano sbarcati nell’America del Sud, e in otto anni aprirono opere per ragazzi in Argentina, Uruguay, Brasile, Cile e Ecuador. DB 2,46 Divano e scrittoio mobile Seduto su questo piccolo divano, Don Bosco scrisse sul retro bianco di alcune immaginette le sue ultime parole da mandare ai cooperatori per il Natale 1887. Ecco le ultime due frasi che scrisse: «Chi fa del bene in vita, trova bene in morte». «In Para diso si godono tutti i beni, in eterno». DB 2,47 Letto in cui morì Don Bosco In questo letto disse le ultime parole ai suoi Salesiani. Prese per mano Don Rua e mons. Cagliero e disse adagio: «Vogliatevi bene come fratelli. Amatevi, aiutatevi e sopportatevi... Promettetemi di amarvi come fratelli». Diede anche l’ultimo saluto ai suoi giovani: «Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in Paradiso». Morì all’alba del 31 gennaio 1888. DB 2,48 Seggiolone della veranda e foto di Don Bosco morto La sua salma fu rivestita degli abiti sacerdotali e adagiata su questo seggiolone. I suoi giovani e migliaia di persone sfilarono per dargli l’ultimo saluto, pregando e piangendo. N - IL MUSEO STORICO DI DON BOSCO, A VALDOCCO DB 2,49 II crocifìsso che Don Bosco teneva in mano alla sua morte Durante gli ultimi istanti, Don Lemoyne suggerì a Don Bosco: «Pensi a Gesù in cro ce». Gli rispose: «E quello che faccio sempre». I Salesiani hanno conservato con af fetto il piccolo crocifisso che Don Bosco stringeva nelle mani mentre moriva. DB 2,50 Altare dell’estasi Questo altarino portatile era collocato nell’anticamera di Don Bosco. Nel dicembre 1878 gli servivano Messa due ragazzi, Garrone e Franchini. All’elevazione videro Don Bosco con la faccia luminosa, i suoi piedi si staccarono dalla predella e si solle varono nell’aria. 13 DB 2,51 Calice, messale e paramenti dell’altare I due ragazzi si spaventarono. Non sapevano di trovarsi davanti a un’estasi. Garrone corse via a chiamare Don Berto, il segretario di Don Bosco. Non trovò nessuno, e quando tornò, Franchini, pallido, gli disse che Don Bosco «era rimasto in aria» per quasi dieci minuti. DB 2,52 Talari e pianete usate da Don Bosco Nel grande salone che si allarga a nord delle «camerette», e che servì come studio dei ragazzi per tanti anni, sono conservati i ricordi di Don Bosco. Sono indumenti personali, camici e pianete che Don Bosco usò nella celebrazione della Messa. DB 2,53 II confessionale di Don Bosco Don Bosco trascorse moltissime ore a confessare i suoi ragazzi e la gente comune. Era una delle sue gioie profonde dare alle anime il perdono di Dio. Questo è il suo confessionale, collocato all’inizio nella sacrestia della cappella Pinardi, poi nel coro della chiesa di San Francesco di Sales, nella sacrestia del Santuario di Maria Ausiliatrice, e oggi nel museo. DB 2,54 Le nocciole, a ricordo delle moltiplicazioni Queste nocciole sono conservate in una bacheca di vetro. L’episodio della loro molti plicazione è ricordato da più di dieci testimoni. Un sacchetto di nocciole gli era stato donato nel dicembre 1885. Ne regalò a piene mani a un gruppo di ragazzi. Quando si credeva che non ce ne fossero più, ne distribuì ancora abbondantemente a 64 alun ni del ginnasio e a 40 cantori. DB 2,55 Portamonete di Don Bosco e otto soldi del suo tempo I soldi furono sempre il tormento di Don Bosco. Non ne ebbe mai abbastanza per il pane e gli abiti dei suoi giovani, per la costruzione delle sue case e per le macchine dei suoi laboratori. La Provvidenza arrivò in suo aiuto, ma quasi sempre con quel quarto d’ora di ritardo che lo faceva tanto penare. DB 2,56 II cappello e i bastoni da viaggio Cappello e bastone accompagnarono sovente Don Bosco negli ultimi anni. Andava a chiedere l’elemosina per le tante case che stava costruendo in ogni parte del mon do. Scrisse Don Rua: «Era una pena vederlo salire e scendere scale per chiedere ele mosine, sottoponendosi anche a dure umiliazioni». DB 2,57 Oggetti raccolti sulla mensa dopo la morte di Don Bosco Queste stoviglie, dono di benefattori, erano sul tavolino di Don Bosco durante la sua ultima malattia. DB 2,58 Il suo passaporto Questo è un antico passaporto di Don Bosco, datato 1850. Era stato invitato in una parrocchia di Milano. La Lombardia, in quel tempo, era dominio austriaco, e Don Bosco dovette munirsi di passaporto. Vi sono elencati i suoi connotati: età anni 35, statura once 38, capelli castani scuri, fronte media, sopracciglia castane, occhi idem, faccia ovale, carnagione bruna, condizione maestro elementare. DB 2,59 Le sue «Memorie» A 58 anni, per ordine del Papa, Don Bosco scrisse la storia dei suoi primi decenni. Riempì tre grossi quaderni, 180 pagine, e li intitolò Memorie per VOratorio e per la Congregazione Salesiana. Con le date fece un po’ di pasticcio, ma episodi, ricordi, particolari hanno una freschezza vivissima. DB 2,60 La prima statua di Maria Ausiliatrice venerata a Valdocco ■ Questa è la prima statua di Maria Ausiliatrice, in legno dorato, che fu venerata nel suo Santuario di Valdocco. Descrivendo l’Ausiliatrice, Don Bosco scrisse: «Sembra che parli, e voglia dire: Io sono qui per accogliere le preghiere dei miei figli, per ar ricchire di grazie e di benedizioni quelli che mi amano». 15 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE (Seconda unità sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco O - LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE DB 2,61 Prima foto della chiesa di Maria Ausiliatrice con scorcio di San Francesco Nell’ottobre 1844 Don Bosco ebbe un sogno: «Una pastorella mi invitò a guardare a mezzodì. Vidi un campo... “ Guarda di nuovo” , mi disse, e guardai di nuovo. Allo ra vidi una stupenda ed alta chiesa. Nell’interno era una fascia bianca in cui a carat teri cubitali era scritto: “Qui è la mia casa, di qui uscirà la mia gloria”. Era il primo impulso a costruire il Santuario di Maria Ausiliatrice». DB 2,62 La basilica e la primitiva piazza Don Bosco affidò l’impresa al capomastro Carlo Buzzetti. Gli scavi furono compiuti in parte nell’autunno del 1863, e ripresi nel marzo 1864. Alla posa della prima pie tra, Don Bosco rivolto a Buzzetti gli disse: «Ti voglio dare un acconto». Gli rovesciò nelle mani il borsellino: 8 soldi, nemmeno mezza lira. Don Bosco sorrise: «Stai tran quillo, la Madonna penserà lei a far arrivare il denaro necessario». DB 2,63 La basilica con fedeli agli inizi del ’900 Il Santuario fu consacrato il 9 giugno 1868. Qualcuno disse che quello era un miraco lo di Don Bosco, ma lui rispose: «Io non sono niente. È il Signore, è Maria SS. che si degnarono di servirsi di un povero prete per compiere la loro opera». Questa foto è del primo Novecento. Tra i fedeli nel costume del tempo, si scorge anche una delle prime automobili che si costruirono a Torino. DB 2,64 La basilica col mercato in piazza Da quel 1868, il «mese di maggio» di Valdocco in onore dell’Ausiliatrice divenne una delle funzioni religiose più frequentate della città e del Piemonte. Molti accorrevano anche dalla provincia e da più lontano. 16 DB 2,65 Interno della basilica Il Santuario di Valdocco diventava centro d’irradiazione della devozione alla Ma donna in scala sempre più vasta: santuario locale e santuario mondiale. I Salesiani che partivano per le Missioni avevano il ricordo indimenticabile del Crocifìsso rice vuto ai piedi di Maria Ausiliatrice, e trapiantavano il nome e la devozione all’AusiIiatrice in tutto il mondo. DB 2,66 La cappella di San Pietro Nella crociera a destra c’era l’altare dedicato a S. Pietro. Il quadro rappresentava Gesù che consegna le chiavi del Regno a Pietro. A questo altare Don Bosco veniva sovente a celebrare la S. Messa, e un giorno moltiplicò le ostie. DB 2,67 La cappella di Solutore, Avventore, Ottavio e di Sant’Anna Nella cappella a destra della navata centrale era l’altare dedicato a Sant’Anna, la mamma della Madonna. Dopo i restauri eseguiti nel 1890, il quadro principale raffi gurò i martiri di Torino: Solutore, Avventore e Ottavio. In primo piano rimase un piccolo quadro di Sant’Anna. DB 2,68 La cappella di San Francesco di Sales Nella cappella a sinistra, l’altare era dedicato ai Cuori SS. di Gesù e di Maria. Nel 1891, ricorrendo 0 primo cinquantenario dell’Opera Salesiana, la cappella fu dedi cata a San Francesco di Sales, patrono della Congregazione. Il quadro è del Reffo, artista torinese. DB 2,69 La vecchia sacrestia Dietro l’abside del Santuario, ai tempi di Don Bosco, si aprivano due sacrestie. Le pareti erano ricoperte di ex voto che i devoti venivano a portare come segno di grazie ricevute. Nella prima sacrestia, Don Bosco aveva il suo confessionale, affollato in con tinuazione da penitenti che volevano riconciliarsi con Dio. DB 2,70 La Chiesa di Maria Ausiliatrice come la costruì Don Bosco Così era la struttura architettonica del Santuario di Maria Ausiliatrice come lo co struì Don Bosco. Col passare degli anni, Don Bosco apparirà sempre più alla gente come «il santo dell’Ausiliatrice», fino a provocare lo scambio dei termini, e a far dire l’Ausiliatrìce «la Madonna di Don Bosco». DB 2,71 Il capomastro Carlo Buzzetti Diresse la costruzione del Santuario Carlo Buzzetti, capomastro. Era stato dei pri missimi ragazzi dell’Oratorio. Si era addormentato con altri giovani sui gradini della balaustra in San Francesco d’Assisi, mentre un prete predicava difficile. Don Bosco li aveva destati e condotti in sacrestia. Erano diventati amici: un’amicizia che durava ormai da 27 anni. 17 DB 2,72 Statua della Immacolata sulla cupola Nel 1867 fu collocata sul vertice della cupola una grande statua della Madonna. Scri ve Don Bosco: «La statua è alta quattro metri ed è sormontata da dodici stelle. È in rame dorato. Essa risplende luminosa a chi la guarda da lontano al momento che è riverberata dai raggi del sole». DB 2,73 Attuale facciata della basilica di M. Ausiliatrice Oggi vediamo così la facciata del Santuario di Maria Ausiliatrice, costruito in stile tardo Rinascimento. L’architettura ricorda quella di san Giorgio Maggiore, a Vene zia: due campanili ai lati e la cupola centrale che misura 19 metri di diametro, e s’in nalza sopra la parte centrale della crociera. DB 2,74 / due campanili e la cupola centrale con la statua di Maria Immacolata Le difficoltà finanziarie per la costruzione furono veramente grandi, ma Don Bosco potè affermare: «Ogni mattone di questa chiesa è una grazia della Madonna». Se il «povero Don Bosco» riuscì a superare tutte le difficoltà, lo dovette all’aiuto dell’Ausi liatrice che si mise lei — secondo la parola di Don Bosco — «a fare le questue più fruttuose». DB 2,75 La seconda cupola eretta durante l ’ampliamento Dopo la canonizzazione di Don Bosco (Pasqua 1934), il Santuario risultò incapace di accogliere tutti i fedeli attirati in questa chiesa anche dalla santità di Don Bosco. Si eseguirono per tre anni lavori di ampliamento. Fu demolita l’antica abside e am pliato il presbiterio, sul quale fu eretta la seconda cupola, in perfetta armonia con quella edificata da Don Bosco. DB 2,76 Interno del Santuario: veduta generale Chi entra per la prima volta nel Santuario, è avvolto da una atmosfera di raccogli mento: si sente immediatamente attratto dal grande quadro che campeggia nella pa rete di fondo. Don Bosco lo pensò nei primi mesi del 1865. Ne affidò l’esecuzione al pittore Lorenzone. DB 2,77 Quadro di Maria Ausiliatrice Don Bosco cercò di comunicare al pittore ciò che «voleva vedere» nel quadro con queste parole: «In alto Maria SS. tra gli Angeli, intorno a Lei gli apostoli, i profeti, le vergi ni, i confessori. Nella parte inferiore i popoli delle varie parti del mondo che tendono le mani verso di Lei e chiedono aiuto». Don Bosco vedeva così l’Ausiliatrice: cuore della Chiesa e aiuto della Cristianità universale. DB 2,78 L ’altare di Don Bosco Oggi i resti mortali di Don Bosco riposano sull’altare monumentale a lui dedicato nel santuario. E una massa imponente per la grandiosità artistica delle linee e per l’armonia policroma dei marmi. L’urna del santo è posta in alto, ben visibile a chi è discosto dall’altare, mentre è possibile avvicinarla passando dietro l’altare. 18 Ai lati della mensa due grandi statue di marmo bianco simboleggiano la fede e la carità. Due grandi vetrate a colori rappresentano l’incontro di Bartolomeo Garelli e l’altra Don Bosco e mamma Margherita che giungono alla casa Pinardi. DB 2,79 Urna di Don Bosco La salma di Don Bosco riposa in un’urna di bronzo sopra un lettino di velluto rosso. I resti del suo corpo sono rivestiti dei paramenti sacerdotali donati dal papa Benedet to XV. Il volto e le mani sono stati modellati in cera dallo scultore Cellini. DB 2,80 Volto di Don Bosco Ecco il volto di Don Bosco. Un volto che ha sorriso a migliaia di ragazzi, comunican do la gioia della vita cristiana. Un volto che ha saputo soffrire perché i giovani aves sero su questa terra meno fatica per vivere, e una visione di Cielo nel punto della loro morte. Il volto di un uomo di Dio. DB 2,81 L ’altare di San Giuseppe L’altare di san Giuseppe, di fronte a quello di Don Bosco, è ancora come lo ha voluto il santo. Don Bosco vide in san Giuseppe il protettore dei suoi ragazzi lavoratori. II quadro del Lorenzone giganteggia sull’altare. Nei finestrini del transetto, due ve trate a colori richiamano lo sposalizio di Maria con san Giuseppe, e l’altra la morte di san Giuseppe assistito da Gesù e da Maria. DB 2,82 Altare di San Domenico Savio La cappella di San Francesco di Sales, a sinistra, è stata ora dedicata a Domenico Savio, il ragazzo santo. Nel 1950, primo adolescente, è stato canonizzato e proposto come modello di purezza e di apostolato a tutti i ragazzi del mondo. Un’urna di legno dorato raccoglie le sue gloriose spoglie. DB 2,83 L ’altare di Santa Maria Mazzarello A destra, presso l’ingresso principale, c’è oggi la cappella di Santa Maria Domenica Mazzarello, confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Morì a soli 44 anni a Nizza Monferrato, dopo una vita di dolorosi stenti coperti dal sorriso. Disse alle sue suore: «In questo mondo, qualunque cosa avvenga, non dobbiamo né rallegrarci né rattristarci troppo. Siamo nelle mani di Dio». DB 2,84 L ’ampliamento sul lato destro dell’altare maggiore L’ampliamento del Santuario ha permesso di aprire, accanto al grande presbiterio, due amplissime cappelle laterali, ricche di marmi e di decorazioni. In esse, per mol tissimi anni, si affollarono ogni giorno i ragazzi dell’Oratorio, a pregare e a cantare. DB 2,85 Cripta: cappella dell’apparizione Nella parte inferiore del Santuario si trova un’ampia cappella chiamata comunemente «delle reliquie». A destra di chi scende è la cappellina dedicata alla Vergine, chiama ta «cappella dell’apparizione». 19 DB 2,86 Luogo dove la Madonna posò il piede Don Bosco narrò: «In sogno una Signora mi disse: “ In questo luogo, dove i gloriosi martiri di Torino Avventore e Ottavio soffrirono il loro martirio, io voglio che Dio sia onorato in maniera specialissima” . Così dicendo avanzava un piede posandolo sul luogo del martirio. Me lo indicò con precisione». Don Bosco ricordava quel pun to, e lo additò durante gli scavi. Ora quel punto è segnato sul pavimento da una croce dorata. DB 2,87 Altare della Madonna e quadro dell ’apparizione H quadro, alla sinistra della cappella, è del pittore Dalle Ceste, e ricorda il «sogno» in cui la Signora maestosa indica a Don Bosco il luogo preciso del martirio dei soldati della legione Tebea. DB 2,88 Quadro del martirio di Solutore, Avventore e Ottavio A destra dell’altare, il pittore ha rappresentato la scena del martirio dei soldati Av ventore e Ottavio, uccisi nel 300 d.C. sotto l’imperatore Massimiliano. Solutore, fe rito, riuscì a fuggire fino a Ivrea, dove fu lui pure ucciso. I loro resti sono conservati a Torino nella chiesa dei Santi Martiri, in via Garibaldi. DB 2,89 La cappella delle Reliquie Questa cappella sotterranea costituisce una rarità e un tesoro. Vi sono radunate e esposte oltre 60 mila reliquie di Santi e Martiri. Le radunò, durante tutta la sua vita, il commendatore Michele Bert, che le donò al Santuario di Maria Ausiliatrice. DB 2,90 La preziosa reliquia del legno della Croce Presso l’altare maggiore sono conservate le due reliquie più preziose: del legno della santa Croce e del preziosissimo Sangue di Gesù. Il frammento del legno della Croce misura cm 17 x 10, ed è tra i più grandi che si conservino fuori Roma. DB 2,91 Il sepolcro del beato Don Rua A destra, nella cappella delle reliquie, è la tomba del beato Michele Rua, uno dei primissimi ragazzi di Don Bosco e suo successore alla testa della Congregazione Sale siana per 22 anni. DB 2,92 La statua di Maria Ausiliatrice Questa statua di Maria Ausiliatrice viene portata in processione ogni anno, il 24 mag gio, per le vie di Valdocco e dei borghi vicini. Essa sfiora il mercato generale della città, dove Don Bosco andava a cercare i suoi primi ragazzi, e passa lentamente nelle vie adiacenti il Cottolengo, dove i malati l’attendono per invocare la sua protezione. DB 2,93 La basilica illuminata per la festa di M. Ausiliatrice Alla sera del 24 maggio, festa dell’Ausiliatrice, mentre scendono le ombre, il Santua rio si illumina di una festa di colori. È uno spettacolo indimenticabile. Richiama mi gliaia di torinesi, che portano i bambini «a vedere la Madonna». DB 2,94 Giovannino fa scuola di catechismo ai Becchi Nella sacrestia del Santuario sono raffigurati, in grandi quadri del pittore Crida, gli episodi principali della vita di Don Bosco. Qui è raffigurato Giovannino che, in un fienile, intrattiene i suoi amici con racconti e con brillanti lezioni di catechismo. DB 2,95 Don Bosco ascolta le confessioni dei ragazzi dell’Oratorio Don Bosco per molti anni passò ore e ore nel confessionale. Anche a tarda notte, da va a tutti quelli che lo desideravano la comodità di confessarsi. È risaputo che Don Bosco è stato anche definito il prete della Confessione. DB 2,96 Don Bosco e mamma Margherita arrivano a Valdocco Il quadro rappresenta il momento dell’arrivo di Don Bosco e di mamma Margherita presso la casa Pinardi, dopo la malattia e la convalescenza del 1846. Don Bosco indi ca il terreno che sta davanti alla casa, e col gesto sembra dire: «Ecco, mamma, il campo del nostro lavoro». DB 2,97 L ’incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli È qui raffigurato l’incontro di Don Bosco con il giovane muratore Bartolomeo Ga relli, avvenuto l’8 dicembre 1841, festa dell’immacolata Concezione di Maria, nella chiesa di San Francesco di Assisi. Esso segnò l’inizio deU’Oratorìo festivo di Don Bo sco, che fiorì per tre anni presso quella chiesa. DB 2,98 Don Bosco e Bartolomeo Garelli (particolare) Molto ammirata, nel quadro del Crida, la figura di Bartolomeo, il ragazzo che guar da Don Bosco come estasiato, e gli sorride, contento per le parole buone che gli sono state rivolte. DB 2,99 Don Bosco in mezzo ai ragazzi dell’Oratorio Don Bosco è raffigurato proprio a Valdocco in mezzo ai ragazzi che lo guardano con affetto e venerazione. «La figura di Don Bosco — scrive Fedele Giraudi — è una delle più somiglianti, avendo il pittore riprodotto a perfezione quella tanto popolare del pittore Rollini, che si conserva nel piccolo museo presso le camerette del Santo». DB 2,100 San Giuseppe Cafasso San Giuseppe Cafasso è raffigurato mentre parla a un gruppo di sacerdoti, tra i qua li è Don Bosco. Fu questa l’attività principale: essere maestro di giovani sacerdoti. Nel Convitto Ecclesiastico, che diresse fino alla morte, avvenuta nel 1860, preparava i sacerdoti appena usciti dal Seminario ad essere preti di Dio e del tempo in cui erano chiamati ad operare. DB 2,101 San Giuseppe Benedetto Cottolengo Il pittore Dalle Ceste ha rappresentato san Giuseppe Benedetto Cottolengo accanto a un povero vecchio che implora di essere accolto nella Piccola Casa della Divina Prov videnza, da lui stesso fondata. Dall’altra parte è seduta una madre che lo supplica per sé e per il bambino che tiene in braccio. 21 DB 2,102 II quadro di San Giuseppe Don Bosco volle che uno dei quadri più belli del santuario rappresentasse san Giu seppe mentre protegge l’Oratorio. Lo descrisse lui stesso al pittore Lorenzone. Il qua dro fu inaugurato solennemente il 2 aprile 1874. DB 2,103 II quadro di Don Bosco Presso l’urna di Don Bosco, il pittore Crida eseguì questo quadro che raduna le ca ratteristiche del Santo: il suo amore per i ragazzi, il suo lavoro apostolico per portar li a Maria Ausiliatrice e al Signore Gesù. DB 2,104 II quadro di San Domenico Savio L’altare di san Domenico Savio è stato arricchito nel 1985 da questo quadro del Caffaro Rore. Il giovane santo è raffigurato come il protettore della gioventù attuale, impegnata nello studio, nel lavoro, nelle attività artistiche e sportive. Il gioioso bam bino sorretto dalla madre lo addita pure come protettore della vita nascente. DB 2,105 II sogno della zattera Nella facciata interna del Santuario, due grandi quadri del pittore Mario Barberis ricordano due sogni drammatici di Don Bosco. Nel primo durante una terribile tempesta, parve a Don Bosco di portare a salvezza molti giovani su una modesta zattera. DB 2,106 II sogno delle due colonne L’altro sogno è ricordato come «Le due colonne in mezzo al mare», e fu raccontato da Don Bosco il 30 maggio 1862. Durante una violenta guerra che i nemici di Dio fanno alla Chiesa e al Papa, il romano pontefice guida la nave della Chiesa ad anco rarsi tra due robuste colonne, sormontate dall’Eucaristia e dalla statua della Madonna. DB 2,107 II dipinto della cupola Nell’alto della cupola maggiore, il pittore Rollini ha raffigurato il trionfo e la gloria di Maria Ausiliatrice in Cielo. Sotto le vittorie riportate dalla Chiesa, con l’aiuto di Maria. Ai piedi della Madonna sono raffigurate la missione di Don Bosco e dell’Opera Salesiana delle Figlie di Maria Ausiliatrice. DB 2,108 La cupola della basilica di Maria Ausiliatrice Don Bosco aveva tanto desiderato di vedere decorata la cupola del Santuario. Fu Don Rua a darne l’incarico al pittore Giuseppe Rollini, nel 1889. 22 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco VALDOCCO STORICO (Terza unità sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco P - COSTRUZIONI E REALIZZAZIONI DB 2,109 Casa Pinardi (disegno di Bartolomeo Bellisio) Il pittore Bellisio, che fu tra i primi ragazzi dell’Oratorio, ci ha tramandato questo disegno della Casa Pinardi. Esso ci mostra la primitiva struttura dell’umile edifìcio che sarebbe divenuto poi il centro dell’Opera Salesiana. Dalla Casa Pinardi, infatti, i figli di Don Bosco si sarebbero diffusi in tutto il mondo. DB 2,110 Contratto di affitto di casa Pinardi A Roma, nell’archivio storico salesiano, sono conservati i due contratti stipulati per l ’affitto di casa Pinardi. Il primo, redatto il 1° aprile 1846, concedeva per 300 lire l ’affitto di tre locali e di una striscia di terreno per tre anni. Il secondo concedeva l ’affitto di altri locali della stessa casa. Le lire salivano a 710 annuali. La diapositiva, oltre al primo contratto ci presenta anche l’inventario della tettoia. DB 2,111 Scuola in cucina (dal film) Questo fotogramma del film «Don Bosco» può servire ad illustrare le parole che egli scrisse sui primissimi tempi delPOratorio: «Non potendo avere locali per la scuola, per qualche tempo dovetti farla in cucina o in camera mia; ma gli allievi, fior di mo nelli, o tutto guastavano o tutto mettevano sottosopra». DB 2,112 Pianta degli edifici dell’Oratorio negli anni 1860 Le cinque planimetrie raffigurano com’era l’Oratorio vent’anni dopo l’arrivo di Don Bosco a Valdocco, prima che sorgesse il Santuario di Maria Ausiliatrice: al piano sotterraneo le cucine e i refettori; a pian terreno la chiesa di San Francesco di Sales e cinque laboratori; al primo piano le camerate e gli uffici; al secondo piano gli ar chivi e altri uffici. 23 DB 2,113 Costruzione sopra casa Pinardi Questo è l’edificio costruito da Don Bosco nel 1856 sul luogo dove sorgeva la casa Pinardi. II26 aprile 1852 c’era stato a Torino, terribile, lo scoppio della polveriera. La casa Pinardi, già malandata, ne uscì scossa e con tetti fracassati. La demolizione era sempre urgente. Finalmente Don Bosco ci mise mano nel 1856. DB 2,114 II primo laboratorio aperto da Don Bosco per i calzolai Nell’autunno del 1853, Don Bosco iniziò i laboratori dei calzolai e dei sarti. Quello dei calzolai fu piazzato nel locale strettissimo che ora funziona come mini-sacrestia della cappella Pinardi: due deschetti e quattro seggioline. Fu Don Bosco 0 primo mae stro: si sedette al deschetto e martellò una suola davanti a quattro ragazzi. DB 2,115 Refettorio dei Salesiani Dove ora è l’ampio porticato, nel 1855 era la stanza dove Don Bosco raccolse gli sco lari di terza ginnasiale (corrispondente all’attuale terza media). Professore fu il gio vanissimo chierico Giovanni Battista Francesia. Tra gli alunni schierati nei banchi, c’era san Domenico Savio. DB 2,116 La scala che scende nello scantinato Per disporre di più locali possibili, Don Bosco fece scavare scantinati sotto i nuovi edifici, e poi anche sotto la chiesa di San Francesco di Sales. Nella diapositiva si vede la rampa di scala che scendeva nello scantinato dov’era collocato il refettorio degli studenti e la cucina. DB 2,117 La scala per cui scendevano gli artigiani nel loro refettorio Sotto la chiesa di San Francesco di Sales collocò il refettorio dei giovani artigiani. La scala, ora murata, scendeva dal porticato che si apriva di fianco alla chiesa. DB 2,118 L ’edificio del 1853 (prima costruzione) Questo edificio ad angolo fu costruito subito dopo la chiesa di San Francesco di Sa les, nell’autunno 1852. Si alzò a tempo di record, ma le piogge scroscianti lo abbatte rono nella notte del 1° dicembre 1852. Don Bosco ebbe un momento di profondo sco raggiamento, ma subito si riprese, e l’edificio fu ricostruito nell’estate del 1853. DB 2,119 Casa Filippi e palazzo Audisio Questi due edifici furono aggiunti all’Oratorio negli anni 1860-64. Il primo a sinistra è la casa Filippi, acquistata da Don Bosco per l’ingente somma di lire 65 mila. Il se condo fu costruito nel 1863-64. In onore di un salesiano coadiutore, che per anni fu umile magazziniere, fu chiamato «palazzo Audisio». DB 2,120 Veduta generale delle costruzioni a lato delle Camerette Con l’entrata in funzione dei nuovi edifìci, il numero dei ragazzi ospitati in Valdocco potè toccare il numero di 800. Stupisce il pensiero che in pochi anni Don Bosco, sen za denari, abbia potuto realizzare opere così imponenti per i suoi ragazzi. 24 DB 2,121 Casa Pinardi - Camerette - Casa Filippi Quest’antica fotografia ripresa dall’alto, è un prezioso documento delle prime co struzioni realizzate da Don Bosco. Il rifacimento della vecchia casa Pinardi (a sini stra), il suo prolungamento, il fabbricato delle camerette (al centro), e la casa Filippi dopo gli adattamenti apportati nel 1863. L’ospizio era iniziato e avviato. DB 2,122 Ingresso all'Oratorio Chi entrò nell’Oratorio tra il 1868 e il 1910, ebbe davanti questo scenario. Chi voleva raggiungere le camerette di Don Bosco, percorreva questo passaggio, tra la basilica e il margine del cortile dei giovani artigiani. DB 2,123 II cortile degli artigiani Una lunga costruzione diagonale che correva lungo il tracciato dell’antica via Giar diniera, divideva il cortile dei giovani artigiani da quello dei giovani studenti. Ecco quello degli artigiani a fianco del Santuario. Qui sovente scendeva Don Bosco a sfi dare i giovani più robusti alla corsa. DB 2,124 II cortile degli studenti n cortile dei giovani studenti si estendeva davanti all’edificio delle «camerette» di Don Bosco. Anche negli ultimi anni, consumato dai viaggi e dai debiti, Don Bosco non si stancò mai dei suoi ragazzi. Vederli, sentirli, fare dieci passi con loro, gli ridava la vita anche dopo giornate massacranti. DB 2,125 II cortile dell’oratorio festivo Accanto al convitto interno popolato di ragazzi studenti e artigiani, continuò a vivere e a prosperare l’oratorio esterno. Quando non potè più occuparsene di persona, Don Bosco lo affidò a Don Giulio Barberis. Gli oratoriani utilizzavano come loro chiesa quella di San Francesco di Sales, e giocavano su un’ampia striscia di terreno lungo il Santuario. DB 2,126 Don Bosco portato in trionfo dai giovani (antica illustrazione) Il clima gioioso e festivo del primo Oratorio fu sempre tale per Don Bosco. Egli ri cordava la scena commovente della partenza degli oratoriani, alla sera della domeni ca: «Usciti di chiesa, sei dei più robusti facevano con le loro braccia una specie di sedia, sopra cui era giocoforza che io mi ponessi a sedere... Procedevamo cantando e ridendo fino al rondò... Fattosi profondo silenzio, io potevo augurare a tutti buona sera e buona settimana». DB 2,127 Giovani apprendisti in officina Fin dall’inizio i primi ragazzi di cui Don Bosco si occupò erano giovani operai o ap prendisti o semplicemente immigrati delle campagne in cerca di lavoro. Procurava loro un padrone e, appena potè, li ospitò nell’Oratorio, nei laboratori aperti da lui. 25 DB 2,128 Contratto di lavoro Nell’archìvio salesiano si conservano alcuni contratti di apprendistato firmati dal da tore di lavoro, dall’apprendista e da Don Bosco nel 1851 e 1852. Son tra i più antichi contratti per apprendisti firmati a Torino. Don Bosco, collocando i suoi primi giova ni a imparare un mestiere, si preoccupava di difenderli dai padroni non sempre onesti. DB 2,129 I laboratori dei falegnami e dei fabbri Appena potè, aprì per gli apprendisti i laboratori interni. Dopo i calzolai e i sarti fu la volta dei legatori, poi dei falegnami e dei tipografi, finalmente dei meccanici. Per i suoi laboratori, Don Bosco inventò una forma nuova di religiosi: i salesiani coa diutori, religiosi come i chierici e i preti, ma dedicati alle scuole professionali. DB 2,130 Attestati di riconoscenza dei giovani a Don Bosco In occasione della festa onomastica di Don Bosco, i giovani facevano capriole di fan tasia per esprimergli la propria riconoscenza. Ecco tre curiosi attestati: uno a forma di cuore, un secondo a forma di cedola bancaria per «riscuotere 6 mesi di buona con dotta», un terzo a modo di fattura libraria che invece di libri elenca buoni propositi. DB 2,131 La banda dell’Oratorio «Un oratorio senza musica è un corpo senz’anima», diceva Don Bosco. Per i suoi gio vani escogitò mille modi per rallegrarli, e la banda fu tra i primi. Coltivava la musi ca strumentale e vocale come fontana dell’allegria dei suoi giovani. Voleva che i suoi ragazzi suonassero, e mise nelle loro mani giovanissime gli strumenti musicali. Volle che i suoi Salesiani si diplomassero in musica, per insegnare bene. DB 2,132 II teatro, mezzo di educazione Le feste dell’Oratorio erano rallegrate da splendide recite. Egli stesso scrisse soggetti teatrali. (La diapositiva ne presenta tre, accanto a un programma teatrale). In un articolo del regolamento, ricordò che lo scopo del teatro non è soltanto divertire, ma educare e istruire i giovani. DB 2,133 Scuola di canto 2 febbraio 1842. È la festa della Purificazione di Maria (allora festa di precetto). Ai suoi primi 25'ragazzi Don Bosco ha insegnato a cantare una semplice lode della Ma donna, Lodate Maria. Durante la Messa la gente guarda meravigliata quei 25 «barabbotti» che cantano bene e con delicatezza. Da quel giorno la musica fu sempre di casa nelle opere di Don Bosco: portava un’allegria di paradiso. DB 2,134 Lettere di Don Bosco ai suoi ragazzi Anche da lontano, Don Bosco viveva con il pensiero accanto ai suoi ragazzi. Scriveva loro lettere affettuosissime. Il 16 agosto 1863, dal Santuario di Oropa, descrive le meraviglie del Santuario e dei monti che lo circondano, ma aggiunge subito: «Ma il mio cuore prova un vero rincrescimento: non vedo i miei cari giovani». 26 DB 2,135 Foto di Don Bosco tra i giovani È la foto più bella di Don Bosco. È stata scattata nel 1861, e rappresenta al vivo la realtà di quegli anni: i ragazzi si stringono intorno a Don Bosco, lo sentono loro ami co. Egli può scrivere con verità: «Io con voi mi trovo bene: è proprio la mia vita stare con voi». DB 2,136 Verbale di fondazione della Congregazione Salesiana e taccuino di Don Rua In questo clima di famiglia Don Bosco si sceglie i primi aiutanti. Questa pagina di taccuino di Michele Rua registra la nascita dei Salesiani: «La sera del 26 gennaio 1854 ci radunammo nella stanza di Don Bosco: esso Don Bosco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero e Rua; e ci fu proposto di fare... una prova di esercizio pratico di carità... Da tale sera fu posto il nome di Salesiani a coloro che si proposero... tale esercizio». DB 2,137 Diciotto firme dei primi Salesiani In questa pagina sono raccolte le firme dei primi 18 Salesiani che accettarono di unirsi nella Congregazione Salesiana. Nella cronaca di Don Ruffino si legge: «L’11 giugno 1860 abbiamo sottoscritto le regole della Congregazione di San Francesco di Sales». DB 2,138 Quadro di San Francesco di Sales Fin dall’inizio, Don Bosco mise la sua opera sotto la protezione di san Francesco di Sales. Il perché l’ha scritto lui stesso: «Perché questo nostro ministero esige grande calma e dolcezza: ci siamo messi perciò sotto la protezione di san Francesco di Sales perché ci ottenesse la sua straordinaria mansuetudine». DB 2,139 Manoscritto delle Regole e prima stampa Le Regole, che Don Bosco diede ai suoi Salesiani, furono ispirate da queste parole di Pio IX: «Siano miti e di facile osservanza. La foggia del vestire, le pratiche di pietà non vi facciano distinguere in mezzo al mondo. Ogni membro della Società sia un religioso in faccia alla Chiesa e un libero cittadino nella civile società». (Nella diapositiva una pagina manoscritta delle Regole e la stampa del 1860). DB 2,140 Decreto di approvazione della Società Salesiana (1 ° marzo 1869) La strada che Don Bosco dovette percorrere per l’approvazione della Congregazione e delle sue Regole fu lunga e difficile. Il 1° marzo 1869 un decreto romano approvò ufficialmente la Società Salesiana. (H documento è nella diapositiva). Solo il 3 aprile 1874, per intervento personale del Papa, furono approvate le Regole Salesiane. DB 2,141 Foto dei Salesiani dell’Oratorio con Don Bosco (1870) Questa foto del 1870 ritrae Don Bosco con 18 dei primissimi salesiani. Tra di essi sono alcune colonne fondamentali della Congregazione. In prima fila, da sinistra, sono Don Costamagna, Don Cagliero, Don Durando. Dopo Don Bosco si scorgono Don Lazzero, Don Angelo Savio, i chierici Pellegrini, Barberis e Bertello. 27 DB 2,142 Salesiani coadiutori (religiosi laici) Per i laboratori e le scuole professionali, Don Bosco inventò una nuova forma di reli giosi: i Coadiutori Salesiani. Egli disse loro nel 1883: «Voi non dovete essere chi lavo ra direttamente, ma chi dirige. Io ho tanto bisogno di avere molti che mi vengano in aiuto in questo modo: non dovete essere servi ma padroni, non sudditi ma superiori». DB 2,143 II forno del «Pane di Don Bosco» Nei sotterranei del Santuario di Maria Ausiliatrice, nel 1868, fu inaugurata la panet teria dell’Oratorio. Sfornava ogni giorno settecento chili di pane. Don Bosco accom pagnava volentieri i visitatori in panetteria, faceva assaggiare il pane fresco e diceva: «Questo ce lo manda giorno per giorno la Provvidenza» (MB 18, 251). Il mangiare il pane di Don Bosco era sinonimo di farsi «salesiano». DB 2,144 Alla sequela di Don Bosco Nel sogno del pergolato di rose — racconta Don Bosco — «vidi uno stuolo di preti, chierici, secolari, i quali mi dissero: “ Siamo tutti suoi. Siamo pronti a seguirla” ». In questo quadro sono raffigurati questi uomini che ebbero fiducia in Don Bosco, e nel suo nome lavorarono tra i giovani in ogni parte del mondo. DB 2,145 II porticato e l ’edifìcio della tipografia Il quinto laboratorio aperto da Don Bosco a Valdocco, il più desiderato, fu la tipo grafia. Don Bosco dovette armeggiare quasi un anno per ottenere l’autorizzazione prefettizia. Fu accordata il 31 dicembre 1861. DB 2,146 La composizione e la stamperia Gli inizi fùrono modesti: due «ruote» fatte girare dai ragazzi con la forza delle brac cia. Ma, ancora vivente Don Bosco, quella tipografia divenne grandiosa e moderna, tanto da competere con le migliori della città: quattro torchi, dodici macchine mosse a energia, stereotipia, fonderia dei caratteri, calcografia. DB 2,147 La casa Bellezza, ultimo acquisto di Don Bosco Fin dai primi tempi dell’Oratorio, un elemento di disturbo era la «Giardiniera» cioè la bettola frequentatissima di casa Bellezza. Specialmente d’estate si sentivano i can ti e le urla degli ubriachi. Per decine d’anni Don Bosco cercò di comprare quella ca sa, ma invano. Solo nel 1883, quando la proprietaria morì, egli potè acquistarla per Fingente somma di lire 110 mila. DB 2,148 Lettere di Don Bosco ai benefattori Negli ultimi anni per le sue mani passarono somme ingentissime, colossali. Don Bo sco ricambiò questa generosità con una profonda riconoscenza. Migliaia di lettere, che gli rubarono 0 sonno e la salute, furono da lui scritte a tutti i suoi benefattori, al contadino, all’operaio che gli offriva 10 centesimi, al banchiere che gli spediva mi gliaia di lire. 28 DB 2,149 Benefattori e cooperatori di Don Bosco (i conti Callori) Il dipinto, nella chiesa di San Francesco di Sales, raffigura i conti Federico e Carla Callori di Vignale. La contessa Callori ebbe con Don Bosco una generosità straordi naria. Era l’ultima riserva a cui egli ricorreva nei casi «impossibili». Non ebbe mai un rifiuto. Per questo Don Bosco la chiamò con delicatezza «mamma Callori». DB 2,150 Biglietto della lotteria Per radunare 30 mila lire che mancavano alla costruzione della chiesa di San France sco di Sales, Don Bosco nel 1851 organizzò per la prima volta una lotteria pubblica. Lo spaccio dei biglietti gli costò molte umiliazioni, ma il successo fu notevole. E di fare lotterie Don Bosco non smise più. Nelle ultime lettere, scritte con mano incerta, raccomanderà ancora di «accettare un blocchetto di biglietti per la mia lotteria». DB 2,151 Lo sviluppo di Valdocco, vivente Don Bosco Le cinque planimetrie presentano le successive espansioni dell’Oratorio durante la vita di Don Bosco. Le ha pubblicate Don Fedele Giraudi, economo generale dei Sale siani, nel volume l’Oratorio di Don Bosco, accurata e reverente documentazione del la prima Opera Salesiana. DB 2,152 Allievi ed exallievi illustri Questo bel dipinto della chiesa di San Francesco di Sales raffigura san Domenico Sa vio, Michele Magone e Francesco Besucco, i tre ragazzi di cui Don Bosco scrisse la biografia. Furono i primi di moltissimi giovani, che nelle case di Don Bosco vissero intensamente la vita cristiana, fino ai vertici della santità. DB 2,153 Testamento ai Salesiani: taccuino di Don Bosco Gennaio 1884. Don Bosco non è più che l’ombra di se stesso. Sfinito eppure lucidissi mo, capisce che sta per lasciare i suoi giovani e i suoi Salesiani. E allora scrive il suo testamento: su un piccolo taccuino di poveri ritagli messi insieme in legatoria. Sono le pagine più intime e accorate di Don Bosco. DB 2,154 Torino: monumento a Don Bosco (Cellini) Gli exallievi salesiani, sparsi in tutto il mondo, sono milioni. Nel Congresso Interna zionale del 1911 essi vollero edificare a Don Bosco un grande monumento, segno di riconoscenza. Fu inaugurato davanti al Santuario di Maria Ausiliatrice nel 1920. È opera dello scultore Gaetano Cellini. DB 2,155 La missione di Don Bosco (particolare del monumento) In questo particolare del monumento è espresso il sorriso di Don Bosco, che faceva scattare l’amicizia dei giovani. D sacrestano che aveva percosso Bartolomeo Garelli, e che era stato rimproverato da Don Bosco, gli domandò seccato: «Ma a lei che gliene importa?». Don Bosco rispose: «È un mio amico». La nuova tonalità che egli avrebbe dato all’educazione si chiamava «amicizia». 29 DB 2,156 Don Bosco da Torino al mondo intero Nelle giornate di vacanza, i giovani della Società deU’Allegria di Chieri partivano per le colline di Superga. Fu in quelle passeggiate che Giovanni Bosco non solo vide, ma visitò per la prima volta Torino. Essa sarebbe diventata il campo di azione che la Provvidenza gli assegnava. Qui avrebbe lottato fino alla morte per i giovani umiliati dall’ignoranza, dalla mise ria, dalla mancanza di Dio. E di qui avrebbe mandato i suoi Salesiani in tutto il mondo. 30 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco APOSTOLATO E CARISMI DI DON BOSCO (Quarta unità sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco Q - ITINERARI DI SALESIANITÀ: APOSTOLATO - DEVOZIONE MARIANA - DON BOSCO SCRITTORE DB 2,157 I pulpiti di Don Bosco Presentiamo ora alcune immagini che concretizzano visivamente l’apostolato di Don Bosco attraverso oggetti, luoghi e documenti storici. In questo fotomontaggio sono abbinati due pulpiti: quello delle buone notti (ora nel museo), che per anni era rimasto sotto il porticato testimone di mille e mille conver sazioni di Don Bosco con i suoi ragazzi, e quello della Basilica di Maria Ausiliatrice dal quale Don Bosco pronunciava, per i giovani e per i fedeli, le sue prediche briose e persuasive. DB 2,158 Foto dì Don Bosco che confessa Scattata nel 1861, questa foto di Don Bosco è tra le più belle ed efficaci, la Confessio ne fu uno dei suoi apostolati fondamentali. Confessò in tutte le situazioni: in chiesa e per strada, al letto dei malati e a cassetta con i vetturini. Diceva ai suoi preti: «Se dovete dire due parole dal pulpito, una ditela sulla Confessione». DB 2,159 La Comunione frequente Il secondo apostolato fondamentale di Don Bosco fu la Comunione frequente. Nel suo Oratorio introdusse tra i ragazzi la Comunione quotidiana, quando essa era guar data da molti con sospetto. Diceva: «La base della vita felice di un ragazzo è la Co munione» (MB 14, 126). DB 2,160 L ’esercizio della «buona morte» Una volta al mese, Don Bosco voleva che i suoi giovani partecipassero a un ritiro spirituale che chiamava «Esercizio della buona morte». Incoraggiava i giovani a con frontarsi con coraggio con questa decisiva realtà, alla luce della morte di Gesù. Nella foto: un Crocifisso delle camerette davanti a cui meditarono Don Bosco e i suoi ragazzi. 31 DB 2,161 Lonzo: gli esercizi spirituali Nel santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo Torinese, Don Bosco fece molte volte gli Esercizi Spirituali. Appena potè, anche a Valdocco iniziò ad organizzare ogni anno questi «Esercizi» per i ragazzi e per i Salesiani. Diceva: «Gli Esercizi Spirituali ci muo vono all’amicizia con Dio». DB 2,162 Le compagnie religiose Don Bosco suscitò sempre tra i suoi giovani il gusto di «fare il bene insieme». Il 12 aprile 1847 nacque la prima associazione delFOratorio, la Compagnia di San Luigi. Negli anni 1855-1856 sorsero altre tre associazioni: la Compagnia dell’immacolata, quella del SS. Sacramento e quella di San Giuseppe. La Compagnia dell’immacolata fu fondata da san Domenico Savio per unire insieme i giovani migliori e trasformarli in piccoli apostoli. (La nascita di questa Compagnia è raffigurata nel dipinto del Caffaro Rore). DB 2,163 La parolina a ll’orecchio La parolina all’orecchio era uno dei tanti segreti educativi di Don Bosco, capace del le più grandi trasformazioni di un giovane. Eccone alcune: «Come stai? E di anima come stai?». «Pensa al giudizio di Dio». «Pensa a Dio e sarai più buono e contento». Don Rua stava partendo per Mirabello, dove avrebbe aperto la prima casa salesiana fuori Torino. Don Bosco gli raccomandò: «Procura di dire all’orecchio qualche affet tuosa parola, che tu sai». DB 2,164 Lo sguardo di Don Bosco Ciò che in Don Bosco colpiva prima di ogni altra cosa era il suo sguardo. «Dolce ma penetrante — lo definisce un testimone. — Giungeva fino al cuore. Un suo sguardo sorridente valeva un domanda, una risposta, un invito, un discorso intero». DB 2,165 I sogni di Don Bosco Il 6 giugno 1876, a Lanzo, Don Bosco ebbe uno di quei «sogni» che gli aprivano gli occhi sul futuro e sull’aldilà. Vide Domenico Savio, morto 19 anni prima. Una tunica candida gli scendeva ai piedi, una fascia rossa come il sangue gli cingeva i fianchi. Parlò con lui e si sentì dire: «Sappi che Dio prepara grandi cose per la tua Congrega zione». DB 2,166 Le vocazioni.- Seminario di Giaveno Don Bosco diceva che venti ragazzi su cento hanno la vocazione religiosa. Farla ger mogliare o fallire dipende dall’atmosfera in cui vivono. Da parte sua, all’Oratorio creò un’atmosfera intensa di religiosità sacramentale, mariana e papale. I frutti li vedevano tutti. Gli anticlericali definirono Valdocco «la fabbrica dei preti». L’Arci vescovo gli affidò il seminario di Giaveno (nella foto) per far rifiorire le vocazioni. DB 2,167 La devozione e l ’amore al papa L’amore al papa rimase sempre un punto fisso nella mentalità cristiana di Don Bo sco. Lo diranno «più papalino del papa», e non avranno tutti i torti. Non era questione 32 di sole parole: per obbedire all’invito di un papa, Don Bosco brucerà gli ultimi tre anni della sua vita. E i ragazzi assorbivano questa mentalità. DB 2,168 II sistema preventivo Molte volte qualcuno domandò a Don Bosco di spiegare in un libro il suo «sistema di educazione» (che lui chiamava «preventivo»). Ci provò nel 1876, tirando giù un abbozzo di 9 pagine. Ecco le parole centrali: «Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l’amorevolezza». Il fotomontaggio lo conferma e lo testimonia. DB 2,169 Don Bosco prega davanti alla Madonna Don Giovanni Battista Lemoyne, principale biografo di Don Bosco, scrive: «Dopo Gesù, il suo tenero amore era per la Madonna, di cui professava una devozione filia le che cercava di inculcare in tutti nelle prediche, in confessione, nei discorsi familia ri con una tenerezza che gli faceva trasparire dal volto il sentimento che riempiva il suo cuore» (MB 2, 212). DB 2,170 Santuario di Oropa I santuari della Madonna furono sovente meta dei viaggi di Don Bosco. Nel 1863 si recò a Oropa. Scrisse di là una commovente lettera ai suoi ragazzi: «Se voi, miei cari, vi trovaste su questo monte, vi trovereste commossi. Chi ringrazia la Santa Vergine, chi domanda di essere liberato da un male spirituale o materiale... Ma in mezzo a tanta gente, provo un grande rincrescimento: non vedo i miei cari giovani...». DB 2,171 Benedizione di Maria Ausiliatrice e la medaglia della Madonna Maria Stardero una bambina cieca, fu miracolosamente guarita per la benedizione di Maria Ausiliatrice che Don Bosco le impartì nella sacrestia del Santuario a Tori no. Egli era riuscito a stabilire un rapporto di fede straordinario con la madre di Dio. La gente veniva sempre più numerosa a ricevere quella che lui chiamava la «be nedizione di Maria Ausiliatrice». Ma essa, con profonda intuizione, chiamava Maria Ausiliatrice «la Madonna di Don Bosco». E il santo ripeteva: «Non è da me che dovete aspettarvi la benedizione ma solo da Dio, mediante il potentissimo aiuto di Maria Ausiliatrice». DB 2,172 Fioretti della Madonna ai giovani Il 1° gennaio 1862, alla «buona notte», Don Bosco disse ai suoi ragazzi: «Che ne dire ste se la Madonna stessa dicesse a ciascuno di voi una parola per il nuovo anno? Eb bene, la cosa è appunto così. Venite in camera mia, e darò a ciascuno un biglietto». Su un grande quaderno, accanto ai 573 nomi di ragazzi, Don Bosco aveva scritto una frase adatta a ciascuno. A ritirare la «parola della Madonna» si presentarono in 560. Tredici striscioline sono ancora nel quaderno. 33 DB 2,173 Immagini di Maria Ausiliatrice con giaculatoria 19 dicembre 1887. Le forze cominciano ad abbandonare Don Bosco. Il segretario lo prega di scrivere qualche parola su alcune immagini della Madonna che manderà ai Cooperatori. Don Bosco risponde: «Volentieri». È un gesto che ha compiuto per tutta la vita. La prima frase che scrive è: «O Maria, otteneteci da Gesù la sanità del corpo, se essa è bene per l’anima, ma assicurateci la salvezza eterna». DB 2,174 Don Bosco scrittore al suo tavolo Nell’ottobre 1845, Don Bosco pubblica la «Storia Ecclesiastica ad uso delle scuole». È il primo dei libri scolastici che scriverà per i suoi ragazzi, strappandoli al sonno, alla luce della lampada a petrolio, appuntandoli in fretta con una scrittura impossi bile. Ognuno sarà non un capolavoro, ma un atto di amore per i suoi ragazzi. DB 2,175 «Storia Sacra» e «Storia Ecclesiastica» La «Storia Ecclesiastica», a cui segue la «Storia Sacra» (1849) non è una opera scien tifica: nessuno dei libri di Don Bosco lo sarà. È invece un’opera popolare, adatta alla mente semplice e alla cultura modesta dei suoi ragazzi. Parla dei Papi, dei fatti più luminosi della Chiesa, traccia il profilo dei Santi, descrive le opere di carità che fioriscono in ogni tempo nel popolo di Dio. DB 2,176 Il «Giovane Provveduto» Accanto ai libri scolastici, Don Bosco trova il tempo di scrivere moltissimi altri libri e fascicoli: vite di Santi, libri di lettura divertente, manuali di preghiera e di istruzio ne religiosa. Il best seller è «Il giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri». Vivente Don Bosco, se ne pubblicarono milioni di copie. Era una scelta di riflessioni, preghiere e canti adatti ai giovani. DB 2,177 Vite di giovani modello: Savio, Magone, Besucco Don Bosco ebbe nell’Oratorio dei ragazzi splendidi, veri «piccoli santi». Tre di essi morirono a distanza di pochi anni l’uno dall’altro: Domenico Savio, Michele Mago ne, Francesco Besucco. Egli ne scrisse le biografie, perché diventassero modelli di altri giovani. Ebbero un’efficacia straordinaria, e ancor oggi sono letti con interesse e commozione. DB 2,178 «Storia d ’Italia» Nel 1855 Don Bosco pubblicò il suo libro più impegnativo, la «Storia d’Italia raccon tata alla gioventù». Ebbe crìtiche feroci dagli anticlericali, e lodi entusiaste in campo cattolico. Il celebre Nicolò Tommaseo scrisse: «Ecco un libro modesto che gli eruditi degneranno forse appena di uno sguardo, ma che può nelle scuole adempiere gli uffi ci della storia meglio assai di certe opere celebrate». DB 2,179 Le «Letture Cattoliche» Nel 1848, Carlo Alberto concesse «parità di diritti civili» ai protestanti e agli ebrei. Subito dopo i Valdesi lanciarono una campagna di proselitismo, con tre giornali e 34 molti libri a prezzi popolari. Rispondendo ad un appello dei Vescovi, Don Bosco fon dò allora le «Letture Cattoliche»: libretti mensili di stile semplice, di contenuto reli gioso, a prezzi popolarissimi. Il successo fu straordinario. DB 2,180 II «Bollettino Salesiano» Don Bosco volle una «terza famiglia salesiana», quella dei Cooperatori. Dovevano essere «Salesiani nel mondo». Creò uno strumento che servisse a tenerli uniti tra loro e con il centro delle Opere Salesiane. Fu il Bollettino Salesiano. Questo modesto fa scicolo mensile (uscito nell’agosto 1877) penetrò e penetra ancora dovunque, guada gnando moltissimi amici a Don Bosco e alle sue opere. 35 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco VALDOCCO OGGI (Prima unità non sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco I - L’ORATORIO A VALDOCCO: IL SOGNO DIVENTA REALTÀ DB 2,2 Casa Pinardi (dipìnto del Crida sotto il porticato) Casa Pinardi aveva la facciata rivolta a mez zogiorno. L ’abitazione era composta di un pian terreno e di un piano superiore, entram bi molto bassi. Misurava 20 metri di lunghez za e 6 di larghezza, quasi 7 di altezza. A metà circa della facciata si apriva una stret ta porta d’ingresso, e accanto era fissata al muro una vasca di pietra con una pompa che gettava acqua fresca e abbondante. La casa aveva una dozzina di stanze; un bal latoio di legno correva lungo tutta la facciata. Dietro questa abitazione era appoggiata la tet toia trasformata in cappella. Accanto alla casa Pinardi, sul lato est, c’era un poverissimo locale composto di due vani uguali: uno adibito a stalla, poi trasformata in stanza, l’altro era una legnaia con sopra un fienile. Su questo fienile, una sera di aprile Don Bosco mise a dormire alcuni poveri ra gazzi, i quali il mattino seguente se la svigna rono portandosi via le lenzuola. 36 DB 2,3 L ’attuale Cappella Pinardi Mamma Margherita si mise subito all’opera, cantando e scherzando sulla povertà dell’Oratorio (cf MB 2, 529). Le sue prime attenzioni andarono alla cappel la, bassa, disadorna, priva di tutto. Per prov vederla di paramenti, non esitò ad usare il suo corredo di sposa, che aveva conservato gelo samente anche nei momenti più difficili della sua vita ai Becchi (cf MB 2, 529; 534s; cf an che 1, 37; 75s). Oggi la Cappella Pinardi, tesoro della Congre gazione, è rivestita di marmi e arricchita di lapidi che richiamano incontri con uomini ce lebri ed eventi storici, mentre sullo sfondo del l’altare gotico domina una tela di Cristo risor to per ricordare la Pasqua del 1934, anno della gloriosa e trionfale canonizzazione del Santo. DB 2,4 Statua della Consolata, nella cappella Pinardi Gradatamente la cappella diventò più bella e accogliente. E non poteva mancarvi una sta tua della Madonna Consolatrice, così cara al cuore dei giovani di Don Bosco. Egli comprò questa bella statua per 27 lire e la collocò a destra dell’entrata. Per anni gli oratoriani la portarono in processione nella fe sta della Vergine (cf F. GIRAUDI, L ’oratorio di Don Bosco, p. 73s). Nella cappella è ritornata la primitiva imma gine della Consolata messavi da Don Bosco. I DB 2,5 Mamma Margherita Dopo una gravissima malattia, Don Bosco an dò a fare la convalescenza ai Becchi, lascian do i ragazzi alle cure di Don Borei. Se i giova ni non potevano vivere senza Don Bosco, an ch’egli non era contento di stare lontano da loro. Appena fu ristabilito, il 3 novembre 1846 ri partì alla volta di Valdocco. Lo accompagna va mamma Margherita, che aveva accettato di condividere col figlio le difficoltà e le spe ranze della nuova opera. La generosità degli amici e l’affetto dei giova ni fece sembrare meno dura la vita in quelle stanzette dove mancava assolutamente tutto (cf MB 2, 519-523; 527s; 530s). Deciso a dare ricovero ai ragazzi che non ave vano più famiglia, in dicembre Don Bosco af fittò tutta la casa Pinardi e aprì l’ospizio. DB 2,6 La finestra attraverso la quale spararono a Don Bosco All’Oratorio il numero dei giovani era in co stante ascesa. Ma anche i nemici di Don Bo sco aumentavano di numero e di aggressivi tà, soprattutto a motivo delle sue pubblicazioni in difesa della fede. Una domenica sera della primavera 1848 un malvivente tentò di freddarlo con una schiop pettata mentre faceva catechismo nel coro del la cappella Pinardi. La pallottola forò il vetro della finestra, passò tra il braccio e il fianco sinistro e andò a conficcarsi nel muro. I gio vani ne furono terrorizzati. Don Bosco ci rise sopra, come se si fosse trattato di uno scherzo innocente (cf MB 3, 300-302). La lapide sul muro ricorda questo fatto. DB 2,7 Mappa dell ’Oratorio dal 1847 al 1851 Tra il 1847 e il 1851 l ’Oratorio comprendeva i fabbricati e i terreni segnati in verde. Vedia mo brevemente le varie parti. A: la tettoia adattata a cappella. B: la casa Pinardi che Don Bosco prese gra dualmente in subaffitto da Pancrazio Soave (cf MB 2,470; 540). Lì abitava con mamma Mar gherita; faceva la scuola serale e il catechismo, e cominciò un tentativo di ospizio (cf MB 3, 206; 207; 209; 211; 337-343). C e D: cortili dei giochi e delle ricreazioni. E: l’orticello in cui mamma Margherita si in dustriava a coltivare ortaggi vari che più vol te furono devastati dalle incursioni di alcuni giovani (cf MB 1, 541; 3, 439). F: prato in cui qualche volta «traboccavano» le ricreazioni. DB 2,8 Disegno della casa Pinardi e delle successive costruzioni 19 febbraio 1851 Don Bosco acquistava dal Pinardi la casa e i terreni circostanti (cf MB 4, 246). Immediatamente diede mano ai lavori per realizzare quanto aveva visto nei «sogni». Il 13 giugno dell’anno seguente già veniva inaugurata la chiesa di San Francesco di Sales (cf MB 4, 440) e subito dopo si iniziava la costruzione di un Ospizio per i trenta giovani alloggiati provvisoriamente nella vecchia ca sa Pinardi (cf MB 4, 472-474). DB 2,9 Ala del primo fabbricato eretto accanto alla casa Pinardi Don Bosco aveva per anni vagheggiato di sta bilire le scuole interne nell’Oratorio, come pu re laboratori propri dove i giovani potessero imparare un mestiere. Dopo l’inaugurazione della nuova chiesa si ac cinse alla costruzione di un nuovo edificio. A chi chiedeva dove avrebbe preso i soldi, ri spondeva con piena fiducia: «Il Signore cono sce i nostri bisogni e ci aiuterà» (cf MB 4,474). La costruzione del nuovo edificio fu quanto mai tribolata. Don Bosco, povero in canna, aveva scelto un costruttore che si accontenta va di poco e faceva peggio. Di fatto il 20.11.1852 un ponte dei muratori si ruppe e trascinò nella caduta una parte dei muri del terzo piano. Poi ¡11° dicembre, nel la notte, il pavimento del terzo piano inzup pato di pioggia crollò trascinandosi giù quelli sottostanti. L’indomani mattina, mentre gli in37 gegneri del comune compivano il debito so pralluogo, caddero anche i muri perimetrali e fu un miracolo se nessuno ci lasciò la pelle. La rovina era completa e la casa tutta da ri fare (MB 4, 508-516). A primavera del 1853 i lavori furono ripresi, e nell’ottobre Don Bosco si affrettò a occupa re con i suoi ragazzi l’edificio ultimato. Ma non bastava ancora... DB 2,10 La fontana presso il porticato Questa fontana, che veniva a trovarsi allora al centro della costruzione eretta sulla casa Pinardi, fu testimone di molti episodi della vita dell’Oratorio. Era il punto strategico dell’Oratorio. In quei tempi la colazione consisteva nella famosa pa gnotta distribuita sulla porta della chiesa. I giovani correvano presso la pompa dell’acqua a divorarla e quindi si spargevano per il cortile. D. Bosco consigliava questo posto di osserva zione ai salesiani che avevano difficoltà di di sciplina tra i giovani. Così aveva anche detto a Don Vespignani: «Vada alla pompa... e si faccia amico di tutti» (G. VESPIGNANI, Un anno alla scuola di Don Bosco, pp. 44, 64). Essa tra l’altro è ricordata per una famosa fra se detta da D. Bosco al suo caro discepolo di venuto sacerdote e grande missionario, Don Luigi Costamagna: «Vedi D quella pompa?... Ebbene, o caro Luigi, io avrei bisogno che es sa gettasse marenghi». Ma il Signore gli fece trovare tanti benefatto ri che gli offrirono i «marenghi» necessari, la sciando che la fontana continuasse a disseta re i suoi giovani. DB 2,11 II porticato e le scritte bibliche Nel nuovo fabbricato e in quello progettato al posto della casa Pinardi, Don Bosco ricavò un lungo porticato, come si vede nella diapositi va; nelle lunette degli archi e sui pilastri fece scrivere da Pietro Enria, a grossi caratteri, delle massime e frasi bibliche che richiama vano ai giovani e ai visitatori le cosa più ne 38 cessaria e importante: la propria salvezza eterna. Sotto il medesimo porticato, al posto della pri mitiva e storica cappella Pinardi, diventata dormitorio e poi studio, più tardi trovò posto il refettorio di D. Bosco e dei Salesiani. DB 2,12 La statua di Maria Immacolata Il porticato fu prolungato sotto l’ex casa Fi lippi, nei successivi adattamenti, e al fondo, nella parete est, fu collocata degnamente la statua di Maria Immacolata, che si trovava in una nicchia del muro che divideva le due pri mitive sacrestie della Basilica. Si è ricavato, così, un angolo di rispetto, im preziosito da un cimelio storico: la statua di Maria Immacolata, venerata da Don Bosco e dai primi Salesiani. L - LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI SALES DB 2,13 La chiesa di San Francesco di Sales Il 19 febbraio 1851 Don Bosco aveva compe rato casa Pinardi. Un mese dopo, una sera di marzo, disse alla mamma: «Ora voglio che innalziamo una chiesa in ono re di san Francesco di Sales». «Dove troverai i soldi, se non ne abbiamo per titare avanti la baracca e sfamare i giovani che la Provvidenza ci manda?». «Voi, se ne aveste, me li dareste?». «Certo!». «E allora volete che il Signore non ce li man di?» (cf MB 4, 255). E subito affidò all’ing. Blanchier l ’incarico di preparargli il disegno. Contemporaneamente affidava la costruzione all’impresario Federi co Bocca, dicendogli: «Vorrei che fra un an no fosse finita». Ai muratori promise un barilotto di vino ogni sabato se avessero lavorato di lena e senza be stemmiare (cf MB 4,260). E potè sostenere la grossa spesa con la generosità di sei vescovi, a cui aveva chiesto aiuto (cf MB 4 , 267s), e con una grandiosa lotteria di 3251 oggetti (cf ivi, 314-345). Come segno di riconoscenza a Dio, Don Bo sco donò metà dei proventi della lotteria alla «Piccola Casa» del Cottolengo. La foto ci presenta la facciata della chiesa, che dava sulla via della Giardiniera, allora fian cheggiata da una fila di gelsi. Se ne vede an cora uno (ora anch’esso scomparso come tut ti gli altri) (cf MB 2, 539). Una sera d’inver no, su uno di quei gelsi, trovò scampo un gio vane, rincorso dal padre con un’accetta per ché non voleva che andasse all’Oratorio di Don Bosco (cf MB 2,571). Su questa via era il por tone verde che dava nel cortile dell’Oratorio (cf MB 5, 532). DB 2,14 L ’intemo della chiesa al tempo di Don Bosco Alla posa della prima pietra, una marea di gente si unì ai 600 ragazzi che frequentavano allora l ’Oratorio. Padre Barrera, in un ma gnifico discorso, paragonò la posa della pri ma pietra al granello di senape presso il qua le trovano rifugio moltissimi ragazzi (cf MB 4, 576-578). Mancavano ancora porte e finestre quando av venne il terribile scoppio della polveriera (26.4.1852). La chiesa resistette. Misurava 28 metri di lunghezza e 11 di larghezza. A con fronto della povera tettoia, ai ragazzi doveva sembrare una cattedrale. L’inaugurazione avvenne il 20 giugno 1852, fe sta della Consolata. Vi partecipò anche la guardia nazionale (cf MB 4, 440s). il 30 luglio 1860, e, il 15 giugno 1862, Don Cagliero e Don Francesia. Don Cafasso pagò le spese del pulpito e un altro quelle dell’orche stra, sopra la quale fu collocato un piccolo organo. DB 2,16 La balaustra di legno A questa balaustra di legno, oggi conservata nel museo presso le «Camerette», i ragazzi di Don Bosco si inginocchiavano per fare la co munione attingendo forza per la loro vita cri stiana di quei primi tempi dell’Oratorio. Ma un giorno nessuno si presentò. Don Bo sco, che era sceso dall’altare con la pisside in mano, risalì i gradini deluso e amareggiato. Fu allora che Domenico Savio s’impegnò con un gruppo di compagni a fare in modo che ogni mattina ci fosse sempre alla balaustra un buon numero di comunioni (cf MB 5, 478). I visitatori, entrando in chiesa in un giorno qualsiasi durante la Messa, chiedevano quale festa si celebrasse vedendo tante comunioni. Ricordiamo che si era in tempi in cui la co munione si faceva abbastanza raramente. DB 2,17 II retro altare Questa chiesa conobbe gli slanci di pietà e di fervore di molti ragazzi come Gavio, Besucco, Magone e soprattutto Domenico Savio. Qui, un giorno, Don Bosco trovò il Savio in estasi, sollevato dal pavimento. Aveva una ma no appoggiata al leggìo dell’antifonario e l’al tra sul petto con la faccia rivolta al taberna colo. Quel giorno Domenico era mancato a co lazione, a scuola e a pranzo. L ’estasi era du rata sei ore. Al tocco di Don Bosco si scosse, e chiese se era già finita la Messa. Don Bosco gli fece vedere l’orologio: erano le 14 passate. DB 2,15 L ’altare maggiore Molti benefattori concorsero a corredare la nuova chiesa. L’altare maggiore fu dono del dottor Vallauri (cf MB 4,429). A questo alta re, una mattina Don Bosco moltiplicò le ostie consacrate perché tutti i ragazzi potessero fa re la comunione (cf MB 3, 441). Allo stesso al tare celebrò la prima Messa Don Michele Rua, DB 2,18 Pulpito e altare della Madonna ai tempi di Don Bosco Qui vediamo il pulpito, provveduto, come ab biamo già detto, da Don Cafasso a sue spese. Di lì Don Bosco educava i giovani ad una se ria vita cristiana con la sua predicazione sem plice e persuasiva. L’altare della Madonna, 39 che vediamo nella cappella, fu fatto costruire dal marchese Fassati, che donò pure i cande lieri di bronzo e poi anche la statua. DB 2,19 II pulpito in legno donato dal Cafasso Da questo pulpito, che ora si trova nel museo storico di Valdocco, per oltre dieci anni Don Bosco tenne ogni domenica l’istruzione ai ra gazzi. Raccontava la storia della Chiesa, la vita dei papi, destando in loro viva attenzione e ammirazione per la Chiesa e per il Vicario di Cristo. Dice la cronaca che anche le guardie, mandate a vigilare sui giovani, ascoltavano con profitto le istruzioni di Don Bosco; anzi una domenica tra gli ascoltatori ci fu perfino il ministro Urbano Rattazzi. Dallo stesso pulpito Domenico Savio ascoltò la celebre predica che gli rimase fortemente im pressa: «È facile farsi santi: Dio vuole tutti santi!». E subito andò da Don Bosco per chie dergli come doveva fare. DB 2,20 Altare della Madonna rinnovato Don Bosco sapeva rimpire il cuore dei giova ni di una profonda devozione mariana. Molti di essi sacrificavano anche parte della ricrea zione per recarsi a pregare davanti al suo al tare. Mamma Margherita colse più volte Do menico Savio davanti alla statua della Madon na, solo o circondato da compagni. Un gior no disse a Don Bosco: «Tu hai tanti giovani buoni, ma nessuno eguaglia la bellezza del cuo re e dell’anima di Savio». Dinanzi a questo altare, l’8 giugno 1856, no ve mesi prima della morte, Domenico, con un gruppo di amici, leggeva il regolamento da lui compilato con la guida di Don Bosco per isti tuire la Compagnia dell’immacolata. Il qua dro del pittore Caffaro Rore rappresenta lo storico episodio. DB 2,21 Altare di San Luigi Don Bosco aveva dedicato un altare a san Lui gi nella cappella di sinistra, e il comm. Giu seppe Dupré lo aveva fatto erìgere in marmo, abbellendo anche la cappella. San Luigi era 40 proposto a tutti i giovani come modello di ca rità e di purezza. La sua festa, preceduta dal la pratica delle «sei domeniche» in suo onore, era celebrata con grande solennità. Priori della festa erano di solito persone importanti della città. Il conte Cays di Caselette lo fu per due volte. Un anno vi parteciparono anche i fra telli Gustavo e Camillo Cavour. Sulla parete a lato dell’altare sono raffigurati tre campioni di cui Don Bosco scrìsse la vita: Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco. DB 2,22 Interno della chiesa oggi In questa chiesa Don Bosco stimolò il sorgere delle Compagnie religiose, che ebbero un grande influsso sui giovani. Quella di san Luigi sorge nel 1851, quella del l’immacolata nel 1856, quella del SS. Sacra mento nel 1857 e quella di san Giuseppe nel 1859. In questa chiesa si formarono alla pietà e al l’apostolato schiere innumerevoli di giovani e moltissimi Salesiani. Anche oggi, rinnovata e arricchita di marmi e quadri che rievocano i tempi di Don Bosco, rimane il centro e il cuo re dell’Oratorio di Valdocco. DB 2,23 Porta secondaria, che ricorda la moltiplicazione dei pani Qui era l’antica porta laterale dalla quale usci vano i ragazzi. Presso di essa, nel novembre del 1860 Don Bosco operò il prodigio della moltiplicazione delle pagnotte, che distribuì a circa 400 ragazzi, mentre il canestro non ne conteneva che una ventina. DB 2,24 Chiesa di San Francesco vista dal cortile Verso la fine del 1852 e all’inizio del 1853, fu costruito 0 modesto campanile che sorge ac canto alla chiesa. Il conte Cays lo fornirà di una campana che per molti anni scandì con i suoi squilli i momenti della giornata dei ra gazzi. In occasione della beatificazione di Don Bosco (1929) fu rifusa e resa più squillante. Ancora oggi, dal cortile e dalle camerette di Don Bosco, possiamo contemplare questo sto rico lembo di Valdocco. M - IL PALAZZO DELLE CAMERETTE DI DON BOSCO DB 2,25 II porticato con il pulpito della «buona notte» In una nicchia sul fondo del porticato fu col locata una statua della Madonna, davanti al la quale i ragazzi recitavano le preghiere del la sera inginocchiati sul pavimento. Dopo l ’e same di coscienza, Don Bosco saliva sul pul pito che qui vediamo e dava loro la «buona notte» con un breve sermoncino che commen tava i fatti del giorno. Qualche volta però si dilungava: preannuncia va avvenimenti straordinari, la morte di qual che alunno, narrava sogni profetici. Restò me morabile la «buona notte» in cui denunciò pub blicamente sei alunni che erano di scandalo a tutti gli altri, tra un silenzio di tomba inter rotto solo dallo scoppio di pianto dei colpevo li. Sembrava il giudizio universale. DB 2,26 La lapide che ricorda il cane Grigio A metà del fabbricato si trovava l’unica sca la, esistente ancora oggi, ma rifatta, che por tava ai piani superiori e alla camera di Don Bosco. Ai piedi di essa una lapide ricorda un misterioso cane, detto il Grigio, che una sera del novembre 1854, dopo aver salvato Don Bo sco da due malfattori, lo accompagnò all’Oratorio fermandosi presso questa scala. Già al tre volte, in caso di pericolo, Don Bosco si era trovato a fianco questo cane veramente for midabile che sembrava un lupo: muso allun gato, orecchie dritte, alto un metro, e pelo gri gio, per cui veniva chiamato «il Grigio». Don Bosco subì diversi attentati, ma sempre ne uscì incolume grazie anche alla protezione del «Grigio», il robusto mastino che compari va sempre al momento opportuno. Nessuno seppe mai chi fosse il suo padrone, né da do ve venisse. Ma non è difficile intuirne la pro venienza. A intervalli, il «Grigio» comparve nella vita di Don Bosco per circa trent’anni... (cf MB 4, 710-718; 7, 135; 8, 488s; 10, 386; 16, 36s.432; 18, 8.869). DB 2,27 Don Bosco, mamma Margherita e il cane «Grigio» Alle pareti che conducono alle camerette di Don Bosco è stato felicemente collocato il qua dro che raffigura Don Bosco e mamma Mar gherita con il famoso «Grigio». L’allievo Carlo Tomatis ci ha lasciato una nota al riguardo: «La prima volta che entrò all’Oratorio e lo videro, i ragazzi rimasero impau riti: chi voleva batterlo, chi prenderlo a sas sate; ma intervenne Buzzetti che disse: — È il cane di Don Bosco! —. Allora lo accarezza rono e lo accompagnarono da Don Bosco che era in refettorio a cena con alcuni chierici e preti e con sua madre. A quella vista inaspet tata rimasero tutti sbigottiti, ma Don Bosco li rincuorò e disse: — Non temete, è il mio Gri gio, lasciatelo venire —. Di fatto il cane, com piendo un largo giro intorno alla tavola, si recò vicino a lui tutto festoso». Don Bosco continua la narrazione: «Allora lo accarezzai e gli of frii la minestra, pane e pietanza; ma egli ri fiutò tutto. Anzi, non volle nemmeno fiutare queste offerte e, continuando a dare segno di compiacenza, appoggiò il capo sulla mia to vaglia, come volesse parlare e darmi la buo na sera». DB 2,28 II cane Grigio difende Don Bosco (dipinto) Nella sacrestia della basilica un quadro del pit tore Crida illustra un intervento del Grigio. Don Bosco scendeva da via della Consolata verso il Cottolengo, quando fu assalito da tre malfattori che tentarono di ucciderlo. Solo l’intervento del Grigio riuscì a salvarlo (MB 4, 711-718). 41 DB 2,29 II porticato dì casa Pinardi e casa Don Bosco Dopo la costruzione del 1853, demolita la vec chia casa Pinardi Don Bosco innalzò un nuo vo edificio a tre piani, e volle che il pian ter reno, a mezzogiorno, fosse un ampio portica to, per offrire ai giovani la possibilità di un luogo riparato per la ricreazione durante la cattiva stagione e nelle giornate piovose. Ec co un magnifico scorcio del lungo porticato, sul quale si aprivano i tre primi laboratori. DB 2,30 II palazzo delle camerette Nel costruire la prima parte del nuovo ospi zio, Don Bosco aveva progettato anche un braccio di fabbricato che doveva prolungarsi verso mezzogiorno, parallelamente alla nuo va chiesa. Era a corpo semplice e consisteva in tre stanze contigue alle quali si accedeva dal balcone esterno che correva lungo tutto il fab bricato (cf MB 4, 472s). La prima stanza, che faceva angolo con il ri manente corpo di fabbrica, venne occupata da tre giovani aiutanti di Don Bosco. La seconda serviva da biblioteca, e qui era lo scrittoio di Don Rua. La terza, che aveva una finestra vol ta a mezzogiorno, sempre al secondo piano, fu scelta da Don Bosco come sua abitazione. Nel 1985 nel sottostante cortile, già orto di mamma Margherita, è stato eretto un monu mento al beato Don Rua. DB 2,31 II ballatoio che porta alle camerette Tutte le volte che Don Bosco usciva dalla sua camera per scendere ne.i cortili, percorreva questo ballatoio tra le grida festanti dei ragaz zi. Oggi il ballatoio è tutto ornato di fiori, qua si a richiamare con venerazione il sogno del pergolato di rose piene di spine che Don Bo sco immaginava di percorrere con i suoi ra gazzi (cf MB 3, 32). Le spine erano le incom prensioni e le perquisizioni. Per ben undici volte, infatti, egli subì certe «visite domicilia ri» che lo stesso ministro Rattazzi aveva defi nito violazioni della legge. 42 Su questo ballatoio talvolta montavano la guardia i giovani più grandi, come Cagliero, Reviglio e Buzzetti, per impedire l’accesso al la camera di Don Bosco di individui sospetti. Al piano terra vi era l’orto di mamma Mar gherita (cf MB 2,541), più volte devastato dal le animatissime ricreazioni dei ragazzi guida ti dal bersagliere Brosio (cf MB 3, 439) DB 2,32 Altra veduta del ballatoio Sul ballatoio Don Bosco conduceva gli ospiti illustri perché potessero contemplare la ma rea di ragazzi che giocavano nel cortile sotto stante. Di qui il Santo si affacciava per parte cipare ai loro giochi, parlare con loro e tal volta lanciare manciate di caramelle. In questo cortile, il pomeriggio del 13 aprile 1980, sostò a benedire i ragazzi il papa Gio vanni Paolo II. A non pochi Salesiani venne forse in mente che, in tempi politicamente dif fìcili, Don Bosco dal ballatoio dirigeva la gin nastica dei giovani e li disponeva in modo che dall’alto si potesse leggere: VIVA IL PAPA! DB 2,33 La facciata a sud del palazzo delle camerette Il 16 luglio 1860, Don Bosco aveva comperato casa Pinardi. Il 12 aprile 1861 il municipio concedeva l’autorizzazione di ampliamento. Si raddoppiò il braccio di fabbricato parallelo al la chiesa di san Francesco, verso il lato est delle camerette. Si ricavò a piano terra un ampio porticato. Al primo piano si ottenne un vasto salone; al secondo piano una stanza per la bi blioteca e a sud-est una nuova camera: quella che Don Bosco occupò per 22 anni. Nel sotto tetto si ricavarono soffitte abitabili e si otten ne anche un vasto dormitorio (cf MB 6, 935). Nel 1862 si prolungò l’edificio delle cameret te con un’aggiunta verso il cortile. Don Bosco fece innalzare da Buzzetti un portico con pi lastri che sostenevano un terrazzo a volte. Chiusi gli spazi tra pilastro e pilastro, si rica vò una bella sala che si trasformò in tipogra fia, e poi in fonderia di caratteri (cf MB 8, 116). Sul terrazzo si collocarono vasi di fiori e la terra necessaria per piantare alcune viti. Il 16 ottobre 1876 la costruzione fu innalzata di altri due piani, e allora Don Bosco volle che le viti fossero trapiantate in terra ai piedi del nuovo edificio. Così al secondo si ricavarono altre due stanzette: una servì più tardi da ca mera da letto, e in essa morì Don Bosco; l’iatra fu convertita in cappella. Inoltre si ricavò una galleria con quattro ampie finestre verso mezzogiorno, ombrate dalle viti (cf MB 12, 375). DB 2,34 Statua della Madonna sul nuovo ampliamento Il 15 maggio 1861, quando già si era fissato il contratto di ampliamento e raddoppio del l’area delle camerette, nella notte scoppiò con formidabile fragore un fulmine che penetrò nella camera di Don Bosco mettendo tutto in disordine e scaraventando lui stesso sul pavi mento (cf MB 6, 939-943). Dopo il solenne «Te Deum» di ringraziamen to in San Francesco per lo scampato pericolo, molti consigliarono di mettere un parafulmi ne sulla casa. «Sì — rispose Don Bosco — vi collocheremo la statua della Madonna». Com pletato l’edificio, l’8 dicembre Buzzetti pre parò un ponte che raggiungeva la statua. Don Bosco salì a benedirla ed esortò i giovani ad avere sempre fiducia nella protezione della Madonna. Poi intonò il «Lodate Maria, o lin gue fedeli...», che i ragazzi proseguirono con un coro entusiasta (cf MB 6, 946). Ancora og gi la statua è là a ricordare che la Madonna veglia sui suoi figli. Poco più in basso la facciata è rivestita da un intreccio di viti che in autunno offrono pro fumati grappoli d ’uva. Don Bosco li coglieva con gioia per offrirli ai suoi figli e ai benefat tori. DB 2,35 Altra veduta generale del palazzo delle camerette Gli studenti e gli artigiani delFOratorio da ogni punto dei loro cortili potevano scorgere le stanze ove dimorava l’amato padre. A li vello del cortile, sul lato destro, è posta una lapide che dice: «Qui per vent’anni veniva col locato il palco sul quale sedeva Don Bosco, at torniato da benefattori e personalità, quando l’Oratorio, il 24 giugno, festeggiava il suo ono mastico...». Si celebrava così quella che fu chiamata «festa della riconoscenza», perché era soprattutto l’espressione commossa e ri conoscente di tutti i ragazzi verso colui che per loro fu veramente un padre (cf MB 6, 22). DB 2,36 Veduta generale delle camerette, «cuore» di Valdocco Varcato l’ingresso dell’Oratorìo, lo sguardo corre al palazzo delle camerette, che si inol tra nei cortili staccandosi dalle altre costru zioni. Ai suoi piedi, nella parte di cortile che un tempo era l’orto di mamma Margherita, sorge ora il monumento a Don Bosco. Lo scul tore Celimi lo ritrae nell’atteggiamento sere no che gli era abituale. Sembra che voglia fa re un passo avanti per scendere ancora in mez zo ai suoi figli. Con le mani dolcemente rac colte in gesto di riposo, ha sulle labbra un sor riso di bontà, quel sorriso che, ricercato e at teso come premio e segno di amicizia, infon deva nei cuori la gioia e la pace (cf F. GIRAUDI, L ’Oratorio di Don Bosco, p. 148). DB 2,37 La prima camera abitata da Don Bosco dal 1853 al 1861 «Fatta la casa per il Signore, è necessario pre pararne una per i suoi figli», diceva Don Bo sco nel 1852. «Dunque, mettiamoci all’opera!». Mentre costruiva il corpo principale, lungo 40 metri e largo 11,65, prolungava un braccio a levante, lungo metri 12,50 e largo metri 6, a corpo semplice, che consisteva in tre stanze successive. Nell’ottobre del 1853, dalla casa Pinardi passò ad abitare nella terza cameretta al secondo piano. Per otto anni, dal 1853 al 1861, essa fu ad un tempo il suo studio, la sala di ricevimento e la camera da letto (cf MB 3, 25). Vi si accede va percorrendo il lungo ballatoio dell’edificio, salendo per la piccola scala centrale. 43 In questa stanza Don Bosco fu minacciato di morte nel gennaio 1854 (cf MB 4, 628). Qui scrisse molte delle sue operette morali e apo logetiche per confermare il popolo nella fede. Qui, nell’autunno 1854, Domenico Savio, al suo arrivo a Valdocco, leggeva le parole scritte su un cartello appeso alla parete: «Da mihi animas, coetera tolle». Don Bosco gliene spiegò il significato e subito il giovinetto commentò: «Ho capito, qui non si fa negozio di denaro, ma di anime. Spero che la mia anima faccia parte di questo commercio». Qui scoppiò il ful mine già ricordato (cf MB 6, 938s; 943). In questa stanza Don Bosco gettò le basi della Società di San Francesco di Sales. Qui iniziò nel 1855 la compilazione delle «Regole» della Società che aveva in mente di fondare (cf MB 5, 693). Qui ebbero luogo altri fatti di gran dissima importanza: — 26 gennaio 1854: i primi figli di Don Bo sco vengono chiamati Salesiani (cf MB 5, 9). — 25 marzo 1855: il chierico Michele Rua emette i primi voti annuali (cf MB 5,213), imi tato poco dopo da Don Alasonatti. — 8 dicembre 1856: Don Bosco annuncia con visibile commozione che è giunto il momento di dare forma alla «Società Salesiana» (cf MB 6, 334). Il 26 maggio 1860 vi subì una vergo gnosa perquisizione. DB 2,38 La seconda camera abitata da Don Bosco per 27 anni Durante la sistemazione della casa Filippi, si provvide a raddoppiare il braccio del fabbri cato parallelo alla chiesa di san Francesco di Sales; al secondo piano si ricavò un’altra stan za che, per quasi 27 anni, fu l’ufficio e la ca mera da letto di Don Bosco (cf MB 5, 675). Qui passò molte notti seduto al tavolino lavo rando e studiando. Alcune notti furono tur bate da manifestazioni diaboliche o contrassegnate da sogni e da visioni misteriose (cf MB 3, 28-30; 5, 694). Quanta gente entrò in questa camera: pove ri, ammalati, infelici, ed anche illustri perso naggi del clero e del laicato. Nell’autunno del 44 1883, il giovane professore Don Achille Ratti venne a visitare Don Bosco, e si intrattenne alquanto a Valdocco. Salito al pontificato col nome di Pio XI, dichiarò beato e santo Don Bosco (cf MB 16, 320). Dopo la morte del Santo, questa stanza servì per 22 anni da ufficio e da camera da letto a Don Rua. Egli dormiva sopra il povero diva no che di notte si convertiva in letto. DB 2,39 Fotografia di Don Bosco nella sua seconda stanza Questa storica fotografìa presenta Don Bosco al suo tavolo di lavoro. È evidente la povertà e la semplicità di questa stanza, che raccoglie tante memorie del Santo. I giovani potevano sempre entrare liberamente. Qui alcuni di lo ro furono riconciliati con Dio; altri matura rono nei colloqui col Santo la loro vocazione. Qui Don Bosco asciugò lacrime, accolse segre ti, consolò afflitti, compì miracoli con la sua benedizione. DB 2,40 Stanza adibita a cappella nel gennaio 1886 All’edificio già esistente venne fatta un’aggiun ta verso il cortile sul lato sud, e si ottennero ancora due stanze: una fu adibita a cappella, nell’altra Don Bosco passò gli ultimi mesi della sua vita. D cardinale Alimonda benedisse la cappella il 29 febbraio 1886 nella festa di san Francesco di Sales. Don Bosco celebrava qui l’Eucaristia con edificante pietà. L’ultima volta fu il 14 di cembre 1887. Da quel giorno potè soltanto più fare la comunione. DB 2,41 La veranda dove Don Bosco passeggiava o confessava La costruzione del 1876-1877 terminava al pia no delle camerette di Don Bosco con una lun ga galleria che si estendeva per tutta la lar ghezza della casa, con quattro porte a vetrate volte a mezzogiorno che guardavano nel cor tile. Don Bosco volle che fossero ombrate da viti. Negli ultimi anni soleva passare qui lun- ghe ore seduto in confessionale, o passeggia va per un po’ di sollievo. pra il letto, serviva da richiamo in caso di ne cessità. DB 2,42 Una finestra della veranda con grappoli d ’uva DB 2,45 La scrivania della camera Da una porta-finestra aperta sulla veranda scorgiamo un balconcino ombrato da viti ri gogliose e adorne in autunno di profumati grappoli di uva. Ogni anno Don Bosco la re galava ai ragazzi delle scuole superiori o a qualche benefattore. Talvolta i ragazzi, in at tesa di confessarsi, piluccavano qualche aci no o coglievano qualche grappolo. Nel 1886 volle ritardare la vendemmia perché vi potesse partecipare mons. Cagliero, che era in viaggio dalFAmerica verso l’Italia. Fu una gioia per Don Bosco vederlo gustare con altri suoi figli quei saporiti grappoli. DB 2,43 La camera dove morì Don Bosco il 31 gennaio 1888 In questa stanza venne trasportato il letto di Don Bosco negli ultimi mesi della sua vita. Il 20 dicembre 1887 egli sedette per l’ultima vol ta al piccolo tavolo e scrisse consigli e invoca zioni dietro ad alcune immagini di Maria Ausiliatrice. Ecco una delle più note: «In fin di vita si raccoglie il frutto delle opere buone». Qui, il 29 gennaio, festa di san Francesco di Sales, ricevette l’ultima comunione come Via tico. La camera era arredata con poveri mobili do nati da benefattori, che Don Bosco non rin novò mai: un lettino di ferro, lo scrittoio, un piccolo tavolino, un divano stravecchio, un rozzo scaffale per conservare vecchie carte. DB 2,44 Particolare della camera Lungo la parete est della camera, accanto al letto, vi erano il catino e la brocca dell’acqua per lavarsi; sul comodino una bottiglia d’ac qua, un bicchiere e una candela. Una rustica scaletta di legno aiutava le sue gambe ganfie a salire e scendere dal letto. Un campanello a muro, la cui fune scorreva so Gli serviva da scrittoio una modesta scrivania, che restò sempre senza tappeto e panno. Un piccolo piano rialzato serviva per riporvi i li bri e la corrispondenza. Una carrellata sul tavolo per cogliere alcuni oggetti che gli appartenevano: un vecchio mappamondo, che gli richiamava l’esistenza di tanti popoli ancora infedeli contemplati in sogno, e anche tanti suoi figli missionari, spar si un po’ ovunque, ai quali pensava costantemente. La candela, alla cui luce scrisse per molte ore della notte fino a rimanere quasi cie co; una lettera posata sul tavolo, a testimonia re il lavoro incalcolabile a cui si sobbarcava ogni giorno per scrivere a giovani, a Salesia ni, a benefattori, al re, ai vescovi, al papa e ad altre innumerevoli persone. DB 2,46 Divano e scrittoio mobile Su questo vecchio divano sedeva per riposar si e per dare udienze. A volte vi veniva acco stato un piccolo leggìo o scrittoio mobile, in modo che potesse scrivere più comodamente. DB 2,47 II letto in cui morì Don Bosco Su questo letto si spense quel cuore che aveva palpitato sempre e unicamente per Dio e per i suoi ragazzi. Il 27 e 28 gennaio 1888 fu un continuo vaneg giare. Nel pomeriggio del 28 mormorò a Don Bonetti, che gli era accanto: «Dite ai miei ra gazzi che li aspetto tutti in paradiso» (cf MB 18, 333). Nella giornata del 29 i medici lo trovano gra vissimo. Al medico, dottor Fissore, che gli pro spettava la possibilità di qualche miglioramen to, mormora: «Domani, domani... farò un lungo viaggio». Il 31 gennaio, verso le 2, Don Rua inizia le pre ghiere degli agonizzanti. Poi dice: «Don Bo sco, siamo tutti qui, noi suoi figli. Ci dia la 45 sua benedizione ancora una volta. Io le con durrò la mano e pronuncerò la formula». Mons. Cagliero dice ad alta voce: «Gesù, Giu seppe e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia» (cf ivi, 441s). Alle 4,30 il respiro si spegne: il figlio fedele entra nella casa del Padre. DB 2,48 II seggiolone della veranda e foto di Don Bosco morto Nella galleria, seduta su questa poltrona, ven ne collocata la salma di Don Bosco, rivestita degli abiti sacerdotali. Nella mano destra gli fu posto il crocifisso che teneva durante l’agonia. Per tutto il pomeriggio i suoi figli sfilarono di nanzi a quella salma pregando, baciandole la mano e bagnandola di lacrime. Nelle prime ore del 1 ° febbraio la salma ven ne trasportata nella chiesa di san Francesco di Sales. L’afflusso dei visitatori durò dal mat tino alla sera, ininterrottamente (cf ivi, 544). I funerali ebbero luogo il 2 febbraio, e il 6 la salma fu tumulata nel sepolcro preparato a Valsalice, sulla collina torinese (cf ivi, 557s). N - IL MUSEO STORICO DI DON BOSCO, A VALDOCCO sufficiente a ridarle fiducia e coraggio (cf MB 4,233). I figli di Don Bosco conservano gelosamente il crocifisso che stette nelle mani del Padre fi no alla morte. DB 2,50 L ’altare dell’estasi Poco prima del 1877 era stato collocato nel l’anticamera un armadio-altare. Don Bosco vi celebrava qualche volta la Messa. Coloro che vi assistevano erano convinti di aver visto la Messa di un santo. A questo altare, nel dicembre 1878, mentre ce lebrava, fu veduto in estasi, sollevato per al cuni istanti dalla predella (cf MB 13, 897). Nel 1886 l’altare-armadio fu trasportato nella sa crestia della chiesa di Maria Ausiliatrice; l’an no seguente fu affidato alla custodia delle suo re di Moncrivello che lo tennero fino al 1939, quando fu riportato nelle camerette di Don Bosco. DB 2,51 Calice, messale e paramenti sull ’altare Ecco in una devota cappellina il piccolo alta re con il calice, la pianeta, il leggìo e il messa le, come se Don Bosco vi debba celebrare an cora la Messa. Sono gli stessi oggetti da lui usa ti e con i quali oggi i sacerdoti qui celebrano l’Eucaristia. DB 2,52 DB 2,49 II crocifisso che Don Bosco teneva fra le mani alla sua morte Durante l’agonia, Don Lemoyne suggerì a Don Bosco: «Pensi a Gesù in croce che non poteva neanche muoversi». Don Bosco rispose: «È quello che faccio sempre!». La mamma l’aveva abituato fin da fanciullo a vivere alla presenza di Dio, richiamata dal l’immagine di Gesù crocifisso appesa in tutte le stanze. A sua volta, a mamma Margherita che, stanca e sfiduciata, voleva lasciare Valdocco e tornare alla sua casetta ai Becchi, Don Bosco indicò silenziosamente il Crocifisso. Fu 46 Talari e pianete usate da Don Bosco Nel museo storico di Valdocco sono conserva ti gli indumenti sacri e quelli personali usati da Don Bosco. Sono in genere di modesta con fezione, e per lo più dono di benefattori. In dumenti poveri, ma sempre puliti e ordinati (cf MB 3, 24; 5, 676). Quando qualche perso na ragguardevole gli regalava abiti più fini o più eleganti, regolarmente li passava ad altri confratelli. Un giorno, dovendo partire im provvisamente, si dovette cercare in prestito una veste che fosse meno lisa e rattoppata di quella che indossava. Altrettanto capitò con le scarpe, e perfino con le stringhe! DB 2,53 II confessionale di Don Bosco Don Bosco fu il grande apostolo della confes sione. Passava ore e ore seduto al confessio nale ad accogliere giovani e altri penitenti che accorrevano attratti dalla sua fama di santo (cf MB 3, 73). Talvolta si stancava tanto da non riuscire ad alzare più la mano per assol vere. Questo confessionale, povero e disardorno, è stato testimone di tante trasformazioni. Dap prima era situato nella piccola sacrestia della cappella Pinardi, poi fu collocato nel coro della chiesa di san Francesco di Sales, infine nell’an tica sacrestia di Maria Ausiliatrice. DB 2,54 Le nocciole, a ricordo delle moltiplicazioni Le «memorie Biografiche» raccontano vari fat ti strepitosi di Don Bosco aH’Oratorio. Tra questi la moltiplicazione delle nocciole. La signora Nicolini gli aveva regalato un sac chetto di nocciole, e il 13 dicembre 1885 egli ne aveva distribuito una parte ai ragazzi. Ven ti giorni dopo, il 3 gennaio, si fece portare quelle rimaste e riprese la distribuzione. Il chierico Festa gli fece osservare che non sa rebbero bastate per tutti. Don Bosco gli rispo se: «Lascia fare a me». E cominciò a distribuir le con molta larghezza. In quel momento ar rivavano 40 cantori che erano stati a Valsalice. Li fece salire e ne distribuì anche a loro (cf MB 18, 16). Il 31 gennaio con le nocciole rimaste fece una uguale distribuzione. Dopo averne dato a tut ti, guardò il ragazzo che teneva il sacco: «Oh, eccone ancora una!», e sorridendo ne estras se ancora una manciata. Ne diede a Don Du rando, a Don Trione, a Mazzola e a Bassignana... Tutti erano stupiti. Allora, introdotta la mano nel sacco, trasse altre cinque nocciole, e mostrandole disse sorridendo: «Peccato che alcuni giovani non c’erano!». Dal gruppo, in fatti, mancavano proprio cinque ragazzi. Sparsasi la voce, tutti andavano a caccia di quelle nocciole (cf Ivi, 21s). Il fatto fu ricor dato anche da mons. Cassani a Torino nel 1957 (cf Don Bosco, ti ricordiamo, Elle Di Ci, p. 56). DB 2,55 Portamonete di Don Bosco e otto soldi del suo tempo Don Bosco ebbe sempre bisogno di tutto e di tutti: da ragazzo per studiare, e da prete an cor di più. Diceva: «Ci vorrebbe denaro in quantità per dare il pane e il vestito ai giova ni che la Provvidenza ci manda, per costruire case, scuole, laboratori, per erigere chiese, per diffondere la buona stampa e i buoni libri...». Allora usciva per la città in cerca di benefat tori. A chi lo incontrava per le vie e gli chiedeva dove andasse, Don Bosco rispondeva: «Vado alla cerca per i miei merlotti!» (cf (cf MB 4, 8s). Alcune volte usciva senza sapere dove andare 0 a che porta bussare e si imbatteva in perso ne che lo cercavano per dargli un’offerta o consegnare una somma, proprio quella che gli occorreva. Affermava Don Cagliero: «Don Bosco prova va in sé una lotta inesprimibile, quando do veva presentarsi a stendere la mano. Ma per 1suoi giovani era disposto a tutto: salire le sca le dei palazzi, bussare alla porta dei ricchi, ri cevendo tante volte ripulse e dinieghi e anche insulti. Allora con il più dolce sorrìso rispon deva: “ Questo è per me; ma per i miei giova ni non mi dà proprio niente?” ». La diapositiva presenta il povero borsellino di Don Bosco, con 40 centesimi, ossia gli otto sol di del suo tempo, che egli diede come «strepi toso acconto» a Buzzetti, per la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice. DB 2,56 II cappello e i bastoni da viaggio La diapositiva mostra il cappello, e i bastoni da viaggio che alcuni benefattori avevano re galato a Don Bosco quando le gambe gonfie non lo reggevano più. Allora se ne serviva vo lentieri. Questi oggetti ci richiamano i moltissimi viaggi 47 che Don Bosco fece a piedi, in carrozza, in tre no. Non furono mai viaggi di piacere, ma fa tiche estenuanti per cercare denaro, per sbri gare faccende riguardanti la sua opera, le dio cesi e i vescovi, per il bene della Chiesa, per visitare il papa che talora lo invitava a Roma per consultarlo. E poi ancora per ottenere l’approvazione della Congregazione, delle Re gole, per costruire chiese, per aprire nuove fondazioni, per visitare i suoi figli. La sua salute e i medici stessi sconsigliavano questi viaggi massacranti; difatti più di una volta dovette fermarsi ad Alassio e a Varazze, presso vescovi o famiglie di benefattori, per motivi di salute. Si recò in Spagna e più volte in Francia, ele mosinando di città in città per circa quattro mesi, dal 31 gennaio al 31 maggio 1883, rag giungendo anche Parigi. DB 2,57 Oggetti raccolti sulla mensa dopo la morte di Don Bosco Queste stoviglie, di buona fattura, sono anch’esse dono di benefattori. Durante la sua ultima malattia, Don Bosco vol le che fossero pronte sulla mensa al suo po sto, e quando veniva qualche benefattore o amico a trovarlo lo invitava a sedere lì a tavo la, in segno di stima e di riconoscenza. Così fece con Giorgio Moglia di Moncucco, figlio del padrone presso cui aveva lavorato da ragazzo. La mensa di Don Bosco fu sempre molto fru gale e povera (cf M B 3, 25). All’inizio mam ma Margherita faceva cuocere una pentola di minestra di verdura, oppure di castagne bian che mescolate con mais. Questa pentola ritor nava in tavola fin che non si fosse toccato il fondo. Capitava a volte che qualche invitato, terminata la cena, correva a casa di qualche amico... a sfamarsi! DB 2,58 II suo passaporto La fama del «prete dei ragazzi» si estese ben presto anche fuori del Piemonte. Nel 1850 Don Bosco fu invitato a predicare il giubileo ai ra 48 gazzi dell’Oratorio San Luigi, nella parrocchia di San Simpliciano in Milano, dove era diret tore Don Allievi, suo caro amico. A quei tempi Milano era sotto la dominazio ne austriaca, per cui era necessario il passa porto. Ecco quello di Don Bosco: un foglio grande come una pagina di giornale, con lo stemma di «Sua Maestà il Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme». A lato i connotati, che ci aiutano a ricostruire il suo ritratto. «Età: anni 35; statura: once 38, cm 164; ca pelli: castani scuri; fronte: media; sopracci glia: castane; occhi: idem; faccia: ovale; car nagione: bruna; condizione: maestro di scuo la elementare» (cf MB 4, 171). DB 2,59 Le sue «Memorie» La prima volta che Don Bosco andò a Roma, nel 1858, Pio IX volle essere informato su tut to il suo apostolato. Udita da lui un’esposizio ne circostanziata dei fatti, comprese che vi era no elementi soprannaturali, e gli raccoman dò di scrivere tutto e di conservare lo scritto come patrimonio per i suoi figli. Don Bosco lasciò trascorrere nove anni senza eseguire la raccomandazione (cf M B 1, 121s). Nel 1868 il Papa volle sapere se avesse scrit to. Don Bosco si scusò. Allora il Papa ripre se: «Quand’è così, lasciate ogni altra occupa zione e scrivete. Questa volta non è un consi glio, ma un comando. II bene che ne perverrà ai vostri figli, voi non potete intenderlo pie namente». Don Bosco scrisse allora le «Memorie per l’Oratorio», dove narra le origini e i principali avvenimenti della sua fondazione, dal 1815 al 1855. L’originale autografo, conservato nel l’archivio storico di Roma, consta di tre gros si quaderni di largo formato, di complessive 180 pagine. Nel «preambolo» l’Autore affer ma di scrivere «per i miei carissimi figli Sale siani, con proibizione di dare pubblicità a que ste cose sia prima che dopo la mia morte». Fu questo il motivo per cui le «Memorie» furono pubblicate soltanto nel 1946, quando la proi bizione di Don Bosco non aveva più alcun va lore perché, come Santo, è passato alla storia della Chiesa. DB 2,60 La prima statua di Maria Ausiliatrice venerata a Valdocco Questa che vediamo, in legno dorato, fu la pri ma statua di Maria Ausiliatrice venerata nel la chiesa che porta il suo nome. A Don Cagliero Don Bosco aveva detto: «La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Ausiliatrice. I tempi corrono così tristi che abbiamo bisogno che la Vergine ci aiuti a con servare e a difendere la fede cristiana». Don Bosco fu l’infaticabile apostolo della de vozione alla Madre di Dio sotto il titolo di Au siliatrice, tanto che oggi essa è detta popolar mente «la Madonna di Don Bosco». La storica statua era conservata nel museo del le camerette. Don Renato Ziggiotti, quinto successore di Don Bosco, dietro ripetute istan ze dei figli di Don Orione, l’affidò alla loro cu stodia quale riconoscimento del legame esi stente tra i Salesiani e il loro Fondatore, che era stato allievo di Don Bosco e che è stato di chiarato beato da Giovanni Paolo II il 26 ot tobre del 1980. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE (Seconda unità non sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco O - LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE DB 2,61 Prima fotografia della chiesa di Maria Ausiliatrice con scorcio di San Francesco Fin dall’ottobre del 1844, con l’aumentare dei ragazzi, Don Bosco veniva sfrattato da un po sto all’altro, dai prati e dalle stesse strade, e vagava in cerca di un locale. Gli apparve la Madonna in sembianze di una pastorella e gli disse: «Guarda... guarda un’altra volta...». E Don Bosco guardò di nuovo: allora vide una stupenda e alta chiesa. Nell’interno di essa c’e ra una fascia bianca, su cui, a caratteri cubi tali, era scritto: «Hic domus mea, inde gloria mea». Alla sua richiesta di spiegazioni: «Tu comprenderai ogni cosa quando vedrai di fatto quanto ora vedi con la mente». Nel 1845 fu confortato da un’altra visione: una grandissima chiesa, molti edifici all’intorno e un bel monumento in mezzo. E l ’apparizione aggiunse: «In questo luogo io voglio che Dio sia onorato in modo specialissimo». Con atto notarile del 20 giugno 1850, Don Bosco aveva acquistato dal seminario il terreno che com prendeva una striscia di terra, da lui stesso chiamata «campo dei sogni». 50 Una sera del 1862, verso le undici di notte, do po avere a lungo confessato nella chiesa di san Francesco di Sales, scese a far cena nel picco lo refettorio, e al chierico Paolo Albera (il fu turo secondo successore) confidava: «La no stra chiesa è troppo piccola, non può conte nere tutti i giovani che vi stanno addossati l’un l’altro. Quindi ne fabbricheremo un’altra più bella, più grande, che sia magnifica e le dare mo il titolo di chiesa di Maria Ausiliatrice». DB 2,62 La basilica e la primitiva piazza L’impresa fu affidata al capomastro Buzzetti, su progetto dell’ing. Antonio Spezia. Nel maggio del 1863, Don Bosco diede ordine al l’economo Don Savio di iniziare i lavori di sca vo. Ma si erano già spese 4.000 lire per la com pera del terreno e la provvista del legname per la cinta. Don Savio osservò che si era comple tamente privi di mezzi e la chiesa era molto grande. Don Bosco rispose con la solita sicu rezza: «Comincia a fare gli scavi. Quando mai abbiamo cominciato un’opera avendo i dena ri pronti? Bisogna lasciar fare qualcosa alla Provvidenza!». Questa foto ci presenta la chiesa ultimata; con la piazza antistante ben delimitata da muret ti; mentre si scorge a sinistra della facciata l’e dificio della tipografia. DB 2,63 La basilica con fedeli agli inizi del ’900 La massa di fedeli che parteciparono alla con sacrazione della chiesa fu imponente, e i tori nesi continuarono a frequentarla con assidui tà e fervore. Consideravano la chiesa di Don Bosco come la loro chiesa, man mano che la devozione a Maria Ausiliatrice si estendeva. La foto è del primo novecento, e tra i fedeli in costume del tempo si scorge anche una del le prime auto che si costruirono a Torino. DB 2,64 La basilica col mercato sulla piazza L’Oratorio era sorto fuori città, sperduto nei prati della periferia, tra poche case e per lo più malfamate. Don Bosco, come attratto da una calamita, continuava ad aggirarsi coi suoi ragazzi attorno al campo dei sogni che la Ma donna gli aveva più volte indicato. Nella visione gli aveva mostrato tre chiese che dovevano sorgere in quel luogo: una «piccola e bassa» (la tettoria-cappella Pinardi, 1846); una «assai più grande» (la chiesa di san Fran cesco di Sales, 1852); infine una chiesa «gran dissima», che sarà intitolata a Maria Ausilia trice (1860; cf MB 7, 333; 371; 373). Nel 1862 Don Bosco non possedeva ancora il terreno, non aveva il progetto di un architet to; ma era tanta la sua fiducia nella futura chiesa che la descriveva come se la contemplas se: «Sarà una chiesa alta e stupenda» (1844); «grandissima» (1845). A chi gli faceva notare che era troppo grande e fuori città, e a chi gli consigliava di temporeggiare, rispondeva con fermezza: «Sento che il tempo stringe e che Dio vuole la chiesa e la vuole da m e... E qui ver ranno molti a invocare la potenza di Maria». La foto che vediamo ci mostra il compimento della profezia. Allora Don Bosco ripeterà a tutti: «Maria si è edificata da sola la sua ca sa... Di mio non ci ho messo proprio nulla». La città cominciava a stringere d’assedio la cit tadella di Valdocco. soprattutto dalle grazie straordinarie che Ma ria Ausiliatrice otteneva (cf MB 9, 240s). Entrando dalla porta maggiore, capolavoro in legno del torinese Oddone, la chiesa si presen ta con tutta la grandiosità voluta da Don Bosco. È a forma di croce latina. Il pavimento è alla veneziana; i pavimenti degli altari laterali han no l’aspetto di mosaici. Il pulpito, addossato al pilastro di destra, è maestoso: sculture e in tagli sono opera dei ragazzi artigiani dell’Oratorio. In fondo, il grande presbiterio con pa vimento di marmo, simile a un ricco tappeto. Ma 0 più importante elemento della chiesa è il grande dipinto sovrastante l’altare maggio re, alto metri 7,30 e largo 4, che raffigura Ma ria Ausiliatrice tra gli apostoli. DB 2,66 La cappella di San Pietro Nella crociera a destra, vi era l’altare dedica to a san Pietro. Era stato offerto a Don Bosco da una matrona romana per grazia ricevuta. Il quadro, opera dell’artista milanese Carcano, rappresentava Gesù Cristo nell’atto di consegnare le simboliche chiavi del regno dei cieli a Pietro, inginocchiato ai suoi piedi. A questo altare Don Bosco celebrava volentieri la Messa, e un giorno moltiplicò le ostie. Dopo la canonizzazione di Don Bosco, l’alta re fu dedicato a lui, e quello di san Pietro ven ne collocato in una nuova cappella, sotto l’am pia sacrestia. Fu posto sotto un baldacchino marmoreo, riccamente decorato nella volta, ai cui lati pendono lampade votive. Dietro l’al tare, una vetrata a colori rappresenta il mar tirio di san Pietro, il quale, secondo la tradi zione, fu crocifisso col capo in giù per suo stes so desiderio. DB 2,65 Interno della basilica DB 2,67 La cappella di Solutore, Avventore, Ottavio e di Sant’Anna D giorno della consacrazione (9.6.1868) fu pre ceduto da una solenne novena, che vide un grande afflusso di popolo, di vescovi e di au torità. La gente era attratta dalla grandiosità delle cerimonie, dall’incanto della musica, ma Nella cappella a destra della navata principa le era l’altare di sant’Anna, il più ricco per preziosità di marmi, lavorati in Roma dall’ar tista Luigi Medici. Fu inviato a compimento di promessa fatta e 51 di grazia ricevuta. Il quadro, che rappresen tava sant’Anna con san Gioacchino e la ver ginella Maria in atto di leggere, era stato ese guito dal pittore Fino Tornielli. Qualche anno dopo i restauri del 1890 fu por tato nella cappella della Casa Salesiana di Lombriasco, e sostituito col quadro dei Santi Martiri Solutore, Avventore e Ottavio, e sot to un quadro di sant’Anna. DB 2,68 La cappella di San Francesco di Sales L’altare nella cappella a sinistra era dedicato ai Sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria. Ope ra dell’artista torinese Bonetti, era stato pro mosso da un Comitato di benemerite signore di Torino, come testimonia la lettera circola re di Don Bosco del 24 maggio 1867. Nel 1891, ricorrendo il primo cinquantenario dell’Opera Salesiana, il santuario fu restau rato e decorato, e il Successore di Don Bosco volle che questa cappella fosse dedicata a san Francesco di Sales con un nuovo e ricco alta re. Il quadro è del Reffo, artista torinese. Lo dipinse nel 1893. Il Santo è rappresentato in ginocchio, con la penna in mano, lo sguardo fisso al Crocifisso e all’immagine della Vergi ne da cui attende l’ispirazione per scrivere. Sulle pareti laterali due affreschi: il Santo è raffigurato mentre predica e mentre visita una tipografia, essendo egli il protettore dei gior nalisti e della stampa. La volta fu dipinta dal Rollini nel 1874: ap partiene adunque alla decorazione fatta per il primo altare. Sul globo del mondo è posato un ostensorio raggiante col SS. Sacramento; tra una corona di angeli adoranti è rappresen tato l’Arcangelo Michele che scaccia e disper de l’errore e l’eresia. DB 2,69 La vecchia sacrestia Dietro l’abside ai lati del coretto erano siste mate le due sacrestie, le cui pareti erano rico perte di ex-voto che i fedeli venivano a depor re come segno di grazie ricevute. Nella prima sacrestia Don Bosco aveva posto il suo confessionale, sempre affollato di peni 52 tenti durante le funzioni. In essa compì alcu ni strepitosi miracoli con la benedizione di Ma ria Ausiliatrice (G. B. LEMOYNE, Vita di S. G. Bosco, II, p. 129). DB 2,70 La chiesa di Maria Ausiliatrice come la costruì Don Bosco «Chiesa veramente miracolosa, questa di Ma ria Ausiliatrice: miracolosa per essere stata mostrata molto tempo prima al Santo nel suo luogo e nella sua forma; miracolosa nell’ere zione, perché a Don Bosco, povero e padre dei poveri, solo mezzi provvidenziali permisero di innalzarla; miracolosa per il fiume di grazie che non ha cessato di scaturire da essa come da fonte inesauribile» (E. CERIA, Annali, I, p. 92). Così era la struttura architettonica della chiesa come la volle Don Bosco. Vista dal cortile e dalle camerette, sul lato nord appariva la pa rete esterna dell’abside da cui sporgeva un pic colo coretto, dove i Salesiani al mattino face vano la meditazione. Ai due lati erano siste mate due sacrestie di servizio, una per i cele branti e l’altra per il piccolo clero. DB 2,71 II capomastro Carlo Buzzetti Carlo Buzzetti era uno di quei garzoni mura tori che Don Bosco aveva trovato a sonnecchia re sui gradini della balaustra a san Francesco di Assisi, perché non capivano la predica. In primavera condusse da Don Bosco anche suo fratello. Lavorò nel 1856 alPOratorio come semplice operaio; come capo muratore nel 1860; e fu poi il capomastro di Don Bosco per la costruzione della chiesa di Maria Ausilia trice. Ottenuta dal Municipio la licenza di costrui re, in autunno furono compiuti gli scavi. Sul finir dell’aprile del 1864, per invito del capo mastro, Don Bosco, accompagnato dai suoi preti e da molti allievi, scese negli scavi a get tarvi la prima pietra. Terminata la funzione, per esternare la sua compiacenza, rivolto al capomastro Buzzetti disse: «Ti voglio dar su bito un acconto per i grandi lavori!». Così di cendo tirò fuori il borsellino, l’aprì e versò nel le mani di Buzzetti quanto conteneva, cioè 40 centesimi. «Sta’ tranquillo — aggiunse Don Bosco —, la Madonna penserà a provvedere il denaro necessario per la sua chiesa». E Buz zetti si fidò ciecamente di Don Bosco. DB 2,72 Statua della Immacolata sulla cupola Nel maggio del 1867 sulla cupola fu posta la grande statua della Madonna, modellata dall’Argenti di Novara ed eseguita dal cavalier Ignazio Boggio di Torino. Era del suo color naturale, cioè di rame. Don Bosco pensava di farla indorare, e una pia e benemerita perso na si incaricò della spesa. D 21 novembre l’Arcivescovo di Torino, mons. Riccardi di Netro, la benedisse solennemen te. Caduto il velario, la statua rìsplendette lu minosa ai raggi del sole. La statua dell’immacolata che domina sulla cupola ricorda a tutti i Salesiani che Don Bo sco iniziò la sua opera con un’Ave Maria, il giorno dell’immacolata del 1841, nel primo in contro con il garzone muratore Bartolomeo Garelli. DB 2,73 Attuale facciata della basilica di Maria Ausiliatrice Così vediamo oggi la facciata della basilica di Maria Ausiliatrice, costruita in stile tardo Rinascimento. L’architettura arieggia la chiesa di san Giorgio Maggiore, a Venezia: con due campanili ai lati e la cupola centrale che mi sura 19 metri di diametro e s’innalza sopra la parte centrale della crociera. Sopra il portale di legno, un gruppo marmo reo con Gesù tra i fanciulli. Sul basamento so no raffigurate due scene evangeliche: la risur rezione del figlio della vedova di Nain e la gua rigione del sordomuto. Quattro colonne binate poggiano sul basamento e sostengono il tim pano, sotto il quale si legge la dedica: «Maria aiuto dei cristiani». Tra le due colonne spic cano due altorilievi: uno con Pio V che annun cia la vittoria di Lepanto; l’altro con Pio VII che incorona Maria e decreta la festa di Ma ria Ausiliatrice. In alto, sopra i due altorilie vi, due angeli portano le date storiche dei due avvenimenti mariani: 1571-1814. Nello sfon do triangolare del timpano, lo stemma della Società Salesiana. Sul timpano dell’avancor po si innalzano le statue di marmo dei santi martiri torinesi Solutore, Avventore e Otta vio, che bagnarono con il loro sangue queste zolle. Sull’attico delle due fronti laterali, so pra gli orologi, due altre statue: di san Massi mo, primo vescovo di Torino, e di san Fran cesco di Sales, patrono della Società Salesiana. (NB. Molte notizie di questa cartella, relative alla basilica di Maria Ausiliatrice, sono attin te dall’opera di F. GIRAUDI, Il santuario di Maria SS. Ausiliatrice, SEI, Torino 1948). DB 2,74 I due campanili e la cupola centrale con la statua di Maria Immacolata Don Bosco disse ripetutamente che ogni mat tone della chiesa di Maria Ausiliatrice testi moniava una grazia della Vergine. Ne ricor diamo una che riguarda proprio la costruzio ne della cupola. Per la strettezza dei mezzi, pareva a molti uno sproposito avventurarsi in una simile costru zione. L’architetto, d’intesa con l’economo Don Savio, aveva sospeso i lavori, e ormai an che Don Bosco pareva rassegnato a sostituire la cupola con una semplice volta a calotta ro vesciata (cf MB 8, 465). Un giorno fu chiamato al letto del banchiere Antonio Cotta, 83 anni, gravemente infermo. Dopo averlo incoraggiato a confidare nella Madonna gli chiese a bruciapelo: «Che cosa farebbe se Maria Ausiliatrice le ottenesse la grazia di guarire?». Rispose l’infermo: «Pro metto di fare per sei mesi consecutivi una ge nerosa offerta per la chiesa in Valdocco» (cf ivi, 465s). Tre giorni dopo si presentò a Don Bosco pie no di gioia a mantenere la sua promessa. La cupola fu innalzata e coronata dalla grande statua di Maria, solennemente benedetta il 21 Novembre 1867. 53 Sui due campanili a fianco della cupola, due statue dorate: sono gli arcangeli Gabriele e Mi chele. All’esterno la cupola è circondata da tre ringhiere e da 16 finestroni che illuminano l’interno. DB 2,75 La seconda cupola eretta durante l ’ampliamento Una sessantina di anni dopo, (’Oratorio ave va ormai moltiplicato gli edifici per accoglie re gli 800 allievi delle scuole classiche e pro fessionali. Anche la città si era sviluppata attorno a que sti edifici. La nuova chiesa risultò ben presto incapace di accogliere i fedeli e i devoti sem pre più numerosi, attratti anche dalla fama della santità di Don Bosco. Avvicinandosi il giorno in cui la Chiesa avreb be decretato a Don Bosco l’onore degli altari, si profilò la necessità di ampliare il santuario. Don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco, volle che si iniziassero gli studi per il progetto, che fu affidato al prof. Mario Ceradini con la collaborazione dell’architetto sa lesiano Giulio Valotti. I lavori di ampliamento iniziarono il 10 apri le 1935, alla chiusura dell’Anno Santo per il bimillenario della redenzione, e durarono tre anni. Fu demolita l’antica abside e ampliato il presbiterio sul quale si innalzò la seconda cupola, in perfetta armonia con quella eretta da Don Bosco. Essa misura metri 12 di dia metro, ed è sormontata da una grande coro na dorata, simbolo della regalità di Maria. La cupola eretta da Don Bosco è molto più al ta: arriva a 45 metri di altezza, compresa la grande statua della Madonna sormontata da una corona di 12 stelle. Nell’interno, intorno a una simbolica colom ba con raggiera, sono scritte le parole viste in sogno da Don Bosco: «Hic domus mea, inde gloria mea». Nelle 16 vetrate a occhio sono dipinte figure di angeli recanti titoli e invocazioni con le quali viene salutata la Vergine. Nella fascia che av volge il tamburo, sopra la balaustrata, folte 54 schiere di angeli stanno in adorazione del SS. Sacramento. Nei peduncoli della cupola, quat tro angeli in altorilievo portano i simboli di quattro invocazioni lauretane. DB 2,76 Interno del santuario: veduta generale Chi entra oggi per la prima volta nella basili ca di Maria Ausiliatrice si sente immediata mente avvolto da una atmosfera di raccogli mento. L’impressione è favorita dal marmo giallo che in tutti i toni trionfa nelle grosse co lonne scanalate, incornicia le lesene, riveste i grandi altari e la balaustrate: oltre 50 tipi di versi di marmi policromi e pregiati. Un fre gio sotto il cornicione, come un’ampia fascia dorata, reca a grandi caratteri l’antifona ma riana: «Sancta Maria, succurre miseris». Ro soni di pregevoli pitture si alternano sulle volte e orientano lo sguardo verso 0 quadro centrale dell’Ausiliatrice. Durante l’ampliamento del 1935-1938, l’archi tetto Valotti ha incastonato il quadro tra due lesene nelle quali si aprono 12 nicchie con sta tue di santi confessori e sante vergini, scelti tra i più grandi devoti di Maria. L’altare maggiore è staccato dalla parete di fondo; il tabernacolo è inquadrato da piccole lesene con pietre dure e steli bianchi su lapi slazzuli. Su un fondo di onice ambrata è col locato l’artistico crocifisso. Una fascia di ri quadri con 14 teste di angeli incornicia l’altare. DB 2,77 II quadro di Maria Ausiliatrice Di incomparabile bellezza il quadro con l’im magine di Maria Ausiliatrice. Fu ideato da Don Bosco stesso, che lo descrisse al pittore Lorenzone, facendo stupire gli astanti per la grandiosità del progetto (cf MB 9, 200). In alto campeggia la Vergine tra i cori degli angeli. Intorno, gli apostoli e i cori dei marti ri, dei profeti, delle vergini e dei confessori. Ai suoi piedi, gli emblemi delle vittorie di Ma ria e una rappresentanza dei popoli delle va rie parti del mondo in atto di chiedere aiuto. La Madonna tiene lo scettro in mano, simbo lo della sua sovranità come madre del Figlio di Dio. L’occhio di Dio Padre la irradia di lu ce e la colomba distende le ali sul suo capo. Gli apostoli occupano nel quadro, dopo Ma ria, la parte principale: fra essi primeggiano san Pietro, con le chiavi, e san Paolo con la spada. Dietro stanno i quattro evangelisti con i relativi simboli. In basso compare la chiesa di Maria Ausiliatrice, e all’orizzonte il colle di Superga con il tempio alla Vergine. «Ma dove troverò lo spazio —chiese il pittore — per dipingere una tela come questa?». Lorenzone affittò un salone del palazzo Ma dama per tre anni (cf MB 8,4). Quando il qua dro fu portato in chiesa e sollevato sopra l’al tare, il pittore stesso non potè trattenere la commozione e cadde in ginocchio prorompen do in pianto. DB 2,78 L ’altare di Don Bosco Don Bosco è glorificato nella stessa chiesa da lui eretta alla sua Ausiliatrice, con un altare monumentale, collocato nel transetto di destra. E una massa imponente per la grandiosità ar tistica delle linee e per l’armonia policroma dei marmi. L’urna del Santo è posta in alto, sopra la men sa, ben visibile a chi è discosto dall’altare, mentre a tutti è possibile avvicinarla passan do dietro l’altare. La balaustrata e i gradini dell’altare sono di marmo giallo antico di Sie na; ai lati due grandi statue del Nori reggono l’una un calice con l’ostia, l’altra un cuore fiammeggiante: simboleggiano la fede e la ca rità. Sopra la mensa, il tabernacolo ricco di lapislazzuli e pietre dure; la porticina è di ar gento cesellato; il cupolino è un solo blocco di onice antica. Quattro colonne di diaspro ros so di Garessio incorniciano il quadro dell’al tare. Don Bosco è raffigurato in mezzo a un gruppo di ragazzi, presso un trono su cui sie de con soave maestà l’Ausiliatrìce, mentre il Santo invita i ragazzi a guardare fiduciosi a lei. Sul timpano, due angeli sorreggono lo stem ma della Congregazione salesiana. Due gran di vetrate a colori rappresentano: una l’incon tro con Bartolomeo Garelli nella chiesa di san Francesco d’Assisi; l’altra Don Bosco e mam ma Margherita che giungono alla casa Pinardi. Nelle nicchie laterali sono collocate le statue di due santi educatori della gioventù: Giovanni Battista de la Salle, fondatore dell’istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane; e, a sinistra, Fi lippo Neri, fondatore della Compagnia dei Preti dell’Oratorio. DB 2,79 Urna di Don Bosco Una gradita sorpresa è l’artistico tempietto che l’architetto Mario Ceradini creò dietro la men sa dell’altare di Don Bosco. L’urna del Santo appare in tutto il suo religioso splendore, a giusta altezza per essere osservata da vicino dai moltissimi visitatori che sostano in preghie ra quasi a tu per tu con Don Bosco. L’illuminazione indiretta rende ancor più sug gestivo questo luogo. L’urna di bronzo, con decorazioni d’argento, racchiude la salma, adagiata sopra un lettino di velluto rosso ri camato in oro. I paramenti, dono di papa Be nedetto XV, ricoprono realmente tutto il cor po del Santo, ben conservato con le carni in perfetto stato di mummificazione. Il volto e le mani sono maschere di cera, modellate dallo scultore Cellini e dipinte da Carlo Cussetti. Don Bosco sembra ancora vivo e parlante. DB 2,80 Volto di Don Bosco Il volto del Santo si trova all’altezza dei visi tatori: calmo e sereno, ispira preghiera e fi ducia e invita al colloquio. Mentre si sosta di nanzi all’urna, si parla con Don Bosco, come se fosse ancora vivo a raccogliere confidenze e preghiere dei fedeli, e dare coraggio a chi lo invoca. DB 2,81 L ’altare di san Giuseppe L’altare di san Giuseppe si trova di fronte a quello di Don Bosco, nel transetto di sinistra. 55 Anche dopo l’ampliamento della basilica è ri masto come l’ha voluto il Santo. Nei finestroni del transetto due vetrate istoriate a colori ricordano il pio transito di san Giuseppe assi stito da Gesù e da Maria, e lo sposalizio di Ma ria con Giuseppe. Nelle nicchie sono collocati: a sinistra, la sta tua del profeta Isaia, che per primo predisse la maternità verginale di Maria; a destra, quella del re Davide, dalla cui stirpe discen deva la sacra famiglia di Nazaret. DB 2,82 Altare di San Domenico Savio A sinistra, per chi entra nel tempio, si trova va la cappella dedicata a san Francesco di Sales, patrono dell’Opera Salesiana, sul cui al tare era un quadro con il ritratto del Santo, dipinto dal Reffo. Dopo la canonizzazione di Domenico Savio, sotto l’altare fu collocata un’urna di legno dorato che contiene i resti del corpo di questo giovane. Sull’altare nel 1985 è stato collocato un nuo vo quadro di Caffaro Rore che raffigura il Sa vio come protettore dei giovani impegnati nello studio, nel lavoro, nelle attività artistiche e sportive. Una mamma innalza un sorridente bambino, per ricordare che il Santo è invoca to anche come protettore della vita nascente. Sulle pareti laterali due affreschi ricordano che la cappella era dedicata a san Francesco di Sales. Il Santo è raffigurato mentre predi ca e mentre visita una tipografia, essendo egli il protettore dei giornalisti e della stampa. DB 2,83 L ’altare di Santa Maria Mazzarello A destra, presso l’ingresso principale, c’è og gi la cappella di santa Maria Domenica Maz zarello, confondatrice e prima superiora del l’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. So stituisce l’altare dedicato a sant’Anna. La salma della Mazzarello fu trasportata da Nizza Monferrato nel 1938 e collocata nell’ur na di bronzo sotto l’altare preparato per la sua beatificazione. L’immagine della Santa, nel quadro centrale sopra l’altare, è del Crida, come pure i due 56 dipinti che ritraggono avvenimenti della sua vita. Nel quadro di sinistra, Don Bosco a Mornese, dopo la votazione del 15 giugno 1874, pro clama madre Mazzarello Superiora Genera le; a destra, madre Mazzarello con il primo drappello di suore in partenza per le missio ni, è ai piedi del papa Pio IX, il 9 novembre 1877. DB 2,84 L ’ampliamento sul lato destro dell’altare maggiore La parte nuova della chiesa armonizza felice mente con l’antica. AI centro, il grande pre sbitero si apre sulla navata centrale e sulle due nuove cappelle laterali, ricche di colonne, di marmi e di decorazioni, con gli scorci delle re lative tribune superiori. Esse sono delimitate da snelle colonne binate di marmo verde di Issoire con capitelli riccamente ornati, e offro no un ambiente di preghiera raccolto, facili tando la partecipazione viva e attiva alla liturgia. Il soffitto delle cappelle è a cassettoni dorati, e su di esse spaziano le due menzionate tribu ne, in una delle quali trovano posto la canto ria e il gigantesco organo. Le due cappelle sono collegate verso la sacre stia da una elegante galleria con molte colon ne di marmo. Su di essa si affacciano sei cap pelline con altari dedicati rispettivamente: al Crocifisso, al Cottolengo, al Cafasso, ai tre martiri di Torino, al papa Pio V e all’Angelo Custode. La decorazione di tutta la chiesa fu affidata al Cussetti, il quale profuse la sua arte parti colarmente nelle volte della galleria. Egli sep pe armonizzare elegantemente lo splendore dei marmi con la temperata ricchezza della deco razione. Tema ricorrente è quello delle Lita nie della Madonna. DB 2,85 Cripta-cappella dell’Apparizione Nel piano inferiore della navata principale si trova quella che è comunemente chiamata «cappella delle Reliquie». A destra c’è una cappellina dedicata alla Ver gine, chiamata anche «cappella dell’Apparizione». L’iscrizione sulla parete ricorda il fatto. DB 2,86 Luogo dove la Madonna posò il piede «Nell’anno 1845 la santissima Vergine appar sa in sogno a san Giovanni Bosco nei prati di Valdocco, in mezzo ad una turba di giovani, gli indicava il sorgere e l’avvenire dell’Oratorio di Torino; quindi avanzando un piede e po sandolo su questo luogo gli diceva: “Qui, do ve i tre gloriosi martiri di Torino Avventore, Solutore e Ottavio soffrirono il loro martirio, su queste zolle che furono bagnate e santifi cate dal loro sangue, io voglio che Dio sia ono rato in modo specialissimo”». Nell’angolo a sinistra, sul pavimento, una cro ce di metallo dorato precisa il luogo dove, se condo il sogno, la Madonna posò il piede. DB 2,87 Altare della Madonna e quadro dell’Apparizione Inoltrandoci nella cappellina, scorgiamo l’im magine in marmo candido dell’Ausiliatrice. Nel quadro a sinistra il pittore Dalle Ceste rie voca il sogno fatto da Don Bosco in una notte dell’estate del 1845 e ricordato all’inizio. Nel quadro si delinea maestoso, dietro la figura della Madonna, il santuario costruito 20 anni più tardi (cf MB 2, 299s). Nella vetrina tra il quadro e la statua sono raccolti oggetti sacri usati da Don Bosco, tra cui la stola che gli fu imposta sul letto di morte, il crocifisso che stet te fra le sue mani per 40 anni nel sepolcro di Valsalice, e l’abitino del Carmine che portò durante la sua vita. DB 2,88 Quadro del martirio di Solutore, Avventore e Ottavio Nel quadro a destra dell’altare, il pittore Dalle Ceste rappresenta la scena del martirio dei tre valorosi soldati romani della Legione Tebea. Scampati alla strage ordinata dall’imperato re Massimiliano, Avventore e Ottavio furono raggiunti a Torino e trucidati nel 300 d.C., mentre il compagno Solutore, più giovane e più svelto, benché ferito da un colpo di lancia riusciva a fuggire, come appare nel quadro, e a rifugiarsi nella città di Ivrea. Ripreso po co dopo, fu decapitato, e santa Giuliana ne portò il corpo a Torino perché fosse riunito a quelli dei due compagni martiri. I loro resti mortali riposano con quelli di santa Giuliana in Torino, nella chiesa detta dei Santi Marti ri, in via Garibaldi. DB 2,89 La cappèlla delle Reliquie La cappella delle Reliquie costituisce un vero tesoro nel suo genere. Inaugurata il 14 settembre 1934, si presenta come una navata unica, a croce latina, con le volte a vela e a botte, basse e massicce, così da ricordare, anche per i motivi ornamentali e i simboli, le catacombe cristiane. Le numerosissime reliquie che vi si trovano conservate ed esposte (oltre 60.000) sono un dono del commendatore Michele Bert, di To rino. Sono distribuite intorno a otto altari, consacrati e dedicati ai santi pontefici, ai ve scovi e confessori, ai santi fondatori di ordini e di congregazioni religiose, ai dottori della Chiesa, ai santi martiri, alle sante vergini e martiri. Quest’ultimo altare è molto ammirato per le care e popolari figure delle sante rap presentate nel quadro. NeU’arcosolio della mensa è adagiata la soave figura di santa Ce cilia, copia della statua del Maderno che si tro va nelle Catacombe di san Callisto a Roma. DB_ 2,90 La preziosa reliquia del legno della Croce A metà della cappella, sulla volta, sono ripor tate le parole con cui la Chiesa esalta la me moria dei santi: «Il Signore custodisce le loro ossa; nessuno di loro perirà e i corpi dei santi furono sepolti in pace e i loro nomi vivranno in eterno». Ma il vero gioiello della cappella è l’altare maggiore, dove sono esposte le reliquie più in signi. L’invito espresso dalle parole in alto «Venite adoremus», indica la presenza delle re 57 liquie del legno della Santa Croce e del pre ziosissimo sangue di Gesù. Sono contenute in ricche teche posate sullo sfondo di alabastro trasparente della croce sull’altare, il quale è incorniciato da un arco tutto in mosaico do rato con la scritta: «Ecce lignum Crucis in quo salus mundi pependit: venite adoremus». Il fondo della parete è un prezioso mosaico di meandri di vite intrecciata, con bianche co lombe. La reliquia del santo legno misura cm 17 x 10, è disposta in forma di croce ed è tra le più in signi dopo quelle che si conservano a Roma. DB 2,91 II sepolcro del beato Don Rua Uscendo dalla cappelletta dell’apparizione si incontra subito a destra il sepolcro del primo successore di Don Bosco, il beato Michele Rua. Il monumento è opera pregevolissima di Galateri, che lo scolpì per la tomba di Valsalice, dove la salma di Don Rua fu collocata dopo la morte. Era nato a Torino il 9 giugno 1837. Ancora ragazzino, incontrò Don Bosco e lo se guì. Vestì l’abito talare ai Becchi, fu tra i pri mi Salesiani, e divenne Rettor Maggiore del la Congregazione alla morte di Don Bosco, nel 1888. Morì nel 1910, e fu dichiarato beato nel 1972. La sua salma venne trasportata da Val salice in questa cappella. Don Rua fu un fe dele continuatore dello spirito e delle opere di Don Bosco, e ne emulò la santità. DB 2,92 La statua di Maria Ausiliatrice Nel 1815 Pio VII, a ricordo della liberazione dalla prigionia di Napoleone, istituì la festa di Maria Ausiliatrice, fissandola al 24 maggio. Nell’almanacco del «Galantuomo» del 1860, Don Bosco per la prima volta scrive: «24 mag gio: Beata Vergine Ausiliatrice». L’anno suc cessivo scrive: «Ausiliatrice dei cristiani». Que sto titolo ricorreva sempre più insistente nel le sue parole. Nel santuario, si incominciò a celebrare solen nemente la festa di Maria Ausiliatrice dal gior no della consacrazione della chiesa (9.6.1868). Il fervore andò crescendo di anno in anno. 58 Questa bellissima statua solennemente porta ta in processione il 24 maggio, viene conser vata e venerata in una nicchia ai piedi della colonna dove fu posta la prima pietra del san tuario. DB 2,93 La Basilica illuminata per la festa di Maria Ausiliatrice Una volta alla festa di Maria Ausiliatrice il 24 maggio a Torino, la basilica veniva illumina ta con questa festa di colori. Era uno spetta colo indimenticabile. Anche oggi alla vigilia della festa, i pellegrini affluiscono a migliaia per partecipare alla veglia notturna. La basi lica rimane aperta per 48 ore consecutive; i confessionali sono assiepati. Le manifestazio ni terminano con la lunga e nutrita processio ne della sera. La statua di Maria passa tra una fitta folla plaudente, mentre, guidate da un impianto di amplificazione per tutto il percor so, preghiere e canti si sussegguono ininter rottamente. La pietà dei presenti si unisce al la pietà dei credenti di tutto il mondo che in vocano con grande fiducia la Madonna di Don Bosco. DB 2,94 Giovannino fa scuola di catechismo ai Becchi A fianco della galleria, dietro l’altar maggio re, vi è la sacrestia del santuario: ampia, fun zionale e molto ordinata. Lungo due pareti so no esposti grandi quadri, che riproducono gli episodi più significativi della vita di Don Bo sco nei primi tempi del suo apostolato tra i giovani. Nel quadro della lunetta sopra la porta del «la vabo», il pittore Crida ritrae Giovannino Bo sco in una di quelle riunioni domenicali che era solito tenere presso il rustico della sua ca setta ai Becchi, seduto sopra una cesta e at torniato da un gruppo di compagni che ascol tano attenti. Aveva incominciato questa spe cie di oratorio festivo quando non aveva an cora dieci anni. Ai compagni ripeteva la pre dica udita in chiesa, con la promessa di diver tirli poi con giochi di prestigio. Così fece an- che, qualche anno più tardi, alla cascina Moglia e a Moncucco. DB 2,95 Don Bosco ascolta le confessioni dei ragazzi dell’Oratorio Il quadro è la riproduzione di un disegno che 11 pittore Bartolomeo Bellisio, allievo dell’Oratorio, eseguì nel 1861. Don Bosco, invitato a posare con i suoi ragazzi, volle essere ritratto nella posizione che il quadro ci presenta. So no venti figure di giovani, raccolti e stretti at torno a Don Bosco; altre cinque fanno appe na capolino. Il ragazzo che parla all’orecchio di Don Bosco, nell’atteggiamento di chi si con fessa, è Paolo Albera, che sarà poi il suo se condo successore. In chiesa come sul prato, in carrozza come sul treno, per strada come in camera sua, Don Bo sco era sempre pronto e disponibile quando si trattava del ministero della confessione. In contrando allievi di un tempo, era abilissimo a introdurre, senza forzature, il discorso del la confessione. Ai suoi preti soleva dire: «Se dovete dire due parole in pubblico, una sia sulla confessione». DB 2,96 Don Bosco e mamma Margherita arrivano a Valdocco Attraverso fortunose vicende e dure prove, il 12 aprile 1846 Don Bosco era giunto alla mè ta: la povera cappella allestita nella tettoia Pinardi. Affittò due stanze nel resto della casa e prese stabile dimora in Valdocco, conducen do con sé la mamma (cf MB 2, 523). Scrisse nelle sue memorie: «Mia madre fece un grande sacrificio. In famiglia, sebbene non fosse agiata, era tuttavia padrona di tutto, amata da tutti e considerata come la regina dei piccoli e degli adulti». All’invito del figlio, aveva risposto: «Se tal cosa piace al Signore, 10 sono pronta a partire in sul momento». Riempì un canestro di biancheria e di pochi altri oggetti indispensabili; Don Bosco prese 11breviario, un piccolo messale, alcuni libri e partirono. Percorsero a piedi la strada dal colle dei Bec chi fino a Torino. La sera del 3 novembre 1846 giunsero nella regione dei prati di Valdocco. H quadro rappresenta il momento del loro ar rivo presso la casa Pinardi. Indicando il terreno che gli sta davanti, Don Bosco sembra che dica: «Ecco, mamma, il campo del nostro lavoro!». Mamma Margherita rimase a Valdocco dieci anni, lavorando come vera mamma disinteres sata non solo per 0 figlio, ma per tutti i ra gazzi dell’Oratorio..Morì il 25 novembre 1856 (cf MB 2, 527). DB 2,97 L ’incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli Don Bosco stesso narra il suo incontro con Bartolomeo Garelli, avvenuto nella chiesa di san Francesco d’Assisi l’8 dicembre 1841, fe sta dell’immacolata (cf MB 2, 70-76). Il ragazzo, capitato per caso in sacrestia, era stato malmenato dal sacrestano perché... non sapeva servire la Messa. Don Bosco lo fa chia mare, e avviene lo storico dialogo che segna l’inizio dell’opera del Santo. «Gli domandai con amorevolezza: — Hai già ascoltato la Messa? — No. — Vieni ad ascoltarla. Dopo ho da parlarti di un affare che ti farà piacere. Me lo promise». DB 2,98 Don Bosco e Bartolomeo Garelli (particolare) «Celebrata la Messa, lo condussi in un coret to, e con faccia allegra gli parlai: — Mio buon amico, come ti chiami? — Bartolomeo Garelli. — Di che paese sei? — Di Asti. — Che mestiere fai? — Il muratore. — È vivo tuo papà? — No, è morto. — E tua madre? — Mia madre è anche morta. — Quanti anni hai? 59 — Sedici. — Sai leggere e scrivere? — No. — Sai cantare? Il giovinetto, asciugandosi gli occhi, mi fissò quasi meravigliato e rispose: — No. — Sai fischiare? Bartolomeo si mise a ridere. Era ciò che vole vo. Cominciavamo ad essere amici». Il pittore fissa magistralmente in questa im magine 0 volto sorridente di Bartolomeo or mai conquistato. Il dialogo continua amiche volmente e sereno. — Se ti facessi il catechismo a parte, verresti ad ascoltarlo? — Molto volentieri! Comincia così la prima lezione: con un’Ave Maria e insegnandogli a fare il segno della cro ce. Da questo umilissimo episodio ebbe origi ne l’opera degli oratori, che ha reso caro il no me di Don Bosco ai ragazzi di tutto il mondo. DB 2,99 Don Bosco in mezzo ai ragazzi dell’Oratorio Nella parte centrale della sacrestia è colloca to il quadro in cui Don Bosco compare in mez zo ai giovani che lo circondano con affetto e 10 ascoltano con venerazione. Uno si china a baciargli la mano, un altro lo guarda sorri dente e quasi estatico. Un papà indica Don Bo sco al fìglioletto, che batte le mani in segno di gioia. 11 gruppo è ambientato a Valdocco e lo sfon do del quadro è formato dal primo edificio co struito da Don Bosco: le finestre in alto sono quelle delle camerette dove egli abitò per 35 anni, dal 1853 al 1888. A sinistra occhieggia no le finestre delle povere soffitte dove abita rono Don Rua, Don Cagliero e Don Francesia e all’estremità appare il campanile della chiesa di san Francesco di Sales. E questo il lembo di terra più glorioso dei primi tempi dell’Oratorio, conservato come una reliquia. 60 DB 2,100 San Giuseppe Cafasso Il Santo è rappresentato mentre parla a un gruppo di sacerdoti tra i quali è ritratto an che Don Bosco, che del Cafasso fu concittadi no e alunno. Il Cafasso nacque a Castelnuovo (Asti) nel 1811 e morì in Torino il 23 giugno 1860. Fu direttore del Convitto Ecclesiastico presso la chiesa di san Francesco di Assisi ed ebbe meritata fama di moralista insigne, alla cui scuola si formarono tanti zelanti sacerdoti. Fu definito la perla del clero piemontese. Egli prodigò tutti i tesori della sua carità an che verso gli umili, gli infelici e specialmente i carcerati. Fu dichiarato santo il 22 giugno 1947 da papa Pio XII, e da lui costituito pa trono di tutte le carceri d’Italia. Di Don Bosco fu maestro, confessore, consi gliere, benefattore. Giovannino lo aveva in contrato la prima volta nell’ottobre del 1827 a Morialdo, durante la festa della Maternità di Maria. Il chierico Cafasso, appoggiato alla porta della chiesa attendeva che venisse aper ta. Giovannino Bosco, lo avvicinò per salutarlo e parlargli. Tornato a casa corse dalla mam ma gridando: «L’ho visto, gli ho parlato! È proprio vero che è un santo». La madre rispo se: «Dunque cerca di imitarlo. Il cuore mi di ce che un giorno potrà giovarti molto». DB 2,101 San Giuseppe Benedetto Cottolengo Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra il 3.5.1786 e morì a Chieri il 29.4.1842. Fu ca nonizzato il 19 marzo 1934, pochi giorni pri ma di Don Bosco. Lo spunto per fondare quella che egli umil mente chiamò la «Piccola Casa della Divina Provvidenza» gli fu offerto dal caso pietosis simo di una donna rifiutata da tutti gli ospe dali. Divenne il santo della carità verso i po veri infermi che hanno bisogno di assistenza e di cure speciali, e richiedono il più grande spirito di sacrifìcio. Quando Don Bosco andò a visitare per la pri ma volta la «Piccola Casa», il Cottolengo strin- gendo tra le dita le maniche della sua veste gli disse: «Avete una veste di panno troppo sotti le. Procuratevene una di stoffa molto più for te perché i giovani possano attaccarvisi senza strapparla. Verrà il tempo in cui vi sarà strap pata da tanta gente!» (cf MB 2, 65-67). E fu profeta. Nel quadro dell’altare del Cottolengo, un vec chio poverello in ginocchio implora di essere accolto nella Piccola Casa. Dall’altra parte è seduta una povera madre in atteggiamento di supplica per sé e per la creatura che tiene in braccio. È opera del pittore Dalle Ceste. DB 2,102 II quadro di san Giuseppe Il quadro di san Giuseppe venne solennemen te inaugurato da Don Bosco il 2 aprile 1874, festa del patrocinio di san Giuseppe. Desiderando onorare in modo speciale san Giuseppe, che aveva scelto come compatrono dell’Oratorio, aveva suggerito lui stesso al pit tore Lorenzone la composizione simbolica del quadro. «San Giuseppe è in piedi sopra una nuvola, e sul braccio sinistro porta il Bambino Gesù, il quale tiene sulle ginocchia un panierino pie no di rose. Il Bambino piglia le rose e le dà a san Giuseppe, che le fa piovere sulla chiesa di Maria Ausiliatrice che si vede di sotto e ha per sfondo la collina di Superga. L’atteggia mento del Bambino è rivolto al padre putati vo e gli sorride con infinita dolcezza. A lato, ritta in piedi e in bella movenza, sta la sua san tissima Madre, con le mani giunte, tutta ra pita nella contemplazione di quel dolce scam bio di ineffabile amorevolezza tra il suo divin Figlio e il suo purissimo sposo» (cf MB 9,199). DB 2,103 II quadro di Don Bosco Il pittore Crida, di Biella, ha reso viva e po polare nel mondo la figura di Don Bosco, rap presentandolo in mezzo a un gruppo di ragazzi presso un trono su cui siede con soave maestà l’Ausiliatrice, che tiene ritto sulle ginocchia il Bambino Gesù. I ragazzi, invitati dal gesto del Santo, guardano la Madonna in devoto atteg giamento di preghiera. Il Bambino stende verso di loro il braccio in segno di protezione. Due chierichetti, in veste bianca e cotta, sono inginocchiati accanto al trono: uno prega col volto nascosto in un li bro aperto; l’altro ha gli occhi fìssi in Don Bo sco, che realizza così la sua missione di porta re i giovani a Cristo per mezzo di Maria. DB 2,104 II quadro di San Domenico Savio Il 25 gennaio 1985 si è inaugurato il nuovo quadro all’altare di Domenico Savio, opera di Caffaro Rore. Egli così ce lo presenta: «Ho vo luto raffigurare il Savio che, sulla porta del l’Oratorio di Don Bosco, attende tutti i gio vani a braccia aperte, col serafico sorriso, specchio di infinita bontà. Ho voluto che chiunque guardando la sua immagine lo veda in ascolto accogliente, amico di tutti e dona tore di intima pace, di serenità e fiducia in Dio». I personaggi che lo circondano sono posti in modo da mettere in risalto la figura del Santo amico dei giovani; e tutti, compresa la mam ma col suo bambino, sono attratti istintiva mente nel gesto di ammirazione e venerazione. II motto scritto sul gradino: «Santità è gioia», è l’ideale di Domenico Savio, mirabile fiore del grande campo di Don Bosco. DB 2,105 II sogno della zattera In fondo alla chiesa, dove anticamente c’era la cantoria, ai lati della bussola, ci sono due grandi quadri del prof. Barberis che illustra no due sogni di Don Bosco. Il quadro di destra rappresenta il sogno nar rato da Don Bosco a tutti i giovani la sera del 1° gennaio 1866. È intitolato: «Avvenire del la Società Salesiana e sua missione salvatrice in mezzo alla gioventù». Il dipinto presenta il momento più dramma tico di un viaggio fatto da Don Bosco su una zattera in compagnia di molti suoi giovani at traverso le acque di una spaventosa inonda zione, durante una improvvisa e furiosa tem 61 pesta. Molti giovani, trasgredendo i suoi or dini durante la pericolosa traversata, vollero raggiungere le rive delle colline circostanti: re starono vittime di mostri incontrati nelle ac que, oppure, giunti a terra, vennero divorati da orribili e schifosi animali o precipitati in una vasta fornace ardente. Gli altri continua rono con Don Bosco, e dopo un lungo viaggio in mezzo a mille pericoli videro apparire in cie lo un luminoso arcobaleno su cui erano scrit te a grandi caratteri le lettere: M.E.D.O.U.M., iniziali di una frase latina che Don Bosco interpretò: «Madre e Signora di tutto l’Universo, Maria». Finalmente la povera zattera toccò la riva in un luogo amenissimo, ricco di piante e fiori, e Don Bosco disse: «Ora siamo al sicuro, scen diamo». Attraverso una grande vigna con mol ti grappoli raggiunsero esultanti un grande tempio a guisa di castello. Nel mezzo, sopra una ricca base, s’innalzava una magnifica sta tua di Maria Ausiliatrice. Mentre i ragazzi ne stavano ammirando la bellezza celestiale, ad un tratto la statua parve animarsi e sorride re. si levò allora un grido: «La Madonna muo ve gli occhi!». Poco dopo risuonò un secondo grido: «La Madonna muove le mani!». La Ver gine, aprendo lentamente le braccia, con le mani solleva il manto in atto di protezione. E ancora un terzo grido: «La Madonna muove le labbra!». Seguì un silenzio profondo, e la Madonna parlò: «Se voi sarete per me figli de voti, io sarò per voi Madre amorosa». A que ste parole, tutti caddero in ginocchio cantan do la lode: «Lodate Maria, o lingue fedeli!». Poi il sogno svanì (cf MB 8, 275-281). DB 2,106 II sogno delle due colonne Durante tutta la sua vita, il Santo narrò un gran numero di questi «sogni», che noi oggi siamo più propensi a chiamare visioni. Il quadro di sinistra riproduce il sogno delle «due colonne» in mezzo al mare. Don Bosco lo narrò pubblicamente il 30 maggio 1862. So gnò di trovarsi sopra un piccolo scoglio in mez zo al mare e di vedere, sulla vasta superficie 62 delle acque, una moltitudine di navi grandi e piccole ordinate a battaglia. Il comandante su premo della nave più potente e maestosa era il sommo Pontefice. Egli, ripetutamente e gra vemente ferito in una lotta violentissima, ca de a muore. Un altro Papa subentra, supera ogni ostacolo e guida la sua nave vincitrice ad ancorarsi fra due robuste colonne, di diversa altezza e misura, che si levano dalle onde in mezzo aU’immensa distesa del mare. La pri ma porta in alto, nel cielo luminoso, una gran de ostia, e sotto il capitello la scritta: «Salus credentium». La seconda, più piccola, è coro nata dal simulacro dell’immacolata e reca la scritta: «Auxilium Christianorum». Commentando il sogno, Don Bosco precisa che le navi dei nemici della Chiesa sono le perse cuzioni. Raccomandava caldamente ai suoi giovani di pregare per il Papa e di coltivare la devozione verso il SS. Sacramento e verso Maria Immacolata, Ausiliatrice dei cristiani (cf MB 7, 170s). DB 2,107 II dipinto della cupola La missione della Congregazione Salesiana ispirata da Maria a Don Bosco è affrescata nel catino della grande cupola. La figura di Don Bosco ci appare in mezzo ai suoi figli, con le opere del suo apostolato nei paesi civili e tra i popoli selvaggi. Mons. G. Cagliero, Vicario Apostolico della Patagonia, gli presenta un gruppo di Patagoni, alcuni inginocchiati, uno, di statura gigantesca, in piedi con le braccia aperte in atteggiamento di stupore e di rico noscenza verso colui che mandò i missionari per la loro redenzione. Accanto sono due suo re, Figlie di Maria Ausiliatrice, che nelle scuo le, negli asili, negli ospedali compiono la loro missione fra le donne e le fanciulle della Pata gonia. Esse conducono a Don Bosco due giovanette indie redente, omaggio vivente al lo ro buon Padre. A destra delle suore, due missionari salesiani stanno catechizzando alcuni selvaggi: il primo ha guadagnato un giovane che lo abbraccia ri conoscente, mentre egli con la destra tesa, gli indica Don Bosco; il secondo con crocifìsso in mano, cerca di vincere la fiera diffidenza dei selvaggi, armati di lancia e di frecce, che re sistono ancora al suo invito. A sinistra di Don Bosco sono raffigurati i Salesiani, con le loro scuole nei paesi civili, per i giovani studenti e artigiani; dietro donne e uomini si affollano per far accogliere i loro figli nelle opere della Congregazione salesiana. DB 2,108 La cupola della basilica di Maria Ausiliatrice Don Bosco aveva tanto desiderato di vedere decorata, prima di morire, anche la cupola della chiesa della «sua» Madonna. Don Rua, suo primo successore, fece iniziare i lavori nel 1889. Il grandioso dipinto della cupola è opera del pittore Giuseppe Rollini, che da ragazzo era stato allievo del Santo. È uno splendido docu mento che testimonia la sua riconoscenza verso Don Bosco e la devozione alla Vergine santa. Nella parte superiore della volta è rappresen tato il trionfo e la gloria dell’Ausiliatrice in cie lo. Nella parte inferiore la missione della Chie sa, madre di santi, che nelPamore di Maria trova sempre un valido aiuto per la salvezza di popoli. Infine, sotto il trono della Madon na, al centro, è rappresentata la missione della Congregazione salesiana. È tutta una visione luminosa di paradiso. L’Ausiliatrice, regina del cielo, ... 63 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco VALDOCCO STORICO (Terza unità non sonorizzata) DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco P - COSTRUZIONI E REALIZZAZIONI DB 2,109 Casa Pinardi (disegno di Bartolomeo Bellisio) Don Bosco, invitato da Pancrazio Soave, si av viò per vedere il sito. «Giunto al luogo indica to, vidi una casupola di un solo piano colla sca la e col balcone di legno tarlato, attorniata da orti, prati e campi... Io volevo salire la scala, ma il Pinardi e il Pancrazio: — No, mi disse ro; il sito destinato a lei è qui dietro. Era una tettoia prolungata che da un lato ap poggiava al muro, dall’altro terminava all’al tezza di circa un metro da terra. — Non mi serve perché troppo bassa — dissi. — Io la farò aggiustare come vuole —, ripi gliò il Pinardi. —Inteso, patto concluso» (MO 165-169). 11contratto d’affitto fu stipulato per una som ma di L. 320 all’anno, e comprendeva anche la striscia di terreno adiacente per la ricrea zione dei ragazzi (MB 2, 436). «La domenica seguente, solennità di Pasqua, 12 aprile, si trasportarono colà tutti gli attrezzi di chiesa e di ricreazione e andammo a pren dere possesso della nuova località». Così Don Bosco nelle sue «Memorie». Intanto continuava ad abitare al Rifugio. In seguito aperse trattative col Soave, e il 5 giu 64 gno otteneva da lui tre camere attigue, al pia no superiore verso levante, in ragione di lire cinque ciascuna al mese; dal 1° luglio del 1846 al 1° gennaio del 1849. E poiché quella era purtroppo ancora una casa di disordine, si contentò di ritirare le chiavi delle tre stanze, dicendo che le avrebbe abitate quando potes se occupare tutta la casa. Una domenica, al principio di luglio del 1846, dopo l’estenuante fatica dell’Oratorio, ritira tosi nella sua cameretta al Rifugio, fu colto da svenimento e dovette mettersi a letto. Il male, come già abbiamo accennato, lo ridusse in ot to giorni agli estremi. I giovani dell’Oratorio trepidarono, piansero, pregarono. E Don Bo sco guarì. Dopo tre mesi di convalescenza passati in fa miglia, decise di tornare a Torino e di condur re con sé mamma Margherita. Era il 3 novem bre del 1846. Sulla fine del 1846 affittò l’intera casa Pinar di, e una sera piovosa del maggio 1847 vi rac colse il primo ragazzo: un orfano inzuppato di pioggia e affamato. Mamma Margherita lo riscaldò al fuoco, lo sfamò e gli preparò un tet tuccio in cucina. Poi, memore di altri ospiti di passaggio che se ne erano andati portando via lenzuola e coperte, fece al ragazzo un sermoncino che viene considerato la prima «buo nanotte» salesiana. Un mese dopo, nel giugno 1847, Don Bosco presentò a mamma Marghe rita un altro ragazzo: «Ecco un secondo figlio che Dio ci manda». L’aveva trovato piangen te appoggiato ad un vecchio olmo del corso San Massimo. Se ne aggiunsero poco dopo alcuni altri, raggiungendo il numero di sette. Erano giovanetti operai. Don Bosco desiderava acquistare la casa e il Pinardi aveva più volte esternato il desiderio di venderla; ma la somma che chiedeva era in gente. Il pittore Bellisio di Cherasco, allievo di Don Bosco, eseguì un disegno della casa Pinardi co m’era quando 0 Santo l’ebbe adattata per il suo numeroso Oratorio. Questo disegno e la descrizione particolareggiata, annessa agli atti notarili di locazione e di compera, ci fornisco no gli elementi necessari e sicuri per una ricostruzione esatta della casa Pinardi, prima sede dell’Oratorio, la culla dove si svolsero gli umili inizi della Società salesiana e le vicende liete e tristi dei primi tempi dell’Oratorio in Valdocco. DB 2,110 Contratto di affitto di casa Pinardi A Roma, nell’archivio storico salesiano, si con servano i contratti stipulati per l’affitto e l’ac quisto della casa Pinardi. Il primo contratto fu redatto in data 1.4.1846 e riguardava, come abbiamo detto, l’affitto di tre locali della casa, più una striscia di terre no antistante dove i ragazzi potessero gioca re. Il contratto durava tre anni, e l’affitto am montava a lire 300 da pagarsi «in buona mo neta». Ma presto Don Bosco prese in affitto anche altri locali della casa, e il costo salì a lire 710 annue (MB 2, 427.540). Nella pagina a destra della diapositiva vi è l’in ventario molto dettagliato della tettoia. Dei tre locali affittati all’inizio, il maggiore fu destinato a cappella, e gli altri a sacrestia e ripostiglio. H 10 aprile Don Bosco ottenne dalla Curia il permesso di benedire la cappella. In quell’anno e nel seguente fece spese «pazze». A parte la campana (lire 88,50) che gli fu do nata, acquistò le quattordici stazioni della Via Crucis (lire 12) e un minuscolo organetto (li re 35). Si procurò anche 24 banchi e le tendi ne rosse per le finestre. Però «nella cappella — dirà poi un testimone — d’inverno e nel tempo piovoso eravamo al lagati, mentre d’estate eravamo soffocati dal caldo eccessivo». DB 2,111 Scuola in cucina (dal film) I primi ragazzi accolti in Valdocco erano per lo più apprendisti o bisognosi di imparare un mestiere (più avanti vennero anche gli studen ti). Per loro Don Bosco deve allestire dormi tori, refettori, laboratori e aule scolastiche. Per intanto non ha niente. Egli stesso racconta: «Non potendosi avere lo cali per la scuola, per qualche tempo dovetti farla in cucina o in camera mia; ma gli allie vi, fior di monelli, o tutto guastavano o tutto mettevano sossopra. Si cominciarono alcune classi in sacrestia, in coro o nelle altre parti della chiesa; ma le voci, il canto e gli andiri vieni degli uni disturbavano quanto volevano fare gli altri...». Testimoni del tempo ricordano: «Era uno spet tacolo vedere alla sera le stanze illuminate, pie ne di ragazzi e di giovani. In piedi, dinanzi ai cartelloni e con un libro in mano, nei banchi intenti a scrivere, seduti per terra a scaraboc chiare sui quaderni le lettere grandi...» (MB 2, 347s). Si noti quell’«in piedi dinanzi ai cartelloni». I cartelloni erano la grande novità didattica del tempo. Colpisce il fatto che la cucina di mamma Margherita (a Valdocco dal 1846 al 1856, anno della sua morte), era anch’essa in vasa dai ragazzi e si trasformava in scuola. In quella cucina Don Bosco portava i visitatori dell’Oratorio, sovente pesonaggi illustri, no bili e ministri, e mamma Margherita conver sava con loro con molta semplicità. La diapositiva, tratta dal film «Don Bosco», presenta un’indovinata ricostruzione di quel l’ambiente accogliente e popolato, che oggi sa rebbe definito a «pluriuso». DB 2,112 Pianta degli edifici dell’Oratorio negli anni 1860 Come era l’Oratorio all’incirca una ventina d’anni dopo l’arrivo di Don Bosco a Valdoc65 co, prima che vi sorgesse la basilica di Maria Ausiliatrice? Gli edifici da lui fatti costruire 0 adattare si allineavano su un fronte rettili neo che comprendeva (da sinistra a destra di chi fosse entrato nei cortili della via della Giar diniera): — la chiesa di san Francesco di Sales (costrui ta nel 1852); — un fabbricato per l’ospizio, costruito nel 1856 sul posto della vecchia casa Pinardi; — un altro fabbricato in prolungamento del precedente, ma realizzato tre anni prima: que sti due fabbricati insieme vennero chiamati «Casa Don Bosco»; — l’edificio con le camerette di Don Bosco, rientrante nel cortile (fu costruito in due tem pi: la parte sinistra nel 1853; al’altra nel 1861); — infine la casa Filippi, acquistata nel 1860, e restaurata l’anno successivo. Le cinque planimetrie raffigurano (a sinistra e dal basso): i piani sotterranei, terreno e pri mo; a destra, il piano secondo e terzo (o sof fitta). Al piano sotterraneo erano sistemate le cuci ne, i refettori e le cantine. Al piano terreno la chiesa di san Francesco di Sales, l’ampio porticato per la ricreazione, la sartoria e la legatoria, la falegnameria e la ti pografìa e un altro porticato. Al primo piano della casa Don Bosco erano si tuati i vari uffici; in casa Pinardi, una came rata per gli studenti. Al secondo piano della casa di Don Bosco c’e rano due ambienti per scuola, le camerette per 1 Salesiani, l’infermeria e, a nord, il guarda roba di mamma Margherita. Nelle soffitte con abbaino avevano trovato posto i primi chieri ci, come Don Rua e Don Cagliero. Nell’edificio che si prolungava a sud c’erano la biblioteca e le camerette di Don Bosco; nel 1876, sopra un semplice portico, furono innal zati due piani e si ricavò la galleria in cui egli passeggiava e confessava i ragazzi. Così resta ancora oggi l’attuale facciata, con le viti volute dal Santo. In casa Filippi, chiuso un piccolo cortile in 66 terno quadrato, si ricavarono aule scolastiche e camerate e, al terzo piano, il grande salone di studio. DB 2,113 Costruzione sopra casa Pinardi Terminata la chiesa di san Francesco, Don Bo sco disse: «Dopo aver preparato una casa al Signore è necessario prepararne un’altra per i suoi figli». La diapositiva mostra, accanto al campanile della chiesa di san Francesco di Sales, l’edifi cio costruito da Don Bosco nel 1856 sul luogo dove un tempo sorgeva la casa Pinardi. Don Bosco decise — forse con qualche rim pianto — di demolire la casa Pinardi, compre sa la storica tettoia che aveva costituito il pri mo pezzo di «terra ferma» del suo Oratorio (MB 5,455). A quella demolizione anche i ra gazzi dettero una mano. Poi vennero i mura tori, fra i quali anche i fratelli Carlo e Giosuè Buzzetti, che erano stati tra i primi allievi di Don Bosco, e prolungarono l’edificio a tre pia ni costruito nel 1853 collegandolo al campa nile. Era necessario. Infatti i ragazzi, che nel 1856 erano 170, a fine anno salirono a 200:121 stu denti e 78 artigiani, come troviamo scritto nei registri. Questa prima casa fatta innalzare da Don Bo sco rispecchia nello stile le case di Torino di quel tempo, con i caratteristici abbaini che da vano aria e luce alle anguste stanzucce, rica vate sotto i tetti. Avevano anche i tipici balla toi che, consentendo l’accesso alle stanze dal l’esterno, permettevano di utilizzare al mas simo gli spazi interni. Gli edifici di Don Bosco avevano pure ampi porticati, dove i ragazzi potevano muoversi e giocare durante il cattivo tempo. Casa Pinar di sorgeva lungo la via della Giardiniera, che si perdeva in mezzo ai campi. DB 2,114 II primo laboratorio aperto da Don Bosco per i calzolai Nel 1853 Don Bosco cominciò a realizzare il suo progetto sui laboratori. Con l’aiuto di benefattori, comprò due de schetti e gli attrezzi necessari, e aprì un labo ratorio per calzolai in una stanzetta sotto il campanile (oggi sacrestia) della nuova cappella Pinardi. Egli stesso ne fu il primo maestro: in segnò a tirare lo spago e a maneggiare la lesi na per rattoppare le scarpe (cf MB 4, 659). Nel medesimo anno l’antica cucina divenne sartoria, che vide come primi maestri mam ma Margherita e Don Bosco, il quale aveva imparato a Castelnuovo, da Giovanni Rober to, a tagliare e cucire gli abiti. In seguito affi dò i sarti ad un certo Papino (cf ivi, 660). Nei primi mesi del 1854, quasi scherzando, aprì la legatoria sotto i portici della nuova co struzione a fianco della scala (oggi Libreria El le Di Ci). I primi lavori furono eseguiti con un robusto ago e una colla fatta con acqua e farina, mentre per rifilare i fogli Don Bosco usò, tra le risate generali, la mezzaluna che serviva a tritare le cipolle. Verso la fine del 1865 fu iniziato il quarto la boratorio: la falegnameria. Anche questo, co me i due precedenti, si affacciava su questo porticato (cf MB 5, 35). DB 2,115 II refettorio dei Salesiani Nell’anno scolastico successivo 1856-1857, le classi riunite di prima e di seconda ginnasiale furono affidate ad un insegnante di Foglizzo Canavese, che prestava la sua opera gratui tamente. Per accogliere altri giovani e dare ad essi un ricovero, in modo da toglierli dalla strada, nel lo stretto cortile a nord di casa Pinardi eresse una costruzione appoggiata sul muro di cinta e ricavò tre aule. Infatti non erano più suffi cienti né le stanze di casa Pinardi, né quelle della prima casa costruita nel 1853. Al principio dell’anno scolastico 1859-1860, Don Bosco ebbe la consolazione di avere nell’Oratorio tutte le cinque classi ginnasiali in terne, con più di 200 alunni. D nuovo locale, che a pian terreno venne a tro varsi nel luogo dov’era la storica tettoia, fu de stinato a refettorio per i Salesiani. In esso Don Bosco per molti anni sedette a mensa circon dato dai suoi figli; accolse amici carissimi, umili collaboratori, benefattori insigni, ospiti illustri come mons. Giuseppe Sarto, futuro Pio X, e il giovane sacerdote Achille Ratti, che di venne Pio XI, il papa che lo glorificò. DB 2,116 La scala che scende nello scantinato Nella costruzione della prima parte della ca sa fatta nel 1853, tra le mura delle fondamen ta si era lasciato il terrapieno. Don Bosco non avrebbe voluto costruire il piano sotterraneo, ma non avendo terreno per estendere il fab bricato, dovette adattarsi. Infatti nel secondo lotto di fabbricato tra la chiesa di san Fran cesco e la scala fece scavare subito i sotterra nei. La scala saliva ai piani superiori della ca sa, ma nella diapositiva vediamo la rampa ag giunta che scendeva nello scantinato dove Don Bosco aveva collocato il refettorio dei giovani studenti e la grande cucina. DB 2,117 La scala per cui scendevano gli artigiani Nell’autunno del 1858 sotto la chiesa di san Francesco, per tutta la lunghezza, si scavò un sotterraneo e si rifece il pavimento. L’ampio locale ottenuto fu destinato a refettorio degli artigiani. Vi si accedeva scendendo una scala accanto alla porta secondaria della chiesa, sot to il porticato. Il refettorio all’occorrenza ve niva adibito anche a teatro. Nella diapositiva vediamo la scala oggi mura ta, ma ancora esistente, e si intravede anche una gran parte del locale destinato allora a re fettorio. DB 2,118 L ’edifìcio del 1853 (prima costruzione) Nel 1852, sei anni dopo il suo arrivo a Valdocco, Don Bosco aveva già una trentina di ra gazzi interni. Ma continuavano a crescere di numero, e in casa Pinardi non ci stava un let to in più. Così, pochi giorni dopo l’inaugura zione della chiesa, Don Bosco avviò i lavori per costruire un grande edificio: quello che nella 67 diapositiva forma un angolo, a destra nella fo to, è il palazzo delle camerette, costruito in tre tempi diversi: una prima parte nel 1853; la parte non visibile nel 1861; la facciata ante riore nel 1876 (MB 4, 472). Il bel palazzo a tre piani si alzava rapidamen te, quando la notte del 1° dicembre 1852 tut to rovinò con fragore, facendo accorrere molta gente del vicinato. Don Bosco ebbe un momento di profondo tur bamento. Poi si riprese, rincuorò i giovani ter rorizzati ma tutti salvi, e riprese da capo il la voro con rinnovata fiducia. L’edificio fu con dotto a termine nell’ottobre del 1853. Vi trovarono ospitalità non solo i giovani che fino a quel tempo erano stati alloggiati nella casa Pinardi e nell’ex cappella-tettoia, ma de cine d’altri che ogni giorno chiedevano a Don Bosco di essere tolti dall’isolamento e dai pe ricoli della strada (cf MB 4,472.508.593.657). DB 2,119 Casa Filippi e palazzo Audisio La diapositiva mostra due edifici aggiunti agli altri dell’Oratorio negli anni 1860-1864. E primo a sinistra è la casa Filippi, acquista ta da Don Bosco il 16 luglio 1860 per 65.000 lire. Essa comprendeva solo due piani e ospi tava un setifìcio. Era lunga 35 metri, e due ali di fabbricato racchiudevano una piazzetta di pochi metri quadrati. Il commendator Cotta, banchiere, donò metà dell’importo, e Don Bosco potè solo disporre del piano superiore, che destinò a dormitorio. Per unire le due case distanti circa sette metri fu costruito un ponte di assi e travi. Il nuovo edifìcio fu chiamato «Sicilia» e il passaggio lo «stretto» (si era ai tempi della spedizione di Garibaldi). Partiti gli inquilini, su tutta la lun ghezza della casa fu costruito un terzo piano e si ricavò la grande sala-studio per 500 stu denti. Nei giorni di festa la sala si trasforma va in teatro, e ciò fino al 1894. In questa sala fu introdotto lord Palmerston, ministro inglese che, meravigliato della disci plina e del silenzio che vi regnava, ne chiese il segreto a Don Bosco. Gli rispose: «La ragio 68 ne, la religione e l’amorevolezza». «Avete ra gione: o religione o bastone! Voglio raccontar lo a Londra!», concluse il ministro. L’edifìcio a destra fu costruito da Don Bosco nel 1863-1864. Al piano terra e al primo pia no ospitava le scuole; al secondo piano, nuovi dormitori. Un salesiano coadiutore, che per anni tenne al pian terreno i magazzini dell’Oratorio, diede il suo nome all’edifìcio che, an cora oggi, è chiamato «Palazzo Audisio». DB 2,120 Veduta generale delle costruzioni ai lati delle camerette Così si presentò per molti anni, fino al 1914, la veduta d’insieme delle due costruzioni ai lati delle camerette. Fa stupire come in pochi an ni Don Bosco, senza denari, abbia potuto rea lizzare opere così imponenti per i suoi ragazzi. A sinistra, lungo la via Giardiniera, si esten deva la tettoia Filippi, divenuta proprietà di Don Bosco nella primavera del 1862. Egli vi costruì sopra un edifìcio che misurava 60 me tri di lunghezza, 7,20 di larghezza e 12 di al tezza. Vi trovarono posto una nuova portine ria, una sala per ricevere i parenti degli alun ni, il deposito di carta e la tipografia. La par te superiore fu destinata a dormitori (MB 7, 114). Nel suo insieme risultò una casa molto povera, ma vi regnava un caldo clima di fa miglia. DB 2,121 Casa Pinardi - Camerette Casa Filippi Nella precedente diapositiva abbiamo visto frontalmente il lato sud delle costruzioni ese guite da Don Bosco. Questa antica fotografìa del 1910 circa, ripresa forse dalla cupola del Santuario di Maria Ausiliatrice, presenta le prime costruzioni realizzate da Don Bosco sul la vecchia «casa Pinardi», il prolungamento del fabbricato delle «camerette» e la casa Filippi (dopo gli adattamenti apportati nel 1863). Sul terreno coltivato a orto, che era a nord del la vecchia casa Filippi, vediamo un edifìcio che Don Rua fece costruire nel 1909 per gli stu denti: al secondo piano vi erano le aule, e al terzo piano la grande sala di studio per 400 studenti, che doveva sostituire quella di casa Filippi, ormai tutta puntellata. Più a nord, nell’orto, vi erano magazzini e depositi vari. La modestissima casa Pinardi rappresentò un traguardo atteso ma provvisorio per Don Bo sco. In seguito vennero altre modeste costru zioni che costituirono il nucleo storico di Valdocco. DB 2,122 L ’ingresso all’Oratorio La diapositiva presenta il colpo d’occhio riser vato al visitatore che fosse entrato in Valdocco dalla portineria accanto alla Basilica. Questo scenario rimase pressoché identico dal 1868, quando la Basilica fu inaugurata, fino al 1910, quando venne demolito l’edificio (vi sibile sulla destra) posto in diagonale, che se parava il cortile detto degli artigiani da quel lo (completamente nascosto) degli studenti. Più sul fondo è visibile la continuazione del palazzo delle «camerette». Così si presentava l’ingresso dell’Oratorio, ed era il percorso obbligato per raggiungere la camerette di Don Bosco. Questo passaggio sul limite del cortile dei gio vani artigiani fu testimone di tante vicende del l’Oratorio, tra cui l’arrivo di visitatori illustri, e soprattutto le partenze di Don Bosco e le fe stose accoglienze al suo ritorno. I ragazzi si stringevano attorno a un Don Bosco di solito stanco, ma felice di ritrovarsi tra i suoi ami ci. Non mancava mai qualche discorsetto di circostanza e, da parte di Don Bosco, le pri me notizie sul viaggio, con l’appuntamento a più tardi — magari alla buonanotte — per tan te informazioni curiose e «di famiglia». DB 2,123 II cortile degli artigiani Tra la costruzione lungo la via Giardiniera de stinata a tipografia e a camerate, e quella lun go la via Cottolengo destinata a magazzini, che terminava con la nuova portineria, e il lato est della Basilica, si trovava il cortile degli arti giani. I loro giochi erano i più movimentati: talora vi partecipava Don Bosco stesso, vin cendo i giovani nella corsa. Stefano Castagno, un ragazzo di quel tempo, testimoniava: «Don Bosco era sempre il pri mo nei giochi, l’anima delle ricreazioni. Non so come facesse, ma si trovava in ogni angolo del cortile, in mezzo ad ogni gruppo di giova ni. Con la persona e con l’occhio ci seguiva tutti. Noi eravamo scarmigliati, talvolta sudi ci, importuni, capricciosi. Ed egli provava gu sto a stare con i più miseri. Per i più piccoli aveva un affetto da mamma. Spesso si bistic ciava, ci si pestava. E lui a dividerci. Alzava la mano come per percuoterci, ma non pic chiava mai, ci tirava via a forza prendendoci per le braccia». DB 2,124 II cortile degli studenti Cresciuto il numero degli studenti, Don Bo sco destinò a loro cortile lo spazio davanti al la casa Pinardi, alle sue camere e la nuova co struzione lungo la via Giardiniera. Questa era ombreggiata da un filare di gelsi, tagliava in diagonale l’Opera Salesiana di allora e servi va da confine alla proprietà di Don Bosco. Sul lato dell’Oratorio la via era fiancheggiata da un muricciolo, su cui si apriva il portone d’ingresso con campanella, e in continuità vi era una piccola tettoia. Nel 1862 Don Bosco, sempre affamato di spa zio, sostituì alla modesta tettoia un solido edi ficio di due piani lungo 60 metri, che vedia mo a sinistra nella foto. Per mezzo secolo que sto edifìcio si prestò docilmente alle utilizza zioni più varie, finché tra il 1912 e il 1914 ven ne demolito. Ma allora, non appena Don Bo sco ebbe acquistato il vicino terreno per co struire la Basilica, l’edifìcio servì da separa zione fra il cortile destinato agli studenti (quel lo della diapositiva) e il cortile degli artigiani. In quel cortile Don Bosco giocava con i suoi ragazzi. Finché potè, fu l’anima delle ricreazioni. I suoi exallievi così lo ricordano: «L’aureola di bon tà che gli splendeva in fronte esercitava un fa scino irresistibile sui giovani. Bastava che egli 69 comparisse in cortile, perché tosto al primo ve derlo fosse un correre attorno per baciargli la mano e stare vicino a lui, ed egli a parlare, a ridere, a scherzare, volgendo qua e là lo sguardo benigno e accostando l’orecchio a chi mostrasse di aver segreti da confidargli. I gio vani, insomma, lo amavano e godevano di at testargli il loro amore». DB 2,125 II cortile dell’Oratorio Festivo L’Oratorio fu l’inizio e il cuore di tutta l’ope ra di Don Bosco, e rimane ancora oggi la me ravigliosa istituzione popolare a cui è partico larmente legato il nome del grande Apostolo della gioventù. L’Oratorio esterno crebbe e prosperò costan temente accanto all’ospizio interno popolato di giovanetti studenti e artigiani. Le difficoltà dovute alla ristrettezza dei locali e dei cortili per la ricreazione da principio era no facilmente superate con una fraterna inte sa tra interni ed esterni, che formavano allo ra quasi una famiglia sola. Don Bosco conti nuò ad occuparsi di loro soprattutto collocan doli a lavoro presso buoni padroni. Ricorda Giuseppe Buzzetti: «Conobbi centinaia di ra gazzi che venivano all’Oratorìo privi di istru zione e di sentimenti religiosi, e che cambia rono condotta in brevissimo tempo. Si affezio navano talmente al nostro Oratorio, che non se ne staccavano più». Aumentando man mano gli interni, gli oratoriani durante gli anni ’60 si videro a poco a poco emarginati, e diminuirono di numero. Ma una volta costruita la Basilica, la situazio ne migliorò e Don Bosco affidò l’Oratorio a Don Giulio Barberis. Gli oratoriani poterono utilizzare come loro chiesa quella di san Fran cesco di Sales, e per i giochi un’ampia fascia di terreno lungo la nuova Basilica. Nel 1880 Don Bosco acquistò per 12.000 lire un’altra striscia di terreno, su cui sorgeva an che una casetta. Era la «casa Nelva», piccoli na, ma divenne la direzione dell’Oratorio Fe stivo e servì a lungo ed egregiamente allo scopo. 70 La diapositiva presenta a destra la sacrestia della Basilica, sul fondo la facciata della chie sa di san Francesco di Sales, a sinistra la nuo va tipografia e, al centro, lo spazio piuttosto angusto per i giochi degli oratoriani (foto po steriore al 1884). DB 2,126 Don Bosco portato in trionfo dai giovani (antica illustrazione) Quanto i ragazzi dell’Oratorio Festivo voles sero bene a Don Bosco lo dimostra un parti colare che egli stesso ha raccontato nelle «Me morie per l’Oratorio». D brano descrive il mo mento dell’addio dei ragazzi alla sera della do menica, ai tempi eroici del primo Oratorio (MO 178). «Una scena singolare — ha scritto Don Bosco — era la partenza dall’Oratorio. Usciti di chie sa, ciascuno dava mille volte la buona sera sen za punto staccarsi dai compagni. Io avevo un bel dire: “Andate a casa perché si fa notte e i parenti vi attendono” . Era inutile. Bisogna va che li lasciassi radunare, mentre sei dei più robusti facevano con le braccia una specie di sedia sopra cui, come sopra un trono, era gio coforza che io mi ponessi a sedere. Messisi quindi in ordine in più file, portando sopra quel palco di braccia Don Bosco —il quale così sollevato superava i più alti di statura — pro cedevano cantando, ridendo e schiamazzan do fino al circolo detto comunemente il Rondò. Colà si cantavano alcune lodi; fattosi poi pro fondo silenzio, io potevo allora augurare a tutti buona sera e buona settimana. Tutti, con quanta voce avevano, rispondevano: “Buona sera!” . In quel momento io venivo deposto dal mio trono. Ognuno andava in seno della pro pria famiglia, mentre alcuni dei più grandi celli mi accompagnavano fino a casa mezzo morto per la stanchezza». Fin qui Don Bosco. La diapositiva mostra elo quentemente la scena in una delle prime illu strazioni dell’Oratorio. Affermava Don Lui gi Nai, uno dei primi Salesiani: «Don Bosco per noi era tutto». DB 2,127 Giovani apprendisti in officina I primi ragazzi di cui Don Bosco si occupò era no giovani operai o apprendisti, o semplicemente immigrati delle campagne in cerca di lavoro. Procurava loro un padrone. E appe na potè li ospitò anche nell’Oratorìo: chi si fer mava qualche anno, chi qualche mese, chi tut ta la vita. Non li affidava al primo padrone che capitasse, ma si informava sulla sua one stà e pretendeva per i suoi protetti giuste con dizioni di lavoro e di salario. Occorrendo, to glieva i suoi giovani da un posto per affidarli a un padrone più onesto e fidato. Non solo, ma si recava a trovare i ragazzi fin sul lavoro. «Andavo a visitarli — ha raccon tato lui stesso — in mezzo ai loro lavori nelle officine, nei cantieri. Tale cosa produceva grande gioia ai miei giovanetti, che vedevano un amico prendersi cura di loro; e faceva pia cere anche ai padroni che prendevano volen tieri alle loro dipendenze giovani assistiti lun go la settimana e nei giorni festivi». Ben presto questi padroni impararono a co noscere Don Bosco e a fidarsi dei suoi ragaz zi: il fatto che fossero presentati da lui era una garanzia. E si rivolgevano a lui quando ave vano bisogno di un apprendista, sapendo per esperienza che i suoi raccomandati sarebbero risultati obbedienti, onesti e laboriosi. DB 2,128 Contratto di lavoro Nell’archivio della Congregazione Salesiana si conservano alcuni documenti rari: un contrat to di «apprendizzaggio» in carta semplice, da tato novembre 1851; un secondo contratto, pu re di «apprendizzaggio», in carta bollata da centesimi 40, con data 8 febbraio 1852; e altri datati intorno al 1855, già ben strutturati. Tut ti sono firmati dal datore di lavoro, dall’ap prendista e da Don Bosco. Nella diapositiva leggiamo la «Convenzione tra il Signor Giuseppe Bertolino, mastro minusiere (falegname), e il giovane Giuseppe Odasso... con intervento del rev. sacerdote Giovan ni Bosco...». Don Bosco, che sa a quali pericoli gli appren disti vanno incontro, per mezzo del contratto li difende. Ci sono padroni che utilizzano i gar zoni come servitori e sguatteri, e nel contrat to li obbliga a impiegarli solo nel loro mestie re. Si preoccupa della salute, del riposo festi vo, delle ferie annuali. Esige uno stipendio progressivo. Più ancora, esige che il datore di lavoro si comporti non da padrone, ma da pa dre, intervenendo «relativamente alla condotta morale e civile (dell’apprendista) con quegli opportuni salutari avvisi che darebbe un buon padre al proprio figlio; correggendolo amore volmente in caso di qualche suo mancamen to, sempre però con parole semplici di ammo nizione, e mai con atto alcuno di maltratta mento». I due contratti firmati da Don Bosco riman gono tra i più antichi conservati a Torino, e sono la prova più autentica del suo amore ver so i giovani. Don Bosco, inoltre, nel 1850 dà inizio tra i ra gazzi del suo Oratorio ad una «Società di mu tuo soccorso» di struttura semplicissima: una cassa comune, piccole quote individuali, lar gizioni libere di donatori, al fine di provvede re i sussidi quotidiani al piccolo operaio disoc cupato o infermo. Sappiamo che per qualche anno questa società fu fiorente e crebbe di numero. DB 2,129 I laboratori dei falegnami e dei fabbri Don Bosco voleva che i suoi ragazzi, prima di arrivare alle botteghe e fabbrichette di Tori no, imparassero un mestiere per bene e fosse ro così in grado di farsi valere e rispettare dai datori di lavoro. Nel 1853 aveva iniziato la calzoleria e, nello stesso anno, la sartoria. Nel 1856 aperse il la boratorio dei falegnami al piano terra, sotto le camerette, oggi negozio di oggetti religiosi. Lo popolò con i ragazzi prima messi a garzo ne in città e fu ben lieto di poterli preparare all’interno delle mura sicure del suo Oratorio. II laboratorio che più desiderava era la tipo 71 grafia, ma per questo dovette aspettare fino al 1861. Nel 1862 aprì il suo sesto laboratorio: l’offici na dei fabbri-ferrai (da cui sarebbero poi de rivati i laboratori di meccanica) nell’aula del la scuola diurna per esterni, lungo la via Giar diniera. Capo d’arte dell’officina divenne pre sto un certo G. B. Garando, bravo cristiano all’antica e vero artista, che preparava bene i ragazzi, e non cessava di dire: «Benedetto il giorno in cui Don Bosco mi accettò in casa sua». Purtroppo morì dopo soli quattro anni, ma ebbe tempo di preparare con i suoi ragaz zi tutte le ferramenta della basilica di Maria Ausiliatrice (MB 7, 116). In quell’anno 1862 gli artigiani interni dell’Oratorio erano circa 300, sempre troppo pochi per i sogni di Don Bosco. La foto dei falegna mi e dei meccanici, le prime tramandateci che si vedono nella diapositiva, sono molto poste riori. DB 2,130 Attestati di riconoscenza dei giovani a Don Bosco Alla simpatia e all’affetto di Don Bosco i ra gazzi rispondevano con viva gratitudine. La diapositiva presenta tre curiosi attestati di riconoscenza scritti da tre giovani al loro santo Educatore in occasione della sua festa onoma stica. Uno è a forma di cuore; un secondo è una cedola bancaria che autorizza Don Bosco a riscuotere dal firmatario «6 mesi di buona condotta»; la terza è una fattura libraria che elenca buoni propositi invece di libri. Don Bosco gradiva molto queste manifestazio ni di affetto, perché sosteneva che i ragazzi de vono accorgersi di essere amati, e lettere co me queste erano il segno che essi lo sentivano e gli erano riconoscenti. DB 2,131 La banda dell’Oratorio «Un oratorio senza musica è un corpo senza anima». Queste parole di Don Bosco dicono molto circa le sue idee sull’argomento. È un fatto che l’allegria dei ragazzi passa spesso e volentieri attraverso la musica, e Don Bosco 72 lo sapeva bene. Voleva che i suoi ragazzi suo nassero, e mise nelle loro mani gli strumenti, dai più facili ai più difficili. D’autunno li portava in gita per le colline del Monferrato, e la comitiva comprendeva sem pre una piccola banda. Mentre passavano per i paesi, tutta la gente usciva sulle porte a ve dere, sentire e applaudire. E con la musica Don Bosco otteneva lo scopo di riempire il tempo libero. «I ragazzi — di ceva —bisogna tenerli occupati. Oltre la scuo la o il mestiere è necessario impegnarli a pren dere parte alla musica... La loro mente sarà in continuo lavoro. Se non li occupiamo noi, si occupano da sé...». Lasciando l’internato, gli exallievi potevano continuare a suonare nella banda dell’Oratorio festivo, e per questa banda Don Bosco com pilò un regolamento. Raccomandava di pre starsi volentieri per le occasioni religiose, ma di non andare in giro nei teatri, e soprattutto di aiutarsi fraternamente a vicenda. Don Bosco voleva che i ragazzi suonassero be ne. Ma se per caso le esecuzioni non erano pro prio da conservatorio, allora ricordava ai su percrìtici: «La musica dei ragazzi si ascolta col cuore!». La diapositiva presenta la banda dell’Oratorio nell’anno 1861 (?). Accanto a Don Bosco figurano, tra gli altri, il chierico Cagliero (poi eccellente compositore), Giuseppe Buzzetti, che fu a lungo direttore della banda, e il futu ro maestro Giuseppe Dogliani. DB 2,132 II teatro, mezzo di educazione Un giorno capitò all’Oratorio Giuseppe Brosio, un giovane che fin dal 1841 aveva comin ciato ad aiutare Don Bosco. Vestiva sempre la divisa militare, e quindi i giovani lo chiamavano il «bersagliere». Con il consenso di Don Bosco, egli formò una squadra di ginnastica con i giovani più viva ci. Si ottennero dal governo duecento vecchi fucili, con un bastone al posto della canna. Il «bersagliere» portò la sua tromba, e dopo qualche tempo l’Oratorio aveva un piccolo reggimento di soldatini comandati da lui. In tutte le solennità la «milizia oratoriana» pre stava servizio per il buon ordine delle funzio ni in chiesa e nell’interno della casa, e talora eseguiva dei saggi e delle evoluzioni così ben fatte che servivano di lieto spettacolo e riscuo tevano grandi applausi. Un altro giovane molto in gamba fu Carlo Tomatis, che dimorò all’Oratorio fino al 1861. Con l’approvazione e il consiglio di Don Bo sco, incominciò a radunare i giovani in una stanza di casa Pinardi per divertirli con pia cevoli scherzi improvvisati. Il marchese Fassati regalò un giorno una bel la compagnia di burattini che il Tomatis, con l’aiuto di un certo Chiapperò, faceva ballare e recitare con burle e motti piacevolissimi (1849-1851). Nell’autunno del 1858, sotto la chiesa di san Francesco di Sales, il sotterraneo che serviva da refettorio servì anche da teatro. Il palcoscenico si preparava volta per volta, e su di esso recitarono brillantemente le loro parti Do menico Bongiovanni, un vero Gianduja, Gastini, Tomatis, Cora e molti altri. Negli anni ’60 si recitò nella grande sala di studio in ca sa Filippi; verso la fine del secolo in un teatro vero. A Don Bosco stava a cuore il teatrino perché, come scrisse nel suo «Regolamento», vedeva in esso non solo un mezzo di divertimento, ma prima ancora un modo piacevole per istruire ed educare i giovani. Scrisse egli stesso alcu ne opere teatrali, e incoraggiò altri salesiani a fare altrettanto, perfino con opere in lati no. Mediante il teatro fece conoscere e capire il «sistema metrico decimale», introdotto al lora; e a questi spettacoli invitava anche per sonaggi illustri di Torino. La diapositiva presenta tre libretti di teatro scritti da Don Bosco, e un programma teatrale in suo onore che ha per protagonista uno dei suoi ragazzi più affezionati: Carlo Gastini, un vero talento teatrale. Da exallievo tornava so vente all’Oratorio per dire a Don Bosco la sua gratitudine nel modo che gli era più congenia le, cioè recitando. Si definiva ed era il «mene strello di Don Bosco». DB 2,133 Scuola di canto Don Bosco amò la musica fin da ragazzo. Quando incominciò gli studi a Castelnuovo, approfittando di occasioni favorevoli imparò il canto e a suonare il pianoforte, l’organo e anche il violino. Intuì e sperimentò il valore educativo della musica, e volle che fosse colti vata in ogni casa salesiana. Il primo maestro di musica alI’Oratorio fu lui stesso, che com pose anche canzoncine e lodi sacre di stile po polare. Faceva scuola di canto a molti ragazzi insie me; questa scuola collettiva e i cori giovanili furono allora una grande novità. Molti sacer doti chiedevano che questi ragazzi andassero a cantare nelle loro chiese in occasione di fe ste. Il loro contegno e la loro bravura edifica vano i fedeli, perché Don Bosco li aveva abi tuati a considerare il canto sacro come auten tica preghiera. AlPOratorio la musica faceva parte di quella letizia di cui scriveva a un suo amico il chieri co Domenico Ruffino: «Qui sono tutti allegri, ma di una allegria veramente celeste». La Provvidenza regalò a Don Bosco uomini musicalmente assai dotati, come Giovanni Cagliero e Giuseppe Dogliani. Il Cagliero, futu ro cardinale, a 22 anni aveva già composto set te romanze, divenute molto popolari. Nel 1868', per la consacrazione della chiesa di Ma ria Ausiliatrice, scrisse una grandiosa Messa a quattro voci, detta di Santa Cecilia, che fu un vero successo. Nel 1875, partendo per le missioni d’America, lasciava nel maestro Do gliani un discepolo degno di sostituirlo nella direzione della scuola di canto e di banda. Dogliani si rese insuperabile nell’arte di istrui re grandi cori, e la sua banda non di rado ri portò vittoria in concorso con le bande più ce lebrate. Anche oggi una schiera di valenti salesiani con tinua la gloriosa tradizione del bel canto e della musica iniziata da Don Bosco. 73 DB 2,134 Lettere di Don Bosco ai suoi ragazzi Anche da lontano, Don Bosco viveva con il pensiero accanto ai suoi ragazzi non solo di To rino, ma di ogni casa salesiana. Li pensava, li sognava, e scriveva loro lettere che sono un capolavoro di patema bontà. La diapositiva ci mostra la prima facciata di tre lettere, indirizzate ai ragazzi di Valdocco, di Mirabello e di Lanzo. Dal santuario di Oropa, il 16 agosto 1863 scri ve ai «carissimi figlioli studenti di Valdocco». Descrive le meraviglie del santuario, dei monti che lo circondano, dei pellegrini che l’affolla no. Ad un tratto dice: «Ma in mezzo a tanta gente il mio cuore provava un vivo rincresci mento. Perché? Non vedeva i miei cari gio vani». E il 30 dicembre 1863: «Amati figliuoli del pic colo seminario di Mirabello. La grazia di N.S.G.C. sia sempre con voi!». Poi afferma che, non potendo tornare a fare loro visita, si è recato più volte tra loro «a vederli con lo spi rito». Li ha osservati ad uno ad uno, e ora dà opportuni consigli: perché i buoni siano inco raggiati a perseverare, i tiepidi procurino di accendersi e riscaldarsi di amor di Dio e chi ne ha bisogno si rialzi dallo stato in cui si trova. Il 3 gennaio 1876 scrive: «Ai miei cari amici del collegio di Lanzo. Lasciate che ve lo dica, e niuno si offenda, voi siete tutti ladri; lo dico e lo ripeto, voi mi avete preso tutto. Quando 10 fui a Lanzo, mi avete incantato con la vo stra benevolenza ed amorevolezza; mi avete le gate le facoltà della mente colla vostra pietà; mi rimaneva ancora questo povero cuore, di cui già mi avete rubati gli effetti per intiero. Ora la vostra lettera segnata da 200 mani ami che e carissime hanno preso possesso di tutto questo cuore; ivi nulla più è rimasto, se non un vivo desiderio di amarvi nel Signore, di far vi del bene, salvare l’anima di tutti». DB 2,135 Foto di Don Bosco tra i giovani In questa foto del 1861 c’è tutto Don Bosco! 11buon padre è attorniato da un gruppo di gio 74 vani dell’Oratorio di Valdocco: i più fortuna ti, che rappresentano migliaia e migliaia di ra gazzi di tutto il mondo. Si stringono attorno a lui, gli fanno corona, vanno a gara per essergli più vicino. È il documento più bello, più reale della mis sione di Don Bosco: «Essere con i giovani, vi vere con i giovani e vivere per i giovani». DB 2,136 Verbale di fondazione della Congregazione Salesiana e taccuino di Don Rua Il 26 gennaio 1854, in una giornata di freddo rigido, Don Bosco raduna nella sua stanza quattro giovanotti, i migliori del suo Orato rio. Serio e raccolto, dice loro come leggendo il futuro: «La Madonna vuole che iniziamo una società. Avremo oratori vasti e spaziosi, chie se, case, scuole, laboratori... Ho pensato a lun go che nome darle. Ho deciso che ci chiamaremo SALESIANI». Per non dimenticare quel giorno, il chierico Rua su un piccolo taccuino scrisse: «La sera del 26 gennaio 1854 ci radunammo nella stan za di Don Bosco: esso Don Bosco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero e Rua; e ci venne proposto di fare con l’aiuto del Signore e di San Fran cesco di Sales una prova di esercizio pratico della carità verso il prossimo, per venire poi ad una promessa; e quindi, se sarà possibile e conveniente, di farne un voto al Signore. Da tale sera fu posto il nome di Salesiani a coloro che si proposero e si proporranno tale eserci zio». Quello storico documento è un piccolo taccui no di mm 55 x 91, con copertina di seta rossa, che si vede a sinistra. Lo scritto occupa solo la prima facciata. Quel primo seme impiegò più di cinque anni a maturare. Don Bosco do vette risolvere molti e gravi problemi per rea lizzare la sua opera. Lo sviluppo dell’Oratorio richiedeva sempre più persone che si dedicassero ai ragazzi, a tempo pieno. Le prestazioni occasionali di amici e volenterosi, pur preziosissime, non ba stavano più. Una congregazione sarebbe sta- ta la soluzione di ogni problema. Ma quelli erano gli anni in cui in Italia il governo sop primeva le congregazioni... Eppure Don Bo sco osò andare contro corrente, e la spuntò. Ne parlò con il Papa, ne stese quasi in segreto le prime regole e il 19 dicembre 1859, ai 19 futuri salesiani riuniti nella sua camera parlò di «costituire formalmente una Congregazio ne Religiosa», dei «voti di povertà, castità e ob bedienza». Concluse dicendo: «Vi lascio una settimana di tempo per pensarci». All’uscita ci fu un silenzio imbarazzato. Alcuni borbottavano che aiutare Don Bosco era un conto, ma «diventare frati» era un’altra cosa. Fu allora che Cagliero uscì nella storica fra se: «Frate o non frate, io rimango con Don Bosco!». Nella parte destra della foto c’è un quaderno di 24 p., di cm 14,7x20,3, senza copertina, che contiene i verbali delle riunioni dal 1859 al 1869. Le prime 3 pagine contengono il ver bale del 18.12.1859, scritte dal eh. Ghivarel10 e firmato da Don Bosco e da Don Alasonatti. 11 documento riportato apre «Nel nome di no stro Signore Gesù Cristo», elenca i nomi dei presenti alla riunione «nella camera del sacer dote Bosco Giovanni, alle ore nove pomeridia ne», e spiega: «Piacque pertanto ai medesimi Congregati di erigersi in Società o Congrega zione, che ...si proponesse di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime, specialmente delle più bisognose d’istruzione e di educazione... Pregarono unanimi Lui (Don Bosco), iniziatore e promotore, a gradire la ca rica di Superiore Maggiore...», e assegnaro no le altre cariche. L’avventura salesiana era cominciata (MB 6, 335). DB 2,137 Diciotto firme dei primi Salesiani Si legge nella cronaca di Don Ruffino: «L’11 giugno abbiamo sottoscritto le regole della Congregazione di S. Francesco di Sales per mandarle all’Arcivescovo Fransoni; e facem mo tra noi promessa solenne che se per mala ventura a cagion della tristezza dei tempi non si potessero fare i voti, ognuno in qualunque luogo si troverà, fossero anche tutti i nostri compagni dispersi, non esistessero più che due soli, non ce ne fosse più che un solo, costui si sforzerà di promuovere questa Pia Società, e di osservarne sempre, per quanto sarà possi bile, le regole». Ecco il prezioso documento, con le loro firme. DB 2,138 Quadro di san Francesco di Sales Ecco un quadro di san Francesco dipinto dal Boumont, regalato a Don Bosco da qualche be nefattore. Egli lo fece collocare sopra uno dei tre altari di marmo che si trovavano nel coretto fra le due sacrestie, dietro la chiesa di M.A. Il quadro ora si trova nel museo Ma riano sotto la basilica. Don Bosco aveva scelto san Francesco di Sa les come patrono del suo primo oratorio. A lui dedicò la prima povera cappella, inau gurata l’8 dicembre del 1844 al Rifugio. Quan do il 12 aprile 1846 prese possesso della tet toia Pinardi, benedisse il povero edificio de dicandolo a san Francesco di Sales, e collocò sull’altare il quadro del santo che aveva por tato con sé dal Rifugio. Nella sua missione tra i giovani si ispirò sempre al vescovo di Gine vra per la sua mansuetudine e dolcezza; inti tolò a lui la sua congregazione, mentre i suoi primi figli spirituali nel 1854 cominciarono a essere chiamati «Salesiani» (MB 5, 9). DB 2,139 Manoscritto delle Regole e prima stampa L’elaborazione delle Regole costò a Don Bo sco due anni di lavoro, cominciato nel 1855. Quale sia stato precisamente il testo primige nio, non è possibile determinarlo, mancando affatto i documenti. Un testo pubblicato nel V volume delle «memorie Biografiche», quel lo presentato nel 1858 a Pio IX, ha il merito di essere il più antico da noi posseduto. A parecchi salesiani Don Bosco narrò un col po mancino infertogli da satana. Era notte inoltrata. Nell’atto che scriveva le parole finali «Ad maiorem Dei gloriam», il ta 75 volino sobbalza, il calamaio si rovescia e l’in chiostro inonda il manoscritto; poi questo vo la turbinosamente per la camera e si abbatte tutto scompaginato sul pavimento. Lo scritto restò così malamente imbrattato da essere illeggibile, tanto che Don Bosco fu co stretto a rifare il lavoro da capo. Le Regole scritte dovevano essere portate a co noscenza di coloro a cui sarebbe toccato di os servarle. Nel 1857 l’ora parve scoccata. Aveva allora otto fra chierici e giovani studenti ben animati. Prese a leggere loro di tratto in tratto qual che parte delle Regole compilate. In un collo quio con Urbano Rattazzi, il ministro gli con sigliò di fondare una società che in faccia al governo fosse un’associazione di liberi citta dini, uniti a scopo di beneficenza. Don Bosco ebbe uno «sprazzo di luce». Confidatosi col Cafasso, con vescovi e teolo gi, desiderava sentire il parere del suo arcive scovo, esule da sette anni a Lione. Gli scrisse, e l’ottimo pastore gli consigliò di parlarne con Pio IX. Partì il 18 febbraio 1858, e all’udien za del 9 marzo, incoraggiato dal Papa, espose in lungo e in largo quanto faceva a Torino con l’opera degli Oratori. Il Papa ad un certo punto gli chiese: «Ma se veniste a morire, che ne sarebbe dell’opera vo stra?». Don Bosco allora presentò la commen datizia di mons. Fransoni. Pio IX, scorsa la lettera, esclamò contento: «Si vede che andia mo tutt’e tre d’accordo!». Lo invitò a riflette re e a ritornare qualche giorno dopo. Lo ricevette con bontà paterna il 21 sera, e gli disse: «Ho pensato al vostro progetto per il be ne della gioventù. Bisogna attuarlo. Perciò mi sembra necessaria una nuova Congregazione Religiosa: sia una Società con voti, perché sen za voti non si manterrebbe l’unità di spirito e di opere; ma questi voti debbono essere “ semplici” e da potersi facilmente sciogliere. Le Regole siano miti e di facile osservanza, la foggia di vestire, le pratiche di pietà non la fac ciano segnalare in mezzo al secolo. Studiate il modo che ogni membro di essa in faccia al 76 la Chiesa sia un religioso e nella civile società sia un libero cittadino». Allora Don Bosco gli presentò il nuovo mano scritto delle Regole. In una terza e ultima udienza, il 6 aprile, Pio IX glielo restituì con alcune note e modifica zioni fatte di propria mano. Nella diapositiva si vede a sinistra la stampa delle regole del 1860 destinata a mons. Franzoni. A destra vi è la prima pagina manoscritta delle costituzioni. DB 2,140 Decreto di approvazione della Società Salesiana (1 ° marzo 1869) Gli anni 1867-1873 videro Don Bosco ritocca re, modificare, correggere le Regole nell’in tento di renderle sempre più adeguate alle ri chieste dei suoi interlocutori e alle esigenze del lo sviluppo della Congregazione nel nuovo con testo politico italiano che si era creato con la presa di Roma nel 1870. In quegli stessi anni la Società Salesiana, oltre a un decisivo svi luppo di opere, ricevette l’approvazione dio cesana del vescovo di Casale Monferrato. Que sta gioia venne presto turbata dalle riserve avanzate da altri vescovi, e in particolare dal l’arcivescovo di Torino, mons. Lorenzo Ga staldi. La richiesta di Don Bosco di «approvazione dell’istituto e delle Costituzioni» non venne ac colta dalla Sacra Congregazione di Roma. Ulteriori sforzi chiarificatori portarono, in da ta 19 febbraio 1869, all’approvazione pontifi cia della Società, e il 1° marzo alla emissione del relativo decreto (vedi diapositiva) scritto dalla Curia Arcivescovile di Torino, su carta intestata, al vicario Giuseppe Zappata. Ma l’approvazione dell’istituto non era ancora l’approvazione definitiva delle Costituzioni. Don Bosco dovette più volte rielaborarne il te sto, tenendo conto delle osservazioni che gli ve nivano da Roma. Finalmente, il voto papale del 3 aprile 1874 rendeva definitiva l’appro vazione delle Regole. Dieci giorni dopo, il decreto della S. Congre- gazione competente metteva fíne a una prati ca durata oltre 15 anni. DB 2,141 Foto dei Salesiani dell'Oratorio con Don Bosco (1870) I bisogni delPOratorio erano cresciuti e Don Bosco non vi poteva più attendere da solo. II Signore gli mandava un degnissimo sacer dote. L’aveva incontrato e conosciuto agli Esercizi Spirituali a Lanzo, e con lui era ri tornato a Torino. Poco dopo accettò il suo in vito: «Venga ad aiutarmi a dire il breviario!». E Don Vittorio Alasonatti fu il primo aiutan te sacerdote. Poco più tardi tra i suoi giovani uscirono i pri mi salesiani sacerdoti. La foto dell’anno 1870, e presenta Don Bosco con 18 dei suoi 102 salesiani. In prima fila, da sinistra: Don Costamagna, Don Cagliero, Don Durando, Don Bosco, Don Lazzero, Don Sa vio, eh. Pellegrini, eh. Barberis, eh. Bertello (cf MB 10,96). Erano uomini cresciuti accanto a lui, ben formati e temprati al sacrificio, al l’eroismo, e che di lì a poco si sarebbero sparsi per il mondo per continuare la missione tra i giovani con la parola d’ordine: «Andate e fate come avete visto fare all’Oratorio». In un decennio dalla fondazione la Congrega zione si è dunque fatto le ossa. Don Bosco ha già aperto sei case, oltre a quella di Valdocco. E quanti avvenimenti in quegli anni! 1855: il chierico Rua, l’uomo che farà «a metà con Don Bosco», emette i voti privati. 1859: è fondata la Congregazione. 1860: Don Bosco ne scrive la Regola. 1862: apre la prima casa fuori To rino, a Mirabello. 1865: la prima laurea di un salesiano (Don Francesia). 1868: consacrazio ne della basilica di Maria Ausiliatrice. 1869: a Roma approvazione definitiva della Congre gazione. 1870: l’exallievo Gastini fonda l’Associazione «Ex-Allievi di Don Bosco». Due anni dopo nasceva a Mornese l’istituto delle FMA; tre anni dopo prendevano avvio le missioni in America Latina. Su 102 salesia ni, solo 61 erano già professi e in maggioran za chierici. Gli altri 41 erano novizi. Tempo di germogli, tempo di primavera. DB 2,142 Salesiani coadiutori (religiosi laici) «La società salesiana è composta di chierici e di laici che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarità» (Costituzioni, 4). Fin dall’inizio della sua opera Don Bosco si servì degli artigiani per le varie attività, e di ceva loro: «Io ho bisogno di aiutanti. Vi sono cose che i preti e i chierici non possono fare, e le farete voi». Don Bosco stesso ha delineato più volte la fi gura del coadiutore: «Sono chiamati coadiu tori perché hanno per particolare ufficio di coadiuvare i sacerdoti nell’opera di carità cristiana». Solo nel 1876 parlò esplicitamente di coadiu tori all’Oratorio dinanzi ai giovani, quando le Missioni entusiasmavano tutti. Il catalogo di quell’anno ne registrava già 28 professi per petui, 22 triennali, 28 ascritti e 25 aspiranti. Tra questi, nomi divenuti poi famosi come Audisio, Buzzetti, Enria, Dogliani, Rossi Marcel lo, laboriosi, umili, fidatissimi. Sul loro esem pio si infittisce la schiera di abilissimi maestri d’arte, di capi laboratorio, di tecnici specia lizzati che ovunque, specie nelle missioni, si impegnano nelle mansioni più svariate. Presentiamo alcune fotografie: Giuseppe Do gliani, direttore e maestro della «Schola Cantorum» e della Banda musicale dell’Oratorio. Marcello Rossi, portinaio «provvisorio» di Val docco per 48 anni. Giovanni Garbellone, una figura caratteristi ca, degna dei «fioretti francescani», si dedicò all’Oratorio festivo e fu direttore della Banda. Le altre due figure sono ancora di coadiutori avviati all’onore degli altari: Simone Srugi, di Nazaret, il tipo di «factotum» voluto da Don Bosco. Era infermiere nell’ambulatorio, tra i musulmani. Era anche chiamato il «mugnaio di Dio», perché macinava le derrate alla po polazione. Artemide Zatti, l’infermiere santo della Pa tagonia di Don Bosco, il parente di tutti i po 77 veri, come lo definivano a Viedma (Argenti na), dove morì nel 1951. DB 2,143 II forno del «Pane di Don Bosco» Dal 19 novembre 1868 Don Bosco poteva far vedere ai visitatori di Valdocco una curiosità in più: la panetteria. La gente giovane e affa mata di Valdocco divorava da sei a settecento chili di pane al giorno, e Don Bosco, per ri sparmiare il più possibile, trovò nei sotterra nei della Basilica, quasi sotto la cappella di san Giuseppe da poco consacrata, dei locali adat ti per la panetteria, e trovò gli uomini esperti del mestiere a cui affidarla. La inaugurò ap punto quel giorno, festa dei martiri romani So lutore, Avventore e Ottavio (MB 9, 391). Ai ragazzi poveri o in particolari difficoltà assi curava: «Fin che Don Bosco avrà un tozzo di pane, lo dividerà con te» (così a Brosio MB 4, 271). Quando i giovani di IV e V ginnasiale di Vaisalice o di Lanzo venivano a trovarlo, Don Bo sco, dopo la conferenza o un’amabile conver sazione, li invitava a scendere in panetteria a gustare il pane fresco e profumato di Val docco. Anche ai visitatori faceva assaggiare il pane fresco e diceva (queste parole sono state rac colte da un sacerdote): «Nella mìa casa c’è pa ne, e questo ce lo manda giorno per giorno la Provvidenza; c’è lavoro, e ognuno ha da fati care per tre; c’è paradiso, perché chi lavora e mangia per Dio ha diritto a un cantuccio di paradiso» (MB 17, 251). Il brano è un commento a uno dei più signifi cativi motti di Don Bosco: «Pane, lavoro e pa radiso». Egli esponeva questo programma so prattutto a coloro che invitava a far parte della sua Congregazione: «Vieni con Don Bosco — diceva loro —, qui troverai pane, lavoro e pa radiso». Al punto che tra i giovani che accet tavano il suo invito la frase: «Fermarsi a man giare il pane di Don Bosco» era diventata si nonimo di: «Farsi salesiani». La panetteria sotto la Basilica prosperò a lun go. Poi fu superata dai tempi. Ma rimane sem 78 pre attuale e invitante per i giovani il «fermarsi a mangiare il pane di Don Bosco». DB 2,144 Alla sequela di Don Bosco Sulla scia di Don Bosco e sull’esempio dei pri mi salesiani, a centinaia e a migliaia i giovani 10 seguirono e lo seguono ancora oggi, affa scinati dall’ideale di servizio per la gioventù. 11 suo caritatevole sorriso, la sua amabile bon tà, la sua carità ardente, il suo cuore grande come il mare continuano a fare echeggiare al cuore dei giovani 0 suo motto: «Da mihi animas», che si traduceva nell’espressione: «Aiu tatemi a salvare le anime». Dai giovani che con lui condivisero i primi tempi dell’Oratorio fi no ai giovani d’oggi, molti hanno conosciuto i suoi strepitosi carismi e hanno vissuto i suoi sogni profetici. Ricordiamo qualche nome: Mi chele Rua, che Don Bosco chiamò per «fare a metà con lui»; Giovanni Cagliero, che ave va esclamato: «Frate o non frate, io resto con Don Bosco!»; il polacco principe Augusto Czartoryski, che aveva chiesto al Papa il per messo di farsi salesiano; Filippo Rinaldi, la bontà in persona; Michele Unia, apostolo dei lebbrosi; Luigi Versiglia e Callisto Caravario, che coronarono la sequela di Don Bosco col martirio; Vincenzo Cimatti, Luigi Mathias, Simone Srugi e Artemide Zatti, servi di Dio. Migliaia di Salesiani lavorano nelle più sva riate parti del mondo, nelle terre di missione, e oggi, realizzando il sogno di Don Bosco, evangelizzano l’Africa. DB 2,145 II porticato e l ’edificio della tipografia Durante gli anni ’50, mentre apriva diversi piccoli laboratori, Don Bosco sognava già una grande tipografia. Ma i macchinari costava no un occhio della testa, e dovette rinunciarvi a lungo. Però nel 1861 ruppe gli indugi, ac quistò due vecchie «macchine a ruota» e un torchio che funzionavano a mano, e installò il tutto nelle scuole vicino alla chiesa di san Francesco di Sales, lungo via della Giardinie ra. I suoi falegnami gli costruirono il banco e le cassette per i caratteri. II31 dicembre gli giunse dalla Prefettura della città la necessa ria licenza e aprì la tipografìa. Il primo prodotto fu un libretto delle Letture Cattoliche: «Teofilo, il giovane romito». Poi, in cerca di migliore sistemazione, trasferì gli impianti al pian terreno nell’edificio delle ca merette, e in seguito in un nuovo edificio co struito lungo la via della Giardiniera. L’ultimo trapianto avvenne nel 1883, quando Don Bosco potè finalmente offrire ai suoi ti pografi un edifìcio nuovo, ampio e tutto per loro, vicino alla Basilica di Maria Ausiliatrìce. Essi sono lì ancora adesso. E proprio nel 1883, poco dopo l’inaugurazione, Don Bosco ebbe una visita che si rivelerà storica: un gio vane sacerdote lombardo chiedeva di fermar si all’Oratorio per qualche giorno. Fu accon tentato, e Don Bosco lo portò a visitare la ca sa. Quel sacerdote non nascose la meraviglia nel vedere la bella tipografìa modernamente attrezzata, e si sentì rispondere: «Don Bosco — parlava in terza persona — in queste cose vuol essere all’avanguardia del progresso». Un giorno del 1927 il sacerdote ricordava que ste parole in un discorso pubblico in cui veni vano riconosciute le «virtù eroiche» di Don Bo sco. Si chiamava Achille Ratti, ed era diven tato papa Pio XI. La diapositiva presenta l’edifìcio della tipogra fia come appare anche oggi al fianco della Ba silica. DB 2,146 La composizione e la stamperìa Questa diapositiva presenta due interessanti edifici della tipografia risalenti agli anni 1920: la sala dei compositori e la sala macchine da stampa. Oggi sono cambiate le macchine, se condo la tecnica, ma i saloni che le ospitano sono ancora identici nell’architettura voluta da Don Bosco. Allora era solito dire: «Prima una tipografia, poi una grande tipografìa, poi molte tipogra fie». E visse quanto gli bastò per veder realiz zato questo sogno. Le scuole grafiche salesia ne, al passo con i tempi, sono oggi ben 73 in tutto il mondo, con circa 5.000 allievi. DB 2,147 La casa Bellezza, ultimo acquisto di Don Bosco A parte il nome, quella casa non aveva pro prio nulla di bello per Don Bosco. Anzi fu per lui una spina nel fianco fin dal 1864 quando piantò le tende in casa Pinardi. Tra le due ca se, molto vicine, c’era un muro divisore che non proteggeva certo dai canti e dagli schia mazzi che si facevano all’osteria. Quella ca sa, di proprietà della vedova Bellezza, era data in affitto a numerosi inquilini dalla condotta non sempre irreprensibile, tra cui una fami glia che vi teneva appunto una malfamata osteria. Era l’osteria della Giardiniera, che prendeva il nome dalla via, ed era un covo di disordini. Nei giorni di festa vi convenivano buontem poni, giocatori e beoni, che oltre tutto distur bavano Don Bosco e i suoi ragazzi con ogni genere di musica da trivio (MB 2, 543-545). Dirà il biografo enfatizzando: da una parte la città del diavolo, dall’altra la città di Dio (MB 4, 408-615). Don Bosco cercò di comprare la casa, ma la proprietaria non volle venderla. Allora cercò di affittare l’osterìa, ma ci riuscì solo nel 1853 e dovette acquistare e pagare anche tutto l’ar redamento: bottiglie, bicchieri, tavolini, seg giole e turaccioli... che mamma Margherita, disperata, non sapeva dove mettere. Nel 1859 Don Bosco riuscì ad affittare tutta la casa e ad allontanare gli inquilini poco rac comandabili. Ci rimise un sacco di soldi. Poi, nell’83, la proprietaria morì e gli eredi si dis sero pronti a vendere. La casa costò 110.000 lire, pagate per Don Bosco dal generoso con te Fiorito Colle di Tolone. Da allora, per 35 anni, la casa servì come lavanderìa e guarda roba dell’Oratorio, finché nel 1922 fu abbat tuta per fare spazio ai cortili dell’Oratorio fe stivo. 79 DB 2,148 Lettere di Don Bosco ai benefattori Quante lettere avrà scritto Don Bosco? Il suo epistolario in quattro grandi volumi ne rac coglie oltre 2800 e trattano vari argomenti. Abbondano le lettere di ringraziamento che ha disseminato per l’Italia, per l’Europa e anche oltre oceano; lettere scritte per lo più di not te, ai benefattori che ci tenevano a ricevere il suo autografo, e lo conservavano come caro ricordo. Forse si commuovevano nel vedere la sua scrit tura farsi, col passare degli anni, sempre più tremola e incerta, ma per lo più ignoravano quanta fatica richiedessero al Santo quei pic coli fogli. La diapositiva presenta due di queste lettere. Nella prima Don Bosco ringrazia dell’aiuto da to ai suoi missionari partenti per l’America Latina; nella seconda ringrazia dell’aiuto da to nel collocare i biglietti in una delle sue lot terie. DB 2,149 Benefattori e cooperatori di Don Bosco (i conti Callori) La diapositiva presenta un dipinto della chie sa di san Francesco di Sales, eseguito nel 1960 dal pittore Crida, raffigurante i conti Federi co e Carlotta Callori di Vignale. Erano gene rosi benefattori dell’Oratorio. Don Bosco nu triva per loro una profonda amicizia e grati tudine e ricorreva a loro quando si trovava in gravi difficoltà economiche. Chiamava la con tessa «la mia mamma». Un giorno, malato, ricevette in dono da lei un giubbotto per proteggersi durante la convale scenza; la ringraziò con un’arguta poesiola (MB 10, 291s). Come i Conti Callori, tanti altri personaggi della nobiltà, soprattutto piemontese, si ono rarono di aiutare l’Oratorio; come pure figu re della borghesia, artigiani e gente del popo lo. Don Bosco aveva bisogno di tutti, e tutto faceva servire al bene dei suoi ragazzi. Un giorno intuì che tutte quelle forze sparse 80 potevano essere riunite in un’associazione du ratura. Dopo vari ripensamenti, l’idea matu rò nel 1876 e l’associazione prese nome di «Unione dei Cooperatori Salesiani». Vi daran no la loro adesione perfino dei... papi. «I Coo peratori Salesiani sono destinati a fare un gran bene alla Chiesa e alla civile società», asserì Pio IX. E volle essere al primo posto nella lista. Fu facile profeta. Ancora oggi i Cooperatori sono decine di migliaia in tutto il mondo, e con una presenza silenziosa, ma benefica, lavora no accanto ai figli di Don Bosco per il bene della gioventù. DB 2,150 Biglietto della lotterìa Scrisse il teologo Reviglio: «La sollecitudine di Don Bosco nell’andare questuando cresceva col moltiplicarsi delle sue opere e dei suoi gio vani; e la sua vita fu tutta quanta nel provve derli del necessario per l’anima e per il corpo». Dapprima si affidò alla generosità dei bene fattori, che risposero sempre generosamente; ma quando i bisogni crebbero a dismisura, fe ce ricorso alla beneficenza pubblica con lotte rie. Scriveva in una circolare: «Ci parve que sto il mezzo più opportuno, come quello che tende la mano alla grande e piccola beneficen za in qualunque misura, e ci apre la via a ri correre con fiducia tanto ai benemeriti nostri concittadini, quanto alle persone agiate che di morano nelle altre città o paesi di provincia». Tra grandi e piccole, Don Bosco ne organizzò una quindicina; ma ricordiamo solo le tre principali. Nel 1862 lo scopo era di aiutare l’O ratorio di san Francesco, di san Luigi a Porta Nuova e quello di Vanchiglia. Nella diapositi va presentiamo il biglietto numero 72472 di questa lotteria. Porta la sua firma, come mem bro della commissione. Nel 1865, organizzò la seconda grande lotte ria, per l’erigenda chiesa di Maria Ausiliatrice. Interessò le autorità per ottenere i debiti permessi. Cercò le persone del comitato orga nizzatore tra i membri della famiglia reale, tra i principi, i nobili e le personalità. Stampò e diffuse proclami; si fissarono i luoghi di rac colta degli oggetti, si fece l’elenco. Una com missione di esperti fece l’estimo dei doni e si stabilì il numero dei biglietti in rapporto al lo ro valore. Don Bosco e la commissione diffu sero non solo biglietti singoli, ma interi bloc chetti, alla casa reale, alle autorità, ai vescovi e ai vari ministeri dello Stato. Le autorità presenziarono all’inaugurazione e diedero il via all’estrazione, presenti i loro de legati. Nel 1885, mentre a Roma erigeva la chiesa del Sacro Cuore e annesso Ospizio, pensò a una nuova grande lotteria nella capitale stessa. Bi sognava trovare 25.000 lire ogni mese. Scri veva ai benefattori: «Vi manderò un piccolo numero di biglietti, spargeteli tra il popolo, diffondeteli». Nella sua festa onomastica, ai parroci e benefattori diceva: «Quel che vi rac comando è che mi aiutiate a compiere l’impre sa che mi fu affidata dal Sommo Pontefice Leone XIII». Il risultato della lotteria fu soddisfacente, e Don Bosco in una lettera circolare ai coope ratori del 1886 scrisse: «I biglietti smerciati fu rono la più grande risorsa per continuare i la vori» (MB 17, 73s.542). DB 2,151 Lo sviluppo di Valdocco, vivente Don Bosco Le cinque planimetrie della diapositiva presen tano le trasformazioni subite dall’Oratorio ne gli anni 1852-1888, cioè durante la vita di Don Bosco. Esse sono ricavate dal volume L ’Ora torio di Don Bosco, dovuto alla penna indaga trice di Don Fedele Giraudi, economo gene rale dei Salesiani dal 1924 al 1964, che con pa zienza ha ricostruito, anno dopo anno, la sto ria di quella singolare espansione muraria. TAV. 4 - L ’Oratorio dopo le prime costruzioni A - Chiesa di san Francesco di Sales (1852) B - Primo fabbricato per ospizio (1853) C - Secondo fabbricato sul luogo della ca sa e cappella Pinardi (1856) D - Scuole diurne per esterni E - Dove Don Bosco scelse la sua cameret ta al secondo piano (1853). TAV. 5 - L ’Oratorio dopo l ’acquisto della pro prietà Filippi (1860) A - La nuova sacrestia (1860) B - Scuole per interni (1859-1873) C - La nuova portineria costruita a spese del Cafasso (1859-1860) D - Passaggio al nuovo dormitorio di casa Filippi (detta allora la «Sicilia»). TAV. 6 - L ’Oratorio dal 1861 al 1867 A - Ampliamento del fabbricato delle ca merette di Don Bosco (1861) B - Portico con terrazzo C - La casa Filippi dopo i restauri (1861) D - Fabbricato per le scuole (1863-1864) E - La nuova casa lungo la via Giardinie ra (1862) F - La nuova portineria. TAV. 7 - (non inclusa) L ’Oratorio nel 1868 Inaugurazione della chiesa di Maria Ausiliatrice. TAV. 8 - L ’oratorio dal 1869 al 1880 A - Costruzione del coro e di due sacrestie (1869-1870) B - Fabbricato della portineria (1874-1875) e lungo via Cottolengo C - Acquisto del terreno e della casa Nelva (1880) D - Sopraelevazione del terrazzo presso le camerette di Don Bosco (1876) E - Acquisto dell’orto (1870) F - Ampliamento dell’orto (1870). TAV. 9 - LIOratorio dal 1881 alla morte di Don Bosco, 1888 A - Fabbricato della stamperia (1882-1883) B - Laboratorio fabbri e meccanici (1883-1884) C - Acquisto della casa e terreno Bellezza (1884) D - Ampliamento dell’orto E - Il refettorio di Don Bosco sul luogo dov’era la cappella Pinardi. DB 2,152 Allievi ed exallievi illustri Un altro dipinto, in San Francesco, raffigura tre allievi di Don Bosco campioni di santità: Savio, Magone e Besucco. Essi precedono una 81 grande schiera di giovani cresciuti nelle ope re salesiane. Quanti saranno questi giovani in realtà? Og gi li si trova a tutte le latitudini del pianeta, scaglionati in tutte le fasce di età e impegnati ai vari livelli della vita sociale. Se si prendono in considerazione tutti i ragazzi che hanno ri cevuto un’impronta cristiana nelle case dei Sa lesiani e delle FMA, compresi gli oratori e i centri giovanili, si tratta di milioni: una valu tazione approssimativa li fa ammontare a sei milioni. Di essi una piccola parte è organizzata nell’ «Associazione Exallievi di Don Bosco», fondata naturalmente da un exallievo: Carlo Gastini. Un nome, un personaggio e una storia. Don Bosco aveva incontrato Carlino nei pan ni di garzone di barbiere alle prime armi, e mettendo a repentaglio la propria pelle aveva osato farsi radere da lui. Poi lo invitò all’oratorio, e Carlino lo frequentava con profitto. Ma rimase orfano, e Don Bosco lo prese co me interno. Divenne valente rilegatore, ed era un talento teatrale. Anche quando lasciò l’Oratorio per farsi una famiglia, rimase legatis simo a Don Bosco. Sovente andava a trovar lo, e il 24 giugno 1870, giorno onomastico di Don Bosco, gli fece una sorpresa. Arrivò per gli auguri non da solo, ma in com pagnia di un gruppo di altri antichi allievi, ten ne un discorso, e annunciò che si erano costi tuiti in associazione. Ora gli exallievi associati sono decine e deci ne di migliaia in tutto il mondo, con un pro gramma e un impegno religioso e sociale, e fanno onore a Don Bosco. DB 2,153 Testamento ai Salesiani: taccuino di Don Bosco «La nostra Congregazione ha davanti un lie to avvenire preparato dalla divina Provviden za...». Queste parole di Don Bosco si leggono in un taccuino da lui scritto nel settembre 1884, tre anni e mezzo prima di morire. E fan no parte del «testamento spirituale» che egli lasciò ai suoi figli. 82 In quel periodo Don Bosco si sentiva partico larmente stanco; temendo di dover lasciare presto e per sempre i suoi figli, riempì un tac cuino di annotazioni, disposizioni pratiche, consigli, sfoghi del cuore. Senza un vero pia no né un ordine, ma scrivendo a intervalli di giorni, nei momenti di libertà e secondo che l’ispirazione gli dettava. Vi si trovano parole rivolte al suo successore, poi ai superiori del la Congregazione, poi ai Salesiani, alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Quindi considerazioni sull’elezione del suo successore, consigli ai di rettori, altri consigli sui più disparati argo menti. Lo completò quattro mesi prima di mo rire, nel settembre 1887. È con commozione che su quelle righe scritte con grande fatica si legge: «Miei cari ed amati figliuoli in Gesù Cristo. 10 vi lascio qui in terra, ma solo per un po’ di tempo. Spero che la infinita misericordia di Dio farà che ci possiamo tutti trovare un dì nella beata eternità. Colà io vi attendo... Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire con l’esatta osservanza delle nostre costituzioni... Addio, o cari figliuoli, addio. Io vi attendo in cielo. Là parleremo di Dio, di Maria Madre e sostegno della nostra Congregazione. La no stra Congregazione ha davanti un lieto avve nire preparato dalla Divina Provvidenza, e la sua gloria sarà duratura fino a tanto che si os serveranno fedelmente le nostre regole. Quan do cominceranno tra noi le comodità e le agia tezze, la nostra pia società avrà compiuto il suo corso». L’ultimo capitoletto si apre col titolo: «L’av venire», riportato nella diapositiva. 11 «testamento spirituale» si chiude con que ste parole (avveratesi in primo luogo per Don Bosco): «Quando avverrà che un Salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congrega zione ha riportato un gran trionfo, e sopra di essa scenderanno copiose le benedizioni del Cielo» (MB 17, 256-273). DB 2,154 Torino: Monumento a Don Bosco (Cellini) Mentre si costruiva il tempio dell’Ausiliatrice, un giorno Don Bosco attraversava la piaz za e si fermò a contemplare la facciata. Veni va su bella, e non nascose la sua soddisfazio ne. Poi, indicando la piazza, disse a chi lo ac compagnava: «Qui in mezzo mi piacerebbe in nalzare un monumento che rappresentasse Mosè in atto di percuotere e di far zampillare una vena d’acqua». Invece della statua di Mosè, su quella piazza gli Exallievi un giorno decisero di edificare un monumento a Don Bosco. Avvenne nel 1911, durante il loro Congresso Intemazionale. Essi volevano con quel monu mento dare a Don Bosco un segno del loro amore e della loro riconoscenza filiale. La pri ma guerra mondiale ne ritardò l’inaugurazio ne, che avvenne solo il 23.5.1920, vigilia della festa di Maria Ausiliatrice. L’opera è dello scultore Gaetano Cellini. La figura in bronzo di Don Bosco in mezzo ai fan ciulli domina da una base di granito di porfi do della Val Camonica. In basso una figura d’uomo si curva al bacio della Croce, presen tata dalla fede. Nei due altorilievi del fronte si vedono: a destra, una madre con in braccio un bimbo che manda baci a Don Bosco; a si nistra, un povero lebbroso che guarda rico noscente il suo benefattore. Ai lati, contro le due stele, i gruppi indicano le grandi devozioni promosse da Don Bosco: l’Eucaristia e PAu siliatrice. Nel retro sono tre bassorilievi: al centro è ritratta l’opera di assistenza agli emi grati; ai lati sono raffigurate le scuole salesiale, professionali e agricole. Il monumento è un compendio dell’opera di Don Bosco. E suo anelito balza dalle figure del bronzo, e pare gridi al mondo intero: «Salva te la povera gioventù» (MB 18, 476). DB 2,155 La missione di Don Bosco (particolare del monumento) La diapositiva presenta un particolare del mo numento di Don Bosco a Valdocco, quasi un simbolo. Un ragazzo aggrappato al Santo, un incontro di sguardi, il sorriso di Don Bosco che provoca il ragazzo al sorriso. La scelta dei gio vani era stata ispirata dal sogno dei nove an ni e da altri successivi, ma Don Bosco atten deva un segnale. Giovane sacerdote, aveva aperte davanti a sé molte strade, e molti gli facevano ponti d’oro. Egli ricorse per consi glio al suo direttore spirituale. «In questi tempi i bisogni sono molti — gli disse Don Cafasso —. A quale cosa vi sentite specialmente dispo sto? In questo momento, che cosa occupa il vo stro cuore?». «In questo momento — aveva ri sposto Don Bosco — mi pare di trovarmi in mezzo a una moltitudine di ragazzi che mi do mandano aiuto». E Don Cafasso, scartate tutte le altre soluzioni, lo orientò definitivamente verso la più difficile: l’apostolato fra i giovani. L’opera redentrice di Don Bosco viene espres sa dal gesto, quasi disperato, del giovane che si aggrappa con una mano alla sua talare, ed egli tenta di sollevarlo con la sua mano. I due sguardi si incontrano nel sorriso. DB 2,156 Don Bosco da Torino al mondo intero Giovanni Bosco, ancora chierico, in un sogno fatto al Sussambrino aveva visto nella pianu ra sottostante una città con tanti ragazzi: gli sembrò che fosse Torino. Questa la città che egli tante volte aveva non solo visto, ma an che visitato, quando studente a Chieri, scen deva a Torino con i suoi compagni nelle scam pagnate. Giovane prete, la Provvidenza gli aveva asse gnato come campo di azione proprio quella città. La Torino che Don Bosco giovane sacerdote trovò nel 1841 aveva poco in comune con l’at tuale Torino della diapositiva. Tra l’altro, non c’era ancora l’aguzza Mole Antonelliana (che con i suoi 168 metri d’altezza diventerà il più alto edificio in muratura d’Europa). Torino era la capitale, ma le sue periferire pul lulavano poco onorevolmente di ragazzi ab bandonati a se stessi, attirati dalla speranza 83 spesso illusoria di trovare lavoro e benessere nella città che muoveva i primi passi verso l’in dustrializzazione. Don Bosco trovò in Torino il posto giusto per «cominciare», ma di «gio vani poveri e abbandonati» il mondo era (e ri mane) pieno. Impiantata e sviluppata la sua opera con tan ti interventi straordinari, nuovi sogni gli apri vano altri orizzonti, e il suo anelito lo spinge va a poco a poco a conquistare il mondo inte ro. Così nel 1863 Don Bosco apriva a Mira 84 bello la sua prima opera fuori Torino, e nel 1875 si lanciava fuori Italia, in Spagna, in Francia e in Argentina: in fondo al continen te americano lo attendevano gli indios della Patagonia. Due anni più tardi mandava in missione anche le Figlie di Maria Ausiliatrice. Ora i figli di Don Bosco sono presenti in una novantina di stati nei cinque continenti, con tremile case e quasi 40.000 consacrati. Perché i «ragazzi poveri e abbandonati» ci sono an cora oggi un po’ dappertutto. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco APOSTOLATO E CARISMI DI DON BOSCO (Quarta unità non sonorizzata) Q - ITINERARI DI SALESIANITÀ: APOSTOLATO - DEVOZIONE MARIANA - DON BOSCO SCRITTORE sia alla portata della sua intelligenza, che nulla si esponga che presenti difficoltà o oscurità». Alla base della sua predicazione ai ragazzi metteva gli episodi, gli esempi, le domande, i dialoghi... Parlava al cuore, e perciò la sua predicazione era graditissima (MB 8,168). In questo modo i ragazzi partecipavano, resta vano affascinati e l’avrebbero ascoltato per delle ore. E poi ricordavano (MB 5,554-556). DB 2,157 I pulpiti di Don Bosco La diapositiva presena, abbinati, il pulpitino delle «Buonanotte», che per anni era rimasto sotto il porticato vicino alle camerette, testi mone di mille e mille conversazioni dì Don Bo sco con i suoi ragazzi. E presenta il pulpito del la Basilica di Maria Ausiliatrice, dei tempi di Don Bosco, in noce, assai maestoso, collocato in posizione strategica, in modo che da qualciasi punto della Basilica si possa vedere 0 pedicatore. Era stato fatto in casa, scolpito dai ragazzi del laboratorio di falegnameria dell’Oratorio (MB 9, 198). Scrisse Don Bosco alla prima Messa: «Io chiesi ardentemente l’efficacia della parola per po ter fare del bene alle anime. Mi pare che il Si gnore abbia ascoltato le mie umili preghiere» (MB 1, 519). E chi l’udì predicare, ne era convinto. Predicava volentieri e in modo semplice: «Per me salire sul pulpito è un riposo» (MB 3, 67; 9, 219) «Io lo ripeterò le mille volte: bisogna che il popolo capisca, che tutto ciò che si dice DB 2,158 Foto di Don Bosco che confessa Una «foto-messaggio» voluta da Don Bosco nel 1861: egli ci teneva a presentarsi come con fessore dei giovani. Lo sappiamo apostolo della confessione, impegnato per ore e ore a con fessare, al mattino presto come a notte tarda, senza badare a sacrifici, fin quando ci fosse qualcuno da riconciliare con Dio (MB 1,268). Sapeva preparare i ragazzi alla confessione, li metteva in guardia dai «tre lacci» tesi dal de monio alle anime: il tacere i peccati, confes sarsi senza dolore, confessarsi senza proponi mento. Persuadeva alla confessione con gli ac corgimenti più opportuni. Attorniato dai ragazzi, si rivolgeva a qualche tipetto che sapeva bisognoso di ravvedersi, e gli diceva serio: «Stamattina non ti sei lavato la faccia!». Il ragazzo protestava offeso: «Sì, me la sono lavata!». E Don Bosco insisteva: «Ma nooo! Ma nooo!», con le «o» protratte a lungo in modo significativo. Poi gli bisbiglia va una parolina aU’orecchio e il ragazzo fìnal- DB 2,1 DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco 85 mente capiva. E di solito alla prima occasio ne provvedeva. Confessarsi da lui era facile perché conosce va le parole giuste, e gliene bastavano poche per rimettere le coscienze a posto. E poi an che perché — lo confermarono numerose te stimonianze — sapeva leggere nelle coscienze, e ciò semplificava tutto. Era capace di dire: «E questo peccato non lo confessi? Di quest’altro non ti ricordi più?» (MB 13, 890). Quan do poi la coscienza era ingarbugliata al punto che il penitente non sapeva da dove incomin ciare, domandava: «Vuoi dire tu, o vuoi che dica io?». Confessò in tutte le situazioni: in campagna, in chiesa come in cortile, in piazza, per stra da, al capezzale dei morenti, alla stazione e persino a cassetta dei vetturini. Inculcava ai sacerdoti: «Quando si devono dire due parole in pulpito, una sia sulla confessione», e le rac comandava frequentemente ai giovani. Tene va la confessione come primo fondamento ri riforma (cf MB 2, 536; 6, 829; 10, 9s). Un giorno del 1871, mentre si trovava a Ro ma in udienza dal papa, Pio IX ad un tratto gli domandò: «Siete autorizzato a confessare anche a Roma?». «Se Sua Santità mi desse il permesso, lo potrei fare», rispose Don Bosco. E il Papa: «Ebbene, sì, ve lo do. Però adesso confessate me». E si mise in ginocchio (MB 10, 12). DB 2,159 La comunione frequente Lo sappiamo: Don Bosco fu anche apostolo della Comunione (MB 4,457). A questo lo pre parò in un certo senso già mamma Margheri ta, che lo portò presto dal parroco perché lo ammettesse alla prima comunione (MB 1, 172). I bambini non venivano avvicinati al banchetto eucaristico prima dei 12 o 14 anni. Lo stesso san Giuseppe Cafasso fece la comunione a 13 anni. Mamma Margherita invece insegnò per tempo a Giovannino tutto il catechismo, e lo preparò così bene che il parroco, dopo averci 86 pensato a lungo, lo ammise alla Comunione a soli 10 anni e mezzo. Quando Don Bosco diceva: «La base della vi ta felice di un ragazzo è la comunione», forse parlava anche di sé. Di fatto fu il primo ad introdurre a Torino, in un istituto maschile, la comunione quotidina. Lo criticavano, per ché il giansenismo nemmeno allora era scom parso (MB 2, 137). Un giorno gli fecero quest’obiezione: «Chi può avere tali disposizioni di spirito da poter fare ogni giorno la comunione, dal momento che perfino san Luigi non la faceva che una volta la settimana?». Ed egli rispose tranquillo: «Quando si trova uno che sia fervoroso e per fetto come san Luigi, allora la comunione po trà bastargli una sola volta la settimana». Una volta a Roma, ricevette una lettera dai ragazzi di Valdocco in cui dicevano che al suo ritorno gli avrebbero fatto una grande festa. Rispose: «Fatemi dunque una festa, la più ca ra che io possa desiderare, cioè che tutti fac ciate in quel giorno la vostra santa comu nione». Don Bosco vedeva la comunione come una for za indispensabile per i suoi ragazzi. Diceva: «Tutti hanno bisogno della comunione: i buo ni per mantenersi buoni, e i cattivi per farsi buoni» (MB 12, 567). «La comunione frequente e la santa Messa — assicurava — sono le colonne di un edificio educativo» (MB 2, 355; 4, 549; 13, 827). DB 2,160 L ’esercizio della «buona morte» È una pratica di pietà sempre efficace se inte sa come occasione di salutari riflessioni, di preghiera, di impegno rinnovato. In quei tem pi la morte mieteva con facilità anche tra i gio vani, e i funerali erano frequenti all’Oratorio. I ragazzi di Don Bosco perciò si confrontava no con una certa frequenza con questa dolo rosa realtà. E Don Bosco non lasciava trascor rere inutilmente queste circostanze. Da edu catore esperto, sapeva ricavare dal pensiero dell’aldilà motivi di serenità e fiducia, e sape va fare dell’«esercizio della buona morte» per- fino un’occasione di gioia (MB 1, 160). Ecco un crocifisso nelle camerette, davanti al qua le hanno meditato Don Bosco e i suoi giovani. Così una volta al mese (il secondo giovedì, per gli studenti) li raccoglieva in preghiera. Un sermoncino sulle «verità eterne», un’invoca zione «pregata» e in termini di un robusto rea lismo, una buona confessione, un buon pro posito e la comunione. E, infine, per tutti quei cuori divenuti leggeri e senza più angustie spi rituali, l’esplosione della festa finale. Diceva Don Bosco ai suoi ragazzi: «Pensate ogni sera: se doveste morire questa notte, qua le sarebbe la vostra sorte?». Diceva: «Bisogna operare come se non si dovesse morire mai e vivere come se si dovesse morire ogni giorno». E ancora: «Quel che darà più contentezza in punto di morte sarà il bene fatto; tutte le al tre cose non daranno che angustie». Ricorda va: «In fine della vita si raccoglie il frutto del le opere buone». Così, con la morte meditata nei suoi risvolti positivi, Don Bosco predisponeva alla gioia, preannunciava un’allettante passeggiata e do po la Messa distribuiva a tutti pane e salame. DB 2,161 Lanzo: Gli Esercizi Spirituali Don Bosco trovò gli Esercizi Spirituali estre mamente efficaci per sé e li volle anche per i suoi ragazzi. Li fece la prima volta a vent’anni, nel 1835, al suo ingresso nel seminario di Chieri, e ne uscì col proposito: «Esatto adempimento dei doveri». Nel 1841, agli Esercizi in preparazione dell’or dinazione sacerdotale, i suoi propositi saliro no a nove, molto dettagliati, e tra essi l’impe gno di imitare la dolcezza di san Francesco di Sales e dì non risparmiare sacrifici quando si trattasse di salvare le anime. L’anno successivo Don Cafasso lo portava con sé agli Esercizi nel santuario di Sant’Ignazio, che sorge isolato a 910 metri sopra Lanzo To rinese. (La diapositiva mostra appunto il san tuario). Da allora vi tornerà ogni anno, ininterrotta mente, fino al 1875. E lì fece le prime conqui ste di collaboratori (MB 3, 245; 7, 54). Nel 1847 però — e non era ancora trascorso un anno dal suo arrivo a Valdocco — Don Bo sco organizzava gli Esercizi anche per i suoi ragazzi (MB 3, 221-224). Ne aveva quattro o cinque interni, e ne trovò altri 15 o 16 tra gli oratoriani. Questi ultimi non sapeva dove al loggiarli, perciò la sera li rimandava a casa, ma con mamma Margherita era riuscito a tro vare il modo di assicurare loro il pranzo. L’anno successivo Don Bosco ripetè gli Eser cizi nella casa Pinardi, e furono predicati dal teologo Borei. In quell’occasione capitò che uno dei ragazzi perdesse i peccati... Li aveva scritti tutti sopra un quaderno e lo aveva smar rito. Corse disperato da Don Bosco, che in tanto aveva trovato il quaderno e potè confor tarlo: «Beato te, perché senza peccati andrai di sicuro in paradiso!». Nel 1848 tenne degli Esercizi per prepararsi degli aiutanti (MB 3, 418). Rimasero famosi per i loro frutti di conversione gli Esercizi al la Generala nel 1855. Essi meritarono ed ot tennero la storica gita-premio a Stupinigi (MB 5, 219). Negli anni seguenti Don Bosco trovò altre se di più accoglienti in collina, a Trofarello e nel Seminario di Giaveno, finché anche Valdoc co fu in grado di ospitarli. Ma non lasciò più i suoi ragazzi senza Esercizi. Spiegava: «Gli Esercizi sono una serie di istruzioni e medita zioni fatte per muovere all’amicizia con Dio». E a questa amicizia lui teneva troppo. DB 2,162 Le Compagnie Religiose Don Bosco era solito radunare i ragazzi per ché insieme facessero qualcosa. Lui stesso da ragazzo, studente a Chieri, aveva fondato tra i coetanei la «Società dell’allegria». E una volta impiantato solidamente il suo Oratorio, dette vita alle più svariate associazioni, comprese le società bandistica e ginnica, e le società di mu tuo soccorso. Il nome più in uso allora era «compagnia», che serviva, per esempio, per le filodrammatiche; 87 ma c’era a valdocco anche la «Compagnia dei tozzi di pane», che in anni di fame diffusa (at torno al 1851) si impegnava a non cominciare una nuova pagnotta finché non fosse sparita anche l’ultima briciola della pagnotta prece dente. Veramente importanti furono le «Compagnie Religiose» per i vantaggi nell’educazione, per i loro consolanti frutti, veri focolai di carità, gardini di virtù (MB 6, 389) e forme pratiche di zelo per i ragazzi interni e anche per gli oratoriani. Esse offrivano agli educatori l’occa sione di un periodico incontro con i ragazzi meglio disposti, per impegnarli in un sano at tivismo in mezzo ai compagni. La prima, fondata da Don Bosco nel 1847, fu la «Compagnia di San Luigi» e organizzò gli oratoriani migliori (MB 3, 215s). Nel 1854, an no della proclamazione del dogma dell’imma colata Concezione, Domenico Savio ne fondò una seconda, detta appunto delP«Immacolata», per i ragazzi più maturi al fianco dei loro educatori (MB 5, 478). Nel 1857 nasceva la «Compagnia del Santissimo» (ivi, 759); l’an no dopo da essa si staccava quella del «Picco lo Clero» (ivi, 788). Ultima, nel 1859, la «Com pagnia di San Giuseppe», per gli artigiani (MB 6, 190). Queste compagnie si sono rivelate come «par te vitale del sistema preventivo» (Don Renato Ziggiotti) e hanno conosciuto nelle case sale siane periodi di grande splendore, in Italia co me all’estero (MB 10, 1103). In anni recenti di crisi per effetto delle profonde trasforma zioni sociali sono praticamente scomparse e stentano ad essere sostituite da nuovi organi smi associativi in cui potrebbero rivivere. Nella diapositiva un dipinto del Caffaro Rore (Valdocco, chiesa di san Francesco di Sales) raffigurante san Domenico Savio che pronun cia la promessa insieme con i soci della «Com pagnia deH’Immacolata». DB 2,163 La parolina all’orecchio Come dono di prima Messa Don Bosco aveva chiesto al Signore quello della parola. E pare 88 che l’abbia pienamente ottenuto. L’efficacia nelle conferenze e la vivacità nella predicazio ne, il consiglio in confessione e in cortile, la parolina all’orecchio per i suoi ragazzi ne so no la prova. Sempre circondato dai ragazzi, sempre pieno di battute e trovate per tenerli allegri, ogni tanto Don Bosco si chinava sull’uno o sull’al tro e mormorava qualche frase tutta per lui. Essenziale, capace di cogliere una situazione e di stimolare a capovolgerla (MB 6, 415). Sono state raccolte alcune di queste «paroline all’orecchio». Da ciascuna è facile — e sugge stivo — risalire alla situazione di coloro che se la sentivano rivolgere (ivi, 416.418.420). Per esempio: «Come stai?». E poi precisava: «E di anima, come stai?». Oppure: «Dovresti aiutarmi in una grande impresa. Sai quale? Nell’impresa di farti buono!». O queste altre: «Quando vuoi che rompiamo le corna al dia volo con una buona confessione?». «Il para diso non è fatto per i poltroni». «Non fidarti troppo delle tue forze». «Pensa a Dio, e sarai più buono e contento». «Ricordati bene: Dio ti vede!». «Puoi dormire tranquillo questa not te? Se morissi questa notte, saresti tranquil lo?». «Lavoriamo, lavoriamo, ci riposeremo in paradiso». «Coraggio, un pezzo di paradiso aggiusta tutto!» (MB 10, 9). Era interessante osservare le fisionomie dei ra gazzi subito dopo: «...alcuni apparivano sor ridenti, altri serissimi, altri diventavano ros si fino alla radice dei capelli, qualcuno si met teva a piangere, qualche altro si ritirava a pas seggiare pensieroso, alcuni gridavano di gioia e correvano a giocare...» (MB 17, 111). Dicono ancora i suoi biografi che le paroline di Don Bosco all’orecchio erano come l’eco della parola di Dio: viva, efficace e più affila ta di una spada a due tagli. Nella diapositiva: particolare di un dipinto del Crida (nella sacrestia della basilica di Maria Ausiliatrice, a Torino). L’immagine rappre senta la confessione, ma anche la parolina fat ta risuonare nell’orecchio di un giovane men tre si divertiva in cortile. In casi più gravi Don Bosco scriveva questa parolina sopra un biglietto che poneva sotto il cuscino del letto di un giovane. DB 2,164 Lo sguardo di Don Bosco Don Giovanni Francesia, uno dei primi Sale siani, ha raccontato che una notte, quando era ancora ragazzo, uno dei suoi compagni freme va, sospirava e mordeva le lenzuola. «Che co s’hai?». gli domandò. «Don Bosco mi ha guar dato!». «E con questo?» — gli replicò France sia —. Cosa c’è di strano che Don Bosco ti ab bia guardato?». «Mi ha guardato in un certo modo», rispose l’altro. E riprese a gemere sconsolato (MB 6, 423; 8, 619). «Lo sguardo suo — ricordarono i ragazzi di Don Bosco divenuti adulti — era dolce, ma vi vo e penetrante, in modo che ogni volta che il suo occhio si posava su qualcuno di noi, si rimaneva come perplessi e in visibile soggezio ne, quasi che si intuisse che egli ci leggeva nel profondo dell’anima» (MB 6, 2). «Quel che in Don Bosco più spiccava era lo sguardo, dolce ma penetrantissimo fino nella profondità del cuore, a cui appena si poteva resistere fissandolo. L’occhio suo attirava, at terriva, atterrava... Nel mio giro del mondo non conobbi persona che più di lui mi s’im ponesse con lo sguardo. In genere nei ritratti e nei quadri era impossibile riportare questa singolarità» (un anziano sacerdote exallievo, ivi). «Spesso un suo motto, un sorriso, accompa gnato dallo sguardo fisso, valeva una doman da, una risposta, un invito, un discorso inte ro». I pochi scapestrateli! dell’Oratorio si sen tivano nei pasticci: «Alcuni ragazzi, non aven do il coraggio di sopportare il suo sguardo, cercavano di sottrarsi alla presenza di Don Bo sco...». «Quando Don Bosco tornava da qual che viaggio, i ragazzi gli correvano incontro e si stringevano a lui pieni di gioia; ma qual cuno restava indietro, lontano dagli altri... Questo era segno che aveva qualcosa da na scondere a Don Bosco». Ancora una testimonianza: «Lo sguardo di Don Bosco! Quello sguardo non era soltanto umano, aveva in sé qualcosa di soprannatu rale e di celestiale... Nelle poche visite che ci faceva, quando nel cortile ci rivolgeva la pa rola, a noi non era necessario di far ressa per avvicinarci a lui: ci sentivamo sotto l’influsso di quel suo sguardo potente e suggestivo, che tutti indistintamente carezzava. Uno sguardo che soltanto una madre amorosa sa e può ri volgere alla propria creatura. Uno sguardo che penetrava diritto fino a raggiungere l’in timo del cuore. Uno sguardo parlatore, pro prio parlatore, che sapeva interrogare la no stra coscienza. E non era l’impressione di un momento; quello sguardo rimaneva fisso e so vrano in noi, nel nostro cuore, nel nostro ani mo, e non era più possibile obliarlo» (Exallie vo di Lanzo, MB 14, 37). La diapositiva: particolare di un dipinto del Caffaro Rore. DB 2,165 I sogni di Don Bosco C’era un’apparente contraddizione in Don Bo sco: uomo di estremo realismo e senso prati co, credeva nei sogni. Li raccontava, li com mentava, si affidava alle loro indicazioni. E quanti vivevano accanto a lui, prestavano fe de anch’essi ai suoi sogni, li raccolsero parola per parola, li trascrissero, li pubblicarono. Nella sua monumentale biografia in venti vo lumi, ne sono raccontati almeno 135. Il primo di essi, il famoso sogno dei «nove an ni», è stato considerato da Don Bosco stesso come determinante riguardo alla sua missio ne. Altri sogni avevano come argomento i suoi ragazzi, altri erano ricchi di insegnamenti mo rali, altri vertevano sulla sua opera nel mon do e sui suoi sviluppi, altri sulla Chiesa... Don Bosco credeva nei sogni? In diverse cir costanze fu indotto a pronunciarsi sul proble ma. Dalle sue parole si può ricavare un certo scetticismo iniziale («Non bisogna badare ai so gni. Li attribuivo a scherzi della fantasia»). «Nei primi anni io andava a rilento nel pre stare credenza a quei sogni... Ma i fatti dava no ragione ai sogni, allora più non esitai a cre 89 dere fermamente che quei sogni fossero avvi si del Signore» (MB 5, 376s). Ancora un dubbio però lo assillava: faceva be ne a raccontarli? Si consigliò con Don Cafasso, e il suo santo confessore rispose: «Dal mo mento che quanto dite si avvera, potete stare tranquillo e continuare» (MB 2, 412). Pio IX fece di più: gli ordinò di metterli per iscritto (MB 5, 882). Don Bosco ritenne i suoi sogni un efficace mezzo di formazione (MB 5, 376; 10, 42). I sogni rimangono uno degli aspetti enigmati ci della figura di Don Bosco. Nella diapositi va è raffigurato il «Sogno di Lanzo», in cui Do menico Savio apparve a Don Bosco nella feli cità del cielo (Dipinto di G. Crida nel salone «Don Puppo» del collegio di Lanzo Torinese). DB 2,166 La vocazione: Seminario di Giaveno II seminario di Giaveno, presso Torino (nella foto), è un esempio dell’impegno di Don Bo sco per le vocazioni. Quel seminario in tre se coli aveva reso ottimi servizi al clero piemon tese, ma ora languiva al punto che nel settem bre 1860 contava un solo alunno e stava per essere assorbito dal Comune. In previsione, era stato svuotato di mobili e attrezzature. Ul tima risorsa per salvarlo era ricorrere a Don Bosco. Ed egli vi mandò i suoi Salesiani e i suoi allievi: 150 alla fine del primo anno, 240 nel secondo. Ormai le cose andavano bene, e Don Bosco... fu messo da parte. Ma non ci pianse sopra: il suo dovere verso la diocesi l’aveva fatto. La sua vocazione sacerdotale era stata impe riosa ma difficilissima da realizzare, e forse proprio per questo egli divenne un esperto, an zi un appassionato di vocazioni. Visse il pro blema della «scelta dello stato» (come si dice va allora) nella sua forma più completa e ma tura. Cercava cioè di chiarire anzitutto quale fosse il bene del singolo ragazzo per orientar lo verso la realizzazione di un suo progetto di vita in armonia con attitudini e inclinazioni. Di fatto suscitò e orientò un numero grandis simo di vocazioni sacerdotali e alla vita reli 90 giosa. La confessione, la direzione spirituale, il colloquio confidenziale erano i momenti de cisivi per trattare con i ragazzi «gli affari del l’anima». Nella sua esperienza quotidiana si persuase che di fatto Dio «chiama» un nume ro di giovani molto elevato, e solo circostanze esterne sbagliate impediscono a queste voca zioni di realizzarsi. Stimolava lo zelo per le vo cazioni e affermava: «...semenzaio di vocazio ni sono l’Oratorio e l’ospizio», tanto che le au torità laiche definivano malignamente l’Oratorio di Don Bosco «l’officina dei preti». Egli diceva ai Salesiani e ai direttori: «Fate il possibile e l’impossibile per coltivare le voca zioni» (MB 14,133). E per i genitori afferma va solennemente: «Quando un figlio abbando na i genitori per obbedire alla vocazione, Ge sù Cristo prende il suo posto nella famiglia» (MB 9, 704). Resta da aggiungere, per spiegare le tante vo cazioni da lui condotte a buoni risultati, il fa scino che usciva dalla sua stessa vocazione pie namente realizzata. Egli diventava un model lo da imitare; il suo modo di essere «uomo di Dio» e «apostolo dei giovani» ha avuto un pe so determinante nella nascita e sviluppo di quella realtà imponente e suggestiva — un pic colo pezzo di Chiesa —che oggi va sotto il no me di Famiglia Salesiana: i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice e numerose altre congre gazioni minori, gli istituti secolari, i Coope ratori Salesiani, gli Exallievi e tanti amici e simpatizzanti dell’opera sua che vivono in stile salesiano. DB 2,167 La devozione e l ’amore al papa Don Bosco fu incondizionatamente dalla par te del Papa. Diceva: «In fatto di religione io sto con il Papa, e con il Papa intendo rimane re da buon cattolico fino alla morte» (MB 1, 12; 2, 332). Diceva: «Ogni desiderio del pa pa, per me è un comando» (MB 14,577). Que sto atteggiamento aveva in lui una motivazio ne teologica semplice e solida: «I vescovi ci uni scono al Papa e il papa ci unisce a Dio». Per- dò il suo programma: «Tutto col Papa e aman do 0 Papa». Fu sovente a Roma (19 volte) in visita ai suoi due papi: Pio IX e Leone Xm. Negli anni bur rascosi del Risorgimento fu uomo di fiducia in molte trattative fra Pio IX e il governo ita liano. Manifestò per lettera al Papa previsio ni di avvenimenti (MB 6, 481). Nel 1870 con sigliò Pio IX di non lasciare Roma, e a chi lo sollecitava il Papa rispose: «Attendiamo la ri sposta di Don Bosco» (MB 9,923; 10,66). L’a more al Papa a Valdocco era tenuto desto dalle «Letture Cattoliche» e dalla narrazione delle vite dei Papi. Ai suoi giovani parlava sovente del Papa, e in un momento difficile scrisse una lettera assi curando al Pontefice un omaggio di comunio ni e di preghiera dei suoi giovani (MB 13,748). Quando il Papa riparò a Gaeta, fece una col letta tra i suoi giovani e mandò al Pontefice 33 lire (MB 3, 508). Soleva dire ai suoi Sale siani: «Scopo principale della Società Salesia na è sostenere l’autorità del Papa» (MB 7, 386). Un giornale anticlericale del tempo lo defini va il «Garibaldi del Vaticano», e scrisse: «In Don Bosco l’arte di innamorare del Papa è tut to: in ciò vale mille maestri clericali e mille giornalisti cattolici». Don Bosco fu riamato dai Papi e ricambiato con segni di delicata premura. Pio IX volle es sere il primo della lista dei Cooperatori, e Leo ne XIII nel 1884, vedendolo malfermo in sa lute, lo fece sedere e gli comandò di curarsi: «Io lo voglio e ve lo comando», e dando sfogo al sentimento gli confidò: «Io vi amo, io vi amo!». Sul letto di morte, al cardinale Alimonda dis se: «Eminenza, l’ho detto a mons. Cagliero che lo dica al Santo Padre, che i Salesiani sono per la difesa dell’autorità del Papa dovunque la vorino, dovunque si trovino». La fedeltà di Don Bosco al Papa è stata ricom pensata. La sua statua si trova nella basilica di San Pietro, in una nicchia proprio sopra la famosa statua di san Pietro raffigurata nella diapositiva. DB 2,168 II sistema preventivo I ragazzi (e lo dimostra il simpatico quadro delle camerette nella diapositiva), si ammas savano attorno a Don Bosco, perché egli tra l’altro aveva escogitato il metodo giusto per educarli. Lo chiamò «sistema preventivo». Se ne interessarono vescovi, educatori e pedago gisti. Lo stesso ministro della guerra ne ave va chiesto informazioni (MB 7, 812), e il mi nistro Rattazzi, nel 1854, domandò a Don Bo sco se si poteva introdurre nelle scuole dello Stato e nelle case di pena (MB 6, 265). Nel 1877, mentre si trovava in Francia, lo pre garono di mettere per iscritto le sue idee, ed egli compose un «trattatello» breve ma prezio so (cf MB 13, 918-923). Tra l’altro vi si legge: «Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell’e ducazione della gioventù: preventivo e repres sivo. Il sistema repressivo consiste nel far co noscere la legge ai sudditi, poi sorvegliare per conoscere i trasgressori e infliggere, ove sia d’uopo, il meritato castigo... Diverso, direi op posto, è il sistema preventivo. Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del direttore o degli assistenti che, co me padri amorosi, parlino, servano di guida a ogni evenienza, diano consigli e amorevol mente correggano... Che è quanto dire: met tere gli allievi nell’impossibilità di commette re mancanze. Questo sistema si appoggia so pra la ragione, la religione e sopra l’amore volezza. D direttore, pertanto, deve essere tut to consacrato ai suoi educandi... Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a pia cimento. La ginnastica, la musica, la declama zione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi ef ficacissimi... La frequente confessione, la fre quente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edifìcio edu cativo da cui si vuole tenere lontano la minac cia e la sferza... L’educatore fra gli allievi cer chi di farsi amare, se vuol farsi temere. In que sto caso la sottrazione di benevolenza è un ca91 stigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai. Presso ai giovanetti è casti go quello che si fa servire per castigo...». Don Bosco diceva: «Che i giovani non solo sia no amati, ma che essi stessi conoscano di es sere amati» (MB 17,110; 6,302). È tipico l’e pisodio dei due spazzacamini che si misero a litigare perché ognuno dei due si vantava di essere il più amato da Don Bosco (MB 3,172). DB 2,169 Don Bosco prega davanti alla Madonna Il 29.10.1935 Giovanni Bosco, vent’anni, sta va preparando il baule per entrare in semi nario. Mamma Margherita gli si avvicinò, e dopo un attimo di esitazione: «Quando sei na to, ti ho consacrato alla Madonna. Quando hai cominciato gli studi, ti ho raccomandato di vo ler bene a questa nostra Madre. Ora ti racco mando di essere tutto suo, Giovanni». E lui, il futuro apostolo dell’Ausiliatrice: «Di queste parole farò tesoro per tutta la vita» (MB 1, 373). Fu davvero così. «Dopo Gesù — ha scritto il suo biografo Don Lemoyne —, il suo tenero amore era per la Madonna, di cui professava una devozione filiale, che cercava di inculca re a tutti, nelle prediche, in confessione, nei discorsi familiari, con una tenerezza che gli fa ceva trasparire dal volto il sentimento che riempiva il suo cuore». La devozione maria na era in capo ai suoi pensieri (MB 2, 212). «Non lasciava passare una sua festa senza ce lebrarla solennemente; nelle novene e feste principali, come in tutto il mese di maggio, parlava ogni sera di una virtù o prerogativa di lei, narrava di una grazia ottenuta, consi gliava un atto di ossequio... (MB 1, 407; 2, 212). Erano suoi detti: «Maria SS. fu sempre la mia guida» (MB 5,155). «Io ho riposto in lei la mia fiducia» (MB 1, 243). «La devozione alla Ma donna è la nostra salvezza» (MB 7,293). «Nul la si deve fare all’Oratorio fuorché nel nome della Madonna» (MB 5, 439). «Come ci vuole bene la Madonna!» (MB 13, 547). 92 La diapositiva presenta un quadro del Rolli ni, dipinto nel 1886, vivente Don Bosco, e ora nella cappellina del Museo accanto alle «ca merette». Esprime assai bene l’atteggiamen to del Santo verso la Madre di Dio. DB 2,170 Santuario di Oropa Don Bosco nutriva un affetto speciale per i santuari consacrati alla Madonna. In primo luogo per quello della Consolata a Torino, do ve si recava sovente dal Convitto e da Valdocco, da solo o con i suoi giovani. Nella foto vediamo 0 celebre santuario di Oro pa, un grande edificio con una devota chiesa, fondato da sant’Eusebio fra i monti. In esso si recava, secondo il suo costume, quando do veva mettere mano a un’impresa importante; colà si ritirava alcuni giorni per invocare, con tutta l’espansione della sua anima, il mater no aiuto della Madonna (MB 4,264). Nel 1863, dovendo fondare il suo primo collegio fuori Torino, quello di Mirabello, si recò ad Oropa per raccomandare alla Madonna questa fon dazione. Di là scrisse ai suoi ragazzi dell’Oratorio: «Se voi, o miei cari figliuoli, vi trovaste sopra que sto monte ne sareste certamente commossi... Vi è un continuo andirivieni di gente. Chi rin grazia la Santa Vergine per grazie da lei otte nute, chi domanda di essere liberato da un ma le spirituale o temporale, chi prega la Santa Vergine che l’aiuti a perseverare nel bene, chi a fare una santa morte. Giovani e vecchi, ric chi e poveri, contadini e signori, uomini, don ne, studenti si vedono continuamente in gran numero accostarsi ai Santi Sacramenti e an dare ai piè d’una stupenda statua di Maria SS. per implorare il celeste di lei aiuto. Ma in mezzo a tanta gente il mio cuore pro vava un vivo rincrescimento. Perché? Non ve deva i miei cari giovani... perché non posso avere i miei figli qui, condurli tutti ai piè di Maria, offrirli a Lei, metterli tutti sotto alla potente di Lei protezione... Per trovare un conforto al mio cuore sono andato dinanzi al prodigioso altare di Lei e le ho promesso che giunto a Torino, avrei fatto quanto avrei po tuto per insinuare nei vostri cuori la devozio ne a Maria» (MB 7, 498). DB 2,171 La benedizione di Maria Ausiliatrìce e la medaglia della Madonna Don Bosco fu dotato abbondantemente di do ni soprannaturali. AU’Oratorio, soprattutto durante il mese di maggio, il via vai degli am malati e dei loro parenti era continuo; ad essi Don Bosco riservava attenzione premurosa e qualche volta riusciva ad ottenerne anche la guarigione. La diapositiva, ricavata da un disegno a car boncino di Carpanetto, ricorda la miracolosa guarigione di una bambina cieca, Maria Stardero di Vinovo, di dieci-dodici anni, avvenu ta davanti a testimoni degni di fede. Accom pagnata dalla mamma, la bambina ricevette la benedizione di Maria Ausiliatrice imparti tale da Don Bosco e subito «vide» tra le mani del Santo la medaglietta che egli le presentava. Questo e molti altri episodi testimoniano la fe de straordinaria di Don Bosco nella Madon na, e il rapporto che era riuscito a stabilire con la Madre di Dio. Solo il modo con cui impartiva la benedizione impressionava gli astanti: «Pareva —testimo nia Don Albera — che si trasfigurasse». Questa fama continuava a diffondersi, e la gente veniva sempre più numerosa a ricevere quella che egli chiamava la «benedizione di Maria Ausiliatrice». Ma la gente aveva capi to bene come stavano le cose, e chiamava Ma ria Ausiliatrice la «Madonna di Don Bosco». Don Bosco però non ne voleva sapere di esse re considerato un guaritore e avvertiva sem pre: «Non è da me che dovete aspettarvi la be nedizione ma da Dio solo, mediante il poten tissimo aiuto di Maria Ausiliatrice». DB 2,172 I fioretti della Madonna ai giovani Nell’Archivio Centrale salesiano si conserva un singolare quaderno di Don Bosco. In for mato grande (cm 20x30), raccoglie dati sul l’andamento dell’Oratorio tra il 1853 e il ’58: rette mensili pagate, conti saldati con i credi tori, voti di profitto e di condotta. Poi, come mostra la diapositiva, ha una sezione con le pagine in gran parte tagliate via; e la parte ri masta, porta in cucitura dei nomi: i nomi dei 573 fra ragazzi e adulti che allora abitavano a Valdocco. legata a quelle pagine mutile c’è la storia dei «fioretti della madonna» (cf MB 7, 2-10). La vicenda occupò la mente di Don Bosco per diversi giorni. Una notte, volendo scrìvere il messaggio del la Madonna ai singoli giovani, prese questo re gistro (il primo quaderno che gli capitò tra le mani) e nelle pagine bianche su ogni riga scris se un nome con accanto il pensiero spirituale. La prima sera dell’anno 1862, dal pulpitino della buona notte, in un profondo silenzio, an nunciò ai ragazzi «una strenna particolare, meravigliosa, straordinaria», che avrebbe dato a ciascuno di loro. «La strenna che vi do non è mia — disse —. Che ne direste se la Madonna stessa in perso na venisse a uno per uno di voi a dirvi una pa rola?... Ebbene, la cosa è appunto così. La Madonna dà a ciascuno una strenna». E do po aver aggiunto altre raccomandazioni, con cluse: «Venite dunque in mia camera, e darò a ciascuno il proprio biglietto». I ragazzi nei giorni seguenti non si fecero pregare... Sul grande quaderno, accanto ai 573 nomi si potevano leggere «sentenze, o motti, o avvisi che si vogliano chiamare, intorno a cose da praticarsi, o da fuggirsi, adatti al bisogno di ciascuno». I ragazzi tornavano con la sua stri sciolina di carta, alcuni felici, altri assorti e pensierosi, qualcuno in lacrime... Certe sentenze o avvisi contenevano tiratine d’orecchi, e non stupisce che qualche ragazzo discolo non abbia avuto il coraggio di presen tarsi a Don Bosco. Tredici striscioline sono in fatti rimaste attaccate al quaderno. Di altre 48 poi si è riusciti a ricuperare il contenuto. Dice lo storico che «grandissima fu l’impres sione che destò questa strenna, e il bene che produsse non si può immaginare». 93 DB 2,173 Le immagini di Maria Ausiliatrice con giaculatoria «Don Bosco — ha scritto il biografo Lemoyne — portava sempre con sé delle medaglie e im magini di Maria Ausiliatrice, che distribuiva largamente ai grandi e ai piccoli, raccoman dando di portarle addosso e di invocare ogni giorno la protezione della Madre di Dio». Le distribuiva ai giovani che gli servivano la Messa (MB 10, 1346) le includeva nelle lette re che spediva (MB 13, 851-854) le distribui va abbondantemente nelle feste della Madon na e con esse inculcava la fiducia nella Ma donna (MB 9, 234). Su queste immagini che recavano la bella ef figie di Maria Ausiliatrice, egli scriveva qual che pensiero e giaculatoria, per esempio: «Ma ria sia madre, maestra e guida al cielo». «O Maria, siate la salvezza mia». «Maria sia per te e per i tuoi aiuto in vita, soccorso nei peri coli, sollievo in morte, gaudio in cielo» (MB 18, 861). Il 19.12.1887, quaranta giorni prima di mo rire, scrisse ancora pensieri dietro immaginette di Maria Ausiliatrice. Dopo due frasi trac ciate con grafia appena intelligibile si lamen tò con don Vignoletti che l’assisteva: «Ma sai che non so più scrivere?». Però volle continua re perché, disse, «questa è l’ultima volta che scrivo». Il penultimo pensiero che tracciò era una quartina popolare: «O Vergine pia, l’aiuto tuo forte / dà all’anima mia / in punto di morte» (MB 18, 484-486). DB 2,174 Don Bosco scrittore al suo tavolo Questa foto di Don Bosco seduto alla scriva nia mentre impugna la penna, esprime uno de gli apostolati che gli furono più cari. Don Bo sco si rivelò versatile nei generi più vari, dal l’articolo di giornale al libro, dalla biografia alla storia, dall’agiografia al teatro, dalla di vulgazione scientifica a quella religiosa e al l’apologetica. E pur divorato dalle preoccupa 94 zioni e dal lavoro, passava anche parte della notte a scrivere. Tutti i suoi scritti rivelano a chiare lettere i suoi scopi di sacerdote educatore, le sue fina lità apostoliche, gli interessi della Società Sa lesiana da lui fondata. La pur minima pagina uscita dalla sua penna ha l’unico intento di fa re del bene a chi legge o di istruire sulle veri tà della fede: una missione quindi di bontà e di catechesi. E fu autore molto letto, ricercato, ristampa to, con tutta una serie di invidiabili «best sellers». Come giornalista e come editore, a 34 anni ten tò la via del giornale (è del 1849 l’«Amico del la gioventù, giornale politico-religioso» dura to appena otto mesi). Lanciò collane e «biblio teche»: la «Biblioteca della gioventù», con 204 titoli, superò di molto la tiratura di un milio ne di volumi. Lanciò periodici come le «Let ture cattoliche» per istruire il popolo; per la sua famiglia spirituale inventò l’informazio ne salesiana: nel 1867 avviò le «Lettere circo lari», e nel 1877 il «Bollettino Salesiano». Poi da autore si trasformò in editore, con scel te di chiara modernità. Richiamiamo la cir colare del 1885 per la diffusione di buoni li bri: «Vi prego e vi scongiuro di non trascura re questa parte importantissima della nostra missione». La ristampa delle sue «Opere edite» compren de 37 grossi volumi, che raccolgono 1174 suoi scritti di varia natura. La sua fu una produzione enorme, ma ben fi nalizzata: la difesa della verità cattolica, e de stinata a un pubblico ben identificato: la gio ventù,' e i ceti popolari. DB 2,175 La «Storia sacra» e la «Storia ecclesiastica» Don Bosco non era soddisfatto dei libri stori ci circolanti allora per i ragazzi, che trattava no le vicende del Popolo Eletto o le vicende del la Chiesa. Lamentava in loro «mancanza di popolarità, fatti inopportuni, questioni lunghe o fuor di tempo». Di sicuro non li trovava adat- ti ai ragazzi del suo oratorio, alcuni «del tutto ignari persino dell’Ave Maria». Certi fatti poi in qualche libro erano esposti in modo da met tere «a pericolo la moralità dei giovanetti». Non solo, ma sovente i testi erano pieni di «dis sertazioni polemiche» mentre dimenticavano di mettere in evidenza gli aspetti positivi: le verità della fede, il vero culto, i novissimi, i sacramenti... A tutte queste lacune Don Bosco pensò di provvedere con libri suoi. Nel 1845 pubblica va una «Storia Ecclesiastica» (MB 2,328-334) in vendita a lire 1,20 la copia. Il suo intento educativo era dichiarato nella prefazione: «I fatti... poi che mi parvero più teneri e com moventi, li trattai più accuratamente, notan done con particolarità le circostanze, affinché non solo l’intelletto venga istruito, ma il cuo re resti spiritualmente commosso». L’opera fu trovata molto adatta alla gioventù, per l’ocu lata scelta dei fatti, per la facilità dello stile, per la cautela nelle espressioni. E fu largamen te diffusa nelle scuole. Due anni più tardi, nel 1847, Don Bosco pub blicò la «Storia Sacra» (MB 2, 393-399) a lire 1,15 la copia (e dato il buon smercio, il prez zo nelle edizioni successive scenderà a lire una). Per assicurarsi che il testo fosse com prensibile da tutti, Don Bosco aveva fatto leg gere il manoscritto al portinaio del Convitto Ecclesiastico, e lo aveva opportunamente cor retto (MB 2, 392). Il libro era una risposta implicita a coloro che accusavano i cattolici di non leggere la Bib bia. Con la «Storia Sacra» di Don Bosco, ora anche i ragazzi avevano una guida sicura alla comprensione delle Scritture. Dal 1847 per 20 anni la storia ecclesiastica fu l’argomento delle prediche domenicali (MB 2, 433). DB 2,176 II «Giovane Provveduto» Il primo «best seller» di Don Bosco, pubblica to nel 1847, fu «Il giovane provveduto per la pratica dei suoi doveri». L’editore Paravia ne tirò 10.000 copie, ma subito dovette aggiun gere altre due tirature di cinquemila ciascu na. Ed era solo l’inizio del «boom», perché presto le tirature salirono a 50.000 copie per volta. Vivente Don Bosco si contarono 122 edi zioni, per oltre sei milioni di copie. Senza con tare le traduzioni (MB 3, 89). Motivi del successo? In parte anche il basso costo: lire 0,90 per l’opera «rilegata ma senza oro sui fogli», e lire 1,30 se «a piena pelle e pieno oro»... Ma il successo è legato alla scel ta indovinata delle proposte fatte da Don Bo sco ai giovani. Le riflessioni, i canti ecc. E in primo luogo l’introduzione a sua firma, vero e personalissimo messaggio ai giovani. Nell’introduzione invitava i giovani a evitare l’impressione sbagliata «che il servire al Signo re consista in una vita melanconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è così, cari giovani. Io voglio insegnarvi un metodo di vi ta cristiana che vi possa nel tempo stesso ren dere allegri e contenti, e additarvi quali siano i veri divertimenti...». Tale è appunto lo sco po di questo libretto: servire al Signore e sta re sempre allegri». E concludeva: «Miei cari, io vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani perché io vi ami assai. E vi posso accertare che troverete libri proposti da persone di gran lunga più vir tuose e più dotte di me, ma difficilmente po trete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cri sto, e che più desideri la vostra vera felicità» (OE 185, 188). Con questi messaggi, il Giovane Provveduto diventò carissimo a tanti ragazzi (e non solo a quelli delle sue opere). I ragazzi andavano in giro col libro nella tasca della giacca, an dando a dormire lo posavano sul comodino o sotto il cuscino. Se ne servivano per pregare in tutte le circostanze, perché in quelle pre ghiere «si ritrovavano». Domenico Savio in punto di morte chiamò il babbo: «Eccomi — gli rispose —. Figlio mio, che ti abbisogna?». «Mio caro papà, è tempo. Prendete il mio Giovane Provveduto e legge temi le preghiere della buona morte»... 95 DB 2,177 Vite di giovani modello: Savio, Magone, Besucco Tre biografie. Don Bosco avrebbe voluto scri verne di più, perché voleva bene ai suoi ra gazzi, perché quelli meritatevoli di biografia di fatto erano numerosi, e diceva di san Lui gi, ce ne sono tanti anche all’Oratorio e per ché quei profili facevano bene agli altri ragazzi. Domenico Savio era morto nel 1857, e meno di due anni dopo, aU’inizio del ’59, usciva la sua biografia (numerose volte poi arricchita da Don Bosco e ristampata). Era una rispo sta ai suoi ragazzi: «Voi mi avete più volte do mandato di scrivere qualcosa intorno al vostro compagno Savio Domenico» (MB 6,143; Opere edite p. 157). Ed era un invito a imitarlo: «Cominciate a trarre profitto da quanto vi verrò descriven do; e dite in cuor vostro ciò che diceva sant’Agostino: Si ille, cur non ego?... Davanti a qualche cosa degna di ammirazione, non con tentatevi di dire: questo bello, questo mi pia ce. Dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle cose che, lette di altri, mi eccitano alla meraviglia». Nello stesso 1859, a settembre, uscivano i «Cenni biografici sul giovanetto Magone Mi chele, allievo dell’Oratorio...» (MB 6, 999). Si gnificativa la prefazione: «Tra quelli di voi, giovani carissimi, che ansiosi aspettavano la pubblicazione della vita di Savio Domenico, eravi il giovanetto Magone Michele... Se non che poté leggere appena alcune pagine, per ché il Signore ponendo fine alla sua vita mor tale chiamavaio... a godere la pace dei giusti in compagnia dell’amico di cui intendeva far si imitatore». E anche lui Don Bosco proponeva come mo dello: «Un giovanetto che abbandonato a se stesso era in pericolo di cominciare a battere il tristo sentiero del male, ma che il Signore invitò a seguirlo. Ascoltò egli l’amoroso co mando, e costantemente corrispondendo...». Cinque anni più tardi, nel luglio 1864, uscì la 96 terza biografia: «Il pastorello delle Alpi, ov vero vita del giovane Francesco Besucco» (MB 7, 684-687). In apertura portava il ritratto del ragazzo, e un suo pensiero: «Io muoio col rin crescimento di non aver abbastanza amato Id dio come si meritava». Nella prefazione Don Bosco si presentava ai ragazzi come «un padre che parla di un figlio teneramente amato; un padre che dà campo ai paterni affetti mentre parla ai suoi amati figli». E intendeva «istruirli nella pratica del le virtù, di cui Besucco si rese modello. Leg gete dunque, o giovani carissimi. E se nel leg gere vi sentirete mossi a fuggire qualche vizio o a praticare qualche virtù, rendetene gloria a Dio...». Queste tre biografie, pubblicate «a cura del sa cerdote Bosco Giovanni» (che era poi il modo antico di qualificarsi per autore), ebbero straordinaria efficacia sui giovani. E ancora oggi sono oggetto di studio, come esempio di valida pedagogia. Don Bosco con il «Giovane provveduto» ave va scrìtto per insegnare ai giovani a pregare, con le vite dei giovani modello rivolgeva un caldo invito a vivere secondo quei luminosi modelli. DB 2,178 La «Storia d ’Italia» Certi manuali di storia che circolavano allora nelle scuole italiane erano — secondo il giudi zio di Giuseppe De Maistre — «una permanen te congiura contro la verità». I ragazzi impa ravano dai testi vere calunnie contro la Chie sa, ed errori sui Papi fatti apparire come ne mici dell’Italia e una minaccia alla nazione. Don Bosco cercò di riparare a errori e lacune con un libro che mettesse in evidenza l’opera civilizzatrice svolta dalla Chiesa e dai papi in Italia. Il volume uscì nel 1856 col titolo «Sto ria d’Italia raccontata alla gioventù», ed eb be accoglienza molto favorevole (MB 5, p. 494-497). La «Civiltà cattolica», precisato «lo scopo che l’autore si propone, che è di insegnare la sto ria patria ai giovanetti italiani con facilità», affermava che ¡1 libro nel suo genere non ha forse pari in Italia» (MB 6,294; 7, 250). Nico lò Tommaseo: «Ecco un libro modesto che gli eruditi... degnerebbero forse appena di uno sguardo, ma che può nelle scuole adempiere gli uffici della storia meglio assai di certe ope re celebrate. L’abate Bosco... presenta la sto ria tutta d’Italia nei suoi fatti più memoran di, sa sceglierli, sa circondarli di luce assai vi va...» (MB 6, 291-3). Il ministro della Pubblica Istruzione Giovan ni Lanza assegnò al libro un premio di lire mil le, e fece sapere a Don Bosco che l’avrebbe adottato per le scuole se avesse modificato il testo in alcuni punti. Don Bosco però non ne volle sapere (MB 5, p. 503-505). Il libro fu invece apertamente criticato dagli ambienti e dai giornali anticlericali. Del resto usciva in un periodo in cui Don Bosco era te nuto in sospetto, e sottoposto dalle autorità di polizia a visite domiciliari. Le sue prime tre edizioni furono stampate da Paravia, poi dal 1863 nella tipografìa dell’Oratorio. In Gran Bretagna se ne fece una tra duzione all’insaputa dell’autore. In Italia co stava lire 2,50 la copia, e lire 3,50 nell’edizio ne regalo. DB 2,179 Le «Letture Cattoliche» Nel 1848 re Carlo Alberto con lo Statuto ave va concesso nuove libertà civili, e i nemici della religione ne approfittarono non solo per dif fondere le loro idee, ma per attaccare la Chie sa Cattolica. Con libri e opuscoli diffamatori, e largamente distribuiti nelle famiglie, insinua vano l’errore. I cattolici, colti di sorpresa, non riuscivano a opporsi, ma Don Bosco allora cominciò a pub blicare foglietti con stile semplice e chiaro, in cui ribadiva le verità della fede, incontrando il gusto dei lettori. Non aveva certo peli sulla lingua. «Tutti colo ro che perseguitarono la Chiesa nei tempi pas sati — scriveva per esempio — non esistono più; ma la Chiesa esiste tuttora. Tutti quelli che perseguitano la Chiesa oggi, di qui a qual che tempo non ci saranno più; ma la Chiesa ci sarà sempre. Dio ha impegnato la sua pa rola e la proteggerà fino alla fine del mondo». Allora — era il 1853 — d’intesa col vescovo d’Ivrea cominciò a pubblicare degli opuscoli mensili in stile popolare e di costo molto eco nomico, intitolati «Letture Cattoliche» (MB 4, 532). Difendevano la verità cattolica dalle in sinuazioni dei nemici e andavano a ruba, e essi se l’ebbero a male. Cercarono di farlo smettere. Prima con offerte in denaro. Poi con minacce. Poi con attenta ti: lo presero a bastonate (MB 4, 704), cerca rono di avvelenarlo (BB 6, 697), perfino gli spararono un’archibugiata. Fu in quegli anni che un misterioso cagnaccio, il Grigio, si mi se dalla sua parte e in varie occasioni lo salvò dall’incontro con delinquenti prezzolati. Ma le «Letture Cattoliche» continuarono a usci re. Due milioni di copie lui vivente, 9.200.000 copie al traguardo del mezzo secolo. Con quei titolo durarono più di un secolo; poi nel 1954 furono sostituite dal mensile «Meridiano 12» (il meridiano che passa per Roma), e ora rivi vono nella collana popolare «Mondo Nuovo». DB 2,180 II «Bollettino Salesiano» I suoi amici aumentavano sempre più di nu mero, e Don Bosco aveva un serio problema: come comunicare con loro, come coordinare le tante attività. All’inizio dell’estate 1877 egli stava correggendo le bozze di una piccola pub blicazione della sua libreria intitolata «Il bi bliofilo cattolico», quando gli venne un’idea. E subito la comunicò in buon piemontese al salesiano incaricato della pubblicazione: «Vo glio che facciamo qualcosa d’importante!». L’idea era di trasformare quelle poche pagi nette in una rivista di informazioni salesiane, modesta ma funzionale: il Bollettino Salesia no. Il primo numero uscì nell’agosto, e in es so Don Bosco con eccezionale realismo spiegò ai Cooperatori salesiani i suoi intenti: «Qui non si stabilisce una confraternita, non un’associa zione religiosa, letteraria o scientifica, nem meno un giornale; ma una semplice unione di 97 benefattori dell’umanità, pronti a dedicare non promesse ma fatti, sollecitudini, disturbi e sacrifici per giovare al nostro simile». Col 1878 Don Bosco sceglieva il direttore del la rivista tra i migliori Salesiani che avesse, e da allora il BS si è diffuso a macchia d’olio per il mondo. Ecco in sostanza le sue caratte ristiche. Chi lo emana: Don Bosco, i suoi successori, i loro rappresentanti. Che cosa dice: racconta il farsi nel mondo del progetto apostolico di Don Bosco tra la gio ventù e i ceti popolari (MB 13, 206). Come è fatto: è un periodico illustrato che esce oggi (1981) in 41 edizioni diverse e in venti lin gue. Tiratura di oltre un milione di copie mensili. 98 Destinatari: la Famiglia Salesiana, e gli amici dell’opera di Don Bosco. Le finalità: informare, formare e animare quanti operano all’interno del progetto sale siano, perché realizzino sempre meglio que sto progetto (MB 13, 286). Stile: popolare. Si cerca (’àpologìà dei fatti. Va evitata la polemica (Don Bosco scrisse un gior no al caustico primo direttore Don Bonetti: «Cessa di battagliare, e scrivi parole pacifi che!»). Modernità: il BS è paragonabile ai moderni «house organ» che le grandi organizzazioni in genere si danno, e come questi è gratuito; inol tre forma una «catena di riviste» a diffusione mondiale. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE DB/2 Tutto Valdocco VALDOCCO OGGI 1. DON BOSCO E IL SUO AMBIENTE: Tutto Valdocco I - L’ORATORIO A VALDOCCO: IL SOGNO DIVENTA REALTÀ 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Casa Pinardi (dipinto del Crida sotto il porticato) L’attuale Cappella Pinardi Statua della Consolata, nella Cappella Pinardi Mamma Margherita Finestra attraverso la quale spararono a Don Bosco Mappa deirOratorio dal 1847 al 1851 Disegno della casa Pinardi e delle successive costruzioni Ala del primo fabbricato eretto accanto alla casa Pinardi 10. La fontana presso il porticato 11. Il porticato e le scritte bibliche 12. La statua di Maria Immacolata L - LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI SALES 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. La chiesa di San Francesco di Sales L’interno della chiesa al tempo di Don Bosco L’altare maggiore La balaustra di legno Il retro altare Pulpito e altare della Madonna ai tempi di Don Bosco Il pulpito in legno donato dal Cafasso Altare della Madonna rinnovato Altare di San Luigi Interno della chiesa oggi Porta secondaria, che ricorda la moltiplicazione dei pani Chiesa di San Francesco vista dal cortile 99 M - IL PALAZZO DELLE CAMERETTE DI DON BOSCO 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. Il porticato con il pulpito della «buona notte» La lapide che ricorda il cane Grigio Don Bosco, mamma Margherita e il cane Grigio (dipinto) Il cane Grigio difende Don Bosco (dipinto) Il porticato di casa Pinardi e casa di Don Bosco Il palazzo delle camerette Il ballatoio che porta alle camerette Altra veduta del ballatoio La facciata a sud del palazzo delle camerette La statua della Madonna, sul nuovo ampliamento Altra veduta generale del palazzo delle camerette Veduta generale delle camerette, «cuore» di Valdocco La prima camera abitata da Don Bosco dal 1853 al 1861 La seconda camera abitata da Don Bosco per 27 anni Fotografia di Don Bosco nella sua seconda stanza La stanza adibita a cappella nel gennaio 1886 La veranda dove Don Bosco passeggiava e confessava Una finestra della veranda con grappoli d’uva La camera dove Don Bosco morì il 31 gennaio 1888 Particolare della camera La scrivania della camera Divano e scrittoio mobile Letto in cui morì Don Bosco Seggiolone della veranda e foto di Don Bosco morto N - IL MUSEO STORICO DI DON BOSCO, A VALDOCCO 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 100 Il crocifisso che Don Bosco teneva in mano alla sua morte Altare dell’estasi Calice, messale e paramenti dell’altare Talari e pianete usate da Don Bosco Il confessionale di Don Bosco Le nocciole, a ricordo delle moltiplicazioni Portamonete di Don Bosco e otto soldi del suo tempo Il cappello e i bastoni da viaggio Oggetti raccolti sulla mensa dopo la morte di Don Bosco Il suo passaporto Le sue «Memorie» La prima statua di Maria Ausiliatrice venerata a Valdocco LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE O - LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. 81. 82. 83. 84. 85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95. 96. 97. Prima foto della chiesa di M. Ausiliatrice con scorcio di S. Francesco La basilica e la primitiva piazza La basilica con fedeli agli inizi del ’900 La basilica col mercato in piazza Interno della basilica La cappella di San Pietro La cappella di Solutore, Avventore, Ottavio e di S. Anna La cappella di San Francesco di Sales La vecchia sacrestia La chiesa di M. Ausiliatrice come la costruì Don Bosco Il capomastro Carlo Buzzetti Statua della Immacolata sulla cupola Attuale facciata della basilica di M. Ausiliatrice I due campanili e la cupola centrale con la statua di M. Immacolata La seconda cupola eretta durante l’ampliamento Interno del santuario: veduta generale Quadro di Maria Ausiliatrice L’altare di Don Bosco Urna di Don Bosco Volto di Don Bosco L’altare di San Giuseppe Altare di San Domenico Savio L’altare di S. Maria Mazzarello Ampliamento sul lato destro dell’altare maggiore Cripta-cappella dell’Apparizione Luogo dove la Madonna posò il piede Altare della Madonna e quadro dell’apparizione Quadro del martirio di Solutore, Avventore e Ottavio La cappella delle Reliquie La preziosa reliquia del legno della Croce Il sepolcro del beato Don Rua La statua di Maria Ausiliatrice La basilica illuminata per la festa di Maria Ausiliatrice Giovannino fa scuola di catechismo ai Becchi Don Bosco ascolta le confessioni dei ragazzi dell’Oratorio Don Bosco e mamma Margherita arrivano a Valdocco L’incontro di Don Bosco con Bartolomeo Garelli 101 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. Don Bosco e Bartolomeo Garelli (particolare) Don Bosco in mezzo ai ragazzi deU’Oratorio San Giuseppe Cafasso San Giuseppe Benedetto Cottolengo Il quadro di San Giuseppe Il quadro di Don Bosco Il quadro di San Domenico Savio Il sogno della zattera Il sogno delle due colonne Il dipinto della cupola La cupola della basilica di Maria Ausiliatrice VALDOCCO STORICO P - COSTRUZIONI E REALIZZAZIONI 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127. 128. 129. 130. 131. 132. 102 Casa Pinardi (disegno di Bartolomeo Bellisio) Contratto di affitto di Casa Pinardi Scuola in cucina (dal film) Pianta degli edifici deH’Oratorio negli anni 1860 Costruzione sopra Casa Pinardi Il primo laboratorio aperto da Don Bosco per i calzolai Refettorio dei Salesiani La scala che scende nello scantinato La scala per cui scendevano gli artigiani L’edificio del 1853 (prima costruzione) Casa Filippi e palazzo Audisio Veduta generale delle costruzioni a lato delle camerette Casa Pinardi - Camerette - Casa Filippi Ingresso all’Oratorio Il cortile degli artigiani Il cortile degli studenti Il cortile dell’oratorio festivo Don Bosco portato in trionfo dai giovani (antica illustrazione) Giovani apprendisti in officina Contratto di lavoro I laboratori dei falegnami e dei fabbri Attestati di riconoscenza dei giovani a Don Bosco La banda deU’Oratorio H teatro, mezzo di educazione 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 151. 152. 153. 154. 155. 156. Scuola di canto Lettere di Don Bosco ai suoi ragazzi Foto di Don Bosco tra i giovani Verbale di fondazione della Congregazione Salesiana e taccuino di Don Rua Diciotto firme dei primi Salesiani Quadro di San Francesco di Sales Manoscritto delle Regole e prima stampa Decreto di approvazione della Società Salesiana (1° marzo 1869) Foto dei Salesiani dell’Oratorio con Don Bosco (1870) Salesiani coadiutori (religiosi laici) Il forno del «Pane di Don Bosco» Alla sequela di Don Bosco Il porticato e l’edificio della tipografia La composizione e la stamperia La casa Bellezza, ultimo acquisto di Don Bosco Lettere di Don Bosco ai benefattori Benefattori e cooperatori di Don Bosco (i conti Callori) Biglietto della lotteria Lo sviluppo di Valdocco, vivente Don Bosco Allievi ed ex-allievi illustri Testamento ai Salesiani: taccuino di Don Bosco Torino: monumento a Don Bosco (Cellini) La missione di Don Bosco (particolare del monumento) Don Bosco da Torino al mondo intero APOSTOLATO E CARISMI DI DON BOSCO Q - ITINERARI DI SALESIANITÀ: APOSTOLATO - DEVOZIONE MARIANA - DON BOSCO SCRITTORE 157. 158. 159. 160. 161. 162. 163. 164. 165. 166. I pulpiti di Don Bosco Foto di Don Bosco che confessa La comunione frequente L’esercizio della «buona morte» Lanzo: gli esercizi spirituali Le compagnie religiose La parolina all’orecchio Lo sguardo di Don Bosco I sogni di Don Bosco Le vocazioni: Seminario di Giaveno 103 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. La devozione e l’amore al papa Il sistema preventivo Don Bosco prega davanti alla Madonna Santuario di Oropa Benedizione di M. Ausiliatrice e la medaglia della Madonna Fioretti della Madonna ai giovani Immagini di M. Ausiliatrice con giaculatoria Don Bosco scrittore al suo tavolo «Storia Sacra» e «Storia Ecclesiastica» Il «Giovane Provveduto» Vite di giovani modello: Savio, Magone, Besucco «Storia d’Italia» Le «Letture Cattoliche» Il «Bollettino Salesiano» ISBS - Castelnuovo Don Bosco (Asti) - 1986