bullettino scienze mediche
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bullettino scienze mediche
Pubblicazione periodica 2005 ISSN : 0007- 5787 ---------------------------------------------------------------------------------------------ANNO CLXXVII FASC. 2 BULLETTINO DELLE SCIENZE MEDICHE ORGANO DELLA SOCIETA’ E SCUOLA MEDICA CHIRURGICA DI BOLOGNA FASCICOLO MONOGRAFICO Edizioni Soc. Medica Chirurgica Bologna ---------------------Tariffa Associazioni Senza Fini di lucro : “Poste Italiane s.p.a.- Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2. DCB – Bologna “ Si ringrazia per il contributo offerto RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 3 MORIRE, DORMIRE, FORSE SOGNARE * Libere riflessioni sulla morte ALESSANDRO BORROMEI , ELEONORA PISTACCHIO, BEATRICE VARGIU Società Italiana di Medicina Interdisciplinare (S.I.M.E.I.) La morte, funebre dea, è un'entità, un prodotto arbitrario dell'immaginazione degli uomini, una morbosa secrezione dell'incubo e dello spavento raggelante. I riti, i feticismi, le filosofie, l'hanno dotata di una personalità antropomorfica, e ordinariamente la si rappresenta come uno scheletro armato di falce. La morte con la M maiuscola, l'Assassina, la Camusa, è opera dei pittori, degli scultori dei musicisti, dei poeti; in realtà essa non ha volto né essenza né individualità. E' questo il primo punto da fissare: la morte "classica" non è che un'allegoria. In questa accezione la si arricchisce e si avvolge di veli funerei, e la si circonda di un apparato terrorizzante. Le religioni antiche non attribuivano alla morte un aspetto repellente. Il paganesimo, dal canto suo, la raffigurava come una bella giovinetta dormiente, tra le braccia della Notte, sua madre, e del Sonno, suo fratello. Si rende, quindi, indispensabile una revisione preliminare della nostra concezione di morte. (*) Relazione presentata all’adunanza scientifica del 15 aprile 2004 4 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE Gli uomini non ne hanno che una nozione piuttosto vaga e, di regola, non vogliono sapere se essa è amara o dolce, né se è agevole o difficile e neppure se è un male o un bene. Qui non si tratta di esorcizzare una paura o di cercare di chiarire un mistero (che tale resterà), ma di affrontare l'ultimo atto della vita, con lucidità e, se possibile, con un certo distacco oggettivo. Esistono luoghi comuni che vanno rifiutati o perfino negati. In primo luogo bisogna dissipare la confusione che la maggioranza degli uomini fa tra sofferenza e morte. La sofferenza è appannaggio della vita. Si soffre più a lungo per guarire da una grave malattia che per morire. Se, per assurdo, l'uomo avesse la certezza di non morire, sopporterebbe il dolore con una fermezza incredibile. Questa affermazione non ha nulla di dottrinario o di tendenzioso. Con le più ampie riserve sull'ipotesi della "sopravvivenza extraterrena", l'ipotesi citata elimina (provvisoriamente) il problema dell'aldilà; il suo oggetto è circoscritto alla morte stessa, considerata come il "termine della vita fisica", e, più specificamente, all'agonia (che etimologicamente significa "combattimento"). Certe differenze razziali, legate alle realtà particolari acquisite nei secoli, una volta erano più sensibili, ma ad ogni modo non si sono estinte. Un cinese, si dice, muore con una tranquillità e una quiescenza incomparabili, senza una vera agonia, senza provare quelle agitazioni e quelle R ELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 5 -----------------------------------------------------------------------------terribili sensazioni che di solito rendono la morte così tremenda. Si diceva "si spegne come una candela", come se fosse sempre relativo ad un uomo (o una donna) di avanzatissima età, adagio, adagio. Gli inglesi, affermava Gandhi, la loro vita la portano in tasca. Gli arabi e gli afgani, quasi tutti i musulmani non considerano la morte che alla stregua di qualsiasi altro "disagio" e non piangono mai se qualche loro parente muore. L'India, si dice, è una nazione di filosofi e di fatalisti. E, invece, non esiste nazione più sperduta davanti alla morte rispetto alla nostra, e, nell'India, nessuna comunità (forse) mostra questo smarrimento quanto gli Indù. In uno dei suoi messaggi ad essi rivolti, proprio Gandhi rimproverava a costoro di non aver raggiunto lo "Swaraj" (termine che indica l'assenza di paura della morte). In altri termini, non tutti gli asiatici sono uguali. Basti citare l'esempio dei kamikaze, che non considerano la vita un bene inestimabile, e non temono la propria morte né soffrono dì quella degli altri. Gli orrendi fatti delle Torri Gemelle di New York sono, a questo proposito, una testimonianza orrenda e recente. Gli occidentali sono assai diversi. Ma a noi interessa cercare di analizzare quale sia la reazione non tanto alla morte come lontana possibilità o ipotetica eventualità, quanto alla certezza di morire a breve, brevissimo termine, ineluttabile. Noi tutti (o quasi) sentiamo o meglio sappiamo che il momento della morte dipende dal nostro 6 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------sistema nervoso, e più precisamente dalla perdita dell'attività cardiaca, dalla frequenza del polso, dal comportamento delle funzioni endocrine e del controllo (prevalentemente vegetativo) delle altre nostre funzioni vitali. L'occidentale, in presenza dell'inevitabile, verrà colto da una commozione e da uno stupore straordinari. Per alcuni lo "spasimo morale" sarà breve, per altri durerà un po' più a lungo, finché l'adattamento (arma tipica delle specie fragili) non conduca a considerare complessivamente l'evento senza turbarsi, a volte perfino con una specie di familiarità. Quel che maggiormente colpisce chi assiste moribondi è la lotta muscolare e nervosa con cui si oppongono alla fuga della vita. Così, anche nella morte, gli uomini badano più alle apparenze che alla realtà. Il classico "affaccendamento" delle mani sul lenzuolo (più noto col nome di "grasping") è un'azione automatica, meccanica che si verifica all'infuori della coscienza del malato. Rari individui, specie tra i medici (per loro natura curiosi ed abituati al metodo scientifico dell'osservazione), se giungono "a contatto" con la propria morte con la coscienza conservata, possono seguire il venir meno delle loro facoltà sensoriali; prima il tatto, poi la vista, il gusto, e, infine l'odorato. Comportamento inverso ha l'udito, che non risulta ridotto, ma acuito, tanto che il moribondo, nel suo patologico isolamento, riesce a identificare se non tutti, la grande maggioranza dei rumori. Ciò in base ai resoconti di chi è sopravvissuto (magari solo per qualche tempo) non crea alcuna sensazione sgradevole. Anzi, quel che fisicamente RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 7 ----------------------------------------------------------------------------permane di sensibilità, può dare l'impressione di un "soffice bagno" o di un "affondare nella sabbia". Queste sensazioni cedono abbastanza presto il campo ad una impressione di freddo che parte dai piedi e risale lungo gli arti inferiori, rendendo gli ultimi istanti "incresciosi". Infine, subentrano rumori (endogeni?) a tipo di anelito roco e ritmico, una via di mezzo tra il russare di un ubriaco e il fischio di una locomotiva, a stridio crescente, che interessa tutto lo "spazio" attorno, quasi come un rantolo totalizzante. Sì, perché convenzionalmente la fine sopravviene senza che sia dato accorgersene. Si dice che il passaggio dalla vita alla morte non si avverte (proprio come quello tra lo stato di veglia e il sonno). La morte, in effetti, sopraggiunge (sempre) come il sonno, sotto forma di un annientamento fisico che per il moribondo si dice costituisca uno stato euforico e dolce, con la intensa luce bianca che i rari redivivi hanno frequentemente riferito (e variamente interpretato, per lo più in chiave religiosa o "di abbandono"). Poco importa se, nel frattempo, il volto è corrugato e la "difesa" muscolare convulsa. Del resto, la maschera della voluttà e dell'immenso piacere non è forse tragica e spaventosa come la "smorfia" della morte? Chiunque abbia assistito alla agonia di un uccello con il capo immerso nell'acqua, ricorda i suoi sussulti, la sua disperata difesa; ciò non è che una reazione fisiologica istintiva, senza la partecipazione delle sensibilità. Non si può dedurre alcuna prova che quella della semplicità 8 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE --------------------------------------------------------------------------dell'asfissia per immersione, la quale, a sentir parlare i "quasi annegati" che si sono salvati (near drowing) non comporta alcun ricordo sgradevole, come accade più in generale per qualunque altro tipo di asfissia, che causi rapidamente l'"anestesia" del soggetto. Nella maggior parte dei casi di morte, sia per malattia sia per accidente o per suicidio, nel sangue aumenta esponenzialmente l'acido carbonico dal quale l'organismo non può liberarsi che incompletamente. Di conseguenza l'asfissia lenta, progressiva ed insensibile causa una azione paragonabile a quella di un narcotico, che fa morire l'agonizzante senza che in pratica questi se ne accorga. Dal punto di vista medico-legale l'asfissia ha un significato certamente più ristretto e specifico rispetto al concetto biologico corrente. Essa viene definita come l'insufficienza respiratoria acuta che origina dall'arresto della ventilazione polmonare, causata da azioni meccaniche e violente che agiscono direttamente sull'apparato respiratorio, impedendo la libera penetrazione dell'aria nei polmoni. Questo blocco non ha a che fare con un blocco della respirazione tessutale che consegua a difficoltà od arresto del trasporto od utilizzazione dell'ossigeno nei vari tessuti. La sintomatologia delle asfissie comprende principalmente la "fame d'aria", la dispnea, sintomi neuropsichici (come l'ansietà, l'agitazione psicomotoria, cui seguono tremori muscolari e convulsioni generalizzate fino al coma profondo) e sintomi cardiocircolatori: tachicardia, congestione del viso e delle congiuntive, cianosi (che di RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 9 -----------------------------------------------------------------------------regola compare quando la quota di emoglobina ridotta arriva al 5% nel sangue circolante), via, via fino all'arresto del cuore. La durata complessiva della sindrome asfittica è di 4-6 minuti: si passa dallo stadio di dispnea inspiratoria (30sec-l min.) a quello della dispnea espiratoria (1 minuto circa), all'apnea (circa 90 sec.) fino allo stadio terminale (da uno a tre minuti) con eccitabilità residua dei centri bulbari che determinano gli ultimi movimenti respiratori (superficiali, brevi ed irregolari), fino al "boccheggiare" e al già ricordato arresto del cuore. Ritornando alla paura fisica della morte, quelli che temono l'ultima ora hanno proprio il timore del soffocamento. Al contrario, dovremmo essere grati all'asfissia, la quale obnubila le nostre facoltà, risultando in qualche maniera "benefica", in modo tale che il cervello, per l'anestesia carbonica, cade nella incoscienza. L'angoscia psichica abbatte la maggior parte dei pazienti, ma non nel momento cruciale né con l'insistenza che la generalità degli uomini immagina. Non nell'ora né alla vigilia della morte lo spirito del malato s'impenna in presenza della "decisione", ovvero della accettazione della scomparsa. In genere, l'urto tra il fatto e l'idea di esso si verifica tre, otto, quindici giorni prima, spesso anche di più. Non c'è dubbio che, al di fuori delle preparazioni e delle convinzioni morali, questo è un momento di grande "lotta interiore". Il vivente soffre per l'idea della propria 10 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ----------------------------------------------------------------------------fine. Per orgoglio, per abitudine, per paura. Poi si riconcilia con l'"inevitabile" e s'incammina verso il suo destino. Quando giunge il giorno, l'ora della morte, l'orrore primitivo si è già dissipato. Per una specie di azione invisibile e "naturale" i sistemi del corpo ed i pensieri (quelli che taluni chiamano "anima") si sono distesi ed hanno trovato una quiete prima inimmaginabile: la rassegnazione di tanti morenti non è solo morale, è anche fisica. In altri termini, quando la scadenza s'avvicina, le "ribellioni" si attenuano. Perché, più ancora che la vita, la morte è un atto di consenso. Impariamo dunque a considerare la morte per quello che è, cioè liberata dagli orrori della materia e spogliata dai terrori dell'immaginazione. Scacciamo, prima di tutto, ciò che la precede e che non le appartiene, come i tormenti dell'ultima malattia. Le malattie non hanno nulla in comune con ciò che determina la fine: appartengono alla vita, non alla morte. Tanto è vero che se una malattia (anche grave) guarisce noi dimentichiamo velocemente le più crudeli sofferenze che ci hanno restituito alla salute e all'esistenza. E quando la malattia è "certamente mortale" (il che non è mai vero, in assoluto) possiamo considerare la morte una liberazione o una fine logica, meno temibile. Ragione di più per evitare quell’ accanimento terapeutico, oggi così frequente (e, a nostro modo di pensare, temibile). Allorché Seneca, Cicerone e Platone, dichiarano che bisogna veder avanzare la morte non soltanto con coraggio ma con amore, non formulano che una esortazione di regola poco seguita. E neppure tra i moderni mancano le RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 11 -----------------------------------------------------------------------------frasi pompose ma inefficaci, che tenderebbero a trasformare (razionalmente) il terrore della morte in stoicismo o indifferenza. Disgraziatamente lo stoicismo non è moneta corrente e l'indifferenza riguarda per lo più solo i piccoli fatti. In altri termini, che l'uomo la desideri o no, la morte è la preoccupazione profonda della sua vita: ben pochi di noi si sottraggono a questo confronto incessante, specie con il progredire dell'età. L'idea della morte, in sé e per sé, evoca quasi sempre qualcosa di "sporco", estraneo, mortificante, qualcosa di putrefatto, di maleodorante, di ributtante. Quando qualcuno di noi ripensa ad un congiunto, ad un amico, ad un collega defunto, lo ricorda vivo, accattivante, magari affascinante e, comunque, con tutte quelle caratteristiche e quelle doti che venivano riconosciute in vita allo scomparso. Ancor di più la visione sgradevole, cui abbiamo fatto cenno, vale per i medici o i tutori della sanità. Quando un giovane studente in medicina assiste per le prime volte ad una autopsia è preda di questo ambiente freddo e misterioso, deve fare una notevole fatica a superare la nausea e può perfino arrivare a cambiare facoltà. Solo successivamente, quando il "concetto" di morte gli risulta più familiare e "quasi logico" giunge al tavolo settorio con un altro spirito e diverse reazioni neurovegetative. Pur restando nel profondo una specie di dualismo tra la vita e l'exitus, tra una corsia d'ospedale e una sala da rilievi autoptici. 12 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ---------------------------------------------------------------------------Robert W. Mac Kenna in "L'avventura della morte" scrive: "Bisogna convenire che la paura della morte è molto diffusa tra gli uomini; ma non si tratta di un istinto dalle radici molto profonde, perché altrimenti non ci si passerebbe sopra tanto facilmente. Si tratta di un sentimento tutto sommato tenue, che cede di fronte a numerose emozioni o impulsi improvvisi, come l'amore, l'eccitazione del combattimento, l'appello del dovere, la fede religiosa, l'istinto materno". Ma, eccezion fatta per i casi in fin dei conti eccezionali (nei quali è spinto da uno slancio intimo potente, teso a spendere la propria vita senza risparmio), l'uomo normale, negli ultimi istanti, è forse in preda ad una speciale esaltazione? L'idea della morte "a caldo", non produce le medesime reazioni di quella della morte "a freddo": di regola è questa ultima ad essere tenuta in conto (sebbene ci si può chiedere se esista un solo moribondo "a sangue freddo"). Tornando ai medici, che della morte hanno un concetto assai distaccato e per lo più legato alle pratiche medico legali (ma dovrei dire alla scienza medico -legale, posto che si tratta di una materia assai meno incerta della pratica clinica), dobbiamo anzitutto notare che i medici "latini", non hanno in generale la curiosità per l'insolito, come accade, ad esempio, per i medici di matrice anglosassone. Tenendo conto di questa osservazione, viene fatto di ritenere che i primi hanno di regola minori nozioni sull'istante fisico della morte. I colleghi ai quali abbiamo posto il quesito sono stati quasi sempre sconcertati RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 13 ----------------------------------------------------------------------------dall'oggetto della nostra indagine e la loro prima reazione è stata spesso di disagio e di stupore. Spinti ad uscire dalle loro posizioni di difesa, si sono per la maggior parte rivelati privi di curiosità per il fenomeno e (pur essendo quotidiani "spettatori" della morte) ignoranti del meccanismo "sentimentale" di essa. Al contrario, quei rari professionisti che hanno avuto la curiosità di soffermarsi sugli ultimi minuti dell'esistenza di qualche loro malato, l'hanno fatto con acuta competenza ed una insolita, multi modale capacità di osservazione. E' strano notare che, al contrario dei testi fondamentali di medicina legale (nei quali la morte è trattata in dettaglio), nei volumi di psichiatria e di psicopatologia forense il "fenomeno morte" non venga preso in considerazione. Quasi fosse un esorcismo, un capitolo minore, una materia "priva di interesse soggettivo" vissuto, sia personalmente sia nei riguardi dei terzi. Aldo Semerari, Ugo Fornari, Carlo Ferrio, e perfino il nostro indimenticabile Maestro, Paolo Manunza, non fanno cenno a questo (trascurato anche dai più) problema. Se non imparate a morire non saprete vivere, non conoscerete mai cos'è la vita. Gli attimi o comunque i momenti finali sono una esperienza irripetibile, a parte rare eccezioni. Parliamo qui di "quelli che sono tornati indietro", ovvero che hanno (apparentemente) attraversato la sottile linea che separa la vita dalla morte, ma poi "ci hanno ripensato", sono stati "miracolati", o semplicemente non sono riusciti a morire fino in fondo. 14 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE --------------------------------------------------------------------------Tutto parte dalla domanda "che cosa si prova a morire?". E' uno di quegli interrogativi che ogni persona si pone ed al quale il mito, la magia, la scienza, hanno da sempre tentato di dare risposte. Risposte naturalmente impossibili, oppure rielaborate in complesse congetture nessuna delle quali compiutamente accettabile. Poco tempo fa (fine del 2001) un nuovo studio realizzato in Olanda sulle "esperienze vicine alla morte" (near death experiences) ha cercato di dare alcune indicazioni, pubblicate su Lancet. Esperienze del genere (in sigla NDE) si possono verificare in diverse condizioni. Un esempio ad hoc è quello dell'arresto cardiaco, a causa del quale una persona resta "clinicamente morta" per un breve periodo (generalmente qualche minuto), finché viene rianimato. Nel citato studio olandese sono stati presi in considerazione 344 pazienti rianimati con successo e intervistati. Sessantadue di essi ha dichiarato di aver avuto una NDE ed altri quarantuno qualcosa del genere, indimenticabile. Questo gruppo di 103 individui sono stati paragonati ai restanti 241 circa i dati medici, demografici, farmacologici, psicologici. Poi i due gruppi sono stati sottoposti ad una verifica longitudinale (per periodi mutevoli da un minimo di due ad un massimo di otto anni), per analizzare le eventuali modifiche dello stile di vita successive a quelle esperienze. In primo luogo non è stato possibile capire perché alcune persone sperimentino una NDE ed altre no. Né è stata dimostrata la causalità dell'anossia cerebrale (ovviamente sempre presente, sia pure temporaneamente). D'altra parte nessuno dei 62 casi con NDE "tipica" aveva precedenti RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 15 -----------------------------------------------------------------------------alterazioni psicopatologiche. La consistenza della NDE è stata divisa in fasce: una forma "superficiale" (con un punteggio da 1 a 10), va da 1 a 5, una esperienza "forte", va da 6 a 9, una NDE profondissima giunge a 10. Quarantuno pazienti su 62 hanno avuto questo ultimo tipo di esperienza, ovvero la più attendibile. Che cosa hanno raccontato di aver provato queste persone? Innanzitutto, nessuno ha parlato di una esperienza terrorizzante o comunque sgradevole. In 22 casi il ricordo consisteva in "emozioni positive". Circa la metà dei casi ha asserito di aver avuto "coscienza di essere davvero morto". Circa un terzo ha affermato di aver incontrato persone certamente defunte; altrettanti soggetti hanno parlato di aver attraversato un "tunnel". Poco meno di un quarto dei casi ha riferito di aver provato una esperienza "extracorporea", ovvero di aver assistito alla propria morte (temporanea) come dall'esterno, quasi si fosse trattato di una rappresentazione teatrale. Un trenta per cento ha asserito di aver contemplato "un panorama celestiale". Gruppi meno numerosi hanno citato una visione di luce intensissima (o bianca, o accecante) o " di tanti colori" molto vivi e abbaglianti. Una minoranza (13%), infine, ha detto di aver rivissuto per pochi minuti (o istanti) tutta la propria vita, sotto forma di flash o collages o ampex mixati, come si racconta che accadde ad alcuni dei pochi sopravvissuti del Titanic. Sempre restando sull'argomento si narra questa storia: una notte, nel 1998, portarono in ambulanza in uno degli ospedali di Amburgo un uomo di 45 anni, ormai cianotico, 16 RLAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------senza coscienza. Venne praticata la respirazione artificiale e poi si passò all'intubazione. Poiché il paziente portava una dentiera, il medico la rimosse e l'appoggiò su un carrello. Il paziente lentamente si riprese a venne dimesso. Dopo una settimana si presentò ad un controllo dallo stesso medico. Era presente una infermiera e quando il malato entrò disse "Ecco l'infermiera che sa dov'è la mia dentiera". E raccontò al medico di ricordare benissimo quando gliela aveva tolta e messa sul carrello, che però non sapeva ritrovare. Descrisse perfettamente la stanza dove era stato rianimato e raccontò che la sua principale preoccupazione era stata quella che avrebbero potuto smettere le pratiche di rianimazione credendolo ormai perduto e che aveva cercato disperatamente (ma senza successo) di dire di non desistere, di procedere. Quest'uomo come quasi tutti gli altri che hanno "vissuto" una NDE, affermò infine che, uscito dall'ospedale, provava assai meno paura della morte. Questo dato venne confermato dopo molti anni di osservazione, così come quello riferibile ad un maggiore aumento di spiritualità (come il senso di immortalità dell'anima ed i sentimenti religiosi). Come accade praticamente in tutti quei casi che, a seguito di una NDE, ricordano la propria morte, rispetto a quelli che l'hanno dimenticata o "non vissuta". Abbiamo accennato alla spiritualità, senza precisare cosa intendiamo per essa. La spiritualità non è un problema di moralità, ma di prospettiva esistenziale. In altri termini non consiste praticamente nelle virtù. In effetti, una virtù praticata cessa di essere una virtù, divenendo in qualche RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 17 -----------------------------------------------------------------------------modo una cosa morta, un peso morto. La virtù è tale solo quando è spontanea, naturale, quando nasce dal nostro vedere, dalla nostra consapevolezza, comprensione, intuizione. E, d'altra parte, di solito si pensa alla religione (per coloro che la considerano e la sentono) come a una pratica, ma non lo è: questo è uno dei maggiori equivoci sorti proprio sulla religione. Si può, ad esempio, praticare la non violenza, pur restando dei violenti perché la nostra prospettiva non è mutata e conserviamo ancora il nostro modo di vedere, i nostri occhi. Una persona avida potrà praticare la generosità, ma l'avidità sarà sempre la stessa e perfino la sua generosità sarà corrotta dall'avidità perché non si può praticare nulla che vada contro la nostra comprensione, oltre il nostro capire. Non è possibile forzare la vita in alcuni principi, se quei principi non fanno parte della nostra esperienza. Un uomo che aveva avuto una intensa NDE raccontò: "ho avuto una grande intuizione, una incredibile percezione. L'ho lasciata sprofondare in me fino a farla diventare una meditazione continua. Nessun volto era il mio o quello di persona conosciuta. Tutti i volti erano falsi. Una volta c'era il muso di un leone, un'altra volta quello di un asino, poi qualcosa ha assunto l'aspetto di un albero e, quindi, di una pietra. Ora si intravedeva il volto di un uomo, o di una donna, bello, brutto, bianco o colorato. Ma io non avevo nessun volto. La "mia realtà"era senza volto. Mi ricordavo che quel essere senza volto era chiamato il "volto originale nello Zen". Non si tratta assolutamente di un volto. 18 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ----------------------------------------------------------------------------Quando uno non è ancora nato che volto può avere? Quando si muore che volto si porta con sé? Il volto che ora vedo verrà abbandonato qui; scomparirà nella terra, polvere nella polvere. Me ne andrò senza volto, come quando sono arrivato. Anche adesso non ho alcun volto, credo di averlo, ma ho creduto fin troppo nello specchio. Quando hai la percezione di essere senza volto, hai visto il volto di Dio". Ma allora la NDE equivale alla appercezione o a una specie di sogno? No. Il sogno è un messaggio dell'inconscio al conscio, perché il conscio sta compiendo qualche azione che l'inconscio avverte innaturale. E l'inconscio ha sempre ragione. L'inconscio è la nostra vera natura. Il conscio è stato coltivato, plasmato dalla società, è un condizionamento. Quando ridestandosi si ricorda un sogno, ciò avviene sotto l'influsso della coscienza ché potrà interferire: qualsiasi cosa vada contro di essa verrà esclusa, permettendo invece il ricordo di quanto era a lei gradito. Ma il vero messaggio è (sempre) la parte più amara, meno consciamente felice. Si dice che Gorki sognasse spesso di camminare per una strada senza fine. Questa via infinita crea (in chi sogna) una infinita paura, perché la mente comune non sa affrontare una situazione simile, senza fine, e la mente (anche onirica) si impaurisce. Uno va, va, e la strada continua. Ci si sente strani, frustrati, esausti; sogni di cadere a terra, ma la strada continua. Quale messaggio c'è? Difficile dirlo, ma c'è. Infatti, quando questo messaggio arriva il sogno non ricompare più. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 19 -----------------------------------------------------------------------------Nella nostra personale esperienza, abbiamo potuto osservare il seguente caso: un bambino di circa nove anni operato (in stato di coma da ipertensione endocranica) di asportazione radicale di un voluminoso meningioma fronto -parieto -temporale sinistro, mantenne nel periodo post-operatorio uno stato di coma apparentemente profondo per oltre quattro settimane. Durante questo tempo il personale sanitario medicava, assisteva e si occupava del piccolo paziente in modo impersonale, identificandolo con il numero di letto e chiamandolo "il bambino" senza alcun riferimento personale. Al contrario, il neurochirurgo che lo aveva operato, si rivolgeva al paziente chiamandolo per nome (si chiamava Antonio, ma i familiari lo chiamavano Nino) e facendogli semplici domande, "come stai?", "è venuta a trovarti la mamma?", "stai tranquillo, perché non ti farò alcun male, controllo solo la ferita", etc. Ebbene al risveglio con normale coscienza, il bambino dimostrò al medico di ricordare tutte le frasi che gli aveva detto, e lo ringraziò per quello che lui definì "l'unico contatto che gli era stato offerto con la vita reale e la convinzione di non essere vicino alla morte, anzi di poter tornare alla vita". Nell'unica certezza della vita, ci si augura sempre una morte dignitosa, priva di sofferenze e di atrocità che riguardino il nostro corpo e la nostra mente. Ma come ottenere tutto ciò quando non si è in grado di decidere personalmente di sospendere tutte quelle pratiche che ci consentono di stare in vita e, d'altra parte, chi può decidere 20 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ----------------------------------------------------------------------------per noi in caso di stato terminale? Quali sono e fin dove arrivano i limiti dei nostri familiari, dei medici, del personale sanitario nell'applicare eventualmente l'eutanasia? Quale aspetto di essa è accettata e considerata valida dallo Stato? La legge italiana punisce l'eutanasia, si essa passiva sia essa attiva Più possibilisti sono i vari Codici Deontologici. Infatti, essi sono concordi nello scoraggiare il cosiddetto "accanimento terapeutico", mentre solo alcuni ammettono una sorta di eutanasia passiva, soprattutto se voluta dal paziente (in tal caso cosciente ed in grado di esprimere giudizi, come spesso accade nei malati terminali di sclerosi laterale amiotrofica, per fare un esempio). I familiari ed i parenti in genere non hanno (e non debbono avere) nessun parere vicariante e condizionante. In definitiva, si consacra, chiaramente, la responsabilità decisionale del medico. All'infermiere non viene (e non può essere) chiesto di schierarsi a favore o contro l'eutanasia, ma esclusivamente di accompagnare il morente con comprensione e professionalità. La traduzione letterale di eutanasia dal greco indica la "buona morte" (eu = "buona" e thanathos = "morte"), ossia la morte, che può essere anche quella naturale, che avviene senza particolari dolori. Nel linguaggio medico corrente, tuttavia, il termine sta ad indicare la morte procurata o anticipata allo scopo di evitare inutili ed eccessive sofferenze. I sostenitori dell'eutanasia si ispirano al citato concetto di "morire con dignità", minimizzando che di converso esiste RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 21 -----------------------------------------------------------------------------anche il "diritto alla vita". Ne deriva che il consenso del malato al voler porre fine alla propria esistenza solo in rari casi potrebbe essere veramente libero e non indirettamente condizionato dalle sofferenze psicofisiche, dall'azione mentalmente debilitante di farmaci analgesici, dalla convinzione di vivere una vita indegna di tale nome, come viene spesso considerata dalle persone sane, dalle quali il malato si trova a dover dipendere obbligatoriamente. Mentre l'eutanasia attiva è facilmente definibile, per quella passiva vanno considerate diverse sottospecie: si parla di "paraeutanasia" nel caso in cui al paziente (prossimo a morire) si sospendono le cure trasfusionali, antibiotiche, cardiocinetiche, etc., continuando esclusivamente il trattamento antalgico; viene denominata "eutanasia larvata" quella in cui si provvede alla somministrazione sistemica e generosa di antalgici e stupefacenti (al di sotto delle dosi letali), mantenendo così il paziente sotto costante e intensa terapia antidolorifica, diminuendo di pari passo le resistenze organiche, ovvero accelerando la sua fine. Dicesi "orto-eutanasia" l'interruzione di ogni trattamento, compresa la cura di eventuali complicazioni acute, quando la malattia è prossima alla fine. Il nostro ordinamento giuridico punisce l'eutanasia ai sensi dell'art. 575 C. P. (omicidio volontario), dell'art. 579 (omicidio del consenziente) e dell'art. 580 (istigazione o aiuto al suicidio), sia che venga provocata direttamente (ovvero "attiva") sia indirettamente (ovvero "passiva"). 22 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ---------------------------------------------------------------------------Oltre all'aspetto medico in senso stretto (e laico), esiste un'altra importante chiave di lettura dell'eutanasia, ovvero quella religiosa. Il cristianesimo è stato (per secoli) la forza culturale più potente nel modellare la morale occidentale, anche se sarebbe un errore ritenere che la proibizione dell'eutanasia appartenga esclusivamente alla dottrina cristiana. Ad esempio, anche la religione ebraica la vieta. I teologi ebraici medievali erano non meno categorici delle loro controparti cristiane: il grande Maimonide, ad esempio, scriveva nel dodicesimo secolo "chi è nelle condizioni di moribondo è da considerarsi come persona vivente in tutti i casi. Chi ne causa la morte è colpevole di aver versato sangue". Anche la tradizione islamica non scende a compromessi. Il Corano afferma esplicitamente che "il suicida sarà escluso per sempre dal paradiso", e l'eutanasia volontaria è considerata semplicemente come una forma di suicidio assistito. In altri termini tutte le maggiori religioni monoteistiche sono concordi nel rifiutare l'eutanasia. Tuttavia, se passiamo a considerare l'esperienza di altre culture troviamo uno stridente contrasto. Quasi tutti gli orientali accettano l'eutanasia senza problemi. In Cina l'etica confuciana aveva da sempre consentito la morte volontaria in caso di malattie senza speranza, e le grandi religioni dell'estremo Oriente, incluse shintoismo e buddismo, avevano assunto una simile attitudine. Nei "Dialoghi di Budda" sono descritti due uomini santi che si suicidano per sfuggire a malattie incurabili, senza che ciò venga considerato un ostacolo sulla loro strada verso il RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 23 -----------------------------------------------------------------------------Nirvana. Infine, tra le cosiddette società primitive esiste un'ampia gamma di atteggiamenti diversi nei confronti dell'eutanasia, ma è facile compilare lunghi elenchi di culture nelle quali il suicidio o l'uccisione di chi è vittima di malattie incurabili vengono approvati. In occidente, comunque, l'originario punto di vista cristiano si diffuse ampiamente e, nel corso del Medioevo, la proibizione di queste pratiche fu virtualmente inattaccabile e totale. Solo nel 1516 troviamo una autorevole difesa della uccisione per pietà. In quell'anno Tommaso Moro, che solo più tardi divenne un santo della Chiesa, scriveva nella sua "Utopia" che nella ideale comunità perfetta quando qualcuno viene preso da un dolore forte e continuo, mentre non esiste alcuna speranza di cura o di miglioramento, i preti e i magistrati vengono ad esortarlo affinché, dato che è incapace di continuare l'avventura della vita, è diventato un peso per gli altri e per sé stesso (e ha veramente vissuto troppo), e che non continui ad alimentare un malanno così radicato, ma scelga piuttosto di morire, perché non può più vivere se non in una simile miseria". Quasi un secolo più tardi Francesco Bacone espresse più o meno le stesse "motivazioni" per "consentire un trapasso buono e facile". In seguito David Hume, gli "utilitaristi" del diciannovesimo secolo ed una quantità di filosofi moderni, si unirono a coloro che ritenevano l'eutanasia un gesto estremo non censurabile in toto, neppure dal punto di vista morale, e tenuto conto della "sacralità della vita". 24 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------D' altra parte chi di noi non ha mai pensato di mettere fine ai propri giorni per una ragione o per l'altra?! E chi, preda di malattie incurabili (vere o supposte tali) non ha desiderato morire? Nel nostro Paese, da quasi venti anni il problema dell'eutanasia è tornato ad essere motivo di dibattiti e di proposte giuridiche di regolamentazione. Il 19/12/1984 è stata presentata alla Camera dei deputati, una proposta di Legge che consta di 8 articoli (primo firmatario l'onorevole socialista Loris Fortuna). In tale relazione si precisa l'intenzione di disciplinare solennemente l'eutanasia passiva, ossia l'astenersi da ogni azione che potrebbe prolungare inutilmente il momento irreversibile e terminale della vita, e non l'eutanasia attiva che, invece, implica il compimento di un atto finalizzato ad abbreviare e porre fine all'esistenza. All'interno di questa proposta sono stati definiti i significati di alcune espressioni correnti quali "condizioni terminali", "terapia integrativa o di sostenimento", "interruzione della terapia". Il campo medico è ovviamente assai coinvolto, ma al suo interno non sono mancati e non mancano commenti sfavorevoli. All'Assemblea Medica Mondiale del 1983, per quanto riguarda l'eutanasia passiva e la cessazione delle pratiche rianimatorie, è stato condannato (nella dichiarazione riguardante la fase finale della malattia) ogni accanimento terapeutico, mentre il Codice di Deontologia Europea, approvato a Parigi il 5/6/1987 dalla Conferenza Europea degli Ordini dei Medici, pone indicazioni molto precise a quest'ultimo scopo. All'art. 12 recita testualmente RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 25 ----------------------------------------------------------------------------" Il medico può, in caso di malattia incurabile e in fase terminale, limitarsi a lenire le sofferenze fisiche e morali del paziente fornendogli i trattamenti appropriati e conservando per quanto possibile la qualità della vita che si spegne. " Analogo concetto era già stato espresso (nel 1980) dalla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede sostenendo che "E' lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in casi simili". Tutto ciò non esula dal suscitare polemiche. La risoluzione discussa dal Parlamento europeo nel 1991, nota come "proposta Schwartzenberg", nel suo fondamentale passaggio dice: "Mancando qualsiasi terapia veramente curativa e dopo il fallimento delle cure palliative correttamente impartite sul piano tanto psicologico quanto medico e ogni qual volta un malato ancora pienamente cosciente chieda, in modo continuo ed insistente, che sia fatta cessare una esistenza ormai priva (per lui) di qualsiasi dignità, e un collegio di medici ufficialmente costituiti all'uopo constati l'impossibilità di dispensare nuove e specifiche cure, detta richiesta deve essere soddisfatta". A nostro avviso, tuttavia, questa proposta ha però il limite di vedere protagonista un malato "pienamente cosciente", evento che nei casi terminali non è la regola, ma una eccezione. 26 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------L'articolo 35 del Codice di Deontologia Medica, approvato dal Consiglio Nazionale della FNOMCeO il 25 Giugno l995, recita: "Il medico, anche se richiesto dal paziente, non deve effettuare trattamenti diretti a menomare l'integrità fisica e psichica e ad abbreviarne la vita o a provocarne la morte". L'articolo successivo, al primo comma, riporta: "In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta e pervenute alla fase terminale, il medico può limitare la propria opera, se tale è la specifica volontà del paziente, all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendogli i trattamenti appropriati e conservando per quanto possibile la qualità della vita". Il principio della consapevole partecipazione del paziente alla decisione, nel codice deontologico, è esplicitamente richiamato Ma per chiarezza ripetiamo che, in ogni caso, ogni eventuale istanza dei familiari non ha alcun significato giuridico. Nell'art. 36 del citato Codice di Deontologia Medica, al secondo comma, ritroviamo il seguente enunciato: "In caso di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale, finché ragionevolmente utile". Questi problemi si complicano ulteriormente nel caso dello "stato vegetativo persistente" non terminale, in cui il paziente appare in qualche modo cosciente, anche se è completamente privo della consapevolezza di sé e dell'ambiente. In questa situazione c'é chi pone perfino in dubbio che si tratti di una persona, ma piuttosto di "un cadavere vivente". RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 27 ----------------------------------------------------------------------------L'unica certezza è che il paziente non potrà mai esprimere una propria volontà e, quindi, ogni decisione circa il continuare o sospendere l'idratazione e l'alimentazione, nonché tutti gli altri presidi terapeutici, è demandata al medico. A meno che non vi sia stata da parte del paziente la stesura di valide direttive anticipate (denominata "living will"). In sintesi, si riafferma in tal modo una chiara responsabilità decisionale del medico. Quindi, riconosciuta l'inutilità di procrastinare ad ogni costo la vita del paziente, con l'unico risultato di prolungarne le sofferenze, la soluzione ragionevole e accettabile per il medico è quella di interrompere il trattamento curativo e di utilizzare le risorse dell'arte sanitaria per assicurare al morente un trapasso indolore e il più dignitoso possibile, anche se è difficile per chi non crede nella vita futura (eterna) accettare il principio dell'intoccabilità della vita quando questa non ha altre prospettive che la sofferenza. Ma l'Ethos professionale richiede, al di là delle personali convinzioni, il massimo rispetto e l'aiuto incondizionato. In Olanda, unico Paese al mondo dove la "dolce morte" sia stata ammessa, dal l0 Aprile 2002 l'eutanasia è legale. Questa normativa, approvata il lO Aprile 2001 dal Senato Olandese (con 46 voti favorevoli e 28 contrari), estende il riconoscimento dell'eutanasia come "atto legale", sia pure a certe condizioni. Già nel 1993 queste pratiche avevano avuto un primo riconoscimento, quando lo stesso Senato grazie ad un voto di stretta misura aveva dato il suo assenso ad una legge che, pur ritenendo il medico 28 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ----------------------------------------------------------------------------formalmente punibile con la reclusione fino a 12 anni, aveva indicato 28 condizioni (vere eccezioni alla regola) che gli consentivano di non essere più perseguibile. Tra queste la presenza di "dolori insopportabili" e la condizione di "malato terminale". Secondo fonti ufficiali, le autorità sanitarie olandesi durante l'intero 2000 hanno notificato ufficialmente 2113 casi di eutanasia, dei quali 1893 relativi a malati terminali di cancro. Questi dati, tuttavia, sono stati contestati dalla Società del Volontariato d'Olanda, secondo la quale la cifra sarebbe almeno doppia. Solo due di essi sarebbero stati discussi e giudicati inammissibili: le procedure di condanna dei relativi medici sarebbero ancora in corso. Il "primato mondiale" in un campo così delicato non preoccupa né scandalizza gli olandesi. Una inchiesta condotta nel 2001 durante il dibattito parlamentare, aveva dimostrato che circa l'85% dei cittadini era favorevole alla legalizzazione dell'eutanasia per i casi indicati, mentre una maggioranza (pari al 57%) riteneva contestualmente che anche i malati colpiti da "gravi sofferenze psicologiche" potessero scegliere se mettere fine alla loro vita. Una delle parti di maggiore discussione della legge sulla eutanasia riguarda i minori. Una prima versione del testo, poi emendata, prevedeva che i ragazzi di età superiore ai 12 anni potessero scegliere liberamente di ricorrere all'eutanasia. Nel testo definitivo, invece, la soglia è stata innalzata a 16 anni, mentre per i ragazzi di età compresa tra 12 e 16 anni, è necessario il consenso dei genitori. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 29 ----------------------------------------------------------------------------Altre nazioni tendono ad uniformare i loro principi a queste norme. Ad esempio, di recente, in Inghilterra, l'Alta Corte ha concesso (per la prima volta nella storia di questo Paese) ad una quarantenne paraplegica di ricorrere all'eutanasia. Fin qui le prospettive giuridiche. Ma come viene "vissuta" l'eutanasia? Non si conoscono questi dati, sia pure parziali, se non esclusivamente per quanto riguarda chi agisce. Chi subisce, volente o soltanto "oggetto", può soltanto sognare, prevedere la fine della propria vita, prima che questa avvenga, come succede alla maggior parte degli uomini nel periodo terminale della vita, se non altro per ragioni cronologiche. Come si può configurare uno slancio passionale, per pietà o per disperazione? In realtà nessuno può (o vuole) essere mai sicuro della assoluta inguaribilità della propria malattia e, d'altra parte, il desiderio di morire del paziente (cosciente) che versa in condizioni disperate non può essere espressione di libera volontà. La tendenza al suicidio (per mano propria o mediato da altri) non è mai frutto di ragionevole e proporzionata necessità contingente. L'eutanasia è di per sé stessa contro natura. Può essere giustificata, razionalizzata, prefigurata? Difficile dirlo. E si torna al punto di partenza, al dilemma. Disse Rabelais sul letto di morte: "Vado a cercare un gran forse" (Je m'en vay chercher un gran peut-etre). Questa, probabilmente, è la migliore citazione in tema di eutanasia, ma ve ne sono altre: 30 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ---------------------------------------------------------------------------1) Gli uomini temono la morte come i bambini temono il buio; e come quella paura naturale nei bambini è accresciuta da fole e racconti, così è dell'altra. Francesco Bacone, "Saggi". 2) Giù giù, in fondo al cuore, non crediamo alla nostra estinzione: in qualche modo ci aspettiamo di essere presenti, a osservare quello che succederà ai posteri. Bernard Berenson, "Tramonto e crepuscolo”. 3) Quel che si chiama una ragione per vivere è anche un'eccellente ragione per morire. Camus, "Il mito di Sisifo". 4) Morire sì, non essere aggrediti dalla morte. Morire persuasi che un siffatto viaggio sia il migliore. E in quel ultimo istante essere allegri, come quando si contano i minuti dell'orologio della stazione e ognuno vale un secolo. Poi che la morte è la sposa fedele che subentra all'amante traditrice, non vogliamo riceverla da intrusa, né fuggire con lei. Cardarelli, "Alla morte" (da "Poesie") 5) Il cozzo di tutto il sistema solare e di tutti i sistemi stellari ti potrebbe uccidere una volta sola. Carlyle, "Lettere a John Carlyle", 1831 6) Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io faccio parte dell'umanità: perciò non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te. John Donne, "Devozioni", citato da Hemingway in "Per chi suola la campana" RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 31 -----------------------------------------------------------------------------7) La morte è bella, è la nostra amica; ma non la riconosciamo perché ci si presenta mascherata e la sua maschera ci spaventa; Chateaubriand, "Memorie d'oltretomba" 8) L'uomo muore, sempre, prima di essere nato del tutto. Erich Fromm, "Dalla parte dell'uomo" Lo sguardo dell'uomo, proteso verso il futuro, attribuisce all'avvenire il carattere di un presente, cosi a portata di mano, che egli non riesce a capacitarsi del pensiero della fine. In altri termini, si possiede un futuro finché non si apprende di non averlo. La rimozione della morte è la volontà di vivere, in funzione del domani. Per questo la consapevolezza della propria morte è sottoposta a singolari ed apparentemente semplici condizioni. Il discorso, a parte la "motivazione", torna sempre a quello della paura che riguarda tutti gli uomini, sia pure in misura diversa, ma in particolare coloro che "sanno" per certo che la fine si avvicina. Eppure, un famoso scrittore, William Hunter, nell'ora della propria agonia, peraltro lucida, diceva: "Se io avessi la forza di scrivere, spiegherei quanto sia gradevole e facile morire". La paura della morte ha tuttavia ossessionato molti spiriti elevati, poeti, scrittori, artisti. Già Epiteto soleva ripetere: "Non è la morte ad essere terribile, ma la nostra opinione, che ce la fa considerare come tale, ad esserlo". Tra i molti uomini celebri (e particolarmente scrittori) che sono stati ossessionati dalla paura della morte, ci limitiamo a citare Mauric Barrés e la sua inconfondibile "inquietudine"; Pirre Loti, la cui vita fu tutta avvelenata dall'idea della morte, 32 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUBABZE -----------------------------------------------------------------------------Ernest Hemingway (il cui suicidio, secondo parecchi, era non soltanto prevedibile, ma dovuto all'idea ossessiva della "morte eroica e coraggiosa"), ed un altro grande romanziere J. H. Rosny senior, il quale confessava: "Per conto mio, da molti anni la morte mi corrompe ogni gioia” Ma non inganniamoci! Nella disperazione morale di Rosny, come nei pensieri degli altri autori citati, c'è indubbiamente tutta la lotta affettiva e sentimentale a noi comune. In conclusione, si tratta di molta letteratura per nulla; alla quale noi crediamo possa porre la parola fine la definizione che lo scrittore e filosofo Butler dava della morte: "una faccenda in cui si prova più paura che dolore". Interessante, infine, è notare come le descrizioni della morte di tanti personaggi descritti da questi autori siano (e restino) tanto "vissute", espressive, coerenti e illuminate. Ma si potrebbe dire "illuminanti". Oltre ai moderni, che abbiamo già citato, oltre Leopardi, Domenico Cirillo e tanti altri, anche gli antichi, come Cicerone (nelle "Tuscolane") concepirono la morte come dolce. Diogene diceva: "Non la si sente venire!" e Platone la dichiarava "simile al sonno". Già Montaigne scriveva: "Noi dobbiamo entrare nel regno della Morte con la stessa facilità con la quale entriamo nella vita. Anzi, forse, l'ingresso nella vita, è più faticoso. Infine, l'evidenza della "dolcezza" della morte ha colpito uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi, Schopenhauer: è difficile condensare questo vasto argomento meglio di quanto abbia fatto lui in una paginetta del "Mondo come RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 33 -----------------------------------------------------------------------------volontà e rappresentazione" (Tomo I) : "la morte stessa non consiste per il soggetto che nel momento in cui la coscienza scompare nell'intorpidimento dell'attività cerebrale. L'ulteriore estendersi di tale intorpidimento a tutte le altre parti dell'organismo è propriamente già un fenomeno posteriore alla morte". La morte, perciò, dal punto di vista soggettivo non riguarda che la sola coscienza. Quanto alla natura di questa sparizione della coscienza, ognuno può farsene una certa idea in base all'analogo assopimento che precorre il sonno; ma per conoscerla ancor meglio, è sufficiente aver avuto una vera sincope (come talvolta accade nelle gare d'apnea subacquea, ad esempio) nella quale il passaggio da uno stato all'altro non ha luogo per gradi successivi: si comincia col perdere la vista, pur essendo ancora pienamente coscienti, poi, senza transizione, sopraggiunge la più profonda incoscienza. La sensazione provata, fin tanto che continua, non ha nulla di sgradevole e, se il sonno è il fratello della morte, la sincope ne è indubbiamente la sorella gemella. Di più: la stessa morte violenta non dovrebbe provocare sofferenza, poiché le ferite (anche gravi) di regola non si sentono al primo istante (ovvero immediatamente) ; si avvertono un momento dopo e, in molti casi, soltanto nelle loro manifestazioni esteriori. Se sono tali da provocare la morte entro un tempo breve, la coscienza sarà scomparsa prima che uno se ne accorga, mentre se la morte sopravviene più tardi, allora si verificano le medesime sequenze che si hanno nelle altre infermità. E così tutti quelli che hanno perso coscienza (in 34 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------acqua o per effetto delle esalazioni di monossido di carbonio o per tentato strangolamento) al loro eventuale risveglio affermano concordemente che la scomparsa della coscienza si è verificata in loro senza dolore. E se, infine, prendiamo in esame la morte naturale per eccellenza, cioè quella per vecchiaia (o per eutanasia, allargando il concetto), possiamo vedere che essa è un dileguarsi successivo, un disperdersi insensibile del nostro essere fuori dalla esistenza. Ciò che fin qui abbiamo detto è il risultato di una annosa inchiesta, nata dapprincipio spontaneamente e senza dichiarato motivo e riguardante un campione (se così si può dire) assai eterogeneo. In altri termini, abbiamo interrogato sull'argomento le persone più disparate, di ogni ceto, età, cultura, abitudini: colleghi medici, filosofi, preti, giornalisti, biologi, direttori di ospedali, infermieri, militari. degenti in clinica per diversissime patologie, alienati, "sopravvissuti", suore addette all' assistenza ai malati, operai con esperienze traumatiche, e un gran numero di altre persone di varia estrazione socio-culturale, dei due sessi, di ogni età e condizione, in modo da ottenere delle testimonianze "diverse" sull'istante fisico della morte. Le risposte, relative a 1870 persone, benché date da un così vasto panorama sociale, sono state notevolmente simili. Ci limitiamo a condensarle come segue. La maggioranza degli uomini non ha l'esperienza fisica della morte (o, forse, sarebbe meglio dire "clinica"). Il medico o chiunque sia edotto del fenomeno sa che sta per morire, gli altri no, RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 35 ----------------------------------------------------------------------------salvo certi eccezionali casi, come abbiamo visto. Le morti per vecchiaia (lo spegnersi "come una candela" o il lasciarsi morire, cioè la fine simile all'eutanasia) hanno generalmente il carattere della fine desiderata. Ma probabilmente coesistono morti “crudeli" che sono, o non sono "presentite" dall'istinto. Il senso comune, infatti, non ammette che si muoia facilmente, come esprime il noto detto del popolino "esser morti non è niente; il guaio è morire”. Personalmente abbiamo assistito a morti apparentemente dolci. Ma non ci è possibile affermare che lo fossero realmente. E descriverle sarebbe vano. L'opinione corrente resta la seguente: il meccanismo del morire è generalmente orrendo e non è assolutamente possibile convincere le persone del contrario. Restiamo convinti che il morire in modo simile ad una specie di eutanasia non si osserva che in certi vecchi "decrepiti" e senza tare organiche (come il cancro), in certi infermi "ubriacati dalle proprie tossine" (come accadeva per la tubercolosi) o dalla somministrazione "esagerata" di morfina e\o di altri psicofarmaci, o in qualche mistico estatico. Il senso comune non ammette che morire sia facile. In realtà, ordinariamente, il senso comune non si fonda che sulla testimonianza abituale (normale) dei sensi. Ogni paradosso o verità controcorrente lo sorprende e lo ferisce, anche se l'interpretazione che gli si propone è tale da calmarlo e da servirgli. In altri termini, il senso comune è "onnipotente" non perché è senso, ma perché è comune. Gli uomini amano aggregarsi e aggregare le loro opinioni, 36 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------siano esse buone o cattive. Quando la comune opinione si è cristallizzata in proverbi ("esser morto non è niente, il guaio è morire"), essa acquista la forza di legge. Se il comune senso della morte venisse sconvolto, la concezione ereditaria (abitudinaria) di essa si baserebbe sul nulla, perché sarebbe (e resterebbe) il frutto aspro e amaro della mente ragionante e razionalmente legata ai concetti diventati legge. Tuttavia, la morte non è un prodotto dell'intelligenza, ma è un problema dell'istinto (anche se irragionevole). La sua 'impresa" è impercettibile: la Morte, anche quella allegorica, si presenta come un ladro e porta via il paziente senza che questi se ne accorga. Certa letteratura dell' 800 citava spesso episodi di morte cercata in battaglia, da parte di giovani senza speranza, uomini delusi e\o soli, comunque persone con una serie di problemi interiori per lo più morali, o come si potrebbe dire adesso, moralistici. Molte morti valorose, anziché essere il frutto di occasioni estemporanee, erano il prodotto di una morte sognata, programmata, una specie di canovaccio tragico, in linea con il quale le persone si immolavano, come un atto sacrificale, e in ogni caso emblematico. I modi con i quali questa "folle decisione" veniva attuata erano di vario tipo: dall'ufficiale di cavalleria alla carica disperata, alla vedetta che non si celava troppo e veniva uccisa dal solito cecchino, all'ufficiale che guidava la pattuglia di perlustrazione in territorio nemico. Più complesse e raffinate erano le condizioni di "infiltrato" o partecipe di una importante azione di spionaggio, il RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 37 -----------------------------------------------------------------------------quale, sotto l'egida della vittima predestinata, tutelava i propri compagni sollevando con la sua morte loro stessi e l'organizzazione di base. Gran parte di queste storie nei romanzi di maniera era riferibile ad amori impossibili o a fanatiche o comunque improbabili, (oggi considerate ottocentesche) convinzioni intime, aprioristiche e/o platoniche sublimate. Lacrime e sangue, sacrifici o convinzioni estremamente idealistiche facevano da sponda a queste storie, non soltanto inventate o, frutto della fantasia di scrittori, ma a volte riprese e reinterpretate da realtà veramente vissute, più numerose nell'alta borghesia o nella nobiltà, o anche riguardanti persone in qualche modo ben note o identificabili dalla vita avventurosa e dalle convinzioni secondarie al clima che allora caratterizzava la società europea. Trattando questo argomento non possiamo fare a meno di citare il suicidio, in particolare quello degli orientali, soprattutto giapponesi che morivano per propria mano facendo "harakiri". Queste morti, in qualche modo legate alle convinzioni religiose, al patriottismo, alla dimostrazione "valorosa", non possono essere assimilate nell'unico concetto di suicidio, ma trascendono questa definizione, trattandosi di volontarie situazioni, miste alla volontà di rendere la morte simbolicamente non soltanto accettabile ma trasfigurata, opportuna e insostituibile. Una scelta "dovuta" è tale da avvicinare la morte alla divinità. 38 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------Difficilmente un europeo può far proprie queste convinzioni, anzi certezze, poiché nella tradizione orientale, la vita e la fine della vita possono essere vissute con altri scopi e diversi sentimenti. De Leo e collaboratori, nel 1987, hanno pubblicato un dettagliato lavoro intitolato "A century of suicide in Italy; a comparison between the old and the young" sulla rivista "Suicide and life threatening behaviour" (Vol.27 -3), fornendo la loro esperienza nel Servizio di Psicogeriatria dell'Università di Padova. Premesso che il suicidio rappresenta uno dei maggiori problemi sociali e della salute pubblica, gli Autori hanno analizzato le percentuali dei suicidi dal 1887 al 1993 nella popolazione italiana compresa tra l'età di 15-24 anni e le persone oltre i 65 anni basandosi sui dati ufficiali pubblicati sull'"Health Statistics Year Book". Le quote di morti per suicidio (per 100.000 soggetti) sono state calcolate per ogni anno e per periodi di 10 anni, completando lo studio riportando le percentuali di morti per ciascun metodo di suicidio. Quest'ultimo calcolo è stato possibile solo a partire dal 1951, data dalla quale sono state annotate le modalità precise dei suicidi. L'analisi di questi dati indica un aumento dei suicidi nella popolazione anziana in Italia lungo tutto il periodo preso in esame. I casi riguardano tre volte di più gli uomini rispetto alle donne. Le percentuali maggiori riguardano gli uomini anziani, anche se si nota un aumento proporzionale nel numero dei suicidi commessi da donne anziane. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 39 ----------------------------------------------------------------------------Questa tendenza all'aumento è statisticamente significativa sia per i maschi che per le femmine. Al contrario si osserva una quasi costante diminuzione del numero dei suicidi nei giovani, dall'inizio del novecento al 1993. Questa riduzione è più evidente nelle femmine, malgrado i suicidi siano inferiori nelle donne rispetto agli uomini. Per tutto il periodo osservato, vi sono stati importanti cambiamenti nella scelta dei mezzi impiegati, sia per quanto riguarda i giovani, sia gli anziani. C'è stato un aumento degli avvelenamenti da monossido di carbonio, della precipitazione dall'alto, dell'impiccagione, dell'impiego di armi da fuoco. Particolare risalto nel lavoro viene dato alla prevenzione, soprattutto nei riguardi degli anziani a rischio, i quali, di regola, non si rivolgono spontaneamente ai servizi pubblici e tendono a non comunicare i loro problemi. Queste persone vanno riconosciute e raggiunte, in molti modi, coinvolgendo le famiglie, i medici curanti di base e, genericamente, la società, magari servendosi dei sistemi telematici ed incoraggiando iniziative di volontariato, di comunicazione, di psicoterapia e\o di interventi idonei, compresi quelli economici. E occorre anche tener presente con quale linguaggio ci si riferisce non al "fenomeno morte", ma alla morte toutcourt. Gli approcci sono diversi, si va dall'aulico, al filosofico, al fatuo (il più usato) ; mai all'introspettivo, al 40 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------palpabile e al tempo stesso "inesistente" o nascosto, all'emblematico. Ma quello che interessa di più è sicuramente il linguaggio fatuo. "Fatus" chiamavano i latini l'indovino del futuro che parlava in nome degli Dei e scopriva il Fato; e poiché spesso questo indovino o veggente si dimostrava fallace, venne alla parola fatuo il significato spregiativo che ha oggi: "vano", "di scarso spessore" e perfino "sciocco", che parla a caso, a vanvera (come riporta il Gabrielli del 1978), che elude i veri significati, falso, evanescente, o anche spiritualmente incapace di concludere (Devoto-Oli - 198O), privo di consistenza, effimero. All'etimologia segue l'uso comune del vocabolo che si dispone in varie direzioni di senso che sarebbe interessante valutare appieno. Ma ciò che ci interessa è il modo fatuo di parlare della morte (la quale ha qualche contatto con questa specie di lessico anche per l'esistenza dei "fuochi fatui" che tutti conoscono e dei quali tutti hanno almeno sentito parlare). Fatuo come vuoto. Riferita all' argomento, la qualità del vuoto esprime l'assenza di una componente fondamentale che non riguarda né la sintassi né la fonologia; anche se viene avvertita come "minus" da chi ascolta o legge. Il senso è ciò che manca, ovvero la capacità spontanea di animare le parole, cioè di consentire che tra esse emerga quell'eccedenza di significato che dà luogo alla formulazione del pensiero e alla sua corposità. Nel linguaggio autentico si articola e si svolge la "parola parlante". Ciò che vogliamo "dire" non è davanti a noi, a prescindere dalle parole stesse (come puro significato), ma RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 41 -----------------------------------------------------------------------------rappresenta soltanto l'eccedenza di ciò che viviamo su ciò che è "già stato detto". Il linguaggio fatuo, invece, non mostra alcuna eccedenza: la parola è parlata ma non vive: appiattita su ciò che è già stato detto, lascia intendere un vuoto (che è soprattutto vuoto di pensiero). Come se si sentisse la difficoltà di parlare di quella nostra sorella "scomoda" o di rimpiattarsi dietro qualcosa di indefinibile e di misterioso. Il linguaggio preferito per questi discorsi è fatuo, ma non manierato. Non è di circostanza, il che si avvertirebbe a chilometri di distanza, né imitativo, né (deliberatamente) incompleto. Se volessimo definire, per riassumere, il linguaggio fatuo nelle sue accezioni, potremmo dire che nella dimensione "vuota", la correttezza formale si accompagna alla carenza di senso; in quella manierata, la deformazione sarebbe legata alla anaffettività (il che non è) ; la imitazione presupporrebbe l'essere o il diventare "lo specchio dell'altro" proporzionalmente al proprio distacco affettivo; l'incompletezza, nella quale il modo di essere schizofasico sfiora lo stile poetico, determinerebbe la frammentazione di qualsiasi linguaggio, quindi una sua sostanziale incomprensibilità. Parlare della morte è sempre difficile; in effetti quando se ne parla nessuno lo fa con cognizione di causa. Se non parzialmente e in casi eccezionali. Da 7 anni esiste una "Associazione EXIT" italiana che ha per scopo dichiarato quello di aiutare i malati terminali a 42 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------morire. Qualcuno (anche all'interno di questa Società) propone l'impiego del cosiddetto "testamento biologico". In altri termini, chiunque affetto da una malattia incurabile e inguaribile, giunto allo stato terminale, nel caso abbia compilato questo testamento prima, cioè quando era capace di intendere e di volere, con gravi ed irreversibili condizioni patologiche attuali di incapacità di coscienza, può essere considerato arbitro della propria vita e in grado (come scritto ufficialmente "prima") di rifiutarsi di essere sottoposto a qualsiasi provvedimento terapeutico, tranne quello con cure palliative, evitando così un accanimento terapeutico in senso specifico. Un elemento importante, dal quale non è possibile prescindere ove si voglia indagare sui vari aspetti tanatologici, è quello rappresentato dalle condizioni ambientali. L'ambiente, del resto, è parte integrante di tutti i fenomeni biologici e quindi anche la "biologia del futuro cadavere" ne risulta ampiamente condizionata. In vita, ad esempio, si sa bene come l'organismo sia in grado di adattarsi perfettamente tanto alle zone torride quanto a quelle glaciali facendo intervenire i suoi centri termoregolatori; nei fenomeni legati alla morte, anche clinica, ovviamente manca ogni azione coordinatrice e, di conseguenza, anche i dati circostanti possono agire in modo più diretto e lesivo. Di qui nasce un ulteriore parametro per valutare, sia pure indirettamente (e talvolta persino confusamente) l'intensità della vita residua ancora presente nei singoli organi e nelle cellule. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 43 -----------------------------------------------------------------------------A livello psicologico o di eventuale sensibilità, non è del tutto chiaro se si tratti di fenomeni premortali o già mortali. Nessuno conosce le precise sensazioni che il morente prova e/o riesce a "capire", a vivere. Nessuno sa o immagina il preciso momento della propria morte. Parlando di fatti storici interessanti le discipline mediche è difficile sottrarsi all'idea di coinvolgervi Ippocrate, trisavolo, bisavolo, nonno e nello stesso tempo padre della medicina, il quale si può dire sia stato per tanti secoli il depositario dell'"Ipse dixit" aristotelico trasferito sul piano sanitario. Tanto per dare una ragione a questa riflessione, parlando ad esempio di rianimatori (grandi esperti della morte), si deve ricordare che egli sosteneva che era possibile vivere per un certo periodo di tempo senza mangiare e senza bere, ma non senza "pneuma", che si identificava nello "spirito vitale". Tra i tentativi di rianimare il "pneuma" dobbiamo registrare la sua avveduta proposta di introdurre una cannula nella trachea, anche se i panni imbevuti di acquavite e applicati al precordio facevano ripiombare i rianimatori in un deciso pessimismo. Il "pneuma" era l'incarnazione stessa della vita, ma rappresentava anche l'anima immortale e lo si immaginava formato di "aria, la più sottile, attirata nel corpo dal richiamo irresistibile della natura e qui rinchiusa". E' sufficiente che le strutture biologiche che la tengono prigioniera vengano meno, ed ecco che subito questa "anima" lascia il corpo involandosi con l'ultimo soffio vitale, l'ultimo respiro. Un concetto che, rigidamente 44 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------applicato come lo fu durante tutta l'antichità e il medioevo fin quasi all'età moderna, attribuì alle morti per asfissia (dall'impiccagione all'annegamento), un che di "maledetto", che permane ancora, ai giorni nostri, presso molte popolazioni arcaiche e non solo. In queste condizioni, in qualche modo, la morte assunse un aspetto ancor più terrificante, perché, data l'impossibilità che il "pneuma" potesse involarsi in quanto l'ultimo soffio vitale era stato costretto dall'asfissia a restare nel corpo, l'anima era irrimediabilmente votata alla stessa degradazione putrefattiva cui doveva soggiacere tutto l'organismo. La fondamentale importanza dell'accertamento della morte non è soltanto dovuta alle conseguenze giuridiche dell'evento, ma anche a ragioni di ordine morale e sentimentale e alla necessità di eliminare il pericolo di inumazioni precoci, potendo in certi casi (fortunatamente rari) l'organismo vivente avere l'apparenza di un cadavere. Stiamo parlando della "morte apparente". Il timore che essa si verifichi ha fatto sì che in tutti i Paesi civili il Legislatore abbia provveduto a garantire con speciali disposizioni di Legge la sicurezza dell'accertamento del decesso. Così, si direbbe, il pericolo di una inumazione precoce dovrebbe essere evitato. Ma così non è, nel senso che, pur senza voler essere allarmisti, i casi di morte apparente e di conseguenza i seppellimenti precoci sono rari ma non rarissimi. Le morti non perfettamente diagnosticate e le persone che "improvvisamente resuscitano" hanno una incidenza RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 45 -----------------------------------------------------------------------------relativamente elevata. L'ultimo esempio, in Italia, risale a pochi mesi fa, allorché un anziano uomo di Palermo, considerato dai curanti morto per infarto e trasportato a casa "per evitare le procedure burocratiche", il mattino dopo, mentre i parenti e pie donne piangevano accanto al letto del defunto, ha aperto gli occhi e con voce flebile ha chiesto un pò d'acqua. E' stato nuovamente ricoverato, per precauzione, in ospedale, ma si è ripreso "definitivamente". Nei celebri "Racconti del Terrore" di Edgar Allan Poe (e specialmente in quello intitolato "Il seppellimento prematuro"), questa possibilità e questa paura è raccontata, ma diremmo vivisezionata, con grande accuratezza e un pò di fantasia. L'Autore cita quattro casi "veri" di morte apparente e di inumazione "precoci"; parla anche di un suo caso personale, nel quale provò (senza che ciò corrispondesse alla verità per una serie di circostanze fortuite e imprevedibili) l'esatta percezione di essere stato sepolto vivo. Lui che, diceva, soffriva di catalessia, fenomeno psicomotorio che consiste nei prolungato mantenimento di posizioni o atteggiamenti del corpo (talvolta scomodi e/o difficili da mantenere) per una alterazione del tono muscolare, della quale ancora non si conoscono esattamente le cause, e che, in certe situazioni, potrebbe essere scambiata con un decesso, ma che in realtà si verifica di regola nella schizofrenia catatonica,nella quale può arrivare fino alla flexibilitas cerea e/o indurre fenomeni di negativismo ai tentativi di cambiare le posizioni assunte. Si noti, per pura curiosità, che la 46 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------catalessia può anche essere indotta mediante ipnosi o con mezzi suggestivi, come accade nell'isteria. Questo stato particolare non è da confondere con la narcolessia (con cataplessia), affezione caratterizzata da attacchi diurni bruschi e irresistibili di sonno, per lo più associati ad intensa ipotonia muscolare. Ma non deviamo dal nostro discorso. In Poe è difficile separare l'orrore che viene dal di fuori dall'orrore che è in noi, nell'animo umano: e, forse, parte della sua grandezza di scrittore (e, non dimentichiamolo, di poeta - valgano per tutti i due versi di una poesia giovanile, "Romance"; " I could not love except where Death - Was mingling his with Beauty's breath"). (Potevo amare solo la morte - Mescolava il suo fiato con quello della Bella). Deriva proprio da quella superba interpretazione di elementi oggettivi e soggettivi, la disintegrazione della psiche che alcuni vedono come il suo tema ossessivo che così diventa anche incontro col Nulla, con l'Altro e l'Altrove. Qui non si tratta di semplice necrofilia o algolagnia; piuttosto siamo di fronte ad un interesse ossessivo, terrorizzante, per il motivo della disintegrazione della psiche e delle fredde passioni dell'Io, con sentimenti di vampirismo e di ignoto destino. Tornando alle leggi in tema di accertamento di morte, nei casi nei quali esiste referto all'Autorità da parte del medico che ha constatato la morte, il seppellimento non può aver luogo senza il nulla osta dell'Autorità medesima. I segni differenziali tra la morte reale e la morte apparente sono innumerevoli, ma per lo più non molto precoci. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 47 -----------------------------------------------------------------------------Comunque la difficoltà del giudizio, quando si presenti, è pur sempre transitoria e non dura oltre il tempo minimo fissato dal Regolamento di Polizia Mortuaria, che è di 24 ore nei casi ordinari e di 48 in quelli di morte improvvisa. Quando sorgano dubbi servono decisamente i reperti elettrocardiografici ed elettroencefalografici, secondo le ben note norme. Sta, comunque, di fatto che la diagnosi differenziale tra morte reale e quella apparente presuppone in chi la formula la conoscenza dei fenomeni cadaverici. Una soddisfacente classificazione di questi ultimi non è possibile, non essendo utilizzabili né il criterio della qualità né quello della successione cronologica. Infatti, molte manifestazioni sono prodotte dal combinarsi di processi di sopravvivenza con modificazioni di ordine fisico-abiotico e, per di più, c'è generalmente una coesistenza, sia pure in fase diversa della loro evoluzione, dei vari fenomeni. In linea di massima tutti gli studiosi concordano nel distinguere tre gruppi di questi fenomeni: quello dei fenomeni immediati di carattere negativo (perdita di coscienza, insensibilità, immobilità con abolizione del tono muscolare, cessazione della respirazione e della circolazione); quello dei fenomeni biotanatologici (raffreddamento, algor mortis, rigidità cadaverica, ipostasi) e quello dei fenomeni trasformativi (disidratazione, putrefazione, macerazione, corificazione, mummificazione e saponificazione). Riprendendo il nostro tema, essere sepolto vivo è senza dubbio l'estremità più paurosa in cui possa incorrere un 48 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------uomo. Che sia accaduto sovente (se non spessissimo) nessuno a ben vedere potrà negarlo. I limiti che dividono la vita dalla morte, malgrado tutto quello che si è detto sono complessivamente vaghi e spesso confusi. Non si può dire con certezza dove finisca l'una e dove inizi l'altra. Sappiamo che vi sono malattie che possono portare ad un arresto totale di tutte le apparenti funzioni della vita, arresto che però è momentaneo (cioè solo, come propriamente si dice, una sospensione, una pausa dell'incomprensibile meccanismo). D'altra parte molti necrofori raccontano che quando si aprono le tombe, per le più diverse ragioni, non è raro trovare scheletri in posizioni tali da far sospettare che il "morto" abbia disperatamente tentato di uscire dalla bara, di farsi strada, come se per qualche tempo si sia mantenuto "vivo". Sospetto davvero terribile. Senza esitazione si può affermare che non esiste nulla che più terribilmente possa ispirare tanta suprema disperazione. Sepolto vivo! L'oppressione intollerabile dei polmoni, le esalazioni soffocanti della terra umida, il freddo contatto delle vesti funebri, il rigido abbraccio del luogo angusto, l'oscurità assoluta, il silenzio che sommerge come un mare., un misto di disperazione immanente e fatale, straziante, orrida, terrorizzante. Poe, temendo una simile situazione, aveva approntato una serie di provvedimenti preventivi, ma chi leggerà il racconto capirà come questi siano di incerta utilità. In certi casi, temendo la morte apparente, si può morire di paura, o credere (che è lo stesso) di poter morire di paura. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 49 -----------------------------------------------------------------------------Nel volume di Leon Bloy “Esegesi dei luoghi comuni” (Memoranda Edizioni, 1986) si leggono queste righe esilaranti: “E’ lecito chiedere, e anche chiedere agli altri, perché mai un uomo che è vissuto come un maiale senta il desiderio di “non morire come un cane”. Intanto, che cosa vuol dire morire come un cane? A giudizio delle autorità, ciò consiste nel lasciare questo piacevole mondo senza sacramenti, e nell’andarsene dritti al cimitero senza funzioni religiose. Quindi il “borghese” che non vuol morire come un cane deve far venire un prete, il Parroco, se possibile, e parlargli dell’imposta sul reddito, dei vantaggi della coltivazione intensiva del girasole canadese, degli inconvenienti del mastice nei molari dell’ippopotamo, o dell’urgenza di una riforma tendente a introdurre l’insegnamento obbligatorio del Mancese; manifestazione di fede cristiana che, dopo la morte, dà diritto a far portare la propria carcassa in chiesa e ad essere accompagnati al cimitero da una tonaca, se la famiglia non si oppone alla spesa. Ovviamente il tutto è per la platea, per non morire come un cane. Potete capirlo, oppure no, ma il punto è questo. Della religione me ne frego, dice il civaiolo (venditore al minuto di legumi), ma non voglio morire come un cane. Ne va della clientela della ditta, se la clientela è benpensante, se no, l’interesse della ditta esige, al contrario, che il padrone crepi come un cane, ma è un caso raro, nei sobborghi in cui si fa baldoria”. Veniamo ora ad un altro capoverso: morire improvvisa mente. Si tende a ritenere che la morte improvvisa sia 50 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------tipica della nostra era, piena di pericoli, caratterizzata dalla fretta di vivere, dalle guerre, dai tsunami, dai terremoti, funestata dagli incidenti stradali. L'era degli infarti, degli omicidi, non soltanto di mafia e politici, ma anche per le lotte di potere, sempre misteriosi e insoluti, termini dolci per non dire impuniti. Eppure, tanto per andare soltanto un pò indietro, Giovanni Maria Lancisi, protomedico generale della Roma papale, nel 1707 pubblicò due volumi intitolati "De subitaneis mortibus", ben accolti dai clinici dell'epoca, primo tra tutti il Ramazzini, nonché il fior fiore dei colleghi stranieri. Ciò fece attribuire la morte improvvisa agli autori italiani, cosa insolita viste le difficoltà che gli storici, specialmente inglesi, avevano nell'assegnare meriti ai precursori di Harvey. Andando ancora a ritroso di circa un secolo, troviamo una completa trattazione dell'argomento da parte di Spalato Signorelli, primario medico di Correggio (Reggio Emilia). Egli, consultato un volume trovato quasi per caso nella locale biblioteca, intitolato "Mortis repentinae examen", pubblicò le sue osservazioni nel 1612, con un sottotitolo: "Insieme con un breve metodo perché tutti coloro che sono a rischio di quella, ne abbiano il presentimento e prendano precauzioni". Morte improvvisa, quindi, che interrompe il corso "naturale" della vita dell'uomo e sorprende quest'ultimo impreparato, ma che l'arte medica, con eventuali interventi d'urgenza e, prima ancora, con opportune misure preventive, può riuscire a scongiurare. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 51 -----------------------------------------------------------------------------L'autore, trattando la materia secondo le abitudini del tempo, cioè combinando filosofia e medicina, dapprincipio chiarisce cosa si debba intendere per morte naturale, abbondando in citazioni di Aristotele e/o prese dalla sacre scritture, nonché derivate dalla "teoria dei tre ventri" di Mondino De Liuzzi, passa poi a descrivere le morti improvvise, partendo da considerazioni legate ai tre distretti principali che si riteneva governassero la vita dell'essere animato: il fegato, sede dello spirito naturale; il cuore, dove, mediante l'aria fornita dai polmoni, si creava lo spirito vitale, e il cervello, sito dello spirito animale. Solo una lesione degli ultimi due "organi" poteva provocare una morte improvvisa. Ovvero: morte repentina cardiaca (per danni del cuore e/o delle grandi arterie, o anche per una malattia degli organi contigui (o anche lontani) ma con ripercussione sulla funzione cardiaca o della circolazione, magari dovuta a "turbamenti dell'animo repentini e violenti". La seconda forma era quella dell'apoplessia cerebrale e, successivamente, di quella respiratoria. Il meccanismo fisiopatologico che in tutti i casi porta l'individuo a morte è "l'estinzione del calore naturale" che avviene per "soffocamento" (asfissia) o per "dìssolvimento" o per "corruzione". L'autore, infine, giunge alla conclusione con un richiamo a quelle che definisce "cause occulte" ed a quelle "preternaturali", che fa risalire a "particolari caratteristiche di uomini e di cose". Non esistono, forse, si chiede, fenomeni inspiegabili in natura?! Così è, dunque, anche per certi casi di morte improvvisa. 52 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------Lancisi parla poi dei segni premonitori: dalla validità e ritmicità del polso, alla palpitazione cardiaca, dalla sincope alla congestione cerebrale, dalle alterazioni respiratorie, alla costituzione corporea, ai tipi di pletora. Passa quindi a dare suggerimenti e raccomandazioni preventive. Ribadisce che occorre soprattutto evitare i danni alle funzioni vitali (cuore e respirazione) ed a quelle animali (cervello), asserendo che una alterazione delle sole funzioni naturali non è in grado, da sola, di determinare una morte repentina. Seguono una serie di consigli pratici che oggi possono far sorridere, ma che in fondo rappresentano degli stereotipi che, con qualche aggiornamento e le opportune diverse espressioni, sono sostanzialmente validi ancor adesso. Possiamo concludere con Vittorio Puddu che una ventina d'anni or sono chiudeva un suo studio con la collaborazione di Motolese (sulla "Morte Improvvisa Coronaria") richiamandosi al De Rerum Natura di Lucrezio, affermando che "ben poco c'è di nuovo sotto il sole". All'alba del primo giorno della settimana, il 9 Aprile dell'anno 30 (della nostra era) alcune donne, discepole del rabbino e profeta Gesù di Nazareth - e tra esse Maria, la cui provenienza da Magdala, piccola borgata della Galilea, le darà il nome di Maddalena - annunciano per prime che Gesù è risorto da morte. Anche se la tradizione cristiana sembra averlo dimenticato, tutti i Vangeli sono concordi nell'affermare che sono state le donne discepole ad avere il coraggio e la forza di dire l'indicibile, di credere l'incredibile, di gridare RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 53 -----------------------------------------------------------------------------contro tutti (compresi gli undici apostoli) che Gesù non era più preda della morte, ma era di nuovo vivente, vivo tra i vivi. E tra di esse, proprio la Maddalena è nominata in tutti i Vangeli con un ruolo primario in quell'evento, che sarà il fondamento della chiesa attraverso tanti secoli, fino ad oggi. Come, infatti, dirà Paolo: "Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede, e noi cristiani saremmo i più miserabili tra gli uomini". Ma chi era Maria Maddalena e come giunse a quel grido "Cristo è risorto da morte"? Secondo il vangelo di Luca era una donna dal passato devastato. Era stata liberata da sette demoni proprio nell'incontro con Gesù. La possessione demoniaca, secondo il senso della religiosità di allora, era non solo possibile, ma frequente e al tempo stesso mutevole. Riscatto, sconfitta del demonio e possibilità di azioni miracolose, di stupefacenti realtà e di vittorie entusiasmanti. Chi non vorrebbe avere la propria Maddalena, dopo la morte? Resurrezione, ritorno dalla morte alla vita, con riferimento alla vicenda soprannaturale di Cristo o all'attesa del Giudizio Universale. Se potessimo scegliere, non vorremmo resuscitare ma risorgere. Risorgere, come nel caso di Gesù, per amore, o per meglio dire, per l'amore. Quella capacità, tipicamente femminile, fedele, testarda, profonda, viscerale, totalizzante, che solo le donne sanno sentire, nutrire e testimoniare. Per Maria Maddalena quella morte era vissuta come violenza, ignominia, catastrofe. Così, con le altre donne, quella morte fu seguita, spiata, osservata, forse capita. Gli 54 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------apostoli erano (tutti) fuggiti. Lei no, loro no. Così, con la resurrezione, mistero tra i misteri, l'amore, che pareva sconfitto e negato, è di nuovo vittorioso. Neppure la morte può sconfiggerlo. La morte è vinta, l'amore è più forte. Potranno i nostri sentimenti. amorosi avere la meglio?! Può esserci una speranza catartica, liberatoria? O sono solo ubbie, speranze vane, senza un domani e senza una (buona) ragione? Sarà solo fede o anche possibilità misteriosa, estremo riscatto, segno "umano" ai confini del divino? Alla base di tali tortuosi ma non tormentosi ragionamenti c'è la fede, o l'anima o l'ignoto. Nessuno saprà mai. L'influenza della componente psicologica nei confronti del cancro (in senso lato), malattia che comunque desta costantemente una certa paura, per non dire terrore, nelle persone meno informate, culturalmente e spiritualmente, è enorme. Si conoscono pazienti nei quali per errori diagnostici era stata affermata la presenza di un tumore, i quali reagivano in senso pessimistico e "peggiorativo"al "progredire del male". Al contrario malati ai quali era stata esclusa una diagnosi di cancro, malgrado la sua esistenza (più tardi convalidata), che dimostravano un ottimismo nella considerazione dei sintomi (ovviamente invalidanti) al punto da negare aspetti peraltro evidenti, notando, al contrario, benefici inesistenti ma vissuti con la forza della mente. Rimanendo in tema, affermiamo l'utilità della psicoterapia per i portatori di neoplasia, inconfutabile sostegno da affiancare ai farmaci, perfino dopo procedure chirurgiche. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 55 -----------------------------------------------------------------------------Nel 1993, un gruppo di ricerca, guidato da F I Fowrj pubblicò su Archives of General Psichiatry, i risultati di uno studio riguardante 68 persone operate di melanoma maligno. Dopo l'intervento questi pazienti furono divisi 2 gruppi di 34 unità: solo il primo partecipò a sedute psicoterapeutiche settimanali, durante le quali gli operatori fornivano non soltanto informazioni scientifiche sul melanoma come menzione di nuove possibili speranze, ma anche riguardanti la nutrizione, l'attività fisica e le pratiche antistress. Dopo 5 anni i medici poterono verificare una differenza significativa tra i 2 gruppi: le recidive e i decessi nel gruppo che aveva avuto il sostegno psicologico erano del 50% circa inferiori all'altro gruppo. A 10 anni di distanza queste differenze si sono assottigliate, ma il rischio di morte per chi partecipò al gruppo di sostegno, restava ancora circa 3 volte inferiore all'altro. Ciò con il conforto di altri studi simili dimostra che in effetti la psicoterapia aumenta le difese e in ultima analisi la sopravvivenza dei malati di cancro. Il carattere (e, a volte, il mestiere) delle persone incidono in modo considerevole sulla aspettativa e/o il "desiderio" di morte. E' recente il caso di Jerry Lewis, uno dei più grandi comici americani, il quale a 76 anni, dopo una vita apparentemente "allegra" ma in realtà funestata da una serie pesantissima di guai, fisici e non solo, di recente affetto da una grave forma di fibrosi polmonare tale da 56 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------impedirgli di continuare il proprio lavoro, ha espresso idee dì suicidio. Del resto l'attore è stato più volte sull'orlo della morte. Nel 1982 per esempio, fu dichiarato clinicamente morto dopo un infarto, poi sopravvisse. Un anno dopo subì un complicato intervento a cuore aperto. In seguito gli sono stati diagnosticati un cancro della prostata e il diabete. Nel 2000, durante un tour australiano, la moglie lo trovò esanime nella camera dell'albergo: ricoverato per accertamenti gli fu trovata una affezione da meningite. Per questo commuovono e non stupiscono le terribili e sincere parole con le quali l'artista ha confessato le sue sofferenze al Daily Mirror. "Non sono in grado di raccontare nei dettagli le grandi sofferenze attraverso le quali sono passato" ha detto Lewis "in Aprile stavo così male e il dolore da cancro era così insopportabile che mi sono procurato una pistola ed ho pensato seriamente di farla finita, sparandomi un colpo in bocca". Aveva una profonda depressione e la carriera, la vita di comico, gli sembrava finita. Ha detto "c'è una linea sottile che separa la commedia dalla tragedia ed io posso dire che ho superato, almeno in spirito, questo confine. Ma questa condizione crea strane contraddizioni." La vita è tornata a sorridergli, mentre dolori ed astenia psicofisica sono scemati. Si tratta comunque di un uomo a rischio. I "vissuti da cancro", spesso consentono importanti e profonde meditazioni sulla morte. Disse Harold Pinter,il grande drammaturgo: "E' come trovarsi in una foresta impenetrabile nella quale è difficile orientarsi". RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 57 -----------------------------------------------------------------------------Intervistato dopo l'intervento chirurgico subito per l'asportazione di un tumore, ha raccontato come ci sì sente a un passo dalla morte. La sua poesia "Cellule tumorali" è stata pubblicata nel Marzo 2002 dal Guardian. Si trattava di una vera e propria chiamata alle armi contro la malattia, scritta mentre Pinter era sottoposto a chemioterapia. L'artista ha dichiarato: "Tu stai li seduto e una infermiera ti inietta endovena il chemioterapico. Quella stessa infermiera a un certo punto mi disse: le cellule tumorali sono quelle che hanno dimenticato come si fa a morire". Questa frase lo colpì talmente da indurlo a buttare giù dei versi: E' il morto della notte. I vecchi morti allungano lo sguardo sui nuovi morti, vanno verso di loro. C'è un lieve batticuore quando il morto abbraccia I vecchi morti e quelli fra i nuovi, che vanno verso di loro. Piangono e si baciano quando si incontrano per la prima ed ultima volta (Harol Pinter - Agosto 2002) Diceva ancora il drammaturgo: "Devo vedere morto il mio tumore, un tumore che dimentica di morire, ma progetta di uccidere me, invece". A lui è andata bene. E' guarito. ma non potrà mai dimenticare quella esperienza, né fare a meno di tenerne conto. 58 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------In un bollettino dei testimoni di Geova si pone il problema del perché l'uomo muore e lo si riferisce al peccato originale, come per i cristiani, con l'unica differenza del punto di riferimento: Geova anziché Dio. Per l'interpretazione della morte, i testimoni di Geova ricorrono com'è loro consuetudine, alla Bibbia. Cos'è la morte? si chiedono. Quando l'uomo muore, torna alla polvere. Non si sa più nulla (Salmo 146:4). I morti non ti possono parlare e non possono fare nulla (Ecclesiaste 9:5,10). Molti angeli sono diventati cattivi. Fingono di essere persone morte, per farci credere che non moriamo veramente (Genesì 6:1,2 - Giuda 6). Per questo Geova non vuole che crediamo a quegli angeli cattivi, chiamati demoni (Esodo 22:18-Deuteronomio 18:10,1l;32:17). Non vuole che pratichiamo spiritismo, magia o divinazione (Galati 5:19-21). Ricordi che il primo uomo, Adamo, peccò? Perse la vita e il Paradiso e noi tutti moriamo perché siamo figli suoi (Romani 5:12; 3, 23). Poi, premessa la storia di Gesù, si passa alla esaltazione di Geova, vero Dio dell'universo, il quale non rinnega Gesù, ma ne offre un significato diverso. Passando ad altro, oggi la morte per gli adolescenti è diventata un video-clip. La cognizione della morte specialmente nelle prime età, non c'è. Nessuna paura, nessun distinguo. Muoiono gli altri. Tuttavia c'è una eccezione a questa regola. Quando un piccolo vive in ospedale, seriamente malato e con poche (non solo oggettive, ma anche intuite) speranze, vedendo RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 59 -----------------------------------------------------------------------------morire persone accanto o vivendo il dolore del prossimo, ascoltandone spesso le idee e le riserve, può farsi strada in lui un po' di paura, la sensazione di poter morire, almeno dai 3-4 anni in su. Non c'è nulla di più tremendo di osservare questi stati d'animo, queste angosce solo parzialmente avvertite. Lo sguardo dei bambini diviene interrogativo, stupito e implorante. Le parole sono per lo più limitate alla ricerca della mamma, rappresentando la sua presenza una specie di esorcismo della morte, o più genericamente della paura, del dolore. La morte, in questi casi, è una resa al (misterioso) disegno del destino, alla mancanza di un protettore, di un amico, di uno scopo. Non auguro a nessuno di provare queste esperienze, tanto meno per un familiare, terrificanti e che non consentono l'oblio. Poche ferite sono paragonabili a queste. Ad esempio, una volta, nella prima metà del secolo scorso, per la perdita di una persona cara, il lutto durava almeno una settimana, alla quale seguiva un lungo periodo di riflessione. Ora tutto viene "consumato" in tempo reale, in fretta, senza colori, senza profondità. La morte spesso diventa anche spettacolo. Famoso l'esempio di un archiatra pontificio che vendette le foto del Papa morente ad un giornale. La macchina fotografica, così come la cinepresa e la videocamera, agisce spesso come un occhio allungato nella vita (degli altri) capace di penetrare dappertutto con sfacciataggine, con impudenza. Nella fotografia, come nel cinema e nella televisione, affiora spesso, più o meno esplicitamente,una componente 60 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------voyeristica, che può dar luogo a curiosità morbose o a comportamenti di sadismo indiretto, immorale e gratuito. Le immagini dei mass-media si impadroniscono spesso della morte, come di un accadimento imprevedibile; per lo più ne privilegiano gli aspetti violenti, trascurandone il valore di progetto ineluttabile. La considerano cosi ideologicamente come un'eccezione che riguarda alcuni sfortunati e non le attribuiscono alcuna funzione di esemplarità esistenziale: non aiutano assolutamente a capirla, ad accettarla, ed intrecciarla con la vita. Muoiono gli altri, noi no. Noi siamo eterni e immutabili. Vincenti. Ma è vero il contrario. Chi relega la morte a questi "spettacoli", chi la nega, chi la delegittima, in pratica è già morto. E' già finito. Le immagini di cadaveri, spesso arricchite dai dettaglio delle ferite e dello strazio, rappresentano il risultato di un dominio non più mascherato del vitalismo acritico e irriflessivo della cultura di massa sull'evento che fa paura. Un dominio che non induce ad alcuna riflessione, ma che al contrario, la cancella o la respinge,per esorcizzare angosce individuali attraverso rituali collettivi a poco prezzo. Questa morte, non considerata affatto come "partner" (né, tanto meno come "sorella"), non interrogata nei suoi valori vitali, si distribuisce nei canali dello spettacolo contemporaneo, oscillando tra la banalizzazione della quantità e l'orrore dello scoop, del colpo di scena. L'informazione di massa gioca con la morte una delle sue RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 61 -----------------------------------------------------------------------------partite più tragiche (e perfino tragicomiche), purtroppo socialmente più legittimate. La morte non è mai un divertimento o una gratificazione, né un premio, se facciamo a meno di considerare l'aspetto religioso della possibile conquista del paradiso. Tuttavia c'è un aspetto nel quale la castrazione e la punizione assumono un valore massimo. E' il caso della pena di morte. All'inizio del secolo scorso si trattava di una pratica giudiziaria in qualche modo assai diffusa, Poi, via via, si è fatto strada il concetto di inutilità della condanna a morte, sia civile, sia sociale, e anche di un suo connotato tribale, arcaico e illegittimo. Così è iniziato un vero "processo alla pena di morte", che ha indotto molti stati ad abrogarla e a rinunciare contestualmente anche all'ergastolo. Prevale quindi, il concetto di pentimento del reo, di un suo possibile recupero, in virtù della speranza di un reinserimento nella vita quotidiana. Basti per tutti l'esempio degli USA, dove ancor oggi, si sta conducendo un braccio di ferro tra garantisti e fautori della condanna capitale. Molti stati confederati, specie del sud, mantengono il retaggio della cultura dell’"omicidio di stato", inteso come monito esemplare per tutti i criminali e specialmente quelli che si sono macchiati dei reati più efferati. 62 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------Come quando in Inghilterra, venivano affidati al boia, coloro che avevano ucciso un poliziotto che, per legge, girava disarmato. E' di poco tempo fa la notizia che in Illinois, dopo tre anni di moratoria di esecuzioni, il governatore repubblicano, George Ryan, valuta la conversione, avviando un riesame per 160 condannati, esaminati dettagliatamente e confrontati con i militanti abrogazionisti e gli estimatori della pena di morte. Lo stesso governatore, in uno stato a maggioranza democratica, ha deciso di prendere una decisione "scomoda", dopo aver incidentalmente verificato che su 75 detenuti nel braccio della morte, almeno 13 erano presumibilmente innocenti. Egli ha affermato testualmente "non possiamo uccidere qualcuno se non siamo certi al 100% della sua colpevolezza". Che ciò avvenga in una città come Chicago (già sede di Al Capone !) è esemplare. E' sempre più facile rivedere le sentenze capitali e commutare queste pene in ergastoli. E' recentissima l'iniziativa dello stesso governatore uscente dell'Illinois, il già citato Gorge Ryan, di salvare dall'esecuzione capitale 150 detenuti. Pare sia il segno di una nuova sfiducia del Paese verso la forca. Nel caso specifico, poi, la ragione basilare di questa decisione è stata la constatazione che quattro detenuti nel braccio della morte erano in realtà innocenti, essendo stata loro carpita la confessione con torture. Questi casi di inaudita violenza non sono rari nei distretti di polizia (non soltanto americani), dove relativamente numerosi RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 63 -----------------------------------------------------------------------------rappresentanti della legge pensano di potersi fare giustizia da soli, in barba alla verità. Poco conta se le esecuzioni vengano compiute con mezzi diversi: dalla sedia elettrica alla impiccagione, alle camere a gas, alla fucilazione e alle iniezioni letali. Secondo i più, e specialmente secondo la Chiesa, un governo non dovrebbe mai macchiarsi di simili "delitti". Senza contare lo stress psicologico di chi attende l'esecuzione con la sua tragedia finale che già di per sè rappresenta una pena durissima. Giornalisti e uomini di legge hanno riferito casi, a dir poco sconcertanti, riguardanti condannati a morte per i più vari motivi. Basti ricordare il libro scritto da C. Cessmann "Cella 34 quinto braccio della morte", che venne comunque giustiziato, dopo aver dimostrato un profondo ravvedimento. Assai alteri, comunque, sono coloro che chiedono una vita per una vita, che invocano la legge del taglione contro quelli che stanno sull'altra riva del fiume, nei raggi della morte, che chiedono grazia. E' un problema a tutt'oggi non completamente risolto che mette a confronto pensieri, coscienze e convinzioni diverse, teoricamente tutte lecite, ma che attualmente si complicano con le differenti politiche e diversi modi di sentire. Per concludere, riferiamo alcune usanze nel culto dei morti. Ad esempio nell’antica Roma, durante i funerali si organizzavano i giuochi dei gladiatori che erano celebrati senza alcun intervento di sacerdoti pubblici, perché secondo essi la vista e il contatto del cadavere avrebbe 64 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------contaminato il sacerdote. Quando i parenti avevano reso gli estremi uffici al morto, chiudendogli gli occhi, chiamandolo ad alte grida per sentire se proprio la vita lo aveva abbandonato, quando lo avevano lavato, unto e vestito, gli avevano posto accanto le corone onorarie che aveva ricevuto in vita, e nella bocca la moneta per pagare Caronte, il nocchiero infernale, il cadavere veniva esposto al popolo per alcuni giorni. Si capisce che i ricchi pagavano ai loro cari funerali di grande lusso e i poveri dovevano accontentarsi di un modesto funerale notturno, seguendo in questo una saggia disposizione della legge delle XII tavole, la quale proibiva i funerali diurni, e questo spiega l’uso dei ceri dietro ogni bara e nelle processioni. I ricchi, naturalmente, trovarono ben presto il modo di eludere la legge per sfoggiare di giorno dinanzi agli occhi del popolo cortei funebri ricchissimi. Il corpo era trasportato a braccia in una bara scoperta (un’usanza viva ancora oggi in Grecia) sopra una ricca lettiga: la precedevano suonatori di flauto, trombettieri e prefiche, cioè donne prezzolate per piangere e cantare le lodi del defunto; la seguivano parenti e amici, vestiti a lutto di nero o di bianco. Il corteo si avviava al luogo della sepoltura che era generalmente fuori dalla città, su una delle vie esterne. I ricchi avevano delle tombe e dei recinti propri, per i poveri vi erano le fosse comuni, ma i Romani non conobbero i cimiteri come i nostri. Solo alcuni grandi personaggi ebbero il privilegio di seppellire i morti in città. I Romani avevano due modi di sepoltura, proprio come i Greci : la deposizione nella terra e la cremazione. RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 65 -----------------------------------------------------------------------------Con la prima si rende il corpo alla terra donde è nato; la seconda permette all’ombra che contiene l’anima di risalire al cielo donde emana. Più complessa era la cerimonia della cremazione. Per questa si elevava un rogo di legna, ornandolo spesso di tappeti, di ghirlande, di statue in modo che avesse un aspetto monumentale. Sopra si poneva il cadavere e si spargevano profumi e incenso; poi un parente, volgendo indietro la faccia, avvicinava una face alla catasta che ardeva crepitando. Spente le ceneri con vino, si lasciavano asciugare e fra esse si raccoglievano gli avanzi del defunto, operazione resa più facile se il corpo era stato avvolto in un lenzuolo di amianto. Dopo il funerale si purificava la casa, la famiglia, i lari, tutto quello che la vista o il contatto del cadavere aveva contaminato. Di questa purificazione faceva parte un banchetto funebre composto specialmente di uova, ceci, fave e lenticchie. Ecco perché è costume mangiare, ancor oggi, i ceci e le fave nel giorno dei morti. Questo si faceva nei funerali relativamente modesti; ma ve ne erano di quelli di un lusso inaudito. Nove giorni dopo i funerali si chiudeva la novena con un banchetto funebre, il lutto durava circa come ai nostri giorni e non si potevano portare ornamenti o vesti colorate. Ai soldati morti in guerra dava sepoltura lo Stato. Quando si voleva divinizzare il morto, sul rogo si legava un’aquila che, dato fuoco alla catasta, veniva lasciata volar via e pareva portare al suo signore, Giove, l’anima del defunto. La legge proibiva di bruciare e seppellire i cadaveri entro le mura della città e quindi innalzavano le loro tombe nelle 66 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------campagne circostanti. I Romani non conobbero i cimiteri come i nostri; ognuno poteva innalzare un sepolcro e scavarlo dove gli piacesse, purché ciò non fosse di disturbo o danno ai vicini; come i Greci, avevano tombe sotterranee e sepolcri eretti. La più tipica forma di sepoltura isolata consisteva nel depositare l’urna funebre in terra e segnarne il posto con una pietra tombale in forma di stele che recava il nome del defunto. Più caratteristici delle steli erano i cippi: anzi si può dire che fossero i veri monumenti funebri romani: deposito funebre, monumento e altare. Citiamo ora, per dare un senso alle nostre carenti conclusioni, tre poesie di Charles Baudelaire (da "I fiori del male") che in qualche modo affrontano il problema della morte. La prima che citiamo è "Sepoltura" In essa la morte è vista e considerata in modo drammatico, e dotata di tutte quelle considerazioni che inducono a temerla. In "Brume e piogge" vi è una lunga metafora sui problemi funebri e sulle stagioni che continuano e continueranno ad alternarsi, mentre anche il giorno e la notte si susseguono a favore (per il poeta) di tenebre pallide e di sere illuni. Il destino è visto in modo immanente, con una vera esorcizzazione della morte, vissuta, tuttavia, senza tristezza, ma con un istinto distruttivo. Nell'ultima poesia che citiamo, "Il morto allegro"; il poeta esprime tutto il suo scetticismo sulle volontà testamentarie e le abitudini sepolcrali. Dice: "Piuttosto che implorare una lacrima dal mondo vivo, preferirei invitare i corvi a salassarmi l'immonda carcassa in ogni suo brandello". Qui RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 67 -----------------------------------------------------------------------------la morte ha l'odore della putrefazione, nega l'esistenza dell'anima ed è assimilata ad un sonno nell'oblio. Forse per questo il morto viene considerato allegro, in quanto polvere nella polvere, senza dolore e senza speranza. Sepoltura Se in una notte opprimente ed oscura Un buon cristiano dietro un vecchio rudere Per carità sotterra il vostro corpo Tanto vantato, all'ora in cui le caste Stelle chiudono gli occhi appesantiti, Intorno il ragno vi ordirà le tele, Vi anniderà la vipera i suoi piccoli; Per tutto l'anno udrete sulla vostra Testa dannata i lamentosi urli Dei lupi e delle fameliche streghe; Ed i sollazzi dei vecchi lubrìci E i complotti dei cupi malviventi. (Charles Baudeiaire - I Fiori del Male) Brume e piogge O tardi autunni, inverni, primavere Fangose, soporifere stagioni V'amo e vi lodo, voi che m'avvolgete Cuore e cervello dentro un vaporoso Sudano, entro una tomba indefinita. 68 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE -----------------------------------------------------------------------------In questa grande pianura ove giocano Gelidi i venti, e dove nelle lunghe Notti la banderuola si fa roca, La mia anima, meglio che nel tiepido Fiore di primavera, schiuderà L'ali di corvo nella loro ampiezza. Nulla è più dolce, per il cuore colmo Di cose funebri, e su cui da tempo Discendono le brine, o sbiadite Stagioni, regine dei nostri climi, Che il permanente aspetto delle vostre Pallide tenebre; se non, insieme In una sera illune, addormentare Il dolore su un letto occasionale. (Charles Baudelaire - I Fiori del Male) Il morto allegro In terra grassa e piena di lumache Voglio io stesso scavarmi una fossa Profonda, nella quale poter stendere Comodamente le mie vecchie ossa, E come un pescecane dentro l'onda Dormire nell'oblio. I testamenti Ho in odio, ho in odio i sepolcri; piuttosto Che implorare una lacrima dal mondo, RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 69 -----------------------------------------------------------------------------Vivo, preferirei invitare i corvi A salassarmi l'immonda carcassa In ogni suo brandello, O vermi! neri Compagni senza orecchie e senza occhi, Guardate, a voi discende un morto libero, Lieto; filosofi gaudenti, figli Della putrefazione, andate dunque Senza rimorsi attraverso il mio rudere, E ditemi se c'è qualche tortura Ancora, per codesto vecchio corpo Già privo d'anima, morto fra i morti! (Charles Baudelaire - I Fiori del Male) 70 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE ------------------------------------------------------------------------------------- BIBLIOGRAFIA 1) - AA.VV. - La morte oggi. Feltrinelli Milano, 1985. 2) - AA.VV. - Una magia più forte della morte. Tinguely Milano,1987. 3) - Bachofen J.- Il simbolismo funerario degli antichi. Pezzella, Napoli, 1989. 4) - Bacon F. – Historia Vitae et Mortis. Lugduni Batavorum, Joannis Marie, 1623 5) - Barbagrigia F.- Lamento de morti, opera capricciosa con un discorso in fine sopra l'aristocrazia. Bologna,1797. 6) - Camus A.- La morte felice. Sarocchi Milano, 1971. 7) - Casalinuovo A. - Il problema della pena di morte. Brucia, Catanzaro, 1985. 8) - Flammarion C.A. Morte. Società Editrice Partenopea, Napoli, 1937. 9) - D'annunzio G. - Trionfo della morte. Treves, Milano, 1984. 10) - Di Nola A. M.- La morte Trionfata. Newton, Roma, 1995. 11) - Grassi P. - Mortis repentinae examen. 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