bullettino scienze mediche

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bullettino scienze mediche
Pubblicazione periodica
2005
ISSN : 0007- 5787
---------------------------------------------------------------------------------------------ANNO CLXXVII
FASC. 2
BULLETTINO
DELLE
SCIENZE MEDICHE
ORGANO DELLA SOCIETA’ E SCUOLA MEDICA CHIRURGICA
DI BOLOGNA
FASCICOLO MONOGRAFICO
Edizioni
Soc. Medica Chirurgica
Bologna
---------------------Tariffa Associazioni Senza Fini di lucro : “Poste Italiane s.p.a.- Spedizione
in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1,
comma 2. DCB – Bologna “
Si ringrazia per il contributo offerto
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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MORIRE, DORMIRE, FORSE SOGNARE *
Libere riflessioni sulla morte
ALESSANDRO BORROMEI , ELEONORA PISTACCHIO,
BEATRICE VARGIU
Società Italiana di Medicina Interdisciplinare (S.I.M.E.I.)
La morte, funebre dea, è un'entità, un prodotto arbitrario
dell'immaginazione degli uomini, una morbosa secrezione
dell'incubo e dello spavento raggelante. I riti, i feticismi, le
filosofie, l'hanno dotata di una personalità antropomorfica,
e ordinariamente la si rappresenta come uno scheletro
armato di falce. La morte con la M maiuscola, l'Assassina,
la Camusa, è opera dei pittori, degli scultori dei musicisti,
dei poeti; in realtà essa non ha volto né essenza né
individualità.
E' questo il primo punto da fissare: la morte "classica" non
è che un'allegoria. In questa accezione la si arricchisce e si
avvolge di veli funerei, e la si circonda di un apparato
terrorizzante.
Le religioni antiche non attribuivano alla morte un aspetto
repellente. Il paganesimo, dal canto suo, la raffigurava
come una bella giovinetta dormiente, tra le braccia della
Notte, sua madre, e del Sonno, suo fratello.
Si rende, quindi, indispensabile una revisione preliminare
della nostra concezione di morte.
(*) Relazione presentata all’adunanza scientifica del 15 aprile 2004
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
Gli uomini non ne hanno che una nozione piuttosto vaga e,
di regola, non vogliono sapere se essa è amara o dolce, né
se è agevole o difficile e neppure se è un male o un bene.
Qui non si tratta di esorcizzare una paura o di cercare di
chiarire un mistero (che tale resterà), ma di affrontare
l'ultimo atto della vita, con lucidità e, se possibile, con un
certo distacco oggettivo.
Esistono luoghi comuni che vanno rifiutati o perfino
negati.
In primo luogo bisogna dissipare la confusione che la
maggioranza degli uomini fa tra sofferenza e morte. La
sofferenza è appannaggio della vita. Si soffre più a lungo
per guarire da una grave malattia che per morire. Se, per
assurdo, l'uomo avesse la certezza di non morire,
sopporterebbe il dolore con una fermezza incredibile.
Questa affermazione non ha nulla di dottrinario o di
tendenzioso. Con le più ampie riserve sull'ipotesi della
"sopravvivenza extraterrena", l'ipotesi citata elimina
(provvisoriamente) il problema dell'aldilà; il suo oggetto è
circoscritto alla morte stessa, considerata come il "termine
della vita fisica", e, più specificamente, all'agonia (che
etimologicamente significa "combattimento").
Certe differenze razziali, legate alle realtà particolari
acquisite nei secoli, una volta erano più sensibili, ma ad
ogni modo non si sono estinte. Un cinese, si dice, muore
con una tranquillità e una quiescenza incomparabili, senza
una vera agonia, senza provare quelle agitazioni e quelle
R ELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------terribili sensazioni che di solito rendono la morte così
tremenda.
Si diceva "si spegne come una candela", come se fosse
sempre relativo ad un uomo (o una donna) di
avanzatissima età, adagio, adagio. Gli inglesi, affermava
Gandhi, la loro vita la portano in tasca. Gli arabi e gli
afgani, quasi tutti i musulmani non considerano la morte
che alla stregua di qualsiasi altro "disagio" e non piangono
mai se qualche loro parente muore. L'India, si dice, è una
nazione di filosofi e di fatalisti. E, invece, non esiste
nazione più sperduta davanti alla morte rispetto alla
nostra, e, nell'India, nessuna comunità (forse) mostra
questo smarrimento quanto gli Indù. In uno dei suoi
messaggi ad essi rivolti, proprio Gandhi rimproverava a
costoro di non aver raggiunto lo "Swaraj" (termine che
indica l'assenza di paura della morte). In altri termini, non
tutti gli asiatici sono uguali. Basti citare l'esempio dei
kamikaze, che non considerano la vita un bene
inestimabile, e non temono la propria morte né soffrono dì
quella degli altri. Gli orrendi fatti delle Torri Gemelle di
New York sono, a questo proposito, una testimonianza
orrenda e recente.
Gli occidentali sono assai diversi. Ma a noi interessa
cercare di analizzare quale sia la reazione non tanto alla
morte come lontana possibilità o ipotetica eventualità,
quanto alla certezza di morire a breve, brevissimo termine,
ineluttabile. Noi tutti (o quasi) sentiamo o meglio
sappiamo che il momento della morte dipende dal nostro
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------sistema nervoso, e più precisamente dalla perdita
dell'attività cardiaca, dalla frequenza del polso, dal
comportamento delle funzioni endocrine e del controllo
(prevalentemente vegetativo) delle altre nostre funzioni
vitali. L'occidentale, in presenza dell'inevitabile, verrà colto
da una commozione e da uno stupore straordinari. Per
alcuni lo "spasimo morale" sarà breve, per altri durerà un
po' più a lungo, finché l'adattamento (arma tipica delle
specie
fragili)
non
conduca
a
considerare
complessivamente l'evento senza turbarsi, a volte perfino
con una specie di familiarità.
Quel che maggiormente colpisce chi assiste moribondi è la
lotta muscolare e nervosa con cui si oppongono alla fuga
della vita. Così, anche nella morte, gli uomini badano più
alle apparenze che alla realtà. Il classico "affaccendamento"
delle mani sul lenzuolo (più noto col nome di "grasping") è
un'azione automatica, meccanica che si verifica all'infuori
della coscienza del malato. Rari individui, specie tra i
medici (per loro natura curiosi ed abituati al metodo
scientifico dell'osservazione), se giungono "a contatto" con
la propria morte con la coscienza conservata, possono
seguire il venir meno delle loro facoltà sensoriali; prima il
tatto, poi la vista, il gusto, e, infine l'odorato.
Comportamento inverso ha l'udito, che non risulta ridotto,
ma acuito, tanto che il moribondo, nel suo patologico
isolamento, riesce a identificare se non tutti, la grande
maggioranza dei rumori. Ciò in base ai resoconti di chi è
sopravvissuto (magari solo per qualche tempo) non crea
alcuna sensazione sgradevole. Anzi, quel che fisicamente
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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----------------------------------------------------------------------------permane di sensibilità, può dare l'impressione di un
"soffice bagno" o di un "affondare nella sabbia".
Queste sensazioni cedono abbastanza presto il campo ad
una impressione di freddo che parte dai piedi e risale
lungo gli arti inferiori, rendendo gli ultimi istanti
"incresciosi". Infine, subentrano rumori (endogeni?) a tipo
di anelito roco e ritmico, una via di mezzo tra il russare di
un ubriaco e il fischio di una locomotiva, a stridio
crescente, che interessa tutto lo "spazio" attorno, quasi
come
un
rantolo
totalizzante.
Sì,
perché
convenzionalmente la fine sopravviene senza che sia dato
accorgersene. Si dice che il passaggio dalla vita alla morte
non si avverte (proprio come quello tra lo stato di veglia e
il sonno).
La morte, in effetti, sopraggiunge (sempre) come il sonno,
sotto forma di un annientamento fisico che per il
moribondo si dice costituisca uno stato euforico e dolce,
con la intensa luce bianca che i rari redivivi hanno
frequentemente riferito (e variamente interpretato, per lo
più in chiave religiosa o "di abbandono").
Poco importa se, nel frattempo, il volto è corrugato e la
"difesa" muscolare convulsa. Del resto, la maschera della
voluttà e dell'immenso piacere non è forse tragica e
spaventosa come la "smorfia" della morte?
Chiunque abbia assistito alla agonia di un uccello con il
capo immerso nell'acqua, ricorda i suoi sussulti, la sua
disperata difesa; ciò non è che una reazione fisiologica
istintiva, senza la partecipazione delle sensibilità. Non si
può dedurre alcuna prova che quella della semplicità
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
--------------------------------------------------------------------------dell'asfissia per immersione, la quale, a sentir parlare i
"quasi annegati" che si sono salvati (near drowing) non
comporta alcun ricordo sgradevole, come accade più in
generale per qualunque altro tipo di asfissia, che causi
rapidamente l'"anestesia" del soggetto.
Nella maggior parte dei casi di morte, sia per malattia sia
per accidente o per suicidio, nel sangue aumenta
esponenzialmente l'acido carbonico dal quale l'organismo
non può liberarsi che incompletamente. Di conseguenza
l'asfissia lenta, progressiva ed insensibile causa una azione
paragonabile a quella di un narcotico, che fa morire
l'agonizzante senza che in pratica questi se ne accorga.
Dal punto di vista medico-legale l'asfissia ha un significato
certamente più ristretto e specifico rispetto al concetto
biologico corrente. Essa viene definita come l'insufficienza
respiratoria acuta che origina dall'arresto della
ventilazione polmonare, causata da azioni meccaniche e
violente che agiscono direttamente sull'apparato
respiratorio, impedendo la libera penetrazione dell'aria nei
polmoni. Questo blocco non ha a che fare con un blocco
della respirazione tessutale che consegua a difficoltà od
arresto del trasporto od utilizzazione dell'ossigeno nei vari
tessuti.
La
sintomatologia
delle
asfissie
comprende
principalmente la "fame d'aria", la dispnea, sintomi neuropsichici (come l'ansietà, l'agitazione psicomotoria, cui
seguono tremori muscolari e convulsioni generalizzate fino
al coma profondo) e sintomi cardiocircolatori: tachicardia,
congestione del viso e delle congiuntive, cianosi (che di
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------regola compare quando la quota di emoglobina ridotta
arriva al 5% nel sangue circolante), via, via fino all'arresto
del cuore.
La durata complessiva della sindrome asfittica è di 4-6
minuti: si passa dallo stadio di dispnea inspiratoria (30sec-l
min.) a quello della dispnea espiratoria (1 minuto circa),
all'apnea (circa 90 sec.) fino allo stadio terminale (da uno a
tre minuti) con eccitabilità residua dei centri bulbari che
determinano gli ultimi movimenti respiratori (superficiali,
brevi ed irregolari), fino al "boccheggiare" e al già ricordato
arresto del cuore.
Ritornando alla paura fisica della morte, quelli che temono
l'ultima ora hanno proprio il timore del soffocamento. Al
contrario, dovremmo essere grati all'asfissia, la quale
obnubila le nostre facoltà, risultando in qualche maniera
"benefica", in modo tale che il cervello, per l'anestesia
carbonica, cade nella incoscienza.
L'angoscia psichica abbatte la maggior parte dei pazienti,
ma non nel momento cruciale né con l'insistenza che la
generalità degli uomini immagina. Non nell'ora né alla
vigilia della morte lo spirito del malato s'impenna in
presenza della "decisione", ovvero della accettazione della
scomparsa. In genere, l'urto tra il fatto e l'idea di esso si
verifica tre, otto, quindici giorni prima, spesso anche di
più. Non c'è dubbio che, al di fuori delle preparazioni e
delle convinzioni morali, questo è un momento di grande
"lotta interiore". Il vivente soffre per l'idea della propria
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
----------------------------------------------------------------------------fine. Per orgoglio, per abitudine, per paura. Poi si riconcilia
con l'"inevitabile" e s'incammina verso il suo destino.
Quando giunge il giorno, l'ora della morte, l'orrore
primitivo si è già dissipato. Per una specie di azione
invisibile e "naturale" i sistemi del corpo ed i pensieri
(quelli che taluni chiamano "anima") si sono distesi ed
hanno trovato una quiete prima inimmaginabile: la
rassegnazione di tanti morenti non è solo morale, è anche
fisica. In altri termini, quando la scadenza s'avvicina, le
"ribellioni" si attenuano. Perché, più ancora che la vita, la
morte è un atto di consenso.
Impariamo dunque a considerare la morte per quello che
è, cioè liberata dagli orrori della materia e spogliata dai
terrori dell'immaginazione. Scacciamo, prima di tutto, ciò
che la precede e che non le appartiene, come i tormenti
dell'ultima malattia. Le malattie non hanno nulla in
comune con ciò che determina la fine: appartengono alla
vita, non alla morte. Tanto è vero che se una malattia
(anche grave) guarisce noi dimentichiamo velocemente le
più crudeli sofferenze che ci hanno restituito alla salute e
all'esistenza. E quando la malattia è "certamente mortale"
(il che non è mai vero, in assoluto) possiamo considerare la
morte una liberazione o una fine logica, meno temibile.
Ragione di più per evitare quell’ accanimento terapeutico,
oggi così frequente (e, a nostro modo di pensare, temibile).
Allorché Seneca, Cicerone e Platone, dichiarano che
bisogna veder avanzare la morte non soltanto con coraggio
ma con amore, non formulano che una esortazione di
regola poco seguita. E neppure tra i moderni mancano le
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------frasi pompose ma inefficaci, che tenderebbero a
trasformare (razionalmente) il terrore della morte in
stoicismo o indifferenza. Disgraziatamente lo stoicismo
non è moneta corrente e l'indifferenza riguarda per lo più
solo i piccoli fatti. In altri termini, che l'uomo la desideri o
no, la morte è la preoccupazione profonda della sua vita:
ben pochi di noi si sottraggono a questo confronto
incessante, specie con il progredire dell'età.
L'idea della morte, in sé e per sé, evoca quasi sempre
qualcosa di "sporco", estraneo, mortificante, qualcosa di
putrefatto, di maleodorante, di ributtante. Quando
qualcuno di noi ripensa ad un congiunto, ad un amico, ad
un collega defunto, lo ricorda vivo, accattivante, magari
affascinante e, comunque, con tutte quelle caratteristiche e
quelle doti che venivano riconosciute in vita allo
scomparso.
Ancor di più la visione sgradevole, cui abbiamo fatto
cenno, vale per i medici o i tutori della sanità. Quando un
giovane studente in medicina assiste per le prime volte ad
una autopsia è preda di questo ambiente freddo e
misterioso, deve fare una notevole fatica a superare la
nausea e può perfino arrivare a cambiare facoltà. Solo
successivamente, quando il "concetto" di morte gli risulta
più familiare e "quasi logico" giunge al tavolo settorio con
un altro spirito e diverse reazioni neurovegetative. Pur
restando nel profondo una specie di dualismo tra la vita e
l'exitus, tra una corsia d'ospedale e una sala da rilievi
autoptici.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
---------------------------------------------------------------------------Robert W. Mac Kenna in "L'avventura della morte" scrive:
"Bisogna convenire che la paura della morte è molto
diffusa tra gli uomini; ma non si tratta di un istinto dalle
radici molto profonde, perché altrimenti non ci si
passerebbe sopra tanto facilmente. Si tratta di un
sentimento tutto sommato tenue, che cede di fronte a
numerose emozioni o impulsi improvvisi, come l'amore,
l'eccitazione del combattimento, l'appello del dovere, la
fede religiosa, l'istinto materno".
Ma, eccezion fatta per i casi in fin dei conti eccezionali (nei
quali è spinto da uno slancio intimo potente, teso a
spendere la propria vita senza risparmio), l'uomo normale,
negli ultimi istanti, è forse in preda ad una speciale
esaltazione? L'idea della morte "a caldo", non produce le
medesime reazioni di quella della morte "a freddo": di
regola è questa ultima ad essere tenuta in conto (sebbene ci
si può chiedere se esista un solo moribondo "a sangue
freddo").
Tornando ai medici, che della morte hanno un concetto
assai distaccato e per lo più legato alle pratiche medico legali (ma dovrei dire alla scienza medico -legale, posto che
si tratta di una materia assai meno incerta della pratica
clinica), dobbiamo anzitutto notare che i medici "latini",
non hanno in generale la curiosità per l'insolito, come
accade, ad esempio, per i medici di matrice anglosassone.
Tenendo conto di questa osservazione, viene fatto di
ritenere che i primi hanno di regola minori nozioni
sull'istante fisico della morte. I colleghi ai quali abbiamo
posto il quesito sono stati quasi sempre sconcertati
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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----------------------------------------------------------------------------dall'oggetto della nostra indagine e la loro prima reazione
è stata spesso di disagio e di stupore. Spinti ad uscire dalle
loro posizioni di difesa, si sono per la maggior parte
rivelati privi di curiosità per il fenomeno e (pur essendo
quotidiani "spettatori" della morte) ignoranti del
meccanismo "sentimentale" di essa. Al contrario, quei rari
professionisti che hanno avuto la curiosità di soffermarsi
sugli ultimi minuti dell'esistenza di qualche loro malato,
l'hanno fatto con acuta competenza ed una insolita, multi
modale capacità di osservazione.
E' strano notare che, al contrario dei testi fondamentali di
medicina legale (nei quali la morte è trattata in dettaglio),
nei volumi di psichiatria e di psicopatologia forense il
"fenomeno morte" non venga preso in considerazione.
Quasi fosse un esorcismo, un capitolo minore, una materia
"priva di interesse soggettivo" vissuto, sia personalmente
sia nei riguardi dei terzi.
Aldo Semerari, Ugo Fornari, Carlo Ferrio, e perfino il
nostro indimenticabile Maestro, Paolo Manunza, non
fanno cenno a questo (trascurato anche dai più) problema.
Se non imparate a morire non saprete vivere, non
conoscerete mai cos'è la vita. Gli attimi o comunque i
momenti finali sono una esperienza irripetibile, a parte
rare eccezioni. Parliamo qui di "quelli che sono tornati
indietro", ovvero che hanno (apparentemente) attraversato
la sottile linea che separa la vita dalla morte, ma poi "ci
hanno ripensato", sono stati "miracolati", o semplicemente
non sono riusciti a morire fino in fondo.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
--------------------------------------------------------------------------Tutto parte dalla domanda "che cosa si prova a morire?".
E' uno di quegli interrogativi che ogni persona si pone ed
al quale il mito, la magia, la scienza, hanno da sempre
tentato di dare risposte. Risposte naturalmente impossibili,
oppure rielaborate in complesse congetture nessuna delle
quali compiutamente accettabile. Poco tempo fa (fine del
2001) un nuovo studio realizzato in Olanda sulle
"esperienze vicine alla morte" (near death experiences) ha
cercato di dare alcune indicazioni, pubblicate su Lancet.
Esperienze del genere (in sigla NDE) si possono verificare
in diverse condizioni. Un esempio ad hoc è quello
dell'arresto cardiaco, a causa del quale una persona resta
"clinicamente morta" per un breve periodo (generalmente
qualche minuto), finché viene rianimato. Nel citato studio
olandese sono stati presi in considerazione 344 pazienti
rianimati con successo e intervistati. Sessantadue di essi ha
dichiarato di aver avuto una NDE ed altri quarantuno
qualcosa del genere, indimenticabile. Questo gruppo di 103
individui sono stati paragonati ai restanti 241 circa i dati
medici, demografici, farmacologici, psicologici. Poi i due
gruppi sono stati sottoposti ad una verifica longitudinale
(per periodi mutevoli da un minimo di due ad un massimo
di otto anni), per analizzare le eventuali modifiche dello
stile di vita successive a quelle esperienze.
In primo luogo non è stato possibile capire perché alcune
persone sperimentino una NDE ed altre no. Né è stata
dimostrata la causalità dell'anossia cerebrale (ovviamente
sempre presente, sia pure temporaneamente). D'altra parte
nessuno dei 62 casi con NDE "tipica" aveva precedenti
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------alterazioni psicopatologiche. La consistenza della NDE è
stata divisa in fasce: una forma "superficiale" (con un
punteggio da 1 a 10), va da 1 a 5, una esperienza "forte", va
da 6 a 9, una NDE profondissima giunge a 10. Quarantuno
pazienti su 62 hanno avuto questo ultimo tipo di
esperienza, ovvero la più attendibile. Che cosa hanno
raccontato di aver provato queste persone?
Innanzitutto, nessuno ha parlato di una esperienza
terrorizzante o comunque sgradevole. In 22 casi il ricordo
consisteva in "emozioni positive". Circa la metà dei casi ha
asserito di aver avuto "coscienza di essere davvero morto".
Circa un terzo ha affermato di aver incontrato persone
certamente defunte; altrettanti soggetti hanno parlato di
aver attraversato un "tunnel". Poco meno di un quarto dei
casi ha riferito di aver provato una esperienza
"extracorporea", ovvero di aver assistito alla propria morte
(temporanea) come dall'esterno, quasi si fosse trattato di
una rappresentazione teatrale. Un trenta per cento ha
asserito di aver contemplato "un panorama celestiale".
Gruppi meno numerosi hanno citato una visione di luce
intensissima (o bianca, o accecante) o " di tanti colori"
molto vivi e abbaglianti. Una minoranza (13%), infine, ha
detto di aver rivissuto per pochi minuti (o istanti) tutta la
propria vita, sotto forma di flash o collages o ampex
mixati, come si racconta che accadde ad alcuni dei pochi
sopravvissuti del Titanic.
Sempre restando sull'argomento si narra questa storia:
una notte, nel 1998, portarono in ambulanza in uno degli
ospedali di Amburgo un uomo di 45 anni, ormai cianotico,
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RLAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------senza coscienza. Venne praticata la respirazione artificiale
e poi si passò all'intubazione. Poiché il paziente portava
una dentiera, il medico la rimosse e l'appoggiò su un
carrello. Il paziente lentamente si riprese a venne dimesso.
Dopo una settimana si presentò ad un controllo dallo
stesso medico. Era presente una infermiera e quando il
malato entrò disse "Ecco l'infermiera che sa dov'è la mia
dentiera". E raccontò al medico di ricordare benissimo
quando gliela aveva tolta e messa sul carrello, che però non
sapeva ritrovare. Descrisse perfettamente la stanza dove
era stato rianimato e raccontò che la sua principale
preoccupazione era stata quella che avrebbero potuto
smettere le pratiche di rianimazione credendolo ormai
perduto e che aveva cercato disperatamente (ma senza
successo) di dire di non desistere, di procedere.
Quest'uomo come quasi tutti gli altri che hanno "vissuto"
una NDE, affermò infine che, uscito dall'ospedale, provava
assai meno paura della morte. Questo dato venne
confermato dopo molti anni di osservazione, così come
quello riferibile ad un maggiore aumento di spiritualità
(come il senso di immortalità dell'anima ed i sentimenti
religiosi). Come accade praticamente in tutti quei casi che,
a seguito di una NDE, ricordano la propria morte, rispetto
a quelli che l'hanno dimenticata o "non vissuta".
Abbiamo accennato alla spiritualità, senza precisare cosa
intendiamo per essa. La spiritualità non è un problema di
moralità, ma di prospettiva esistenziale. In altri termini
non consiste praticamente nelle virtù. In effetti, una virtù
praticata cessa di essere una virtù, divenendo in qualche
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------modo una cosa morta, un peso morto. La virtù è tale solo
quando è spontanea, naturale, quando nasce dal nostro
vedere, dalla nostra consapevolezza, comprensione,
intuizione.
E, d'altra parte, di solito si pensa alla religione (per coloro
che la considerano e la sentono) come a una pratica, ma
non lo è: questo è uno dei maggiori equivoci sorti proprio
sulla religione. Si può, ad esempio, praticare la non
violenza, pur restando dei violenti perché la nostra
prospettiva non è mutata e conserviamo ancora il nostro
modo di vedere, i nostri occhi.
Una persona avida potrà praticare la generosità, ma
l'avidità sarà sempre la stessa e perfino la sua generosità
sarà corrotta dall'avidità perché non si può praticare nulla
che vada contro la nostra comprensione, oltre il nostro
capire. Non è possibile forzare la vita in alcuni principi, se
quei principi non fanno parte della nostra esperienza.
Un uomo che aveva avuto una intensa NDE raccontò: "ho
avuto una grande intuizione, una incredibile percezione.
L'ho lasciata sprofondare in me fino a farla diventare una
meditazione continua. Nessun volto era il mio o quello di
persona conosciuta. Tutti i volti erano falsi. Una volta c'era
il muso di un leone, un'altra volta quello di un asino, poi
qualcosa ha assunto l'aspetto di un albero e, quindi, di una
pietra. Ora si intravedeva il volto di un uomo, o di una
donna, bello, brutto, bianco o colorato. Ma io non avevo
nessun volto. La "mia realtà"era senza volto. Mi ricordavo
che quel essere senza volto era chiamato il "volto originale
nello Zen". Non si tratta assolutamente di un volto.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
----------------------------------------------------------------------------Quando uno non è ancora nato che volto può avere?
Quando si muore che volto si porta con sé? Il volto che ora
vedo verrà abbandonato qui; scomparirà nella terra,
polvere nella polvere. Me ne andrò senza volto, come
quando sono arrivato. Anche adesso non ho alcun volto,
credo di averlo, ma ho creduto fin troppo nello specchio.
Quando hai la percezione di essere senza volto, hai visto il
volto di Dio".
Ma allora la NDE equivale alla appercezione o a una
specie di sogno? No.
Il sogno è un messaggio dell'inconscio al conscio, perché il
conscio sta compiendo qualche azione che l'inconscio
avverte innaturale. E l'inconscio ha sempre ragione.
L'inconscio è la nostra vera natura. Il conscio è stato
coltivato, plasmato dalla società, è un condizionamento.
Quando ridestandosi si ricorda un sogno, ciò avviene sotto
l'influsso della coscienza ché potrà interferire: qualsiasi
cosa vada contro di essa verrà esclusa, permettendo invece
il ricordo di quanto era a lei gradito. Ma il vero messaggio
è (sempre) la parte più amara, meno consciamente felice.
Si dice che Gorki sognasse spesso di camminare per una
strada senza fine. Questa via infinita crea (in chi sogna)
una infinita paura, perché la mente comune non sa
affrontare una situazione simile, senza fine, e la mente
(anche onirica) si impaurisce. Uno va, va, e la strada
continua. Ci si sente strani, frustrati, esausti; sogni di
cadere a terra, ma la strada continua. Quale messaggio c'è?
Difficile dirlo, ma c'è. Infatti, quando questo messaggio
arriva il sogno non ricompare più.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------Nella nostra personale esperienza, abbiamo potuto
osservare il seguente caso: un bambino di circa nove anni
operato (in stato di coma da ipertensione endocranica) di
asportazione radicale di un voluminoso meningioma
fronto -parieto -temporale sinistro, mantenne nel periodo
post-operatorio uno stato di coma apparentemente
profondo per oltre quattro settimane. Durante questo
tempo il personale sanitario medicava, assisteva e si
occupava del piccolo paziente in modo impersonale,
identificandolo con il numero di letto e chiamandolo "il
bambino" senza alcun riferimento personale. Al contrario,
il neurochirurgo che lo aveva operato, si rivolgeva al
paziente chiamandolo per nome (si chiamava Antonio, ma
i familiari lo chiamavano Nino) e facendogli semplici
domande, "come stai?", "è venuta a trovarti la mamma?",
"stai tranquillo, perché non ti farò alcun male, controllo
solo la ferita", etc. Ebbene al risveglio con normale
coscienza, il bambino dimostrò al medico di ricordare tutte
le frasi che gli aveva detto, e lo ringraziò per quello che lui
definì "l'unico contatto che gli era stato offerto con la vita
reale e la convinzione di non essere vicino alla morte, anzi
di poter tornare alla vita".
Nell'unica certezza della vita, ci si augura sempre una
morte dignitosa, priva di sofferenze e di atrocità che
riguardino il nostro corpo e la nostra mente. Ma come
ottenere tutto ciò quando non si è in grado di decidere
personalmente di sospendere tutte quelle pratiche che ci
consentono di stare in vita e, d'altra parte, chi può decidere
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
----------------------------------------------------------------------------per noi in caso di stato terminale? Quali sono e fin dove
arrivano i limiti dei nostri familiari, dei medici, del
personale
sanitario
nell'applicare
eventualmente
l'eutanasia? Quale aspetto di essa è accettata e considerata
valida dallo Stato? La legge italiana punisce l'eutanasia, si
essa passiva sia essa attiva
Più possibilisti sono i vari Codici Deontologici. Infatti, essi
sono concordi nello scoraggiare il cosiddetto "accanimento
terapeutico", mentre solo alcuni ammettono una sorta di
eutanasia passiva, soprattutto se voluta dal paziente (in tal
caso cosciente ed in grado di esprimere giudizi, come
spesso accade nei malati terminali di sclerosi laterale
amiotrofica, per fare un esempio). I familiari ed i parenti in
genere non hanno (e non debbono avere) nessun parere
vicariante e condizionante. In definitiva, si consacra,
chiaramente, la responsabilità decisionale del medico.
All'infermiere non viene (e non può essere) chiesto di
schierarsi a favore o contro l'eutanasia, ma esclusivamente
di accompagnare il morente con comprensione e
professionalità.
La traduzione letterale di eutanasia dal greco indica la
"buona morte" (eu = "buona" e thanathos = "morte"), ossia
la morte, che può essere anche quella naturale, che avviene
senza particolari dolori. Nel linguaggio medico corrente,
tuttavia, il termine sta ad indicare la morte procurata o
anticipata allo scopo di evitare inutili ed eccessive
sofferenze.
I sostenitori dell'eutanasia si ispirano al citato concetto di
"morire con dignità", minimizzando che di converso esiste
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
21
-----------------------------------------------------------------------------anche il "diritto alla vita". Ne deriva che il consenso del
malato al voler porre fine alla propria esistenza solo in rari
casi potrebbe essere veramente libero e non indirettamente
condizionato dalle sofferenze psicofisiche, dall'azione
mentalmente debilitante di farmaci analgesici, dalla
convinzione di vivere una vita indegna di tale nome, come
viene spesso considerata dalle persone sane, dalle quali il
malato si trova a dover dipendere obbligatoriamente.
Mentre l'eutanasia attiva è facilmente definibile, per quella
passiva vanno considerate diverse sottospecie: si parla di
"paraeutanasia" nel caso in cui al paziente (prossimo a
morire) si sospendono le cure trasfusionali, antibiotiche,
cardiocinetiche, etc., continuando esclusivamente il
trattamento antalgico; viene denominata "eutanasia
larvata" quella in cui si provvede alla somministrazione
sistemica e generosa di antalgici e stupefacenti (al di sotto
delle dosi letali), mantenendo così il paziente sotto costante
e intensa terapia antidolorifica, diminuendo di pari passo
le resistenze organiche, ovvero accelerando la sua fine.
Dicesi "orto-eutanasia" l'interruzione di ogni trattamento,
compresa la cura di eventuali complicazioni acute, quando
la malattia è prossima alla fine.
Il nostro ordinamento giuridico punisce l'eutanasia ai
sensi dell'art. 575 C. P. (omicidio volontario), dell'art. 579
(omicidio del consenziente) e dell'art. 580 (istigazione o
aiuto al suicidio), sia che venga provocata direttamente
(ovvero "attiva") sia indirettamente (ovvero "passiva").
22
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
---------------------------------------------------------------------------Oltre all'aspetto medico in senso stretto (e laico), esiste
un'altra importante chiave di lettura dell'eutanasia, ovvero
quella religiosa. Il cristianesimo è stato (per secoli) la forza
culturale più potente nel modellare la morale occidentale,
anche se sarebbe un errore ritenere che la proibizione
dell'eutanasia appartenga esclusivamente alla dottrina
cristiana. Ad esempio, anche la religione ebraica la vieta. I
teologi ebraici medievali erano non meno categorici delle
loro controparti cristiane: il grande Maimonide, ad
esempio, scriveva nel dodicesimo secolo "chi è nelle
condizioni di moribondo è da considerarsi come persona
vivente in tutti i casi. Chi ne causa la morte è colpevole di
aver versato sangue". Anche la tradizione islamica non
scende a compromessi. Il Corano afferma esplicitamente
che "il suicida sarà escluso per sempre dal paradiso", e
l'eutanasia volontaria è considerata semplicemente come
una forma di suicidio assistito. In altri termini tutte le
maggiori religioni monoteistiche sono concordi nel
rifiutare l'eutanasia.
Tuttavia, se passiamo a considerare l'esperienza di altre
culture troviamo uno stridente contrasto. Quasi tutti gli
orientali accettano l'eutanasia senza problemi. In Cina
l'etica confuciana aveva da sempre consentito la morte
volontaria in caso di malattie senza speranza, e le grandi
religioni dell'estremo Oriente, incluse shintoismo e
buddismo, avevano assunto una simile attitudine. Nei
"Dialoghi di Budda" sono descritti due uomini santi che si
suicidano per sfuggire a malattie incurabili, senza che ciò
venga considerato un ostacolo sulla loro strada verso il
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
23
-----------------------------------------------------------------------------Nirvana. Infine, tra le cosiddette società primitive esiste
un'ampia gamma di atteggiamenti diversi nei confronti
dell'eutanasia, ma è facile compilare lunghi elenchi di
culture nelle quali il suicidio o l'uccisione di chi è vittima
di malattie incurabili vengono approvati.
In occidente, comunque, l'originario punto di vista
cristiano si diffuse ampiamente e, nel corso del Medioevo,
la proibizione di queste pratiche fu virtualmente
inattaccabile e totale. Solo nel 1516 troviamo una
autorevole difesa della uccisione per pietà. In quell'anno
Tommaso Moro, che solo più tardi divenne un santo della
Chiesa, scriveva nella sua "Utopia" che nella ideale
comunità perfetta quando qualcuno viene preso da un
dolore forte e continuo, mentre non esiste alcuna speranza
di cura o di miglioramento, i preti e i magistrati vengono
ad esortarlo affinché, dato che è incapace di continuare
l'avventura della vita, è diventato un peso per gli altri e per
sé stesso (e ha veramente vissuto troppo), e che non
continui ad alimentare un malanno così radicato, ma scelga
piuttosto di morire, perché non può più vivere se non in
una simile miseria".
Quasi un secolo più tardi Francesco Bacone espresse più o
meno le stesse "motivazioni" per "consentire un trapasso
buono e facile". In seguito David Hume, gli "utilitaristi" del
diciannovesimo secolo ed una quantità di filosofi moderni,
si unirono a coloro che ritenevano l'eutanasia un gesto
estremo non censurabile in toto, neppure dal punto di vista
morale, e tenuto conto della "sacralità della vita".
24 RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------D' altra parte chi di noi non ha mai pensato di mettere fine
ai propri giorni per una ragione o per l'altra?! E chi, preda
di malattie incurabili (vere o supposte tali) non ha
desiderato morire?
Nel nostro Paese, da quasi venti anni il problema
dell'eutanasia è tornato ad essere motivo di dibattiti e di
proposte giuridiche di regolamentazione. Il 19/12/1984 è
stata presentata alla Camera dei deputati, una proposta di
Legge che consta di 8 articoli (primo firmatario l'onorevole
socialista Loris Fortuna). In tale relazione si precisa
l'intenzione di disciplinare solennemente l'eutanasia
passiva, ossia l'astenersi da ogni azione che potrebbe
prolungare inutilmente il momento irreversibile e
terminale della vita, e non l'eutanasia attiva che, invece,
implica il compimento di un atto finalizzato ad abbreviare
e porre fine all'esistenza. All'interno di questa proposta
sono stati definiti i significati di alcune espressioni correnti
quali "condizioni terminali", "terapia integrativa o di
sostenimento", "interruzione della terapia". Il campo
medico è ovviamente assai coinvolto, ma al suo interno
non sono mancati e non mancano commenti sfavorevoli.
All'Assemblea Medica Mondiale del 1983, per quanto
riguarda l'eutanasia passiva e la cessazione delle pratiche
rianimatorie, è stato condannato (nella dichiarazione
riguardante la fase finale della malattia) ogni accanimento
terapeutico, mentre il Codice di Deontologia Europea,
approvato a Parigi il 5/6/1987 dalla Conferenza Europea
degli Ordini dei Medici, pone indicazioni molto precise a
quest'ultimo scopo.
All'art. 12 recita testualmente
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
25
----------------------------------------------------------------------------" Il medico può, in caso di malattia incurabile e in fase
terminale, limitarsi a lenire le sofferenze fisiche e morali
del paziente fornendogli i trattamenti appropriati e
conservando per quanto possibile la qualità della vita che
si spegne. "
Analogo concetto era già stato espresso (nel 1980) dalla
Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede sostenendo
che "E' lecito in coscienza prendere la decisione di
rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un
prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia
interrompere le cure normali dovute all'ammalato in casi
simili".
Tutto ciò non esula dal suscitare polemiche. La risoluzione
discussa dal Parlamento europeo nel 1991, nota come
"proposta Schwartzenberg", nel suo fondamentale
passaggio dice: "Mancando qualsiasi terapia veramente
curativa e dopo il fallimento delle cure palliative
correttamente impartite sul piano tanto psicologico quanto
medico e ogni qual volta un malato ancora pienamente
cosciente chieda, in modo continuo ed insistente, che sia
fatta cessare una esistenza ormai priva (per lui) di qualsiasi
dignità, e un collegio di medici ufficialmente costituiti
all'uopo constati l'impossibilità di dispensare nuove e
specifiche cure, detta richiesta deve essere soddisfatta". A
nostro avviso, tuttavia, questa proposta ha però il limite di
vedere protagonista un malato "pienamente cosciente",
evento che nei casi terminali non è la regola, ma una
eccezione.
26
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------L'articolo 35 del Codice di Deontologia Medica, approvato
dal Consiglio Nazionale della FNOMCeO il 25 Giugno
l995, recita: "Il medico, anche se richiesto dal paziente, non
deve effettuare trattamenti diretti a menomare l'integrità
fisica e psichica e ad abbreviarne la vita o a provocarne la
morte". L'articolo successivo, al primo comma, riporta: "In
caso di malattie a prognosi sicuramente infausta e
pervenute alla fase terminale, il medico può limitare la
propria opera, se tale è la specifica volontà del paziente,
all'assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili
sofferenze, fornendogli i trattamenti appropriati e
conservando per quanto possibile la qualità della vita".
Il principio della consapevole partecipazione del paziente
alla decisione, nel codice deontologico, è esplicitamente
richiamato Ma per chiarezza ripetiamo che, in ogni caso,
ogni eventuale istanza dei familiari non ha alcun
significato giuridico.
Nell'art. 36 del citato Codice di Deontologia Medica, al
secondo comma, ritroviamo il seguente enunciato: "In caso
di compromissione dello stato di coscienza, il medico deve
proseguire nella terapia di sostegno vitale, finché
ragionevolmente utile".
Questi problemi si complicano ulteriormente nel caso
dello "stato vegetativo persistente" non terminale, in cui il
paziente appare in qualche modo cosciente, anche se è
completamente privo della consapevolezza di sé e
dell'ambiente. In questa situazione c'é chi pone perfino in
dubbio che si tratti di una persona, ma piuttosto di "un
cadavere vivente".
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
27
----------------------------------------------------------------------------L'unica certezza è che il paziente non potrà mai esprimere
una propria volontà e, quindi, ogni decisione circa il
continuare o sospendere l'idratazione e l'alimentazione,
nonché tutti gli altri presidi terapeutici, è demandata al
medico. A meno che non vi sia stata da parte del paziente
la stesura di valide direttive anticipate (denominata "living
will").
In sintesi, si riafferma in tal modo una chiara
responsabilità decisionale del medico. Quindi, riconosciuta
l'inutilità di procrastinare ad ogni costo la vita del
paziente, con l'unico risultato di prolungarne le sofferenze,
la soluzione ragionevole e accettabile per il medico è quella
di interrompere il trattamento curativo e di utilizzare le
risorse dell'arte sanitaria per assicurare al morente un
trapasso indolore e il più dignitoso possibile, anche se è
difficile per chi non crede nella vita futura (eterna)
accettare il principio dell'intoccabilità della vita quando
questa non ha altre prospettive che la sofferenza. Ma
l'Ethos professionale richiede, al di là delle personali
convinzioni, il massimo rispetto e l'aiuto incondizionato.
In Olanda, unico Paese al mondo dove la "dolce morte" sia
stata ammessa, dal l0 Aprile 2002 l'eutanasia è legale.
Questa normativa, approvata il lO Aprile 2001 dal Senato
Olandese (con 46 voti favorevoli e 28 contrari), estende il
riconoscimento dell'eutanasia come "atto legale", sia pure a
certe condizioni. Già nel 1993 queste pratiche avevano
avuto un primo riconoscimento, quando lo stesso Senato
grazie ad un voto di stretta misura aveva dato il suo
assenso ad una legge che, pur ritenendo il medico
28
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
----------------------------------------------------------------------------formalmente punibile con la reclusione fino a 12 anni,
aveva indicato 28 condizioni (vere eccezioni alla regola)
che gli consentivano di non essere più perseguibile. Tra
queste la presenza di "dolori insopportabili" e la
condizione di "malato terminale". Secondo fonti ufficiali, le
autorità sanitarie olandesi durante l'intero 2000 hanno
notificato ufficialmente 2113 casi di eutanasia, dei quali
1893 relativi a malati terminali di cancro. Questi dati,
tuttavia, sono stati contestati dalla Società del Volontariato
d'Olanda, secondo la quale la cifra sarebbe almeno doppia.
Solo due di essi sarebbero stati discussi e giudicati
inammissibili: le procedure di condanna dei relativi medici
sarebbero ancora in corso.
Il "primato mondiale" in un campo così delicato non
preoccupa né scandalizza gli olandesi. Una inchiesta
condotta nel 2001 durante il dibattito parlamentare, aveva
dimostrato che circa l'85% dei cittadini era favorevole alla
legalizzazione dell'eutanasia per i casi indicati, mentre una
maggioranza (pari al 57%) riteneva contestualmente che
anche i malati colpiti da "gravi sofferenze psicologiche"
potessero scegliere se mettere fine alla loro vita.
Una delle parti di maggiore discussione della legge sulla
eutanasia riguarda i minori. Una prima versione del testo,
poi emendata, prevedeva che i ragazzi di età superiore ai
12 anni potessero scegliere liberamente di ricorrere
all'eutanasia. Nel testo definitivo, invece, la soglia è stata
innalzata a 16 anni, mentre per i ragazzi di età compresa
tra 12 e 16 anni, è necessario il consenso dei genitori.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
29
----------------------------------------------------------------------------Altre nazioni tendono ad uniformare i loro principi a
queste norme. Ad esempio, di recente, in Inghilterra, l'Alta
Corte ha concesso (per la prima volta nella storia di questo
Paese) ad una quarantenne paraplegica di ricorrere
all'eutanasia.
Fin qui le prospettive giuridiche. Ma come viene "vissuta"
l'eutanasia? Non si conoscono questi dati, sia pure parziali,
se non esclusivamente per quanto riguarda chi agisce. Chi
subisce, volente o soltanto "oggetto", può soltanto sognare,
prevedere la fine della propria vita, prima che questa
avvenga, come succede alla maggior parte degli uomini nel
periodo terminale della vita, se non altro per ragioni
cronologiche.
Come si può configurare uno slancio passionale, per pietà
o per disperazione? In realtà nessuno può (o vuole) essere
mai sicuro della assoluta inguaribilità della propria
malattia e, d'altra parte, il desiderio di morire del paziente
(cosciente) che versa in condizioni disperate non può
essere espressione di libera volontà. La tendenza al
suicidio (per mano propria o mediato da altri) non è mai
frutto di ragionevole e proporzionata necessità
contingente. L'eutanasia è di per sé stessa contro natura.
Può essere giustificata, razionalizzata, prefigurata? Difficile
dirlo. E si torna al punto di partenza, al dilemma. Disse
Rabelais sul letto di morte: "Vado a cercare un gran forse"
(Je m'en vay chercher un gran peut-etre).
Questa, probabilmente, è la migliore citazione in tema di
eutanasia, ma ve ne sono altre:
30
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
---------------------------------------------------------------------------1) Gli uomini temono la morte come i bambini temono il
buio; e come quella paura naturale nei bambini è
accresciuta da fole e racconti, così è dell'altra.
Francesco Bacone, "Saggi".
2) Giù giù, in fondo al cuore, non crediamo alla nostra
estinzione: in qualche modo ci aspettiamo di essere
presenti, a osservare quello che succederà ai posteri.
Bernard Berenson, "Tramonto e crepuscolo”.
3) Quel che si chiama una ragione per vivere è anche
un'eccellente ragione per morire.
Camus, "Il mito di Sisifo".
4) Morire sì, non essere aggrediti dalla morte. Morire
persuasi che un siffatto viaggio sia il migliore. E in quel
ultimo istante essere allegri, come quando si contano i
minuti dell'orologio della stazione e ognuno vale un
secolo. Poi che la morte è la sposa fedele che subentra
all'amante traditrice, non vogliamo riceverla da intrusa, né
fuggire con lei.
Cardarelli, "Alla morte" (da "Poesie")
5) Il cozzo di tutto il sistema solare e di tutti i sistemi
stellari ti potrebbe uccidere una volta sola.
Carlyle, "Lettere a John Carlyle", 1831
6) Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io faccio
parte dell'umanità: perciò non chiedere mai per chi suona
la campana: essa suona per te.
John Donne, "Devozioni", citato da Hemingway in "Per chi
suola la campana"
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
31
-----------------------------------------------------------------------------7) La morte è bella, è la nostra amica; ma non la
riconosciamo perché ci si presenta mascherata e la sua
maschera ci spaventa;
Chateaubriand, "Memorie d'oltretomba"
8) L'uomo muore, sempre, prima di essere nato del tutto.
Erich Fromm, "Dalla parte dell'uomo"
Lo sguardo dell'uomo, proteso verso il futuro, attribuisce
all'avvenire il carattere di un presente, cosi a portata di
mano, che egli non riesce a capacitarsi del pensiero della
fine. In altri termini, si possiede un futuro finché non si
apprende di non averlo. La rimozione della morte è la
volontà di vivere, in funzione del domani. Per questo la
consapevolezza della propria morte è sottoposta a
singolari ed apparentemente semplici condizioni.
Il discorso, a parte la "motivazione", torna sempre a quello
della paura che riguarda tutti gli uomini, sia pure in
misura diversa, ma in particolare coloro che "sanno" per
certo che la fine si avvicina. Eppure, un famoso scrittore,
William Hunter, nell'ora della propria agonia, peraltro
lucida, diceva: "Se io avessi la forza di scrivere, spiegherei
quanto sia gradevole e facile morire". La paura della morte
ha tuttavia ossessionato molti spiriti elevati, poeti, scrittori,
artisti. Già Epiteto soleva ripetere: "Non è la morte ad
essere terribile, ma la nostra opinione, che ce la fa
considerare come tale, ad esserlo". Tra i molti uomini
celebri (e particolarmente scrittori) che sono stati
ossessionati dalla paura della morte, ci limitiamo a citare
Mauric Barrés e la sua inconfondibile "inquietudine"; Pirre
Loti, la cui vita fu tutta avvelenata dall'idea della morte,
32
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUBABZE
-----------------------------------------------------------------------------Ernest Hemingway (il cui suicidio, secondo parecchi, era
non soltanto prevedibile, ma dovuto all'idea ossessiva
della "morte eroica e coraggiosa"), ed un altro grande
romanziere J. H. Rosny senior, il quale confessava: "Per
conto mio, da molti anni la morte mi corrompe ogni gioia”
Ma non inganniamoci! Nella disperazione morale di
Rosny, come nei pensieri degli altri autori citati, c'è
indubbiamente tutta la lotta affettiva e sentimentale a noi
comune.
In conclusione, si tratta di molta letteratura per nulla; alla
quale noi crediamo possa porre la parola fine la definizione
che lo scrittore e filosofo Butler dava della morte: "una
faccenda in cui si prova più paura che dolore".
Interessante, infine, è notare come le descrizioni della
morte di tanti personaggi descritti da questi autori siano (e
restino) tanto "vissute", espressive, coerenti e illuminate.
Ma si potrebbe dire "illuminanti".
Oltre ai moderni, che abbiamo già citato, oltre Leopardi,
Domenico Cirillo e tanti altri, anche gli antichi, come
Cicerone (nelle "Tuscolane") concepirono la morte come
dolce. Diogene diceva: "Non la si sente venire!" e Platone la
dichiarava "simile al sonno". Già Montaigne scriveva: "Noi
dobbiamo entrare nel regno della Morte con la stessa
facilità con la quale entriamo nella vita. Anzi, forse,
l'ingresso nella vita, è più faticoso.
Infine, l'evidenza della "dolcezza" della morte ha colpito
uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi, Schopenhauer: è
difficile condensare questo vasto argomento meglio di
quanto abbia fatto lui in una paginetta del "Mondo come
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
33
-----------------------------------------------------------------------------volontà e rappresentazione" (Tomo I) : "la morte stessa non
consiste per il soggetto che nel momento in cui la coscienza
scompare nell'intorpidimento dell'attività cerebrale.
L'ulteriore estendersi di tale intorpidimento a tutte le altre
parti dell'organismo è propriamente già un fenomeno
posteriore alla morte".
La morte, perciò, dal punto di vista soggettivo non
riguarda che la sola coscienza. Quanto alla natura di questa
sparizione della coscienza, ognuno può farsene una certa
idea in base all'analogo assopimento che precorre il sonno;
ma per conoscerla ancor meglio, è sufficiente aver avuto
una vera sincope (come talvolta accade nelle gare d'apnea
subacquea, ad esempio) nella quale il passaggio da uno
stato all'altro non ha luogo per gradi successivi: si comincia
col perdere la vista, pur essendo ancora pienamente
coscienti, poi, senza transizione, sopraggiunge la più
profonda incoscienza. La sensazione provata, fin tanto che
continua, non ha nulla di sgradevole e, se il sonno è il
fratello della morte, la sincope ne è indubbiamente la
sorella gemella. Di più: la stessa morte violenta non
dovrebbe provocare sofferenza, poiché le ferite (anche
gravi) di regola non si sentono al primo istante (ovvero
immediatamente) ; si avvertono un momento dopo e, in
molti casi, soltanto nelle loro manifestazioni esteriori. Se
sono tali da provocare la morte entro un tempo breve, la
coscienza sarà scomparsa prima che uno se ne accorga,
mentre se la morte sopravviene più tardi, allora si
verificano le medesime sequenze che si hanno nelle altre
infermità. E così tutti quelli che hanno perso coscienza (in
34
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------acqua o per effetto delle esalazioni di monossido di
carbonio o per tentato strangolamento) al loro eventuale
risveglio affermano concordemente che la scomparsa della
coscienza si è verificata in loro senza dolore.
E se, infine, prendiamo in esame la morte naturale per
eccellenza, cioè quella per vecchiaia (o per eutanasia,
allargando il concetto), possiamo vedere che essa è un
dileguarsi successivo, un disperdersi insensibile del nostro
essere fuori dalla esistenza.
Ciò che fin qui abbiamo detto è il risultato di una annosa
inchiesta, nata dapprincipio spontaneamente e senza
dichiarato motivo e riguardante un campione (se così si
può dire) assai eterogeneo. In altri termini, abbiamo
interrogato sull'argomento le persone più disparate, di
ogni ceto, età, cultura, abitudini: colleghi medici, filosofi,
preti, giornalisti, biologi, direttori di ospedali, infermieri,
militari. degenti in clinica per diversissime patologie,
alienati, "sopravvissuti", suore addette all' assistenza ai
malati, operai con esperienze traumatiche, e un gran
numero di altre persone di varia estrazione socio-culturale,
dei due sessi, di ogni età e condizione, in modo da ottenere
delle testimonianze "diverse" sull'istante fisico della morte.
Le risposte, relative a 1870 persone, benché date da un così
vasto panorama sociale, sono state notevolmente simili. Ci
limitiamo a condensarle come segue. La maggioranza degli
uomini non ha l'esperienza fisica della morte (o, forse,
sarebbe meglio dire "clinica"). Il medico o chiunque sia
edotto del fenomeno sa che sta per morire, gli altri no,
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
35
----------------------------------------------------------------------------salvo certi eccezionali casi, come abbiamo visto. Le morti
per vecchiaia (lo spegnersi "come una candela" o il lasciarsi
morire, cioè la fine simile all'eutanasia) hanno
generalmente il carattere della fine desiderata. Ma
probabilmente coesistono morti “crudeli" che sono, o non
sono "presentite" dall'istinto. Il senso comune, infatti, non
ammette che si muoia facilmente, come esprime il noto
detto del popolino "esser morti non è niente; il guaio è
morire”.
Personalmente abbiamo assistito a morti apparentemente
dolci. Ma non ci è possibile affermare che lo fossero
realmente. E descriverle sarebbe vano. L'opinione corrente
resta la seguente: il meccanismo del morire è generalmente
orrendo e non è assolutamente possibile convincere le
persone del contrario. Restiamo convinti che il morire in
modo simile ad una specie di eutanasia non si osserva che
in certi vecchi "decrepiti" e senza tare organiche (come il
cancro), in certi infermi "ubriacati dalle proprie tossine"
(come
accadeva
per
la
tubercolosi)
o
dalla
somministrazione "esagerata" di morfina e\o di altri psicofarmaci, o in qualche mistico estatico.
Il senso comune non ammette che morire sia facile. In
realtà, ordinariamente, il senso comune non si fonda che
sulla testimonianza abituale (normale) dei sensi. Ogni
paradosso o verità controcorrente lo sorprende e lo ferisce,
anche se l'interpretazione che gli si propone è tale da
calmarlo e da servirgli. In altri termini, il senso comune è
"onnipotente" non perché è senso, ma perché è comune. Gli
uomini amano aggregarsi e aggregare le loro opinioni,
36
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------siano esse buone o cattive. Quando la comune opinione si è
cristallizzata in proverbi ("esser morto non è niente, il
guaio è morire"), essa acquista la forza di legge. Se il
comune senso della morte venisse sconvolto, la concezione
ereditaria (abitudinaria) di essa si baserebbe sul nulla,
perché sarebbe (e resterebbe) il frutto aspro e amaro della
mente ragionante e razionalmente legata ai concetti
diventati legge. Tuttavia, la morte non è un prodotto
dell'intelligenza, ma è un problema dell'istinto (anche se
irragionevole). La sua 'impresa" è impercettibile: la Morte,
anche quella allegorica, si presenta come un ladro e porta
via il paziente senza che questi se ne accorga.
Certa letteratura dell' 800 citava spesso episodi di morte
cercata in battaglia, da parte di giovani senza speranza,
uomini delusi e\o soli, comunque persone con una serie di
problemi interiori per lo più morali, o come si potrebbe
dire adesso, moralistici.
Molte morti valorose, anziché essere il frutto di occasioni
estemporanee, erano il prodotto di una morte sognata,
programmata, una specie di canovaccio tragico, in linea
con il quale le persone si immolavano, come un atto
sacrificale, e in ogni caso emblematico.
I modi con i quali questa "folle decisione" veniva attuata
erano di vario tipo: dall'ufficiale di cavalleria alla carica
disperata, alla vedetta che non si celava troppo e veniva
uccisa dal solito cecchino, all'ufficiale che guidava la
pattuglia di perlustrazione in territorio nemico.
Più complesse e raffinate erano le condizioni di "infiltrato"
o partecipe di una importante azione di spionaggio, il
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
37
-----------------------------------------------------------------------------quale, sotto l'egida della vittima predestinata, tutelava i
propri compagni sollevando con la sua morte loro stessi e
l'organizzazione di base.
Gran parte di queste storie nei romanzi di maniera era
riferibile ad amori impossibili o a fanatiche o comunque
improbabili, (oggi considerate ottocentesche) convinzioni
intime, aprioristiche e/o platoniche sublimate.
Lacrime e sangue, sacrifici o convinzioni estremamente
idealistiche facevano da sponda a queste storie, non
soltanto inventate o, frutto della fantasia di scrittori, ma a
volte riprese e reinterpretate da realtà veramente vissute,
più numerose nell'alta borghesia o nella nobiltà, o anche
riguardanti persone in qualche modo ben note o
identificabili dalla vita avventurosa e dalle convinzioni
secondarie al clima che allora caratterizzava la società
europea.
Trattando questo argomento non possiamo fare a meno di
citare il suicidio, in particolare quello degli orientali,
soprattutto giapponesi che morivano per propria mano
facendo "harakiri".
Queste morti, in qualche modo legate alle convinzioni
religiose, al patriottismo, alla dimostrazione "valorosa",
non possono essere assimilate nell'unico concetto di
suicidio, ma trascendono questa definizione, trattandosi di
volontarie situazioni, miste alla volontà di rendere la morte
simbolicamente non soltanto accettabile ma trasfigurata,
opportuna e insostituibile.
Una scelta "dovuta" è tale da avvicinare la morte alla
divinità.
38
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------Difficilmente un europeo può far proprie queste
convinzioni, anzi certezze, poiché nella tradizione
orientale, la vita e la fine della vita possono essere vissute
con altri scopi e diversi sentimenti.
De Leo e collaboratori, nel 1987, hanno pubblicato un
dettagliato lavoro intitolato "A century of suicide in Italy; a
comparison between the old and the young" sulla rivista
"Suicide and life threatening behaviour" (Vol.27 -3),
fornendo la loro esperienza nel Servizio di Psicogeriatria
dell'Università di Padova.
Premesso che il suicidio rappresenta uno dei maggiori
problemi sociali e della salute pubblica, gli Autori hanno
analizzato le percentuali dei suicidi dal 1887 al 1993 nella
popolazione italiana compresa tra l'età di 15-24 anni e le
persone oltre i 65 anni basandosi sui dati ufficiali
pubblicati sull'"Health Statistics Year Book".
Le quote di morti per suicidio (per 100.000 soggetti) sono
state calcolate per ogni anno e per periodi di 10 anni,
completando lo studio riportando le percentuali di morti
per ciascun metodo di suicidio. Quest'ultimo calcolo è stato
possibile solo a partire dal 1951, data dalla quale sono state
annotate le modalità precise dei suicidi.
L'analisi di questi dati indica un aumento dei suicidi nella
popolazione anziana in Italia lungo tutto il periodo preso
in esame. I casi riguardano tre volte di più gli uomini
rispetto alle donne. Le percentuali maggiori riguardano gli
uomini anziani, anche se si nota un aumento proporzionale
nel numero dei suicidi commessi da donne anziane.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
39
----------------------------------------------------------------------------Questa tendenza all'aumento è statisticamente significativa
sia per i maschi che per le femmine.
Al contrario si osserva una quasi costante diminuzione del
numero dei suicidi nei giovani, dall'inizio del novecento al
1993. Questa riduzione è più evidente nelle femmine,
malgrado i suicidi siano inferiori nelle donne rispetto agli
uomini.
Per tutto il periodo osservato, vi sono stati importanti
cambiamenti nella scelta dei mezzi impiegati, sia per
quanto riguarda i giovani, sia gli anziani. C'è stato un
aumento degli avvelenamenti da monossido di carbonio,
della
precipitazione
dall'alto,
dell'impiccagione,
dell'impiego di armi da fuoco.
Particolare risalto nel lavoro viene dato alla prevenzione,
soprattutto nei riguardi degli anziani a rischio, i quali, di
regola, non si rivolgono spontaneamente ai servizi pubblici
e tendono a non comunicare i loro problemi. Queste
persone vanno riconosciute e raggiunte, in molti modi,
coinvolgendo le famiglie, i medici curanti di base e,
genericamente, la società, magari servendosi dei sistemi
telematici ed incoraggiando iniziative di volontariato, di
comunicazione, di psicoterapia e\o di interventi idonei,
compresi quelli economici.
E occorre anche tener presente con quale linguaggio ci si
riferisce non al "fenomeno morte", ma alla morte toutcourt. Gli approcci sono diversi, si va dall'aulico, al
filosofico, al fatuo (il più usato) ; mai all'introspettivo, al
40
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------palpabile e al tempo stesso "inesistente" o nascosto,
all'emblematico.
Ma quello che interessa di più è sicuramente il linguaggio
fatuo. "Fatus" chiamavano i latini l'indovino del futuro che
parlava in nome degli Dei e scopriva il Fato; e poiché
spesso questo indovino o veggente si dimostrava fallace,
venne alla parola fatuo il significato spregiativo che ha
oggi: "vano", "di scarso spessore" e perfino "sciocco", che
parla a caso, a vanvera (come riporta il Gabrielli del 1978),
che elude i veri significati, falso, evanescente, o anche
spiritualmente incapace di concludere (Devoto-Oli - 198O),
privo di consistenza, effimero.
All'etimologia segue l'uso comune del vocabolo che si
dispone in varie direzioni di senso che sarebbe interessante
valutare appieno. Ma ciò che ci interessa è il modo fatuo di
parlare della morte (la quale ha qualche contatto con
questa specie di lessico anche per l'esistenza dei "fuochi
fatui" che tutti conoscono e dei quali tutti hanno almeno
sentito parlare). Fatuo come vuoto. Riferita all' argomento,
la qualità del vuoto esprime l'assenza di una componente
fondamentale che non riguarda né la sintassi né la
fonologia; anche se viene avvertita come "minus" da chi
ascolta o legge. Il senso è ciò che manca, ovvero la capacità
spontanea di animare le parole, cioè di consentire che tra
esse emerga quell'eccedenza di significato che dà luogo
alla formulazione del pensiero e alla sua corposità.
Nel linguaggio autentico si articola e si svolge la "parola
parlante". Ciò che vogliamo "dire" non è davanti a noi, a
prescindere dalle parole stesse (come puro significato), ma
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
41
-----------------------------------------------------------------------------rappresenta soltanto l'eccedenza di ciò che viviamo su ciò
che è "già stato detto".
Il linguaggio fatuo, invece, non mostra alcuna eccedenza:
la parola è parlata ma non vive: appiattita su ciò che è già
stato detto, lascia intendere un vuoto (che è soprattutto
vuoto di pensiero). Come se si sentisse la difficoltà di
parlare di quella nostra sorella "scomoda" o di rimpiattarsi
dietro qualcosa di indefinibile e di misterioso.
Il linguaggio preferito per questi discorsi è fatuo, ma non
manierato. Non è di circostanza, il che si avvertirebbe a
chilometri di distanza, né imitativo, né (deliberatamente)
incompleto.
Se volessimo definire, per riassumere, il linguaggio fatuo
nelle sue accezioni, potremmo dire che nella dimensione
"vuota", la correttezza formale si accompagna alla carenza
di senso; in quella manierata, la deformazione sarebbe
legata alla anaffettività (il che non è) ; la imitazione
presupporrebbe l'essere o il diventare "lo specchio
dell'altro" proporzionalmente al proprio distacco affettivo;
l'incompletezza, nella quale il modo di essere schizofasico
sfiora lo stile poetico, determinerebbe la frammentazione
di qualsiasi linguaggio, quindi una sua sostanziale
incomprensibilità.
Parlare della morte è sempre difficile; in effetti quando se
ne parla nessuno lo fa con cognizione di causa. Se non
parzialmente e in casi eccezionali.
Da 7 anni esiste una "Associazione EXIT" italiana che ha
per scopo dichiarato quello di aiutare i malati terminali a
42
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------morire. Qualcuno (anche all'interno di questa Società)
propone l'impiego del cosiddetto "testamento biologico".
In altri termini, chiunque affetto da una malattia
incurabile e inguaribile, giunto allo stato terminale, nel
caso abbia compilato questo testamento prima, cioè
quando era capace di intendere e di volere, con gravi ed
irreversibili condizioni patologiche attuali di incapacità di
coscienza, può essere considerato arbitro della propria vita
e in grado (come scritto ufficialmente "prima") di rifiutarsi
di essere sottoposto a qualsiasi provvedimento terapeutico,
tranne quello con cure palliative, evitando così un
accanimento terapeutico in senso specifico.
Un elemento importante, dal quale non è possibile
prescindere ove si voglia indagare sui vari aspetti
tanatologici, è quello rappresentato dalle condizioni
ambientali. L'ambiente, del resto, è parte integrante di tutti
i fenomeni biologici e quindi anche la "biologia del futuro
cadavere" ne risulta ampiamente condizionata.
In vita, ad esempio, si sa bene come l'organismo sia in
grado di adattarsi perfettamente tanto alle zone torride
quanto a quelle glaciali facendo intervenire i suoi centri
termoregolatori; nei fenomeni legati alla morte, anche
clinica, ovviamente manca ogni azione coordinatrice e, di
conseguenza, anche i dati circostanti possono agire in
modo più diretto e lesivo. Di qui nasce un ulteriore
parametro per valutare, sia pure indirettamente (e talvolta
persino confusamente) l'intensità della vita residua ancora
presente nei singoli organi e nelle cellule.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
43
-----------------------------------------------------------------------------A livello psicologico o di eventuale sensibilità, non è del
tutto chiaro se si tratti di fenomeni premortali o già
mortali. Nessuno conosce le precise sensazioni che il
morente prova e/o riesce a "capire", a vivere. Nessuno sa o
immagina il preciso momento della propria morte.
Parlando di fatti storici interessanti le discipline mediche è
difficile sottrarsi all'idea di coinvolgervi Ippocrate,
trisavolo, bisavolo, nonno e nello stesso tempo padre della
medicina, il quale si può dire sia stato per tanti secoli il
depositario dell'"Ipse dixit" aristotelico trasferito sul piano
sanitario. Tanto per dare una ragione a questa riflessione,
parlando ad esempio di rianimatori (grandi esperti della
morte), si deve ricordare che egli sosteneva che era
possibile vivere per un certo periodo di tempo senza
mangiare e senza bere, ma non senza "pneuma", che si
identificava nello "spirito vitale".
Tra i tentativi di rianimare il "pneuma" dobbiamo
registrare la sua avveduta proposta di introdurre una
cannula nella trachea, anche se i panni imbevuti di
acquavite e applicati al precordio facevano ripiombare i
rianimatori in un deciso pessimismo. Il "pneuma" era
l'incarnazione stessa della vita, ma rappresentava anche
l'anima immortale e lo si immaginava formato di "aria, la
più sottile, attirata nel corpo dal richiamo irresistibile della
natura e qui rinchiusa".
E' sufficiente che le strutture biologiche che la tengono
prigioniera vengano meno, ed ecco che subito questa
"anima" lascia il corpo involandosi con l'ultimo soffio
vitale, l'ultimo respiro. Un concetto che, rigidamente
44
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------applicato come lo fu durante tutta l'antichità e il medioevo
fin quasi all'età moderna, attribuì alle morti per asfissia
(dall'impiccagione
all'annegamento),
un
che
di
"maledetto", che permane ancora, ai giorni nostri, presso
molte popolazioni arcaiche e non solo.
In queste condizioni, in qualche modo, la morte assunse
un aspetto ancor più terrificante, perché, data
l'impossibilità che il "pneuma" potesse involarsi in quanto
l'ultimo soffio vitale era stato costretto dall'asfissia a
restare nel corpo, l'anima era irrimediabilmente votata alla
stessa degradazione putrefattiva cui doveva soggiacere
tutto l'organismo.
La fondamentale importanza dell'accertamento della morte
non è soltanto dovuta alle conseguenze giuridiche
dell'evento, ma anche a ragioni di ordine morale e
sentimentale e alla necessità di eliminare il pericolo di
inumazioni precoci, potendo in certi casi (fortunatamente
rari) l'organismo vivente avere l'apparenza di un cadavere.
Stiamo parlando della "morte apparente".
Il timore che essa si verifichi ha fatto sì che in tutti i Paesi
civili il Legislatore abbia provveduto a garantire con
speciali
disposizioni
di
Legge
la
sicurezza
dell'accertamento del decesso. Così, si direbbe, il pericolo
di una inumazione precoce dovrebbe essere evitato. Ma
così non è, nel senso che, pur senza voler essere allarmisti, i
casi di morte apparente e di conseguenza i seppellimenti
precoci sono rari ma non rarissimi.
Le morti non perfettamente diagnosticate e le persone che
"improvvisamente resuscitano" hanno una incidenza
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
45
-----------------------------------------------------------------------------relativamente elevata. L'ultimo esempio, in Italia, risale a
pochi mesi fa, allorché un anziano uomo di Palermo,
considerato dai curanti morto per infarto e trasportato a
casa "per evitare le procedure burocratiche", il mattino
dopo, mentre i parenti e pie donne piangevano accanto al
letto del defunto, ha aperto gli occhi e con voce flebile ha
chiesto un pò d'acqua. E' stato nuovamente ricoverato, per
precauzione, in ospedale, ma si è ripreso "definitivamente".
Nei celebri "Racconti del Terrore" di Edgar Allan Poe (e
specialmente in quello intitolato "Il seppellimento
prematuro"), questa possibilità e questa paura è raccontata,
ma diremmo vivisezionata, con grande accuratezza e un
pò di fantasia. L'Autore cita quattro casi "veri" di morte
apparente e di inumazione "precoci"; parla anche di un suo
caso personale, nel quale provò (senza che ciò
corrispondesse alla verità per una serie di circostanze
fortuite e imprevedibili) l'esatta percezione di essere stato
sepolto vivo. Lui che, diceva, soffriva di catalessia,
fenomeno psicomotorio che consiste nei prolungato
mantenimento di posizioni o atteggiamenti del corpo
(talvolta scomodi e/o difficili da mantenere) per una
alterazione del tono muscolare, della quale ancora non si
conoscono esattamente le cause, e che, in certe situazioni,
potrebbe essere scambiata con un decesso, ma che in realtà
si verifica di regola nella schizofrenia catatonica,nella quale
può arrivare fino alla flexibilitas cerea e/o indurre
fenomeni di negativismo ai tentativi di cambiare le
posizioni assunte. Si noti, per pura curiosità, che la
46
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------catalessia può anche essere indotta mediante ipnosi o
con mezzi suggestivi, come accade nell'isteria. Questo
stato particolare non è da confondere con la narcolessia
(con cataplessia), affezione caratterizzata da attacchi diurni
bruschi e irresistibili di sonno, per lo più associati ad
intensa ipotonia muscolare.
Ma non deviamo dal nostro discorso. In Poe è difficile
separare l'orrore che viene dal di fuori dall'orrore che è in
noi, nell'animo umano: e, forse, parte della sua grandezza
di scrittore (e, non dimentichiamolo, di poeta - valgano per
tutti i due versi di una poesia giovanile, "Romance"; " I
could not love except where Death - Was mingling his with
Beauty's breath"). (Potevo amare solo la morte - Mescolava
il suo fiato con quello della Bella). Deriva proprio da quella
superba interpretazione di elementi oggettivi e soggettivi,
la disintegrazione della psiche che alcuni vedono come il
suo tema ossessivo che così diventa anche incontro col
Nulla, con l'Altro e l'Altrove.
Qui non si tratta di semplice necrofilia o algolagnia;
piuttosto siamo di fronte ad un interesse ossessivo,
terrorizzante, per il motivo della disintegrazione della
psiche e delle fredde passioni dell'Io, con sentimenti di
vampirismo e di ignoto destino.
Tornando alle leggi in tema di accertamento di morte, nei
casi nei quali esiste referto all'Autorità da parte del medico
che ha constatato la morte, il seppellimento non può aver
luogo senza il nulla osta dell'Autorità medesima.
I segni differenziali tra la morte reale e la morte apparente
sono innumerevoli, ma per lo più non molto precoci.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
47
-----------------------------------------------------------------------------Comunque la difficoltà del giudizio, quando si presenti, è
pur sempre transitoria e non dura oltre il tempo minimo
fissato dal Regolamento di Polizia Mortuaria, che è di 24
ore nei casi ordinari e di 48 in quelli di morte improvvisa.
Quando sorgano dubbi servono decisamente i reperti
elettrocardiografici ed elettroencefalografici, secondo le
ben note norme. Sta, comunque, di fatto che la diagnosi
differenziale tra morte reale e quella apparente
presuppone in chi la formula la conoscenza dei fenomeni
cadaverici. Una soddisfacente classificazione di questi
ultimi non è possibile, non essendo utilizzabili né il criterio
della qualità né quello della successione cronologica.
Infatti, molte manifestazioni sono prodotte dal combinarsi
di processi di sopravvivenza con modificazioni di ordine
fisico-abiotico e, per di più, c'è generalmente una
coesistenza, sia pure in fase diversa della loro evoluzione,
dei vari fenomeni. In linea di massima tutti gli studiosi
concordano nel distinguere tre gruppi di questi fenomeni:
quello dei fenomeni immediati di carattere negativo
(perdita di coscienza, insensibilità, immobilità con
abolizione del tono muscolare, cessazione della
respirazione e della circolazione); quello dei fenomeni
biotanatologici (raffreddamento, algor mortis, rigidità
cadaverica, ipostasi) e quello dei fenomeni trasformativi
(disidratazione, putrefazione, macerazione, corificazione,
mummificazione e saponificazione).
Riprendendo il nostro tema, essere sepolto vivo è senza
dubbio l'estremità più paurosa in cui possa incorrere un
48
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------uomo. Che sia accaduto sovente (se non spessissimo)
nessuno a ben vedere potrà negarlo. I limiti che dividono
la vita dalla morte, malgrado tutto quello che si è detto
sono complessivamente vaghi e spesso confusi. Non si può
dire con certezza dove finisca l'una e dove inizi l'altra.
Sappiamo che vi sono malattie che possono portare ad un
arresto totale di tutte le apparenti funzioni della vita,
arresto che però è momentaneo (cioè solo, come
propriamente si dice, una sospensione, una pausa
dell'incomprensibile meccanismo). D'altra parte molti
necrofori raccontano che quando si aprono le tombe, per le
più diverse ragioni, non è raro trovare scheletri in
posizioni tali da far sospettare che il "morto" abbia
disperatamente tentato di uscire dalla bara, di farsi strada,
come se per qualche tempo si sia mantenuto "vivo".
Sospetto davvero terribile. Senza esitazione si può
affermare che non esiste nulla che più terribilmente possa
ispirare tanta suprema disperazione. Sepolto vivo!
L'oppressione intollerabile dei polmoni, le esalazioni
soffocanti della terra umida, il freddo contatto delle vesti
funebri, il rigido abbraccio del luogo angusto, l'oscurità
assoluta, il silenzio che sommerge come un mare., un misto
di disperazione immanente e fatale, straziante, orrida,
terrorizzante.
Poe, temendo una simile situazione, aveva approntato una
serie di provvedimenti preventivi, ma chi leggerà il
racconto capirà come questi siano di incerta utilità. In certi
casi, temendo la morte apparente, si può morire di paura, o
credere (che è lo stesso) di poter morire di paura.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
49
-----------------------------------------------------------------------------Nel volume di Leon Bloy “Esegesi dei luoghi comuni”
(Memoranda Edizioni, 1986) si leggono queste righe
esilaranti: “E’ lecito chiedere, e anche chiedere agli altri,
perché mai un uomo che è vissuto come un maiale senta il
desiderio di “non morire come un cane”. Intanto, che cosa
vuol dire morire come un cane? A giudizio delle autorità,
ciò consiste nel lasciare questo piacevole mondo senza
sacramenti, e nell’andarsene dritti al cimitero senza
funzioni religiose. Quindi il “borghese” che non vuol
morire come un cane deve far venire un prete, il Parroco,
se possibile, e parlargli dell’imposta sul reddito, dei
vantaggi della coltivazione intensiva del girasole canadese,
degli
inconvenienti
del
mastice
nei
molari
dell’ippopotamo, o dell’urgenza di una riforma tendente a
introdurre l’insegnamento obbligatorio del Mancese;
manifestazione di fede cristiana che, dopo la morte, dà
diritto a far portare la propria carcassa in chiesa e ad essere
accompagnati al cimitero da una tonaca, se la famiglia non
si oppone alla spesa. Ovviamente il tutto è per la platea,
per non morire come un cane. Potete capirlo, oppure no,
ma il punto è questo. Della religione me ne frego, dice il
civaiolo (venditore al minuto di legumi), ma non voglio
morire come un cane. Ne va della clientela della ditta, se la
clientela è benpensante, se no, l’interesse della ditta esige,
al contrario, che il padrone crepi come un cane, ma è un
caso raro, nei sobborghi in cui si fa baldoria”.
Veniamo ora ad un altro capoverso: morire improvvisa
mente. Si tende a ritenere che la morte improvvisa sia
50
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------tipica della nostra era, piena di pericoli, caratterizzata
dalla fretta di vivere, dalle guerre, dai tsunami, dai
terremoti, funestata dagli incidenti stradali.
L'era degli
infarti, degli omicidi, non soltanto di mafia e politici, ma
anche per le lotte di potere, sempre misteriosi e insoluti,
termini dolci per non dire impuniti.
Eppure, tanto per andare soltanto un pò indietro,
Giovanni Maria Lancisi, protomedico generale della Roma
papale, nel 1707 pubblicò due volumi intitolati "De
subitaneis mortibus", ben accolti dai clinici dell'epoca,
primo tra tutti il Ramazzini, nonché il fior fiore dei colleghi
stranieri. Ciò fece attribuire la morte improvvisa agli autori
italiani, cosa insolita viste le difficoltà che gli storici,
specialmente inglesi, avevano nell'assegnare meriti ai
precursori di Harvey.
Andando ancora a ritroso di circa un secolo, troviamo una
completa trattazione dell'argomento da parte di Spalato
Signorelli, primario medico di Correggio (Reggio Emilia).
Egli, consultato un volume trovato quasi per caso nella
locale biblioteca, intitolato "Mortis repentinae examen",
pubblicò le sue osservazioni nel 1612, con un sottotitolo:
"Insieme con un breve metodo perché tutti coloro che sono
a rischio di quella, ne abbiano il presentimento e prendano
precauzioni".
Morte improvvisa, quindi, che interrompe il corso
"naturale" della vita dell'uomo e sorprende quest'ultimo
impreparato, ma che l'arte medica, con eventuali interventi
d'urgenza e, prima ancora, con opportune misure
preventive, può riuscire a scongiurare.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
51
-----------------------------------------------------------------------------L'autore, trattando la materia secondo le abitudini del
tempo, cioè combinando filosofia e medicina, dapprincipio
chiarisce cosa si debba intendere per morte naturale,
abbondando in citazioni di Aristotele e/o prese dalla sacre
scritture, nonché derivate dalla "teoria dei tre ventri" di
Mondino De Liuzzi, passa poi a descrivere le morti
improvvise, partendo da considerazioni legate ai tre
distretti principali che si riteneva governassero la vita
dell'essere animato: il fegato, sede dello spirito naturale; il
cuore, dove, mediante l'aria fornita dai polmoni, si creava
lo spirito vitale, e il cervello, sito dello spirito animale. Solo
una lesione degli ultimi due "organi" poteva provocare una
morte improvvisa. Ovvero: morte repentina cardiaca (per
danni del cuore e/o delle grandi arterie, o anche per una
malattia degli organi contigui (o anche lontani) ma con
ripercussione sulla funzione cardiaca o della circolazione,
magari dovuta a "turbamenti dell'animo repentini e
violenti". La seconda forma era quella dell'apoplessia
cerebrale e, successivamente, di quella respiratoria.
Il meccanismo fisiopatologico che in tutti i casi porta
l'individuo a morte è "l'estinzione del calore naturale" che
avviene per "soffocamento" (asfissia) o per "dìssolvimento"
o per "corruzione". L'autore, infine, giunge alla conclusione
con un richiamo a quelle che definisce "cause occulte" ed a
quelle "preternaturali", che fa risalire a "particolari
caratteristiche di uomini e di cose". Non esistono, forse, si
chiede, fenomeni inspiegabili in natura?! Così è, dunque,
anche per certi casi di morte improvvisa.
52
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------Lancisi parla poi dei segni premonitori: dalla validità e
ritmicità del polso, alla palpitazione cardiaca, dalla sincope
alla congestione cerebrale, dalle alterazioni respiratorie,
alla costituzione corporea, ai tipi di pletora. Passa quindi a
dare suggerimenti e raccomandazioni preventive.
Ribadisce che occorre soprattutto evitare i danni alle
funzioni vitali (cuore e respirazione) ed a quelle animali
(cervello), asserendo che una alterazione delle sole
funzioni naturali non è in grado, da sola, di determinare
una morte repentina. Seguono una serie di consigli pratici
che oggi possono far sorridere, ma che in fondo
rappresentano degli stereotipi che, con qualche
aggiornamento e le opportune diverse espressioni, sono
sostanzialmente validi ancor adesso. Possiamo concludere
con Vittorio Puddu che una ventina d'anni or sono
chiudeva un suo studio con la collaborazione di Motolese
(sulla "Morte Improvvisa Coronaria") richiamandosi al De
Rerum Natura di Lucrezio, affermando che "ben poco c'è
di nuovo sotto il sole".
All'alba del primo giorno della settimana, il 9 Aprile
dell'anno 30 (della nostra era) alcune donne, discepole del
rabbino e profeta Gesù di Nazareth - e tra esse Maria, la cui
provenienza da Magdala, piccola borgata della Galilea, le
darà il nome di Maddalena - annunciano per prime che
Gesù è risorto da morte.
Anche se la tradizione cristiana sembra averlo
dimenticato, tutti i Vangeli sono concordi nell'affermare
che sono state le donne discepole ad avere il coraggio e la
forza di dire l'indicibile, di credere l'incredibile, di gridare
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
53
-----------------------------------------------------------------------------contro tutti (compresi gli undici apostoli) che Gesù non era
più preda della morte, ma era di nuovo vivente, vivo tra i
vivi. E tra di esse, proprio la Maddalena è nominata in tutti
i Vangeli con un ruolo primario in quell'evento, che sarà il
fondamento della chiesa attraverso tanti secoli, fino ad
oggi. Come, infatti, dirà Paolo: "Se Cristo non è risorto,
vana è la nostra fede, e noi cristiani saremmo i più
miserabili tra gli uomini".
Ma chi era Maria Maddalena e come giunse a quel grido
"Cristo è risorto da morte"? Secondo il vangelo di Luca era
una donna dal passato devastato. Era stata liberata da sette
demoni proprio nell'incontro con Gesù. La possessione
demoniaca, secondo il senso della religiosità di allora, era
non solo possibile, ma frequente e al tempo stesso
mutevole. Riscatto, sconfitta del demonio e possibilità di
azioni miracolose, di stupefacenti realtà e di vittorie
entusiasmanti.
Chi non vorrebbe avere la propria Maddalena, dopo la
morte? Resurrezione, ritorno dalla morte alla vita, con
riferimento alla vicenda soprannaturale di Cristo o
all'attesa del Giudizio Universale. Se potessimo scegliere,
non vorremmo resuscitare ma risorgere. Risorgere, come
nel caso di Gesù, per amore, o per meglio dire, per l'amore.
Quella capacità, tipicamente femminile, fedele, testarda,
profonda, viscerale, totalizzante, che solo le donne sanno
sentire, nutrire e testimoniare.
Per Maria Maddalena quella morte era vissuta come
violenza, ignominia, catastrofe. Così, con le altre donne,
quella morte fu seguita, spiata, osservata, forse capita. Gli
54
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------apostoli erano (tutti) fuggiti. Lei no, loro no. Così, con la
resurrezione, mistero tra i misteri, l'amore, che pareva
sconfitto e negato, è di nuovo vittorioso. Neppure la morte
può sconfiggerlo. La morte è vinta, l'amore è più forte.
Potranno i nostri sentimenti. amorosi avere la meglio?!
Può esserci una speranza catartica, liberatoria? O sono solo
ubbie, speranze vane, senza un domani e senza una
(buona) ragione? Sarà solo fede o anche possibilità
misteriosa, estremo riscatto, segno "umano" ai confini del
divino? Alla base di tali tortuosi ma non tormentosi
ragionamenti c'è la fede, o l'anima o l'ignoto. Nessuno
saprà mai. L'influenza della componente psicologica nei
confronti del cancro (in senso lato), malattia che comunque
desta costantemente una certa paura, per non dire terrore,
nelle persone meno informate, culturalmente e
spiritualmente, è enorme. Si conoscono pazienti nei quali
per errori diagnostici era stata affermata la presenza di un
tumore, i quali reagivano in senso pessimistico e
"peggiorativo"al "progredire del male". Al contrario malati
ai quali era stata esclusa una diagnosi di cancro, malgrado
la sua esistenza (più tardi convalidata), che dimostravano
un ottimismo nella considerazione dei sintomi
(ovviamente invalidanti) al punto da negare aspetti
peraltro evidenti, notando, al contrario, benefici inesistenti
ma vissuti con la forza della mente.
Rimanendo in tema, affermiamo l'utilità della psicoterapia
per i portatori di neoplasia, inconfutabile sostegno da
affiancare ai farmaci, perfino dopo procedure chirurgiche.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE 55
-----------------------------------------------------------------------------Nel 1993, un gruppo di ricerca, guidato da F I Fowrj
pubblicò su Archives of General Psichiatry, i risultati di
uno studio riguardante 68 persone operate di melanoma
maligno. Dopo l'intervento questi pazienti furono divisi 2
gruppi di 34 unità: solo il primo partecipò a sedute
psicoterapeutiche settimanali, durante le quali gli operatori
fornivano non soltanto informazioni scientifiche sul
melanoma come menzione di nuove possibili speranze, ma
anche riguardanti la nutrizione, l'attività fisica e le pratiche
antistress.
Dopo 5 anni i medici poterono verificare una differenza
significativa tra i 2 gruppi: le recidive e i decessi nel
gruppo che aveva avuto il sostegno psicologico erano del
50% circa inferiori all'altro gruppo.
A 10 anni di distanza queste differenze si sono
assottigliate, ma il rischio di morte per chi partecipò al
gruppo di sostegno, restava ancora circa 3 volte inferiore
all'altro.
Ciò con il conforto di altri studi simili dimostra che in
effetti la psicoterapia aumenta le difese e in ultima analisi
la sopravvivenza dei malati di cancro.
Il carattere (e, a volte, il mestiere) delle persone incidono
in modo considerevole sulla aspettativa e/o il "desiderio" di
morte.
E' recente il caso di Jerry Lewis, uno dei più grandi comici
americani, il quale a 76 anni, dopo una vita
apparentemente "allegra" ma in realtà funestata da una
serie pesantissima di guai, fisici e non solo, di recente
affetto da una grave forma di fibrosi polmonare tale da
56
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------impedirgli di continuare il proprio lavoro, ha espresso idee
dì suicidio. Del resto l'attore è stato più volte sull'orlo della
morte. Nel 1982 per esempio, fu dichiarato clinicamente
morto dopo un infarto, poi sopravvisse. Un anno dopo
subì un complicato intervento a cuore aperto. In seguito gli
sono stati diagnosticati un cancro della prostata e il
diabete. Nel 2000, durante un tour australiano, la moglie lo
trovò esanime nella camera dell'albergo: ricoverato per
accertamenti gli fu trovata una affezione da meningite.
Per questo commuovono e non stupiscono le terribili e
sincere parole con le quali l'artista ha confessato le sue
sofferenze al Daily Mirror. "Non sono in grado di
raccontare nei dettagli le grandi sofferenze attraverso le
quali sono passato" ha detto Lewis "in Aprile stavo così
male e il dolore da cancro era così insopportabile che mi
sono procurato una pistola ed ho pensato seriamente di
farla finita, sparandomi un colpo in bocca". Aveva una
profonda depressione e la carriera, la vita di comico, gli
sembrava finita. Ha detto "c'è una linea sottile che separa la
commedia dalla tragedia ed io posso dire che ho superato,
almeno in spirito, questo confine. Ma questa condizione
crea strane contraddizioni." La vita è tornata a sorridergli,
mentre dolori ed astenia psicofisica sono scemati. Si tratta
comunque di un uomo a rischio.
I "vissuti da cancro", spesso consentono importanti e
profonde meditazioni sulla morte. Disse Harold Pinter,il
grande drammaturgo: "E' come trovarsi in una foresta
impenetrabile nella quale è difficile orientarsi".
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------Intervistato dopo l'intervento chirurgico subito per
l'asportazione di un tumore, ha raccontato come ci sì sente
a un passo dalla morte. La sua poesia "Cellule tumorali" è
stata pubblicata nel Marzo 2002 dal Guardian. Si trattava
di una vera e propria chiamata alle armi contro la malattia,
scritta mentre Pinter era sottoposto a chemioterapia.
L'artista ha dichiarato: "Tu stai li seduto e una infermiera ti
inietta endovena il chemioterapico. Quella stessa
infermiera a un certo punto mi disse: le cellule tumorali
sono quelle che hanno dimenticato come si fa a morire".
Questa frase lo colpì talmente da indurlo a buttare giù dei
versi:
E' il morto della notte.
I vecchi morti allungano lo sguardo sui nuovi morti, vanno
verso di loro.
C'è un lieve batticuore quando il morto abbraccia
I vecchi morti
e quelli fra i nuovi,
che vanno verso di loro.
Piangono e si baciano
quando si incontrano
per la prima ed ultima volta
(Harol Pinter - Agosto 2002)
Diceva ancora il drammaturgo: "Devo vedere morto il mio
tumore, un tumore che dimentica di morire, ma progetta di
uccidere me, invece".
A lui è andata bene. E' guarito. ma non potrà mai
dimenticare quella esperienza, né fare a meno di tenerne
conto.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------In un bollettino dei testimoni di Geova si pone il problema
del perché l'uomo muore e lo si riferisce al peccato
originale, come per i cristiani, con l'unica differenza del
punto di riferimento: Geova anziché Dio.
Per l'interpretazione della morte, i testimoni di Geova
ricorrono com'è loro consuetudine, alla Bibbia. Cos'è la
morte? si chiedono. Quando l'uomo muore, torna alla
polvere. Non si sa più nulla (Salmo 146:4). I morti non ti
possono parlare e non possono fare nulla (Ecclesiaste
9:5,10). Molti angeli sono diventati cattivi. Fingono di
essere persone morte, per farci credere che non moriamo
veramente (Genesì 6:1,2 - Giuda 6). Per questo Geova non
vuole che crediamo a quegli angeli cattivi, chiamati
demoni (Esodo 22:18-Deuteronomio 18:10,1l;32:17). Non
vuole che pratichiamo spiritismo, magia o divinazione
(Galati 5:19-21).
Ricordi che il primo uomo, Adamo, peccò? Perse la vita e
il Paradiso e noi tutti moriamo perché siamo figli suoi
(Romani 5:12; 3, 23). Poi, premessa la storia di Gesù, si
passa alla esaltazione di Geova, vero Dio dell'universo, il
quale non rinnega Gesù, ma ne offre un significato diverso.
Passando ad altro, oggi la morte per gli adolescenti è
diventata un video-clip.
La cognizione della morte specialmente nelle prime età,
non c'è. Nessuna paura, nessun distinguo. Muoiono gli
altri. Tuttavia c'è una eccezione a questa regola. Quando
un piccolo vive in ospedale, seriamente malato e con poche
(non solo oggettive, ma anche intuite) speranze, vedendo
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------morire persone accanto o vivendo il dolore del prossimo,
ascoltandone spesso le idee e le riserve, può farsi strada in
lui un po' di paura, la sensazione di poter morire, almeno
dai 3-4 anni in su. Non c'è nulla di più tremendo di
osservare questi stati d'animo, queste angosce solo
parzialmente avvertite. Lo sguardo dei bambini diviene
interrogativo, stupito e implorante. Le parole sono per lo
più limitate alla ricerca della mamma, rappresentando la
sua presenza una specie di esorcismo della morte, o più
genericamente della paura, del dolore. La morte, in questi
casi, è una resa al (misterioso) disegno del destino, alla
mancanza di un protettore, di un amico, di uno scopo. Non
auguro a nessuno di provare queste esperienze, tanto
meno per un familiare, terrificanti e che non consentono
l'oblio. Poche ferite sono paragonabili a queste.
Ad esempio, una volta, nella prima metà del secolo scorso,
per la perdita di una persona cara, il lutto durava almeno
una settimana, alla quale seguiva un lungo periodo di
riflessione. Ora tutto viene "consumato" in tempo reale, in
fretta, senza colori, senza profondità.
La morte spesso diventa anche spettacolo. Famoso
l'esempio di un archiatra pontificio che vendette le foto del
Papa morente ad un giornale. La macchina fotografica, così
come la cinepresa e la videocamera, agisce spesso come un
occhio allungato nella vita (degli altri) capace di penetrare
dappertutto con sfacciataggine, con impudenza. Nella
fotografia, come nel cinema e nella televisione, affiora
spesso, più o meno esplicitamente,una componente
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------voyeristica, che può dar luogo a curiosità morbose o a
comportamenti di sadismo indiretto, immorale e gratuito.
Le immagini dei mass-media si impadroniscono spesso
della morte, come di un accadimento imprevedibile; per lo
più ne privilegiano gli aspetti violenti, trascurandone il
valore di progetto ineluttabile.
La considerano cosi ideologicamente come un'eccezione
che riguarda alcuni sfortunati e non le attribuiscono alcuna
funzione di esemplarità esistenziale: non aiutano
assolutamente a capirla, ad accettarla, ed intrecciarla con la
vita. Muoiono gli altri, noi no. Noi siamo eterni e
immutabili. Vincenti.
Ma è vero il contrario. Chi relega la morte a questi
"spettacoli", chi la nega, chi la delegittima, in pratica è già
morto. E' già finito.
Le immagini di cadaveri, spesso arricchite dai dettaglio
delle ferite e dello strazio, rappresentano il risultato di un
dominio non più mascherato del vitalismo acritico e
irriflessivo della cultura di massa sull'evento che fa paura.
Un dominio che non induce ad alcuna riflessione, ma che
al contrario, la cancella o la respinge,per esorcizzare
angosce individuali attraverso rituali collettivi a poco
prezzo.
Questa morte, non considerata affatto come "partner" (né,
tanto meno come "sorella"), non interrogata nei suoi valori
vitali, si distribuisce nei canali dello spettacolo
contemporaneo, oscillando tra la banalizzazione della
quantità e l'orrore dello scoop, del colpo di scena.
L'informazione di massa gioca con la morte una delle sue
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------partite più tragiche (e perfino tragicomiche), purtroppo
socialmente più legittimate.
La morte non è mai un divertimento o una gratificazione,
né un premio, se facciamo a meno di considerare l'aspetto
religioso della possibile conquista del paradiso.
Tuttavia c'è un aspetto nel quale la castrazione e la
punizione assumono un valore massimo. E' il caso della
pena di morte.
All'inizio del secolo scorso si trattava di una pratica
giudiziaria in qualche modo assai diffusa,
Poi, via via, si è fatto strada il concetto di inutilità della
condanna a morte, sia civile, sia sociale, e anche di un suo
connotato tribale, arcaico e illegittimo.
Così è iniziato un vero "processo alla pena di morte", che
ha indotto molti stati ad abrogarla e a rinunciare
contestualmente anche all'ergastolo.
Prevale quindi, il concetto di pentimento del reo, di un suo
possibile recupero, in virtù della speranza di un
reinserimento nella vita quotidiana.
Basti per tutti l'esempio degli USA, dove ancor oggi, si sta
conducendo un braccio di ferro tra garantisti e fautori della
condanna capitale. Molti stati confederati, specie del sud,
mantengono il retaggio della cultura dell’"omicidio di
stato", inteso come monito esemplare per tutti i criminali e
specialmente quelli che si sono macchiati dei reati più
efferati.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------Come quando in Inghilterra, venivano affidati al boia,
coloro che avevano ucciso un poliziotto che, per legge,
girava disarmato.
E' di poco tempo fa la notizia che in Illinois, dopo tre anni
di moratoria di esecuzioni, il governatore repubblicano,
George Ryan, valuta la conversione, avviando un riesame
per 160 condannati, esaminati dettagliatamente e
confrontati con i militanti abrogazionisti e gli estimatori
della pena di morte.
Lo stesso governatore, in uno stato a maggioranza
democratica, ha deciso di prendere una decisione
"scomoda", dopo aver incidentalmente verificato che su 75
detenuti nel braccio della morte, almeno 13 erano
presumibilmente innocenti. Egli ha affermato testualmente
"non possiamo uccidere qualcuno se non siamo certi al
100% della sua colpevolezza". Che ciò avvenga in una città
come Chicago (già sede di Al Capone !) è esemplare. E'
sempre più facile rivedere le sentenze capitali e commutare
queste pene in ergastoli. E' recentissima l'iniziativa dello
stesso governatore uscente dell'Illinois, il già citato Gorge
Ryan, di salvare dall'esecuzione capitale 150 detenuti. Pare
sia il segno di una nuova sfiducia del Paese verso la forca.
Nel caso specifico, poi, la ragione basilare di questa
decisione è stata la constatazione che quattro detenuti nel
braccio della morte erano in realtà innocenti, essendo stata
loro carpita la confessione con torture. Questi casi di
inaudita violenza non sono rari nei distretti di polizia (non
soltanto americani), dove relativamente numerosi
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------rappresentanti della legge pensano di potersi fare giustizia
da soli, in barba alla verità.
Poco conta se le esecuzioni vengano compiute con mezzi
diversi: dalla sedia elettrica alla impiccagione, alle camere
a gas, alla fucilazione e alle iniezioni letali.
Secondo i più, e specialmente secondo la Chiesa, un
governo non dovrebbe mai macchiarsi di simili "delitti".
Senza contare lo stress psicologico di chi attende
l'esecuzione con la sua tragedia finale che già di per sè
rappresenta una pena durissima.
Giornalisti e uomini di legge hanno riferito casi, a dir poco
sconcertanti, riguardanti condannati a morte per i più vari
motivi. Basti ricordare il libro scritto da C. Cessmann
"Cella 34 quinto braccio della morte", che venne comunque
giustiziato, dopo aver dimostrato un profondo
ravvedimento.
Assai alteri, comunque, sono coloro che chiedono una vita
per una vita, che invocano la legge del taglione contro
quelli che stanno sull'altra riva del fiume, nei raggi della
morte, che chiedono grazia.
E' un problema a tutt'oggi non completamente risolto che
mette a confronto pensieri, coscienze e convinzioni diverse,
teoricamente tutte lecite, ma che attualmente si complicano
con le differenti politiche e diversi modi di sentire.
Per concludere, riferiamo alcune usanze nel culto dei
morti. Ad esempio nell’antica Roma, durante i funerali si
organizzavano i giuochi dei gladiatori che erano celebrati
senza alcun intervento di sacerdoti pubblici, perché
secondo essi la vista e il contatto del cadavere avrebbe
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------contaminato il sacerdote. Quando i parenti avevano reso
gli estremi uffici al morto, chiudendogli gli occhi,
chiamandolo ad alte grida per sentire se proprio la vita lo
aveva abbandonato, quando lo avevano lavato, unto e
vestito, gli avevano posto accanto le corone onorarie che
aveva ricevuto in vita, e nella bocca la moneta per pagare
Caronte, il nocchiero infernale, il cadavere veniva esposto
al popolo per alcuni giorni. Si capisce che i ricchi
pagavano ai loro cari funerali di grande lusso e i poveri
dovevano accontentarsi di un modesto funerale notturno,
seguendo in questo una saggia disposizione della legge
delle XII tavole, la quale proibiva i funerali diurni, e questo
spiega l’uso dei ceri dietro ogni bara e nelle processioni. I
ricchi, naturalmente, trovarono ben presto il modo di
eludere la legge per sfoggiare di giorno dinanzi agli occhi
del popolo cortei funebri ricchissimi. Il corpo era
trasportato a braccia in una bara scoperta (un’usanza viva
ancora oggi in Grecia) sopra una ricca lettiga: la
precedevano suonatori di flauto, trombettieri e prefiche,
cioè donne prezzolate per piangere e cantare le lodi del
defunto; la seguivano parenti e amici, vestiti a lutto di nero
o di bianco. Il corteo si avviava al luogo della sepoltura che
era generalmente fuori dalla città, su una delle vie esterne.
I ricchi avevano delle tombe e dei recinti propri, per i
poveri vi erano le fosse comuni, ma i Romani non
conobbero i cimiteri come i nostri. Solo alcuni grandi
personaggi ebbero il privilegio di seppellire i morti in città.
I Romani avevano due modi di sepoltura, proprio come i
Greci : la deposizione nella terra e la cremazione.
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------Con la prima si rende il corpo alla terra donde è nato; la
seconda permette all’ombra che contiene l’anima di risalire
al cielo donde emana. Più complessa era la cerimonia della
cremazione. Per questa si elevava un rogo di legna,
ornandolo spesso di tappeti, di ghirlande, di statue in
modo che avesse un aspetto monumentale. Sopra si
poneva il cadavere e si spargevano profumi e incenso; poi
un parente, volgendo indietro la faccia, avvicinava una
face alla catasta che ardeva crepitando. Spente le ceneri con
vino, si lasciavano asciugare e fra esse si raccoglievano gli
avanzi del defunto, operazione resa più facile se il corpo
era stato avvolto in un lenzuolo di amianto. Dopo il
funerale si purificava la casa, la famiglia, i lari, tutto quello
che la vista o il contatto del cadavere aveva contaminato.
Di questa purificazione faceva parte un banchetto funebre
composto specialmente di uova, ceci, fave e lenticchie. Ecco
perché è costume mangiare, ancor oggi, i ceci e le fave nel
giorno dei morti. Questo si faceva nei funerali
relativamente modesti; ma ve ne erano di quelli di un lusso
inaudito. Nove giorni dopo i funerali si chiudeva la novena
con un banchetto funebre, il lutto durava circa come ai
nostri giorni e non si potevano portare ornamenti o vesti
colorate. Ai soldati morti in guerra dava sepoltura lo Stato.
Quando si voleva divinizzare il morto, sul rogo si legava
un’aquila che, dato fuoco alla catasta, veniva lasciata volar
via e pareva portare al suo signore, Giove, l’anima del
defunto.
La legge proibiva di bruciare e seppellire i cadaveri entro
le mura della città e quindi innalzavano le loro tombe nelle
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------campagne circostanti. I Romani non conobbero i cimiteri
come i nostri; ognuno poteva innalzare un sepolcro e
scavarlo dove gli piacesse, purché ciò non fosse di disturbo
o danno ai vicini; come i Greci, avevano tombe sotterranee
e sepolcri eretti. La più tipica forma di sepoltura isolata
consisteva nel depositare l’urna funebre in terra e segnarne
il posto con una pietra tombale in forma di stele che recava
il nome del defunto. Più caratteristici delle steli erano i
cippi: anzi si può dire che fossero i veri monumenti funebri
romani: deposito funebre, monumento e altare.
Citiamo ora, per dare un senso alle nostre carenti
conclusioni, tre poesie di Charles Baudelaire (da "I fiori del
male") che in qualche modo affrontano il problema della
morte.
La prima che citiamo è "Sepoltura" In essa la morte è vista
e considerata in modo drammatico, e dotata di tutte quelle
considerazioni che inducono a temerla.
In "Brume e piogge" vi è una lunga metafora sui problemi
funebri e sulle stagioni che continuano e continueranno ad
alternarsi, mentre anche il giorno e la notte si susseguono a
favore (per il poeta) di tenebre pallide e di sere illuni. Il
destino è visto in modo immanente, con una vera
esorcizzazione della morte, vissuta, tuttavia, senza
tristezza, ma con un istinto distruttivo.
Nell'ultima poesia che citiamo, "Il morto allegro"; il poeta
esprime tutto il suo scetticismo sulle volontà testamentarie
e le abitudini sepolcrali. Dice: "Piuttosto che implorare una
lacrima dal mondo vivo, preferirei invitare i corvi a
salassarmi l'immonda carcassa in ogni suo brandello". Qui
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------la morte ha l'odore della putrefazione, nega l'esistenza
dell'anima ed è assimilata ad un sonno nell'oblio. Forse per
questo il morto viene considerato allegro, in quanto
polvere nella polvere, senza dolore e senza speranza.
Sepoltura
Se in una notte opprimente ed oscura
Un buon cristiano dietro un vecchio rudere
Per carità sotterra il vostro corpo
Tanto vantato, all'ora in cui le caste
Stelle chiudono gli occhi appesantiti,
Intorno il ragno vi ordirà le tele,
Vi anniderà la vipera i suoi piccoli;
Per tutto l'anno udrete sulla vostra
Testa dannata i lamentosi urli
Dei lupi e delle fameliche streghe;
Ed i sollazzi dei vecchi lubrìci
E i complotti dei cupi malviventi.
(Charles Baudeiaire - I Fiori del Male)
Brume e piogge
O tardi autunni, inverni, primavere
Fangose, soporifere stagioni
V'amo e vi lodo, voi che m'avvolgete
Cuore e cervello dentro un vaporoso
Sudano, entro una tomba indefinita.
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
-----------------------------------------------------------------------------In questa grande pianura ove giocano
Gelidi i venti, e dove nelle lunghe
Notti la banderuola si fa roca,
La mia anima, meglio che nel tiepido
Fiore di primavera, schiuderà
L'ali di corvo nella loro ampiezza.
Nulla è più dolce, per il cuore colmo
Di cose funebri, e su cui da tempo
Discendono le brine, o sbiadite
Stagioni, regine dei nostri climi,
Che il permanente aspetto delle vostre
Pallide tenebre; se non, insieme
In una sera illune, addormentare
Il dolore su un letto occasionale.
(Charles Baudelaire - I Fiori del Male)
Il morto allegro
In terra grassa e piena di lumache
Voglio io stesso scavarmi una fossa
Profonda, nella quale poter stendere
Comodamente le mie vecchie ossa,
E come un pescecane dentro l'onda
Dormire nell'oblio. I testamenti
Ho in odio, ho in odio i sepolcri; piuttosto
Che implorare una lacrima dal mondo,
RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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-----------------------------------------------------------------------------Vivo, preferirei invitare i corvi
A salassarmi l'immonda carcassa
In ogni suo brandello, O vermi! neri
Compagni senza orecchie e senza occhi,
Guardate, a voi discende un morto libero,
Lieto; filosofi gaudenti, figli
Della putrefazione, andate dunque
Senza rimorsi attraverso il mio rudere,
E ditemi se c'è qualche tortura
Ancora, per codesto vecchio corpo
Già privo d'anima, morto fra i morti!
(Charles Baudelaire - I Fiori del Male)
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RELAZIONI PRESENTATE ALLE ADUNANZE
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