Barchette l - Caritas Italiana
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internazionale spagna Si buttano per essere salvati, mille (o poco più) soccorsi in mare Il centro di coordinamento di Salvamento Marítimo, a Tarifa, conosciuto come Tarifa Tráfico, è la centrale di controllo che, dal 1987, gestisce la metà settentrionale dello Stretto di Gibilterra. Trentamila chilometri quadrati di mare per 500 chilometri di costa andalusa, dove navigano una media di 300 imbarcazioni al giorno, 109 mila l’anno. Il centro monitora anche gli spostamenti delle barchette dei migranti dal Marocco: numeri, oggi (ma nel recente passato non è stato così), di gran lunga inferiori a quelli che riguardano le coste del Mezzogiorno d’Italia. Sono state infatti 1.100 le persone soccorse nello Stretto di Gibilterra dal 1° gennaio al 1° settembre 2013. Sono gli stessi immigranti subsahariani ad avvisare, tramite cellulare, le autorità spagnole quando le barche gonfiabili vanno alla deriva. Non volendo essere salvati dalla marina marocchina, per timore di essere detenuti, si buttano in mare, dato che il mandato di Salvamento Marítimo obbliga a soccorrerli. Barchette per l’Europa il varco però è Stretto di Manuel Tori foto di Marcos Moreno GOMMONI DELLA SPERANZA Migranti africani festeggiano la riuscita traversata dello Stretto di Gibilterra. A destra, assistenza dopo il viaggio in mare Traversate di una notte. Su imbarcazioni gonfiabili da spiaggia. Così gli africani cercano la via per la Spagna a Gibilterra: solo 14 chilometri di mare, rischi non indifferenti. Sono pochi, rispetto agli esodi verso l’Italia: gli accordi col Marocco limitano i flussi 26 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2013 È la geografia, spesso, a fare la storia. Quantomeno la cronaca. E la cronaca degli abbordaggi alla Fortezza Europa – in realtà traversate sull’inquieto filo di mare che separa la speranza dalla morte – vede schierati su un fronte ambivalente (accoglienza? respingimento?) tutti i paesi mediterranei. Ognuno con la sua icona, il suo epicentro di sbarchi e di drammi. Per l’Italia è Lampedusa, isola-avamposto, scoglio ormai noto all’Europa intera. Per la Spagna, uno scenario caro alla mitologia degli antichi: lo Stretto di Gibilterra. Quasi tutti i giorni, persone provenienti dall’Africa subsahariana arrivano in Spagna attraverso il Marocco, sfidando l’impossibile. Accade dal 1991: in quell’anno Madrid firmò gli accordi di Schengen, aderendo all’Europa che concede libertà di spostamento a persone e merci secondo uno schema in- tra, ma non intercontinentale. Gli africani diretti verso la dirimpettaia Spagna, per turismo o lavoro, devono disporre di visto. Non sempre facile da ottenere. Quindi, si cerca l’alternativa. Oggi, 2013, vent’anni dopo, l’immigrazione continua a essere uno dei principali argomenti nelle relazioni bilaterali fra Spagna e Marocco. L’andamento degli arrivi non è funzione solo dei controlli militari: «Ogni volta che Madrid si riunisce con Rabat, diminuiscono gli sbarchi», commenta con discrezione un alto responsabile delle operazioni di monitoraggio nella zona dello Stretto. E i dati confermano che la diminuzione delle partenze dal Marocco sono proporzionali agli accordi o ai finanziamenti che la Spagna offre al paese del Maghreb. Spedizioni col passaparola Mali, Senegal, Ghana, Ciad, Camerun, Ghinea, Niger, Costa d’Avorio, Algeria, Nigeria. Sono i principali paesi di provenienza. I marocchini sono un’eccezione: il regno di Mohammed VI, rispettando gli accordi con il vicino settentrionale, non permette che i suoi cittadini arrivino in Spagna senza visto. Per molti africani subsahariani, in ogni caso, la prima meta è proprio il Marocco. Attraversare il Sahara non è facile: i viaggi possono durare mesi. E paradossalmente giungere alla costa sud dello Stretto di Gibilterra, risalendo il Marocco, non è garanzia di mettere piede in Andalusia. Bisogna potersi permettere la breve traversata. La permanenza in Marocco può durare anni. In Marocco prima c’erano vere e proprie organizzazioni che lucravano sulla gestione delle traversate in gommone. Oggi il sistema delle partenze è meno strutturato, per niente simile allo scenario delle migrazioni verso l’Italia. Alla nave o al grande gommone, si sostituisce spesso una barca gonfiabile da spiaggia. Più economica, ma molto più insicura e pericolosa. «Un pomeriggio, lungo la costa di Tangeri, si presenta un tizio che è in possesso di una barca gonfiabile. Avverte un altro dell’idea di attraversare lo Stretto, caricando ulteriori passeggeri. Costo del viaggio, 3-400 euro a persona. L’invito diventa un passaparola, una catena – riassume Iván Lima, capo logistico della Croce Rossa spagnola di Tarifa, il punto più a sud della penisola iberica, quello più vicino all’Africa –. Tutto può avvenire nel giro di una notte». Soccorsi in autostrada È facile, dal Marocco, vedere la costa della Spagna. Sono solo 14 i chilometri che separano due continenti. «“Tranquillo, ci metteremo solo un paio d’ore ad attraversare questo fiume”: così chi progetta la traversata incita gli altri ad attraversare lo Stretto», racconta Juan Carlos D., marinaio della Guardia Costiera iberica. Ma quello che gli antichi definivano Colonne d’Ercole è un luogo geografico a cavallo fra mar Mediterraneo e oceano Atlantico: venti e correnti marittime vi si intensificano. Anche se 14 chilometri sembrano pochi, il pericolo di perdere la vita, cadendo in acqua da una barchetta gonfiabile, è altissimo. La pseudovicinanza inganna molti, fa balenare un futuro che rischia di non diventare mai presente. Eppure, pur non sapendo nuotare, il desiderio di una vi- In Marocco prima c’erano organizzazioni che lucravano sulla gestione delle traversate in gommone. Oggi il sistema delle partenze è meno strutturato, per nulla simile allo scenario dei viaggi verso l’Italia ta migliore, per sè e per i propri cari, spinge oltre chi non ha alternative. Sul piano legale, lo Stretto di Gibilterra è un canale internazionale, una “autostrada del mare” dove qualsiasi tipo di imbarcazione ha il diritto di transito. Stesse regole che in alto mare. Ma mentre pescherecci, navi da crociera, yacht, navi militari e petroliere navigano sull’asse est-ovest, gli immigranti sperano di farcela remando perpendicolarmente verso nord. Non c’è un profilo sociale univoco del migrante: agricoltori e poliziotti, medici, universitari e analfabeti, ingegneri e commercianti, maestri, professori e studenti, cristiani e islamici: tutti salgono sulle barchette. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 18 e i 45 anni, e non mancano donne e bambini. «Spesso puoi capire la loro formazione dai gesti più semplici. Riconosci un infermiere o un medico, quando vogliono curarsi da soli», commenta un volontario della Croce Rossa. A livello territoriale, lo Stretto di Gibilterra è diviso in due secondo precise regole cartografiche, dato che non è così largo da permettere a Spagna e Marocco di avere 12 miglia di mare territoriale a testa. Ma se dal punto di vista “autostradale” la gestione è condivisa, militarmente ognuno agisce nel suo margine operativo. L’eccezione riguarda le emergenze. Le competenze di soccorso di Rabat sono della Marina Reale, che opera solo in acque marocchine. Nel caso spagnolo, la competenza è assegnata a una società del ministero delle infrastrutture, denominata Salvamento Marítimo, la quale, a differenza dei viI TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2013 27 internazionale spagna cini africani, può agire in tutto lo Stretto. I fluidi rapporti con il governo di Rabat e il fatto che la Guardia Costiera spagnola sia civile, e non militare come in Italia, fanno sì che la Spagna, al sud, si dedichi molto di più alle emergenze umanitarie che alla sicurezza, intesa come protezione delle frontiere. Per questo motivo l’agenzia europea Frontex è, in un certo senso, secondaria. La salvezza è un cellulare Quelli che partono lo fanno di notte, per arrivare in Spagna prima dell’alba, così da non essere visti. La partenza dalle coste marocchine non è facile. La maggior parte delle barche gonfiabili sono pensate per 4-5 persone e invece non è difficile vedervi stipati, remi in mano, 9-10 migranti. Hanno paura e dopo alcuni minuti capiscono che l’altra sponda è tutt’altro che vicina. Poi subentrano i venti e solo nel migliore dei casi, con il Ponente, proveniente da Ovest, l’arrivo in Andalusia si fa più vicino, dopo 5-6 ore di traversata. Ma pochi hanno conoscenze maritti- me, e spesso finiscono nella direzione opposta, in rotta verso le Isole Canarie. Per fortuna la ridotta distanza fra le coste permette ai migranti, quando sono dispersi, di chiamare tramite cellulare e segnalare la loro posizione a Salvamento Marítimo. Che entra in azione insieme alla Croce Rossa Spagnola. Una volta in terra iberica, la prima assistenza è competenza proprio della Croce Rossa. Prima della libera circolazione, gli immigrati devono spostarsi al Centro de Internamiento de Extranjeros, luogo non esente da polemiche. In questo centro di identificazione, le persone vengono trattenute al massimo 60 giorni, ma le condizioni sono pessime. «È proibito dalla legge che il Cie di Tarifa abbia un aspetto cercerario. Invece, le stanze sono strette, con molte persone, i bagni non separati, la polizia è armata e non è permesso l’accesso né alla stampa né alle ong. Non è legale, tenendo conto che, teoricamente, è solo una sede di identificazione», spiega Jesús Mancilla, presidente di Algeciras Acoge (Algeciras accoglie), ong che si dedica a difendere i diritti degli immigrati e alla loro integrazione. In effetti, già da qualche chilometro di distanza, la similitudine del centro con Alcatraz è innegabile. Algeciras Acoge è una delle tante ong locali che (con altre organizzazioni, come Banco de Alimentos, Caritas, Croce Rossa Spagnola e singole parrocchie) aiutano a far sentire più protetto chi è in difficoltà. Le persone che nel 2013 sono riuscite ad attraversare il canale internazionale, sperando una vita migliore, sono state 1.100. Il numero dei decessi, invece, non si saprà mai. La crisi economica spagnola non sta provocando razzismo e demogogia in eccesso, nel paese. Più ci si avvicina alle zone degli sbarchi, più si percepisce tra la popolazione uno spirito di comprensione. Una tolleranza quotidiana verso chi, lasciandosi tutto alle spalle e sfidando l’impossibile, rincorre l’opportunità di un’esistenza migliore. Attraversando una frontiera che divide Nord e Sud del mondo. E che fa della geografia il trampolino di nuove storie di vita. CE L’HANNO FATTA Sopra, la Croce Rossa spagnola assiste gli sbarcati esausti dopo la traversata. A sinistra, migranti avvistati da Salvamiento Maritimo; qui a fianco, Silah, guineano, cucina in un centro di accoglienza ad Algeciras Gli approdati, i volontari e un altro pescatore di uomini Il mercante, la neomamma, l’ex poliziotto, il meccanico in parrocchia: ritratti di migranti africani insediati ad Algeciras, il porto dello Stretto N essuno abbandona la propria terra se non è per trovare una vita migliore. Anche Fallou Cisse, 48 anni, senegalese, arrivò in Spagna per avere più fortuna e far prosperare la sua famiglia. Sbarcò sulle coste dell’Andalusia in gommone, una notte del 1992. Da allora, come tanti altri connazionali e non, vive ad Algeciras, provincia di Cadice, vendendo pelletteria al mercato rionale: «Non potrò mai stare come a casa con la mia famiglia, ma qui mi trovo benissimo». Sono passati più di vent’anni e i flussi dell’immigrazione spagnola sono cambiati. La dinamica migratoria di una nuova generazione è incarnata da Loveth. L’anno scorso, a soli 25 anni, ha sfidato incinta lo Stretto di Gibilterra con una barchetta gonfiabile insieme ad altre cinque persone. Oggi la sua bambina, Princess, è il suo orgoglio più grande e il simbolo della sua fuga dalla Nigeria. Le macchie di pennarello erano le uniche che Loveth voleva nel futuro di sua figlia. Silah, 55 anni, è un ex poliziotto guineano residente in uno dei centri di accoglienza di Algeciras, sul litora- Padre Andrés ospita ogni giorno nella casa di accoglienza migranti e persone in difficoltà. Come Silah e Tariq che, pregando verso La Mecca, incrociano con lo sguardo la facciata della chiesa di San Pietro 28 I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2013 le gaditano. «Sono venuto in Spagna perchè in Guinea mi pagavano poco, circa 500 euro mensili. È vero che nella mia terra vivi con poco, ma volevo offrire di più ai miei otto figli», commenta mentre prepara per tutti, in cucina, una zuppa tradizionale del suo paese. Ha lavorato in diverse aziende spagnole, ora a causa della crisi economica è disoccupato. La grammatica non è tutto Non tutti i flussi migratori hanno origine da paesi subsahariani. Tariq, ventottenne marocchino, arrivò in terra iberica nel 2007 con il visto. Meccanico di automobili di professione, ma non di formazione: è il principale motivo per cui non gli è concessa alcuna omologazione professionale in Spagna. In ottobre, e per 70 giorni, svolge lavori di pulizia in una parrocchia, scontando una pena giudiziaria. L’immigrazione non è solo questione di emergenza o assistenza. Una delle fasi più difficili è l’integrazione. «La grammatica non è tutto. Ci dedichiamo soprattutto a rinforzare l’autostima», spiega Josefina Mesa, insegnante volontaria di spagnolo per immigranti nella ong Algeciras Acoge. L’empatia è il suo strumento principale: «La mia più grande soddisfazione è vedere come donne scoraggiate, deboli e sole stabiliscono legami con altre donne, e poi con altre persone. In questo modo riconquistano la loro autostima e quindi la loro dignità, che sono disposte a raccontare ad altri. L’istruzione è un fattore moltiplicatore». Non ha mai adorato la vita di parrocchia tradizionale. Non a caso, per più di dieci anni, nascose di essere sacerdote. Negli anni Sessanta, aiutando chi aveva più bisogno, è stato allo stesso tempo, e in segreto, pescatore e prete. Padre Andrés, nato a Burgos 73 anni fa, oggi è il riferimento della comunità di Algeciras. «Ho sempre avvertito il bisogno di essere libero e aiutare gli altri. Ma qualcuno un giorno fece riferimento alla mia condizione di sacerdote, e finì l’anonimato! Ed eccomi qui, in parrocchia, quarant’anni dopo», commenta ridendo. Anticonformista e controcorrente, celebra la messa con la maglietta della nazionale boliviana e, sul collo, più di un ricordo dal sapore africano. Ammette di non saper utilizzare bene il messale e di non avere mai simpatizzato troppo per nessun papa, fino all’arrivo di Francesco. Padre Andrés, liturgia sui generis a parte, ospita ogni giorno nella sua casa di accoglienza migranti e persone in difficoltà. Persone come Silah e Tariq che, pregando verso La Mecca all’imbrunire, incrociano con lo sguardo la facciata della chiesa di San Pietro. Che, come il parroco Andrés, era uomo di Dio. E pescatore. I TA L I A C A R I TA S | NOVEMBRE 2013 29