Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e Chirurgia

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Università degli studi di Milano Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli studi di Milano
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di laurea in Educazione Professionale
IL RUOLO DELL’EDUCATORE PROFESSIONALE E DEL
CENTRO DIURNO NEGLI INTERVENTI RIABILITATIVI
PSICHIATRICI
Candidato: Luigi Massazza
Matricola: 633998
Relatore: prof. Massimo Cardini
Anno Accademico 2003/04
INDICE
Introduzione
pag. 3
1) La riabilitazione in psichiatria
pag.4
1.1) Come nasce
pag. 4
1.2) I principali modelli
pag. 9
1.3) La riabilitazione psichiatrica in Italia
pag. 14
1.4) La situazione lombarda
pag. 17
2) La legislazione e l’organizzazione dei servizi psichiatrici
pag. 20
2.1) Le leggi nazionali
pag. 20
2.2) L’articolazione dei servizi psichiatrici in Lombardia
pag. 22
2.3) Il piano per la salute mentale 2002-2004 della Regione Lombardia
pag. 24
3) Il centro diurno
pag. 29
3.1) Breve storia
pag. 29
3.2) Modelli di intervento
pag. 31
3.3) Il centro diurno di Casalpusterlengo
pag. 47
4) L’educatore professionale in psichiatria
pag. 55
4.1) Breve storia
pag. 55
4.2) Ruolo e funzioni
pag. 56
4.3) L’educatore tra sociale e sanitario
pag. 58
5) Conclusioni
pag. 62
6) Bibliografia
pag. 63
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
INTRODUZIONE
Nella presente tesi, parlo della riabilitazione in psichiatria e articolo il mio
discorso in sei capitoli. Nel primo analizzo il tema della riabilitazione in
psichiatria, facendo riferimento alla storia, ai principali modelli riabilitativi, alla
situazione italiana, in generale, per poi scendere nello specifico, esaminando la
situazione lombarda. Il secondo tratta la legislazione e l’organizzazione dei servizi
psichiatrici considerando le leggi nazionali, l’articolazione di tali servizi in
Lombardia e il piano per la salute mentale della Regione. Il terzo esamina il
centro diurno, tracciandone una breve storia, illustrando i modelli di intervento,
parlando della presenza di questi servizi in Lombardia e descrivendo la realtà del
Centro Diurno di Casalpusterlengo. La scelta non è caduta su un centro diurno
qualsiasi, ma su quello in cui quest’anno ho svolto il tirocinio, per avvicinare la
teoria alla prassi quotidiana dei servizi.
Il quarto si occupa della figura dell’educatore professionale in psichiatria,
tracciando un profilo storico della sua professione, spiegando il ruolo e le funzioni
che egli ha nel processo di riabilitazione, passando poi ad inquadrare la figura
dell’educatore professionale che lavora in psichiatria, quindi a metà fra sociale e
sanitario.
Nel quinto intendo tirare le fila del discorso e trarre le conclusioni.
Nell’ultimo capitolo ho inserito la bibliografia.
Ho scelto di parlare della riabilitazione in psichiatria, perché è un tema a me
molto caro. Infatti l’esperienza di tirocinio, svolta durante quest’anno accademico,
mi ha invogliato a conoscere maggiormente l’ambito psichiatrico e ad
approfondire alcune aree di questa realtà.
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
1. LA RIABILITAZIONE IN PSICHIATRIA
1.1 COME NASCE
Per parlare di riabilitazione psichiatrica, può essere utile riproporre la storia
dell’assistenza alle persone con disturbi psichici a partire da quando, come
osserva Foucault, con l’apertura nel 1656 dell’“Hopital de Paris” inizia l’epoca
dell’internamento.
All’interno dell’“Hopital de Paris”, venivano internati non solo i folli, ma anche i
poveri, i vagabondi, tutti coloro che rappresentavano una minaccia per l’ordine
sociale.
Con la nascita degli stati moderni e con l’affermarsi dell’Assolutismo ci sono
nuovi sviluppi economici ed industriali; chi non lavora è messo ai margini: ethos
del lavoro.
Tra il XVI ed il XVII secolo, cambia l’immagine del folle, del povero, perché
cambiano le dimensioni quantitative del fenomeno.
Con la predominanza del cristianesimo, il povero consentiva ai signori, ai potenti,
che elargivano grandi elemosine, di guadagnarsi il paradiso. Il povero era quindi
benvoluto nel Medioevo.
All’inizio del XVI secolo c’è un forte incremento demografico, si assiste alla crisi
dell’agricoltura, al conseguente aumento dei prezzi dei generi alimentari, quindi al
forte impoverimento della popolazione e ad un vasto processo di urbanizzazione.
La città viene raggiunta da masse di folli, poveri, vagabondi, considerati elementi
di disordine sociale, che richiedevano una forte esigenza di controllo sociale.
Povertà e follia non sono più valutate in base a criteri religiosi, come nel
Medioevo, ma sempre più secondo criteri economici e sociali. La riforma
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
protestante, la controriforma cattolica e l’umanesimo, si pensi per esempio ad
Erasmo da Rotterdam, condannano l’ozio ed esaltano l’ethos del lavoro.
Nell’“Hopital de Paris” (10.000 reclusi alla fine del XVII secolo) i pazienti
venivano costretti al lavoro.
L’internamento del folle non è dovuto alla sua incurabilità, ma al suo carattere di
trasgressione ai princìpi della ragione e della morale.
In questa fase i confini tra manicomio e carcere non sono ben delineati .
Si viene internati o per ordine diretto dello Stato (re) o su richiesta delle famiglie
(“lettres de cachet”). Le “lettres de cachet” erano scritte dalla famiglia al re o ad
un’autorità che rappresentava il monarca nei confronti di un familiare, che veniva
fatto internare. I motivi principali erano o condotte disordinate o motivi
economici. Le “lettres de cachet” ebbero un largo impiego, perché mancava un
sistema giuridico ordinario ben strutturato e perché vigeva l’assolutismo; quindi il
re entrava nei fatti privati familiari, perché la tranquillità garantisce un ordine
pubblico.
Ci furono altri esempi di separazione ed esclusione dei folli prima dell’inizio
dell’epoca dell’internamento:
ƒ
la nave dei folli
ƒ
Gheel
Le navi dei folli esistevano veramente ed avevano come scopo quello di
allontanare dalle città, i folli, i poveri, i vagabondi, imbarcandoli, anche perché
l’acqua, secondo la visione cristiana, purifica.
Gheel è una cittadina belga che era diventata luogo di pellegrinaggio per i folli
che venivano ospitati dalle famiglie di questa piccola città.
Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’‘800 (illuminismo e rivoluzione francese)
nascono i manicomi e la psichiatria. La follia assume una specificità rispetto ad
altre forme di emarginazione.
Pinel, uno psichiatra francese, libera dalle catene i folli che diventano malati di
mente.
Folle, dal latino vuol dire “recipiente vuoto”, “testa piena nella quale soffia un
vento instabile”.
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Pazzo deriva dal greco “pathos” che significa “sofferenza” quindi il termine
pazzo è legato ad una condizione di dolore.
La malattia di mente è una condizione oggettiva legata ad una malattia del
cervello.
Il paradigma psichiatrico dell’‘800 si articola così:
La causa è un danno al cervello, il luogo di cura è il manicomio, il trattamento è la
segregazione ed il curante è il medico alienista cioè medico degli alienati.
Nell’‘800 vengono promulgate in Europa le prime leggi soprattutto a tutela della
società.
Nel manicomio ottocentesco il malato è intrattenuto, cioè è tenuto dentro
l’istituzione e coinvolto in passatempi e in lavori per l’autoriproduzione del
sistema asilare.
Ecco alcune eccezioni rispetto alla rigida regola dell’internamento:
ƒ
Jean Itard (Francia 1799) “Il ragazzo selvaggio”: Victor viene educato in casa
e non in un istituto.
ƒ
John Conolly (Londra 1839) che introdusse nel manicomio misure non
restrittive “non restraint”, non restrizione ed “open doors system”, sistema
delle porte aperte.
Si registra un aumento dei ricoverati non per un aumento delle malattie mentali,
ma per una scorretta risposta ai bisogni di assistenza e protezione.
In manicomio si entra anche per fame e per sopravvivere è il caso della pellagra (i
malati di pellagra costituiscono il 10% dei malati manicomiali).
Nel 1900 nasce la psicanalisi e viene data più attenzione agli aspetti psicologici e
relazionali.
Nel 1904 viene emanata la prima legge italiana in materia di manicomi ed alienati.
Nel 1952 vengono scoperti gli psicofarmaci.
Negli
anni
Sessanta
si
assiste
alla
deospedalizzazione
(non
ancora
deistituzionalizzazione). Diminuiscono la disponibilità ed il numero dei posti
letto.
La deospedalizzazione negli Stati Uniti fu dovuta principalmente a motivi
economici, mentre in Gran Bretagna avvenne per motivi di tipo economico e
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
anche culturale. Quest’ultimo aspetto fu decisivo per avviare il processo di
deospedalizzazione in Italia, dove fondamentale fu il contributo del movimento
antistituzionale (F. Basaglia).
Bisogna fare attenzione a non confondere il movimento antistituzionale con quello
di antipsichiatria nato in Gran Bretagna, il quale afferma che la malattia mentale
non esiste, ma è una costruzione della società e del potere che vuole alcuni
soggetti in posizione di inferiorità.
Thomas Szasz è il principale esponente del movimento di antipsichiatria.
Il problema non è tanto negare la malattia, ma combattere lo stigma, è riconoscere
ai malati mentali pieni diritti di cittadinanza. Perché ci sia deistituzionalizzazione
non è sufficiente chiudere i manicomi, ma è necessario garantire condizioni
diverse per le persone ammalate cosicché esse abbiano la possibilità di godere
dell’integrazione e del riconoscimento dei propri diritti.
Nel 1978 viene approvata la legge 180, detta anche “legge Basaglia”. Questa
prevede la chiusura dei manicomi, anche se questi istituti verranno chiusi
definitivamente nel 1999.
Negli anni Ottanta si assiste al passaggio dal modello istituzionale a quello
territoriale e cominciano a svilupparsi pratiche di riabilitazione.
Nel 1984, grazie al “Decreto Degan”, l’educatore professionale entra
ufficialmente nel Sistema Sanitario Nazionale, inquadrato nel personale di
riabilitazione.
Nel 1999 il decreto Bindi fa chiudere definitivamente i manicomi.
Negli anni Novanta si assiste al passaggio dal Welfare State (lo Stato assiste il
cittadino dalla culla alla tomba) al Welfare Mix (accanto all’intervento dello Stato
si sviluppano un insieme di interventi e servizi organizzati da enti pubblici e
privati, anche informali). Il Welfare Mix non si sviluppa solo per motivi
economici, ma per il riconoscimento del cittadino inteso non solo come
bisognoso, ma anche come risorsa.
Prima c’era stato il passaggio da un potere sovrano ad un potere disciplinare.
È all’interno del Welfare Mix che nascono associazioni e gruppi (ad esempio
gruppi di self help).
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Parlare di psichiatria significa parlare della disciplina medica e dei pazienti
psichiatrici. Parlare di salute mentale, invece, non riguarda solo una “categoria”
di persone, ma tutti. La salute mentale include tutte quelle realtà molto variegate
che possono concorrere a garantire una salute mentale di buon livello.
Il 2001 è stato l’anno dedicato, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla
salute mentale, inoltre tale Organizzazione ha indicato l’Italia come esempio
positivo da imitare.
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
1.2 I PRINCIPALI MODELLI
I principali modelli concettuali e operativi nel campo della riabilitazione
psichiatrica possono essere divisi tra modelli comportamentisti e modelli
psicosociali. Tra i primi ricordiamo: i modelli di Social Skill Training ed i modelli
psicoeducativi, tra i secondi il modello di Spivak, il modello di Ciompi ed il
modello delle reti negoziali multiple.
I principali esponenti Social Skill Training sono gli statunitensi Liberman,
Anthony, Farkas, Bellak e Wallace.
Il modello concettuale che sottostà agli approcci di Social Skill Training è il
modello biopsicosociale, il quale afferma che i soggetti che hanno una particolare
predisposizione psicobiologica sono più vulnerabili agli stress e quindi possono
andare incontro a disturbi di tipo psicotico. È quindi necessario sviluppare dei
fattori di protezione per prevenire l’insorgere della malattia; se invece questa si è
già manifestata, bisogna evitare possibili ricadute. I più importanti fattori di
protezione sono rappresentati dalla competenza sociale e dalle capacità di coping,
dal sistema familiare e da altri sistemi di supporto, come il trattamento
farmacologico e le esperienze lavorative. La riabilitazione implica due strategie di
intervento: lo sviluppo delle abilità del paziente e lo sviluppo delle risorse
ambientali.
Secondo
Anthony
e
Liberman
l’intervento
riabilitativo
del
modello
biopsicosociale deve articolarsi in due fasi: la prima è “la fase della valutazione
(assessment), delle funzioni e delle risorse, unita ad una diagnosi clinica che
individui danni e disabilità e permetta di determinare in che misura agire sulla
promozione dei supporti ambientali piuttosto che sull’addestramento delle abilità
sociali1”, la seconda è “la fase dell’addestramento vero e proprio2”. Anthony e
Liberman propongono la modificazione dell’ambiente di vita (ambito lavorativo,
1
2
B. Saraceno, “La fine dell’intrattenimento” Etaslibri - RCS Medicina, Milano1995, pag. 18.
Ibidem.
9
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
relazioni sociali, gestione della casa e del tempo libero) che è collegato alla
valutazione dell’assessment e dell’addestramento e che si aggiunge a questi
concorrendo all’azione riabilitativa.
Non a caso l’attenzione conoscitiva ed operativa dei modelli di Social Skill
Training è fortemente favorita dai comportamenti esterni dell’individuo e da una
loro scomposizione in abilità sociali.
I modelli concreti di intervento di Social Skill Training prevedono articolazioni
diverse. Il modello di base di Social Skill Training si compone di: dimostrazione
dell’uso appropriato delle abilità target, role playing del paziente nelle situazioni
interpersonali, azioni di feedback correttivo e rinforzo.
La tecnica, però, maggiormente rivolta a pazienti che riescono ad apprendere
strategie cognitive è il problem solving. Questo modulo di training presuppone un
modello di comunicazione a tre stadi i quali corrispondono alle seguenti abilità:
ricezione corretta degli stimoli, elaborazione delle informazioni, attraverso il
riconoscimento delle alternative di risposta e le relative conseguenze, invio
adeguato di risposte.
Infine la tecnica delle procedure di focalizzazione dell’attenzione si rivolge a
pazienti cronici molto regrediti sul versante delle abilità di conversazione e dei
deficit dell’attenzione. Queste procedure semplificano l’apprendimento di abilità
complesse e identificano tre aree dell’attività di conversazione attorno alle quali
ruota l’intervento: rivolgere domande, esprimere complimenti, fare richieste per
intraprendere attività con altre persone. La tecnica utilizzata richiede la ripetizione
continua del frammento di interazione che è l’oggetto del training, una sequenza
che procede per gradi di suggerimenti, azioni immediate e consistenti di rinforzo.
I confini tra Social Skill Training e modelli psicoeducativi, non sono netti e
definiti ma ci sono, tra i due modelli, elementi di contaminazione.
I modelli psicoeducativi si basano a loro volta sul binomio vulnerabilità – stress.
Vennero condotti a Londra da Brown e Wing negli anni Sessanta alcuni studi
sull’emotività espressa che hanno rilevato quattro elementi: commenti critici,
ostilità, interesse empatico ed ipercoinvolgimento emotivo. Gli studi hanno messo
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
in luce che le famiglie ad alta emotività espressa manifestavano un rifiuto verso il
paziente, mentre quelle a bassa emotività espressa no.
Il fatto che il paziente abbia delle ricadute e di conseguenza dei ricoveri è
maggiore se la famiglia è ad alta emotività espressa. La famiglia non ha
responsabilità diretta nell’insorgenza della malattia, ma ne può rappresentare una
fonte di stress. L’approccio sistemico relazionale dice che la famiglia è un sistema
e che ogni elemento del sistema lo influenza e ne è influenzato.
Il primo step dell’intervento psicoeducativo è il corso informativo. È importante
per la famiglia uscire dal suo isolamento, raccontare ciò che è successo.
Si possono diminuire le ricadute del paziente attraverso informazioni,
insegnamento di abilità comunicative e terapia familiare. È importante fare presto
degli interventi psicoeducativi verso la famiglia.
Leff e Vaughn descrivono un intervento che si sviluppa in tre fasi: la prima è il
programma di educazione dei familiari, condotto a domicilio, basato sulle nozioni
di eziologia, sintomi, decorso e modalità di trattamento della schizofrenia. Leff e i
suoi collaboratori utilizzarono il modulo educativo, perché la maggior parte degli
atteggiamenti critici tenuti dai familiari era legato ai sintomi negativi del paziente
che essi ritenevano, in modo errato, potessero essere controllati dai pazienti stessi.
Per questo motivo i familiari ad alta emotività espressa andavano educati ad una
migliore comprensione del disturbo.
Il secondo modulo prevede un gruppo di familiari, esclusi i pazienti, in cui le
famiglie a bassa emotività espressa trasmettono alle famiglie ad alta emotività
espressa i metodi in cui viene contrastata, affrontata la situazione psicotica.
La terza fase interessa tutta la famiglia, quindi viene incluso anche il paziente. Le
tecniche utilizzate sono le più diverse. Lo scopo rimane quello di ridurre
l’emotività espressa. Nello stesso tempo il paziente è incentivato a frequentare i
servizi psichiatrici o a trovare un’occupazione che permetta ai familiari di
attenuare la convivenza.
Anche Falloon propone di recarsi al domicilio della famiglia ed iniziare il
percorso psicoeducativo nell’ambiente della famiglia stessa con la presenza degli
utenti.
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Nel modello di Spivak si afferma che il contesto sociale rimanda al soggetto
qualcosa che lo blocca e di conseguenza egli si isola. Inoltre si deve aumentare
l’articolazione sociale della persona con l’ambiente (abitazione, lavoro
compagni/famiglia, cura personale, spazio sociale e ricreativo). Spivak ha
individuato quattro dimensioni che devono caratterizzare l’interazione operatore –
utente:
1. Supporto: il paziente viene accettato così com’è e non gli vengono fatte
richieste troppo elevate.
2. Permissività: vengono accettati i comportamenti disturbanti del paziente (per
dimostrargli il fatto di rimanergli accanto anche quando mette in atto questi
comportamenti), ma non quelli pericolosi.
3. Non conferma delle aspettative devianti: si presta attenzione a non confermare
le aspettative di rifiuto, di fallimento, interiorizzate dal paziente per la sua
storia precedente.
4. Impiego selettivo delle ricompense: i comportamenti socialmente competenti
vanno ricompensati.
Modello di Ciompi: gli studi dello psichiatra svizzero, sul decorso e l’esito dei
disturbi schizofrenici, hanno contribuito a fornire nuovi argomenti a favore di
un’interpretazione della cronicità come possibile “artefatto sociale”, della
diversità degli esiti, del ruolo predittivo delle aspettative nel campo riabilitativo.
Ciompi presuppone che il paziente schizofrenico sia molto vulnerabile. Questa
vulnerabilità si esprime, in prevalenza, sotto forma di disturbi nel processamento
delle informazioni e nella capacità di affrontare in modo adeguato gli eventi
critici, che possono capitare durante il corso della vita (fase premorbosa). In
condizioni particolarmente stressanti le tensioni tra l’individuo e l’ambiente che lo
circonda sfociano nell’episodio psicotico acuto. Secondo lo psichiatra svizzero, lo
scompenso psicotico acuto è una grave crisi dello sviluppo che può condurre il
paziente o al fallimento esistenziale, oppure può essere visto come occasione di
cambiamento e di maturazione (Ciompi e coll, 1992)
Il modello di Ciompi evidenzia l’importanza del campo sociale e delle aspettative
di pazienti, operatori e familiari. Ciompi concepisce la riabilitazione come un
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
percorso di lavoro il cui obiettivo è il reinserimento completo, per quanto
possibile, nella normale vita sociale e lavorativa3. Infatti, considerando una serie
di variabili riferite a una popolazione di pazienti ospedalizzati che potevano essere
riabilitati, lo psichiatra svizzero ha individuato due assi, divisi in altrettanti livelli,
su cui valutare la progressione dal processo di riabilitazione nel tempo: l’asse
Casa (reparto ospedale chiuso, ospedale aperto, day o night hospital, comunità
alloggio protetta, abitazione semiprotetta, abitazione non protetta) e l’asse Lavoro
(nessun lavoro, atelier ospedaliero, atelier terapia del lavoro, laboratorio
ospedaliero, officina protetta esterna, lavoro semiprotetto, non protetto).
Il modello delle reti negoziali multiple vede come principali esponenti B.
Saraceno e F. Rotelli, quest’ultimo è legato al movimento antistituzionale, infatti è
stato il successore di F. Basaglia. Questo modello non è basato sul mito
dell’autonomia, ma su negoziazione e partecipazione; l’intervento è basato sulla
disabilità e sull’handicap, viene messo in risalto l’effetto che il contesto possiede
sul decorso della psicosi. Il modello inoltre afferma che le risorse di un servizio
dipendono da numerosi fattori e che queste non sono solo interne al servizio.
3
Cf. B.Saraceno, “La fine dell’intrattenimento” Etaslibri - RCS Medicina Milano1995, pag. 33.
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
1.3 LA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA IN ITALIA
La legge 180/78, detta anche “legge Basaglia”, dal nome dello psichiatra che l’ha
proposta, è stata poi integrata nella legge 833/78. Questa norma ha istituito il
Servizio Sanitario Nazionale e ha inserito la psichiatria all’interno dell’ospedale
generale, inoltre ha cambiato completamente l’assistenza psichiatrica nel nostro
Paese spostando il fulcro dell’intervento terapeutico dalla custodia alla cura, dalla
reclusione negli ex ospedali psichiatrici, che sono stati aboliti e chiusi, al
reinserimento nell’ambito sociale.
La legge 180/78 ha segnato una svolta nel campo psichiatrico in relazione alla
visione della malattia mentale e del paziente. Infatti le norme legislative
precedenti, parlando del tema della malattia mentale, mettevano in evidenza la
pericolosità e l’incurabilità. Il paziente psichiatrico costituiva il “pubblico
scandalo”, quindi le leggi precedenti si preoccupavano solo della sua custodia e
del controllo sociale, inoltre l’ammalato psichiatrico veniva allontanato dalla
comunità, perdeva tutti i suoi diritti giuridici ed al suo internamento era
contemporanea l’iscrizione nel casellario giudiziario al pari di un delinquente. Ora
la nuova normativa permette ai pazienti psichiatrici di conservare tutti i diritti
politici e civili anche nel caso di trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.).
La legge 180/78 nasce da richieste culturali di rinnovamento che mettono in primo
piano il diritto del paziente di essere tutelato e curato, di essere assistito per tutti i
suoi bisogni, di essere aiutato a far fronte alle disabilità secondarie alla malattia.
La “legge Basaglia” pone le premesse di un intervento psichiatrico che ha come
fondamenti ed obiettivi la cura e la riabilitazione e l’ambiente sociale come punto
di osservazione e campo d’azione.
La riforma psichiatrica affonda le proprie radici all’interno di un vasto movimento
antistituzionale, nato alla fine degli anni Sessanta, che trova come esponente più
attivo ed importante Franco Basaglia, allora direttore dell’ospedale psichiatrico di
Gorizia. A dire il vero, solo in alcune zone, come Trieste, Gorizia, Perugia ed
Arezzo, era già in atto da tempo, un processo di deistituzionalizzazione, ma la
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
legge 180 cercò di rendere uniforme il livello nazionale di assistenza psichiatrica,
spostando responsabilità di tipo organizzativo ed amministrativo dalle Province
alle Regioni. Negli anni immediatamente successivi alla riforma psichiatrica, in
Italia c’è stata un’attiva crescita dei presidi territoriali, ma ci si è poi imbattuti,
dopo qualche anno, in un rallentamento ed in una profonda crisi economica e
sociale che ha interessato, dalla metà degli anni Ottanta, l’assistenza sanitaria
italiana, limitando lo sviluppo della riforma. Ci si è così trovati a dover dimettere
dagli ospedali psichiatrici pazienti per i quali non c’erano né possibilità, né
strutture di reinserimento. In questi casi “gli unici interventi possibili erano quelli
farmacologici, con conseguente abbandono del paziente, sovraccarico familiare,
livelli di vita non certo migliori di quelli offerti dal manicomio4”. Oggi bisogna
fare i conti con problemi quali, ripetuti ricoveri, “nuova cronicità”, dimissione
dai reparti ospedalieri di soggetti ancora disturbati, mancanza di un’adeguata
formazione degli operatori. Proprio queste carenze hanno acceso la polemica: c’è
chi ritiene che la legge 180 debba essere modificata e chi invece continua ad
esserne suo strenuo sostenitore, rischiando di confondere la valutazione
qualitativa del testo di legge con la sua attuazione.
La riabilitazione, vista come ricostruzione dei rapporti tra paziente e collettività,
soggetto e vita quotidiana, trova spazio e significato solo in un modello di
assistenza del malato che si attua nell’ambiente sociale. Nel manicomio non
esisteva la riabilitazione, ma l’intrattenimento era mascherato da riabilitazione. In
questi istituti le attività riabilitative, cioè quelle ergo-ludo terapiche, non erano
costruite “su misura” del singolo, ma la maggior parte delle volte per mantenere
l’istituzione; esse inoltre venivano svolte secondo criteri e tempi istituzionali,
quindi non usufruivano né dell’adesione dei pazienti, né delle attività pedagogiche
dei curanti. Se la riabilitazione viene considerata un secondo approccio di tipo
pedagogico che pone al centro l’apprendere dall’esperienza, nella realtà del
manicomio ciò non era possibile, perché sanciva la separazione della persona
dalla società. La riforma del 1978 definisce lo spostamento dell’assistenza dal
4
C. Hume ,I .Pullen “La riabilitazione dei pazienti psichiatrici” Raffaello Cortina Editore Milano
1994, pagg. 41,42.
15
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
manicomio al territorio, in modo che la riabilitazione si possa esprimere in tutte le
sue dimensioni principali:
ƒ
intervento ad personam;
ƒ
intervento rivolto al raggiungimento di un’autonomia, alla risocializzazione, al
reinserimento del malato;
ƒ
intervento pluriprofessionale;
ƒ
intervento che si gioca soprattutto nella vita quotidiana.
Nonostante sia stata la legge 833 del 1978 ad inserire tra i diritti fondamentali di
ogni cittadino la riabilitazione, non bisogna dimenticare che all’inizio degli anni
Sessanta, in Italia, assistiamo alla nascita della cultura riabilitativa, quando la
scoperta di cure efficaci per la malattia mentale aveva dato speranza alla
possibilità di guarigione dell’ammalato e permesso di scoprire nuovi punti di vista
secondo i quali guardare il paziente psichiatrico. Saranno però i cambiamenti
antistituzionali, che avverranno nel manicomio e nell’ambiente sociale ad imporre
una modalità di intervento che è anche una nuova costruzione di significati,
opportunità, poteri e ad evidenziare come lo sforzo riabilitativo ha bisogno di
luoghi nuovi, che non rendono vani i tentativi, per il soggetto ammalato, di
ritrovare un ruolo e un’identità.
16
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
1.4 LA SITUAZIONE LOMBARDA
La situazione lombarda va presa in considerazione per un duplice motivo: sia
perché questa è la mia regione di appartenenza, sia perché l’organizzazione dei
servizi psichiatrici in Lombardia è differente rispetto a quella di altre regioni
italiane. Infatti, in questa regione, è il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) di
ogni Azienda Ospedaliera (AO), in conformità con le leggi regionali, che dirige i
servizi sia di competenza territoriale, sia i Servizi Psichiatrici diagnosi e Cura
(SPDC) con i vari Centri Psico Sociali (CPS), Centri Diurni (CD), Centri
Residenziali Terapeutici (CRA) e le Comunità protette.
Inoltre in Lombardia il Piano Regionale per la Salute Mentale è datato 2004,
quindi è recentissimo. Questo documento indica i modelli organizzativi da mettere
in atto nei prossimi anni grazie all’intervento di molti esperti che hanno
partecipato a gruppi di lavoro su temi specifici di concerto con rappresentanti del
terzo settore al quale appartengono il mondo delle associazioni e del volontariato.
Il Piano Regionale pone in risalto il tema dell’integrazione tra i vari soggetti
istituzionali e non, che operano nel campo della tutela della salute mentale, che
concorrono alla formazione di una “rete” all’interno della quale ognuno,
assumendosi le proprie responsabilità e svolgendo i propri compiti, partecipa ad
una “comunità per la salute mentale”. Coordinando i vari soggetti, all’interno di
grandi aree, si può stimolare lo sviluppo di una psichiatria di comunità che operi
in un contesto ricco di offerte e risorse, dove dovrebbero svilupparsi programmi di
intervento integrati tra i diversi servizi territoriali, che siano disposti a collaborare
con la rete informale e con la società civile.
Sempre il Piano Regionale per la Salute Mentale indica alcuni modelli operativi
per il raggiungimento di questi obiettivi: l’identificazione di percorsi di cura sul
territorio in linea con i vari bisogni dei soggetti colpiti da disturbi psichici, la
nuova definizione dei modelli clinico - organizzativi della residenzialità
psichiatrica, l’intervento in aree specifiche, come ad esempio il riconoscimento
precoce dei disturbi gravi, l’inserimento lavorativo svolto con soggetti che hanno
disturbi, l’intervento nei casi di doppia diagnosi e il trattamento di disturbi che
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Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
hanno una grande importanza in campo epidemiologico come i disturbi d’ansia,
quelli depressivi ed i disturbi dell’alimentazione.
Sotto l’aspetto dell’organizzazione e della gestione viene indicato il bisogno di
introdurre flessibilità all’interno dei percorsi di assistenza, tramite modelli di
collaborazione sia con il pubblico sia con il privato e le convenzioni con soggetti
non istituzionali, in modo da offrire possibilità di scelta all’utente, considerato
come protagonista della cura. Relativamente a quest’ultimo aspetto è da
sottolineare la relazione terapeutica personale, insieme alla responsabilizzazione
del soggetto affetto da disturbi psichiatrici. Ugualmente viene evidenziata la
priorità che ha la partnership tra terapeuta e familiari del soggetto ammalato,
tramite modelli di intervento allargati e anche grazie al sostegno che viene dato
dalla rete sociale, cioè dalle associazioni ed il volontariato.
L’assistenza ai soggetti sofferenti a livello psichico stabilisce problemi che vanno
oltre i trattamenti. Si tratta della qualità della vita della famiglia e della persona
inserite nei loro contesti sia lavorativi sia quotidiani.
La richiesta che viene fatta ai servizi psichiatrici, in modo particolare per utenti
con bisogni complessi, è quella di assumersi la responsabilità della cura favorendo
nello stesso tempo l’accordo terapeutico con i propri utenti e i loro familiari,
proponendo programmi di intervento ampi che rispondano anche a bisogni di
rilievo sociale tramite il collegamento con i vari soggetti operanti sul territorio.
Gli operatori che lavorano nell’area della salute mentale devono essere in
continuo aggiornamento e formazione così da offrire, come richiedono tali servizi,
un forte investimento sulla professionalità.
Il Piano Regionale indica i modelli per sviluppare una nuova linea di condotta per
la salute mentale. Per l’incontro di questi modelli viene valorizzato il metodo
progettuale e l’investimento in campo economico con lo stanziamento di nuove
risorse. Lo strumento dei progetti di natura gestionale ed organizzativa è indicato
per promuovere percorsi nuovi di assistenza dentro una cornice in grado di
garantire la valutazione dell’efficacia e della razionalità economica.
18
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
L’utilizzo di nuovi interventi all’interno della pratica clinica può sviluppare la
raccolta di informazioni e le conoscenze che servono a valutare i singoli
trattamenti, i modelli e le politiche.
Una sfida per i prossimi anni è costituita dall’obiettivo di individuare sia
trattamenti sia politiche sanitarie basati sulle evidenze.
19
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
2. LA LEGISLAZIONE E L’ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI
PSICHIATRICI
2.1 LE LEGGI NAZIONALI
Lo scenario italiano in materia di legislazione psichiatrica ha subìto una svolta
notevole con la legge 180/78, conosciuta anche con il nome di “legge Basaglia”,
dal nome dello psichiatra che l’ha proposta.
Questa legge, accolta nell’ambito della 833/78 che ha istituito il Servizio Sanitario
Nazionale, ha sancito sul piano legislativo il passaggio da un’organizzazione di
assistenza, fondata sull’ospedale psichiatrico a un’organizzazione più complessa
di tipo territoriale. In termini organizzativi, questo insieme di nuove norme ha
affermato la centralità dell’intervento a livello dei servizi psichiatrici territoriali
(Centri di Salute Mentale), ha sancito l’abolizione e la chiusura degli ospedali
psichiatrici, ha collocato le strutture psichiatriche di ricovero negli ospedali
generali con l’istituzione dei Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura (SPDC), ha
caratterizzato gli interventi obbligatori come provvedimenti eccezionali e di breve
durata, autorizzandoli per esigenze terapeutiche urgenti non affrontabili in un’altra
maniera. Il motivo che ha costituito l’innovazione di tale legge è stata la visione,
in modo diverso, sia della malattia mentale sia della persona che da questa ne era
affetta.
La disciplina dell’organizzazione ospedaliera nel decennio tra gli anni Ottanta e
Novanta si è evoluta in direzione Dipartimentale: la legge 595/85 parlava di aree
funzionali ed omogenee di assistenza, mentre la legge 412/91 introduceva i
concetti di responsabilità e gerarchia professionale, responsabilità e gerarchia
organizzativa.
Il Decreto del Ministero della Sanità del 29/01/1992 parlava dell’alta specialità
che il Dipartimento di Salute Mentale possiede, mentre il Decreto del Presidente
della Repubblica dello stesso anno istituiva il Dipartimento di emergenza.
In Italia le seguenti strutture, cioè i Centri di Salute Mentali e gli Ambulatori, i
Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura (SPDC), i Day Hospital (DH) sia territoriali
20
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
che ospedalieri, le Cliniche Psichiatriche Universitarie, le Case di Cura Private, i
Centri Diurni (CD) e le Strutture Residenziali, secondo un dato del Ministero
della Salute del 2001, fanno capo al Dipartimento di Salute Mentale (DSM).
Questo Dipartimento è una “struttura assistenziale complessa, finalizzata alla
prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie psichiatriche che utilizza come
strumento operativo la presa in carico” (Commodari).
Generalmente c’è un Dipartimento di Salute Mentale in ogni Azienda Sanitaria
Locale (A.s.l.), eccezion fatta per la Regione Piemonte con due Aziende, cioè
Collegno e Novara, le quali possiedono due DSM ciascuna ed il Molise dove c’è
un solo DSM per il territorio di due A.s.l.
La legge 502/92 e la 517/93 trattano il tema dell’aziendalizzazione, della
partecipazione del cittadino alla spesa sanitaria. Le aziende sanitarie vengono
affidate a tecnici, le Aziende Ospedaliere vengono finanziate per le prestazioni a
ricovero gratuito; in modo particolare la 517 tratta la trasformazione radicale del
Servizio Sanitario Nazionale.
21
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
2.2 L’ARTICOLAZIONE DEI SERVIZI PSICHIATRICI IN LOMBARDIA
Nel progetto obiettivo regionale 1995-1997, intitolato “Tutela socio- sanitaria dei
malati di mente”, viene affermato che nella Regione Lombardia, l’Unità
Operativa di Psichiatria (UOP) mette in atto le funzioni che nel progetto obiettivo
nazionale sono esercitate dai Dipartimenti di Salute mentale (DSM). Infatti la
Regione Lombardia, a differenza di tutte le altre regioni italiane, è l’unica in cui la
gestione del DSM fa capo alle Aziende Ospedaliere inoltre, il DSM lombardo è
composto da più Unità Operative di Psichiatria (UOP) e da UONPIA. Nel 2003 è
stata condotta una rilevazione della Direzione Generale Sanità – Regione
Lombardia, la quale ha indicato che, in relazione alle strutture delle Unità
Operative di psichiatria, sono operanti:
ƒ
101 Centri Psico Sociali (CPS) cioè un CPS ogni 78000 abitanti di età
maggiore ai 14 anni.
ƒ
56 Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura (SPDC) con 820 posti letto, vale a dire
un posto letto ogni 9700 abitanti maggiori di 14 anni.
ƒ
44 Centri Residenziali di Terapia riabilitativa (CRT) con 683 posti letto,
quindi un posto letto in Strutture Residenziali pubbliche ogni 5100 abitanti di
età maggiore di 14 anni.
ƒ
67 Centri Diurni (CD) con 983 posti letto, cioè con un posto semiresidenziale
ogni 8000 abitanti maggiori di 14 anni.
La dotazione delle strutture e dei posti letto delle Unità Operative di Psichiatria si
è modificata nel tempo. Dal 1995 al 2003, a fronte di un numero stabile di CPS e
di numero di posti letto negli SPDC, si è registrato un graduale aumento dei posti
di semiresidenzialità e dei posto letto in CRT ed una sostenuta crescita dei posti in
comunità protetta, che ha avuto un aumento di 708 posti nel corso degli otto anni,
cioè dal 1995 al 2003.
La legge regionale 31/97 è quella che in Lombardia ha riordinato il Sistema
Sanitario Regionale (SSR) sancendo: la separazione tra soggetti erogatori ed
22
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Aziende sanitarie Locali, libero accesso del cittadino ai servizi e pari dignità tra i
soggetti pubblici e privati, a patto che questi siano accreditati.
Infatti uno degli aspetti della riforma sanitari della Regione Lombardia, che ha
avuto inizio con la legge 31/97, è la costruzione di una rete di Aziende
Ospedaliere autonome che agisce all’interno di un modello che riesca a
valorizzare l’autonomia degli utenti e la competizione tra le strutture. Infatti le
Aziende Sanitarie possiedono personalità giuridica, pubblica, autonomia
organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale, tecnica
nell’ambito degli indirizzi programmatici della Regione Lombardia.
La nostra regione nell’ambito nazionale possiede il maggior numero di SPDC, ma
ha anche il triste primato insieme, a Campania e Lazio, di avere il più basso
rapporto tra posti letto e popolazione, nelle strutture residenziali. Per quanto
concerne il personale all’interno delle UOP, il dato più recente si riferisce al 2001.
Durante quest’anno c’erano 4334 dipendenti così suddivisi: 743 medici, 2194
infermieri, 175 psicologi, 706 tra operatori tecnici assistenziali ed ausiliari socio
sanitari, 167 assistenti sociali e 349 educatori, ciò vale a dire un operatore ogni
1800 residenti con età superiore ai 14 anni.
23
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
2.3 IL PIANO PER LA SALUTE MENTALE 2002-2004 DELLA REGIONE
LOMBARDIA
Il Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004 della Regione Lombardia ritiene
importante sviluppare una psichiatria di comunità, la quale operi all’interno di un
territorio inteso come un insieme funzionale, non delimitato in modo rigido, con
la possibilità di integrare diversi servizi, pubblici, privati, sanitari, sociali, non
profit e di cooperare, aprendosi alla società civile, alla rete informale presente.
Alla luce di tutto ciò, è fondamentale prevedere un organismo di collegamento
che organizzi i vari soggetti istituzionali, come ad esempio: DSM con le A.s.l.,
enti locali, associazioni, mondo del lavoro.
In quest’ottica è molto importante il lavoro di integrazione all’interno del DSM,
così da valorizzare le attività delle Unità Operative Psichiatria, la diversità delle
discipline e professionalità e ciò può avvenire tramite la definizione di procedure
di collegamento e protocolli specifici per le differenti aree di intervento. Così
facendo, si cerca di superare l’organizzazione del lavoro per struttura, giungendo
alla creazione di “équipes funzionali” costituite in funzione di programmi di cura
e attività specifiche. La specificità nell’ambito della salute mentale necessita di un
forte investimento sulla professionalità degli operatori, attraverso iniziative di
sostegno, aggiornamento e formazione di figure professionali che formano le
équipes di lavoro del DSM. Non a caso, nel campo della psichiatria più che in
ogni altro settore sanitario, la qualità dell’assistenza dipende molto dalla
motivazione, dal coinvolgimento e dalla soddisfazione degli operatori.
Il Piano Socio Sanitario Regionale indica alcuni punti cui dare soluzioni in via
prioritaria all’interno dell’ambito della salute mentale. A livello politico
organizzativo, si sente il bisogno di trasferire alcuni princìpi ispiratori della legge
31/97 all’interno dell’ambito psichiatrico. Inoltre si richiede la messa in atto di
politiche che favoriscano modelli di psichiatria di comunità, riducendo ricoveri
residenziali impropri; nel campo degli strumenti è necessaria una revisione del
sistema di finanziamento per indirizzare le attività verso criteri di qualità. Infine
viene proposta la riformulazione di modelli clinico organizzativi, in base alla
24
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
necessità di mettere in atto programmi di assistenza in modo da garantire efficacia
ed appropriatezza all’interno di un contesto di risorse limitate.
Per quanto riguarda il piano clinico – organizzativo, il Piano Socio sanitario
Regionale segnala la necessità di differenziare i percorsi di cura in base ad
un’attenta osservazione della diagnosi e dei bisogni, sia a livello clinico che
sociale. Infatti, la consulenza viene offerta alle patologie cosiddette “minori”,
definendo percorsi diagnostico terapeutici con la corresponsabilizzazione dei
medici di medicina generale. L’assunzione di cura è prevista per trattamenti
specialistici con l’elaborazione di protocolli di trattamento specifici.
La presa in carico viene svolta nei confronti delle persone che hanno disturbi
psichici gravi e che richiedono programmi che si possono svolgere nel tempo;
essa richiede piani terapeutico – riabilitativi personalizzati anche articolati tra
servizi pubblici e privati coinvolgendo la rete territoriale e le famiglie. Per
concludere, c’è la richiesta di formulare programmi mirati rispondenti all’acuzie.
Il Piano Socio Sanitario Regionale afferma che queste diversificazioni devono
promuovere la professionalità e l’efficacia dell’offerta, per permettere al
richiedente di scegliere liberamente, mettendo così un freno all’autoreferenzialità
dei servizi.
Parlando del coordinamento delle risorse, il discorso si articola in tre punti:
coordinamento, integrazione e sviluppo delle risorse operanti sul territorio sia
formali che informali che, con l’attuazione di modelli gestionali innovativi,
vengono messe in rete; il coordinamento della totalità delle risorse residenziali
presenti sul territorio della provincia; infine coordinamento e attivazione di
intervento urgenti e di emergenza sul territorio uniti all’integrazione dei servizi di
ricovero ospedaliero.
Nel Piano Socio Sanitario viene indicato come prioritario l’obiettivo di far fronte
agli aspetti legati all’assistenza delle patologie psichiatriche, all’utilizzo delle
strutture residenziali tramite il collegamento tra la rete sociale e quella socio
sanitaria ad alta integrazione delle Aziende Sanitarie Locali. Inoltre vengono
chieste risposte, integrate a domande, relative a : patologie legate all’abuso di
sostanze,
comportamenti
violenti,
patologie
25
legate
al
fenomeno
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
dell’immigrazione, malati terminali. Infine viene rivolta attenzione allo sviluppo e
all’integrazione, nell’ambito del DSM, all’area della neuropsichiatria infantile con
i servizi psichiatrici, in particolare per i disturbi adolescenziali.
Il Piano Regionale per la Salute Mentale della Regione Lombardia è stato
sviluppato secondo le linee e gli indirizzi elencati e spiegati poco fa.
Per definire un modello gestionale, in linea con la realtà attuale della sanità
lombarda e per la proposta di strumenti organizzativi per l’attività dei servizi per
la salute mentale, sono stati proposti i seguenti obiettivi strategici:
•
promuovere la salute mentale della persona adulta, tramite l’integrazione tra
servizi sanitari e sociali sia pubblici sia del privato sociale o imprenditoriale
con riferimento ai percorsi di cura per i soggetti affetti da disturbi psichici
gravi e con bisogni complessi (piano di trattamento individuale per gli utenti
con disturbi psichici gravi);
•
investire in termini organizzativi e gestionali sui percorsi territoriali, per
promuovere una psichiatria di comunità che operi all’interno di un territorio
funzionale ampio, integrando i differenti servizi e soggetti presenti, così da
garantire la libertà di scelta da parte degli utenti;
•
dare più forza al DSM tramite le sinergie necessarie ad attivare i percorsi di
integrazione intra - dipartimentale e inter - dipartimentale nell’ambito di
macroaree territoriali;
•
individuare il ruolo di Aziende Sanitarie Locali, Enti Locali e di tutti i soggetti
in un’area territoriale, concorrendo alla tutela della salute mentale e rendendo
attivo un Organismo di coordinamento che garantisca le sinergie con le
Aziende Ospedaliere e i DSM promuovendo interventi che tutelino i soggetti
colpiti da patologie psichiche riguardo a: l’analisi dei bisogni (anche di
importanza sociale), l’integrazione della rete socio - sanitaria, l’ottimizzazione
nell’utilizzazione delle risorse del territorio, le iniziative di prevenzione di
lotta allo stigma;
•
introdurre flessibilità nei meccanismi organizzativi e all’interno dei percorsi di
assistenza tramite modelli di collaborazione con soggetti non istituzionali
26
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
(convenzioni con associazioni di utenti e di familiari, volontariato, cooperative
sociali, terzo settore in generale) e con la rete informale;
•
definire nuovamente i modelli clinico – organizzativi e i percorsi di cura della
residenzialità psichiatrica (progetto terapeutico riabilitativo per gli utenti in
strutture residenziali);
•
proporre modelli innovativi sia di gestione che di organizzazione per
l’assistenza psichiatrica, nel contesto attuale della sanità della Lombardia, che
favoriscano la continuità terapeutica e il processo unitario di cura utilizzando i
contributi del privato sociale;
•
elaborare percorsi diagnostico – terapeutici integrati (multi - disciplinari e
multi - professionali) rispondenti ai differenti bisogni delle persone con
disturbi psichici, con un’attenzione particolare rivolta ai programmi specifici
di trattamento, anche con riferimento a patologie emergenti all’interno delle
quali le manifestazioni psichiche acute si accompagnano ai disturbi
comportamentali;
•
promuovere modelli organizzativi di assistenza che permettano di
sperimentare nuove forme di finanziamento per percorsi di cura;
•
favorire e intensificare il lavoro d’équipe nei DSM tramite la valorizzazione
delle diverse figure professionali, prestando particolare attenzione ai bisogni
formativi specifici;
•
introdurre nell’operatività dei DSM strumenti atti a promuovere la qualità
dell’assistenza per monitorare sia le attività che i risultati;
•
sviluppare e incentivare il metodo progettuale e sperimentale per apportare
cambiamenti strutturali e gestionali all’interno della rete di offerta.
Il Piano Regionale per la Salute mentale è suddiviso in sei capitoli:
ƒ
Il primo presenta il contesto di riferimento. Analizza i dati epidemiologi che
evidenziano la realtà attuale della domanda di salute mentale nella
popolazione e descrive l’offerta attuale relativamente alle differenti aeree
dell’assistenza psichiatrica. Infine presenta le aree critiche dell’attuale
situazione e descritto gli indirizzi e gli obiettivi del Piano.
27
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
ƒ
Il secondo presenta lo scenario organizzativo all’interno del quale si collocano
gli Enti, i servizi e gli erogatori che collaborano nell’area della salute mentale.
Definisce i ruoli e le funzioni dei diversi soggetti e identifica un modello di
gestione per il governo del sistemi rispettando i principi e le indicazioni del
Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004.
ƒ
Il terzo presenta le differenti aree di riorganizzazione dell’assistenza,
identifica i diversi percorsi del territorio in funzione dei bisogni degli utenti
con un’attenzione particolare rivolta al trattamento integrato dei soggetti
affetti da disturbi psichici gravi. Propone inoltre i modelli di intervento
rispondenti ai bisogni che hanno rilevanza sociale e aree di intervento
all’interno dell’Ospedale Generale, poi viene ridefinito il sistema della
residenzialità psichiatrica e affronta le problematiche che interessano le aree di
confine.
ƒ
Il quarto analizza la problematica relativa alla qualità all’interno dei servizi
psichiatrici, definisce un sistema di requisiti di qualità e vengono identificati le
procedure per verificare e controllare la qualità. Infine vengono promossi gli
strumenti atti promuovere la qualità dell’assistenza.
ƒ
Il quinto definisce i programmi e i contenuti formativi per gli operatori
psichiatrici e valorizza le differenti professionalità e gli specifici bisogni
formativi.
ƒ
Il sesto descrive l’attuale situazione delle risorse indirizzate alla psichiatria e
alla salute mentale e programma il piano di sviluppo per gli anni 2004-2005.
28
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
3. IL CENTRO DIURNO
3.1 BREVE STORIA
Il Centro Diurno, per definizione, è “un contesto protetto e strutturato per
l’apprendimento dei comportamenti socialmente competenti.5”
L’ideologia dell’ambiente psichiatrico ha il suo punto di forza nelle modificazioni
dell’ambiente, scientificamente introdotte nella personalità del paziente che in
esso vive (Cumming J. e E.) ed è matrice delle Comunità Terapeutiche e dei
Centri Diurni realizzati da T. Main e da M. Jones.
L’ideologia delle comunità terapeutiche e, precedenti a questa, le esperienze della
psichiatria inglese, promosse dall’Open Doors Movement, potrebbero essere
considerate come i presupposti del Centro Diurno: marcando infatti gli elementi
antiterapeutici del manicomio, esse hanno finito con il disegnare il profilo
terapeutico dell’ospedalizzazione psichiatrica part – time e successivamente
l’assistenza in regime di Centro Diurno.
Questa nuova cultura psichiatrica raggiungerà dall’Inghilterra gli ambienti
psichiatrici degli Stati Uniti d’America sul finire degli anni Cinquanta,
impiantandovisi e dando luogo all’istituzione del Centro Diurno .
Mentre in questi due Paesi si creavano le Comunità Terapeutiche e i Centri
Diurni, in Francia prendeva corpo e si sviluppava l’“ideologia del settore”. Col
termine “settore” si voleva “definire un territorio a misura umana nel quale
sembrava necessario circoscrivere il lavoro della psichiatria” che così poteva e
doveva “ essere a portata di mano” (Del Corno – Lang). Questa ideologia voleva
l’équipe terapeutica a contatto con la società, cosicché poteva penetrare “dentro la
rete delle relazioni nella quale si trova preso il suo paziente” (Del Corno Lang).
L’“ideologia del settore” venne proposta, anche in Italia, per la prima volta da
Carlo Gentili al Congresso nazionale di Psichiatria Sociale dal 24 al 26 aprile
1964, ma fu criticata ed attaccata dagli psichiatri “tradizionalisti” e da quelli
5
P.Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni” Franco Angeli Milano 2003 pag.
175.
29
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
“innovatori” ed anche in Francia essa non ebbe sorte migliore, restando
sostanzialmente sulla carta e non offrendo adito a realtà concrete e verificabili.
Pertanto, quel ventaglio di istituzioni extraospedaliere, di cui parlano numerosi
autori, restò una speranza, o forse una velleità, realizzata solo nell’esperienza
contraddittoria del tredicesimo arrondissement di Parigi. Così, mentre in Francia
viene attivata qualche istituzione extraospedaliera, soprattutto “ospedali di
giorno”, in Italia la Psichiatria si radicalizza nella “lotta antimanicomiale” e,
cancellato il manicomio con la legge 180/78, l’attenzione degli operatori
psichiatrici e degli amministratori si polarizza sulla delineazione di un profilo di
strutture di appoggio, di centri diurni, che vengono definiti intermedi, perché si
collocano tra l’ospedalizzazione e l’assistenza domiciliare o ambulatoriale,
rappresentando per questo un’alternativa al ricovero (Argentieri). Queste strutture
sarebbero, come dice Giancanelli, nuove sedi della psichiatria destinate ad
integrare le funzioni già svolte dagli operatori di territorio e dai Servizi
Psichiatrici.
30
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
3.2 MODELLI DI INTERVENTO
I modelli di intervento, che vengono usati all’interno dei Centri Diurni, riguardano
i sintomi positivi, quelli negativi, i deficit cognitivi, l’identità cronica e la
disorganizzazione del comportamento.
Le persone con disturbi psichici, che intraprendono programma di riabilitazione,
sono caratterizzati, in genere, da una lunga serie di fallimenti, personali e sociali,
legati anche a grandi difficoltà nell’affrontare positivamente i problemi di tutti i
giorni e nel farsi accettare nella comunità. I fallimenti sono situazioni in cui, in
continuazione, esse non hanno saputo soddisfare le aspettative proprie e altrui e la
costrizione al ritiro dell’impegno accettato, tagliando le relazioni intraprese con il
contesto dal quale ci si allontana o si viene allontanati.
Una persona, che ha subìto insuccessi ripetuti, evita le situazioni che potrebbero
farla confrontare con compiti che richiedono impegno, perché è convinta che fare
corrisponda a deludere, in quanto non possiede le competenze necessarie per
effettuare in modo corretto i compiti che le hanno assegnato.
Durante gli anni questi soggetti possono diventare devianti, perché devono stare
distanti da ogni richiesta di coinvolgimento per far confluire tutte le loro risorse
allo scopo di rimanere così come sono, cioè “incompetenti”, perché solo in questa
maniera non verranno più sollecitati ma lasciati stare. “Tali convincimenti sono
una parte importante del loro mondo interno, ossia dell’idea che hanno di se stessi
e degli altri. ”6
Le aree interpersonali sulle quali, applicando il metodo Spivak, si sono ottenuti
risultati soddisfacenti sono state le seguenti:
•
“Difficoltà nell’individuazione e nell’espressione socializzata di sentimenti,
emozioni e opinioni.
•
Conversione di emozioni e sentimenti in sintomi psichiatrici, prevalentemente
deliri e allucinazioni.
6
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni” Franco Angeli, Milano 2003, pagg.
136,137.
31
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
•
Produzione di sintomi psichiatrici, prevalentemente allucinazioni e deliri, in
concomitanza di difficoltà incontrate nelle relazioni quotidiane e nella
risoluzione dei problemi di sopravvivenza.
•
Utilizzazione dei sintomi negativi (apatia, rallentamento psicomotorio,
anaffettività, disintentresse verso il contesto) come potenti “distanziatori
sociali”.
•
Interiorizzazione di una condizione di eterna dipendenza dagli altri.
•
Interiorizzazione dell’idea di incapacità e di malattia.
•
Assunzione di un ruolo protettivo nei confronti di uno o di entrambi i genitori,
con la parallela coartazione dei propri spazi e progetti di vita.
•
Tendenza a punirsi per la delusione procurata alla propria famiglia; senso di
colpa per un successo migliorativo della propria esistenza.” 7.
I passi da compiere, per intervenire in modo efficace sui sintomi deliranti e
allucinatori e sull’idea che la persona desocializzata ha di sé, sono i seguenti:
1° fase: l’accoglienza individuale.
2° fase: l’inserimento nel gruppo accoglienza.
3° fase: l’inserimento nell’intero programma diurno.
4° fase: formulazione del piano di trattamento e interventi sui sintomi deliranti.
Le azioni cliniche sui sintomi psicotici e sulle percezioni distorte di sé non
modificabili con la farmacoterapia sono le seguenti: comportamenti socialmente
competenti da sviluppare:
♦ ridurre il disagio di mostrarsi in pubblico.
♦ Individuare il sentimento provato o il pensiero avuto immediatamente prima
dell’emergere del sintomo delirante e collegarlo ad un evento reale accaduto
nelle aree di vita.
♦ Imparare ad esprimere le proprie difficoltà a parole e non con i sintomi.
7
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni”, Franco Angeli, Milano 2003, pagg.
138.
32
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
♦ Imparare che conseguire successi e provarne piacere non lede nessuno, tanto
meno la propria madre. Imparare che la depressione materna è indipendente
dalla realizzazione personale e che il proprio sacrificio è terapeutico.
♦ Imparare a padroneggiare la crisi e a ridurre il ricorso alla madre.
♦ Superare il vissuto di eterna dipendenza dagli altri.
♦ Controllare i sintomi.
♦ Essere consapevole di avere dei talenti che lo differenziano dagli altri,
tollerando gli attacchi invidiosi senza adottare comportamenti reattivi, che
hanno come effetto la rottura con il contesto.
Comportamento socialmente competente sviluppato da consolidare:
♦ mantenere i propri spazi vitali in momenti particolarmente critici della sua
famiglia.
Il soggetto dopo il trattamento ricevuto ha acquistato le seguenti competenze:
♦ Superamento della condizione di eterna dipendenza dagli altri
♦ Superamento dell’idea di incapace e di malato, reattiva al timore di attacchi
invidiosi da parte dei suoi familiari.
♦ Superamento del ruolo riparativo nei confronti della madre e dei sensi di colpa
per la delusione arrecata.
♦ Superamento della modalità patologica di esprimere emozioni, pensieri e
difficoltà con i sintomi deliranti ed allucinatori.
♦ Superamento della difficoltà ad esporre il proprio corpo.
Con il termine “sintomi negativi” si intende un insieme di manifestazioni
comportamentali ed affettive tipiche dei soggetti con processi cronici. Queste
persone sono caratterizzate da una riduzione complessiva delle spinte vitali
relative alla volontà, affettive, motorie, a tal punto che sembrano soggetti senza
sentimenti e pulsioni. In alcuni casi sono talmente appiattite emotivamente fino
ad essere indifferenti, fredde, apatiche, con movimenti lenti e parsimoniosi,
estranee al contesto all’interno del quale né aderiscono ad attività, né tanto meno
prendono iniziativa. Se dovessero venire coinvolte in qualche attività, resistono
33
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
con tutte le loro forze per non compierle, fino a sottrarsi e ad evitare le occasioni
di contatto. Esse compiono poche azioni in modo abitudinario e stereotipato.
Quest’area è quella che l’intervento riabilitativo predilige, perché gli
atteggiamenti di mancanza di iniziativa, di volontà e di indifferenza, più di ogni
altra, fanno notare la presenza di tre fattori di desocializzazione, collegati alla
capacità o meno di avere atteggiamenti reciproci:
ƒ Svalutazione alle aspettative del contesto.
ƒ Svalutazione del consenso sociale.
ƒ Marcata riduzione dell’autogiudizio.
“I sintomi negativi, alla luce del metodo Spivak, oltre che a modalità incongrue di
espressione e di comunicazione della persona sono altresì risultati della spirale di
desocializzazione, la quale consiste in un processo interattivo tra individuo e
contesto, a causa del quale ad un fallimento del primo gli altri significativi
rispondono riducendo progressivamente le richieste da rivolgergli, fino ad
azzerarle”8.
In questo modo la persona è costretta a vivere in un ambiente che le offre
pochissimi stimoli, dove sono molto rare le possibilità che il soggetto prenda
iniziative, esprima affettività o si impegni in azioni che abbiano un fine
significativo per lei. I comportamenti che sono caratterizzati da passività sono dei
distanziatori potenti, in quanto non incoraggiano l’avvicinamento da parte degli
altri, disconfermano la stessa esistenza con il disinteresse e l’indifferenza. Il
delirio o le allucinazioni, l’ostilità non celata e l’attacco esplicito sono modalità
distruttive per affermare l’esistenza dell’interlocutore. L’indifferenza e la
mancanza di volontà e affettività apparenti non prendono in considerazione
l’azione dell’altro, negandola e annullando ogni tentativo di produrre
cambiamento o movimento. Per tali motivi le persone che hanno una prevalenza
di questi comportamenti sono quelle che più facilmente vengono lasciate perdere
sia dal contesto che dai servizi, poiché davanti all’immodificabilità, protratta nel
8
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni”, Franco Angeli, Milano 2003, pag.
150.
34
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
tempo, della loro condizione e dopo ripetuti tentativi falliti per creare un’alleanza
di lavoro, provocano una perdita di energie profuse e smettono di intraprendere
progetti terapeutici.
I comportamenti socialmente competenti che i soggetti, che soffrono di questi
disturbi, devono sviluppare sul piano interpersonale sono:
♦ imparare a prestare attenzione agli altri, ad avviare contatti, a mantenerli e a
coinvolgersi positivamente con le persone.
♦ Diventare consapevoli che gli altri hanno sentimenti e aspettative di cui
bisogna tenere conto, in un rapporto reciproco, per essere accettati ed
apprezzati (dare e avere).
♦ Trovare il modo per co-esistere senza disagio anche con chi è antipatico,
parlando dei motivi che infastidiscono, anziché “far tutti fuori” con un
atteggiamento indifferente.
♦ Interessarsi ad altri problemi, oltre che ai loro e cercare nuovi argomenti di
conversazione.
♦ Imparare che esiste una correlazione tra il loro comportamento e il
comportamento degli altri verso di loro
♦ Scoprire ed utilizzare le risorse della comunità esterna, che premetteranno loro
di svolgere delle attività collettive.
I comportamenti socialmente competenti da sviluppare sul piano intrapersonale
sono:
♦ imparare a riconoscere le cause del disagio e ad esprimerle con parole loro
senza essere vaghi, stereotipati ed utilizzare affermazioni di altri.
♦ Imparare che, quando sono depressi o apatici, se si impegnano in un’attività e
si sforzano di adoperarsi anche a livelli bassi, si sentiranno meglio, perché
sperimenteranno il potere di influire sul loro destino anche quando stanno
male.
♦ Imparare a prendere iniziative e cercare la soluzione delle loro difficoltà,
invece che aspettarla sempre dagli altri.
Il comportamento socialmente competente da sviluppare sul piano cognitivo da
parte delle persone che soffrono di questi disturbi è:
35
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
♦ elevare la soglia della loro attenzione e concentrazione nell’esecuzione di un
compito.
Gli interventi che possono agire in modo efficace sui sintomi negativi sono:
♦ accoglienza individuale.
♦ Inserimento nell’Attività di Gruppo di Competenza Sociale.
♦ Fase di aumento delle richieste di funzionamento nell’attività di Gruppo di
Competenza Sociale.
In seguito al trattamento ricevuto, le persone affette da sintomi negativi hanno:
• maggiore attenzione alle aspettative degli altri.
• Maggiore interesse nei confronti di problemi, che non attengono strettamente
alla sfera personale e aumento del numero degli argomenti di conversazione.
• Maggiore lucidità e consapevolezza delle cause del loro malessere.
• Maggiore capacità di reagire quando sono depresse o apatiche.
• Maggiore capacità di attenzione e di concentrazione sui compiti da svolgere;
maggiore capacità di programmazione del loro tempo.
I gravi deficit della sfera cognitiva, accanto ai Comportamenti Socialmente
Incompetenti, rendono ancora più complessa la condizione delle persone con
processi cronici. Queste carenze cognitive portano alla perdita del senso comune,
cioè gli apprendimenti e le conoscenze non possiedono il significato socialmente
condiviso. Il giudizio su situazioni emotive e sociali è danneggiato, la spontaneità
e la fluidità delle relazioni sociali si riducono, inoltre il senso dell’umorismo
risulta svuotato.
Secondo gli autori tedeschi, questi comportamenti sono le manifestazioni dei
seguenti disturbi cognitivi:
‰
alterazione dei meccanismi precognitivi che consentono di
-
attenuare l’intensità della risposta ad una serie di stimoli successivi ad un
primo stimolo di partenza;
-
attenuare, fino a farla scomparire, l’intensità della risposta alla presentazione
ripetuta dello stesso stimolo (fenomeno dell’abitudine).
‰
Tempo di reazione più lungo del normale.
‰
Deficit nella selezione ed elaborazione delle informazioni.
36
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
‰
Frantumazione cognitiva.
‰
Deficit nell’organizzazione delle percezioni.
‰
Danni a carico della memoria o problemi dell’apprendimento.
‰
Deficit nell’immagazzinamento dell’informazione.
Una della conseguenze di questi deficit, che investono l’area cognitiva, è la
distraibilità, poiché arrivano alla sfera conscia moltissime informazioni non
filtrate. Inoltre le informazioni, sia in entrata che in uscita, non sono supportate da
schemi cognitivi, che permettono di organizzare in azioni consone al contesto i
dati provenienti dalla realtà interna e da quella esterna, quindi si ha
un’accentuazione di questi comportamenti disfunzionali come:
‰
Accresciuta agitazione motoria, prevalenza di azioni afinalistiche e difficoltà a
dirigerle.
‰
“Tentativo compensativo di contenere l’ondata indifferenziata di stimoli e
conseguente soggettiva sensazione di frantumazione, con aumento di
concentrazione sui dettagli che, a sua volta, porta ad una riduzione della
spontaneità e della naturalezza dei movimenti e ad uno sforzo volitivo molto
alto per controllare e dirigere anche il più piccolo gesto”9.
‰
Manifestazioni deliranti, dovute alla difesa compensativa contro la
frantumazione.
‰
Reazione allo sforzo mentale: poiché ci sono dei deficit dal punto di vista
cognitivo, l’attenzione per controllare in modo conscio le informazioni sia in
entrata che in uscita conduce all’esaurimento di energie e ad uno stato di
sfinitezza mentale. Il modo in cui le persone, affette da problemi psichiatrici,
manifestano i limiti di loro sforzi varia da soggetto a soggetto: alcuni accusano
grande stanchezza e fatica a livello generale, altri sensazione di svuotamento,
altri impoverimento di sensazioni chiaramente molte di queste manifestazioni
fanno parte della categoria dei sintomi negativi. Questi rappresentano una
sindrome complessa e molteplice caratterizzata da:
-
sintomi depressivi.
9
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni”, Franco Angeli, Milano 2003, pag.
159.
37
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
-
Effetti collaterali dei neurolettici.
-
Esaurimento delle energie mentali.
-
Strategia comportamentale auto – protettiva.
Per i deficit relativi all’attenzione alla concentrazione sono efficaci i seguenti
interventi:
♦ aiutare l’utente a scegliere articoli brevi.
♦ Supportarlo sedendosi vicino a lui e informandolo sottovoce sull’argomento di
cui si sta discutendo nel gruppo.
♦ Aiutarlo a scegliere l’articolo e ad esercitarsi a leggerlo prima dell’inizio
dell’attività.
Per i deficit della capacità di sintesi è efficace il seguente intervento:
♦ aiutare l’utente a scomporre l’articolo facendogli cinque domande per rendere
più facile il riassunto che dovrà fare davanti al gruppo.
Per quanto riguarda il deficit della visione complessiva delle operazioni che
compongono un compito è utile il seguente intervento:
♦ dare all’utente uno schema che presenta un elenco delle operazioni necessarie
all’esecuzione di un compito in modo coerente e finalizzato.
Se il deficit riguarda l’elaborazione degli stimoli interni, si mette in atto la
seguente azione clinica:
♦ lo si aiuta ad individuare il sentimento provato per un determinato evento e a
renderlo oggettivo per iscritto.
Se il deficit investe l’elaborazione degli stimoli esterni, è efficace il seguente
intervento clinico:
♦ sarà presentato all’utente uno schema scritto con l’organizzazione delle
attività giornaliere e settimanali. Questa azione dovrà essere compiuta al
mattino, appena la persona arriva al centro, cioè durante l’accoglienza.
♦ Nella fase in cui vengono valutate le unità svolte dopo che su un “verbale” è
stato scritto il programma giornaliero già ultimato come quello organizzativo
per il giorno successivo, l’individuo verrà aiutato a capire il collegamento tra
la continuità delle azioni e la continuità del tempo in cui esse vengono
eseguite.
38
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
“Il comportamento iperattivo è originato da molteplici deficit cognitivi (selezione
ed
elaborazione
delle
informazioni,
organizzazione
delle
percezioni,
immagazzinamento dei dati),riduce ulteriormente le residue capacità di attenzione,
concentrazione e sintesi, esponendo l’utente a molti fallimenti sul piano
relazionale e sociale”10.Alcune persone iperattive possiedono buone capacità
strumentali ma vanno incontro ad esperienze negative nelle situazioni che
richiedono lunga permanenza nello stesso posto. In questi casi sono appropriati i
seguenti interventi:
♦ dopo aver discusso sull’argomento con gli utenti, consci della loro
irrequietezza e prima dell’inizio dell’attività il gruppo in cui sono inseriti
fare eseguire alcuni esercizi fisici di distensione, in modo da rendere i
componenti più tranquilli e più disponibili a sedersi con gli altri.
♦ I pazienti vengono supportati, anche affidando loro l’esecuzione di compiti
strumentali che focalizzino la loro attenzione su un’operazione ben definita
o li legittimino a muoversi all’interno del gruppo in modo appropriato ed
adeguato.
L’intervento attuato su un soggetto iperattivo è stato il seguente:
♦ discutere con lui delle conseguenza personali e sociali del suo problema,
portandolo a riflettere sull’inutile dispendio di energie, per contrastare i
“colpi” e la frantumazione di sé a scapito del suo impegno in attività per lui
non solo utili, ma anche piacevoli.
♦ Rendere l’utente consapevole che i colpi non vengono da fuori per scagliarsi
in modo cieco e incomprensibile su di lui, vittima impotente, ma sono
contenuti interni che, non essendo filtrati, irrompono nella coscienza.
♦ Rendere l’utente consapevole che i contenuti interni sono sentimenti
appartenenti alle sue esperienze passate, per le quali si sente in colpa.
10
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni”, Franco Angeli, Milano 2003, pag.
162.
39
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
♦ Stabilire un operatore che lo aiuterà a confinare gli stimoli, finché l’utente
stesso non imparerà a farlo da solo, così da rimanere concentrato sul
compito che sta eseguendo.
Ogni volta che il conduttore del gruppo, in cui l’utente è inserito, lo vede
distratto, richiamerà la sua attenzione dicendogli che è sotto l’influenza di un
colpo. In seguito lo aiuterà a capire se si tratta di un “colpo interno” o
“esterno” e, se è interno , lo solleciterà ad esplicitare il sentimento collegato la
pensiero negativo: una volta espresso il collegamento tra sentimento doloroso e
il ricordo di un fallimento avvenuto nel passato, si riporterà la persona a
riprendere l’attività lasciata, ma si interverrà, in un secondo momento, in sede di
colloquio individuale per disconfermare le aspettative dell’utente relative al
passato, suggerendo le modalità di comportamento più utili per lui, come:
pensare a piccoli progetti per il futuro immediato, concentrarsi sui successi che
l’utente otterrà e sui sentimenti piacevoli che questi potranno suscitare. Se
invece si tratta di un “colpo esterno”, l’operatore gli assicurerà che non ha
bisogno di seguire alcuni pezzi della realtà per mantenersi legato ad essa, in
quanto basta portare avanti il compito iniziato per evitare di perdersi e
frantumarsi. Questo tipo di intervento ha già sortito gli effetti sperati, poiché
diversi mesi dopo la sua attuazione, l’utente ha ridotto in modo notevole i
sintomi/colpi e ha iniziato l’esperienza di una borsa - lavoro.
All’iperattività si associano spesso controllo ossessivo sull’esecuzione dei
compiti, estrema attenzione ai dettagli e perdita della visione d’insieme, la
riduzione della naturalezza e della spontaneità, sostituite da una serie di
automatismi, ad esempio il ridere nervoso in contesti impropri o continuare ad
interrompere colui che sta parlando le azioni cliniche, effettuate in questi casi
sono state le seguenti:
♦ visto che l’utente è consapevole delle sue difficoltà, si affronta il problema
con lui e si analizzano le conseguenze fallimentari dei suoi comportamenti
sia sul piano relazionale che sociale ed anche l’enorme dispendio di energia
nel controllare il flusso degli stimoli esterni. Gli viene poi spiegato che la
sua scarsa capacità di avere una visione di insieme della realtà lo porta ad un
40
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
controllo ossessivo sull’esecuzione dei compiti, per cui egli è costretto ad
inseguire i dettagli delle percezioni e a regolarne sempre il traffico di entrata
ed uscita.
♦ Gli vengono assegnati lavori strumentali, come ad esempio fare la spesa,
acquistare il quotidiano, per legittimare l’irrequietezza.
♦ Il gruppo viene educato a confinare il comportamento dell’utente, iperattivo
quando questo vuole svolgere compiti altrui, gli si ricorda che si dovrà
occupare del suo, prima dell’impegno successivo gli si consiglierà a lui di
andarsi a svagare un attimo.
♦ L’operatore lo aiuterà a ridurre la sua falsa dipendenza dagli altri , per
abituarlo a convivere con il dubbio senza disorganizzarsi. Così quando
l’utente chiederà pareri sulla correttezza del suo lavoro lui gli farà cambiare
il suo convincimento ossessivo, cioè il fatto di non aver eseguito bene il
compito in quanto incapace, con la considerazione che ha svolto in compito
accettabile. In seguito l’operatore farà scrivere all’utente su un quaderno la
sostituzione di pensiero, invitandolo a leggerla ogni volta che egli si sentirà
insicuro.
♦ Si compilerà con l’utente uno schema scritto con elencate le operazioni
necessarie per eseguire il compito assegnatogli.
♦ Si utilizzerà il gruppo come riscontro dell’accettabilità del compito svolto
dall’utente, domandando ai componenti la loro opinione nella fase di
valutazione dell’attività.
♦ Verrà concesso qualche minuto di pausa tra un’azione e l’altra, per far capire
all’utente che può liberarsi dalla pressione delle aspettative esterne
perennemente insoddisfatte.
Dopo il trattamento ricevuto l’utente avrà raggiunto le seguenti competenze:
• maggiore capacità di autogiudizio e minore dipendenza dall’operatore
• Maggiore capacità di concentrarsi sul compito assegnato e di distinguere
impegni prioritari da quelli secondari.
• Maggiore capacità di selezionare, in modo congruo al contesto, le
affermazioni che vuole esprimere.
41
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
• Minore dipendenza dalle aspettative tiranniche del contesto.
• Maggiore capacità di finalizzare l’irrequietezza in attività significative per la
propria vita.
“Quando si parla di disorganizzazione del comportamento, si intende la perdita
della coerenza e della continuità nella successione delle azioni finalizzate
all’esecuzione di un compito”11.Spesso essa è accompagnata da stati d’animo
caratterizzati da paura, rabbia e si connota come una condizione che non permette
l’apprendimento, riduce di molto l’attenzione e la concentrazione, si diffonde per
imitazione e, mentre nell’utente aumenta la paura di punizioni che deriva da
esperienze analoghe del passato, negli operatori subentra l’affanno per non saper
affrontare e controllare l’emergenza venutasi a creare.
Le cause di disorganizzazione mentale possono essere ricondotte anche ad
elementi contestuali dell’organizzazione e dell’operatività del Centro in cui
l’utente è inserito. Per questo motivo non bisogna mai perdere di vista il rapporto
tra disorganizzazione del comportamento, modo in cui è strutturato il contesto e
interventi che vi vengono attuati, visto che esistono una serie di fattori che
possono determinare la perdita di coerenza comportamentale. Tali fattori sono:
ƒ
eccitamento emotivo, cioè la persona risponde alle emozioni interne e non agli
stimoli esterni
ƒ
Frustrazione del comportamento: la persona non riesce a raggiungere
l’obiettivo prefissato.
ƒ
Conflitto comportamentale: indecisione relativa a quale comportamento
adottare.
ƒ
Preoccupazione, cioè tendenza all’introversione.
La disorganizzazione del comportamento è incompatibile con l’attività di gruppo,
perché dà origine ad una serie di esperienze fallimentari sia per l’utente che per il
gruppo, determinando un’interruzione delle interazioni socializzanti: perciò è
molto importante conoscere e pianificare tutti gli accorgimenti che riescano a
ridurre il rischio che tale situazione accada. Di seguito elenchiamo alcuni
11
P. Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni”, Franco Angeli, Milano 2003,cap. 6,
pag. 166.
42
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
interventi che si riferiscono sia all’organizzazione quotidiana e allo stile del
lavoro dell’équipe che ai princìpi del metodo Spivak:
♦ utilizzazione di tavoli piccoli per il pranzo: così viene facilitata la
comunicazione e potenziata l’attenzione rivolta all’esterno;
♦ utilizzazione dell’interazione socializzante operatore - utente e di uno spazio
senza eccessive stimolazioni esterne: per semplificare il contesto;
♦ utilizzazione del materiale infrangibile: per ridurre i danni;
♦ utilizzazione di schemi scritti, sui quali viene sintetizzata la successione delle
singole azioni necessarie per l’esecuzione di un compito: per ridurre le
complessità del compito;
♦ attribuzione dei compiti a seconda dei livelli di funzionamento dei pazienti:
per prevenire la frustrazione da fallimento;
♦ semplificazione di compiti complessi, che possono venire scomposti in azioni
elementari eseguibili una per volta. Il medesimo procedimento può essere
utilizzato per lo schema del programma giornaliero che l’utente visualizza al
suo ingresso nel Centro;
-
funzione del gruppo di accoglimento o di “riorganizzazione della persona”:
questa parte del programma diurno, che è coincidente con l’ingresso degli
ospiti nel Centro e l’inizio delle attività, è molto importante per le successive
fasi dell’attività. Infatti durante l’accoglienza gli operatori mettono in atto una
serie di azioni cliniche che hanno il fine di ridurre al minimo i rischi di
eventuali disorganizzazioni del comportamento. Queste sono:
-
gli ospiti vengono indirizzati verso la sala della colazione dopo di che hanno
appeso gli abiti e riposto gli oggetti di valore;
-
vengono eliminate eventuali spine irritative che potrebbero rappresentare
elementi di disorganizzazione nello svolgimento del programma diurno
(procurarsi le sigarette, telefonare, prendere la quota giornaliera di denaro,
assumere farmaci);
-
si espone agli utenti la successione delle attività mattutine, in modo da creare
spazi temporali caratterizzati da una sequela scandita e ordinata di azioni
concrete e finalizzate;
43
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
♦ si utilizzano compiti strumentali e ruoli sociali. Quando un utente si trova in
uno stato di eccitamento emotivo, lo scopo dell’intervento è quello di spostare
la sua attenzione dall’interno verso l’esterno. Questa azione ha un’incisiva
funzione riorganizzativa; quindi se l’individuo è eccitato e ci vuole subito
esporre il suo problema, gli si dirà che dobbiamo lavorare, mentre svolgiamo
un’azione molto semplice (es. lavare le tazzine del caffè) e si cercherà di
coinvolgerlo in questa attività. Quando egli si sarà calmato, se gli argomenti
che voleva esporci avranno ancora importanza per lui, gli si potrà offrire la
disponibilità a discutere su ciò che lo preoccupa;
♦ si deve usare una soglia di tolleranza verso le espressioni affettive degli utenti
in modo tale, però che esse non siano represse, ma neanche lasciate senza un
tempo ed uno spazio per essere elaborate;
♦ bisogna adeguare il programma esterno con il livello di funzionamento
raggiunto nel programma di riabilitazione: questo tipo di principio fa
riferimento al fatto che alcune abilità apprese dal paziente possano essere
utilizzate da lui stesso all’interno del contesto quotidiano, della società, per
raggiungere traguardi significativi senza conseguenze fallimentari o frustranti;
♦ è bene che esista coerenza di messaggi verbali e comportamentali tra gli
operatori e tra gli operatori e gli utenti;
♦ si devono ridurre le richieste di funzionamento nei confronti della persona
disorganizzata, inserendola in attività meno impegnative e complesse (ad
esempio giocare a carte, andare a prendere il caffè) tali comunque da poter
garantire la sua permanenza in un contesto interattivo, anche se con
prestazioni ridotte dalla disorganizzazione del comportamento.
In alcuni casi è meglio lavorare con la persona a livello individuale, isolandola,
utilizzando una serie di accorgimenti e mettendo in atto interventi specifici, di tipo
intrapersonale, come:
♦ utilizzare uno spazio differente da quello del gruppo, in modo che la persona
disorganizzata non si senta colpevole di aver interrotto l’attività degli altri
riconducendola ad un fallimento. Frattanto l’operatore chiederà ad un collega
di supporto di sostituirlo mentre si dedicherà al soggetto disorganizzato.
44
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Questa integrazione deve essere programmata come parte strutturale del
contesto;
♦ semplificare il contesto, cioè creare uno spazio ampio con un solo operatore
con l’utente;
♦ mantenere una certa distanza fisica, offrire una sigaretta, ricorrere a compiti
strumentali o ad espedienti mirati, come urla, rottura di oggetti, getti d’acqua,
rumori molesti, altro per “disorganizzare la disorganizzazione”;
♦ aiutare la persona ad individuare i pensieri, le emozioni ed i sentimenti che
prova in quel momento;
♦ cercare di collegare i pensieri, le emozioni ed i sentimenti ad avvenimenti
accaduti nella sua vita poco prima dell’episodio di disorganizzazione;
♦ aiutare la persona ad affrontare il problema individuato come causa
dell’eccitamento emotivo e modificare, se è il caso, il suo programma qualora
ne derivi l’elemento che irrita la persona stessa; oppure verificare se
l’interpretazione delle intenzioni e delle azioni degli altri sia giusta o meno,
allorché la causa sia all’interno in contatti spiacevoli con il nuovo contesto.
Se un episodio di disorganizzazione si manifesta accompagnato da atti autolesivi
ed eterolesivi, comportamenti non accettabili all’interno di un gruppo, e si rileva
quindi, la necessità di sospendere il programma, il rapporto può continuare anche
all’esterno del Centro, cioè in luoghi pubblici. Infatti, l’interruzione definitiva
degli incontri tra utente ed équipe darebbe credito alle aspettative del passato e
rinforzerebbe i meccanismi che la persona mette in atto per evitare la relazione in
occasione del ripristino del contatto. Il periodo di sospensione della frequenza
servirà per creare nuovamente un contatto di ammissione, in cui devono essere
chiaramente definiti i limiti di un comportamento accettabile in un contesto come
quello del Centro Diurno.
Per quanto concerne la condizione che Spivak definisce di “preoccupazione”,
cioè di tendenza all’introversione con esasperata attenzione verso il mondo
interno, è stato utile l’intervento di supporto individuale svolto da un operatore
che, affiancando la persona in un’attività di gruppo condotta da un collega, l’ha
spinta a rivolgere l’attenzione verso l’esterno, suggerendole in un orecchio ciò che
45
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
il gruppo stava facendo ed esponendo gli argomenti trattati. Questa azione è di
grande aiuto nel supporto nei confronti di persone deconcentrate e introvertite.
46
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
3.3 IL CENTRO DIURNO DI CASALPUSTERLENGO
In questo paragrafo ho scelto di parlare del Centro Diurno di Casalpusterlengo
(Lo), poiché proprio lì, durante quest’anno ho svolto il tirocinio.
Esso è nato dopo l’approvazione della legge 180/78, la “legge Basaglia” che, di
fatto, ha decretato la chiusura degli ex ospedali psichiatrici. È un Servizio che fa
capo all’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi, è stato aperto nel maggio
1982, il suo nome originario era “Day- hospital”, era ed è ubicato in una
palazzina del vecchio Ospedale Civile di Casalpusterlengo, ove ha sede anche il
Centro Psico Sociale (C.P.S.). Svolge la sua attività dal lunedì al venerdì dalle
8.30 alle 16.30, accogliendo circa 30 utenti che hanno dei problemi a livello
psichiatrico.
Per quanto concerne la metodologia, il Centro Diurno parte da una conoscenza
minuziosa ed approfondita del soggetto, della sua famiglia, del suo ambiente e del
suo mondo extra familiare, al fine di rilevare, fin dove è possibile, le distorsioni e
le fratture dell’Io ed i fattori, di natura patogena, che le sostengono, nonché le
difese messe in atto per evitare il dolore psichico. Si giunge, attraverso il lavoro di
elaborazione con il paziente dei suoi modi di pensare, di sentire, di agire, a
ricostruire con lui la capacità di autodeterminarsi e di autogestirsi.
Il Centro Diurno nasce con una filosofia orientata a favorire un contenitore
protettivo e rispondendo ai bisogni terapeutici dei singoli pazienti, nell’intento di
favorire le capacità relazionali facendo leva sulle autonomie residue dell’utente.
Il Servizio, per la riabilitazione, si avvale delle seguenti strutture esterne presenti
sul territorio:
ƒ
la “Scuola d’arte Bergognone” di Lodi, che è un’organizzazione non lucrativa
di utilità sociale (O.n.l.u.s.) dove gli utenti si recano a dipingere.
ƒ
Gli impianti sportivi di San Fiorano dove, il “gruppo calcio” svolge gli
allenamenti e dove il gruppo palestra effettua attività ginniche sotto la guida di
un’insegnante di educazione fisica.
47
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
ƒ
Il campo sportivo dell’Oratorio della Parrocchia dell’“Addolorata” di Lodi,
dove il “gruppo calcio” disputa le partite casalinghe di un torneo regionale.
ƒ
La Piscina Comunale di Casalpusterlengo presso la quale un’insegnante di
nuoto tiene il corso di acquagym.
Il Centro Diurno è inserito in un lavoro di rete, poiché gli operatori si sforzano di
tenere stretti i rapporti con tutte le agenzie pubbliche e private che condividono
per le proprie competenze il paziente (Servizi dell’Azienda Ospedaliera e
dell’Azienda Sanitaria Locale).
Il lavoro di rete viene messo in atto anche con i Comuni di residenza degli utenti,
poiché coloro che non possono raggiungere il Centro con mezzi propri vengono
accompagnati o dagli autisti dipendenti dei Comuni, dagli obiettori oppure dai
volontari.
Anche i genitori degli utenti, soprattutto del Centro Psico Sociale, hanno fondato
l’“Associazione dei Familiari degli Ammalati Mentali” i cui componenti si
riuniscono una volta al mese al C.P.S. A queste riunioni partecipano lo psichiatra
che è responsabile del Centro Diurno e del Centro Psico Sociale, l’educatrice
professionale ed alcune infermiere professionali.
I frequentatori del Centro Diurno di Casalpusterlengo sono all’incirca 30, di cui
20 maschi e 10 femmine di età compresa tra i 25 e i 60 anni, con un grande
gruppo di quarantenni. L’aspetto relativo alla condizione familiare è molto vario.
Infatti alcuni utenti vivono ancora in casa con entrambi i genitori, altri vivono con
un solo genitore vedovo o separato, altri ancora sono sposati e vivono con il
coniuge, infine un piccolo numero vive da solo. Il Centro Diurno accoglie anche
gli utenti che provengono dal territorio limitrofo. Infatti dei 30 utenti 7 abitano a
Casalpusterlengo, 4 a Codogno, 2 a Livraga, 2 a Castelnuovo Bocca d’Adda ,1 a
Secugnago, 2 a Santo Stefano Lodigiano, 1 ad Ospedaletto Lodigiano, 1 a
Camairago, 1 ad Orio Litta, 1 a Caselle Landi, 4 a Maleo, 2 a Guardamiglio, 1 a
Cavacurta ed 1 a San Rocco al Porto.
L’ammissione avviene ordinariamente dopo una valutazione effettuata dei sanitari
del CPS e un’adeguata presentazione al personale. Alla frequenza vengono
ammessi gli psicotici nei quali il processo morboso, ancora in fase attiva, rivela
48
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
possibilità di recessione mentre l’Io del paziente manifesta capacità di recupero.
Sono anche accettati, in minima percentuale, gli oligofrenici con innesti
schizofrenici riducibili, mentre vengono esclusi tutti i soggetti particolarmente
disturbati in fase acuta.
L’orario ed i giorni sono fissati tenendo conto di eventuali impegni lavorativi
dell’utente e delle possibilità dei mezzi di trasporto dal domicilio alla sede del
Centro Diurno.
Le attività che vengono proposte sono riabilitative e risocializzanti.
Per un intervento, atto a conservare e migliorare le attitudini residue degli utenti,
si propongono attività mirate, da un lato alla conoscenza delle dinamiche
psichiche dei pazienti e dall’altro a stimolarne le capacità di relazione, aspetto
questo ultimo di fondamentale importanza per soggetti in cui la patologia si
esprime in modo evidente nell’isolamento sociale.
Si propongono quindi, in base alle patologie ed al grado di insight dei pazienti,
delle strategie di intervento così finalizzate:
a) gli utenti nei quali è stata constatata una scarsa capacità di interpretazione
a livello verbale sono proposti per un intervento in cui vi sia la possibilità
di offrire interpretazioni “agite”, cioè situazioni nelle quali gli operatori,
agendo, favoriscono nel gruppo, attraverso modalità di interazione,
l’acquisizione di modelli alternativi di comportamento. Ciò che, infatti,
accomuna i pazienti è un Io estremamente fragile che ha difficoltà sia ad
operare delle scelte sia a soffermarsi a lungo su di un compito.
Un modo per offrire un sostegno a questa fragilità è certamente il proporsi, da
parte degli operatori, in una funzione ausiliaria per l'inserimento nelle
dimensioni di spazio – tempo, funzione che si espleta anche ponendo delle
regole precise nei confronti di tali dimensioni.
b) Per i pazienti invece con un buon grado di insight vengono proposte delle
attività in grado di approfondire maggiormente e comprendere le
dinamiche psichiche che sottostanno alla patologia.
Alcuni gruppi svolgono le attività all’interno del Centro Diurno:
49
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
•
Gruppo donne: questa attività era ed è rivolta a donne affette da disturbi
psicotici in fase di stabilizzazione, caratterizzate da povertà intellettiva,
culturale e di marginalità sociale. L’intervento è mirato, attraverso
l’effettuazione di attività tradizionalmente femminili, come il lavoro a maglia
o lo svolgimento di attività culinarie, affiancate da letture e discussioni, a
ridurre le conseguenze sociali della malattia ed in particolare il deficit
relazionale ed a rendere socialmente più accettabili le distorsioni
comportamentali prodottesi nell’adattamento del malato al contesto. In
occasione delle festività o durante l’estate le utenti di questo gruppo vengono
accompagnate ad effettuare qualche gita e a pranzare in un ristorante. Il
gruppo è condotto da un’educatrice professionale, da un’infermiera
professionale con la supervisione di uno psicologo.
•
Gruppo informatica:questa attività ha la finalità di insegnare agli utenti che
lo desiderano ad imparare a utilizzare, ad un livello base, il Pc attraverso la
presentazione dei programmi Microsoft Word e Microsoft Excel. Si svolge
all’ interno del Centro Diurno ed interessa 6 utenti divisi in due gruppi da 3
ed è gestita dal sottoscritto.
•
Gruppo lettura: l’attività del gruppo lettura, che comprende la lettura di
alcuni libri o dei quotidiani, si svolge dentro gli spazi del Centro Diurno.
Anche gli utenti di questo gruppo, che sono 6, durante le festività o in qualche
altra occasione vengono portati ad effettuare qualche gita e a pranzare al
ristorante.L’attività è seguita da un’infermiera professionale.
•
Gruppo psicorelax: questo gruppo si prefigge, creando un ambiente il più
possibile tranquillo attraverso alcuni esercizi ginnici leggeri come lo streching,
di far rilassare gli utenti. L’attività è stata introdotta per coloro che durante il
pomeriggio hanno un grado d’attenzione molto basso. Al gruppo che si svolge
all’interno del Centro Diurno partecipano dai 6 agli 8 utenti seguiti dal
sottoscritto e da un’infermiera professionale.
Il lavoro di rete con le strutture del Comune e con quelle extra cittadine funziona
molto bene infatti, altre attività vengono svolte a Casalpusterlengo, ma all’esterno
del Centro Diurno:
50
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
•
Gruppo acquagym: questa attività si svolge nella piscina Comunale di
Casalpusterlengo e qui gli utenti e le utenti svolgono degli esercizi che
un’istruttrice mostra loro.Gli utenti che partecipano a questo gruppo sono 10.
Questa attività è finalizzata alla comprensione delle regole contestuali, a
consentire lo svago degli utenti ed a migliorare il loro grado di
socializzazione.L‘attività è seguita
da un’educatrice professionale e da
un’infermiera professionale.
•
Gruppo dog sitter: questa attività aiuta gli utenti che vi partecipano ad
avvicinarsi al mondo degli animali. Per questa ragione, il gruppo si reca due
volte alla settimana al canile di Casalpusterlengo ed interessa 5 utenti che,
seguiti da un’infermiera professionale, accudiscono e coccolano i migliori
amici dell’uomo abbandonati.
•
Gruppo mercato: questa attività è finalizzata ad insegnare agli utenti ad
acquistare e utilizzare in modo adeguato il denaro ed a comprenderne il
valore. Il gruppo si reca, circa due volte alla settimana, al mercato che si
svolge a Casalpusterlengo ed interessa 4 utenti seguiti da due infermiere
professionali.
Altre, attività ancora, vengono svolte presso strutture esterne:
•
Gruppo “Scuola d’arte Bergognone”: questa attività ha iniziato ad essere
sperimentata nel 1990 ed ha sempre ottenuto buoni risultati, sia a livello
riabilitativo sia nell’acquisizione di nuove attitudini tecnico – manipolatorie,
per cui lo svolgimento continua, ormai da diversi anni, con possibilità di
partecipazione di nuovi utenti. Il gruppo è indirizzato a giovani psicotici con
spiccato interesse per l’attività artistica. In questa scuola d’arte gli utenti
disegnano imparando ed affinando l’uso di diverse tecniche pittoriche, come il
puntinismo, le macchie di colore accostate ed utilizzano i materiali più
appropriati ad esempio: i pennarelli, gli acquarelli, le tempere, i colori ad olio
ecc. Inoltre essi svolgono copie dal vero di vari soggetti: nature morte, quadri,
sculture seguiti dagli operatori del Centro e sotto la supervisione o del
direttore della scuola o delle sue collaboratrici Il gruppo è formato
mediamente da 5 utenti e condotto presso la “Scuola d’arte Bergognone” di
51
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
Lodi da un’educatrice professionale, un’infermiera professionale, con la
supervisione periodica dello psicologo.
•
Gruppo calcio: questa attività che si svolge al campo sportivo della
Parrocchia dell’Addolorata di Lodi ha riscosso sempre molto successo tra gli
utenti, tanto che del Centro Diurno di Casalpusterlengo partecipano 6 utenti, ai
quali si aggiungono quelli del Centro Diurno e della Comunità protetta di
Lodi.
Le partite si svolgono, secondo un calendario, che raggruppa le
formazioni dei vari Servizi psichiatrici presenti in Lombardia, divisi in due
gironi a seconda del luogo di provenienza. La squadra del Centro Diurno di
Casalpusterlengo, della Comunità Protetta e del Centro Diurno di Lodi,
denominata “Pegaso”, disputa con scadenza quindicinale le partite, quelle
casalinghe o gli allenamenti li compie il martedì e le trasferte il mercoledì,
infatti, ogni girone comprende un turno di andata ed uno di ritorno. Uno degli
scopi di questa attività è utilizzare in modo produttivo la cooperazione ed un
sano antagonismo. Non a caso è stata scelta, come attività sportiva, il calcio
che è un gioco di squadra, poi, secondo il mio punto di vista, la disciplina
sportiva racchiude in sé altri significati che di conseguenza vengono appresi
dagli utenti, come il sacrificio, l’impegno e l’altruismo.
Questo gruppo è seguito da un’infermiera professionale per quanto riguarda il
Centro Diurno di Casalpusterlengo e da due infermieri professionali del
Centro Diurno più un O.t.a. della Comunità Protetta. Chiaramente sia i due
infermieri professionali sia l’O.t.a. giocano nella squadra con gli utenti e
secondo il regolamento, una squadra composta da otto elementi può schierare
al massimo tre operatori contemporaneamente. Quando c’è un periodo di
pausa dettato o dalle festività o, in concomitanza con la chiusura del torneo di
andata, in attesa di disputare il ritorno, la squadra “Pegaso” si allena nel
campo di calcetto di San Fiorano (Lo).
•
Gruppo di ginnastica dolce: questa attività è rivolta a pazienti psicotici
giovani,
finalizzata
al
recupero
o
all’acquisizione
di
un’adeguata
coordinazione motoria, in modo da facilitare l’aggregazione, lo spirito di
gruppo e lo scarico dell’agressività attraverso l’attività ginnico sportiva. La
52
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
ginnastica dolce si svolge nella palestra di San Fiorano (Lo) e vi partecipano 5
utenti seguiti da un’educatrice professionale e un’infermiera professionale con
la supervisione tecnica di un’insegnante di educazione fisica.
•
Gruppo uscite: questa è un’attività che si svolge in primavera e ha lo scopo
di accompagnare gli utenti, seguiti dalle due educatrici professionali,a visitare
il partimonio storico - culturale delle città vicine.
La giornata tipo è la seguente: gli utenti arrivano in un orario che va dalle 8.30
alle 10.00. Appena sono arrivati, viene somministrata a chi ne ha bisogno,
dall’infermiera professionale, la terapia. Poi a turno, o un’operatrice o un utente
prepara il caffè che bevono tutti insieme. Il martedì verso le 9.30 c’è la riunione
d’équipe, poi iniziano le varie attività per coloro che le frequentano, altrimenti chi
non vi partecipa svolge attività ricreative. Verso Mezzogiorno gli utenti e gli
operatori scendono in mensa a pranzare ed al rientro c’è un momento di svago che
gli operatori condividono con i pazienti giocando a biliardino, a biliardo, o a carte.
Il pomeriggio è lasciato libero tranne per i giorni interessati da qualche attività
alle quali partecipano coloro che vi hanno aderito.
Centro Diurno di Casalpusterlengo: attività
Mattino
Lunedì
Martedì
Mercoledì
Giovedì
Venerdì
Gruppo arte
Gruppo donne
Gruppo
Gruppo
Gruppo
lettura
piscina
palestra
Gruppo
Gruppo
Gruppo
informatica 1
informatica 2
calcio*
Gruppo
mercato
Pomeriggio
Gruppo
Gruppo
dog sitter
psicorelax
*Il calendario del gruppo calcio prevede una scadenza quindicinale con lo svolgimento degli
allenamenti o delle partite casalinghe il martedì e le trasferte il mercoledì.
53
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
L’educatore all’interno del Centro Diurno di Casalpusterlengo interviene nei
seguenti aspetti della vita del Servizio:
♦ partecipando a quasi tutte le attività e stendendo i progetti educativi relativi a
queste.
♦ incentivando e promuovendo momenti di interesse durante i “tempi – morti”.
Infatti in un Centro Diurno per pazienti psichiatrici, a differenza che in altro
servizio, come un C.s.e., non ci sono attività continuative e tempi serrati ,ma
gli utenti sono abbastanza liberi di gestirsi il tempo, se non sono impegnati
nelle varie attività. Quindi capita spesso di vederli nella sala ricreativa a
trascorrere il tempo senza far nulla ,anche se stanno bene. L’educatore durante
questi periodi propone argomenti di interesse generale o attività ludico
ricreative, stimola la conversazione, senza costringere nessuno ad una
partecipazione forzata.
♦ Ascoltando ed eventualmente dando consigli, se questi vengono richiesti,
relativamente ai problemi che vengono manifestati.
♦ Proponendo ed incentivando uscite in luoghi di interesse per gli utenti.
♦ Accompagnando e seguendo gli utenti quando si recano in mensa a pranzare;
in questo compito l’educatore è affiancato dalle figure infermieristiche.
♦ Effettuando alcune visite domiciliari.
♦ Partecipando insieme a tutte le altre figure che operano all’interno del Servizio
alle riunioni di équipe durante le quali vengono segnalati, al responsabile del
Servizio, i comportamenti anomali da parte di qualche utente o nomi di coloro
che non stanno bene.
♦ Partecipando ad alcuni corsi di aggiornamento all’interno o all’esterno
dell’Azienda Ospedaliera.
Le varie figure che compongono l’organico del Centro Diurno, oltre alle due
educatrici professionali, sono le seguenti: tre psichiatri, uno psicologo, una
caposala e quattro infermiere professionali.
54
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
4. L’EDUCATORE PROFESSIONALE IN PSICHIATRIA
4.1 BREVE STORIA
All’inizio degli anni Ottanta, in contemporanea con la Riforma Sanitaria,
l’educatore professionale fa il suo ingresso in ambito sanitario. In particolare, egli
viene previsto come figura professionale dell’équipe psichiatrica quando, sulla
scorta della legge 180/78 recepita dalla legge 833/78, incominciano a svilupparsi
la nozione e le pratiche di riabilitazione psicosociale. Già con la precedente legge
431/68 (legge Mariotti) che aveva previsto la presenza negli ospedali psichiatrici
della figura dello psicologo, c’era stata una prima apertura verso una dimensione
non esclusivamente sanitaria nell’intervento in ambito psichiatrico. All’inizio
l’educatore professionale ha offerto il suo contributo soprattutto in termini
animativi, con un’attenzione particolare rivolta verso l’organizzazione di attività
risocializzanti, ludiche, ricreative, espressive. Via via, in accordo con lo sviluppo
territoriale dei servizi psichiatrici, egli ha contribuito enormemente, grazie alla sua
formazione di tipo socio educativo, a sviluppare una specifica attenzione verso il
contesto sociale e familiare e il suo ruolo di mediatore e la funzione ponte da lui
esercitata hanno avuto un peso non indifferente nel sostenere il processo di
integrazione socio- lavorativa delle persone affette da disturbi psichici.
55
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
4.2 RUOLO E FUNZIONI
La relazione con i pazienti psichiatrici viene vista nella sua evoluzione continua,
all’interno della quale alcuni modi di essere di questi, uscendo dagli schemi,
divengono specifici modi di dirsi dei soggetti che incontriamo. All’interno di
questa dinamicità si ritrova lo specifico dell’educatore professionale. Questa
figura, partendo dall’universalità del rapporto umano, tramite particolari tecniche
ed una formazione mirata, arriva all’intervento delle situazioni di bisogno per
superare o rendere meno evidenti gli effetti negativi per la persona.
L’educatore è stato inserito in psichiatria all’inizio soprattutto per far svolgere agli
utenti alcune attività, per animare parti della giornata attraverso tecniche
espressive finalizzate ad intrattenere e divertire. Purtroppo si è dato poco spazio al
prendersi cura dell’individuo inteso nella sua globalità. È quindi importante
sottolineare soprattutto questa dimensione per mantenere la specificità
dell’educatore anche all’interno di un contesto sanitario psichiatrico. Ciò che
infatti preme qui sottolineare è che l’educatore professionale deve mantenere
anche all’interno di un contesto di tipo psichiatrico la sua realtà professionale.
Quella dell’educazione è una riabilitazione centrata sulla relazione, con un’ottica
di tipo progettuale e di lavoro di rete.
L’educatore professionale all’interno di un servizio psichiatrico si trova a gestire,
tutti i giorni e continuamente le richieste più remote degli utenti, ad accoglierli, a
fornire e garantir loro spazi sicuri. Quindi ha il ruolo di accettare lo stato dei
pazienti, comprese le loro patologie ed i sintomi, non richiedendogli compiti
superiori alle loro capacità; questo professionista deve anche instaurare con gli
utenti rapporti confidenziali, informarsi sulle loro condizioni di salute e sulla loro
qualità della vita, comprendere e connotare in modo positivo i “tempi morti”, che
sono caratteristici in un servizio psichiatrico, dove può decidere di riempire questi
momenti, oppure può lasciare che, durante questi, gli utenti si riposino.
L’educatore professionale ha anche tra le altre funzioni quella di fare da tramite
tra il paziente ed il suo ambiente per aiutarlo ad utilizzare le parti sane e a
56
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
recuperare capacità che permettano al soggetto di riavvicinarsi alla realtà sociale.
L’educatore deve anche “accettare lo stato attuale dei pazienti, compresa la loro
passività patologica e alcuni dei sintomi, non richiedere prestazioni superiori alle
loro possibilità, instaurare rapporti confidenziali e affettivi, preoccuparsi del loro
benessere fisico e anche viziarli un po’; tollerare e connotare positivamente il loro
far nulla […] ribadire le istanze, i giudizi della realtà esterna e della società, i
diritti degli altri e i doveri propri; promuovere il gusto e la capacità di essere attivi
e trasformativi, di agire propositivamente sul mondo circostante; far apprendere
abilità specifiche e comunque strumenti di maggiore autonomia, personale,
economica ecc; sviluppare il senso del rispetto delle competenze e delle
responsabilità di ciascuno; far capire l’importanza della coerenza, della puntualità
dei valori legati agli aspetti strutturali della convivenza12”.
Inoltre l’educatore deve sostenere il processo di crescita e di individuazione,
sollecitare la riflessione sul proprio modo di essere, passato, presente e futuro, far
acquisire agli utenti nuove capacità di autoprogettarsi nel contesto limitrofo,
comunicare il gusto del bello e favorire e il piacere di condividere con gli altri
emozioni, sentimenti e progetti.
Questo può avvenire soprattutto con i pazienti gravi, quindi occuparsi in maniera
esclusiva dei bisogni emotivi e profondi della persona. Si prendono, così, in
considerazione non tanto le cose, ma il significato che queste hanno avuto per il
soggetto.
12
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “Stare, fare, creare…”, Masso delle Fate Edizioni, Firenze
1996, pag.37.
57
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
4.3 L’EDUCATORE TRA SOCIALE E SANITARIO
L’educatore professionale, come viene specificato nell’art. 1 del D.m. 520/98, è
un operatore socio - sanitario. Il riferimento a queste due dimensioni richiama
immediatamente l’annosa questione dell’integrazione tra sociale e sanitario.
Franca Olivetti Manoukian ha condotto interessanti riflessioni su questo tema.
Essa osserva che, a proposito dell’integrazione tra sociale e sanitario e
dell’inserimento dell’educatore professionale nei servizi sanitari occorre prendere
in esame quattro elementi:
1. L’integrazione dell’educatore nei servizi non è facilitata dalla definizione
di contenuti professionali a sé stanti.
2. L’integrazione è un problema organizzativo.
3. I processi di integrazione sono affrontabili all’interno di una concezione
dell’organizzazione come realtà complessa.
4. L’integrazione è un obiettivo organizzativo.
L’integrazione dell’educatore nei servizi non è facilitata dalla definizione di
contenuti professionali a sé stanti: l’intervento dell’educatore in psichiatria
avviene tramite una specificazione del suo operare. Su ciò si basa in modo
riduttivo l’introduzione di questa figura professionale all’interno di dei servizi
psichiatrici e questo fatto invece di facilitare l’integrazione tra i vari profili, che
operano in quest’ambito, la rende più difficile.
La collocazione dell’educatore nei servizi è stata portata avanti solo da interventi
non corali, ma condotti da singoli soggetti che volevano mostrare le competenze
che possedevano. Come si sa dalle esperienze svolte all’interno dei servizi, queste
producono dei rifiuti. Un altro problema che l’educatore professionale può
incontrare nel campo dell’integrazione è legato agli aspetti delle attività manuali
che, se proposte, soprattutto in équipe da questi professionisti, non vengono
accolte o vengono accettate tiepidamente, anche perché questo crea confusione e
viene visto come una competizione tra le varie figure operanti nei servizi e tra le
58
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
diverse attività proposte. Appare, comunque, chiarissimo che il porsi nei servizi
con tentativi individuali, definendo la propria attività, origina piccoli conflitti.
L’integrazione è un problema organizzativo: l’introduzione degli educatori nei
servizi psichiatrici era ed è stata fatta in base a modelli di funzionamento
organizzativo meccanicistici. L’idea è di una macchina all’interno della quale,
inseriti i vari pezzi in posizioni prefissate, tutto sarà operativo. Il concetto di base
afferma che le varie figure agiscono ognuna dando il proprio contributo
relativamente agli ambiti di competenza. Anche per questo motivo è importante
che le figure sanitarie affianchino quelle sociali per creare servizi socio – sanitari.
Se si mantiene il modello meccanicistico, la questione dell’integrazione risulta
difficile da prendere in esame.
Il termine integrazione secondo Franca Olivetti Manoukian contiene due filoni di
significati: “-completare, supplire a mancanze: integrare come intervenire per
sopperire a carenze;
-tenere insieme ,mescolare, fondere parti diverse – quasi in riferimento a
“pienezza”, “integrità”, salvaguardia e sviluppo di un tutt’uno.”13
Dal punto di vista organizzativo è più utilizzata la seconda definizione. “In una
concezione meccanicistica il tenere insieme è dato però da una razionalità formale
che nel nostro caso è sostenuta da principi generali. La rappresentazione
dell’integrazione non va al di là della definizione: i vari pezzi devono
congiungersi.14”
Inoltre nei servizi, il modello meccanicistico è sostenuto dalla cultura sanitaria
dove risulta dominante l’organizzazione ospedaliera che è marcata da
orientamenti di tipo meccanicistico. Nella bozza di Progetto Obiettivo per la
Psichiatria, l’inserimento degli educatori viene visto come supporto al sistema che
già esiste dove si parla di educatori professionali ovvero terapisti della
riabilitazione. Ciò sta ad indicare che vicino al termine educatori si usa una parola
13
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “Stare, fare, creare…”, Masso delle Fate Edizioni, Firenze,
1996 pag.21.
14
Ibidem.
59
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
più consona all’interno di un dizionario sanitario, ma la denominazione conta, in
quanto il nome ha a che fare con l’identità professionale.
I processi di integrazione sono affrontabili all’interno di una concezione
dell’organizzazione come realtà complessa: il problema dell’integrazione può
essere analizzato all’interno di una visione dell’organizzazione come realtà
complessa, che possiede finalità sociali elevate che devono essere lette come
obiettivi operativi difficili sia da individuare sia da rappresentare. È proprio
questo passaggio che permette di capire l’importanza dell’integrazione
organizzativa. “È molto difficile per le organizzazioni produrre, se ognuno è
rivolto alla realizzazione dei propri obiettivi. Nei casi migliori producono dei
singoli professionisti, non produce l’organizzazione, il servizio. Perché i servizi
producano è cruciale che gli obiettivi di ciascuno siano negoziati e concordati, ma
non possono esserlo solo sul piano operativo, sul piano organizzativo spicciolo”15.
Nei servizi esistono più culture che sono influenti su molti aspetti del lavoro.
Capita molte volte che queste vengono date per scontate o non riconosciute.
Coloro che appartengono ad una determinata cultura la considerano comprensiva
delle altre ed impenetrabile. L’integrazione è possibile se nelle due culture,
sociale e sanitaria, ci si pone come coloro che portano ipotesi e capacità: cioè
come chi è interessato a trattare una ricerca su problemi complessi. In questo
modo ci si confronta e si sviluppano delle sperimentazioni. L’organizzazione, cioè
il funzionamento dei servizio come insieme di processi diretti ad individuare
obiettivi e modi per realizzarli e ad offrire agli operatori supporti e stimoli per
sperimentazioni e negoziazioni, è fondamentale per sostenere orientamenti che
sono difficili da tenere e che non sono congruenti con le richieste soggettive degli
operatori.
L’integrazione è un obiettivo organizzativo: questo significa che è qualcosa che
deve essere rappresentato, formato, ipotizzato, scomposto in sottobiettivi tangibili
vanno anche individuate strategie per raggiungerlo. Deve essere raggiunta in
15
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “Stare, fare, creare…”, Masso delle Fate Edizioni, Firenze,
1996 pag.22.
60
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
tempi che sono lunghi; bisogna inoltre investire risorse ed attenzioni per prendere
in esame i problemi.
Parlare di un obiettivo organizzativo significa che esso deve essere chiaramente
individuato da chi nell’organizzazione ha delle responsabilità gestionali e che può
essere considerato da coloro che vi operano, come componente intrinseca
dell’attività svolta e richiesta dall’organizzazione stessa.
Operativamente vanno promossi riaggiustamenti organizzativi all’interno dei
servizi, in aree o progetti definiti , per promuovere integrazione. Questo non è
semplice, ma possediamo saperi che possono esserci di supporto “nel ricordarci
che è importante il riferimento ad una concezione organizzativa aperta e flessibile,
che va promossa l’esplicitazione e il confronto degli orientamenti culturali
condivisi dagli operatori e che va anche verificata la loro congruenza con le
esigenze “produttive” del Servizio; che vanno costruite delle strategie, che vanno
individuati degli operatori (anche uno o due)che siano in grado di sostenere delle
negoziazioni e di reggere nel tempo alle inevitabili difficoltà16”
16
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “Stare, fare, creare…”, Masso delle Fate Edizioni, Firenze
1996, pagg. 25,26.
61
Il ruolo dell’educatore professionale e del centro diurno negli interventi riabilitativi psichiatrici
CONCLUSIONI
Questo lavoro mi ha permesso di conoscere in modo più approfondito l’area della
riabilitazione in psichiatria analizzandone l’aspetto legislativo, le strutture e
soprattutto il ruolo che l’educatore possiede in questo campo.
Mi è stato particolarmente utile, per la stesura di questo elaborato, aver raccolto
dati utili ed interessanti durante la mia attività di tirocinio, svolta in un Centro
Diurno, che mi ha offerto la possibilità di un rapporto diretto con gli utenti, di cui
ho conosciuto da vicino i problemi.
Il contatto concreto con la realtà mi ha aiutato, inoltre, ad acquisire conoscenze
nuove, a comprendere meglio, ad approfondire e ad applicare direttamente le
nozioni teoriche apprese durante i tre anni di studio.
Penso proprio che questa esperienza abbia reso più chiara ed esauriente la mia
tesi.
62
5. BIBLIOGRAFIA
•
G. Borsotti “Il day hospital psichiatrico” tesi di laurea 1993.
•
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “Stare, fare, creare…”, Masso delle Fate
Edizioni, Firenze 1996.
•
M.Cardini, L. Molteni (a cura di) “L’educatore professionale”, Carocci Faber,
Roma 2003.
•
M. Cardini “Appunti del corso di metodologia dell’educazione professionale”
tenuto presso l’E.s.a.e. nei giorni 15, 21, 28 aprile e 6 maggio 2004.
•
Paola Carozza “La riabilitazione psichiatrica nei centri diurni” Franco
Angeli, Milano 2003.
•
C. Hume, I. Pullen, “La riabilitazione dei pazienti psichiatrici”, Raffaello
Cortina Editore, Milano 1994.
•
L. Massazza “Relazione di tirocinio” Relazione per l’esame di tirocinio e
guida al tirocinio 2004
•
C. Mencacci, “La dimensione organizzativa e gestionale dei servizi di salute
mentale nel contesto del sistema sanitario”, Corso rivolto al personale delle
Unità Operative di Psichiatria, 2004.
•
B. Saraceno “La fine dell’intrattenimento”, Etaslibri – RCS Medicina, Milano
1995.
•
Regione Lombardia Direzione Regionale Sanità “Piano Regionale Salute
mentale”, 2004.