Un cielo da non dimenticare di Francesco Fermani 5I UWC Cacciari

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Un cielo da non dimenticare di Francesco Fermani 5I UWC Cacciari
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Un cielo da non dimenticare di Francesco Fermani 5I
Mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza scrivendo qualcosa di ciò che di bello e di brutto avevo vissuto. Un’immagine,
simbolo del mio intero anno passato in Sud Africa, mi è balzata
alla mente. Il cielo azzurrissimo e sconfinato di laggiù: se da una
parte la bellezza ti mozza il fiato, il cuore sobbalza davanti alla
visione di un orizzonte senza fine e soffre per l’impossibilità di
raggiungerlo. In ciò si può vedere rappresentata la mia esperienza: non con mille parole, ma forse con una si potrebbe descrivere.
Ho imparato.
Ho imparato
che la colazione pronta
al mattino non
è un diritto,
ma un privilegio; ho imparato che nella
vita non vince
il più permaloso, ma quello
p ro nt o
a
scendere
a
compromessi;
ho imparato
che se sono triste ho il dovere di rialzarmi, perché io ho tutte le
possibilità per farlo mentre c’è chi vorrebbe, ma materialmente
Cacciari
non può; … e forse, ancor più importante, ho imparato che nella
vita non devi aspettare, ma se vuoi che qualcosa accada lo devi
fare accadere tu.
Sono stato felice. Malato, ci sono state schiere di gente a bussare alla mia porta per aiutarmi; annoiato, insieme agli amici abbiamo capito che per divertirsi non è importante il dove o il quando,
ma il con chi. Sono stato felice di accorgermi che se si è se stessi e non come gli altri ci vogliono si viene accettati lo stesso
anche se forse un po’ più a fatica.
Ho sofferto. In un giro di schiena all’aeroporto persi tutto. Persi il
mio letto, la mia camera, i miei comfort, la mia quotidianità pensata banale, i miei amici e la mia famiglia. Non avevo più il passato su cui basare il mio futuro: ero così libero che mi sentivo
perso. Dovevo dimenticare di avere vissuto per 17 anni prima e
ripartire da zero perché i due mondi non potevano coesistere nel
mio fragile essere.E come bilancio finale? Quello che sono, lo
sono anche per quello splendido, strano anno e non voglio rinnegare me stesso. Nessuna meta si conquista senza soffrire, ma
se non si raggiunge nemmeno una meta, comunque si può dire
che la sofferenza ci serve ad apprezzare tutti quei momenti in cui
non c’è e in cui ci dimentichiamo che niente è o bianco o nero.
Un’esperienza come un’altra, che poteva essere vissuta ovunque e in mille altri modi. Io l’ho vissuta così, laggiù. L’unica cosa
che forse la distingue da quella dei miei amici rimasti in Italia è
forse quell’azzurrissimo e sconfinato cielo.
Incontro con Cacciari di Alessandro Candolini 4D
.Si è tenuto lo scorso venerdì 27 febbraio, nell'aula magna dell'istituto Malignani, un intervento del professor Massimo Cacciari
nell'ambito del progetto "Vivi la tua città - Legalità e cittadinanza
attiva". Tema centrale il difficile e per certi versi contraddittorio
rapporto tra senso di sicurezza e libertà individuale. La strana
società nella quale viviamo risulta di fatto dominata da un insanabile conflitto; due gli elementi in costante contrapposizione: da un
lato troviamo l'individuo, fine a se stesso, bisognoso di perfetta
libertà individuale, fautore di uno Stato minimo e alla continua e
incessante ricerca di sempre maggiore autonomia ed indipendenza nella propria immensa ed intoccabile sfera privata; dall'altro ritroviamo quel medesimo individuo, completamente libero,
ora pretendere assoluta sicurezza e certezza di diritto.Un quadro
complesso della nostra società moderna quello tracciato dal relatore, dal quale emerge distintamente la figura dell'individuo, il
tutto indiviso e indivisibile che Cacciari definisce, nel senso etimologico del termine, irresponsabile. Responsabilità è una buona
parola, implica dialogo, ascolto dell'altro ma anche capacità di
rispondere, di corrispondere; capacità questa di cui non può che
essere privo colui che, pretenzioso di assoluta libertà, da sempre
si chiude e si barrica nella propria isola di individualità. Comprendere questo punto diventa fondamentale per procedere oltre
nell'analisi delle cause profonde del contrasto sopra evidenziato.
Solo quando l'individuo mosso dal desiderio di rispondere, cerca
e si sforza di capire l'altro, solo allora esso diviene individuo responsabile, cioè persona. Tommaso d'Aquino definiva persona
"per se ad alium ", espressione latina che bene esprime questa
apertura dell'io verso l'altro.
Resta tuttavia di chiarire come un individuo quale quello sopra
ritratto si rapporti al concetto di sicurezza. Necessaria a tali fini
esplicativi è una rapida digressione sul significato stesso del termine sicurezza, presente nella nostra cultura quanto nel senso
comune sotto diverse accezioni. Derivante dal latino - sed + cura,
cioè senza cura - letteralmente esso rimanda ad una condizione
di assenza di cura e di mancanza di preoccupazione. ma può
forse essere questa la sicurezza che la persona, individuo responsabile, reclama, se responsabilità implica dialogo, cura e
preoccupazione?
Nel momento in cui entra a far parte di una società, l'individuo
stabilisce rapporti reciproci con altri uomini; nel momento in cui
egli tuttavia va ricercando sicurezza, scioglie tali rapporti, rompe
il dialogo, innalza barriere dietro le quali difendersi, cessa di avere cura e preoccupazione creando in tal modo i presupposti per
quella che Cacciari non esita a definire "la più generale ed insuperabile delle insicurezze".
La vera sicurezza sta dunque nell'assenza di sicurezza, nella
responsabilità, nell'aver cura; un aver cura che non sia semplice
accidente della propria personalità, quanto essenza stessa della
natura umana. E' paternalismo credere in un io pronto ad aiutare
il prossimo perchè animato da un sentimento di bontà; è l'interiorità stessa a chiedere all'io di essere responsabile. Nell'apertura
all'altro e non nell'isolamento dall'esterno, l'uomo vince l'inquietudine e l'insicurezza cui il mondo quotidianamente lo sottopone.
Un radicale cambio di mentalità è ciò che in definitiva il relatore
chiede; solo coltivando la dottrina della vera sicurezza sarà infatti
possibile superare felicemente gli epocali fenomeni che travolgono la società do oggi. Determinante in questo il ruolo della scuola, come il relatore lascia trasparire nelle ultime fasi dell'intervento; scopo di una tale istituzione non è infatti tanto quello di fornire
ai giovani un sapere nozionistico quanto piuttosto quello di educare quegli stessi a dominare le insicurezze che l'avvenire riserva loro. E' demagogia pensare che tutto sia sicuro e nessuno
chiede di esser rassicurato. Occorre invece prepararsi ad affrontare quel grande esame che la vita ci prepara, un esame che per
nulla possiamo essere certi di passare.
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Cinema 5N
CINEMA FAI-DA-TE di Ivan Minigutti 5 N
Esperienze di cinema fatto in casa, con poca esperienza, poco tempo e pochi mezzi ma tanta voglia di fare.
E’ noto a tutti che le gite scolastiche sono un’ottima opportunità
di socializzazione e divertimento per i ragazzi che nella maggior
parte dei casi si incontrano soltanto nell’ambito scolastico.
Con questo presupposto siamo partiti per la gita scolastica 20022003, intenzionati a portarci a casa un bel ricordo di quel viaggio
e di quella strampalata classe IV° N. Per questo portai con me la
mia nuova e fiammante videocamera (diciamocelo, mi sentivo
figo), regalo per il mio diciottesimo anno di età. L’idea era quella
di creare una sorta di diario della gita inserendo dei “clip” di tutte
le nostre attività, sia quelle riguardanti le visite guidate, sia quelle
meno “ortodosse” della vita quotidiana di un gruppo di studenti in
gita (che non si sa mai cosa può succedere). Durante il viaggio
d’andata, però, iniziavo già a pensare a qualcosa di più innovativo, artistico direi, qualcosa che potesse avere un senso anche
per chi quei momenti non li aveva vissuti; da qui l’idea di girare
un film, con una storia che parlasse di vita e morte, bene e male,
droghe, alcol, bella musica, azione e tanto divertimento.
Subito però sorsero alcuni problemi, come ad esempio la scelta
della trama: ognuno aveva le sue idee, alcune interessanti altre
meno, alcune possibili altre pura fantascienza per i mezzi a nostra disposizione. Un altro grosso problema fu quello di conciliare
il tempo necessario alle riprese delle scene con tutti i nostri impegni da bravi studenti, come ad esempio … mmhh… dunque …
bhò!
Le idee nelle nostre menti lievitavano e si moltiplicavano in maniera esponenziale, tanto che alla fine tutto esplose … e non ci fu
più nulla di certo, definito o programmato. A questo punto abbiamo agito presi dall’impeto delle situazioni, sentendo ciò che ci
trasmettevano i luoghi in cui ci trovavamo. In questo stato di convulsa improvvisazione fu di
assoluta importanza la tecnica
con cui il nostro
Luca seppe usare la mia videocamera, sapendo, cito testualmente dai titoli di
coda, “cogliere
grazie ad essa
ogni
prezioso
particolare, rendendoci orgogliosi del nostro lavoro”. Approfitto
d e l l ’ occ as i on e
per ringraziarlo
nuovamente per
il suo contributo
dato anche per
la selezione dei
brani e per il
continuo flusso
di idee (malate)
fra la sua mente
e quel che rimane della mia.
Dopo
essere
ritornato a casa
ed aver riversato
sul mio fido PC
tutta quella mole di immagini, iniziai a demoralizzarmi: a parte
qualche scena a lungo meditata e recitata con consapevolezza,
rimaneva un mucchio informe, psichedelico, grezzo e apparentemente inutile di fotogrammi rubati qua e là alla vita delle città di
Pisa, Firenze e Lucca. Per lungo tempo rimase tutto là, rintanato
in un anfratto del mio hard disk senza che io provassi nemmeno
a districare quella matassa. Un giorno, disponendo di qualche
ora di tranquillità, mi feci coraggio e feci il fatidico doppio clic su
quell’icona del mio desktop. Iniziai a vedere la luce, pian piano,
ma la vidi; notai che quelle immagini così allucinate potevano
essere un punto di forza, perché non erano poi così casuali: Luca era riuscito a darmi una vastissima scelta e varie opportunità
di azione. Ora sembrava che tutto avesse un senso. Mancava
solamente un “piccolo” particolare: la trama. Ma preso
dall’entusiasmo feci una cernita di ciò che avevo e, con una piccolissima aggiunta fatta in casa, la trama si materializzo nella
mia testa.
Così dopo mesi di lavorazione e dopo aver fatto salire all’interno
della classe una grande curiosità, finalmente io e Luca potemmo
annunciare l’uscita di “DUNKAN’S DREAM”, la nostra opera prima.
Ricordando che senza l’impegno di tutta la classe non avremmo
potuto realizzare questa opera d’arte (modesti, vero?!?!?!), il
regista ringrazia tutti per l’esperienza fatta che cercherò sicuramente di ripetere con la gita di quest’anno.
Solo il tempo potrà dirci cosa nascerà dal viaggio a Praga della
famigerata V N.
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Dietro le quinte del Signore degli Anelli di Letizia Mariotti e Giulia Zigotti 2D
Forse non tutti erano a conoscenza dell’esistenza di un’affascinante
saga fantasy, e del mondo antico e magico racchiuso in quello scoraggiante volume di pagine pochi erano partecipi; dei gruppi di fan
sparsi in tutto il mondo non molti ragazzi facevano parte e forse, un
merito di questo ormai famosissimo ed apprezzato film, è proprio
quello di averci fatto riscoprire ed amare il quasi dimenticato libro di
Tolkien. Il Signore degli Anelli è una delle poche opere cinematografiche che ha indotto le case editrici a ristampare la trilogia, le
librerie ad esporre lo spesso volume nel punto più in vista delle loro
vetrine e i ragazzi a precipitarsi a comprarlo.
Un tale successo ha lasciato in molti perplessi, il regista non era
Steven Spielberg e gli attori, a parte la bella Cate Blanchett nel ruolo dell’eterea elfa Galadriel dama di Lothlorien, chi li aveva mai visti? Questo ci porta a riflettere sull’indiscussa bellezza e accuratezza del film: i costumi, gli effetti speciali, i panorami, le scene di battaglia, il trucco (penso
che fare le maschere per quei dolci uruk-Hai
sia stato compito piuttosto arduo!), dalle mani di quale artista provengono? Oltre ai meriti
di Peter Jackson (per chi non lo sapesse il
regista) e degli attori; come si spiega la conquista di ben undici oscar per l’ultimo capitolo della trilogia?
Dunque, per girare un film di ambientazione fantastica, specialmente se di queste proporzioni, è necessario un enorme lavoro che presenta serie difficoltà non solo per quanto riguarda trucco, scenografia o effetti speciali, lasciati alle cure di veri artisti, ma altre di tipo
assai più pratico. La prima di queste sta nel rappresentare creature
diverse nelle loro molteplici dimensioni. Dagli elfi agli hobbit c’ è una
differenza che ha richiesto scenari e controfigure appropriati: nelle
scene in cui recitano gli hobbit in primo piano, gli altri personaggi
sono sostituiti dalle loro controfigure in scala gigantesca; al contrario, nelle altre situazioni sono gli hobbit (o i nani) a essere rappresentati dai loro alter-ego in scala ridotta. Questo scambio di attori e
controfigure ha comportato l’utilizzo di uno scenario adatto; quindi
non una, ma due versioni di ogni abitazione o oggetto particolare.
Ad esempio, due sono le case Baggins: una su misura per Bilbo,
una per far sbattere la testa sul soffitto a Gandalf. Così è stato fatto
anche per la locanda “Al puledro impennato” di Brea, per tutti gli
attrezzi e anche per gli animali.
Anche per un altro oggetto sono state fabbricate molte versioni, ma
per scopi diversi. L’Unico Anello, infatti, non è affatto unico, anzi, di
anelli ce ne sono più di trenta, realizzati spesso per un’immagine
che dura pochi secondi. Ci voleva un anello per il guanto metallico
di Sauron, uno per essere appeso al collo di Frodo, uno che volteggiasse nell’aria nel prologo (questa versione ha un diametro di 16
cm), uno che fosse visto cadere nella neve e tanti altri.
Un’altra impresa mastodontica è stata la realizzazione dei costumi e
del trucco, che ha meritato ben due oscar. Il trucco sotto forma di
maschere e protesi in silicone non è presente, come si potrebbe
credere, solo sugli uruk-hai o sui nani, che pure ne sono l’aspetto
più evidente, ma anche sugli attori principali. Saruman e Gandalf
hanno, per esempio, due nasi finti e le orecchie di Liv Tyler non
sono certo naturalmente a punta!Neppure i capelli di Galadriel sono
così lunghi ed ondulati, per non parlare di quelli di Legolas. I costumi hanno implicato una cura particolare e un lungo studio. Mentre
tutti sanno come creare i vestiti per un film storico o contemporaneo, per un film fantastico bisognava inventare tutto: serviva uno stile
adatto all’eleganza misteriosa degli elfi, uno che rispecchiasse la
semplicità degli hobbit, uno per i guerrieri come i cavalieri di Rohan,
uno per il popolo di Gondor e la bella e determinata Eowyn. Il libro
era sì a disposizione, ma è stata soprattutto la fantasia di Ngila Dickson e la professionalità di sarti e costumisti a guadagnarsi l’oscar.
Non solo, ma con il procedere del film si è vista la necessità di
costumi diversi, molti di questi devono avere molteplici versioni che siano state lavorate per ottenere un diverso stato di
usura e deterioramento, basta confrontare l’impeccabile mise
da viaggio di Frodo del primo film con quella assai diversa
presente nel terzo.
Per quanto riguarda gli effetti speciali, i più evidenti sono i
possenti (e pure brutti) troll e goblin e le scene di battaglia di
enormi proporzioni, ma non vanno certo dimenticati i serafici
Ent e le bellissime scenografie (la torre di Isengard è alta non
più di un metro); per le quali non è certo bastato
l’incontaminato scenario della Nuova Zelanda (si pensi ai cavalieri che prendono forma nell’acqua del fiume sbaragliando
così i Nazgul).
Ma l’effetto speciale per eccellenza, ciò che caratterizza forse
tutto il film, sia per chi si è avvicinato per la prima volta al
mondo di Tolkien, sia per chi aveva già letto il libro, è Gollum,
l’esserino dalla caratteristica voce sibilante. Per far recitare
Gollum, oltre al computer, è stato necessario un vero attore,
che si muovesse vestito solo di un’aderentissima calzamaglia
di lycra, sopra la quale è poi stato aggiunto il corpo bianco e
smagrito del personaggio in questione tramite il computer. Un
attore pure bravo, che è riuscito a strisciare, a saltellare e a
comportarsi, come lui stesso ha in seguito dichiarato, “da Anello-dipendente, da drogato”. Lode anche al doppiatore, non
si può certo dire che non abbia magistralmente interpretato i
sibili e l’inquietante voce di Gollum, personaggio significativo
perché, nonostante il suo indubbio ruolo negativo, per ironia
della sorte, è proprio grazie a lui che l’Anello sarà poi distrutto.
A rendere ancora più magico tutto questo contribuisce
l’appropriata colonna sonora.
Howard Shore si è trovato ad
affrontare un compito difficile
quanto appassionante: comporre musica per un’intera
orchestra ed il coro. “Il risultato ha una tonalità di estrema
coerenza ma, nello steso tempo, riflette tutte le differenti
culture della Terra di Mezzo.
Non è stata un’impresa da
poco” come ha detto il regista Peter Jackson. E forse proprio
perché non è stata un’impresa da poco che alcune canzoni,
peraltro le più note, sono state create da artiste quali Enya,
apprezzatissima cantante Irlandese, e Annie Lennox, dalla
voce estremamente coinvolgente.
Lo sfondo sonoro, comunque, non è composto solo dalle note
del compositore, bensì anche da tutti i rumori, i suoni e le parole degli attori registrati in uno studio e sovrapposti in un secondo momento sulla pellicola. Per le urla e i canti degli urukhai in marcia verso il fosso di Helm (ne “Le Due Torri”) è stato
utilizzato un sistema un po’ particolare. Le grida scomposte di
questi mostri non potevano evidentemente essere interpretate
da un coro: Peter Jackson ha risolto la questione andando a
registrare la “performance” dei tifosi di uno stadio vicino ai
luoghi delle riprese, dove si stava tenendo niente di meno che
una partita di rugby!
Un’impresa tale non poteva che essere intrapresa da un team
appassionato ed esperto, dal loro lavoro è nata un’opera che
difficilmente sarà dimenticata come tanti altri ”filmetti americani”, un film che ha visto ampiamente riconosciuto il suo valore
e la sua bellezza e che, se anche in qualcosa ha peccato,
dell’anima di Tolkien è riuscito a darci un’immagine.