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L’APPUNTAMENTO
L’informatica non è roba da ragazze?
Negli anni 70-80 lo era, eccome
Quarant’anni fa un quarto degli iscritti a Pisa erano donne, poi il crollo. Per questo l’Università
toscana organizza un convegno dedicato ad Ada Lovelace, prima programmatrice della storia.
Nella speranza che possa ispirare le più giovani
Pisa, culla italiana della tecnologia
informatica, con un Museo dedicato
agli Strumenti per il Calcolo e una
delle più ampie comunità universitarie
del Paese, rischia di perdere per
strada metà dei suoi talenti nel
settore: le ragazze non si iscrivono
più a Informatica. Se negli anni
Settanta e Ottanta la percentuale di
studentesse di Scienze
La locandina di Stempink, il convegno a Pisa dedicato
alla figura di Ada Lovelace, prima programmatrice della
dell’Informazione (diventata poi
storia
semplicemente Informatica) si
aggirava attorno al 25%, con un picco
di oltre il 30% nel 1981, oggi sono meno della metà. «Dalla fine degli anni ’90 si è
registrato un calo tra le iscritte – sottolinea Nicoletta De Francesco, Prorettore
vicario dell’Università di Pisa nonché informatica – ma il punto più basso si è toccato
nel 2012, con solo l’8% di matricole donne. Oggi c’è una leggera ripresa: nel 2015 le
iscritte al corso di studi di Informatica a Pisa rappresentano poco più del 14%».
Colpa dei pregiudizi di genere che vorrebbero
relegare le donne a un ruolo subalterno in ambito scientifico? Difficile da dirsi, ma
nel frattempo l’Università di Pisa ha deciso di organizzare una tre giorni dedicata a
IN MEMORIA DI ADA LOVELACE
quella che passò alla storia come la prima programmatrice informatica, Ada
Lovelace (al secolo Ada Byron, dal cognome del padre, il celebre poeta inglese) la
cui eredità intellettuale è tuttora contestata a causa di simili preconcetti. Il 9, 10 e 14
dicembre STEMpink raccoglie al Museo del Calcolo di Pisa un parterre di esperte di
nuove tecnologie (tra cui Luigia Aiello, considerata la madre dell’intelligenza
artificiale in Italia), storici internazionali di informatica e scrittori di fantascienza, tra
cui Bruce Sterling, uno dei capostipiti dello Steampunk, genere letterario che deve
molto alle intuizioni di Ada Lovelace. «A soli 19 anni – racconta la Prof.ssa De
Francesco – Ada cominciò a collaborare con Charles Babbage sulla macchina
analitica, che può essere considerata l’antenata del moderno computer. Eppure
ancora oggi la comunità scientifica stenta a riconoscerne i meriti».
C’è anche da dire che con il passare degli anni il Corso di laurea in Informatica
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MEGLIO INGEGNERIA DI INFORMATICA
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sembra aver perso appeal nei confronti dei
giovani, un paradosso se pensiamo alla generazione Y, sempre iperconnessa alla
tecnologia. Eppure negli anni Ottanta gli immatricolati a Pisa oscillavano tra i 550 e i
700 l’anno, con un picco di 1240 iscritti nel 1983, mentre dai primi anni Novanta in
poi difficilmente hanno superato quota 250. E non c’è da stupirsi di fronte alle
statistiche che periodicamente ci ricordano la carenza in Italia di giovani preparati in
ambito high tech. Non è molto più roseo (in ogni senso) il panorama di Ingegneria
informatica: nel 1989 a Pisa si contavano solo 94 iscritti, di cui 4 donne. Da allora gli
immatricolati hanno sempre oscillato tra 170 e 200, con qualche rara eccezione. Gli
ultimi 2 anni hanno fatto registrare performance migliori sia sotto il punto di vista
delle iscrizioni (circa 300) sia sotto quello della percentuale femminile: nel 2014 le
iscritte erano oltre il 18%, mentre nel 2015 sono tornate sotto la soglia del 14%.
Qualche
responsabilità nella scarsa attrattività delle tecnoscienze potrebbe essere anche la
difficoltà per le donne di fare carriera in questo settore. «Su sette direttori di
ITALIA INDIETRO IN TERMINI DI PARITA DI GENERE NELLA RICERCA
dipartimento del CNR – dichiara Anna Vaccarelli (Istituto di Informatica e Telematica
del CNR) – non c’è neanche una donna, mentre tra i 106 direttori di Istituto si
contano solo 16 donne». Stando al rapporto annuale della Commissione Europea
She Figures, che misura la presenza femminile nel campo ricerca e innovazione,
l’Italia si colloca a metà classifica tra i 27 Paesi dell’Unione (in cui si contano anche i
dati relativi a Croazia, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Islanda, Israele,
Norvegia, Svizzera e Turchia). Ma non ci spostiamo di lì: dal 2010 al 2014 non c’è
stata alcuna evoluzione, ad esempio, sul fronte donne a capo di istituzioni (siamo
fermi al 23%), mentre la Svezia è passata dal 30 al 50%, l’Islanda dal 20 al 40%, la
Norvegia dal 32 al 39% e la Danimarca dal 14 al 33%. Peggio di noi fanno Bulgaria,
Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania, Cipro, ma a sorpresa
anche Svizzera, Germania e Israele. «Ci confermiamo un Paese piuttosto statico –
aggiunge Vaccarelli – mentre gli Stati che sono entrati più tardi nell’Unione sono
tendenzialmente più dinamici».
Qualche progresso si nota se
consideriamo la percentuale di ricercatrici nell’alta istruzione: l’unico settore in cui si
registra una proporzione favorevole alle donne in Italia, però, è quella degli studi
umanistici (52% nel 2012 contro il 49% del 2005), mentre nel campo dell’ingegneria
e della tecnologia la percentuale è cresciuta di 6 punti percentuali, ma si attesta
SEGNALI INCORAGGIANTI DALLA SILICON VALLEY
ancora al 26%. Se consideriamo poi i professori ordinari, in Italia le donne
rappresentano circa il 20%, ma il tasso si attesta sotto al 10% se stringiamo il campo
sulle tecnoscienze. Eppure così non è dappertutto: segnali incoraggianti arrivano da
Stanford, l’Università che ha sede nella Silicon Valley, dove le ragazze
rappresentano il 30% dei laureati in Scienze informatiche. E Pisa prova a candidarsi
come ateneo di riferimento per la Silicon Valley italiana.
Raccomandato da
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