una cattedra dove e per quanto tempo?
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una cattedra dove e per quanto tempo?
RIFORMA SCUOLA una cattedra dove e per quanto tempo? ROCCA 1 MAGGIO 2015 Fiorella Farinelli 28 atta l’autonomia scolastica (nel lontano 2000), si sapeva che ne sarebbe derivato un rafforzamento dei poteri dei capi d’istituto. Non a caso, è in quella stagione che ai presidi venne attribuito lo status di dirigente. Che nell’impiego pubblico significa responsabilità molto precise. Ma il nuovo ordinamento non prefigurava affatto quello che si vuole introdurre oggi con la «buona scuola». Non si prevedevano cioè presidi «sceriffo», e neppure si azzardavano improprie analogie con la figura del sindaco. La nuova leadership dei dirigenti scolastici, insomma, non autorizzava in alcun modo l’idea di «un uomo solo al comando», tant’è che l’elaborazione normativa seguita all’autonomia sanciva l’istituzione di figure stabili di staff con compiti organizzativo-gestionali («i quadri dell’autonomia»), e poi anche di insegnanti responsabili di una serie di funzioni essenziali alla scuola di oggi. Dal coordinamento della didattica alla promozione dei rapporti con il territorio, dall’organizzazione della formazione continua alle attività di orientamento, dalla costruzione delle azioni di contrasto della dispersione scolastica alla promozione dei rapporti con il lavoro. Figure legittimate da competenze accertabili e da curricula coerenti, perciò autorevoli nei confronti sia del capo di istituto che dei colleghi. Figure, esperienze professionali, specialismi su cui incardinare diversificazioni retributive e di carriera. Una nuova leadership del dirigente scolastico, dunque, ma anche una comunità professionale corresponsabile della proposta formativa, della sua realizzazione, dei suoi risultati. Anche a proposito della valutazione degli istituti scolastici, il regolamento varato due anni fa prevedeva la costituzione di appositi nuclei tecnici, formato oltre che dal preside da un certo numero di insegnanti specialisti, con il supporto di esperti esterni. Perché la verifica della qualità delle scuole F è un’operazione che deve tener conto di un insieme complesso di variabili, che obbliga alla definizione di indicatori con cui monitorare processi ed esiti, che deve essere condivisa tra tutti gli attori dei processi formativi. E che, per di più, non coincide affatto con la valutazione del lavoro del singolo insegnante. Meriti e qualità del lavoro docente, si sarebbero prima o poi dovuti riconoscere, ma non attivando dispositivi premiali a disposizione dei capi di istituto, attrezzando piuttosto percorsi di carriera coerenti con l’effettivo impegno professionale. le resistenze Intendiamoci, non c’è mai stata, nella scuola e fuori, una piena convinzione di questo modello. E infatti, nei quindici anni dall’approvazione dell’autonomia, i passi in questa direzione sono stati lenti, parziali, ostacolati da contrarietà dilatorie. In primo luogo dei sindacati, per lo più ostili al superamento della «funzione unica docente», e quindi a quadri e specialisti, in nome di un egualitarismo che in verità non ha riscontro né nell’estrema varietà dei comportamenti professionali del corpo docente né nell’aspirazione di molti tra i migliori a vedersi riconosciuto ciò che altri non sanno o non vogliono fare. Ma resistenze più o meno esplicite sono venute anche da associazioni di dirigenti scolastici che hanno sempre diffidato di figure e funzioni che, se concepite come stabili e se scelte in base a titoli oggettivi, potrebbero togliere l’acqua a navigazioni gestionali spesso massimamente discrezionali. Quanto alla politica, quella di sinistra è stata sempre così cauta da sconfinare in inerzia, quella di destra ha invece tentato senza riuscirci di introdurre un modello diverso da quello della «leadership condivisa». Il disegno di legge di Valentina Aprea (Forza Italia), in effetti, prevedeva – proprio zio, l’on. Aprea rispondeva infatti con una proposta che, seppure non del tutto convincente, non si traduceva affatto in una premialità affidata ai dirigenti scolastici. C’erano funzioni da svolgere, processi formativi da superare, concorsi da vincere, e poi incrementi retributivi stabili (e pensionabili). Un’ipotesi ben più strutturata, insomma, dei 200 milioni con cui i presidi dovrebbero gratificare ogni anno il 5% degli insegnanti. Tutt’altro, insomma, da un bonus che un anno può esserci e un altro no, che viene erogato senza riferimento a criteri validi per tutte le scuole, e senza il supporto/controllo di alcun organo, sindacale, professionale, o tecnico. Parlare di aziendalismo, come fanno le associazioni degli studenti, sarebbe fuori luogo. L’odore che si avverte è piuttosto quello di un paternalismo antico, prima del diritto del lavoro, e prima delle relazioni tra le parti sociali. Quindi di una subordinazione di fatto dei docenti ai placet dei dirigenti. Suona perciò a dir poco strano che la stessa parte politica che non molto tempo fa ha tenacemente impedito ogni mediazione parlamentare sulla proposta Aprea oggi sembri sottovalutare la portata dell’introduzione di un potere monocratico dei dirigenti scolastici. Si tratta di conformismo politico? O per il momento si sta tacendo perché si conta su interventi fortemente correttivi da introdurre nel percorso parlamentare? tempo indeterminato se il dirigente è d’accordo È un fatto, comunque, che il Consiglio dei ministri ha varato senza visibili turbamenti un provvedimento che fa del dirigente scolastico il fulcro della conduzione degli istituti scolastici, del cambiamento del sistema educativo, della gestione del personale. Un potere monocratico, esposto ai rischi dell’arbitrio e del clientelismo. I presidi scelgono dai nuovi albi provinciali (oggi fatti dai soli «stabilizzati» delle graduatorie, domani comprensivi anche di chiun29 . ROCCA 1 MAGGIO 2015 come ora la «buona scuola» – l’assunzione degli insegnanti per «chiamata diretta» dei presidi, in un’interpretazione di tipo aziendalistico dell’istituto scolastico e del ruolo dei capi di istituto. Un’impostazione analoga c’era anche nelle proposte di revisione delle modalità di governo delle scuole così come nell’affidamento agli istituti, o a «reti» di istituti, del reclutamento del personale. C’era invece una differenza importante rispetto al provvedimento oggi in parlamento. All’esigenza di predisporre un percorso di carriera degli insegnanti basato su criteri diversi da quello dell’anzianità di servi- ROCCA 1 MAGGIO 2015 RIFORMA SCUOLA 30 que chieda trasferimento in altra scuola, dopodomani chissà...) gli insegnanti da assegnare al nuovo «organico dell’autonomia» e attribuiscono loro incarichi triennali. Propongono incarichi a personale di ruolo in servizio presso altre scuole. Elaborano il piano triennale dell’offerta formativa, «sentiti «collegio dei docenti e consiglio di istituto. Erogano annualmente «premi» al 5% degli insegnanti. Valutano il personale in periodo di prova. Confermano o meno gli incarichi alla fine dei tre anni. Solo chi non sa che le «buone» scuole sono quelle in cui prevale un modello collaborativo tra gli insegnanti – e tra insegnanti e dirigente scolastico – può sottovalutare gli effetti negativi di un così vistoso squilibrio di responsabilità tra dirigenza e docenti. Solo chi non conosce il livello professionale medio dell’attuale dirigenza scolastica – come è stata reclutata, come viene formata, come è successo che a presidi di istituti relativamente «facili» come quelli del primo ciclo siano stati affidati senza preparazione alcuna istituti complessi come i tecnici, i professionali, i centri provinciali per l’educazione degli adulti, le scuole ad alta presenza di stranieri, quelle con dieci sedi diverse, quelle dove l’alternanza studio-lavoro coinvolge centinaia di studenti e decine di aziende l’anno – può ipotizzare che sia in grado di gestire da sola e con efficienza il carico dei nuovi poteri che le vengono tutti insieme assegnati. Solo chi non conosce la normativa scolastica può credere che un piano di questo tipo non rischi di essere azzoppato da una miriade di cause presso i tribunali amministrativi e i giudici del lavoro. Cosa succederà agli insegnanti degli albi professionali – tutti a tempo indeterminato – che non dovessero essere «scelti» da nessuna scuola, o a quelli a cui non dovesse venire rinnovato l’incarico? Si tratta di insegnanti a tempo indeterminato, non di collaboratori temporanei. Quale scuola sceglierà o confermerà l’insegnante disabile, quello in carrozzella, il non vedente, quello che usufruisce dei permessi della legge 104, quella di cui si sa che è mamma di tre figli? Sarà l’amministrazione, si dice, a decidere le assegnazioni, ma con effetti, comunque, di mortificazione personale e professionale. Con quali incentivi – tranne la promessa al buio del bonus – un dirigente scolastico può portare nella sua scuola un insegnante incardinato in un’altra, e – se succede – chi sarà a sostituirlo? Quali scuole sceglieranno per prime gli insegnanti iscritti negli albi professionali, e quali insegnanti resteranno da scegliere a quelle che lo faranno per ultime? Su questi e molti altri punti non proprio di dettaglio per il momento il disegno di legge non definisce priorità, non stabilisce regole, non individua criteri. Ci sarà in parlamento il tempo di colmare i vuoti, o sarà poi l’immarcescibile burocrazia di viale Trastevere a doverci mettere le pezze? È comunque stupefacente l’approssimazione tecnica che caratterizza alcune parti del testo. decisioni al buio In questi giorni nelle scuole si guarda con preoccupazione a tutto ciò, e anche ad altro. Se ci sono incertezze sugli insegnanti delle graduatorie che saranno stabilizzati (100mila, 60mila, 50mila? di quali classi di concorso, per quali funzioni? neanche sugli esodati della Fornero c’è stata mai una tale babele), l’attenzione massima si concentra sul nuovo ruolo dei capi di istituto. Se c’è chi teme che l’assunzione diretta dagli albi sarà un’autostrada per favoritismi e clientele, c’è anche chi ha lo sguardo più lungo e quindi paventa i rischi di un indebolimento radicale del ruolo e dello status di tutti gli insegnanti, anche di quelli che per il momento non fanno parte degli albi. Non saranno più gli insegnanti, in prospettiva, a cercare di approdare alla scuola preferita tramite i trasferimenti a domanda, ma i presidi a scegliere gli insegnanti. Lo faranno in base al curricolo o a che altro? Quanto conterà la fama di conformista e, viceversa, quella di testa libera? E dove va a finire, in questo quadro, la libertà di insegnamento? Difficile, inoltre, fidarsi di una premialità affidata interamente ai presidi, dato che sono proprio loro che da anni sabotano ogni dispositivo di valutazione del loro operato. E che c’è probabilmente il loro niet dietro alla non comparsa del dispositivo valutativo che Invalsi doveva rendere noto entro la fine del 2014. Il cambiamento di cui si parla non convince, ed anzi preoccupa. Tra i più inquieti, come ovvio, gli insegnanti migliori, quelli in questi anni in prima fila nei processi di miglioramento della qualità scolastica, con o senza il sostegno attivo dei loro presidi. Non sarà un gran male se il parlamento si prenderà il tempo che occorre per discutere di tutto ciò, e delle tante deleghe pressoché in bianco del disegno di legge. Significherebbe il rinvio al 2016 di una parte della stabilizzazione occupazionale promessa, ma sono troppi i temi su cui sarebbero colpevoli le decisioni al buio. Fiorella Farinelli