Depliant Storie Positive - AUSL Romagna

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Depliant Storie Positive - AUSL Romagna
ERA MIO PADRE
Fatou, una ragazza di origine senegalese, lavora in una compagnia di import-export in Italia. Lei è contenta di lavorare
qui, i suoi colleghi sono tutti giovani, qualcuno è stato anche
suo compagno di scuola alle scuole superiori. Fra questi, c’è
Luigi, che gli altri descrivono come un ragazzo “bello ma difficile”.
Un giorno, Luigi sembra particolarmente triste e chiuso in se
stesso. Fatou si accorge di tanta tristezza e cerca di chiedergliene il motivo. Ella aspetta il momento più adatto, dicendogli semplicemente: “Se hai voglia di parlare, sappi che ti
ascolterò”. Luigi sul momento la guarda senza dire nulla. Ma,
il giorno dopo, la chiama dicendole: “A te lo dico, Fatou, perchè tu sei migliore delle altre, io so che tu non ne parlerai con
tutti “.
Luigi ha appena avuto uno shock. Ha scoperto la vera ragione della morte di suo padre, dieci anni prima. Egli è morto a
causa dell’AIDS. La voce di Luigi trema nel parlarne, egli tiene
gli occhi bassi. Fatou sulle prime non sa che dire, anche lei
è sconvolta. Luigi è contrariato, arrabbiato, angosciato. Fatou
rimane ad ascoltarlo, lo lascia sfogare. Lui è arrabbiato perché
nessuno gli aveva detto la verità. Fatou sospira, cerca rapidamente di pensare, e riesce a dire: “Mi dispiace. Tu amavi veramente tuo padre, io ricordo gli episodi della tua infanzia che
tu ci raccontavi a scuola”.
“Sì, gli volevo bene…ma adesso…”
“Adesso, tu ormai sei un uomo adulto. Ora , puoi comprendere tuo padre. Non avresti potuto comprendere, dieci anni fa,
la sua sofferenza.”
“Ma no, io non capisco, io non capisco…”
Luigi s’interrompe, è molto turbato.
Fatou gli dice: “Aspettiamo qualche giorno per parlarne di
nuovo, ora sei troppo sotto shock”.
Il giorno dopo, Fatou ha una mattina libera. Va alla biblioteca
pubblica, chiede informazioni, consulta internet. Pensa: “Non
ne so a sufficienza su questo argomento, devo trovare dei
consigli, per aiutare Luigi”. Fatou trova il sito web di una associazione di volontariato che si occupa di persone sieropositive, che ha una sede anche nella sua città! Fatou telefona
subito. Le risponde una voce amichevole, è un volontario: lei
racconta il caso, esprime anche le sue paure (ma, il mio amico,
potrebbe essere sieropositivo anche lui ?), chiede consigli.
Nei giorni successivi, Fatou cerca tutti i momenti adatti per
stare vicino a Luigi sul lavoro e per parlargli con amicizia. Poco
a poco, egli si calma. Arrivano a parlare del test. Sì. Luigi aveva
già fatto il test, e anche sua madre, già molto tempo fa. Sua
madre era molto attenta. Luigi ricorda i discorsi di suo padre.
Lui diceva spesso: “Non è importante non cadere mai. L’essenziale, è rialzarsi, dopo una caduta”.
“Oggi, riesco a comprendere cosa voleva dire con questo”.
Fatou riesce a consolare Luigi, dicendogli che i suoi genitori
l’hanno amato molto, e che suo padre ha avuto solo la sfortuna di incontrare la malattia prima della scoperta di farmaci
efficaci per combatterla.
Qualche settimana dopo, Fatou accompagna Luigi all’associazione, e Luigi decide di diventare un volontario, per aiutare le
persone HIV positive a vivere, affrontare la malattie e la cura,
accettare se stessi.
“Era mio padre. Non è cambiato, nel mio cuore”.
Scritto da Marie Antoinette Mbengue, Ravenna
LA PROMESSA
Un bambino e una bambina vengono promessi dai genitori
fin dalla loro tenera infanzia. Giocando sempre insieme, diventano inseparabili, crescono all’ombra di questa promessa
e imparano così a volersi bene, si innamorano e il loro amore
cresce con loro.
Diventati grandi si promettono amore eterno e vorrebbero
sposarsi, realizzare il loro sogno, vivere il loro amore, fondare
una famiglia, avere una casa e riempirla di bambini.
Ma la vita nel villaggio è dura, le loro famiglie non sono ricche ed è impossibile trovare lavoro. Così il ragazzo diventato
uomo decide di emigrare in Europa con la promessa di ritornare, comprare una casa e sposarsi con la sua amata.
Una volta in Europa, dopo varie avventure e difficoltà, riesce a
sistemarsi e a trovare lavoro, ma conoscendo altre realtà e altre persone, comincia a staccarsi un po’ della sua vita di prima,
si allontana dalla vita tradizionale, cambiano i suoi comportamenti e accetta sempre meno la sua vita anteriore. Sa che
ama ancora la ragazza promessa da bambina, ma ha voglia di
conoscere cose nuove, persone nuove.
Così in una discoteca conosce una ragazza europea che lo
affascina con i suoi modi liberi, la sua indipendenza, pensa
alla sua fidanzata laggiù nel villaggio impacciata nei suoi
modi troppo antiquati. Comincia a frequentare assiduamente
questa ragazza europea che lo invita a usare il preservativo,
lui inizialmente lo usa ma poi, troppo sicuro di sé, smette di
farlo. Quando smette la ragazza non vuole più fare sesso con
lui e lui la lascia. Conosce altre ragazze, si lascia andare alla
nuova vita, pur sapendo di amare ancora la ragazza lasciata
al villaggio.
Torna un’estate e lei con il suo intuito capisce che è cambiato, che i suoi sentimenti non sono quelli di una volta. Ma lui
capisce il suo errore, capisce finalmente che la sua vita è lì nel
villaggio, capisce che è riuscito a realizzare una parte dei loro
sogni materiali perché, partendo, era spinto da una promessa. Prende una decisione e la comunica alla sua fidanzata: lavora ancora un anno in Europa poi torna definitivamente al
paese.
Torna in Europa, e donando un giorno sangue esegue il test
e scopre di aver contratto il virus Hiv. A questa notizia, rientra
nel paese: non vuole perdere la sua fidanzata e non sa cosa
fare: non può ingannarla sposandola senza informarla, e se la
informa di sicuro il matrimonio non si può fare e calerà su di
lei la vergogna.
La vergogna infettata da Hiv uccide. Non morire di vergogna.
Scritto da Moustapha Naim, Mezzano
STORIE POSITIVE
Diritti riservati ©
The Globaldialogues Trust
Casa delle Culture - Ravenna
Azienda Usl di Ravenna
Grazie a tutti i ragazzi che hanno partecipato
LE 20101126 N. 220
6 racconti di ragazzi
fra Italia e Africa
Esito del Concorso
“I giovani africani contro l’AIDS”
abbinato al Concorso Internazionale
“Scenarios from Africa” 2007-2008
Il disegno è di Estefania Distefano Ruth
Dal 1° dicembre 2007 al 28 marzo 2008, in Africa veniva lanciata
la 5a edizione del concorso ‘Scenarios from Africa’, rivolto a giovani dai 15 ai 24 anni. Per partecipare occorreva scrivere un soggetto (scenario) riguardante le problematiche dell’HIV. Dai migliori soggetti selezionati si sarebbero realizzati cortometraggi
da parte di grandi registi africani, poi distribuiti gratuitamente.
L’Ausl di Ravenna, da tempo in contatto con la Ong organizzatrice del concorso, The Globaldialogues Trust, ha ottenuto di far
partecipare al concorso i giovani africani immigrati o figli di immigrati della nostra provincia, da soli o in gruppo con italiani.
Collaborando col Comune di Ravenna e la Casa delle Culture, si
è allestito un laboratorio di scrittura, diretto da Tahar Lamri. I
racconti e il disegno che vedete qui sono il risultato di quel laboratorio.
Il concorso si ripete ogni 2 anni. La 6a edizione parte il 1° dicembre 2010.
Indirizzo web: www.scenariosafrica.it.
Per info: [email protected]
LIETO FINE
Ali è un ragazzo di 15 anni, figlio di un poliziotto. Essi sono
del paese di Warri, in Nigeria, dove abitano e dove vivono felicemente.
Il padre di Ali una volta fu mandato in missione a Lagos. Qui,
egli incontrò una prostituta, e fu grazie a lei che riuscì a condurre con successo la sua missione. In quel periodo, il padre
di Ali fece sesso con la ragazza. Non sapeva che ella viveva col
virus Hiv, e si infettò a sua volta. Dopo l’ottimo risultato della
sua missione, per il quale fu premiato, egli tornò a casa, dalla sua felice famiglia; riprese naturalmente i rapporti con sua
moglie, e anche lei così fu infettata. Alcuni mesi dopo, per
una banale malattia, la mamma di Ali andò all’ospedale, e qui
fece alcuni esami. Da questi risultò che era sieropositiva. Ciò
condusse a fare il test anche al marito, e così si scoprì la sua
sieropositività, cosa a cui lui non aveva mai pensato. Dopo un
lungo periodo di tempo, entrambi morirono.
Le cose si fecero davvero dure per Ali.
Tutti i suoi amici pensavano che anch’egli poteva essere sieropositivo, e tutti lo evitavano. Fino al giorno in cui, con la scuo-
la, fecero una gita. Uno degli insegnanti in quell’occasione si
accorse che Ali era sempre solo, che nessuno parlava con lui,
né si sedeva vicino a lui, e s’interessò per capire cosa stava
succedendo.
Quando seppe, l’insegnante decise di fare qualcosa. Allora organizzò un seminario sull’HIV/AIDS per gli studenti; si
preoccupò che ciascuno capisse come il virus si trasmette e
come non si trasmette, e come prevenirlo, perché ‘prevenire è
meglio che curare’. Così i ragazzi divennero informati e consapevoli, e ripresero a parlare e giocare con Ali, che ritrovò tutti
i suoi vecchi amici, e con loro si trovò a dire: “L’ignoranza in
realtà è una malattia.”
Scritto da Emmanuel Osarumwense Ogunrobo, Russi
NON BUTTARE LA TUA VITA
Raissa è una ragazza allegra, che ama la vita, ha dodici anni
e abita in una casa con cortile a Yaoundé in Cameroun. Torna
un giorno da scuola con un sacchettino trasparente in mano
che mostra a tutti come se fosse un trofeo.
Appena entra in casa, saluta allegramente, come è il suo solito, dicendo: - Ciao a tutti, sono tornata! La madre, quando
vede il sacchetto in mano alla figlia, cambia faccia, corruga
la fronte e le chiede in tono severo, pur avendo capito di che
cosa si tratta: - Cosa hai in mano?
Raissa, spontanea come sempre, risponde con naturalezza:
- Davanti a scuola c’era un signore che diceva delle cose interessantissime, ci ha spiegato di una malattia e di un virus mortali e ci ha dato questo sacchettino dicendo che quando se ne
presenta l’occasione bisogna utilizzarlo e che se non si utilizza si corrono seri pericoli. Ci ha anche parlato della bellezza
dell’amore e di come è bello essere innamorati. Ci ha detto
infine che questa bellezza dell’amore bisogna conservarla, e
per conservarla intatta bisogna utilizzare questo! - dice, mostrando il sacchetto.
La madre, visibilmente preoccupata, la rimprovera dicendole
che non deve fidarsi del primo che incontra e conclude dicendo: - Quando arriva tuo padre, farai i conti con lui.
Raissa è molto confusa, non capisce cosa ha fatto di male, né
cosa le è capitato. Il signore davanti a scuola era educato e
gentilissimo, spiegava delle cose interessanti e sembrava dall’aspetto un dottore.
Non sapendo cosa fare, Raissa si chiude nella sua stanza timorosa, si rimprovera il fatto di aver ascoltato questa persona e
di essere stata ingenua nell’accettare questo sacchetto. Ma in
fondo una voce le diceva che aveva agito bene e che non ha
nulla da rimproverarsi. Per distrarsi ascolta musica.
Quando arriva il padre, viene chiamata in salotto. Timorosa,
avendo visto la reazione della madre, sente il padre distante
e severo. Suo padre le chiede cosa ha portato a casa e Raissa
farfuglia con voce fievole risposte appena udibili. Piena di incomprensibile vergogna e a testa bassa, mostra il sacchetto al
padre, non osando guardarlo in faccia.
Il padre, ancora più severo, le dice che questa è roba per adulti e che la prossima volta deve tornare da scuola senza mai
rivolgere la parola a nessuno né fermarsi in raduni o cose del
genere.
Raissa cerca di spiegargli che il signore che le aveva dato il
sacchetto era una persona gentile, beneducata, ma il padre
la interrompe e le intima di buttare via il sacchetto: - Butta via
quel sacchetto e sparisci dalla mia vista -, le dice.
Ascolta il tuo cuore. Non buttare la tua vita.
Scritto da Tatiana Tchameni, Ravenna
IL SIGNOR H.
Sullo schermo a sfondo nero, appare un uomo affascinante, le
labbra rosso sangue, il colorito della pelle cadaverico, i capelli
neri pettinati all’indietro, gli occhi cupi – come Dracula! -; con
voce cavernosa, racconta:
Amo abitare in luoghi animati, dove fluisce il sangue, la casa
che mi ospita diventa anche il mio rifugio e il mio nascondiglio, spesso nessuno si accorge di me, mangio, dormo,
passeggio quando mi va nelle vene e nelle arterie, mi fermo
in qualche organo, ci abito per un po’ poi lo lascio, prolifero
anche e i miei figli li mando in giro, anche in altre abitazioni
quando la casa che mi ospita si mette in contatto con un’altra
casa.
(L’idea è di far parlare il virus come se fosse un essere umano che
racconta la sua vita e pensare al corpo come a un corpo sociale,
di cui la cellula è la famiglia, il quale quando viene colpito dal
virus comincia la distruzione, come avviene nella distruzione di
un corpo sociale coeso, che viene sgretolato con le azioni del crimine e della malavita)
STORIA DI SOPHIA
Oggi Sophia è triste, è molto triste. Nella sua vita ha fatto di
tutto per evitare questo giorno ma per la distrazione di un
attimo, sa che la sua vita non sarà più quella di prima. Questa
mattina ha ritirato il referto di un test del sangue e ha scoperto di essere sieropositiva.
Sophia è una giovane nigeriana di ventidue anni, vive in Italia
da tre anni. E’ venuta in Italia per pagare un debito contratto
dalla sua famiglia in Nigeria. E’ la maggiore di cinque sorelle. Si è sempre sentita responsabile per le sue sorelle e per la
sua famiglia. I suoi genitori sono vecchi e malati ormai e non
possono più mantenere la famiglia numerosa. Sophia vuole
che tutte le sue sorelle abbiano un’istruzione e che vadano
all’università. Per la sua famiglia farebbe qualsiasi cosa, non è
un sacrificio per lei.
Non avrebbe mai pensato che un virus si impossessasse di lei
e diventasse il protagonista della sua vita. Perché l’Hiv quando ti prende diventa lui, questo virus invisibile, il protagonista
della tua vita.
Sophia ha seguito quell’uomo in Italia perché voleva essere
la protagonista, voleva migliorare la sua sorte e quella delle
sue sorelle.
Sophia sta attenta sempre, ha imparato subito ad utilizzare il
preservativo e ha cercato sempre di utilizzarlo, anche quando
i clienti insistevano per fare senza. Ha visto alcune sue amiche
morire di Aids e quindi conosceva il rischio.
Ma un giorno un cliente, così gentile e così premuroso, l’ha
fatta innamorare e l’ha sedotta con tanti soldi, le diceva che
bisognava accelerare il pagamento del debito e le ha anche
promesso, una volta pagato il debito, di andare con lei in Africa, forse di sposarsi e vivere là per sempre. Nessun cliente
l’aveva mai invitata al ristorante, lui invece l’ha fatto. L’ha fatta
sentire, per una notte, donna.
Quella notte Sophia ha fatto sesso non protetto e ha ricevuto
tanti soldi quanti ne guadagna in sette notti.
Sophia li fa sempre i test. Oggi ha scoperto di essere sieropositiva. Oggi ha scoperto che la vita non ha prezzo.
La vita non ha prezzo. Tu che valore dai alla tua ???
Scritti da Wiam Haddani, Ravenna