Invito a corte - Camera di Commercio di Parma
Transcript
Invito a corte - Camera di Commercio di Parma
cultura E TERRITORIO Invito a corte Dame e cavalieri. Artisti famosi. Aneddoti conditi da un pizzico di mistero. Tra storia e leggenda, scopriamo le antiche corti nobiliari del parmense Stefania Delendati Arte, alchimia, effetti ottici Il reality è stato inventato dai nobili Sanvitale. Per accertarsene è sufficiente recarsi nel castello di Fontanellato e salire sul torrione del giardino pensile. All’interno una piccola stanza ospita la camera ottica, l’unica nel suo genere ancora funzionante, che in tempo reale “trasmette” su due schermi concavi l’immagine rovesciata della piazza sottostante con il viavai della gente. Magia, suggestione e scienza stupiscono i visitatori, tra i quali numerosi artisti di passaggio che hanno fatto conoscere la camera ottica al di fuori dei confini provinciali. Bernardo Bertolucci, ad esempio, nel 1964 vi ha girato alcune scene del film Prima della Rivoluzione. Ma perché i Sanvitale commissionarono questa stanza? Famiglia feudataria di Fontanellato a partire dal XIV secolo e proprietaria della Rocca fino al 1948, è passata alla storia per 94 PARMA economica la longevità del suo dominio sul territorio e per essere immischiata in loschi intrecci di potere. Ciò che si conosce meno è l’intelligenza di molti esponenti della famiglia, la loro passione per La camera ottica l’arte e la curiosità per tutto ciò che “odorava” di nuovo. La came- nella rocca di ra ottica si inserisce nel filone del Fontanellato passatempo per nobili e dopo più trasmette su due di due secoli ancora incanta gran- schermi l’immagine di e piccini che, a un certo punto della piazza della visita guidata nel castello, sottostante col vengono invitati a entrare nella stanzetta. L’ambiente è angusto e viavai della gente malsano, con un odore di grotta dovuto al sottostante fossato. Bisogna disporsi lungo le pareti e, una volta chiusa la porta, si rimane completamente al buio non essendo presenti finestre. Piano piano l’artificio di lenti e prismi filtra i raggi del Un particolare della saletta sole e, come se le immagini penetrassero di Diana e Atteone. cultura E TERRITORIO Pier Maria Rossi (a sinistra) e Bianca Pellegrini negli affreschi della Camera d’Oro. attraverso i muri, sugli schermi concavi appare l’andirivieni della gente, ignara che qualcuno lassù la sta osservando. Come abbiamo detto, la famosa casata vantava al suo interno personaggi colti che hanno lasciato nel castello segni del loro amore per il bello, come il tesoro del maniero: la saletta di Diana e Atteone. Dipinta nella prima metà del XVI secolo, Parma era tornata sotto il dominio della Chiesa, mentre Galeazzo Sanvitale, signore di Fontanellato, era stato nominato colonnello del re di Francia proprio quando i francesi furono cacciati dal ducato di Milano. Questa era l’aria che tirava nel 1523, un anno particolare per la famiglia Sanvitale, funestato dalla morte in culla dell’ultimo figlio maschio di Galeazzo e della moglie Paola Gonzaga. Pochi mesi dopo la scomparsa del bambino, la nobile coppia chiamò a corte Francesco Mazzola detto il Parmigianino, chiedendogli di affrescare una piccola stanza di soli tre metri per quattro ubicata al piano terra del castello, un po’ isolata e priva di finestre. La scelta dell’artista, allora ventenne ma già molto richiesto, non fu casuale. Parmigianino era dedito all’alchimia in modo maniacale, tanto da dimenticare i suoi impegni per eseguire esperimenti ossessivamente (anche l’infezione allo stomaco che lo portò alla prematura morte si dice fu provocata dal prolungato contatto con insani intrugli alchemici). Una passione condivisa da Galeazzo e pare proprio che la realizzazione della saletta altro non fu che il frutto di due menti appassionate che cercavano di trasformare il piombo in oro. E il tema della trasformazione caro all’alchimia è centrale nella leggenda di Diana e Atteone rappresentata a Fontanellato. Episodio delle Metamorfosi di Ovidio (metamorfosi=trasformazione, tutto torna ancora una volta), narra del cacciatore Atteone che inavvertitamente scorse la dea Diana mentre faceva il bagno e per punizione venne tramutato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani che non lo riconobbero. Atteone morì quindi da innocente, come il piccolo Sanvitale, e la saletta è prima di tutto una metafora della vita e del destino a volte incomprensibile. In questa piccola stanza che riproduce un pergolato di rami intrecciati e fronde arboree, ogni dettaglio è un indizio per interpretarla. Prendiamo Diana, dea della caccia ma anche del parto e della maternità che come Apollo aveva il potere di provocare morti improvvise. I due piccoli rappresentati sulla parete sinistra sono per tradizione considerati i figli di Galeazzo; uno dei due tiene in mano delle ciliegie, in pittura simbolo funerario, il che fa presumere sia il bambino scomparso nel 1523. Altri simboli funerari sono tra le mani di Paola Gonzaga, raffigurata da Parmigianino mentre osserva la morte del cacciatore con uno sguardo da cui traspare una PARMA economica 95 cultura E TERRITORIO profonda serenità interiore, quasi a voler significare che l’evento tragico della scomparsa del figlioletto è diventato la tappa di una trasformazione più alta. È Paola, la padrona di casa, la protagonista della saletta. Per lei fu concepito questo rifugio privato dove poter riflettere in un momento di grande dolore. Mito, arte, pensieri personali: tutto questo l’aristocratica raffinatezza dei Sanvitale volle racchiudere in un luogo che aiutasse a raggiungere una nuova consapevolezza. La casa di Donna Cenerina Rocca di Soragna, galleria degli antenati. Dalle pareti della stanza, volti severi osservano con sguardo impassibile i turisti venuti ad ammirare l’antica dimora dei principi Meli Lupi. Tra i visi incorniciati, uno pare seguire con gli occhi il visitatore. Come una Gioconda della bassa parmense, il ritratto di Cassandra Marinoni mostra una donna dai lineamenti alteri, vestita con abiti scuri di foggia aristocratica che tiene in mano un fiore purpureo. Molti sono convinti sia lei, Cassandra, la vera abitante del maniero. Conosciuta anche al di fuori di Soragna con il nome di Donna Cenerina per via dei capelli color biondo cenere, da secoli si dice manifesti la propria presenza con apparizioni e rumori sinistri. Le testimonianze parlano di un’evanescente figura di donna dai capelli lunghi e chiari, con la testa in mano o con una catena ai piedi, che naviga su una piccola barca nel laghetto del giardino della Rocca. Cassandra Marinoni era originaria di Milano. Figlia del conte Gerolamo e di Ippolita Stampa dei baroni di Montecastello, nel 1548 sposò il marchese Diofebo II Meli Lupi, esponente di una delle famiglie nobiliari più antiche del Nord Italia. Cassandra era una donna moderna e godeva della piena fiducia del marito che, quando doveva assentarsi per seguire le imprese militari dei Farnese, affidava l’amministrazione del feudo alla consorte. Gli impegni politici non le fecero dimenticare l’importanza dei legami familiari, in particolar modo restò in stretto contatto con la sorella Lucrezia, una donna sfortunata andata in sposa al conte Giulio Anguissola, un poco di buono, violento e dedito al malaffare che tentò perfino di avvelenare la moglie dopo aver dissipato i propri beni e quelli di lei. Il pomeriggio del 18 giugno 96 PARMA economica 1573 le sorelle Marinoni si trovavano insieme a Cremona, nell’attuale via Palestro 38, in quello ancor oggi conosciuto come palazzo delle due colonne, di proprietà del ramo cadetto La rocca di Soragna della famiglia Meli Lupi. Con fu teatro del il pretesto di volersi riconciliare duplice omicidio di con la moglie, Giulio Anguissola Cassandra Marinoni riuscì a entrare nel palazzo «… con un’unione d’homini più di e della sorella cinquanta, tutti armati de diverse Lucrezia qualità d’armi...». Lucrezia venne colpita e uccisa con 32 pugnalate; Cassandra, testimone scomoda la cui unica colpa era quella di voler proteggere la sorella, rimase gravemente ferita da 13 fendenti che la lasciarono in condizioni disperate. Portata a Soragna, spirò il giorno dopo nel suo castello. Il duplice delitto suscitò impressione e partecipazione sia tra la gente comune che ammirava la marchesa Cassandra, sia nella nobiltà che non lasciò nulla di intentato per punire i colpevoli, Il luogo in cui è stato nel frattempo fuggiti da Cremona. Perfino fotografato il fantasma di il re di Spagna Filippo II si impegnò per Moroello. cultura E TERRITORIO assicurare alla giustizia gli assassini, applicando una taglia di 2.000 scudi sul capo di Anguissola. Ogni provvedimento si rivelò infruttuoso, tanto Artisti e letterati che pochi anni dopo i colpevoli di punta, come tornarono nelle loro case come se il Parmigianino, nulla fosse successo. Narra la legimpreziosirono la genda che Cassandra Marinoni corte dei Rossi di non se ne sia mai andata da SoraSan Secondo, tra gna. La sua anima, generalmente schiva, si aggirerebbe sconsolata le più raffinate del fra le stanze del maniero e, fedeparmense le al nome Cassandra che evoca cattivi presagi, si rivelerebbe proprio quando un evento luttuoso sta per abbattersi sui Meli Lupi. Alcune “vignette” della Sala dell’Asino d’Oro. Una piccola corte rinascimentale Rossi è uno dei cognomi più comuni nel nostro Paese, ma non c’è niente di ordinario nella storia dei Rossi di San Secon- do, famiglia feudataria che nel 1385 fece erigere il castello che ancora domina la piazza della cittadina. Non erano tipi dal carattere facile: bellicosi e senza peli sulla lingua, si impegnarono senza sosta nella scalata sociale. Per raggiungere l’obiettivo si imparentarono con le più importanti casate italiane (Sforza, Medici, Gonzaga) e aprirono le porte ad artisti e letterati. Trasformarono le sale della Rocca in manifesti autopromozionali con i quali divulgare le proprie imprese, le idee politiche e le situazioni private. Se la Sala delle gesta rossiane è la celebrazione dei loro successi militari dal 119 al 1542, nella Galleria di Esopo e nelle Sale delle favole l’ignoto autore tra il 1545 e il 1549 dipinse delle palesi prese in giro di personaggi famosi. Camuffati come animali o figure fantastiche, vennero messi alla berlina uomini anche molto potenti come il papa Paolo III, Alessandro Farnese, appartenente a una famiglia che segnò con il sangue il proprio cammino. Era importante contare sul loro appoggio, vitale non andare contro il loro volere, ma i Rossi persero il favore dei potenti Farnese che tentavano invano di frenare l’ambizione del piccolo casato della bassa. Le frizioni iniziarono nella prima metà del XVI secolo, quando il dispotico Pierluigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, tentò di imporre ai Rossi l’abitazione in città. Pier Maria III de’ Rossi non si lasciò intimorire (d’altra parte suo zio era nientemeno che il leggendario Giovanni de’ Medici detto delle Bande nere) finendo per perdere potere e privilegi. Il suo dispiacere si trova rappresentato in alcune sale con allegorie della mitologia classica nelle quali si può leggere fra le righe il difficile momento attraversato dalla casata. Nella storia dei Rossi i contrasti, spesso provocati dal temperamento sanguigno, andarono di pari passo con la raffinatezza e non di rado furono le donne a promuovere il gusto per la bellezza. Seguendo le orme della tenace suocera Bianca Riario, figlia di Caterina Sforza, fu Camilla Gonzaga, moglie di Pier Maria III, a informare il marito circa l’evoluzione dei lavori di Palazzo Te a Mantova, illustrandogli la magnificenza delle decorazioni. Ingolosito, poco tempo dopo Pier Maria chiamò a San Secondo i collaboratori dell’architetto e pittore Giulio Romano che avevano lavorato a Mantova e commissionò gli affreschi della Sala dei Cesari e della Sala PARMA economica 97 cultura E TERRITORIO dell’asino d’oro, rispettivamente camera da letto e studio del conte. Il soffitto di quest’ultimo, il luogo più noto del castello, venne decorato come una storia a fumetti ante litteram che in 17 vignette rappresenta le vicende di Lucio, un giovane appassionato di alchimia, trasformato in asino con consapevolezza e intelligenza umane. Racconto contenuto nelle Metamorfosi di Apuleio, la storia di Lucio contempla il tema della trasformazione caro agli alchimisti e chiari riferimenti alla massoneria, come le rose che identificano la pietra filosofale e la dea Iside presente nei rituali iniziatici massonici. Intorno al 1538-39 fu invece il Parmigianino a realizzare i ritratti dei signori del feudo, entrambi attualmente visibili a Madrid nel Museo del Prado: Camilla sorridente con tre dei sette figli, dolce e decisa al tempo stesso; Pier Maria con lo sguardo fiero del condottiero. Tempra dura ingentilita da gusti fini, ma anche una passionalità che non conosceva ostacoli. Pier Maria II, ereditato il feudo dal padre nel 1440, fu uomo d’armi, eppure è passato alla storia per il legame indissolubile con l’amante Bianca Pellegrini per la quale fece erigere i manieri di Torrechiara e Roccabianca. C’è anche una grande storia d’amore, dunque, 98 PARMA economica nelle intricate vicende di questa famiglia che ha attraversato il Rinascimento incarnando tutti gli ideali dell’epoca, dalla brama di potere al mecenatismo, che fece della loro corte una delle più eleganti del parmense. Il cavaliere innamorato Massiccia, potente, austera. Così appare la fortezza di Bardi all’osservatore che dalla vallata del paese volge l’occhio verso l’altura sulla quale è arroccato il maniero. Tutto La fortezza di Bardi concorre a identificare il castello è stata per secoli un come l’eremo inespugnabile che eremo inespugnabile per secoli ha difeso il territorio a difesa del territorio dominato dalla famiglia Landella famiglia Landi di. Niente di meno romantico, insomma, eppure queste mura sono state testimoni di una storia d’amore infelice la cui eco continua ai giorni nostri. Era la fine del ‘400, la regione si trovava al centro di cruenti scontri tra opposte signorie locali. Uno dei più valorosi soldati in battaglia si chiamava Moroello, nominato dai Landi comandante della guardia. La guarnigione di Moroello era stanziata nel castello e lì il condottiero fece la conoscenza di Soleste, sedicenne dama di comLa fortezza di Bardi. cultura E TERRITORIO La mummia di Bema ritrovata nelle segrete del castello di Montechiarugolo. pagnia di nobili origini. Tra i due nacque un sentimento profondo quanto contrastato dalla differenza di casta e dalla disapprovazione del padre della ragazza che l’aveva promessa in sposa a un signorotto della zona. Malgrado le difficoltà gli innamorati riuscivano a ritagliarsi di nascosto alcuni momenti per stare soli, coltivando la speranza di un futuro insieme, ma il destino ci mise lo zampino. Un giorno Moroello si mise alla testa delle truppe per respingere un minaccioso stato invasore. Dopo la partenza dei soldati, Soleste prese l’abitudine di salire sul mastio della rocca in attesa di scorgere all’orizzonte il ritorno dell’amato, ma trascorso un mese e mezzo ancora non erano arrivate notizie. Un giorno finalmente la giovane vide un gruppo di armigeri in avvicinamento. L’esplosione di gioia divenne disperazione quando, arrivati nei pressi della confluenza con il fiume Ceno, fu chiaro che quei soldati portavano i vessilli del nemico. Convinta che Moroello fosse caduto in battaglia e determinata a non cadere nelle mani nemiche, Soleste si gettò dalla torre. Mai decisione fu più avventata, dal momento che quel battaglione in arrivo era Moroello con i suoi uomini vittoriosi che come trofeo avevano indossato le insegne dell’avversario sconfitto. Arrivato al castello, il comandante apprese la sorte dell’amata e, travolto dai sensi di colpa, ne seguì il destino lanciandosi dagli spalti della piazza d’arme. Nel corso dei secoli ignari visitatori hanno segnalato fenomeni inconsueti, come improvvisi odori susseguirsi all’interno di una stanza, rulli di tamburi, un vociare insistente nei locali che un tempo ospitavano la locanda del castello, canti militari e passi cadenzati lungo gli itinerari di ronda. La gente del posto è convinta che dietro tutto questo vi sia Moroello, il cui spirito sarebbe ancora presente nel castello alla ricerca di Soleste. Nella quiete della collina parmense, la fiera austerità del maniero di Bardi è indifferente al tempo che passa, come forse è indifferente allo scorrere dei secoli il sentimento di un antico cavaliere che continua a cercare la sua compagna. Bibliografia e webgrafia M. Calidoni, Castelli e borghi, Parma, Mup Editore, 2009 H. Cogliani in Lenzo, Il fantasma del castello, Messina, Scuderi, 1998 B. Colombi, Soragna feudo e comune, Parma, Battei, 1986 www.cortedeirossi.it www.laprovinciadicremona.it www.turismo.parma.it PARMA economica 99