Un`altra ipotesi sull`eccidio di Tavolicci. Di Maurizio

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Un`altra ipotesi sull`eccidio di Tavolicci. Di Maurizio
Maurizio Balestra
Un’altra ipotesi sull’eccidio di Tavolicci.
Il tentativo di dare una spiegazione convincente ai fatti accaduti a Tavolicci è tutt’ora in atto e
sebbene ormai si sia giunti a ricostruire con precisione quanto accadde il giorno dell’eccidio1 e si sia
buon punto anche per quanto riguarda l’individuazione degli esecutori della strage2 ne resta ancora
oscuro il movente.
Perché colpire un paese al di fuori dell’area di operazioni dell’8.a brigata Garibaldi? Perché in
quel modo e con tanta ferocia? Perché Tavolicci e non un altro luogo?
Sebbene lo spazio a disposizione mi costringa ad essere succinto ed estremamente schematico,
proverò anch’io a rispondere a queste domande, seguendo una pista leggermente diversa da quelle sino
ad ora battute.
Tutte le ipotesi formulate sul movente dell’eccidio di Tavolicci possono ricondursi a tre:
1) un’azione di rappresaglia per la morte accidentale di due tedeschi3 nel paese di Tavolicci4;
2) un’azione terroristica o di rappresaglia, da ricondurre al rastrellamento di luglio, per fare terra
bruciata attorno ai partigiani dell’8.a brigata5;
3) una vendetta dei fascisti di Sant’Agata Feltria per la fucilazione di alcuni di loro, rapiti durante
l’occupazione del paese6 da parte dei partigiani dell’8.a brigata7.
Nessuna sembra particolarmente convincente e proverò a spiegarne il motivo.
1) La prima si rifà ad un fatto accaduto a Tavolicci in aprile: due soldati tedeschi impegnati in
azione di rastrellamento vengono uccisi dai propri commilitoni, che, di notte, li scambiano per
partigiani in fuga. Non accortisi dell’errore i tedeschi avrebbero diretto la rappresaglia contro il paese.
La cosa è possibile, ma i tempi di reazione sono sbagliati. La rappresaglia per essere efficace deve
essere immediata e in quel momento non mancavano certo gli uomini per attuarla8.
2) La seconda ipotesi tende a ricondurre la strage di Tavolicci al rastrellamento di luglio e alla
tensione provocata dall’attesa di un imminente attacco alleato alla Linea Gotica. Il rastrellamento,
finalizzato a liberare le retrovie dalla minaccia dei partigiani, dura dal 17 al 23 luglio9. L’azione è
diretta contro le postazioni dell’8.a brigata che minacciano le due principali strade di collegamento con
1
R. BRANCHETTI, Tavolicci 22 luglio 1944. La memoria dell’eccidio e l’oblio della memoria, in: E. BONALI, R.
BRANCHETTI, V. FLAMIGNI, S. LOLLETTI, Tavolicci e l’area dei Tre Vescovi. Una comunità pietrificata dalla guerra,
Cesena 1994, pp. 21-110.
2
Lo si apprende dal prezioso contributo di M. RENZI, Appunti sulla strage di Tavolicci in: ISTITUTO STORICO DEI
LAGER NAZISTI “V. E. GIUNTELLA”, Dalle perplessità dell’8 settembre alla resistenza, Cesena 2007, pp. 89-127; in
cui viene anticipato il lavoro di ricerca sui documenti processuali relativi all’eccidio di Tavolicci, recentemente rinvenuti
presso la sede della Procura Generale Militare di Roma, nel cosiddetto “armadio della vergogna”.
3
Probabilmente il 6 aprile 1944.
4
BRANCHETTI, cit., pp. 72-74.
5
BRANCHETTI, cit., pp. 75-79.
6
2 aprile 1944.
7
BRANCHETTI, cit., pp. 86-91.
8
Non si conosce il numero esatto degli uomini impiegati nel grande rastrellamento di aprile che va dai 2.000 ai 4.000
uomini fra tedeschi e fascisti, secondo gli ultimi studi, e dai 13.000 ai 15.000 secondo la stima fatta da comandante dell’ 8.a
brigata Garibaldi, Ilario Tabarri (Pietro Mauri), nel suo Rapporto Generale, in: D. MENGOZZI (a cura di), L’8.a brigata
Garibaldi nella Resistenza, I, Documenti 1943-45, Milano 1981, pp. 33-103, p. 95.
9
Rapporto al CUMER di Pietro Mauri, in: MENGOZZI, cit., pp. 137-147, pp.139-142.
la pianura: Cesena-San Piero in Bagno e Forlì-Santa Sofia10, ed è sventata dal brillamento di un campo
minato, predisposto dai partigiani fra Cigno e Monte Mercurio. Nonostante i molti caduti da parte
tedesca, in zona non si registrano azioni di rappresaglia contro i civili. Questo fa pensare11 che i fatti
accaduti alla Seghettina (22 luglio), a Tavolicci (22 luglio) e al Carnaio (25 luglio), località poste al di
fuori dell’area rastrellata, siano da considerarsi a sé stanti. Fra questi solo l’incendio di sei case alla
Seghettina è da imputare ai reparti tedeschi, in risposta agli attacchi alle colonne di rifornimenti che
transitavano lungo la strada che passa all’interno della foresta della Lama12. Negli altri due casi è ormai
appurato che gli autori delle stragi non furono soldati tedeschi, ma italiani, sebbene in divisa tedesca,
appartenenti alle SS (IV. Freiwilligen bataillon Schultz Polizei Italien) il cui comando, dal 18 giugno, si
era stabilito a San Piero in Bagno13. Se poi, per quanto riguarda l’incendio della Seghettina e l’eccidio
del Carnaio, si può parlare di azione di rappresaglia da imputare a un preciso movente, che potremmo
comunque ricondurre alle ragioni che motivarono il rastrellamento di luglio14, per quanto accaduto a
Tavolicci, il movente continua a rimanere oscuro. Tavolicci resta completamente al di fuori delle
principali linee di comunicazione e non è mai stata individuata l’azione che avrebbe dovuto far scattare
la rappresaglia e a cui le fonti ufficiali, sino ad ora note15, fanno riferimento solo in termini generici.
3) Tenendo conto di quanto affermato nel Notiziario della GNR del 22 agosto 194416 e rifacendosi
a testimonianze da lui stesso raccolte, Roberto Branchetti elabora la terza ipotesi17 che individua il
movente dell’eccidio nel sospetto, diffuso tra i fascisti di Sant’Agata Feltria, che gli abitanti di
Tavolicci avessero dato ricetto ai partigiani che in aprile18 avevano saccheggiato il paese di Sant’Agata
e prelevato come ostaggi il segretario del fascio, due militi e quattro agenti di PS, poi fucilati nei giorni
successivi. Di qui le ragioni della ritorsione, giustificata anche dal fatto che voci insistenti riportavano
che nei dintorni di Tavolicci si rifugiasse una banda partigiana, identificata con quella di Giorgio
Cordonnet, che viveva di rapina e proprio per questo particolarmente invisa agli abitanti del luogo.
L’ipotesi è suggestiva, tiene conto di diversi fattori importanti, anche di carattere psicologico, e
potrebbe non essere lontana dalla verità. Così come è formulata però, per costituire il movente di una
10
Necessarie per rifornire la linea di uomini e di materiale e per garantire l’eventuale ritirata.
Anche il comando dell’8.a brigata mi sembra fosse dello stesso avviso. In: MENGOZZI, cit., pp. 137-147, p. 143.
12
“Dal 7 al 22 luglio sono stati uccisi undici tedeschi e bruciati due camion da alcuni nostri reparti sulla strada del
Cancellino e Seghettina. Per ritorsione il nemico ha incendiato la Seghettina”. Dal Bollettino militare n. 3, in: MENGOZZI,
cit., pp. 217-218. Vedi anche Relazione dei danni arrecati a cose e a civili dalle milizie fasciste e tedesche nelle zone dove
hanno operato le formazioni dell’8.a brigata, (Istituto per la storia della resistenza e dell’età contemporanea della provincia
di Forlì e Cesena (d’ora in poi ISRECFC), Archivio 8.a brigata, 3/12 0290), f. 2.
13
Il IV battaglione di polizia italo-tedesca rimase in zona dal 18 luglio al 7 agosto 1944. Vedi: M. RENZI, pp. 93-96 e 104..
14
Per l’eccidio del Carnaio è stato individuato un preciso movente: l’uccisione di tre motociclisti tedeschi avvenuta nei
giorni 24 e 25 lungo la strada San Piero in Bagno-Santa Sofia, riportata sia da fonti fasciste che partigiane. Vedi: E.
CAVINA, La strage del Carnaio, in: 1944 stragi naziste e fasciste sull’appennino tosco-romagolo, Cesena 2003, pp. 17-50,
pp. 17-23; ma più in generale si potrebbe pensare alle azioni compiute dai distaccamenti partigiani che avevano come
obiettivo l’interruzione del traffico tedesco su quella strada. Vedi, ad esempio,: “Il 17 luglio un nostro reparto attacca una
colonna tra Galeata e Santa Sofia. Tre tedeschi morti e quattro prigionieri. Distruzione di tre automezzi. Come reazione
all’attacco alla colonna tra Santa Sofia e Galeata i tedeschi hanno incendiato e distrutte dodici case di contadini e fucilate
trentadue persone tra le quali dei ragazzi di quindici anni e due vecchi prelevati dal ricovero di San Piero in Bagno”. Dal
Bollettino militare n. 3, in: MENGOZZI, cit., pp. 217-218.
15
BRANCHETTI, cit., p. 54.
16
“Il 21 luglio u.s., alle ore 3, in località Monte Giusto-Tavolicci del comune di Verghereto, militi della GNR ed elementi
della polizia germanica, per rappresaglia contro gli abitanti che, nel decorso inverno, avevano svolta opera di
favoreggiamento verso i banditi, responsabili questi ultimi di aver catturato ed ucciso militi della GNR e fascisti, hanno
eseguito un rastrellamento in cui trovarono la morte 42 persone e 9 rimanevano gravemente ferite. Altri 20 uomini venivano
dalla predetta località condotti in contrada Campo del Fabbro di Sant’Agata Feltria, ove venivano fucilati. Nella suddetta
circostanza furono incediate anche 13 case di abitazione”. (ISRECFC, GNR, 1230).
17
BRANCHETTI, cit., pp. 86-91.
18
2 aprile 1944.
11
strage di tale portata, sembra ancora debole o comunque incompleta. Nonostante le fonti ufficiali
parlino di rappresaglia, Branchetti tende ad escluderlo, per le stesse considerazioni che ho esposto a
proposito della prima ipotesi, considerando il fatto criminoso piuttosto come una vendetta. La vendetta
però, a differenza della rappresaglia, pur non richiedendo necessariamente dei tempi rapidi, ha bisogno
di un preciso colpevole. Non ci si vendica massacrando degli innocenti! E anche trovandosi, come in
questo caso, di fronte a dei mostri assetati di sangue, è difficile credere che si possa progettare a
tavolino una strage come quella di Tavolicci solo in base a dei “si dice”.
Durante il rastrellamento chi non aveva ospitato e favorito i partigiani? In primavera, nella zona del
Fumaiolo i partigiani dell’8.a brigata erano passati e avevano bivaccato quasi dappertutto. Perché allora
non colpire le Balze, dove i cittadini, invitati a rifornirli di vestiario, si erano messi in fila per
consegnare loro i capi richiesti19 e dove i comandanti della brigata erano stati invitati a pranzo
addirittura da ebrei lì sfollati20? Perché non le Capanne, dove era stata installata l’infermeria dei
partigiani e che, scoperta, costò la vita, fra mille sofferenze, ai poveri diavoli che vi erano stati
ricoverati21? Perché non Alfero, dove in aprile i partigiani avevano bivaccato e costretto un camion di
fascisti sulle loro tracce a fare marcia indietro22?… Continua a ripetersi la domanda: perché Tavolicci e
non un altro luogo? Anche le voci, che nell’estate 1944 continuavano a circolare, segnalavano la
presenza di partigiani un po’ dappertutto23. Dopo tutto che in montagna ci fossero i partigiani era
notizia acquisita, come era acquisito che le popolazioni, su cui questi contavano per sopravvivere,
spesso erano forzatamente costrette a favorirli. Fra queste solo una delle tante “voci” in circolazione
legava il paese di Tavolicci alla sorte dei fascisti rapiti a Sant’Agata24: quella che diceva che questi
ultimi erano stati tenuti, per tre giorni, rinchiusi in un porcile a Tavolicci. A parte la falsità
dell’affermazione25, la traccia sembra ancora troppo labile perché possa costituire il movente per un
19
M. BALESTRA, Il passaggio del fronte e la resistenza a Cesena e dintorni, Cesena 2005, pp. 327-328.
G. MARCONI, Vita e ricordi sull’8.a brigata romagnola, Rimini 1985, pp. 97-98.
21
BALESTRA, cit., pp. 330-333 e 336-338. Nei pressi di Capanne continuò a trovare rifugio un gruppo di partigiani anche
nell’estate del 1944.
22
BALESTRA, cit., p. 327.
23
“Non so fino a che punto sia vero. Comunque lì che ci sono stati i partigiani senz’altro. Come sono andati in tanti altri
posti… Era la zona dei partigiani lassù: Tavolicci, Castelpriore, Alfero, Monte Riolo, Erano tutte zone di partigiani”.
(Dichiarazione di don Vicinio Caminati, citata in BRANCHETTI, cit., pp. 88-89).
24
BRANCHETTI, cit., p. 89.
25
“A Tavolicci dicono che furono tenuti prigionieri 9 fascisti e 3 tedeschi catturati a Sant’Agata Feltria […] siccome noi
eravamo una compagnia che non avevamo nessuna capacità offensiva perché non avevamo né le armi né le munizioni, ci
avevano assegnato il compito di fare la guardia a questi e la scusa per cui fu… una delle scuse… dei pretesti… inventati dai
repubblichini per sostenere la strage fu quella che sarebbero stati… per alcuni giorni… tenuti prigionieri in stabbi di porci lì
a Tavolicci. Cosa che non è vera in assoluto. Perché li avevamo noi, ce li avevano dati in consegna perché eravamo la
compagnia più disarmata… L’ultima compagnia che si era formata nell’8.a brigata, la più disarmata. [Che giro gli avete
fatto fare ai prigionieri?] Io adesso non ricordo esattamente. Abbiamo girato lassù per in alto ma mai sono stati tenuti… Noi
vivevamo all’addiaccio. Io non ci sono mai passato… Di Tavolicci ne ho sentito parlare solo dopo, ne ho sentito… Poi a un
certo momento arrivò il colonnello Ciceri [Cecere], che io conoscevo già da prima, con un ordine di Libero di fucilarli tutti
e li fucilammo. E buonanotte!”. (Intervista a Umberto Fusaroli Casadei, rilasciata a M. Balestra, Bertinoro 27 luglio 2005).
Si racconta anche che ritornando da Sant’Agata i partigiani si fermassero a Rivolparo, per una sola notte. Vedi:
BRANCHETTI, cit, pp. 89-90. Anche questa notizia, però, sembra da scartare. In una lettera inviata a Franz, datata 27
giugno 1947, Giuseppe Montanari (Peppino), comandante della compagnia incaricata di scortare i prigionieri alle Balze,
racconta di essere arrivato al comando di brigata la sera stessa: “Ora io con la mia compagnia (5.a comp.) ci interessammo
di raccogliere tutti i prigionieri, avendone fatti già gran parte da soli […] molti erano in borghese e molti in divisa militare
dell’esercito. Di quelli in borghese facevano parte elementi fascisti del posto segnalatici dalla popolazione, e poliziotti di
Bologna tra i quali anche due o tre studenti universitari. Poi sempre tra questi figurava un signore abbastanza distinto,
vestito di nero con scarpe lucide, camicia bianca e cappello che seppi poi essere il locale segretario politico […] Si sono già
fatte le 5 pomeridiane e noi lasciamo il paese portando con noi anche tutti i prigionieri che avevamo fatto. Percorsi alcuni
chilometri rilasciammo tutti quelli appartenenti all’esercito esclusi un tenente, due sergenti e un soldato di Rimini mi pare,
che faceva il prepotente e l’intollerante e continuammo con una quindicina di prigionieri fino alle Balze. Fui sempre accanto
20
massacro. A questo punto ci potremmo chiedere ancora perché queste voci facessero riferimento a
Tavolicci e non, ad esempio, alle Balze, dove in quei giorni si era istallato il comando dell’8.a brigata e
dove i prigionieri furono condotti per essere interrogati26? Rifacendosi a quest’ipotesi, Marco Renzi
tende ad identificare la banda partigiana, che si dice avesse Tavolicci come base di riferimento, con
quella di Giorgio Cordonnet. Più un gruppo di banditi che una formazione partigiana, che in diverse
occasioni aveva operato in collaborazione con formazioni appartenenti all’8.a brigata Garibaldi e in
particolare, era presente durante l’occupazione di Sant’Agata Feltria, dove lo stesso Cordonnet
(conosciuto perché del posto) si era messo in mostra guidando le razzie27. Non so se queste
affermazioni siano il frutto di semplici ipotesi o risultino da documenti precisi. Se confermato, questo
legame fra Cordonnet-Sant’Agata Feltria e Tavolicci, sarà determinante. Oggi posso solo aggiungere
che nei documenti riferiti all’occupazione di Sant’Agata, a me noti, la presenza di Cordonnet o della
sua banda non risulta. Pietro, nel suo Rapporto generale28, fa riferimento a dei partigiani delle Marche
con cui si sarebbe dovuta mettere in contatto la brigata guidata da Aberto Bardi (Falco)29, ma non
specifica chi sono30. Di Cordonnet riferisce invece diffusamente Guglielmo Marconi (Paolo)31,
affermando che la sua presenza e quella della sua piccola banda, furono rese note a lui e a Pietro alle
Balze32 e, mandatolo a chiamare, si incontrarono con lui invitandolo ad aggregarsi alla brigata. In
precedenza, Marconi, descrivendo l’occupazione di Sant’Agata Feltria, di Cordonnet non fa alcuna
menzione33.
Credo quindi debba esserci ancora qualcos’altro. Un fatto preciso accaduto in quei giorni,
ritenuto dai fascisti estremamente grave e in qualche modo, in relazione con il paese di Tavolicci.
Qualcosa che ha fatto scattare la molla.
Ad indirizzarmi su una nuova pista fu una lettera34, consegnatami più di vent’anni fa da
Giuseppe Mamini (Franz)35, e poi venutami di nuovo, casualmente, fra le mani qualche anno fa, in
occasione di una polemica apparsa sui giornali, dove la strage di Tavolicci veniva imputata a dei
partigiani/disertori russi o slavi che si nascondevano da quelle parti. L’affermazione era assurda, ma
quello che mi stupì fu che, per negarne la validità, ci si servisse di argomenti altrettanto fantasiosi,
affermando che al momento dell’eccidio, in quella zona non fossero presenti partigiani dell’8.a brigata
Garibaldi, o che fra i partigiani della resistenza forlivese non ci fossero slavi. Mi tornò allora in mente
la lettera di Giorgio Dragoni dove questi, rispondendo alle domande di Franz, descriveva l’attività del
proprio distaccamento, operante nella zona compresa fra il Fumaiolo e la Carpegna36, proprio là dove
non avrebbe dovuto essere. Fu allora che mi venne l’idea di rintracciarlo e di fargli delle domande.
a loro e cercai di farli rispettare il più possibile dai ragazzi specie il tenente ed il segretario politico. Si arrivò alle Balze a
sera inoltrata e i prigionieri furono subito consegnati al comandante del gruppo di brigate “Pietro” il quale li diede in
consegna alla 11.a compagnia”. (ISRECFC, Archivio 8.a brigata, 9/7 120). Anche Paolo scrive che i prigionieri arrivarono
alle Balze la sera stessa del 2 aprile. Vedi: MARCONI, cit., pp. 95-96.
26
MARCONI, cit., pp. 93-97.
27
M. RENZI, p. 94.
28
MENGOZZI, cit., p. 74.
29
La prima brigata, quella che occupò il paese di Sant’Agata Feltria.
30
Dal Rapporto di Pietro Mauri non si evince se l’esistenza dei partigiani marchigiani fosse certa oppure solamente
supposta, in: MENGOZZI, cit., p. 74.
31
MARCONI, cit., pp. 97-98.
32
Probabilmente solo dopo l’attacco a Sant’ Agata, nei giorni che vanno dal 3 al 6 aprile.
33
MARCONI, cit., p. 94.
34
La lettera, non firmata, ma di Giorgio Dragoni (Giorgio il pelato), è datata 29 giugno 1947 e dovrebbe essere conservata
in originale presso l’ISRECFC.
35
Incaricato dall’ANPI di svolgere un’inchiesta sulle cause dell’eccidio di Tavolicci, Franz continuò ad interessarsene per
lungo tempo senza mai abbandonare la speranza di venire a capo della questione.
36
I documenti che confermano l’esistenza di questo distaccamento sono numerosi. Vedi: ISRECFC.
Non posso dilungarmi su quanto scritto nella lettera a Franz e sulle successive interviste a
Dragoni, mi limiterò a riassumerne schematicamente il contenuto, integrandolo con date e notizie di
fatti pertinenti, da lui ignorati:
Dragoni, aggregato alla brigata di Falco, partecipa al combattimento di Fragheto (7 aprile 1944),
dove rimane ferito. Nella ritirata lui e altri quattro restano dispersi. Vicino a Capanne37 incontrano il
dottore della brigata38 assieme ad un ferito39, che raccontano loro quanto era successo ai loro compagni
feriti ricoverati nell’infermeria di Capanne40. Nei giorni successivi si unisce loro Giorgio Baffè ed
incontrano Giorgio Cordonnet. Dopo una decina di giorni decidono di scendere verso la pianura.
Cordonnet rimane sul posto. Per strada si uniscono loro quattro russi anch’essi sbandati. Il gruppo si
dirige a Ranchio, dove occupa il paese e distribuisce alla popolazione il grano immagazzinato presso il
Consorzio Agrario (16 aprile 1944)41. A Ranchio si fermano una settimana. La notizia della loro
presenza in qualche modo raggiunge il comando dell’8.a brigata che invia loro Giuseppe Poggiali
(Pippo) per riprendere i contatti. Pippo li accompagna a Strabatenza da Pietro, che illustra loro la
disfatta della brigata e li informa della propria volontà di andare avanti. Chi non se la sente di
continuare, è invitato a ritornare in pianura. Alcuni se ne vanno e restano solo in sei o sette, inquadrati
in un distaccamento autonomo comandato da Pippo e dal commissario politico Angelo Guerra (Lino).
Il nuovo distaccamento dovrà avere come zona d’operazioni quella compresa tra il Fumaiolo e la
Carpegna. Prima di arrivare sul posto, il gruppo fa un giro molto largo dirigendosi verso il passo dei
Mandrioli con l’intento di recuperare armi e munizioni, nascoste al momento dello sbandamento
generale. In diversi nascondigli trovano solo pietre. L’operazione, probabilmente, continua per tutto il
mese di maggio. Lino spesso è assente e quando ritorna, ogni tanto, lascia dei soldi per il loro
sostentamento. Quando non ci sono soldi, i viveri si requisiscono rilasciando dei buoni. Un giorno,
nella zona del Poggio dei Tre Vescovi, in una località chiamata La Montagna, catturano una pattuglia42
appartenente al presidio di Rofelle, composto da una sessantina di militari, un ufficiale italiano e alcuni
sottufficiali italiani e tedeschi. Il distaccamento partigiano è di soli 10-15 uomini, male armati, ma
Pippo decide di attaccare lo stesso. Guidati dai soldati catturati, che sono passati dalla loro parte, i
partigiani riescono a sorprendere nel sonno gli uomini del presidio e l’azione riesce senza quasi sparare
un colpo. I soldati sono lasciati liberi di andarsene, mentre i tedeschi vengono uccisi (14 giugno
1944)43. L’azione, oltre a viveri e materiale, frutta loro bombe a mano, sessanta fucili francesi, un
mitragliatore, pistole, alcune armi automatiche e munizioni. I contadini del posto, invitati ad asportare e
a trattenere quanto loro necessario, li aiutano a trasportare il bottino, probabilmente fino a Lamone. I
fascisti reagiscono debolmente44. Grazie al buon esito dell’azione, nel giro di una settimana il
distaccamento aumenta sino ad una sessantina di uomini45. I nuovi sono quasi tutti del posto, fra questi
anche i due fratelli Bimbi46. In quegli stessi giorni, alle Balze, si stabilisce un battaglione di SS
37
In una casa su di un crinale da cui si poteva vedere il paese di Capanne. (Intervista a Giorgio Dragoni, rilasciata a
Maurizio Balestra, Milano Marittima, 19 luglio 2002).
38
Probabilmente Tonino Rondoni (Acciaio) di Pieve Quinta, infermiere di professione.
39
Di lui conosciamo solamente il nome, Mario, e sappiamo che era ferito ad un piede.
40
BALESTRA, cit., pp. 330-333 e 336-338.
41
ISRECFC, GNR, 1173.
42
“9 giugno, un maresciallo tedesco viene ucciso, tre soldati repubblicani disarmati presso le Balze”. Dal Bollettino militare
n. 1, in: MENGOZZI, cit., pp. 213-215.
43
“14 giugno, un nostro distaccamento assalta il presidio di Rofelle composto da circa sessanta uomini di truppa, tre
sottufficiali e un tenente, nonché un sergente maggiore tedesco che comanda il presidio. Viene ucciso il tedesco e la truppa
italiana, che non aveva opposto resistenza, disarmata, sciolta dagli obblighi militari è rimandata alle proprie case. Buono il
bottino in armi e materiale”. Dal Bollettino militare n. 1 in: MENGOZZI, cit., pp. 213-215.
44
A parte le dichiarazioni di Dragoni, non si ha notizia di alcuna forma di rappresaglia in proposito.
45
Lettera di Pippo a Pietro Mauri, datata 24 giugno 1944. (ISRECFC, Archivio 8.a brigata, 4/24 0723).
46
Frè Luigi e Sildo Bimbi.
italiane47. Il distaccamento partigiano, diviso in gruppi più piccoli, comincia ad operare: attacca gli
automezzi che transitano lungo la strada che unisce Pennabilli a Pieve Santo Stefano, distrugge lungo il
Marecchia una quarantina di postazioni per mitragliatrici e mortai che fanno parte del sistema difensivo
della Linea Gotica e compie altre piccole azioni48. Sentendosi abbastanza forte, Pippo decide di
ritentare il colpo di Rofelle anche alle Balze, con le stesse modalità. Viene catturata una pattuglia in
perlustrazione e si cerca di convincere i prigionieri a collaborare49. Questa volta la sorpresa non
riesce50. Giunti alla Falera e preso di sorpresa il primo posto di blocco, un razzo luminoso, partito dal
paese, dà l’allarme e le SS italiane cominciano a sparare. Fortunatamente i partigiani sono ancora fuori
tiro e riescono a fuggire senza perdite (è la notte fra il 27 e il 28 giugno 1944)51. Da questo momento il
distaccamento di Pippo è costantemente braccato. I partigiani del posto, che si erano aggregati di
recente, ritornano alle loro case, gli altri si dividono in tre gruppi e si rifugiano nella zona del Poggio
dei Tre Vescovi, probabilmente nelle case denominate Lamone, Bigotta e Montagna. Il giorno stesso
dell’attacco è catturato Giuseppe Casini; torturato per quattro giorni, è poi ucciso in località Serra52. Il 2
luglio le SS italiane attaccano di sorpresa le case in cui sono rifugiati i partigiani. Ci sono morti e feriti,
le case di Bigotta di sopra e Montagna sono incendiate53. Giorgio Dragoni è nascosto, insieme ad alcuni
compagni, in una casa da cui si può vedere quanto succede, ma il suo gruppo è troppo esiguo per
intervenire. L’8 luglio a Ca’ Marcello, sono catturati Frè Luigi e Sildo Bimbi, Fosco Montini e Goretto
Gori54. Il distaccamento di Pippo si sposta verso Sant’Agata Feltria. I battaglioni delle SS italiane ed i
militi fascisti sono continuamente in azione. Il 12 luglio, a Scavolino di Pennabilli, arrestano due
47
Sono circa 450 uomini appartenenti al IV battaglione di polizia italo-tedesca, divisi in tre compagnie di 150 uomini
ciascuna, presenti in zona a partire dal 18 giugno. La prima compagnia fu divisa fra Sarsina e Pieve Santo Stefano, la
seconda si installò alle Balze, la terza a San Donato di Sant’Agata Feltria, mentre il comando si stabilì a San Piero in Bagno.
48
“Visitando i distaccamenti della zona al di sopra di Sant’Agata verso le Capanne, ho constatato che le loro azioni sono
state dirette principalmente contro i tedeschi, avendo fatto saltare 40 posti di mitragliatrici e di armi pesanti, 12 automezzi, 2
tedeschi uccisi e 3 feriti, disarmo di 60 soldati repubblicani a Rofelle facendo un bottino di 70 fucili e numerose munizioni,
un fucile mitragliatore, disgregazione delle forze slovacche che si trovavano vicino a Bascio”. (Da una lettera di Pietro Reali
(Bernardo) al CLN, datata 29 luglio 1944, in: ISRECFC, Archivio 8.a brigata, 4/24 0723).
49
“27 giugno, cinque soldati repubblicani della guarnigione Balze fatti prigionieri e disarmati”. In: Bollettino militare n. 1
in: MENGOZZI, cit., pp. 213-215. Fra i soldati fatti prigionieri, probabilmente, anche Calogero Riggi che finse di
collaborare per raccogliere informazioni e una volta liberato mise in allarme i suoi camerati. Vedi: E.BONALI, V.
FLAMIGNI, S. LOLLETTI, Una comunità appenninica sulla linea Gotica, in: E.BONALI, R. BRANCHETTI, V.
FLAMIGNI, S. LOLLETTI, cit., pp. 111-167, p. 130.
50
Probabilmente per il tradimento di Calogero Riggi.
51
“28 giugno, attacco a da parte di un nostro distaccamento alla forte guarnigione delle Balze”. In: Bollettino militare n. 1,
in: MENGOZZI, cit., pp. 213-215. “Attacco alle Balze che fu meno felice per causa delle forze superiori [illeggibile] però
senza subire nessuna perdita da parte [illeggibile] [del distacca]mento”. (Da una lettera di Bernardo al CLN, datata 29 luglio
1944, in: ISRECFC, Archivio 8a brigata, 4/24 0723).
52
V. FLAMIGNI, La guerra ai civili nell’appennino forlivese in: 1944 stragi naziste e fasciste sull’appennino toscoromagnolo, Cesena 2003, pp. 65-80, p. 73.
53
Il 2 luglio 1944 vengono uccisi: Giuseppe Pettinari, Luigi Lazzarini, Gustavo Bardeschi e Agostino Moroni. Vedi:
FLAMIGNI, cit. p. 73; Relazione dei danni arrecati a cose e a civili dalle milizie fasciste e tedesche nelle zone dove hanno
operato le formazioni dell’8.a brigata, (ISRECFC, Archivio 8a brigata, 3/12 0290), f. 2. Il 2 luglio, a Lamone, è ucciso
anche Gettulio Marcelli, soldato rimasto sbandato dopo l’8 settembre, fermato e trovato in possesso di un cinturone tedesco
è immediatamente ucciso. Il cinturone gli era stato donato dai fratelli Bimbi, dopo l’assalto al deposito di armi di Fresciano.
Vedi: La scuola adotta un monumento. Ricerca delle scuola elementare “M. Gabrielli” di Casteldelci. Anno
scolastico1998/99, Vedi sito: http://scuole.provincia.ps.it/monumento/lascuolaadotta/199899/Casteld99.htm.
54
I fratelli Bimbi furono condotti alle Balze, torturati e poi costretti, sempre sotto tortura, a ripercorrere i luoghi in cui si
pensava fossero ancora nascosti i partigiani. Dalle Balze passando da Senatello fino a Lamone di qui alla Bigotta di sopra e
di nuovo alle Balze dove, dopo quattro giorni (12 luglio), furono fucilati. Il giorno successivo (13 luglio), a Sarsina, Fosco
Montini, riconosciuto come partigiano è torturato e ucciso. Gli altri sono deportati in Germania. Vedi: BONALI,
FLAMIGNI, LOLLETTI, cit., pp. 129-135 e M. RENZI, p. 102.
giovani55. Il 13 luglio altri giovani sono arrestati durante un rastrellamento alle pendici della Carpegna
e condotti a Pennabilli dove, il giorno successivo, è fucilato Antonio Balducci56. Arresti a Sant’Agata
Feltria e a San Donato dal 15 al 20 luglio57. Il 19 rastrellamento a Pereto58. Lo stesso giorno è ucciso
Biagio Fracassi a Molino di Schigno59. Il 20 luglio, durante un rastrellamento a Castelpriore, è ucciso
Mansueto Gabrielli e alcuni giovani sono catturati e imprigionati alle Balze60. Il 21 le SS sono di nuovo
presso la Montagna dove arrestano Uliana Calchetti61. Il 22 luglio è il giorno della strage di Tavolicci62.
Il comando dell’8.a brigata, venuto a conoscenza di quanto accaduto, chiede spiegazioni al
distaccamento presente in quella zona. Pippo manda sul posto Giorgio Dragoni, è il 24 o il 25 luglio, la
relazione è inviata a Bernardo. Il 25 luglio, eccidio di Frassineto63. Lo stesso giorno, a Gattara sono
uccisi Antonio Gavelli e Angelo Micheli64. Il 28-30 luglio tentata azione contro Alfero65. Il
distaccamento partigiano di Pippo si sposta verso la Carpegna. Il 30 luglio, in un rastrellamento a
Scavolino, è catturato Giuseppe Gabrielli che è scambiato per Pippo “il capo dei partigiani” e
malmenato66. Il 31 luglio rastrellamento a Campaolo, Pianfera e Fragheto67. Agli uomini del
distaccamento di Pippo è ordinato di portarsi nella zona di Monte Mercurio-Pieve di Rivoschio, dove è
in via di organizzazione il II battaglione. Pippo resta invece nella stessa zona. Il 7 agosto anche il IV
battaglione di polizia italo-tedesca smobilita per dirigersi a nord68.
Da questo quadro generale si può evincere che:
1) la strage di Tavolicci deve essere inquadrata nella reazione che segue l’attacco al presidio delle
Balze;
2) il IV battaglione di polizia italo-tedesca, a partire dal 28 giugno sino al momento della sua
partenza, è a caccia del distaccamento di Pippo e ne segue tutti gli spostamenti;
3) la strage di Tavolicci supera di gran lunga, sia per il numero delle vittime che per la ferocia che
vi si scatena, tutti gli altri episodi di violenza accaduti in quei giorni.
55
(?) Pianini e Gino Calducci. Il secondo sarà fucilato. Vedi: 1944 stragi naziste e fasciste sull’appennino tosco-romagnolo,
Cesena 2003 p. 131.
56
BALESTRA, cit., p. 474.
57
M. RENZI, p. 103.
58
7 case bruciate, 1 morto e 4 deportati. Vedi: BALESTRA, cit., p. 474.
59
La scuola adotta un monumento. Ricerca delle scuola elementare “M. Gabrielli”di Casteldelci. Anno scolastico 1998/99.
Vedi sito: http://scuole.provincia.ps.it/monumento/lascuolaadotta/199899/Casteld99.htm.
60
FLAMIGNI, cit., p. 73. Assieme a Gabrielli sono catturati e tradotti al carcere delle Balze: Ermenegildo Leoni, Bonfiglio
Leoni, Orfeo Leoni, Giovanni De Lucca, Italia De Lucca, Silvio De Lucca. Tutti, tranne Italia De Lucca, furono torturati e
malmenati. Vedi: M. RENZI, p. 103.
61
Uliana sarà poi rilasciata e Pio, il figlio tredicenne della Calchetti, sarà sottoposto ad una finta fucilazione. Vedi: M.
RENZI, p. 103.
62
64 persone uccise: 20 uomini, 25 donne e 19 bambini di età inferiore ai 10 anni. Vedi: BONALI, FLAMIGNI,
LOLLETTI, cit., pp. 142-155.
63
A Frassineto (Santa Sofia di Badia Tedalda) furono fucilati 5 civili. Vedi: ALUNNI DELLE SCUOLE ELEMENTARI E
MEDIE DI SANSEPOLCRO, La nostra storia. Ricerche e testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza in
Valtiberina, Sansepolcro 1997, p. 61. La lapide che riporta i nomi e le fotografie dei caduti di Frassineto è posta nel cimitero
di Santa Sofia (Badia Tedalda). Vedi: La scuola adotta un momento. Ricerca delle scuola elementare “M. Gabrielli”di
Casteldelci.
Anno
scolastico1998/99.
Vedi
sito:
http://scuole.provincia.ps.it/monumento/lascuolaadotta/199899/Casteld99.htm.
64
PROVINCIA DI PESARO E URBINO, Atti consiliari. Consiglio provinciale straordinario, 12 maggio 2003, p. 19.
65
M. RENZI, Appunti sulla strage di Tavolicci (edito in questo volume, pp….). G. PETTINI, La puntura della zanzara,
Firenze 2003, p. 186.
66
Il rastrellamento è opera del battaglione “La Camilluccia” della SS italiana batt. Tagliamento. Vedi 1944 stragi naziste e
fasciste sull’appennino tosco-romagnolo, cit., pp. 127, 131.
67
M. RENZI, p. 104.
68
M. RENZI, p. 104.
A questo punto, anche se è individuato l’evento che ha dato il via alla rappresaglia: l’attacco al
presidio delle SS italiane delle Balze, Tavolicci resta un fatto anomalo. Che qualcosa abbia fatto
supporre o qualcuno abbia indicato che proprio a Tavolicci si nascondessero i partigiani, non basta a
giustificare questo surplus di violenza. Deve essere successo qualcos’altro.
Giorgio Dragoni, è il primo partigiano ad essersi recato a Tavolicci per stendere una relazione
sull’accaduto da inviare al comando69. Interrogato in proposito, risponde che a Tavolicci non c’erano
partigiani. Sicuramente non quelli del proprio distaccamento e anche il gruppo di Cordonnet, che
restava sempre nei dintorni di Sant’Agata Feltria, non avrebbe dovuto esserci. Quando si recò a
Tavolicci, pochi giorni dopo la strage, interrogando i pochi superstiti, non riuscì ad individuare la
ragione di quanto era successo. Questa gli fu rivelata più tardi, da Giorgio Baffè, quando gli raccontò
che in precedenza70 egli si era recato a Tavolicci, per recuperare delle armi che durante il
rastrellamento di aprile erano state nascoste nei pressi del paese. Le armi non le aveva trovate, ma in
seguito aveva saputo che qualcuno le aveva prese e nascoste proprio a Tavolicci. E lì, qualcun’altro lo
aveva saputo, aveva denunciato il fatto ai fascisti e le armi erano state requisite71.
Questo potrebbe essere l’elemento nuovo: la presenza delle armi potrebbe aver fatto credere alle
SS di essere di fronte al vero nascondiglio dei partigiani che stavano cercando e giustificare, ai loro
occhi, lo scatenarsi della violenza anche contro le donne e i bambini. Ma chi può avere nascosto le armi
sottratte ai partigiani a Tavolicci e perché? Sono domande che ancora non hanno riposta e su cui
proveremo a formulare ulteriori ipotesi.
Giorgio Baffè afferma di essere andato a recuperare le armi nascoste in aprile nei pressi di
Tavolicci. Ma quando i partigiani dell’8.a brigata passarono da quelle parti, in aprile, non erano ancora
in rotta e nella necessità di abbandonare le armi. Questo è vero sia per quelli della seconda brigata,
comandati da Salvatore Resi, che si erano insediati a Capanne72, sia per quelli della prima brigata al
comando di Falco, che da Tavolicci, probabilmente, passarono solo dopo il combattimento di Fragheto,
mentre si ritiravano verso Spinello. Anche questi, al contrario di quanto credeva Dragoni che, al
momento, era rimasto isolato, non erano in rotta. È quindi improbabile che in aprile siano state nascoste
delle armi in quei luoghi.
69
“E stando lì poi, un bel giorno si seppe che c’era stato un rastrellamento che veniva su da Sarsina che eran tedeschi e
fascisti [...] perché han fatto tutto il percorso da Sarsina, Tavolicci e poi anzi ritornarono a Fragheto e poi andarono da altre
parti. E a Tavolicci i fascisti fecero questo bel lavoro. [...] Lì non c’era [nessuno di noi] [...] perché quando successe il fatto
[...] Bernardo [Pietro Reali], che sapeva noi dov’eravamo, mandò uno a dire che io [...] dovevo andare a Tavolicci. Ma
subito dopo il fatto! Tre o quattro giorni dopo. E io sono andato sotto indicazione di Bernardo. Son andato a Tavolicci e ho
parlato con i superstiti, che erano pochissimi... Dopo tre o quattro giorni quando ancora... I morti non c’erano più, però era
ancora tutto fumante... le case erano ancora fumanti. Sono andato per sapere cosa era successo. Lì, io sono sicuro che a
Tavolicci, non c’erano... non c’erano stati partigiani. Erano passati [...] nel rastrellamento di aprile. Erano passati che si
ritiravano. [...] probabilmente anch’io sono passato da lì quand’ero ferito, ma questo mesi prima. [...] Lì sicuramente non
c’erano [partigiani]. Tant’è che io andai perché altrimenti come facevo a andare? Ti pare? Andai e cercai di capire cosa era
successo e feci una relazione a Bernardo. Gliela mandai per scritto. Ci andai io e Aldo di Meldola [...] Si andò in due [...] Lo
disse a me di andare... Cioè mandò a dire da una staffetta che io dovevo andare assieme con un altro e ricordo che io avevo
una matita e trovai... era fatica anche trovare la carta [...] e [...] mandai una relazione a coso [Bernardo] senza sapere... non
ho saputo i motivi dell’eccidio [...] Io ho fatto questa relazione dicendo come si erano svolti i fatti, che cosa avevano fatto,
quanti morti c’erano stati [...] [I fascisti] venivano da Sarsina senz’altro, ed erano tedeschi e fascisti. [...] venivano da
Sarsina sicuro. A Sant’Agata Feltria non c’era nessun... perché noi eravamo vicino a Sant’Agata Feltria e sapevamo cosa
c’era... la situazione militare [...] Venivano su da Sarsina e poi, probabilmente, venivano o dalle Balze o da Forlì, però la
strada era quella”. Intervista a Giorgio Dragoni riportata in: BALESTRA, cit., pp. 477-478.
70
Ai primi di giugno.
71
Sembra che le stesse affermazioni siano state fatte dal commissario politico del distaccamento, Lino, in un’intervista
registrata, di cui però non c’è traccia né presso l’ ISRECFC, né presso l’Istituto analogo di Ravenna.
72
E non credo si siano mai spinti sino a Tavolicci, né vi siano passati durante la ritirata verso Casanova dell’Alpe.
Allora le armi nascoste nei pressi di Tavolicci che Baffè avrebbe dovuto recuperare, quando e
da chi sono state nascoste? Per dare una risposta a questa domanda ci viene in aiuto una lettera inviata
da Pippo al comando, datata 24 giugno 194473:
Ci è capitato una cosa molto dispiacente e non posso nascondertela a titolo di sincerità. Come ti dissi Giorgio
Cordonnet lo abbiamo richiamato con l’ingiunzione di abbandonare la zona. Dopo pochi giorni dalla sua partenza col
piccolo gruppo che avevamo rimasto abbandonai la zona perché divenuta un po’ sospetta, e data la preoccupazione per la
data del 25 maggio che si verificava ovunque un rastrellamento, credei opportuno nascondere 11 moschetti vicino alla casa
ove eravamo, ebbene, dopo un 15 giorni non abbiamo ritrovato queste armi, per quanto abbiamo fatto non mi è stato
possibile avere nessuna indicazione in proposito, ma comunque questi moschetti sono finiti in mano del Cordonnet il quale
à commesso già qualche azione di banditismo e gli dò la caccia continuamente per acciuffarlo ma fin ora mi è stato
impossibile averlo, certamente col denaro che à rubato à corrotto qualcuno del posto ove opera e lo tengono nascosto, ma
spero un giorno o l’altro mi capiti fra le mani e così terminerà di fare il bandito.
Da questa lettera possiamo ricavare che:
1) i fucili sono stati nascosti da Pippo;
2) i fucili sono stati nascosti il 25 maggio o nei giorni immediatamente successivi;
3) i fucili sono stati nascosti nella zona in cui generalmente stazionava il gruppo di Cordonnet;
4) i fucili si sono andati a recuperare il 9-11 giugno (dopo un quindici giorni) e non si sono trovati;
5) i fucili sono finiti nella mani di Cordonnet.
Ora sappiamo che il 25 maggio il distaccamento di Pippo ha nascosto dei fucili nella zona di
Sant’Agata Feltria74, fucili che si cercò di recuparare circa quindici giorni dopo, cioè, poco prima
dell’assalto al presidio di Rofelle, quindi dopo il 9 giugno (giorno in cui si catturò la pattuglia che
rivelò di venire da Rofelle) e prima del 14 (o forse del 13) data dell’attacco. Di qui possiamo desumere
che, dopo il 25 maggio, il distaccamento partigiano, dalla zona di Sant’Agata si sia diretto verso il
Poggio dei Tre Vescovi (la pattuglia, proveniente da Rofelle, venne catturata nei pressi di la Montagna)
e che da qui, per recuperare i fucili lasciati nella zona di Sant’Agata, Pippo abbia inviato solamente una
piccola squadra.
È probabile che a comandare la squadra, incaricata del recupero, fosse proprio Giorgio Baffé e
che questi non fosse a conoscenza della provenienza di quei fucili75 e pensasse che anche quelle fossero
armi nascoste in aprile, come le altre che lui ed i suoi compagni erano andati a cercare proprio nei
giorni immediatamente precedenti. Baffè, lo sappiamo, si dirige nei pressi di Tavolicci e non trova
nulla. Nella lettera di Pippo leggiamo che Cordonnet è sospettato di essersi impossessato dei fucili e dal
73
ISRECFC, Archivio 8.a brigata, 4/24 0723.
Che i fucili fossero nascosti nella zona di Sant’Agata Feltria lo possiamo arguire, perché Giorgio Cordonnet operava
sempre in quella zona. Ce lo dice Giorgio Dragoni: “Si andò in Carpegna [...] Vicino addirittura a Sant’Agata Feltria [...] Lì
si riincontrò di nuovo Giorgio Cordonnet, il famoso partigiano genovese. Aveva mantenuto il suo gruppo lì, capito? Si
riincontrò lì, di nuovo, perché lui stava sempre lì”. (Intervista a Giorgio Dragoni, rilasciata a M. Balestra, Milano Marittima,
19 luglio 2002). Se Cordonnet era sempre lì, è lì, nei pressi di Sant’Agata Feltria, che doveva trovarsi anche il
distaccamento di Pippo quando questi gli ingiunse di andarsene. E la zona abbandonata da Pippo e dai suoi uomini, a causa
di un rastrellamento, nei giorni successivi al 25 maggio, è sempre la stessa e quindi è quella in cui i fucili furono nascosti.
75
Pippo, lo si apprende sempre dalla lettera citata, non teneva Baffè in grande considerazione e probabilmente, inviandolo a
recuperare i fucili nascosti, non gli aveva dato troppe spiegazioni: “Giorgio Baffè è un ragazzo che non ci si può dare
nessun affidamento di controllo, e attivo solo come azione, quindi in proposito d’accordo con Lino non gli abbiamo lasciato
che compiti di squadra più azione militare affiancandogli una squadra d’azione”. (ISRECFC, Archivio 8.a brigata, 4/24
0723). Il fraintendimento, però, potrebbe essere anche imputato a Dragoni, che immaginava lo sbandamento della brigata,
nei giorni immediatamente successivi al combattimento di Fragheto, quando invece erano solo lui ed i suoi pochi amici che
si erano dispersi. Il fatto che i fucili che Baffè era andato a cercare fossero stati nascosti in aprile, potrebbe quindi essere
solamente una sua convinzione. Anticipando lo sbandamento alla prima settimana di aprile, quando i partigiani erano ancora
nei paraggi di Tavolicci, per lui era logico che potessero avere nascosto delle armi anche nei pressi del paese.
74
racconto di Dragoni, che riporta quanto rivelatogli da Baffè76, sappiamo che delle armi (e noi pensiamo
quei fucili) furono nascoste a Tavolicci e che qualcuno, accortosi della cosa, abbia fatto la spia.
A questo punto il cerchio sembra chiudersi. Pippo nasconde i fucili alla fine di maggio, nei
pressi di Tavolicci. In giugno invia Baffè a recuperarli, ma questi non li trova. Pippo ha la certezza che
siano in mano a Cordonnet77, cui quelle armi sicuramente potevano interessare. Baffè, che prima non è
riuscito a trovarli, viene poi a sapere che sono stati sottratti e nascosti a Tavolicci e che lì, qualcuno lo
ha saputo e ha fatto la spia. Gli uomini del IV battaglione di polizia italo-tedesca, già esasperati da una
lunga caccia, di fronte al rinvenimento dei fucili, si convincono che Tavolicci sia la base operativa del
distaccamento di Pippo e decidono di pianificare la strage.
76
“Sembra che quelli di Tavolicci. Qualcuno… non quelli di Tavolicci. Qualcuno avesse preso queste armi chissà per fare
chissà che cosa [...] perché probabilmente erano armi che potevano interessare… non so per quale motivo comunque.
Sembra che sia così… e le ha nascoste… questo qualcuno le ha nascoste lì a Tavolicci. Qualcuno di Tavolicci che sapeva.
Cha ha visto tutta la faccenda ha fatto una denuncia e sono arrivati i fascisti. E hanno trovato le armi. E da qui nasce tutto il
disastro”. (Intervista a Giorgio Dragoni, rilasciata a M. Balestra, Milano Marittima, 19 luglio 2002).
77
In base a quanto afferma Marco Renzi, Cordonnet e la sua banda sembrano avere una frequentazione piuttosto assidua di
Tavolicci: “Tavolicci fu una base partigiana da dove partivano le scorrerie di una poco conosciuta banda di “pseudo
partigiani” capeggiata da Giorgio Cordonnet”. Vedi: M. RENZI, p. 91.