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Numero 24 Aprile 2011 RIVISTA DI ARTE E STORIA DEL GIARDINO Il Parco Chigi di Ariccia Il Giardino Fe d’Ostiani Il Giardino Campeis La Highline di Manhattan Il Giardino di Galeazza Piet Oudolf sulla High Line di Manhattan. La ferrovia sopraelevata degli anni ’30 in disuso trasformata in parco lineare: la vittoria democratica del sogno e della tenacia di due giovani attivisti newyorkesi. Testo e foto di Anna Kauber. Il tessuto urbano di New York, sottoposto a ricorrenti e furiose demolizioni e ricostruzioni, è da sempre alterato da ciclici cambiamenti di destinazione d’uso, sia di singoli edifici che di interi quartieri. Il lavoro di ruspe e gru (presenza fissa nello skyline di Manhattan) ha determinato l’inarrestabile trasformazione di estese aree cittadine e la sostituzione in massa della popolazione residente, con un continuo avvicendamento di etnie e classi socio-culturali. Assorbita da un presente frenetico, fortemente protesa nel futuro – nella modernità e, in particolar modo, nel business – la grande metropoli americana non si è mai guardata alle spalle, anteponendo alle ragioni della tutela e della salvaguardia la logica della speculazione immobiliare e della rendita. Facendo un collegamento ardito, ma più realistico di quanto possa sembrare, si può dire che oggi la High Line di Manhattan non esisterebbe senza un provvidenziale intervento di Jacqueline Kennedy Onassis. Fu lei che a metà degli anni Sessanta, usando tutto il suo prestigio e il suo carisma, riuscì a evitare l’abbattimento del Grand Central Terminal. Qualche anno prima una sorte ben peggiore era capitata alla Pennsylvania Station, l’altra stazione ferroviaria di A fianco. Una vista della High Line da nord a sud. Costruita negli anni Trenta, la ferrovia sopraelevata attraversava i quartieri dei magazzini e delle fabbriche di Manhattan, distribuendo le merci e il bestiame. (courtesy of Friends of the High Line official web site) Sopra. Dominata dall’elegante grattacielo Art Déco dell’Empire State Building, una vecchia locomotiva all’opera: l’ultimo trasporto, prima della dismissione negli anni Ottanta, fu la consegna di tre vagoni di tacchini surgelati. 61 Midtown, magnifico esempio, ancor più della Grand Central, di architettura monumentale Art Déco. Il sacrificio della Pennsylvania Station servì tuttavia a sensibilizzare una parte dell’opinione pubblica, che pochi anni dopo appoggiò Jacqueline. La campagna vittoriosa contro la demolizione della Grand Central Station fu l’inizio di un ripensamento collettivo che negli ultimi decenni ha determinato un diffuso cambiamento di mentalità e di strategia, facilitato soprattutto dalla scoperta che anche la conservazione poteva essere un buon business. Le avventurose vicissitudini della High Line, dall’abbandono alla gloriosa rinascita, nascono da questa premessa e ne sono l’esempio paradigmatico. Tuttavia il salvataggio della vecchia sopraelevata vanta una caratteristica di originalità peculiare (necessaria, nella mentalità americana) che la rende ‘unica’. Sempre al passo coi tempi, in modo ‘molto democratico’, New York deve infatti l’ultimo dei suoi 1.700 parchi urbani a due semplici cittadini, Joshua Green e Robert Hammond, giovani artisti residenti in uno dei quartieri sorvolati dalla ferrovia. In questo caso, dunque, non entrava in ballo un’influente vedova di qualche mitico presidente: e dietro le spalle, i ragazzi non avevano alcun potentato o interessi di speculazione economica. Tuttavia gli attivisti potevano contare su due fattori importanti: la nuova sensibilità dei newyorkesi per il verde e per il proprio passato (resa più consapevole e combattiva dalle esperienze dei Community Gardens e dalle lotte delle Green Guerrillas) e la potenza micidiale di un’arma moderna: il social network. Senza la rete, senza You Tube, panorami interattivi a 360° e animazioni digitali, Twitter, Facebook e gli innumerevoli blog degli attivisti, la difesa della High Line non avrebbe avuto speranza. Alla comunità virtuale di fan (riuniti nell’associazione no-profit Friends of the High Line, creata da Joshua e Robert nel 1999) aderivano così star del mondo dello spettacolo e della moda, uomini di cultura, autorevoli personaggi pubblici e generosi filantropi, 62 Sopra. All’estremo sud, presso Gansevoort Square, il primo dei cinque accessi alla High Line che Piet Oudolf ha progettato come boschetto, rigoglioso di alberi (una nuvola di betulle) e numerosi cespugli. I condomini di lusso e gli hotel, spuntati come funghi nei paraggi, stanno facendo di tutto per ottenere un proprio accesso privato al parco, trovando ogni volta la ferma opposizione dell’Associazione che ne gestisce le sorti. Sopra. Sulla Diramazione meridionale, un troncone secondario della ferrovia, l’esuberante bordura segue il percorso originale dei binari, che entrano nel fitto della vegetazione e ne delimitano il contorno. Sulla destra, il binario ferroviario principale attraversa il secondo piano dell’edificio del Chelsea Market (ex National Biscuit Company, fondata nel 1880). Il passaggio pedonale sorvola la 10th Avenue: costruito negli anni Trenta collegava i due blocchi dell’industria alimentare. condizionando positivamente l’esito finale della battaglia. La vecchia struttura non venne abbattuta, e nel 2006 il sindaco di New York Michael Bloomberg, da sempre sostenitore del progetto, tenne a battesimo la cerimonia di inizio dei lavori di riqualificazione della High Line: un nuovo parco urbano, originale e spettacolare, diventava realtà. Poco più di settant’anni prima sulla High Line avevano iniziato a correre i treni merci. Nel più grande distretto industriale di Manhattan, a sud ovest dell’isola, sostituivano i convogli sui vecchi binari di metà Ottocento che, circolando a livello della strada, causavano paurosi incidenti, spesso mortali. Lunga una ventina di chilometri, dal ’34 la ferrovia sopraelevata trasportava merci e bestiame alle industrie e ai magazzini, attraversando i caseggiati industriali (per evitare di incrociarsi con la metropolitana sopraelevata, che seguiva il tracciato delle arterie stradali) ed entrando direttamente negli edifici per il carico e lo scarico. Dagli anni Cinquanta in poi la High Line perse progressivamente importanza: l’ultimo treno terminò la sua corsa nel 1980, consegnando il carico di tre vagoni di tacchini surgelati. Cessato il suo impegno in attività umane, per la High Line in disuso iniziava un lungo periodo di interregno, con nuovi protagonisti e qualche atipico spettatore. Fra gli appartenenti al regno animale, si distinguevano in particolare numerose varietà di creature dotate di ali. Fra i non-alati, esseri umani con progetti di riconversione ambientalista e misteriose entità con un ricco campionario di sostanze stupefacenti. Sulle rovine decrepite, all’opposto, prosperavano le specie spontanee del regno vegetale: trasportate dal vento, dagli insetti e dagli uccelli nascevano, crescevano e si moltiplicavano rigogliose. Invisibile dai marciapiedi sottostanti, ma seguita con dedizione dal gruppetto di estimatori, l’ammirevole rivincita della natura e la particolare atmosfera che lassù si era creata spontaneamente, sarebbero 63 diventati rispettivamente il motivo ispiratore e il tratto imprescindibile dell’intero progetto. Dando voce alla sensibilità contemporanea, la riconversione in parco urbano lineare secondo questi obiettivi proponeva dunque le tematiche più attuali: la struggente perseveranza del mondo vegetale nella lotta per la sopravvivenza, e l’emozionante riconquista dei luoghi da cui la vegetazione viene bandita; la bellezza semplice e selvaggia delle piante ruderali, la grazia dignitosa delle comuni specie urbane e l’umile fascino delle erbacce; la loro energia vitale e la commovente capacità di adattamento alle condizioni più estreme e, in conclusione, l’inesorabile affermazione della diversità biologica e delle leggi della natura. Dopo tre anni di lavori, tanta attesa e poche sorprese (da tempo erano generosamente in rete rendering fotografici del progetto) nel giugno del 2009 è stata aperta al pubblico la prima parte della High Line, che corre per quasi tre chilometri da Gansevoort Street nel Meatpacking District (il quartiere dei vecchi mattatoi) al Chelsea, quasi all’altezza della Ventesima strada. Si prevede di ultimare il secondo tratto, dalla Ventesima alla Trentesima strada, entro il 2011. L’incarico complessivo del progetto della High Line è stato commissionato allo studio di paesaggismo James Corner Fields Operation, coadiuvato dai famosi architetti newyorkesi Diller Scofidio&Renfro. L’accurato restauro conservativo della pregevole architettura industriale Art Déco ha restituito la tinta originale al ferro della struttura; ogni singolo pezzo di binario, ferramenta, rotaia e traversine è stato meticolosamente numerato, restaurato e conservato. Il progetto di design mirava alla salvaguardia del fascino da ‘reliquia industriale colonizzata dalla vegetazione’ secondo una collaudata metodologia di intervento creativo. Corrette e ben calibrate appaiono le scelte dei materiali, il loro uso e il disegno (finiture povere, ma rese preziose dalla lavorazione: le solite lamiere in Corten arrugginito, le 64 Sopra. Una rigogliosa aiuola perimetrale fa da sfondo a un bell’esempio di passaggio aereo coperto Art Déco. Sulla sinistra, lo storico edificio del Chelsea Market, il cui assetto attuale risale ai primi del Novecento. Nei forni all’interno dell’enorme complesso in mattoni rossi – attualmente adibito a centro commerciale alimentare – si cuoceva la metà della produzione complessiva di biscotti degli Stati Uniti. Sopra. Inattesi scorci ravvicinati degli edifici e della geometrica scacchiera delle strade dell’antico quartiere industriale di Manhattan. Nonostante lo spessore limitato di terra contenuta nei vasconi di questo eccezionale giardino pensile, Oudolf è riuscito a creare nel parco uno straordinario aspetto di spontanea abbondanza e vitalità vegetale. Pagine successive. A sinistra in alto. Lungo il percorso si alternano diverse zone di seduta, isolate e a gruppi, ognuna delle quali presenta caratteristiche differenti e peculiari. Il design lineare delle sedute in legno, riecheggiando l’essenzialità dell’infrastruttura, interpreta con intelligenza le suggestioni del passato industriale della sopraelevata. A sinistra in basso. Attorniata da una panca ad angolo in doghe di legno e incastonata nel pavimento, la fioriera centrale (contenuta dalla lamiera in Corten arrugginito) è esaltata dal raffinato accostamento dei colori e delle sfumature delle essenze botaniche. A destra. La presenza fra le piante dei vecchi binari della ferrovia evoca il passato e – nel gioco del recupero della sua memoria storica – la suggestiva scelta progettuale contribuisce a restituire la romantica atmosfera postindustriale della sopraelevata. lastre in gettata di impasto cementizio e graniglia, il legno al naturale, l’acciaio e il vetro). Unico momento toccante della realizzazione (sebbene coup de théâtre non nuovo nelle ristrutturazioni più sofisticate) è la vista di numerosi segmenti di binari seminascosti fra le piante, recuperati, rimessi esattamente nei punti da cui erano stati tolti, e annegati filologicamente nello stesso ghiaino scuro della ferrovia. Nell’insieme, il progetto di design, benché elegante e raffinato, appare spesso prevedibile e leccato; nel suo colto quanto artefatto look post-industriale, l’intervento della High Line, alla fine, non emoziona. Più stimolante ed evocativo il lavoro del garden designer olandese Piet Oudolf, non nuovo a New York (si veda la sua formidabile realizzazione del 2003, The Gardens of Remembrance, all’interno del Battery Park), chiamato per il progetto e la scelta delle specie botaniche. Da diversi anni Oudolf firma con stile inconfondibile le migliori realizzazioni di parchi e giardini in tutto il mondo: piccoli e grandi capolavori, dove puntualmente manifesta il suo straordinario talento artistico, una solida formazione scientifica, e una conoscenza botanica enciclopedica unita a una grande perizia tecnica. Creare i giardini del parco salvaguardando la straordinaria biodiversità e l’affascinate atmosfera che si era creata sulle rovine della High Line apriva il contenzioso sul ‘naturale-artificiale’ e poteva favorire la radicalizzazione ideologica dei due schieramenti estremi: il giardino come progetto statico (intenzione estetica con volontà d’arte) o, all’opposto, la ‘naturalità’ ad oltranza, la non-organizzazione dell’evoluzione spontanea della vegetazione. La scelta del maestro olandese e della sua poetica poteva risolvere con successo la possibile contrapposizione. La sua visione progettuale, infatti, concilia il grande talento artistico di cui è dotato con una estesa conoscenza delle piante – supportata ulteriormente dalla pratica del vivaismo e dalle continue osservazioni in natura – e delle loro esigenze ecologiche. Nella maglia precisa di un 65 A fianco sopra. In poco più di anno, i newyorkesi si sono appropriati del loro nuovo parco urbano: la High Line è diventata l’ennesima icona cittadina, amata e vissuta disinvoltamente dai cittadini e battuta da orde di turisti di tutto il mondo. A fianco sotto Fra le 14esima e la 15esima Strada, il Diller- Von Furstenberg Sundeck è arredato con chaise-longue in legno, la cui linea e lo ‘scorrere’ su ruotoni industriali lungo i binari si ispirano ai vecchi carrelli da ferrovia. La divertente ricercatezza del design non sembra averne condizionato la comodità, come dimostra efficacemente il ‘rilassatissimo’ utilizzatore nella foto… Sopra. Una veduta del parco da nord verso sud. La zona, che prende ispirazione dalle praterie del Midwest americano e ne utilizza parecchie essenze botaniche, è la più wild del racconto narrato nel progetto di Oudolf. In questa parte il camminamento si stringe e diventa un sentiero fra profonde aiuole laterali: il maestro olandese ricrea le visioni e le sensazioni di una quieta passeggiata in mezzo a un suggestivo paesaggio naturale. disegno formale, le sue creazioni rispettano le più moderne teorie neo-naturalistiche: grazie a questo formidabile amalgama di ispirazione artistica e di conoscenze scientifiche, Piet Oudolf è sicuramente un esponente di spicco del giardinaggio degli ultimi decenni. Nei quattro anni precedenti la messa a dimora delle piante Oudolf svolgeva un’accurata osservazione dello stato di fatto, con accertamenti approfonditi delle condizioni ambientali e climatiche (risultate alquanto ostili, a causa del vento e dell’inquinamento) e dei numerosi vincoli pratici di quello che, in definitiva, sarebbe diventato un lungo giardino pensile (drenaggio, aridità e disponibilità di terra). Procedeva inoltre con le valutazioni scientifiche di adattabilità delle nuove specie da introdurre (trovate principalmente durante i suoi viaggi per prati e pascoli, boschi e praterie nel Midwest americano) e da associare alla vegetazione spontanea esistente (sono un centinaio le specie urbane recuperate dai binari, circa il 40 per cento delle piante usate nel progetto). “Così come tutto in natura” dice il Maestro olandese, dopo aver descritto il minuzioso lavoro scientifico precedente e illustrando la sua visione progettuale “ovviamente anche sulla High Line si sviluppa un racconto: si passa dalla prateria, agli alberi e ai cespugli, e di nuovo ai prati, e poi ancora ai boschetti nella parte finale, a sud”. Le varietà botaniche usate sono circa duecento: erbacee perenni, fiori selvatici, graminacee, arbusti e piante sono coerentemente disposte in ogni ‘capitolo’ della narrazione e accostate ad arte in una emozionante sequenza di ambienti differenti per habitat e microclima (soleggiati, secchi, umidi, ombrosi, ventilati…). Nelle bordure sulla High Line Oudolf domina ogni particolare con abilità e stile, giustappone masse e volumi, tessiture, colori e fiori – mai vistosi o di tinte chiassose – dalle fioriture stagionali sapientemente alternate. Tuttavia il vero capolavoro di bravura dell’olandese è che i giardini creati – nonostante lo stretto controllo progettuale – riescano ancora a restituire ai visitatori qualco69 sa dell’aspetto spontaneo e selvaggio, semplice e spartano (nonché molto romantico) della High Line nei lunghi decenni dell’abbandono. Parallela alla storia scritta da Oudolf, la passeggiata lungo il sentiero sopraelevato narra un secondo racconto, fatto più di cielo che di terra, che si rivela appena lo sguardo spazia tutt’attorno. La vista su Manhattan è sorprendente. A nove metri d’altezza si mostra un’altra faccia della città, illustrata in una successione caleidoscopica di scorci inimmaginabili. La percezione particolare del consueto contesto cittadino (il corredo di cartelloni pubblicitari, balconi e finestre, scale antincendio e cisterne d’acqua sui tetti, automobili e semafori; ma anche suoni e rumori, luci, odori, e così via) rende l’esperienza sulla High Line davvero unica. Lo sguardo scopre nuove geometrie di strade e, sulle fatiscenti facciate degli edifici, inattesi particolari architettonici; spazia in sorprendenti vedute panoramiche e penetra in suggestivi canyon urbani; colleziona memorabili visioni di nuove angolazioni della città e profonde aperture sul fiume Hudson. Avanti e indietro sulla sopraelevata, trionfante di piante meravigliosamente accostate, sospesi sul traffico e i comuni mortali, inebriati dal vento e dall’aria, ci si sente leggeri come farfalle, liberi come – e fra – gli uccelli, ed eccitati come dei ragazzini alla scoperta di territori sconosciuti. In poco più di un anno la High Line è diventata l’ennesima icona cittadina, molto frequentata dai newyorkesi – come sempre subito ‘familiarizzati’ con il loro nuovo parco – e presa d’assalto da torme di turisti. L’iniziativa conferma quello che è ormai noto a buona parte del mondo (tranne all’Italia, a quanto pare): che un intervento pubblico nel verde – intelligente, serio e ben fatto – se curato e amministrato con criterio, può essere sicuramente anche un ottimo investimento economico, a lungo come a breve termine. O, in questo caso, a brevissimo termine: la riconversione della sopraelevata del West Side ha immediatamente fatto lievitare i prezzi degli immobili che sorvola. La struttura inizia ad arricchire la città, notoriamente attenta alla logica della convenienza, e gli abitanti dei quartieri che attraversa. La gentri72 Pagine precedenti. In senso orario. Particolare di binario sezionato, annegato fra le lastre cementizie a pavimento e invaso dalle graminacee. Prima dell’inizio del restauro conservativo, i binari e le traversine sono stati numerati uno ad uno, puliti e accatastati: a fine lavori sono stati ricollocati nella medesima posizione da cui erano stati presi e annegati filologicamente nel ghiaino nero della ferrovia. Heuchere e graminacee, insieme a svariate piante urbane spontanee, colonizzano la pavimentazione, insinuandosi nello spazio vuoto fra le lastre lasciate volutamente discostate a causa della dilatazione termica del materiale cementizio. A sinistra, la cupola prismatica in vetro della sede della casa di moda Diane Von Furstenberg, generosa finanziatrice del progetto. Nella grande aiuola centrale Piet Oudolf offre un vasto campionario di erbacee perenni, arbusti, graminacee e piante comuni. Sopra. L’interessante struttura in ferro Art Déco del parapetto della ferrovia dialoga sia con gli interventi di modernissimo design minimale della ristrutturazione che con i fregi di facciata dell’edificio coevo sullo sfondo. Passeggiare sulla sopraelevata favorisce un approccio nuovo e affascinante alla città, regalando ‘tesori’ altrimenti invisibili e nascosti. A fianco. La riconversione della High Line ha prodotto immediatamente il risveglio immobiliare di tutta la zona, richiamando numerosi archistar internazionali. In questo scorcio sono visibili i grattacieli di Frank O’Gehry, di Annebelle Selldorf e di Jean Nouvel. fication in atto sta condizionando le attività e lo stile della zona, un tempo popolare e fatiscente, modificandone la fisionomia e l’identità: fra gli altri investimenti, accanto alla High Line sorgerà la seconda sede a Manhattan del Whitney Museum, progettata da Renzo Piano Sulla High Line le storie di terra e di cielo, i giardini e il contesto urbano, si intrecciano e si fondono in un racconto comune, che per un momento sembra pacificare la rovinosa contrapposizione fra uomo e natura. Così, come per il Central Park (secondo l’intuizione di Guido Giubbini - Rosanova, gennaio 2009: “La forza di questo oggetto, nato come giardino chiuso, si riverbera all’esterno, ribaltandosi nel suo contrario, il giardino aperto, la foresta incantata dei grattacieli di Manhattan”), anche in questo caso la relazione fra il parco e la città ripropone la magica alchimia della fusione e della trasformazione. E nel grande crogiolo (un nuovo, atipico melting pot) la trama urbana del West Side diventa il paesaggio segreto attraverso il quale scorre e si rispecchia il giardino lineare creato da Oudolf. Con il progetto della High Line, New York celebra nuovamente se stessa, la sua vitalità e le sue indimenticabili vedute. Sempre dinamica interprete della modernità, ancora una volta la città americana conferma al mondo che si sforza di rincorrerla la propria inesauribile capacità di inventare e imporre al villaggio globale nuovi sogni collettivi e riti futuri. Sopra. Ingresso a nord della prima parte del parco realizzata, sulla Ventesima Strada. Da qui fino alla Trentesima Strada fervono i lavori per la realizzazione dell’ultimo tratto, la cui apertura (già animata dalle tante sorprese annunciate) si prevede nell’anno in corso. La presenza dei grandi edifici industriali in mattoni rossi (solitamente enormi magazzini ottocenteschi per le merci e gli alimenti) caratterizza il Lower West Side di Manhattan. A fianco. Il portentoso effetto di prateria selvaggia, caratteristica ricorrente della poetica di Oudolf, crea un affascinante contrasto con lo scorcio della metropoli: il progetto creativo e botanico del parco sembra infatti portare armonia fra il mondo naturale e quello antropizzato. Pagine successive. Sinistra Una delle numerose vedute sul fiume Hudson, che scorre parallelo alla High Line. Lo stretto rapporto fra il parco, la città e il fiume sono forse il tratto più sorprendente ed esaltante dell’intera operazione di recupero della High Line. Destra. Durante il ventennio di abbandono, la sopraelevata è stata conquistata dalla piante spontanee portate del vento, dagli insetti e dagli uccelli. Il patrimonio di biodiversità e l’atmosfera particolare che la rivincita della natura era riuscita a creare sono diventati il motivo ispiratore del progetto botanico e artistico di Piet Oudolf. 74 Piante usate da Oudolf sulla Highline ALBERI E ARBUSTI Acer triflorum Amelanchier laevis Amorpha fruticosa Aronia melanocarpa ‘Viking’ Betula populifolia Cercis canadensis ‘Appalachian Red’ Cercis canadensis ‘Forest Pansy’ Chaenomeles speciosa ‘Jet Trail’ Chionanthus virginicus Clerodendrum trichotomum Clethra barbinervis Cornus florida Cornus sanguinea ‘Midwinter Fire’ Cotinus x ‘Grace’ Fothergilla major ‘Mt. Airy’ Gaylussacia baccata Hamamelis x intermedia ‘Pallida’ Hydrangea paniculata ‘Limelight’ Ilex verticillata ‘Red Sprite’ Ilex verticillata ‘Southern Gentleman’ Indigofera amblyantha Indigofera heterantha Koelreuteria paniculata Lespedeza thunbergii Lindera glauca var. salicifolia Malus floribunda Pinus virginiana Prunus virginiana Ptelea trifoliata Quercus macrocarpa 76 Rhus aromatica ‘Gro-low’ Rhus copallina Rhus glabra Rhus typhina Rhus typhina ‘Laciniata’ Rosa glauca Rosa virginiana Sarcococca hookeriana Sassafras albidum Viburnum x bodnanthense ‘Dawn’ Viburnum x burkwoodii Viburnum nudum ‘Winterthur’ ERBACEE PERENNI Achillea millefolium ‘Walter Funcke’ Agastache foeniculum Amorpha canescens Amsonia hubrichtii Amsonia tabernaemontana var. salicifolia Amsonia ‘Blue Ice’ Anaphalis margaritacea Anemone cylindrica Aralia racemosa Aruncus ‘Horatio’ Asclepias purpurascens Asclepias tuberosa Aster amellus Aster latiflorus ‘Lady in Black’ Aster oblongifolius ‘Raydon’s Favorite’ Aster oolentangiensis Aster puniceus Aster shortii Aster tataricus Aster umbellatus Astilbe chinensis ‘Visions in Pink’ Baptisia x ‘Purple Smoke’ Calamintha nepeta ssp. nepeta Campanula glomerata ‘Caroline’ Corydalis solida Corydalis solida ‘George Baker’ Dalea purpurea Desmodium canadense Dianthus carthusianorum Dodecatheon meadia Echinacea pallida Echinacea purpurea ‘Jade’ Echinacea purpurea ‘Sundown’ Echinacea purpurea ‘Vintage Wine’ Eryngium yuccifolium Eupatorium hyssopifolium Eupatorium perfoliatum Eupatorium purpureum ‘Gateway’ Eupatorium purpureum ‘Purple Bush’ Eupatorium rugosum Euphorbia amygdaloides var. robbiae Euphorbia corollata Geranium maculatum Geranium psilostemon Geranium sanguineum Geum triflorum Helenium x ‘Rubinzwerg’ Helenium x ‘Waldtraut’ Heuchera americana Heuchera villosa ‘Autumn Bride’ Heuchera villosa ‘Brownies’ Iris fulva Knautia macedonica ‘Mar’s Midget’ Liatris aspera Liatris pycnostachya Liatris spicata Lythrum alatum Monarda fistulosa ‘Claire Grace’ Nepeta sibirica Oenothera pilosella Oenothera speciosa Oxalis violacea Papaver orientale ‘Mandarin’ Parthenium integrifolium Penstemon cobaea Persicaria amplexicaulis Phlomis russelliana Phlox maculata ‘Miss Lingard’ Phlox pilosa ‘Lavender Cloud’ Phlox stolonifera ‘Blue Ridge’ Porteranthus trifoliata Pycnanthemum muticum Rudbeckia subtomentosa Ruellia humilis Salvia azurea Salvia ‘Pink Delight’ Salvia ‘Rhapsody in Blue’ Sanguisorba canadensis Sanguisorba obtusa Sanguisorba obtusa ‘Alba’ Sanguisorba officinalis ‘Red Thunder’ Scutellaria ovata Sedum x ‘Matrona’ Sedum telephium ‘Red Cauli’ Sedum telephium ‘Sunkissed’ Sedum ternatum ‘Larinem Park’ Silphium laciniatum Silphium terebinthinaceum Sisyrinchium angustifolium Solidago caesia Solidago ohioensis x Solidaster luteus ‘Lemore’ Stachys officinalis Tiarella cordifolia Tradescantia ohiensis ‘Mrs. Loewer’ Tricyrtis macropoda ‘Sinonome’ Trifolium rubens Vernonia glauca ERBE Andropogon gerardii Bouteloua curtipendula Bouteloua gracilis Calamagrostis brachytricha Carex eburnea Carex laxiculmis ‘Hobb’ Carex pensylvanica Chasmanthium latifolium Deschampsia flexuosa Eragrostis spectabilis Festuca mairei Hakonechloa macra ‘Aureola’ Koeleria macrantha Molinia caerulea ‘Edith Dudszus’ Molinia caerulea ‘Moorhexe’ Molinia caerulea ‘Transparent’ Nassella tenuissima Panicum virgatum ‘Shenandoah’ Schizachyrium scoparius ‘The Blues’ Sesleria autumnalis Sporobolus heterolepis PIANTE DA ZONE UMIDE Baccharis halimifolia Darmera peltata Equisetum hyemale Eriophorum angustifolium Iris sibirica ‘Steve’ Lysichiton americanus Pontederia cordata Typha laxmannii Typha minima Vaccinium macrocarpon Rhexia virginica Asclepias incarnate Hibiscus palustris Triadenum virginicum Panicum amarum ‘Dewey Blue’ BULBOSE Allium atropurpureum Allium christophii Allium moly ‘Jeanine’ Allium obliquum Allium oreophilum Allium sphaerocephalon Allium ‘Mount Everest’ Eranthus hyemalis Eremurus stenophyllus Muscari armeniacum ‘Valerie Finnis’ Narcissus ‘Hawera’ Narcissus ‘Jenny’ Narcissus poeticus var. recurvus Narcissus ‘Sailboat’ Nectaroscordum siculum ssp. bulgaricum Ornithogalum nutans Puschkinia scilloides var. libanotica Scilla litardierei Scilla peruviana Tulipa clusiana ‘Lady Jane’ Tulipa linifolia batalinii ‘Red Hunter’ Tulipa sylvestris RAMPICANTI Celastrus scandens Clematis ‘Gipsy Queen’ Clematis x triternata ‘Rubromarginata’ Clematis montana ‘Marjorie’ Clematis pitcheri Clematis tangutica ‘Bill MacKenzie’ Clematis tangutica ‘Helios’ Clematis viticella ‘Carmencita’ Lonicera sempervirens ‘Major Wheeler’ Schizophragma hydrangeoides Wisteria frutescens ‘Amethyst Falls’ SEZIONE 2: ALBERI E ARBUSTI Juniperus virginiana Styrax japonica ‘Emerald Pagoda’ Rosa glauca Rosa chinensis ‘Mutabilis’ Ilex verticillata ‘Red Sprite’ Ilex verticillata ‘Jim Dandy’ Ilex opaca ‘Dan Fenton’ Ilex opaca ‘Jersey Knight Chimonanthus praecox Rhododendron viscosum Rhododendron atlanticum Rhus copallina Magnolia virginiana ‘Green Shadow’ Clethra alnifolia Magnolia macrophylla Magnolia tripetala Magnolia ashei Cotinus obovatus Philadelphus ‘Natchez’ Vitex agnus-castus Chionathus retusus Salix melanostachys Salix chaenomeloides Syringa laciniata Syringa oblata ‘Cheyenne’ 77