erano montate a gruppi di quattro formando un grande quadrato con

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erano montate a gruppi di quattro formando un grande quadrato con
erano montate a gruppi di quattro formando un grande quadrato con una baracca con la
doccia e una con la toilette. Un altro gruppo era formato da cucine, mensa e sala di
ricreazione e lettura con la radio. Al centro delle quattro baracche un piazzale di venti
metri di lato con corde dove stendere ed asciugare gli indumenti che noi stessi lavavamo.
Nelle baracche alloggiavano gli equipaggi di otto sommergibili dislocati nella stessa zona
della baraccopoli. Noi della bassa forza marinai comuni e sottocapi dormivamo in 40
dentro una baracca di 20 metri di lato con brande in ferro con teli in olona (tela di canapa) con un solo cuscino. I sottufficiali avevano materassi, cuscini e lenzuola. Gli ufficiali e i comandanti avevano lettini con materassi, cuscini, lenzuola e zanzariere e dormivano in stanze separate singole addobbate dentro le baracche. C'erano anche le baracche
con le infermerie e altri tre gruppi di quattro dove alloggiavano gli aviatori e il personale dell'aeronautica militare dell'aeroporto militare di Otmlo, un villaggio a due chilometri
dalla città di Massaua. Al di là di queste baracche per l'aviazione, andando verso il mare,
c'era un grande arsenale navale militare costruito appositamente per le riparazioni delle
unità da guerra italiane. Costruito con grandissimi capannoni in muratura con alte tettoie
che stavano a poche decine di metri dal mare dove iniziavano dei pontili in cemento
armato a palificazioni sul fondo del mare che si allungavano a quattro corsie dalla terraferma in fuori verso il mare più profondo con simmetria rettangolare con una lunghezza di 70 metri e fuori si allargava di 160 metri formando un molo di approdo di punta
con bitte dove erano ormeggiati con passerelle otto sommergibili, due torpediniere, cinque
mas, motoscafi in legno siluranti, rimorchiatori, due motobarche attrezzate con pompe
con grandi volani a mano per dare aria a mezzo di manichette in gomma attaccati con
raccordi agli elmetti degli scafandri, ai palombari. Queste unità navali da guerra stavano
in una baia naturale esclusivamente adibita a loro, di mezzo miglio marino di larghezza e
di un miglio marino di lunghezza e un mare calmissimo. Nella parte nord c'era un spiaggetta, ad est un basso promontorio, una lingua di terra, una piccola penisola che al di
fuori della baia faceva parte della costa dell'Eritrea chiamata Ras Carrar, dove a poche
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decine di distanza c'erano ancorati due grandi bacini di carenaggio in ferro che galleggiavano fianco a fianco una ventina di metri l'uno dall'altro, 10000 tonnellate di portata
cadauno operati dal personale militare della regia marina.
Nella fotografia gli otto regi sommergibili italiani ormeggiati di punta nel molo pontile, dislocati a
Massaua nel Mar Rosso in Eritrea in Africa orientale italiana, alla dichiarazione di guerra il 10 giugno 1940. dal basso: il Macallè, il Perla, l'Archimedi, il Torricelli, il Guglielmotti, il Galvani, il
Ferraris e il Galilei. In fondo le regie navi da guerra italiane. La nave eritrea con funzione di nave
comando e posa mine nei mari. Torpedieniere Orsini e Acerbi. Cinque mas motoscafi siluranti tipo
baglietto svan. Due rimorchiatori della regia marina. Molte barche della regia marina con palombari e
per trasporto personale militare.
L'imboccatura della baia era a sud formata dalle due punte, quella di Ras Carrar e quella del comando marina. A riva c'era l'arsenale, a sud seguivano tutti i magazzini di materiale di bordo degli otto sommergibili e tutte le unità da guerra di stanza a Massaua. Di
fianco ai magazzini i grandi serbatoi di combustibile, nafta pesante, gasolio e olio motore e macchine, nascosti nel sottosuolo di un tratto del promontorio con cemento armato. A un centinaio di metri dal serbatoi, a sud, l'ospedale militare della regia marina in
muratura su pianterreno con grandi croci rosse segnate nelle tettoie e avente un grandissimo piazzale antistante in terra battuta. Sempre verso sud, a poche decine di metri iniziavano le baracche nord del comando marina dove pernottai la prima notte. Anche questa terra era una penisola che da un tratto di molo da dove siamo arrivati noi iniziava fra
due mari, quello della baia di Ras Carrar e la baia porto naturale di Massaua. Dal molo
iniziava una strada asfaltata di circa dieci metri di larghezza che attraversava tutta la penisola a forma di falce di circa tre chilometri dove si trovavano le ultime baracche. A sud
della strada a poche decine di metri di distanza c'era un grande edificio in muratura, due
volte la Prefettura di Trapani,chiamato commissariato, dove venivano conservati il vestiario per il personale della Regia Marina (ricambi) e nei frigoriferi sotterranei i viveri di
riserva per tutte le unità da guerra navali e terrestri della Regia Marina di Massaua. A poca
distanza dal commissariato la strada continuava fino ad un posto di blocco con sentinelle armate della regia marina con l'ufficiale in servizio di controllo entrata ed uscita di civili, militari auto e automezzi. Il posto di blocco determinava la zona militare recintata con
reticolati di circa 800 metri sulla penisola che divideva le acque marine della baia di Ras
Carrar da quelle del porto di Massaua. A sud dal palazzo del commissariato la strada proseguiva fino ad una banchina per l'attracco di una nave mercantile da cui sbarcavano viveri e materiali provenienti dall'Italia per le forze armate navali di Massaua. La banchina
faceva parte del porto nord di Massaua e la banchina e il commissariato erano a nord di
fronte la città e il porto. Le motobarche militari trasportavano il personale delle casermette dei sommergibili e degli aviatori che erano in libera uscita franchi di guardia dal
porto nord alle banchine della città, distanti circa cinquecento metri. Una piccola ma bellissima città, con molte palazzine con vegetazione e fiori, con molti bar, ristoranti per il
grande movimento commerciale con sbarco di uomini, materiali e viveri provenienti
dall'Italia con le navi mercantili. A mezzo di moltissimi camion e della linea ferroviaria di
Massaua (locomotive a vapore con carbone fossile e vagoni per merci e passeggeri) gli
uomini venivano portati fino al capolinea della stazione di Otmlo e al capolinea di
Asmara, a 2300 metri sopra il livello del mare. Percorrevano 179 chilometri di linea fer-
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rata a serpentina e in salita attraversando le montagne che iniziavano come colline a pochi
chilometri da Massaua, ma per via area c'erano solo 40 chilometri. I camion trasportavano le merci nelle altre città dell'Eritrea anche fino ad Addis Abeba, la capitale dell'Etiopia,
con grandi strade asfaltate in salita e a serpentina come la linea ferroviaria. Anche la città
di Massaua era una piccola penisola che si allungava dentro quella grande baia, anzi era
un'isola che veniva collegata alla terraferma da ovest ad est da una larga strada asfaltata a
pontile con palafitte in cemento armato sul mare di circa un chilometro di lunghezza e
quindici metri di larghezza. A sud della città e del pontile c'era un'altra grande baia dove
si ancoravano in rada le navi mercantili in arrivo dall'Italia in attesa delle pratiche di
attracco in banchina. Al centro dell'imboccatura c'era un isolotto basso chiamato Isola
Erba di circa 200 metri lunghezza e 60 di larghezza tutto pieno di vegetazione, tutti alberi verdi senza che si vedesse un piccolo lembo di terreno. La penisola della città di
Massaua, la penisola del comando marina e alloggi sommergibilisti e aviatori e la penisola di Ras Carrar erano dentro un grande golfo formato da tre baie, quella dei sommergibili e bacini di carenaggio, quella del porto di Massaua e quella degli ancoraggi in rada.
Al lato sud di quest'ultima c'era a strapiombo sul mare una catena di colline che girava
verso terra a forma di ferro di cavallo a conca fino a nord e si interrompeva a circa un
chilometro dalla costa sabbiosa di Ras Carrar che si espandeva come un deserto di sabbia e si allungava per tutta la costa nord est dell'Eritrea sino ai confini col Sudan, tutto
deserto sabbioso che è la fine del deserto del Sahara nel Mar Rosso. Tutto l'equipaggio
arrivato nelle baracche aveva il tempo di farsi una doccia e andare a mensa a mezzogiorno. Fatta la doccia e cambiati con indumenti puliti andavamo tutti a mensa nelle baracche collegate all'interno con la grande cucina. La mensa era ordinata con lunghe tavole e
banchi dove sedevano dieci persone per tavolo e si mangiava in stoviglie di porcellana
conservate negli stipetti. Dopo pranzo, nello stesso gruppo delle baracche senza uscire
fuori, c'erano le baracche di ricreazione con sedie e tavole con giochi di dama e scacchi
e la radio che diffondeva notizie dall'Italia, musica e canzoni e poi in fondo c'era lo spaccio militare dove c'era di tutto, carta, busta, francobolli per scrivere a casa. Il mio pensiero era quello di scrivere a mia madre. Alle 18 la cena e dopo la franchigia, la libera uscita per chi era franco di guardia, ma spesso rimanevo nella sala ricreazione ad ascoltare
musiche e canzoni, passando la serata con altri giovani marinai. Dopo in branda a dormire, scoperti e a dorso nudo per il troppo caldo asfissiante che non mi faceva dormire.
Ci misi molto tempo prima di addormentarmi. Il mattino successivo, sempre alle 6, il
trombettiere suonò la sveglia e la suonò proprio nella veranda di fronte la finestra dove
sotto dormivo io e suonò lunghissime note che mi fecero svegliare di colpo, stanco e mal
riposato. Ma quel suono di tromba all'improvviso mi rattristò moltissimo, sentii un vuoto
nel cuore e nell'anima, i miei ricordi ritornarono a quando ero bambino, mi vennero le
lacrime agli occhi e mi sentii come un bambino che sente la mancanza della madre, sentii la sua lontananza e mi sentii piccolo e indifeso, solo eppure dentro la baracca c'erano
altri 39 giovani come me. Allora non ero solo, era il pensiero che volava a casa e a mia
madre. Lei era sola a casa e forse era questo il pensiero che mi tormentava e che mescolava la memoria di quando ero bambino con quella di giovane adulto. Fu un passaggio
veloce tra la memoria di adulto a quella di bambino. Ma subito mi risvegliarono le voci
di tutti gli altri giovani che si preparavano per lavarsi e per farsi la barba e andare in mensa
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per il latte e caffé e la solita brunusa e subito tornai ai miei pensieri quotidiani e pensai a
quando entrai nella vita militare accettandone regole e disciplina. Dopo la colazione il
segretario di bordo mi invitò a presentarmi in segreteria dove mi consegnò due pantaloncini corti da lavoro e due paia per la libera uscita, tutti di color sabbia, due paia di sandali estivi e un casco in sughero leggero antisole foderato in tela, anch'esso color sabbia.
Dopo tutti a bordo per i lavori di manutenzione al sommergibile, alle macchine e allo
scafo. Nella banchina pontile erano ormeggiati otto sommergibili italiani ancorati di
punta, ormeggiati di poppa al pontile con passerelle per scendere e salire, una flottiglia
di 6 oceanici e due mediterranei. Gli oceanici da 985-1259 tonnellate dislocamento portavano i nomi di scienziati italiani dei secoli scorsi:
Archimedi: al comando del Capitano di corvetta Mario Signorini, in guerra il
Capitano di corvetta era Salvatori
Galilei: al comando del capitano di corvetta Corrado Nardi
Galvani: al comando del capitano di corvetta Renato Spanò
Guglielmotti: al comando del capitano di corvetta Carlo Tucci, in guerra il capitano di fregata Gino Spagone
Torricelli: al comando del capitano di corvetta Salvatori Pelosi
Ferraris: al comando del capitano di corvetta Livio Piomarta, su cui sono stato
imbarcato io.
Infine due sommergibili mediterranei più piccoli da 695-855 tonnellate dislocamento:
Macallè: al comando del tenente di vascello Alfredo Morone
Perla: al comando del tenente di vascello Mario Pouchain.
Due torpidiniere: Orsini e Acerbi. Quattro motosiluranti in legno, i mas, due rimorchiatori, alcune bettoline (zattere) per il trasporto di acqua potabile, combustibile, munizioni, siluri, ecc. completavano le altre navi da guerra di superficie ormeggiate nelle banchine di nord ovest di Massaua le torpediniere il Nullo, il Nazauro Sardo, il Manin e il
Battisti, tre caccia torpediniere, Leone, Tigre e Pantera, e la nave comando ammiraglia,
l'Eritrea. Saliti a bordo ognuno aveva il proprio compito. Mi presentai al nostromo, un
sottufficiale secondo capo nocchiere, un volontario di carriera con oltre dieci anni di servizio militare, quasi trentenne, un torinese, uno spilungone alto e magro, un bonaccione
che mi accolse con grande simpatia.
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