Tayad arriva al Social Forum

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Tayad arriva al Social Forum
5
novembre2002
TURCHIA
EMERGENCY
Tayad arriva
al Social Forum
L’appello
di Gino Strada
La testimonianza delle condizioni drammatiche nelle prigioni turche
n Silvia Petrini
Sono in tre, ma raccontano
che altri due loro compagni
non sono riusciti a superare i
vari controlli di confine incontrati lungo la strada. Una strada lunga, visto che il viaggio
dal l a Tu r c hia a Fir en ze
l’hanno fatto in automobile.
Dei tre, uno è un giornalista
condannato in patria da un tribunale speciale, una di quelle
corti che in Turchia, come in
molte altre parti del mondo,
nascondono spesso dietro la
legge la volontà di reprimere
ogni tendenza politica diversa
da quella al potere.
I tre cittadini turchi giunti a
Firenze per il Social Forum
fanno parte del Partito Comunista del loro paese e sono
membri di Tayad, l’associazione che riunisce i familiari
dei detenuti turchi, gli stessi
che da un paio d’anni usano lo
strumento dello sciopero della fame per protestare contro
la segregazione cellulare in
carcere, appoggiati all’esterno da molti loro parenti.
Bahar, l’unico che parla e
comprende bene l’inglese,
risponde ad alcune domande
traducendo anche le parole
dei suoi compagni.
Oltre trecento i detenuti in
sciopero estremo. Qual è
lo scopo che questa
pratica si propone di
raggiungere?
Rendere visibili, anche oltre i
confini turchi, i gravi abusi
che l’introduzione delle
pagina precedente
cosiddette prigioni di tipo F
può facilitare. In Turchia, da
qualche anno, la riforma
carceraria ha preso la strada
della segregazione cellulare,
ovvero del passaggio dal modello tradizionale, organizzato in grandi camerate che
arrivavano a contenere fino a
sessanta detenuti, al modello
imposto dai parametri europei. Si tratta della suddivisione in celle da una a tre
persone. Se questo passaggio
può essere interpretato come
un m i gl i o ram e nt o ne l l e
condizioni materiali di detenzione secondo le convinzioni
europee e occidentali in
genere, lo stesso non è per la
sensibilità media della popolazione turca. Non soltanto la
segregazione cellulare rappresenta, infatti, un peggioramento nelle condizioni di
sicurezza dei detenuti, perch é è p i ù faci l e s ubi re
violenze e pestaggi senza che
altri possano intervenire a
difesa delle vittime. C’è, in
questo modello di carcerazione estraneo alla nostra
cultura, una totale mancanza
di considerazione verso la
socialità come viene intesa,
comunemente, dalla popolazione.
Esattamente il contrario di
ciò che accade qui da noi,
dove ognuno lamenterebbe una grave violazione
della privacy più elementare, se dovesse vivere in
un dormitorio con altre
sessanta persone. Come
mai tutta questa differenza?
Per spiegarla è necessario
s o t t o l i ne are la f u n z ion e
specifica che la carcerazione
in comune ha sempre svolto
in Turchia. Buona parte di
questi detenuti appartiene a
minoranze etniche, soprattutto kurda, oppure politiche,
come accade per molti attivisti dei partiti di sinistra critici nei confronti dell’attuale
governo. La detenzione in
grandi camerate ha sempre
offerto la possibilità di portare
avanti la crescita politica, sia
individuale che collettiva,
attraverso uno scambio continuo di opinioni e conoscenze. L’opposizione alla
maggioranza si è spesso riorganizzata proprio in carcere,
grazie alla condivisione
quotidiana di momenti di
studio e di vera e propria
attività politica.
Q u in di il g r a dim e n t o
mostrato dal governo turco
verso l’introduzione delle
F-type prisons, caldeggiate
dall’Europa, avrebbe una
ragione repressiva?
Sì. L’intenzione è quella di
minare le fondamenta stesse
del fermento civile e politico,
che può trovare in prigione il
terreno per organizzarsi. Un
fermento che ha già prodotto
individui scomodi al potere.
Basta pensare al famoso
poeta turco Nazim Hikmet,
c om u n is ta e pe r q u e s to
costretto a tredici anni di
carcere verso la metà del
secolo scorso. Hikmet non
sarebbe diventato il grande
autore che oggi conosciamo,
s e n z a q u e ll’ e s pe r ie n z a
“comunitaria” in prigione,
così come molti contadini non
avrebbero mai imparato a
leggere e scrivere senza la
s c u ola c he lu i m is e s u
durante gli anni di reclusione.
Alcune di quelle persone, non
è un caso, una volta tornate in
libertà hanno intrapreso la
strada delle lotte politiche e
sindacali.
Emergency, dal 1994, si occupa della cura e della
riabilitazione delle vittime delle guerre e delle mine
antiuomo ed è presente, con ospedali, centri di riabilitazione
e posti di primo soccorso, in Afganistan, Sierra Leone, Nord
Iraq e Cambogia.
Ogni giorno vediamo gli orribili effetti della guerra e li
curiamo; in otto anni abbiamo curato oltre 300.000 vittime
ed è per questo che siamo contro la guerra.
Ci sono tante ragioni per essere contro la guerra: perché la
guerra è un orrendo macello, perché moriamo a milioni,
perché altri milioni di esseri umani ci piangono, perché molti
restano feriti e mutilati nel corpo e nella mente, perché si
genera povertà e miseria ad alimentare le sofferenze. Perché
non vogliamo che tocchi anche a noi e ai nostri figli, perché
alla fine sarà cambiato solo chi comanda e si è arricchito, e il
nostro mondo sarà più brutto. Siamo convinti che le vittime
civili siano la prima e forse l’unica verità della guerra, e che
l’alternarsi di governi e dittatori ne siano soltanto, questi sì,
effetti collaterali.
Diamo voce alla maggioranza dei cittadini, che sono contrari
alla guerra.
Chiediamo a tutti i cittadini, alle famiglie, ma anche a
Comuni, Parrocchie, associazioni, scuole di essere testimoni
di pace, appendendo alle finestre bandiere di pace,
bandiere bianche. Appendendo un pezzo di stoffa bianca
alla borsetta o alla ventiquattrore, alla porta di casa o al
balcone, al guinzaglio del cane, all’antenna della macchina,
al passeggino del bambino, alla cartella di scuola.
Chiediamo a tutti di celebrare con noi il prossimo
anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, il 10 dicembre prossimo, portando nelle strade
di ogni città, di ogni comune, un segno di pace. Basta
guerre, basta morti, basta vittime.
Ottobre 2002
Per informarsi, contribuire, partecipare:
Emergency, via Bagutta, 12 - 20121 Milano, Tel. 0276001104
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A Firenze contattare Lorenzo Casi: 3394049006
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