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n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
Vittorio Merloni
e la necessità
di una nuova
imprenditoria
Nei giorni scorsi si è spento Vittorio Merloni, il
grande industriale italiano che aveva portato
una piccola azienda di famiglia a diventare un
vero colosso, la Ariston, uno dei protagonisti
internazionali nel settore degli elettrodomestici.
Vittorio Merloni aveva incontrato sulla sua
strada una temibile malattia contro la quale
non aveva potuto nulla e che negli ultimi anni
lo aveva privato della lucidità, costringendolo
all’abbandono del timone dell’azienda. Un
timone (indegnamente) ereditato dal figlio
Andrea, non dimostratosi della stessa stoffa del
padre e che un paio di anni fa fu costretto, dal
dissesto finanziario, a cedere il gruppo Ariston/
Indesit alla concorrente americana Whirlpool.
Una cessione che probabilmente il vecchio
Vittorio, se fosse stato presente, non avrebbe
mai avallato, consapevole del depauperamento
del tessuto industriale italiano che ne sarebbe
derivato: la vendita al gruppo americano ha avuto immediate conseguenze, con il licenziamento
di circa 2000 operai e la conseguente chiusura
di impianti e linee produttive.
Vittorio Merloni, che era stato anche presidente
di Confindustria, credeva nel ruolo dell’imprenditore e dell’industriale vicino al territorio e, pur
avvalendosi dei capitali di borsa, guardava con
qualche sospetto al capitalismo anglofono delle
public company e alla conduzione delle aziende
fatta da manager puri. Certo, Merloni faceva
parte di quel gotha industriale italiano che ha
attraversato la seconda metà del secolo scorso
a braccetto con la politica; e per questo poteva
essere criticato, qualche volta a ragione. Ma il
rafforzamento dell’azienda, ottenuto anche passando per coraggiose acquisizioni, come quelle
di Indesit e Hotpoint, oltre che a rendere più solide le casse di famiglia, aveva ricadute positive
sul territorio, sui posti di lavoro, sull’immagine e
sulle ambizioni del made in Italy nel mondo degli
elettrodomestici e dell’elettronica.
Oggi, a forza di non stupirci più di nulla,
abbiamo un tessuto industriale italiano slabbrato
e con rari e preziosi esempi di eccellenza: ci
vengono in mente i Fumagalli della Candy, i
Dè Longhi, i Casoli delle Cappe Elica, tanto per
fare qualche esempio a cui sarebbe sbagliato
non rendere giustizia. Ma di certo siamo di
fronte a un panorama incapace di replicare la
leadership continentale nel settore dei grandi
elettrodomestici dei decenni passati: sentiamo
la mancanza certo dei posti di lavoro persi e dei
poli industriali desertificati. Ma soprattutto ci
mancano sempre più di figure di spicco, capaci
di indirizzare il mercato, di traguardare strategie
a lungo termine e di incalzare il mondo politico.
Insomma, sentiamo la mancanza degli imprenditori veri, quelli con il sacro fuoco dell’eccellenza
e del bene dell’azienda.
Ma ci basterebbero, in uno scenario sempre
più dominato dalle multinazionali, anche
manager illuminati, capaci di gestire le filiali
italiane come se fossero cosa loro, con un piglio
imprenditoriale; manager capaci ma anche
messi in condizione dalle Case madri internazionali di gestire le realtà produttive e anche solo
commerciali presenti in Italia nel rispetto delle
tipicità del nostro Paese. Invece la sensazione è
che sempre più a guadagnare le posizioni nelle
sale dei bottoni delle filiali italiane siano sempre
più gli “yes man” che tanto gratificano i board
MAGAZINE
L’iPhone 7 potrebbe
anche non essere
così innovativo 06
Hasselblad lancia
la X1D, mirrorless
medio formato 12
Enel: entro l’anno
10.000 colonnine
in autostrada 17
Ecco Sky NOW TV: nuovi
canali, a breve anche HD
Tutti i dettagli di NOW TV, la nuova TV in
streaming di Sky: ha una nuova interfaccia
e pacchetti più ricchi. Da 9,99 euro al mese
04
Energica, le super moto
elettriche made in Italy
Da 0 a 100 Km all’ora in 3 secondi
Benzina e gas di scarico addio: l’elettrico
è arrivato nel mondo delle moto sportive
15
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
23
26
OnePlus 3, qualità
Supersfida cuffie
Nel regno del silenzio a prezzo imbattibile
internazionali ma che sovente perdono il contatto
con il territorio e la necessità di far crescere un
mercato sempre più intelligente e sano.
Per questo – e non da oggi – ci manca Vittorio
Merloni. La sua scomparsa, in questi giorni di
Brexit e di (effimera) turbolenza sui mercati,
dovrebbe farci pensare quanto la finanza fine a
se stessa sia povera di contenuti e schiava degli
speculatori; e a quanto si stia facendo troppo
poco per creare delle condizioni a livello nazionale
e comunitario per favorire che talenti di questo
tipo trovino ancora terreno fertile per far nascere,
crescere e sviluppare una nuova industria e una
nuova imprenditoria italiana.
Gianfranco GIARDINA
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Huawei P9 Plus
Più grande, più bello
39
TELE System Ultra 4K Sitecom Twist, la
Decoder 4K completo home cam che “gira”
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MAGAZINE
MERCATO Nextplora ha pubblicato uno studio sulla diffusione dei servizi streaming in Italia
Streaming in Italia: sul podio Netflix e Spotify
Netflix è al primo posto per i film e le serie TV, per la musica gli italiani preferiscono Spotify
L’
di Gaetano MERO
istituto di ricerca Nextplora ha
pubblicato i risultati di uno studio che analizza la conoscenza e
l’utilizzo dei servizi streaming in Italia.
La ricerca rivela che il 15% degli internauti maggiorenni nell’ultimo anno ha
usufruito di contenuti sui siti di streaming a pagamento tra i quali al primo posto risulta Netflix con il 48%, seguito dai
concorrenti Infinity (40%) e Sky Online
(37%), quest’ultima ribattezzata ora NOW
Tv. Tra i siti gratuiti, invece, il più utilizzato
è senza dubbio Youtube con il 57% delle
preferenze, e sul secondo gradino del
podio troviamo l’istituzionale Rai.tv con
un 40%.
Il 61% di chi ha avuto accesso nell’ultimo anno a siti di streaming, gratuiti o a
pagamento, ha dichiarato di aver visto
principalmente serie tv e film, mentre il
59% ha ascoltato musica. Esaminando il
segmento video, grande successo hanno riscontrato le trasmissioni in differita
preferite dall’85% degli utilizzatori rispetto a quelle in diretta seguite dal 47% degli utenti. Il 35% degli intervistati ha affermato di accedere ai servizi streaming
tramite siti legali mentre il 78% di utenti
Con un investimento di
circa 750 milioni di euro,
l’azienda coreana
ha iniziato a convertire
le vecchie linee di
produzione dei TV LCD
per i pannelli organici di
nuova generazione
di Alvise SALICE
si è rivolto a siti pirata per guardare film
o serie TV.
Il campione consultato ha dichiarato tra
le principali ragioni alla base del ricorso
ai servizi di streaming: la convenienza
(39%), la possibilità di accedere ovunque
ed in qualsiasi momento ai contenuti di
proprio interesse (37%) e la comodità
del servizio (35%). La spesa mensile per
il 45% degli utenti dei servizi streaming
video non ha superato la soglia dei
10 euro. Il dispositivo preferito in questa
categoria rimane il computer per l’82%
dei fruitori, il 30% utilizza anche il tablet,
mentre solo il 23% ricorre alla smart TV.
Nel settore streaming musicale al primo
posto tra i servizi più utilizzati c’è Spotify
con il 55%, seguito da Google Play Music
con il 32% ed iTunes Radio che si assesta al terzo posto con un 26%. il 54% degli utenti si rivolge a siti gratuiti, mentre
tra coloro che accedono a siti a pagamento, il 24% ha una spesa mensile che
non supera i 10 euro. Cambiano però i
dispositivi utilizzati per ascoltare musica,
il preferito è lo smartphone (64%) molto
più comodo e maneggevole per un utilizzo tramite cuffie ed auricolari, secondo posto per il computer (60%) e terzo
posto per il tablet (26%).
MERCATO Ipsos ha pubblicato un interessante studio sui marchi più influenti nel nostro Paese
Quali sono i marchi più noti e influenti in Italia?
Google e Amazon in testa, Apple è solo ottava
Sorpresa: Apple è soltanto all’ottavo posto, ben quattro posizioni dopo la “rivale” Samsung
A
di Franco AQUINI

pple non è tra i brand più conosciuti e influenti in italia, almeno
secondo uno studio di Ipsos, società di ricerca e analisi dei mercati, che
ha pubblicato una classifica dei marchi
più influenti in Italia. I primi posti non
sorprendono affatto. Google, Amazon,
Facebook, i soliti noti insomma. Persino
Samsung al quarto posto non stupisce
nessuno, se non fosse che la rivale
Apple, da sempre ritenuta un’azienda
innovativa e influente, è posizionata
solo all’ottavo posto, appena prima del
Parmigiano Reggiano e dopo la Nutella.
Siamo in Italia, è evidente che alcune
eccellenze gastronomiche, in una clas-
torna al sommario
LG pronta
a investire
750M di euro
nell’OLED
sifica particolare come questa,
siano ben posizionati tra i primi
dieci, ma che la casa di Cupertino finisse alle ultime posizioni
è davvero curioso. Viene quindi
da chiedersi come sia stato condotto lo studio e se sia realmente
affidabile.
Innanzi tutto vengono definitivi
influenti i marchi che generano
un impatto significativo nella
vita delle persone, non soltanto nei
consumi. Nel caso specifico, sono state
considerati cinque parametri: La fiducia
e affidabilità del marchio, il coinvolgimento (quello che viene chiamato in
gergo tecnico Engagement), il ruolo e
l’impegno sociale, la capacità di innovare e creare tendenza e la presenza sul
mercato. Tutti parametri dove l’azienda
di Cupertino sembra cavarsela piuttosto bene. Cosa ne pensate a proposito?
Siete d’accordo con Ipsos?
Tra i colossi dell’audio-video,
solo LG è senza dubbio legato
ai TV con tecnologia OLED. A riprova dell’enorme investimento
dell’azienda, emergono in queste
ore forti voci di corridoio secondo
cui la divisione Display avrebbe
avviato un poderoso business
plan finalizzato ad incrementare
in modo decisivo la produzione
di Smart TV OLED. Si parla di una
cifra stellare, 1 trilione di won (850
milioni in dollari statunitensi e
poco meno in euro), che verranno
investiti nello stabilimento di Paju,
individuato da LG per attuare la
massiccia conversione di linee
produttive LCD nei nuovi impianti predisposti alla costruzione dei
pannelli OLED di grandi dimensioni. Grazie alla mastodontica
operazione aziendale, la capacità
produttiva di LG supererà quota 60.000 unità al mese, quasi il
doppio delle 35.000 dichiarate
nel 2015. La produzione della
gamma LCD dovrebbe spostarsi
interamente presso lo stabilimento di Guangzhou in Cina.
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MERCATO Fastweb ha annunciato di aver raggiunto con la propria rete in fibra le prime 24 città
Fastweb: 24 città già a 200 Mbit al secondo
Il piano prevede di raggiungere 13 milioni di famiglie e imprese in 500 città entro il 2020
L
di Gaetano MERO
a rete in fibra ottica di Fastweb
con velocità fino a 200 Megabit al
secondo ha già raggiunto in questi
giorni le prime 24 città italiane. Ad annunciarlo è stata la stessa società che
ha avviato ad aprile un piano di potenziamento delle proprie infrastrutture il
cui obiettivo è di servire 500 città ed
il 50% della popolazione entro il 2020.
Dopo Arezzo, Viterbo, Riccione, Rimini, Trento, Massa, Pistoia, Caserta, a
giugno Fastweb Alessandria, Brindisi,
Chieti, Cologno Monzese, Cormano,
Forlì, Grosseto, Lecce, Lecco, Magenta, Matera, Salerno, Savona, Taranto,
Udine, e alcuni quartieri della città di
Milano precedentemente non collegati
dalla fibra (35 mila famiglie e imprese
nelle zone di Affori, Barona, Bicocca,
Crescenzago, Lambrate, Novara, Precotto, Quarto Oggiaro e Taliedo).
Attualmente l’operatore offre servizi
Internet in fibra a 10 milioni di famiglie
e imprese in circa 200 città - a cui si
sono recentemente aggiunte Bolza-
La Federal Aviation
Administration,
assieme al Ministro dei
Trasporti del governo
Obama, ha emanato
un regolamento che
“liberalizza” l’uso degli
UAV su suolo americano
per molti operatori
professionali
no, Ravenna, Prato, Lucca, Cagliari e
Messina - con la propria rete fino a 100
Mbps su tecnologia FTTH e FTTC .
Nel solo mese di giugno 16 comuni
hanno ricevuto l’upgrade alla rete ultraveloce a 200 Mbps ed altre 30 città saranno presumibilmente collegate
entro l’estate. Il progetto di espansione
prevede il raddoppio della velocità di
Internet in download su tutta la rete,
Fastweb promette infatti di collegare
alla fibra ad alta velocità oltre ai nuovi
abbonati anche i già clienti. “Puntiamo
sulla velocità, ma anche sulla stabilità
e potenza della nostra rete, con infrastrutture ridondate che permettano
alle imprese e alle famiglie di avere il
miglior servizio Internet” ha dichiarato
Mario Mella, Chief Technology Officer
di Fastweb. Al momento la società ha
200 cantieri aperti su tutto il territorio e
posa circa seimila km di fibra al mese.
MERCATO A sei anni dalla rimozione della funzione OtherOS, Sony dovrà risarcire gli utenti USA
Sony multata per aver rimosso Linux dalla PS3
55 dollari a chi proverà di aver installato un altro sistema operativo, 9 dollari ai restanti
L
di Francesco FIORILLO

anciata sul territorio americano
nell’oramai lontano 17 novembre
2006 (in Europa si è dovuto attendere il 23 marzo dell’anno successivo),
PlayStation 3 permetteva agli utenti
non solo di riprodurre gli immancabili
videogame appositamente sviluppati,
ma garantiva anche il funzionamento
dei Blu-ray e offriva la possibilità di installare sistemi operativi di terze parti.
Quest’ultima funzione però, per problemi di sicurezza e di pirateria, fu eliminata nel 2010 tramite l’immancabile
aggiornamento del firmware.
Dopo ben sei anni di dibattito e una
valaga di carte presentate ai tribunali
statunitensi, Sony ha deciso di accettare il risarcimento di tutti gli utenti
che comprarono PlayStation 3 in USA
dal primo novembre 2006 al primo
aprile 2010, proprio per la funzione
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USA
Via libera
ai droni
commerciali
che garantiva l’installazione del sistema operativo Linux.
Secondo l’accordo, che necessita dell’approvazione finale del giudice, la
società giapponese pagherà 55 dollari ad ognuno dei 10 milioni di giocatori
che riuscirà a provare di aver installato sulla piattaforma un altro sistema
operativo, mentre offrirà 9 dollari ai
restanti acquirenti.
I querelanti che hanno dato inizio alla
class action dovrebbero inoltre ricevere 3.000 dollari di bonus a testa,
mentre l’avvocato che li ha rappresentati chiederà 2,25 milioni di dollari per
pagare le spese processuali.
di Alvise SALICE
Finora, negli Stati Uniti d’America
per pilotare un drone a fini di lucro
era necessario munirsi di una licenza di pilota a tutti gli effetti. Ora l’amministrazione Obama ha deciso di
abrogare questa norma, sostituendo alla patente di volo l’obbligo di
effettuare un semplice test di conoscenza degli UAV e del relativo
regolamento, al superamento del
quale verrà rilasciato un certificato
ad hoc. Anche chi sarà sprovvisto
del documento avrà la facoltà di
radiocomandare il drone commerciale, a patto che sia supervisionato
da un soggetto certificato. Naturalmente, pur fungendo la nuova normativa federale da liberalizzazione
nei confronti dell’impiego di droni a
scopo di lucro, non mancheranno le
dovute, rigide imposizioni: saranno
concessi esclusivamente voli a bassa quota (i consueti 122 metri), con i
droni che dovranno trovarsi sempre
sotto il controllo di chi li gestisce, e
non potranno in alcun caso volare
sopra la gente. E soprattutto, agli
UAV sarà assolutamente vietato superare le 100 miglia orarie. Inoltre,
con buona pace degli speranzosi
investimenti già fatti da Amazon
e compagnia, la Federal Aviation
Administration continuerà, almeno
per il momento, a non prevedere l’utilizzo dei droni come vettori
per le consegne. “‘Questo è solo
il primo passo”, garantisce Barack
Obama, “perché siamo agli inizi di
una rivoluzione nell’aviazione che
cambierà il modo in cui facciamo
affari, garantiamo la sicurezza e
raccogliamo informazioni’’.
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27 GIUGNO 2016
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ENTERTAINMENT La promessa dell’HD, l’app per smartphone, un’interfaccia nuova e pacchetti più ricchi. Ecco NOW TV di Sky
Sky NOW TV: nuovi canali e a breve anche l’HD
Sky ha lanciato la nuova offerta per la TV in streaming: si parte da 9,99 euro al mese, più opzioni si scelgono più si risparmia
di Roberto PEZZALI
OW TV è arrivato in Italia: Sky, più europea e consapevole della diffusione ormai inarrestabile dello streaming, ha deciso di rivoluzionare la sua TV
via internet oggi chiamata Sky On Line trasformandola
in una piattaforma tutta nuova. NOW TV, come abbiamo già avuto modo di scrivere nella nostra breve anticipazione, è un vero reset dell’esperienza streaming
di Sky, un prodotto che nasce già più completo ma che
solo tra qualche mese, dopo un periodo di rodaggio,
si potenzierà per ottenere quelle funzionalità che tutti
aspettano da tempo, alta definizione in testa.
Sky mette le mani avanti per non esporre il fianco a
critiche e annuncia che tra qualche mese arriveranno
l’HD, una nuova offerta dedicata allo sport, probabilmente in concomitanza con la partenza della Serie A e
una nuova app per smartphone, che va a completare
un servizio già disponibile su Pc, Mac, Tablet, Smart TV
(alcuni modelli), game console. Sky, nel corso dell’anno, introdurrà anche nuove piattaforme, e si spera in
una apertura verso Apple TV e Chromecast.
Se il futuro di NOW TV è senza dubbio promettente,
anche il presente che Sky non è affatto male: rispetto a
Sky Online è stata rifatta interamente l’interfaccia, con
un nuovo stile content based che rende più facile la
ricerca dei contenuti, ed è stata rivista l’organizzazione dei pacchetti, acquistabili come sempre con ticket
mensili. Chi sottoscrive oggi l’offerta potrà scegliere tra
“Intrattenimento”, “Serie TV” e “Cinema”, e per aiutare nella selezione ci saranno due settimane di tempo
dove questi tre pacchetti saranno visibili gratis.
NOW TV, come Sky Online, dà accesso sia a contenuti
onDemand sia ai canali live in streaming del pacchetto
sottoscritto, e coloro che si sono già abbonati noteranno la separazione dell’Intrattenimento dalle Serie TV.
Sky, come avevamo già scritto, ha comunque potenziato i due singoli pacchetti, e per “Intrattenimento”

N
torna al sommario
sono arrivati i nuovi canali Fox Animation, History, Nat
Geo Wild, Eurosport 1 ed Eurosport 2 che si affiancano
ai già presenti Sky Uno, Fox Life, MTV, Disney Channel,
Disney Junior, Nick Jr e ovviamente le news di Sky TG
24.
Serie TV, via libera alle stagioni complete
Il potenziamento tocca anche le “Serie TV”, il pacchetto più ambito: oltre alle serie TV più recenti (Il Trono
di Spade, Outcast e Billion) ci saranno anche i cofanetti con le stagioni complete di moltissime serie (Lost,
Dexter, Vinyl e Once Upon a Time) oltre ovviamente
alle produzioni originali Sky, come Gomorra-La Serie,
In Treatment e Romanzo Criminale. L’abbonato, ma
questo accade già ora, potrà vedere in diretta anche
i canali Sky Atlantic, Fox, Fox Crime e Fox Life per poter vedere gli episodi di molte serie in contemporanea
con gli Usa. Nei prossimi mesi sono attesi i cofanetti
completi di Grey’s Anatomy, Desperate Housewives
e Revenge. Si chiude con Cinema, otto canali sempre
disponibili, 500 titoli a catalogo e 15 nuovi contenuti
ogni mese, un pacchetto che diventerà interessante
non appena verrà aggiunto l’HD. Per gli appassionati
di Sport ci sarà in questa prima fase, ma non visibile nel periodo di prova gratuita, un pacchetto Calcio
a 19,99 euro al mese (con le fasi finali dell’Europeo),
potenziabile acquistando i singoli eventi di altri sport.
Qui per ora non cambia nulla, ma un ticket Sport più
completo è in fase di preparazione. A livello di prezzi
l’offerta di Sky per NOW TV non è affatto male se si
considera il potenziamento che arriverà a breve con
HD e app per smartphone: 9,99 euro per un solo pacchetto, 14,99 euro per due pacchetti e 19,99 euro per
tre pacchetti. Per gli attuali clienti di Sky Online che
hanno sottoscritto il ticket “Intrattenimento” l’offerta
si arricchirà dei nuovi contenuti ma il prezzo mensile
non cambierà, questo ovviamente fino a quando non
si blocca il pacchetto.
NOW TV, come Sky Online, Netflix e Infinity non ha vincoli contrattuali legati alla durata, può essere attivato e
Inside Out è tra i film del pacchetto Cinema, otto
canali sempre disponibili, 500 titoli a catalogo e
15 nuovi contenuti ogni mese
bloccato quando si vuole. Il modo più semplice per accedere a NOW TV resta il TV Box, set top box costruito
da Roku collegabile ad ogni TV dotata di una presa
HDMI. È lo stesso set top box di Sky Online con una
nuova veste, e chi possiede il modello vecchio riceverà
un aggiornamento software che adeguerà l’interfaccia.
Qui il prezzo non cambia: 49,99€, con inclusi tre mesi
di un pacchetto a scelta tra Intrattenimento, Serie TV
o Cinema. Una nuova partenza quindi, anche se si
dovrà attendere domani per vedere se l’arricchimento
dei due pacchetti Intrattenimento e Serie TV a livello
di contenuti giustifica i 5 euro in più richiesti rispetto
a oggi. In ogni caso, quando arriverà l’alta definizione,
se Sky non chiederà (come sul satellite e come fa ad
esempio Netflix) un bonus per avere uno streaming di
miglior qualità, l’offerta sarà super competitiva.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
ENTERTAINMENT In arrivo nuovi progetti tratti da famosi videogiochi e racconti per l’infanzia
Netflix espande l’offerta per i più giovani
La regina dell’Internet TV dal prossimo anno allargherà anche la propria l’offerta kids
di Michele LEPORI
rosse novità in arrivo su Netflix,
ma stavolta le attenzioni sono
tutte rivolte al mondo dei giovanissimi, con una proposta kids in espansione proprio per venire incontro ai loro
gusti. Entro il 2017 saranno infatti ben
4 le nuove serie che arricchiranno il palinsesto dedicato ai cartoni animati, con
nomi grossi del mondo dei videogiochi e
progetti creati sulla base di racconti per
l’infanzia vincitori di numerosi riconoscimenti.
Si parte da Skylanders Academy, una
serie interamente prodotta da Blizzard
Studios e che vedrà il famoso gruppo di
conosciutissimi eroi far fronte alle minacce del male che vuole conquistare il loro
mondo. I 13 episodi di cui è composta la
prima serie, in onda in inverno, vedranno
nel cast dei doppiatori americani voci
importanti quali Susan Sarandon, Daniel
Wu, Parker Posey, James Hetfield, Catherine O’Hara, Chris Diamantopoulos e
Harland Williams.
Altro nome grosso per l’inverno, Llama
Llama: basato sugli osannati racconti della scrittrice ed illustratrice Anna Dewdney,
la serie esplorerà i momenti più importanti dell’infanzia del protagonista, assieme
al rapporto che lo lega a doppio filo a
G
Asus ZenBeam E1
è un proiettore
da taschino con 5 ore
di autonomia
e 120” di diagonale
massima. Peccato
per la risoluzione
di Roberto PEZZALI
famiglia ed amici. Previsto per la messa
in onda nel 2017, la serie vede coinvolti
nomi grossi quali il direttore premio Oscar
Rob Minkoff (già apprezzato per The Lion
King), il direttore Saul Blinkoff (in cabina
di regia per Doc McStuffins), lo showrunner Joe Purdy, il direttore artistico Ruben
Aquino (il nome grosso dietro a Frozen,
The Lion King, Aladdin, Mulan) ed i produttori Jane Startz ed Andy Heyward.
Chiude il 2017 un gradito rinnovo quale Kong: Re dei primati, che ripartirà da
dove si era fermato rivelando il destino
dei protagonisti ed aprendo le porte di
un nuovo mondo sotterraneo.
Per il 2018 saranno invece due i brand
in rampa di lancio: la nuova serie ispirata a Spy Kids intitolata Spy Kids: Mission
Critical, in cui i giovani agenti segreti dovranno fronteggiare la minaccia del cattivo Golden Brain e dell’organizzazione
S.W.A.M.P. (Sinister Wrongdoers Against
Mankind’s Preservation).
Per i giovani ma non più giovanissimi,
invece, ecco arrivare la serie Hilda a portare in TV i fumetti di Luke Pearson. Ambientata nella città fantasy di Trollberg, gli
spettatori seguiranno le avventure della
giovane protagonista fra razze fantasy
ed incontri avvincenti e talvolta pericolosi
sulla lunga e tortuosa strada della crescita verso l’età adulta.
TV E VIDEO Shield arriva in due versioni: standard, con 16 GB di storage e PRO con 500 GB di spazio
NVIDIA Shield PRO: accessori in regalo fino al 15 luglio
Acquistando Nvidia Shield PRO in omaggio tutti gli accessori e 3 mesi di contenuti WRC
di Gaetano MERO
S

hield Android TV è il set top box
proposto da NVIDIA, disponibile
da poco anche in Italia, che trasforma il televisore in un centro multimediale completo grazie alle potenzialità del sistema operativo Google,
al supporto ai contenuti in 4K e alla
torna al sommario
Asus
ZenBeam E1
Il piccolo
proiettore
con 5 ore
di autonomia
compatibilità con alcuni dei più diffusi servizi di streaming quali Spotify e
Netflix. Come abbiamo già evidenziato
durante la nostra prova, la particolarità di questa periferica è il suo spiccato lato gaming su cui NVIDIA spinge
molto offrendo, a fronte di un abbonamento mensile di 9,99 euro, accesso a
titoli da vera e propria console tramite
la piattaforma dedicata
Ge Force Now.
In vista dell’estate la
società ha dato il via ad
promozione molto interessante e riservata
alla versione PRO del
set top box da salotto
con 500 GB di storage.
Fino al 15 luglio, infatti,
chi acquista Shield Android TV PRO, al
prezzo di 299 euro, riceverà in omaggio il piedistallo in alluminio per posizionare la console in verticale, 3 mesi
di contenuti dal World Rally Championship oltre ad un Joypad, essenziale per
le fasi di gioco, e allo Shield Remote,
il telecomando avanzato dotato di microfono per gestire il dispositivo anche
tramite comandi vocali. Nella confezione troveremo inoltre la cavetteria
completa per collegare subito il set top
box alla TV.
La versione base del dispositivo, con
storage interno da 16 GB, sprovvista
del solo piedistallo è invece disponibile al prezzo di 199 euro. È possibile
acquistare entrambi i modelli sul sito
ufficiale del produttore.
Forse i tempi non erano maturi:
quando sono usciti i primi proiettori portatili la scarsa autonomia e soprattutto la ridotta luminosità hanno impedito la loro diffusione. Asus
ci riprova ora con lo ZenBeam E1,
un piccolo proiettore da tasca che
grazie alla batteria integrata ha ben
cinque ore di autonomia, e volendo può essere usato anche come
battery pack per ricaricare lo smartphone. Lo ZenBeam, introdotto a
Las Vegas quest’anno e finalmente
disponibile a circa 250 euro, può
contare su una discreta luminosità
per un prodotto simile, 150 lumen,
e su una risoluzione che purtroppo
non è elevatissima, WVGA ovvero
854 x 480. Le specifiche tecniche
sulla pagina del sito, che parlano di
risoluzione HD e 900 lumen sono
quindi errate, frutto probabilmente
di un copia e incolla uscito male. Lo
ZenBeam ha un altoparlante integrato, corregge automaticamente
la distorsione trapezioidale e soprattutto grazie all’ingresso HDMI /
MHL può accettare sorgenti come
console, smartphone e media stick
come Chromecast o il Vivostick
di Asus. ZenBeam proietta fino a
120” da una distanza di circa 3,7
metri, anche se forse vista la luminosità è bene ridurre lo schermo
a circa 70”.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
MOBILE Per il Wall Street Journal, da sempre ben informato sui piani della Apple, iPhone7 potrebbe non avere novità importanti
Come sarà iPhone 7: davvero innovativo o conservativo?
Su Wibo, popolare social network cinese, spunta anche un listino prezzi nel quale è riportato il prezzo della versione Pro
di Franco AQUINI
I
niziano a farsi più insistenti i rumors intorno al prossimo iPhone 7.
Il Wall Street Journal, da sempre ben
informato sui piani della casa di Cupertino, spiana il campo a una probabile delusione per tutti i fan dello smartphone più
celebre di sempre. Secondo la testata
statunitense, iPhone7 verrà presentato
nella doppia versione con display da 4,7
e 5,5 pollici e senza jack audio per le cuffie, primaria differenza con la versione
attuale. A mettere ancora più confusione
ci si mette anche Weibo. Un’immagine
rubata mostrerebbe un listino prezzi che
cita, oltre alle due versione standard e
Plus, anche una versione dell’iPhone 7
denominata Pro. La terza versione, già
apparsa precedente in qualche rumor,
potrebbe essere quella con la doppia fotocamera e il connettore magnetico per
periferiche esterne. Il tutto però in palese
contraddizione con quanto affermato dal
Wall Street Journal sulla presunta assen-
za di novità di rilievo sul prossimo iPhone
in uscita a fine anno.
Sempre secondo Weibo, un’altra novità
sarebbe la scomparsa del modello da
16GB. Finalmente la versione base sarebbe quella da 32GB. Della presenza
del jack audio da 3,5mm si è parlato a
lungo, da quando a fine 2015 sono cominciate a spuntare le voci su una sua
presunta rimozione dal prossimo iPhone,
in favore dell’unico connettore lightning.
Certo, i vantaggi ci sarebbero: l’iPhone
potrebbe finalmente guadagnare una
completa impermeabilità e soprattutto
potrebbe diventare ancora più sottile, tuttavia, bisognerebbe fare i conti con auricolari più costosi o con fastidiosi adattatori per utilizzare gli attuali. Tutte cose
che non farebbero certo felici gli utenti.
Dietro quello che molti hanno già bollato
(senza neppure vederlo) l’iPhone 7 come
il meno innovativo di sempre ci sarebbe
però una valida motivazione: il modello
di iPhone che uscirà nel 2017, quello che
spegnerà dieci candeline, potrebbe contenere tante novità da richiedere un tempo di sviluppo superiore alla norma. E’
prematuro comunque parlare: basterebbe un OLED, un processore super e una
soluzione per una autonomia da record a
tacere tutte le voci, molte di queste basate esclusivamente sul design.
Apple si trova di certo in una posizione
delicata: dopo aver registrato il primo
trimestre fiscale della storia dell’iPhone
con le vendite in discesa, deve dimostra-
MOBILE Vodafone ha presentato il suo nuovo smartphone top di gamma con connettività 4G+
Vodafone Smart Platinum: design ultra sottile e 4G+
Ha un display 2K AMOLED da 5,5’’ e offre fino a due giorni di autonomia con una carica
V
di Gaetano MERO

odafone ha presentato Vodafone
Smart Platinum, uno smartphone
di fascia alta che andrà ad ampliare la gamma di dispositivi che portano
il marchio dell’operatore rosso. Il telefono supporta la linea superveloce 4G+
(LTE Cat 6) garantendo una velocità in
navigazione fino a 225 Mbps. Vodafone
Smart Platinum si mostra con un design
ricercato e materiali da top di gamma,
ha un corpo in alluminio aeronautico ultrasottile con uno spessore inferiore ai
7 millimetri, fronte e retro sono rivestiti
da vetro gorilla glass resistente agli urti,
alla back cover è stata inoltre applicata
una lucidatura diamantata.
A bordo troviamo un display da 5,5
pollici 2K AMOLED con risoluzione
2560x1440 pixel, 3 GB di RAM, 32 GB
per lo storage interno espandibili con micro SD fino a 128 GB e lettore di impronte digitali posizionato sul retro scocca. Il
processore scelto da Vodafone è l’octa-
torna al sommario
core Snapdragon 652
di Qualcomm, il sistema operativo sarà
naturalmente l’ultima
versione di Android,
Marshmallow 6.0.1. Il
comparto
multimediale dello Smart Platinum è composto da
due sensori, anteriore
e posteriore, rispettivamente da 8 Mpx e
16 Mpx entrambi con
Flash LED, attivabili anche a schermo
spento mediante i
pulsanti per la regolazione del volume.
In particolare la camera principale può
registrare video ad alta definizione ed
è dotata di super zoom e zero ritardo
di scatto.
La batteria ha una capacità di 3.000
mAh e secondo quanto dichiarato dal
produttore riesce a regalare fino a due
giorni di autonomia allo smartphone. In
più, grazie alla funzionalità Quick Charge 3.0, il telefono può raggiungere metà
della carica in appena 30 minuti.
Vodafone Smart Platinum è già in vendita in tutti gli store dell’operatore e sul
sito ufficiale ad un prezzo di 429,99
euro. Lo smartphone sarà inoltre disponibile con diverse formule di abbonamento per clienti business e consumer.
Il listino dell’iPhone 7 apparso su Weibo.
re al mondo, e soprattutto agli investitori,
di essere ancora capace di innovare. E, di
conseguenza, di essere una gallina dalle
uova d’oro per tenere alto il morale degli
azionisti che negli ultimi anni si sono abituati a guadagni facili.
MOBILE
Honor 5C
debutta
in Italia
Honor 5C è disponibile anche nel
nostro Paese al 199,99 €. Si tratta
di un Dual SIM con scocca in lega di
alluminio aeronautico con levigatura “effetto metallo” che misura
147,1 x 73,8 x 8,3 mm per un peso di
156 g. Honor 5C è equipaggiato con
un display IPS Full HD da 5,2” e con
densità di 424 ppi. Il SoC a bordo è un
Kirin 650 octa-Core Cortex-A53 (4 a
2,0 GHz e 4 a 1,7 GHz) affiancato da
2 GB RAM e 16 GB di storage interno,
espandibile grazie allo slot (condiviso
con il secondo vano della SIM) per
micro SD fino a 128 GB. All’interno
troviamo, inoltre, un modem LTE
Cat.4, una fotocamera da 13 Mpx f/2.0
e LED Flash ed una camera frontale da
8 Mpx, f/2.0, con grandangolo da 77°.
questo è il
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n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
MOBILE Con i nuovi sistemi operativi arriva la spada di Damocle per l’hardware più datato
iOS 10 e macOS Sierra: chi potrà aggiornare
I Mac precedenti al 2010 saranno esclusi dall’aggiornamento, così come diversi iDevices
A
di Mirko SPASIANO
ll’utimo WWDC Apple ha annunciato, tra le altre cose, macOS Sierra
e iOS 10, vediamo ora quali sono
i prodotti che potranno beneficiarne. In
quel di Cupertino, per quanto riguarda il
supporto ai Mac, hanno deciso di escludere tutti quelli precedenti al 2010, indipendentemente dal form factor: tutti i
MacBook, iMac, MacBook Air, MacBook
Pro, Mac Mini e Mac Pro rilasciati nel
2009, o prima, non riceveranno macOS
Sierra. Se per il sistema operativo dedicato ai Mac è abbastanza semplice, lo
scenario delineato per gli iDevices è
leggermente più articolato. In particolare, non riceveranno iOS 10:
•iPad 1, 2 e 3
•iPad Mini
•Gli iPod Touch fino alla quinta
generazione
•Gli iPhone 4S e precedenti
Con buona pace dei possessori affe-
In arrivo la nuova
generazione del più
diffuso tra gli e-reader
Cura dimagrante,
memoria aumentata
e prezzo invariato
Già in pre-order,
debutterà nelle
prossime settimane
di Dario RONZONI
zionati degli iDevices più vecchi, si
potrebbe dire che, comunque, la lista
dei dispositivi supportati da iOS 10 non
è particolarmente sorprendente. Per i
Macl discorso è leggermente diverso e
farà sicuramente storcere il naso a qualcuno: qui sembra che Apple abbia effettuato un vero e proprio taglio lineare.
MOBILE L’autenticazione a fattori di Google è disponibile da molti anni, ma pochi la utilizzavano
Google semplifica l’autenticazione a due fattori
Il sistema ora è più sicuro e con meno scocciature
Google ha trovato un’ottima soluzione: niente più codici o SMS, basta un tap sull’app
di Franco AQUINI
L

a soluzione perfetta per la sicurezza del proprio account Google
ce l’ha da molti anni, ma pochi
la usano. Il motivo? È una scocciatura. Ecco perché Google ha deciso di
semplificare il tutto creando Google
Prompt, un nuovo sistema di autenticazione basato su un’app disponibile
sia per Android che per iOS, con la
quale autenticare il proprio account
sarà soltanto questione di un tap sulla
notifica. Niente più codici a scadenza
quindi.
Google Prompt è disponibile sia per
gli utenti degli account Google (quelli
gratuiti) che per le Google Apps (account aziendali). Basterà entrare nelle
pagina di gestione del proprio account e abilitare la verifica in 2 passaggi. Tutto questo richiederà l’app
torna al sommario
Nuovo Kindle
Meno grammi
e più RAM
allo stesso prezzo
di Google su iOS o l’ultima versione
dei Google Play Services su Android.
Il funzionamento è semplicissimo:
quando verrà effettuato l’accesso a
uno dei servizi di Google mediante
nome utente e password, verrà inviata
una notifica al telefono e con un tap
potremmo validare il login, senza più
codici da trascrivere.
Google Prompt, al momento attuale,
non è ancora attivo in Italia, ma non
escludiamo che possa arrivare a brevissimo o che sia addirittura già in
fase di roll-out.
Kindle base si rifà il trucco. Il popolare e-reader di Amazon è stato
svelato nella sua veste rinnovata,
senza variazioni di prezzo. Rispetto alla generazione precedente,
il nuovo Kindle è ora più sottile e
leggero (160 x 115 x 9,1 mm, per un
peso di 161 grammi), dotato di un
profilo arrotondato che consente
di impugnarlo anche con una sola
mano. Disponibile in due colorazioni, bianco e nero. Amazon non
si è però limitata a ritocchi estetici ed ergonomici: il nuovo Kindle
dispone infatti di 512 MB di RAM,
doppia rispetto al predecessore, e supporta tutte le più recenti
funzionalità di lettura introdotte
dalla casa madre, dall’estrazione
facilitata delle note alla schermata
iniziale personalizzata, oltre a un
generale update dell’interfaccia di navigazione.
Lo schermo e-ink touch
da 6 pollici è rimasto invariato, così come la risoluzione di 161 PPI.
Il nuovo Kindle è già in
pre-order a partire da
69,99 euro e sarà disponibile tra qualche settimana,
anche nei punti vendita fisici di Mediaworld, Hoepli,
Giunti ed Euronics.
n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
MOBILE ZTE, con Tim, ha annunciato la disponibilità in Italia di due prodotti basati su Android
ZTE e TIM portano in Italia Axon Mini e Spro2
Axon Mini è uno smartphone 4G con scocca unibody, Spro2 è uno smart projector portatile
Z
di Mirko SPASIANO
TE ha annunciato che commercializzerà in Italia, attraverso il principale operatore di telefonia mobile
italiana, due prodotti di fascia alta: l’Axon
Mini e lo Spro2.
Il primo è uno smartphone 4G che, almeno sulla carta, si preannuncia molto
interessante: scocca unibody in titanio
ed alluminio e display super AMOLED
Full HD da 5,2 pollici. Il cuore pulsante
dell’Axon Mini è un processore octa-core
di Qualcomm non meglio specificato, accompagnato da 3 GB di memoria RAM,
32 GB di spazio di archiviazione ed una
batteria da 2800 mAh. Ma le vere caratteristiche distintive di questo smartpho-
ne sono il Force Touch ed il triplo sistema di autenticazione
biometrica. Se la prima, ormai,
è ampiamente conosciuta, è
opportuno spendere qualche
parola sulla seconda: oltre al
classico sensore per il rilevamento delle impronte digitali,
ci si potrà autenticare con la
retina e addirittura con l’impronta vocale, per una sicurezza senza
compromessi.
Lo Spro2, invece, stando alle parole di
ZTE, è il primo proiettore al mondo con
sistema operativo Android e display touch LCD da 5 pollici. Dispone di connettività 4G e Wi-Fi integrata, grazie alla quale
sarà possibile visualizzare e proiettare su
parete contenuti in streaming, con risoluzione massima HD (720p), fino a 120 pollici di superficie massima. Sarà possibile
utilizzarlo in mobilità grazie alla batteria
integrata da 6300 mAh, che dovrebbe
offrire un’autonomia massima di 3 ore di
proiezione, ed all’altoparlante integrato.
Non mancano un ingresso HDMI, una
porta USB ed uno slot microSD, che si
affianca ai 16 GB di memoria ROM.
La partnership con TIM non riguarda
soltanto la commercializzazione, perché
con le app TIMVision, Serie A TIM e TIMGames, gli utenti potranno vedere film e
serie TV, oltre alle partite di Serie A della
propria squadra del cuore, e scaricare i
giochi.
TianYe, Terminal Director di ZTE Italia si
è detto entusiasta del lancio di questi
prodotti nel nostro paese perché rappresenterebbero in pieno la qualità dei
prodotti della compagnia cinese, spesso
associata a terminali entry-level. Entrambi i prodotti sono in vendita sullo store
online di TIM, rispettivamente ai prezzi di
listino di 299,90 e 699,90 euro
MOBILE
Huawei lavora
a un sistema
operativo?
Secondo The Information, Huawei
sarebbe impegnata in un progetto
molto ambizioso: la realizzazione di
un sistema operativo proprietario.
Sebbene si tratterebbe di un progetto
ancora in fase embrionale, ci sarebbe
un folto team di sviluppo al lavoro in
scandinavia, al cui interno si troverebbe anche un nutrito gruppo di ex
dipendenti Nokia. A capo del progetto
ci sarebbe Abigail Brody, ex dipendente Apple. Al momento non è chiaro se
il sistema operativo della compagnia
cinese sia uno “spin-off” di Android,
come FireOS di Amazon, o qualcosa di
diverso. Ad ogni modo, anche se questi rumor dovessero rivelarsi accurati,
il sistema operativo di Huawei potrebbe comunque non vedere mai la
luce del sole. Il progetto dell’azienda
cinese sarebbe volto semplicemente
a limitare la dipendenza da Mountain
View. Laddove Google dovesse limitare il supporto di Android o la libertà
nella personalizzazione per le terze
parti, Huawei avrebbe pronto un bel
paracadute.
MOBILE La compagnia taiwanese sta testando la sua Sense Home su smartphone non-HTC
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]

Per la pubblicità
[email protected]
torna al sommario
Sense 8.0 su tutti gli Android? HTC ci prova
HTC potrebbe rilasciare sul Play Store Sense Home anche per gli smartphone di altri brand
C
di Mirko SPASIANO
ome ogni casa costruttrice di
smartphone Android, HTC mette
in commercio i propri dispositivi
con la propria skin, nota come Sense,
per abbellire e personalizzare il sistema
operativo mobile di Mountain View. La
novità è che la compagnia taiwanese
potrebbe presto aprire la nuova versione
della Sense Home a tutti gli smartphone
Android rilasciandola “pubblicamente”
sul Play Store.
AusDroid è riuscito ad intercettare un invito che HTC avrebbe inviato ad uno dei
partecipanti al suo programma di preview, nel quale incoraggia i possessori
di smartphone non-HTC, che montano
Android 4.4 o versioni successive, a provare la nuova Sense. Tra le caratteristiche principe della Sense si annoverano
Blinkfeed (raccoglie tutti i media di interesse, come social e news in un’unica
schermata), la possibilità di visualizzare
specifiche app sulla home sulla base
dell’orario e del luogo in cui ci si trova e
quella di modificare l’aspetto del sistema
operativo con dei temi personalizzati.
I motivi di questa apertura sarebbero da ricercare proprio in quest’ultima
funzionalità della Sense Home: infatti,
la personalizzazione più o meno spinta
della Home di HTC si può effettuare me-
diante acquisti in-app. Pertanto, laddove
l’azienda taiwanese decidesse di andare
fino fondo, potrebbe estendere il target
degli acquisti in-app a tutto il bacino di
smartphone Android. Del resto, sono
diversi anni che HTC sta stentando con
la vendita dei propri terminali e spingere i propri servizi al di fuori del proprio
orticello potrebbe rivelarsi una mossa
azzeccata, oltre che remunerativa.
n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
SOCIAL MEDIA E WEB Rilasciato in beta il sito del Governo che mostra l’evoluzione della banda larga
Scopri se e quando arriverà la banda larga
Basta inserire l’indirizzo per prendere visione della situazione odierna, al 2018 e al 2020
V
di Roberto PEZZALI
ivi in un piccolo paese e sogni da
anni una connessione decente?
Grazie ad un sito del Governo è
possibile controllare i piani per la banda larga in ogni angolo d’Italia. Il sito,
raggiungibile all’indirizzo http://bandaultralarga.italia.it/ è già stata preso
d’assalto e il risultato è sotto gli occhi
di chi proverà a interrogare l’enorme
database per scoprire se la fibra sta
arrivando. “Impossibile connettersi al
database” risponderà il browser, segno
che in Italia la fame di connettività è
tanta: dopo qualche tentativo si riuscirà
comunque ad accedere a tutti gli open
data con la possibilità di scaricare tutti
i prospetti, e grazie ad una interfaccia
chiara e immediata sarà possibile vedere la percentuale di copertura per
ogni zona entro il 2020 sia a 30 Mbps
sia a 100 Mbps.
Ricordiamo che il Governo si è posto
PC
Presentato
il primo chip
a 1.000 core

Durante l’edizione 2016 dei VLSI
Technology and Circuits Symposia,
il “Department of Electrical and
Computer Engineering” dell’Università di Davis ha mostrato il primo
processore al mondo dotato di mille
core. Con circa 621 milioni di transistor, il KiloCore è in grado di eseguire
la miracolosa cifra di 1,78 trilioni di
operazioni al secondo. Cento volte
più di un PC moderno.Il microchip
a 1000 core è stato disegnato da
studenti laureati in Ingegneria alla
Davis. KiloCore vanta un consumo
energetico risibile in proporzione
alle sue capacità: ogni core, infatti,
è in grado di attivarsi e lavorare
singolarmente, ottimizzando il
consumo energetico, raggiungendo
livelli di efficienza finora solo sognati. Il processore a 1000 core, per
esempio, sarà in grado di eseguire
115 miliardi d’istruzioni al secondo
con un consumo di appena 0,7 watt,
risultando così alimentabile anche da
una singola batteria stilo AA.
torna al sommario
l’obiettivo di “coprire l’85%
della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare
servizi a velocità pari e superiori a 100Mbps garantendo al
contempo al 100% dei cittadini
l’accesso alla rete internet ad
almeno 30Mbps.”
Ci riuscirà? Lo sperano in tanti.
PC Sui chiama TaihuLight, ha in totale 10,66 milioni di core
Il computer più veloce del mondo
è cinese ed è un mostro di potenza
È
di Roberto PEZZALI
stato realizzato in Cina, utilizza esclusivamente processori di produzione cinese con architettura proprietaria ed è stato dichiarato il più veloce supercomputer del mondo. La scheda tecnica del Sunway TaihuLight è a dir poco
mostruosa. Sono presenti 41.000 chip da 260 processori ciascuno, per un totale di
oltre 10,66 milioni di core, quasi venti volte i “soli” 560.000 core integrati nella più
potente macchina americana. Numeri importanti anche per la RAM da 1,3 petabyte.
Il numero di operazioni a virgola mobile gestite al secondo dal TaihuLight è impressionante: 93 petaflops, un ordine di grandezza a 15 zeri, cinque volte superiore al più
veloce supercomputer statunitense. Il TaihuLight, che si trova nella provincia cinese
di Jiangsu, e più precisamente nel Supercomputing Center di Wuxi, sale in cima al
ranking mondiale degli elaboratori più performanti, spodestando il Tianhe-2, sempre
cinese, e precedente detentore del titolo “made in USA”. Il paese orientale è stato
probabilmente spinto a studiare una propria soluzione tecnologica in seguito alla
decisione del Governo americano di bloccare a partire da Aprile 2015, per motivi di
sicurezza nazionale, le esportazioni di chip ad alte prestazioni proprio verso la Cina.
Ecco il primo
Chromebook
Asus con le app
Android
Asus Chromebook Flip
è il primo Chromebook
a poter installare le app
di Android. Scaricando
la versione alpha di
ChromeOS versione 53,
gli utenti troveranno
sul desktop il famoso
Play Store di Google
La versione definitiva
uscirà entro fine anno
di Mirko SPASIANO
Le app di Android su ChromeOS
sono realtà. Il primo Chromebook a poterle installare è l’Asus
Chromebook Flip, ma presto
saranno disponibili anche per
i Chromebook Pixel e Acer
Chromebook R11 del 2015. Per poter accedere al Google Play Store
basterà scaricare la versione alpha
per sviluppatori di ChromeOS 53.
Le applicazioni installabili saranno
soltanto le versioni tablet e parrebbe esserci qualche bug di troppo.
Si tratta pur sempre di una versione alpha e per dare un giudizio
sensato bisognerà aspettare almeno la versione beta. La versione
definiva sarà comunque disponibile, in base a quanto affermato da
Google, entro fine anno. Google
ha ufficializzato il tutto soltanto all’evento dedicato agli sviluppatori
di maggio scorso. Da quanto mostrato al Google I/O, la funzionalità
sembrerebbe essere stata implementata in maniera intelligente,
capace di catturare le notifiche e
integrarle all’interno del sistema
operativo che ospita le app emulate. La versione di Android emulata
sarebbe la versione 6.01, ragione
per cui questa rimarrà una funzionalità relegata ai Chromebook con
l’hardware più prestante.
n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
GAMING Milioni di appassionati di Star Wars e Star Trek non vedranno l’ora di provare i nuovi game
Con PlayStation VR si potrà pilotare un X-Wing
Tra i progetti per visori VR ci sono Star Wars Battlefront X-Wing VR Mission e Star Trek: Bridge Crew
di Francesco FIORILLO
urante la sua conferenza all’E3
2016, Sony ha annunciato diversi
progetti destinati alla periferica
PlayStation VR, compreso l’atteso Star
Wars Battlefront X-Wing VR Mission. Si
tratta della tanto chiacchierata modalità, compatibile con la realtà virtuale, del
titolo sviluppato da DICE e ambientato
nell’universo di Star Wars. Destinato in
esclusiva a PlayStation VR e affidato
alle mani di Criterion Games, Star Wars
Battlefront X-Wing VR Mission permetterà in pratica di pilotare un X-Wing e,
di conseguenza, vivere in prima persona le epiche battaglie spaziali divenute
famose grazie alle pellicole cinematografiche di George Lucas. “Pilotare un
caccia X-Wing è qualcosa dell’universo
di Star Wars che in molti hanno sognato
di fare” ha dichiarato James Svensson,
produttore del gioco. “Ricordo che era
qualcosa che guardavo con timore nei
film. La realtà virtuale ci permette di fare
un passo in avanti verso la realizzazione di questo incredibile sogno. Grazie
alla VR verrete immediatamente catapultati nello spazio dalla comodità del
vostro salotto. E con gli artisti di Criterion e DICE al lavoro su ogni dettaglio,
l’esperienza sarà più reale di quanto
si possa immaginare”. Anche i fan di
un’altra pietra miliare della cinematografia sci-fi, ci riferiamo ovviamente a
Star Trek, potranno presto realizzare il
loro sogno.
Star Trek: Bridge Crew VR di Ubisoft
calerà, infatti, i giocatori nei panni di
un membro dell’equipaggio della nave
U.S.S Aegis della Federazione. Il titolo,

D
torna al sommario
Con Super Boy
lo smartphone
si trasforma
in un GameBoy
La periferica sviluppata
da Hyperkin è regolabile
per adattarsi a vari
modelli di smartphone
e, grazie a uno slot
presente nella parte
posteriore, offre
la possibilità
di giocare con le vecchie
cartucce del Game Boy
e del Game Boy Color
in sviluppo sia su PlayStation VR, sia su
Oculus Rift e HTC Vive, porterà i provetti
comandati spaziali a collaborare fra loro
(ognuno dovrà rispettare uno specifico
ruolo) in modo da sopravvivere alle minacce dello spazio profondo.
Immagini nuovo game Sony
GAMING Notizia confermata dal game director di Square Enix
Annunciato Final Fantasy XV
Il primo gioco per Xbox Scorpio
A
di Francesco FIORILLO
rriva la conferma, dalle parole del game director di Square Enix, del primo gioco in assoluto destinato alla nuova e chiacchierata Xbox Scorpio. In una recente intervista apparsa su Kotaku, Hajime Tabata ha infatti svelato che Final
Fantasy XV sarà aggiornato per la nuova versione della console di Microsoft, nonostante i lavori non siano ancora iniziati. Tabata ha, inoltre, svelato di aver appreso la
notizia relativa a Project Scorpio dopo l’annuncio ufficiale all’E3 2016, ma si è subito
dichiarato colpito dall’enorme potenziale che caratterizza l’intero progetto del colosso di Redmond. I dettagli scarseggiano, ma l’upgrade di Final Fantasy XV sarà
disponibile con molta probabilità a ridosso del lancio della nuova console, in modo
da offrire sin da subito una scelta in più ai neo-giocatori di Xbox One Scorpio.
di Francesco FIORILLO
Nato inizialmente come un semplice pesce d’aprile, pubblicato
dallo stesso produttore Hyperkin, il progetto Super Boy è
riuscito a solleticare la fantasia
di milioni di utenti. Con il passare dei mesi si sono moltiplicate,
infatti, le richieste incentrate sull’effettiva messa in commercio
di tale periferica e, in occasione
dell’E3 2016, la società da sempre impegnata nell’universo dei
retro-gamer ha svelato i suoi
piani futuri. Dal prossimo primo
dicembre, in cambio di 60$, i nostalgici potranno mettere le mani
sul Super Boy. L’accessorio in
questione è regolabile per adattarsi a vari modelli di smartphone
e la sua parte frontale ricorda a
tutti gli effetti la storica console di Nintendo. La periferica va
collegata tramite il connettore
Micro-USB, ma la vera peculiarità
risiede nell’effettiva compatibilità con le vecchie cartucce del
Game Boy e del Game Boy Color,
da inserire in uno slot presente
nella parte posteriore del device. Al momento non si hanno
notizie di una versione adattata
per iOS, mentre Hyperkin non ha
nascosto l’intenzione di rendere
il Super Boy una vera e propria
console portatile, in grado di far
girare sia i vecchi titoli dell’indimenticabile portatile a 8 bit, sia
nuovi progetti indie appositamente sviluppati. È già possibile,
sul sito ufficiale, prenotare questa nostalgica periferica.
n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
FOTOGRAFIA L’azienda che ha scritto pagine importanti della fotografia ha presentato la X1D
Hasselblad lancia X1D, mirrorless al top
La X1D offre una qualità professionale, da studio, in un formato compatto e maneggevole
P
Misfit e Speedo
danno vita a una
nuova generazione di
fitness-tracker per chi
nuota. Il braccialetto
può contare uno degli
algoritmi contavasche
più efficienti in assoluto,
un nuovo display a LED
multicolore, notifiche di
messaggi e chiamate e
un timer per il nuoto
di Roberto PEZZALI
erry Oosting, CEO di Hasselblad,
prima di togliere i veli all’ultima nata nella piccola fabbrica
di Goteborg, Svezia si è espresso in
questo modo: “Questo è in assoluto il
prodotto più importante a cui abbiamo
lavorato negli ultimi anni”.
Rigorosamente fatta a mano, come tutte
le altre macchine che hanno scritto pagine importanti di storia della fotografia,
la X1D è veramente un prodotto chiave
per una azienda che solo qualche anno
fa era sull’orlo del fallimento, dopo una
serie di operazioni disastrose.
Hasselblad si è sempre rivolta con i suoi
prodotti al mercato professionale, ma
anche nella fotografia come in ogni settore i tempi cambiano e bisogna adeguarsi: ecco quindi la X1D, un piccolo
passo verso il mercato consumer fatto
però senza snaturare la filosofia di una
azienda che ha ritrovato, grazie ad una
serie di modelli azzeccati, lo spirito e la
forza di un tempo. La X1D costerà infatti
7900 euro più iva per il solo corpo, un
prezzo importante che deve comunque
essere messo in relazione non solo alla
indiscutibile qualità del prodotto ma anche al tipo di macchina, una mirrorless
con un sensore CMOS medio formato
da 50 Megapixel responsabile da solo
di gran parte del costo del prodotto. La
X1D è una macchina che di fatto non ha
rivali sul mercato, perché per la prima
di Franco AQUINI
volta si può avere la qualità del medio
formato, solitamente usato in studio, in
un corpo leggero e trasportabile che
può essere tenuto nel palmo di una
mano: giusto per dare un’idea la foto
qui sotto mostra la X1D paragonata ai
suoi competitor, e oltre all’ingombro stupisce la dimensione del sensore che è
quattro volte un sensore APS-C e circa
il doppio più grande di un sensore full
frame. Siamo davanti ad una macchina

Le dimensioni della X1D paragonate ad altre concorrenti.
torna al sommario
Un fitness
tracker per
nuotatori bello
da vedere
moderna, e all’interno del corpo in metallo che fa segnare 725 grammi sulla
bilancia trova spazio non solo il sensore
con 14 stop di gamma dinamica e sensibilità da 100 a 25600 ISO ma anche un
processore capace di gestire la ripresa
video Full HD / 2K, la connettività Wi-fi e
il GPS per il geotagging delle foto.
Sul fianco protetto sotto uno sportellino,
Hasselblad ha inserito un doppio slot di
card, l’uscita HDMI, un connettore USB
3.0 Type C per trasferire le foto e i jack
per microfono e cuffie, utili per chi vuole
usare la macchina per fare video. Tra gli
altri punti di forza lo schermo touch sul
retro (purtroppo non orientabile) da un
milione di punti e il mirino elettronico
OLED da 2.3 megapixel.
La X1D è compatibile con tutti i
12 obiettivi del sistema professionale H
di Hasselblad mediante un adattatore,
ma Hasselblad ha pensato anche ad
una coppia di ottiche dedicate, l’XCD
45 mm f/3.5 (1900 euro) e l’XCD 90mm
f/3.2 (2290 euro). Sono le prime, ne arriveranno altre.
La X1D sarà distribuita in Italia da Fowa
con distribuzione che inizierà a fine
luglio: per fare un corredo serviranno
circa 12.000 euro, ma il risultato che è
possibile ottenere è difficilmente raggiungibile con una reflex o una mirrorless tradizionale.
Misfit, insieme al celebre marchio
Speedo, danno vita al nuovo tracker dedicato a chi nuota. Si chiama
Speedo Shine 2 ed è un fitness
tracker con speciali funzioni dedicate espressamente ai nuotatori.
Ha dei timer per l’allenamento
che avvisano tramite vibrazione
percepibile anche in acqua, ma
soprattutto ha un algoritmo contavasche, unico nel suo genere per
precisione (così dicono), in grado
di funzionare con qualsiasi stile.
Speedo Shine 2 è realizzato in alluminio anodizzato ed è più sottile
del precedente, è resistente all’acqua fino a una profondità di 50 metri ed ha un display formato da 12
led multicolore, capaci di mostrare
16 milioni di colori visibili anche
alla luce diretta del sole. Oltre alle
funzionalità specifiche per il nuoto,
Speedo Shine 2 è compatibile con
Misfit Link, può quindi agire da telecomando per comandare la musicare o semplicemente scattarsi
un selfie. Il nuovo fitness tracking
di Misfit è già disponibile su misfit.
com, speedo.com e speedousa.
com al prezzo 119,99€.
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MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Dalla Francia uno dei più completi processori per il cinema in casa
Trinnov, porta l’audio del cinema in casa
Abbiamo ascoltato un sogno a cinque zeri
Può gestire 32 canali e ha un processore programmabile per gestire qualsiasi codifica audio
di Roberto FAGGIANO
ui non parleremo dei soliti componenti home theater, ma di vero
cinema in casa, cioè la realizzazione di una vera sala cinematografica
tra le – ampie – pareti domestiche di chi
può permetterselo. Quindi dimenticate
i sintoamplificatori 5.1 e i soliti diffusori,
l’unica cosa in comune tra i due mondi
del cinema in casa è la sorgente, cioè
un film da riprodurre. A molti dirà poco
ma Trinnov è uno dei marchi più utilizzati
dagli installatori specializzati di sale cinematografiche domestiche.
Questa azienda francese ha in catalogo
il processore Altitude (prezzi di listino da
19.900 euro) in grado di elaborare suoni
a 8, 16 o 32 canali del tutto indipendenti
tra loro, in grado di elaborare qualsiasi
colonna sonora codificata secondo gli
standard presenti e futuri perché la sua
architettura non si basa su chip commerciali di decodifica, ma utilizza un sistema
completamente modulare, programmabile e aggiornabile. Come si vede dal
retro in poche parole ci troviamo davanti
ad un computer al quale è stata aggiunta
tutta la sezione di ingressi e uscite. Il processore Trinnov lavora a 192 kHz/24 bit
e usa un processore a 64 bit, è in grado
di pilotare fino a 32 finali di potenza dedicati ed altrettanti altoparlanti montati
sulle pareti di una ambiente pensato per
la riproduzione cinematografica.
Avere il solo apparecchio però non basta: è necessario affidarsi ad installatori
specializzati in grado di effettuare tutte
le misurazioni in ambiente indispensabile per ottimizzare la resa sonora. Per
questo scopo Trinnov ha realizzato un
sofisticato software in grado di analizzare moltissimi parametri acustici delle più
diverse ambientazioni sonore e per avere risultati al di sopra di ogni sospetto ha
realizzato un proprio microfono ad alta
risoluzione (750 euro). Al fortunato uten-

Q
torna al sommario
te quindi non resta che affidare un locale
adatto all’installatore e poi accomodarsi
in poltrona a lavoro ultimato per godersi
lo spettacolo, naturalmente previo versamento di ingenti cifre a cinque zeri.
L’esperienza di ascolto è visione è avvenuta presso On House di Milano, uno
degli installatori autorizzati per Trinnov
in Italia.
Dopo una lunga introduzione teorica
della filosofia Trinnov e una illustrazione
dei diversi parametri sonori analizzabili e
modificabili dal processore Altitude abbiamo avuto il privilegio di accedere, a
una sala dimostrativa che pochi potranno permettersi. Si entra in un ambiente
completamente trattato dal punto di
vista acustico, controsoffitto ad assetto
variabile motorizzato, schermo di proiezione a parete, 32 altoparlanti incassati
su tutte le pareti e il soffitto, amplificatori
di potenza Rotel professionali, proiettore
SIM 2, tre poltrone che nei veri cinema
possiamo solo sognare e uno strapuntino per gli ospiti. Le proiezioni iniziano
con le scene dell’ultimo Mad Max, codificato in Dolby Atmos, e prime impressioni
sono “impressionanti”, forse perché abbiamo già visto il film per testare il lettore blu-ray 4K di Panasonic, ma con un
sistema audio assai modesto. A parte il
prevedibile impatto assolutamente realistico del subwoofer a trasmissione di
linea, ciò che più stupisce è la precisione
Da Fresh ’n rebel
l’auricolare
sportivo wireless
e via cavo
Il nuovo auricolare
senza fili offre buone
prestazioni a un prezzo
accessibile e con
la possibilità di usare
il cavo quando finisce
la batteria. Per lo sport
c’è la certificazione
IPX2 e adattatori in
silicone a prova di corsa
di Roberto FAGGIANO
dei passaggi fronte-retro sopra le nostre
teste, nonché il dettaglio di ogni pur minimo particolare del film. Evidentemente
l’essere svincolati dai classici sistemi 7.1
a favore di una disposizione molto più
diffusa degli altoparlanti fa la differenza,
oltre all’impiego del processore Trinnov
e dalla maniacale calibrazione della
stanza.
Certo la differenza è anche nel costo
perché questa sala chiavi in mano viene
sui 300.000 euro, migliaio più migliaio
meno a seconda del grado di finitura e
dei dettagli desiderati per arredamento
e illuminazione. Colpiti dal primo ascolto
siamo quasi rimasti delusi dagli spezzoni
successivi, di film e musica, che hanno
portato a risultati solo “normali” in relazione al costo, segno che anche la più
sofisticata elaborazione acustica non
può risolvere i problemi di colonne sonore meno che perfette. Concluso il sogno
torniamo ai nostri soliti sistemi HT, ma
guardandoli con occhi diversi.
A chi desidera un buon auricolare
sportivo senza spendere troppo
arriva in aiuto Fresh ‘n Rebel con i
nuovi Lace Wireless Sport, prezzo
di listino di 50 euro. I nuovi auricolari resistono al sudore (certificazione IPX2), inoltre gli adattatori
in silicone sono studiati per rimanere saldamente al loro posto. La
durata della batteria dichiarata è
di 8 ore e volendo si può ovviare
all’esaurimento dell’energia utilizzando il cavo in dotazione, un
semplice adattatore da minijack
a micro USB. Lungo il cavo di
collegamento tra i due auricolari
è sistemato il telecomando per
gestire musica e chiamate, oltre al
microfono per il vivavoce; inoltre,
una vibrazione avvisa di telefonate o messaggi in arrivo. Gli auricolari utilizzano un trasduttore da
9,2 mm, l’impedenza è di 16 ohm
mentre il peso è di 17 grammi. La
finitura è disponibile in tre colori:
nero, azzurro e verde menta. Per
chi non è interessato alla resistenza al sudore e vuole un auricolare
con filo ancora più economico, c’è
il modello Lace, che per soli 20
euro offre cavo piatto, auricolari in
metallo e gli stessi driver utilizzati
sul modello Wireless.
H65M5500
SERIE M5500
The technological choice of
TM
UEFA EURO 2016
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AUTOMOTIVE Vicino a Modena sorge il nuovo stabilimento di Energica, produttore italiano di motocilclette elettriche
Energica, le super moto elettriche made in Italy
195 Nm di coppia e da 0 a 100 Km/h in meno di 3 secondi: il divertimento è assicurato. Addio Benzina e gas di scarico
di Gianfranco GIARDINA
a culla dei veicoli elettrici è la Silicon Valley,
con Tesla Motors di Elon Musk a dominare la
scena. Ma (ancora) in pochi sanno che in una
valle meno tecnologica ma molto più vicina a noi, la
Val Padana, c’è chi sta scrivendo un capitolo importante della mobilità elettrica, questa volta su due ruote.
Si tratta di Energica, una giovane società con solide
radici nella competenza motoristica della provincia di
Modena, recentemente quotata al mercato AIM della
borsa di Milano, che ha sviluppato due modelli di potentissime e prestazionali motociclette a propulsione
elettrica.
In questo articolo andiamo alla scoperta di questa
realtà tutta “Made in Italy” che sta iniziando ad avere rilevanza nel giovanissimo mercato mondiale delle
moto a propulsione elettrica.
L
Prestazioni innanzitutto
Per battere Ferrari e pregiudizi
L’occasione per una visita alla sede di Energica nasce
dall’inaugurazione del nuovo stabilimento della società, resosi necessario per la crescita della domanda e
per una corretta implementazione del piano industriale, che prevede un incremento delle attività con un andamento esponenziale. Il primo pensiero va proprio al
territorio modenese, che attorno a nomi come Ferrari,
Maserati, Lamborghini e Pagani, ha costruito un successo fatto di industrie e soprattutto di un sapiente indotto che è famoso in tutto il mondo. Com’è possibile
che sia questa terra, che viaggia a Lambrusco e benzina, a lanciare in Italia la rivoluzione della propulsione
elettrica? Da queste parti, se si parla di “bel canto”, la
gente ricorda Pavarotti e la “musica” di un bel tubo di
scarico: come può amare anche il sibilo un po’ “extraterrestre” di un motore elettrico?
La risposta è semplice: prestazioni. Qui, in terra di Modena, il germe dell’elettrico non poteva nascere con
un placido scooterone per il commuting urbano, ma ha
attecchito intorno alle prestazioni “da paura” del primo
modello di Energica, la Ego, una macchina da guerra che è addirittura limitata per via elettronica a 240
Km/h e 3 secondi da 0 a 100 Km/h, ma che potrebbe
dare ancora di più. Di fronte a una coppia “monstre” di
195 Nm rilasciata all’albero motore in maniera perfettamente costante da 0 a 4700 giri (cosa che permette
di far sparire cambio e frizione), tutti stanno in religioso

Energica Ego Drag Race
torna al sommario
silenzio. E di colpo, anche ai più incalliti appassionati,
la vecchia musica del rumore di scarico sembra poco
più di una pernacchia.
Prestazioni, dicevamo: era l’unico modo per sdoganare l’elettrico qui, in terra di motori a scoppio. La società
ha anche organizzato al lancio di Ego, il primo modello,
una drag race, una di gara di accelerazione, sfidando
le più veloci moto supersportive e anche auto dall’accelerazione estrema, come la Ferrari 458 Italia e Tesla
Model S, vincendo la sfida in tutti i casi.
Non a caso Energica nasce dall’esperienza del gruppo
CRP, primo azionista e società attiva da oltre 40 anni
nel mondo del racing automobilistico e motociclistico
come partner tecnico di diversi team. Insomma, si tratta di guida per divertirsi e correre, come spesso da
queste parti, e non certo (solo) per spostarsi.
Ego, la supersportiva no compromise
Parliamo di modelli: il capostipite, almeno sul fronte
commerciale, è la Ego. Si tratta di una supersportiva
che non nasce dal nulla ma riprende l’esperienza che
la Casa madre, Gruppo CRP, aveva già sviluppato nel
mondo delle competizioni, sia con propulsione endotermica che elettrica.
Da “fuori”, almeno fino a che non si parte, non si capisce affatto che si tratti di una moto elettrica: le forme sono identiche a quelle delle più sportive moto
tradizionali; il radiatore posto sotto la carena sembra
convenzionale ma invece di raffreddare il motore, garantisce il corretto raffreddamento del pacco batterie;
quest’ultimo occupa la maggior parte dello spazio e si
prende la collocazione che normalmente è del motore
termico; il motore elettrico, che malgrado il raffreddamento a olio è comunque molto più piccolo e leggero
di uno termico, è un po’ più arretrato e del tutto non
visibile dall’esterno.
Il risultato è una moto da 280 kg e dalla distribuzione
dei pesi molto vicina a quella ideale (53% del peso grava sulla ruota anteriore e il 47% su quella posteriore)
per una guidabilità analoga a quella di una buona supersportiva. Quello che invece cambia, come dicevamo, è l’erogazione del motore, decisamente potente e
continua: “Siamo stati costretti – ci spiega Giampiero
Testoni, a capo della progettazione - a limitare la velocità a 240 Km/h per motivi di sicurezza e di affidabilità.
Allo stesso modo, abbiamo fatto una complessa mappatura dell’erogazione del motore all’apertura del gas
in modo tale da garantire una guidabilità ottimale”.
Il pilota non ha a disposizione né cambio né frizione,
che non servono, vista la coppia costante e già massimale anche a zero giri; sparisce quindi la leva di sinistra al manubrio. In compenso si può scegliere tra 4
mappature diverse dell’erogazione (Urban, Eco, Rain
e Sport) e altrettanti schemi di rigenerazione (Basso,
Medio, Alto e Spento) che attivano il freno motore per
una ricarica parziale delle batterie durante la frenata o
comunque quando si rilascia il gas.
A ognuna delle 16 combinazioni possibili corrisponde
ovviamente un consumo elettrico diverso che va a influire sull’autonomia, il vero punto debole del progetto: Ego ha una batteria da 11,7 KWh ai polimeri di litio
capace di arrivare al massimo a 190 km di autonomia
segue a pagina 16 
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AUTOMOTIVE
Energica, le super moto elettriche
segue Da pagina 15 
con una guida “tranquilla” e velocità moderate; “Ma se
ci si fa prendere la mano – ci confessa Testoni – non si
va oltre i 100 Km, molto dipende da come si guida. Ma,
con una rete di ricarica veloce che diventerà sempre
più capillare, e che già lo è in molti Paesi, abbiamo
preferito non appesantire eccessivamente la moto
con troppi pacchi batteria”.
Il vero cuore di tutto il progetto è nella centralina
elettronica (chiamata Veichle Control Unit) che è stata interamente progettata nei laboratori di Energica:
si tratta di un computer centrale unico, che governa
e coordina tutti gli altri sottosistemi e che soprattutto
gestisce la mappatura dinamica del gas che, a seconda dei contesti e delle velocità, cambia la risposta per
garantire una guidabilità eccellente e grande sicurezza. E sempre la sicurezza ha indirizzato la scelta verso
un’architettura di questa centralina ridondante, con
un doppio processore, capace di rispondere anche
a un guasto parziale del sistema senza interrompere
l’operatività. Tutte le funzioni della moto possono essere monitorate anche sullo smartphone, grazie alla
connettività Bluetooth e, molto presto, anche via rete
pubblica, grazie a una connessione 3G/4G, in arrivo
entro la fine dell’anno. Per quello che riguarda la ricarica, può avvenire sia a una presa tradizionale - in
tre ore e mezza - che a una colonnina “fast charge”
in corrente continua, grazie alla quale “il pieno” si fa
in mezz’ora.
Veniamo alle note dolenti, i prezzi. Il costo di sfrecciare
senza far rumore non è per tutti: la moto, già ben accessoriata, parte da 25mila euro più IVA. Ma il gusto di
sfrecciare meglio di quando si potrebbe fare con una
moto tradizionale e viaggiando a propulsione elettrica
vale qualche sacrificio in più...
Per una guida meno “tirata” ecco Eva
Al recente EICMA di Milano, Energica ha presentato
Eva, il secondo modello di moto elettrica del brand
modenese, di fatto una variazione sul tema sulla piattaforma di Ego. Il telaio resta infatti identico, come anche
il motore e il pacco batterie; cambia però la ciclistica
e l’aspetto “naked” che porta così la moto a diventare
una streetfighter, sempre molto aggressiva ma qui in
una versione più agile destinata ad una guida più rilassante. Le prestazioni sono molto simili anche se in
questo caso la velocità è stata limitata a 200 Km/h e la
potenza un po’ ridotta, per rendere comunque la moto
molto sicura e aumentarne l’autonomia. La produzione
regolare delle Eva è iniziata da qualche settimana ed
è stata “festeggiata” anche con un tour negli USA: un
viaggio in giornata da San Francisco a Los Angeles,
reso agevole dall’autonomia migliorata (si arriva ora a
a 200 km in modalità Eco) e dalla larga disponibilità di
colonnine a ricarica rapida.
Come nel caso della Ego, oltre ai normali regimi di guida, Eva dispone anche di una modalità di parcheggio
che permette trazione sia sulla marcia avanti che marcia indietro a velocità ridottissime, assistendo così il
pilota nelle piccole manovre.
Alla fine, Eva è meno estrema di Ego ma probabilmente più bilanciata, almeno fino a che non ci sarà un salto
tecnologico nelle prestazioni delle batterie per unità
di peso. “Stiamo già lavorando a nuove tecnologie
relative alle batterie che ci permetteranno un salto in
avanti – ci rivela il responsabile della progettazione
– ma ci vorrà ancora qualche anno prima di vedere i
frutti di questo lavoro. Presto invece vedrà la luce un
terzo modello sulla base della medesima piattaforma
di Ego ed Eva”. Per il resto, vengono confermate le
scelte d’eccellenza già fatte nella componentistica di
Ego: largo uso di fibra di carbonio, sistema di frenatura
Brembo e ABS Bosch.
Il prezzo resta comunque lo stesso di Ego: intorno
ai 25mila euro più IVA, ancora alto se confrontato ai
modelli tradizionali, ma sicuramente interessante visto
l’alto contenuto tecnologico e la costruzione senza
compromessi.
Il nuovo stabilimento
Progettazione e assemblaggio

Grazie anche alla quotazione in borsa (nel segmento AIM Italia), che risale a gennaio scorso, la società
ha attivato tutta una serie di investimenti finalizzati a
mantenere il piano industriale promesso agli investitori, il cui tassello fondamentale è il nuovo stabilimento,
necessario per portare la produzione al livello target
di 2000 moto elettriche all’anno. La nuova sede di
Energica sorge a Soliera, alla periferia nord di Modena
torna al sommario
video
lab
Energica Motor Company
Intervista a Livia Cevolini
e riunisce sia la parte di uffici commerciali, acquisti e
progettazione, che la parte di vera e propria produzione e testing. Va detto che Energica a Soliera non
produce i singoli componenti, ma cura tutta la progettazione e disegna i singoli componenti; l’intervento
ritorna diretto nel momento dell’assemblaggio, svolto
interamente in fabbrica. Un approccio di questo tipo
è reso possibile dalla collocazione geografica nel bel
mezzo della “motor valley” italiana, in cui non manca
tutto l’indotto e i terzisti per la realizzazione di tutti i
componenti secondo specifiche Energica. Primo fra
tutti proprio CRP, la casa madre e principale azionista
di Energica, che ha sviluppato tra le altre cose un sistema di stampa 3D (chiamato Windform) che è stato
largamente utilizzato per Ego ed Eva e trova impiego
anche in molti altri campi: recentemente è stato annunciato, per esempio, l’utilizzo della tecnologia Windform di CRP da parte di Parrot per la produzione del
suo nuovo drone Bebop 2.
Tornando a Energica, la produzione nel nuovo stabilimento è appena entrata in funzione e attualmente si
attesta su circa due esemplari al giorno, assemblati
e verificati a mano: “Siamo in linea con gli obiettivi di quest’anno, che prevedevano circa 250 moto
– ci spiega Livia Cevolini, amministratore delegato di
Energica – ma la struttura è pensata in maniera flessibile e scalabile, per arrivare a moltiplicare per otto
la produzione”. Nella nuova sede di Energica lavora
un team non gigantesco (circa 30 persone interne)
in larga parte impegnato nella progettazione di componenti elettronici e meccanici; un team che però sta
facendo un’esperienza quasi unica nel mondo nella
propulsione elettrica a due ruote e nell’elettronica che
la governa. Esperienza che – non c’è dubbio – tornerà
decisamente utile quando, in un futuro prossimo, saranno gli elettroni più che gli idrocarburi a governare
la nostra mobilità.
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AUTOMOTIVE Presentato il nuovo accordo di co-marketing tra Enel e le due aziende automobilistiche Mercedes e Nissan
Enel, 10.000 colonnine in autostrada entro l’anno
E l’auto elettrica per i dipendenti Enel costa meno
Entro l’anno 10.000 colonnine a ricarica rapida sulla rete autostradale italiana, 20.000 in tutta Italia nei prossimi due anni
Inoltre per i dipendenti Enel, grazie a un nuovo accordo con Nissan e Mercedes, l’auto elettrica costerà molto meno
di Roberto PEZZALI
nostri dipendenti saranno ambasciatori della
mobilità elettrica”: esordisce così Ernesto Ciorra, Direttore Innovazione e Sostenibilità di Enel,
alla presentazione del nuovo accordo di co-marketing
siglato da Enel, Mercedes e Nissan. Le due case automobilistiche hanno infatti realizzato due vetture in
edizione speciale Enel Edition che l’utility offrirà a condizioni super vantaggiose ai propri dipendenti. “Se una
cosa non funziona prima di proporla al pubblico vogliamo provarla noi – prosegue il dirigente Enel – quindi
chi tra i dipendenti Enel vorrà diventare ambasciatore
dell’elettrico potrà avere accesso alla Mercedes Classe B o alla nuova Nissan Leaf insieme ad una serie di
vantaggi esclusivi”.
Enel, in pratica, ha preparato un pacchetto di noleggio
a lungo termine convenzionato che offrirà le due auto
insieme ad una serie di bonus a condizioni davvero
particolari: un dipendente potrà avere la Leaf Enel Edition pagando un canone di 199 euro con 2500 euro di
anticipo per 36 mesi (270 euro senza anticipo), mentre per la Classe B Mercedes serviranno 360 euro al
mese. Il canone include ovviamente assicurazione RC
e Kasko, la manutenzione, la possibilità di permuta dell’usato e alcuni bonus speciali per i dipendenti come la
possibilità di fornitura elettrica ad un prezzo scontato,
l’installazione ad un costo ridotto della Enel Box Station per la ricarica veloce in casa e anche la possibilità
di parcheggiare l’auto (con ricarica inclusa) presso la
sede Enel di appartenenza.
Giusto per capire l’entità del risparmio, il noleggio a
lungo termine (36 mesi) della Nissan Leaf viene proposto al pubblico a 499 euro iva esclusa con un anticipo di 2050 euro. La vettura realizzata da Nissan
per Enel è poi davvero speciale: è realizzata partendo
dall’allestimento Acenta e avrà dotazioni come il Solar
Spoiler, ovvero lo spoiler posteriore con pannelli solari
e una serie di altri optional come i cerchi in lega da 16”,
il climatizzatore con controllo da remoto (tramite APP),
il navigatore 7”, la retrocamera a colori, la batteria 30
kWh con ricarica veloce e i comandi al volante (Bluetooth + Cruise control + Audio Control). Ricordiamo che
chi sceglierà la Leaf avrà anche il “Mobility pack”, 20
giorni di noleggio gratuito di una vettura tradizionale a
chilometraggio illimitato, utilizzabile in tre anni e fruibile
liberamente quando serve (per esempio ad andare in
vacanza).
Le condizioni sono ovviamente riservate ai dipendenti,
ma se la “trial” dovesse andare come Enel spera potrebbe essere il punto di partenza per offerte simili
anche ai clienti residenziali. L’obiettivo è arrivare il più
presto possibile ad avere un milione di auto elettriche
sulle strade italiane nel minor tempo possibile, ma

“I
torna al sommario
Enel è consapevole che ci si potrà arrivare non solo
con offerte particolari ma anche con una rete di infrastrutture che possa mettere tutti nella condizione di
viaggiare “elettrico” senza il timore di restare a piedi.
Il primo scoglio da superare resta comunque quello
del prezzo: “La gente si spaventa quando vede che
una macchina elettrica costa 7000 euro di più di una
a benzina, - spiega Ciorra – ma non calcola che questi
7000 euro in un anno e mezzo sono già stati ammortizzati, e un auto dura ben più di un anno e mezzo.
Bisogna fare una offerta vantaggiosa che coinvolge
tutti i player, dalle utility di energia che forniscono la
fonte di alimentazione per le auto elettriche alle assicurazioni, perché l’assicurazione di un auto elettrica,
che oggi non viene rubata, non può costare come l’assicurazione di un euro tradizionale. Oggi pochi sanno
che noi vendiamo energia per ricaricare un’auto elettrica a 30 euro flat al mese, un costo assolutamente
più conveniente di ogni altro tipo di carburante per un
motore termico.”
Tutte le autostrade coperte
con 10.000 colonnine entro fine anno
L’anno della mobilità elettrica in ogni caso dovrebbe
essere il 2017: Enel infatti confida sull’assegnazione di
un bando europeo che consentirà a partire da settembre di coprire tutta la rete autostradale con il sistema di
ricarica rapida. “Vogliamo coprire in pochi mesi tutte le
aree di servizio con 10.000 colonnine – afferma Ciorra
– e ci vorranno pochi mesi. Entro il 2017 avremo tutta
la rete autostradale coperta con le nuove colonnine
da 22 kW. Ancora non sappiamo esattamente quante
postazioni di ricarica ci saranno in ogni area di servizio, sarà un’analisi fatta in base al traffico, ma ogni
postazione può gestire tre auto quindi con 5 colonnine
possiamo gestire 15 automobili contemporaneamente”. Ad oggi le aree di servizio in Italia sono circa 460, è
lecito quindi pensare un numero di postazioni variabili
dalle 10 alle 20 a seconda dei casi, ma i numeri esatti
si conosceranno solo a fine giugno. L’obiettivo di Enel,
che sta realizzando l’infrastruttura in collaborazione
con il Politecnico di Milano, è di soddisfare la richiesta di 1 milione di auto elettriche entro due anni, con
20.000 colonnine distribuite in tutta Italia. Andare da
Milano a Napoli non sarà più un problema neppure con
un’auto elettrica, anche se si devono calcolare i tempi
della sosta tecnica per la ricarica. Secondo Enel servono circa 20 minuti per tornare operativi, ma in realtà
con una colonnina da 22 kW per portare all’80% una
Leaf con batteria da 30 kW ne servono almeno il doppio. La creazione di una infrastruttura di rete è in ogni
caso fondamentale, e Ciorra fa il paragone con le reti di
segue a pagina 18 
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AUTOMOTIVE Dichiarazioni rilasciate da Sean Cummings, Vice Presidente Senior Harley
Harley-Davidson: elettrica entro il 2021
Il discusso prototipo LiveWire della Casa di Milwaukee non rimarrà solo un esperimento
H
di Giulio MINOTTI
arley-Davidson sembra intenzionata a lanciarsi nel mercato
delle moto elettriche nei prossimi cinque anni. Secondo le dichiarazioni fatte al Milwaukee Business
Journal da Sean Cummings, Vice Presidente Senior della Casa americana,
il celebre produttore di moto avrebbe
un production plan che prevede la
messa in vendita di un modello elettrico entro il 2021.
Harley-Davidson, famoso per le sue
moto tradizionali, rumorose e ricche di cromature, ha già fatto i primi
passi in questo nuovo settore con la
realizzazione del prototipo LiveWire.
Realizzato due anni fa per raccogliere
feedback dai biker di tutto il mondo
e dotato di un look moderno, questo
concept marciante è equipaggiato
con un motore asincrono trifase con
una potenza di circa 75 Cv ed è in
grado di raggiungere una velocità
massima limitata attorno ai 150 km/h
con un’accelerazione da 0 a 100 km/h
in 4 secondi. Purtroppo, a causa delle
batterie da soli 7 kWh, l’autonomia è
abbastanza ridotta, circa 80 km.
Questo prototipo dotato, ovviamen-
te, di una strumentazione completamente digitale, presenta anche
elementi innovativi nel telaio non più
doppia culla ma perimetrale, con forcella a steli rovesciati, singolo disco
anteriore ed il monoammortizzatore
semi-orizzontale, novità assoluta su
un’Harley.
Gli occhiali
con speaker
a conduzione
ossea
Gli occhiali da sole Panther di Zungle
nascondono al loro interno un sistema
audio a conduzione ossea integrato
nelle aste. Riprendono il design degli
Oakley Frokskins, hanno connettività
Bluetooth 4.1 con aptX, batteria da
300 mAh e porta micro USB nascosta
tra asta e montatura che consente di
ricaricare in meno di un’ora la batteria
per un’autonomia di quattro ore.
Possono essere controllati tramite
comando touch nell’asta destra, che
consente di gestire la riproduzione
musicale e rispondere alle chiamate.
Disponibili con montature in cinque
diversi colori, lenti UV400 in 7 tinte e
sono ordinabili su Kickstarter a partire
da 109 dollari (un secondo paio di lenti
è in omaggio) con consegne a novembre. La campagna di crowdfunding sta
riscuotendo un ottimo successo.
AUTOMOTIVE
Enel, 10.000 colonnine in autostrada
segue Da pagina 17 

telefonia mobile: “Se non si fosse creata una infrastruttura abbondante nessuno avrebbe usato i cellulari.
Vogliamo fare lo stesso con la rete elettrica di ricarica,
creare una infrastruttura abbondante per stimolare
tutti a passare dal termico all’elettrico.” Una rete che,
come il dirigente tiene a sottolineare, dovrà essere una
“rete di tutti e non una rete Enel per clienti Enel”. Una
rete italiana per gli italiani e per i turisti che arrivano
dall’estero, che potranno grazie ad una applicazione
abbinare una carta per il pagamento e ricaricare l’auto
dove vorranno a prezzi concorrenziali. La rete dovrà
essere aperta anche a tutti i gestori di energia elettrica,
ognuno dei quali potrà fare l’offerta che ritiene migliore
ai suoi clienti. Su questo punto in è attesa una risposta
dall’ente regolatore, che dovrà decidere se Enel dovrà
fare una rete per Enel oppure se Enel potrà fare una
rete ad uso di tutti.
Enel vede nell’elettrico anche una soluzione ai problemi di efficienza energetica delle città: secondo il
Direttore Innovazione e Sostenibilità Enel è l’unica al
mondo ad avere la tecnologia per prelevare energia
dalle auto collegate alla rete e utilizzarla per compensare gli stress della distribuzione. Questo vuol dire che
in piena estate, quando l’accensione dei condizionatori
crea un deficit sulla rete delle grosse metropoli, Enel
sarà in grado di interrompere per qualche minuto la
ricarica delle auto agganciate alle colonnine e sfruttare la batteria delle auto per andare a equilibrare gli
scompensi della distribuzione, evitando così i blackout.
Una soluzione questa che interessa anche le aziende:
torna al sommario
dotandosi di una flotta elettrica e installando posti per
la ricarica si potrebbero sfruttare le batterie delle auto
connesse per ridurre la richiesta di energia dalla rete.
In ottica futura la cosa potrà svilupparsi anche in ambito domestico, dove Enel ha già pianificato una serie di
investimenti per abbattere i costi della ricarica elettrica
al consumatore finale: oggi la colonnina privata nel box
costa circa 2.000 euro, ma Ciorra assicura che a breve
questo costo sarà ridotto di un terzo grazie ad un nuovo modello di Box Station venduto a 600 / 700 euro.
Parallelamente si sta lavorando anche in ambito legislativo per offrire livelli di servizio e tempi di scadenza
certi anche per l’installazione delle infrastrutture di ricarica casalinghe, perché oggi capita che l’acquirente
di un auto elettrica riceva prima l’auto dell’infrastruttura
necessaria per ricaricarla.
Una nota infine sull’ambiente: le batterie delle auto
hanno 5 anni di vita utile, ma questo non esclude che
possano essere riutilizzate altrove dove non è richiesto
un altissimo livello di efficienza. Anche se alcune aziende possono recuperare il 98% degli ioni di litio presenti
in una batteria per ulteriori utilizzi, Enel utilizzerà per
altri 15 anni le batterie recuperate dalle auto per creare
poli di riequilibratura della rete elettrica italiana, tante
batterie installate nei nodi di distribuzione che possano
far fronte alle richieste improvvise. Batterie che, è bene
precisare, a tendere saranno ricaricate con energia rinnovabile: oggi infatti parte dell’energia per caricare le
auto elettriche è prodotta con fonti non rinnovabili, e
se è vero che girare per le città con un auto elettrica
è “green”, quando si fa il “pieno” parte di quell’energia
non lo è ancora.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Il fotovoltaico dovrebbe ridurre i consumi del motore elettrico fino al 10%
In arrivo la Toyota Prius a energia solare
Presto in commercio la Prius plug-in hybrid con in opzione un pannello fotovoltaico nel tetto
N
di Alvise SALICE
el campo dell’automotive, la
tecnologia fotovoltaica ha trovato applicazioni rare e marginali: mantenere in carica la batteria da
12 volt della Nissan Leaf, o alimentare
il climatizzatore a motore spento nell’Audi A8. Poca roba insomma. Fino ad
oggi.
Toyota ha da poco presentato in Giappone un nuovo modello dell’auto che
da vent’anni rappresenta il suo cavallo di battaglia nella corsa al risparmio
di carburante: la Prius Plug-in Hybrid.
Bene, la Prius ibrida di prossima generazione (in vendita in Italia il prossimo inverno) potrà montare fra i suoi
optional un avveniristico tetto capace
non solo di immagazzinare l’energia
solare, ma anche di convogliarla direttamente nel propulsore elettrico, che
la riutilizzerà per aumentare del 10% la
AUTOMOTIVE
Il giro
del mondo
in Tesla Model S

È partito da Milano il giro del mondo
a bordo di una Tesla Model S, dove
la società Ecolibera.it che sponsorizza l’evento ha la sede e sarà l’AD,
Pierpaolo Zampini, a guidare (quando
non lo farà l’Autopilot) la Model S
P85D con 500 km di autonomia. Il
progetto “Tesla World Tour Ecolibera.
it” ha lo scopo di dimostrare che le
auto elettriche non sono il futuro ma
già il presente e tra poco saranno alla
portata di molti, permettendo spostamenti di qualsiasi entità senza emettere monossido di carbonio. Il giro del
mondo a zero emissioni è sostenuto
anche da Tesla Club Italy, BioEcoGeo
e dalla comunità Aboliamo il Motore a
Scoppio, e potrà essere seguito sulle
relative pagine Facebook. Si parte
con Europa, Stati Uniti e Giappone nel
2016, il tutto terminerà il prossimo
anno con Cina, Australia, Africa e Sud
America. Le ricariche saranno effettuate prevalentemente ai SuperCharger Tesla oppure si sfrutterà il sistema
di ricarica Tesla, in grado di strappare
energia da qualsiasi presa elettrica.
torna al sommario
propria già ragguardevole autonomia.
In soldoni, se la nuova Prius Plug-in
Hybrid per ogni pieno di benzina dichiara 50 km a regime elettrico, con
il tetto solare opzionale, tale risultato
salirà a 55 km.
Lo straordinario (e presumibilmente
caro) accessorio in questione verrà
poi sfruttato dall’elettronica della Prius
Plug-in Hybrid anche per alimentare i
fari a LED, il climatizzatore e i cristalli
elettrici con l’auto in marcia, al fine di
ridurre il carico sulla batteria.
Dopo aver debuttato sul modello più
importante, ci si aspetta che il magico
tetto solare possa fare capolino anche
sulle altre vetture Toyota e Lexus della
gamma Hybrid.
BWM vuole
metterti in casa
le batterie usate
delle auto. E non
sarebbe male
Al World Electric
Vehicle Symposium and
Exhibition di Montreal,
il produttore tedesco
ha presentato
una soluzione in grado
di impiegare le batterie
usate della i3 e capace
di immagazzinare
energia elettrica per
alimentare sia una casa
sia una vettura elettrica
di Giulio MINOTTI
AUTOMOTIVE Dichiarazioni del CEO Matthias Muller
VolksWagen a tutta elettricità
30 auto elettriche entro il 2025
di Massimiliano ZOCCHI
C’
è una data che ricorre spesso nei piani futuri dei grandi del settore automotive: 2025. Secondo molti è questo l’anno entro cui il mondo delle auto sarà
definitivamente diverso, più smart, e soprattutto più elettrico, ed ora sappiamo
che lo crede anche VolksWagen. Il CEO Matthias Muller ha presentato il piano strategico per il rilancio dell’azienda, denominato proprio “Together - Strategy 2025”. Il dato
che salta all’occhio più di tutti è certamente l’interesse per le vetture elettriche: entro il
2025 arriveranno 30 nuovi modelli “elettrizzati”, con un target di vendita annuale tra 2
e 3 milioni di veicoli. Altri punti nei piani di VW ricordano molto da vicino quello che
sta facendo Elon Musk con Tesla Motors ormai da tempo, e cioè cercare di portare
tutta la produzione in casa, comprese le batterie (e lo sta facendo anche Mercedes),
oltre a una crescente attenzione al mondo digitale e alla guida autonoma, tanto che
il gruppo tedesco entro la fine del decennio vorrebbe avere pronto il Self-Driving
System, e offrirlo anche ad altre compagnie. Per raggiungere tutti questi risultati
saranno necessari investimenti di miliardi di euro in doppia cifra, e per ora VolksWagen non specifica esattamente da dove raccoglierà tali fondi, se
non con una generica
ottimizzazione dei costi, dell’efficienza, e
migliorando i guadagni
sulle vendite attuali, in
tutti i marchi controllati
dal gruppo tedesco.
Anche BMW, dopo Tesla, Nissan
e Mercedes-Benz si lancia nel
settore dei sistemi di stoccaggio
domestico. L’accumulatore presentato all’EVS29, ancora sotto
forma di concept, consente di immagazzinare energia per alimentare abitazioni e auto elettriche.
Questo può essere integrato con
un impianto fotovoltaico o con
altre fonti rinnovabili e permette
anche di accumulare energia nelle batterie quando le tariffe della
corrente sono più basse; energia che potrà essere utilizzata in
casa, ad esempio, durante i black
out o per ricaricare la propria auto
a costi più bassi. Il sistema disponibile nei tagli da 22 o 33 kWh, è
infatti in grado, secondo le stime
di BMW, di alimentare una normale abitazione per 24 ore.
Questa soluzione che rientra
nella piattaforma “BMW i 360°
Electric”, è stata progettata per
utilizzare sia batterie nuove sia
modelli già usati, impiegati sulla
i3. Al momento non ci sono ancora dettagli sul prezzo e sui tempi
di commercializzazione di questo
sistema.
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27 GIUGNO 2016
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AUTOMOTIVE “Novità mondiale in campo automobilistico”, così è definita la tecnologia Nissan
Nissan, auto elettriche con bio-etanolo
L’autonomia è super, arriva a 800 km
Nissan lavora a una cella a combustibile che funziona con idrogeno derivato dal bio-etanolo
Servirà ad alimentare auto elettriche con autonomie molto elevate, anche 800 km
N
di Giulio MINOTTI
issan sta sviluppando una nuova
tecnologia che potrebbe risolvere
i problemi di rifornimento e stoccaggio dell’idrogeno all’interno delle
auto dotate di celle a combustibile. Gli
ingegneri della Casa giapponese stanno
lavorando su una Fuel Cell a Ossido Solido, alimentata dall’idrogeno estratto dal
bio-etanolo. Questo sistema prevede la
presenza all’interno dell’auto di un serbatoio riempito di biocarburante (anche
mescolato ad acqua), che attraverso un
“reformer” viene trasformato in idrogeno. L’idrogeno, mescolato all’ossigeno
presente nell’aria, permette attraverso la
cella a combustibile di generare corrente ricaricando le batterie che alimentano
il motore elettrico del veicolo. La batteria
diventa quindi un enorme condensatore
che permette al motore di funzionare e
di aver lo spunto necessario, ma la carica
AUTOMOTIVE
Guida sicura
con l’head-up
display iScout

S’interfaccia a smartphone, tablet
e device portatili Android, offre un
head-up display visibile di giorno e di
notte e visualizza informazioni come
la mappa di navigazione (grazie al
GPS integrato) e le notifiche dal cellulare collegato in Bluetooth. iScout
è la prossima generazione degli HUD
da cruscotto, il cui autofinanziamento
su Kickstarter procede a gonfie vele.
Renderà la guida più sicura anche
grazie alle due videocamere (edizione
premium) che trasmettono al display
le immagini degli angoli morti,
rendendo più semplici manovre in
retromarcia e cambi di direzione. Sarà
possibile usare i comandi vocali per
inviare messaggi, effettuare chiamate
e cambiare traccia musicale. I prezzi:
269 € per la versione base (priva di
videocamere, da novembre), 399 per
la VIP (ad agosto).
torna al sommario
arriva dalla cella combustibile. Con questa soluzione non sarebbe più necessario impiegare complessi e costosi sistemi di stoccaggio dell’idrogeno liquido
nell’auto e si potrebbe sfruttare la rete di
distribuzione dei carburanti diesel e benzina già esistente. Il bio-etanolo, infatti,
è largamente disponibile nelle nazioni
europee, in Nord e Sud America e in
Asia, anche se non rappresenta ancora
un’alternativa su larga scala ai carburanti
tradizionali. Infine, secondo Nissan, i costi di esercizio di questo sistema dovrebbero essere paragonabili a un odierno
veicolo elettrico ma con un’autonomia
simile a quella delle auto a benzina, più
di 600 km. In futuro si potrebbe arrivare
addirittura a 800 km.
In Svezia
l’auto elettrica
la carichi dal
vicino di casa
In Svezia, un Paese che ha fatto
della condivisione una filosofia
fondante della propria società civile,
è nata una piattaforma online che,
se esportata, potrebbe risparmiare
molti grattacapi a un bacino d’utenza in continua crescita. Il servizio,
ideato da Renault per il territorio
svedese, si chiama Elbnb e consente
a qualsiasi privato di mettere a disposizione la propria rete domestica
per la ricarica di un’auto elettrica.
Sul sito (e, immaginiamo, sulla relativa app) è disponibile una mappa
con le indicazioni dei singoli punti di
ricarica. I costi del servizio vengono
determinati dai privati stessi, coi
quali ci si mette in contatto in modo
rapido ed efficiente. L’esperimento
di Renault è teso a sensibilizzare i
politici svedesi sul tema delle auto
elettriche e sulla diffusione di punti
di ricarica “ufficiali”. Non è detto che
il marchio francese non proponga
lo stesso progetto in altri Paesi nei
mesi a venire.
AUTOMOTIVE Il CEO ha rivelato che l’automobile sarà prodotta in pochi esemplari, solo 99
Aston Martin Nebula sarà l’auto più veloce al mondo
Aston Martin in collaborazione con Red Bull sta lavorando a una nuova vettura, Nebula
Sembra che punti a battere il record di velocità per una vettura di serie, forse ibrida
A
di Massimiliano ZOCCHI
ston Martin e Red Bull hanno mostrato in gran segreto la loro prossima creatura ai potenziali clienti
in un evento a margine del Gran Premio
di Monaco. L’auto conosciuta al momento solo come AM-RB 001 o Project
Nebula sarà ultimata solo nel 2018 e
ciò che i clienti hanno visto è solo un
modello in scala reale, per immaginarsi
come spenderanno una cifra tra i 2 e
3 milioni di sterline. La collaborazione
tra i due brand è strettissima, tanto che
pare nel progetto sia coinvolto anche
il leggendario progettista di Formula 1
Adrian Newey. Aston Martin sfruttando
la disponibilità economica di Red Bull
vuole battere il record di velocità per
una vettura di serie. Per guadagnarsi
la palma di auto più veloce al mondo
la Nebula dovrà fare i conti con avversarie di sicuro valore, come la Bugatti
Chiron. Per sbaragliare la concorrenza,
la motorizzazione erediterà molto dal
mondo delle corse. Indiscrezioni parlano di un motore centrale, ibrido benzina-elettrico, di netta derivazione dalla
Formula 1, da cui prenderebbe anche
il sistema di rigenerazione dell’energia elettrica. Se il vostro portafoglio
è tanto grande, affrettatevi, poiché il
CEO Andy Palmer ha rivelato che sarà
una serie limitata a soli 99 esemplari, e
omologata in pochi mercati europei e
medio orientali.
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27 GIUGNO 2016
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SMARTHOME Per non arrivare troppo tardi a rispondere al citofono la soluzione arriva da BTicino
300X di BTicino, più facile rispondere al citofono
Il videocitofono di BTicino si connette tramite Wi-Fi per poter rispondere dallo smartphone
Si installa molto facilmente e si può usare anche per aprire cancelli e controllare il portone
A
di Roberto FAGGIANO

vete presente quando qualcuno
suona ll citofono e voi siete dall’altra parte della casa? Una corsa
verso l’ingresso non basta: il fattorino
con il pacco di Amazon se ne è già
andato mentre il postino con la raccomandata vi ha già dato per assenti
e ha lasciato un avviso per ritirarla in
un ufficio a 10 km di distanza e in orari impossibili. In queste occasioni il
nuovo videocitofono Classe 300X13E
di BTicino sarebbe stato molto utile,
perché quando qualcuno suona alla
vostra porta potrete tranquillamente
rispondere dallo smartphone, senza
alzarvi dal divano oppure perfino se
siete fuori casa. Basta scaricare l’apposita applicazione già disponibile per
Android e iOS. Tramite l’applicazione
Door Entry si possono anche attivare
altre funzioni: aprire cancelli, far partire
un impianto di irrigazione, accendere o
spegnere l’illuminazione del giardino,
sfruttare la telecamera del videocitofono per controllare l’ingresso di casa,
parlare con le persone a casa, sostituire il telecomando del box e altro ancora. E se proprio non si può rispondere,
per esempio durante un viaggio in aereo, si può impostare un messaggio di
risposta oppure registrare una comunicazione di chi ha suonato al citofono
e si può anche videoregistrare ogni
persona che si è presentata davanti
a casa nostra. Volendo si possono anche installare delle telecamere in casa,
sempre con funzione di controllo da
remoto.
Il videocitofono è al centro del sistema,
con un ampio display touch da 7 pollici,
che si usa per impostare le principali
funzioni e per abilitare (o disabilitare)
fino a 20 diversi smartphone e tablet
connessi alla rete. Il costo del nuovo
torna al sommario
videocitofono e dell’installazione non
sono esagerati perché il 300X13E di
BTicino usa un sistema a due fili e può
quindi facilmente sostituire anche un
vecchio citofono, mentre la connessio-
ne Wi-Fi limita o evita del tutto i lavori
di connessione. Il nuovo videocitofono
Classe 300X13E è il primo prodotto del
progetto Eliot di BTicino, già illustrato
da DDay lo scorso anno.
Momit Cool
rende smart tutti
i condizionatori
Momit Cool è un gadget che consente
una gestione più intelligente del
condizionatore d’aria, un dispositivo
per regolare in modo smart la temperatura di casa a seconda della propria
posizione, delle abitudini e ottenere un
risparmio in bolletta. Il dispositivo può
essere montato in pochi minuti e senza nessun attrezzo; è, infatti, sufficiente attaccarlo, tramite una superficie
adesiva, sul climatizzatore e collegare
al router il Momit Gateway, sfruttando
la porta Ethernet. Momit Cool è compatibile con tutti i climatizzatori dotati
di telecomando a infrarossi, apprende
le funzionalità da quest’ultimo e lo
sostituisce con un’app completa di
funzionalità “connesse”. Questa app,
per iOS e Android e presto anche
per smartwatch, accende e spegne il
clima in base alla nostra posizione, per
godere sempre di un ambiente fresco.
Momit Cool kit è ordinabile dal sito
dell’azienda a 129 euro.
SMARTHOME Un tentativo di reiventare la rete di casa abbandonando il concetto di router
Plume, un sistema che migliora il Wi-Fi domestico
Tanti piccoli hotspot Wi-Fi da attaccare alla presa di corrente di ogni stanza che si vuole coprire
di Franco AQUINI
I
l Wi-Fi è diventato ormai una necessità primaria dalle nostre parti e molte
aziende stanno facendo a gara per
semplificarne la gestione. Plume è una
di queste e propone un nuovo concetto
di rete Wi-Fi domestica: con i suoi Pods,
piccoli dispositivi da collegare alla presa
della corrente, vuole distruggere completamente il concetto di router Wi-Fi e semplificare l’installazione e la gestione della
rete. Tutti proviamo disagio quando abbiamo un qualsiasi problema con la rete
Wi-Fi di casa. Stanze non coperte perfettamente, segnale che cade, velocità non
ottimale sulla console da gioco e video in
streaming che cominciano a scattare sul
più bello. La soluzione secondo Plume
è ripensare totalmente il concetto: con i
suoi piccoli Pod, stando a quanto promesso dall’azienda, si può eliminare qualsiasi problema, basta inserirne uno in ogni
stanza che si vuole coprire e la rete sarà
efficiente ovunque in casa. È un concetto molto simile al multiroom per l’audio,
insomma: non più un solo impianto in
salotto, ma tanti diffusori in ogni camera
che dialogano tra loro. Non può mancare
la parte smart, perché i Pod sono in grado di ottimizzare il traffico, per garantire
un flusso costante allo streaming 4k, per
esempio. I Pod, semplificando, sono degli
extender Wi-Fi 802.11ac, quindi con una
velocità teorica che può arrivare a 1.200
Mbps. Utilizzano le frequenze da 2.4 e 5
GHz, ottimizzandone l’uso per estendere
sia la potenza che la portata del segnale.
Il tutto si gestisce facilmente tramite l’app
su smartphone. Ognuno ha una porta
Ethernet che può funzionare sia da porta
di rete, appunto, sia da porta WAN, per
poter collegare il modem o il router centrale di casa, che comunque bisogna avere. I Pod di Plume usciranno a fine anno
a un costo di 49$ ognuno. È possibile
preordinarli al prezzo scontato di 39$, ma
il pacchetto minimo è di 6 pezzi, quindi la
spesa è di 234$. Forse un po’ troppo per
un appartamento italiano medio.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST Abbiamo messo a confronto 4 modelli di cuffie dotate di circuito per la riduzione del rumore, scopriamo qual è la migliore
Sfida a colpi di silenzio: 4 cuffie una contro l’altra
Vediamo quanto riescono a ridurre il rumore e come suonano, fattore sempre fondamentale per valutare le prestazioni
A
di Roberto FAGGIANO
lle cuffie chiediamo di riprodurre la nostra musica preferita, ma questa volta vogliamo di più:
prima di riprodurre suoni devono cancellare tutto il rumore molesto che ci circonda ormai ovunque,
non solo durante un lungo viaggio in aereo o in treno
ma anche negli spostamenti quotidiani casa - lavoro.
Per il nostro test abbiamo selezionato quattro cuffie
con riduzione del rumore dalle caratteristiche tecniche di rilievo e di conseguenza anche piuttosto
costose. La Parrot Zik 3 (350 euro) è la terza versione della cuffia disegnata da Philippe Starck che ha
inaugurato l’era delle cuffie controllate da un’applicazione. La Philips Fidelio NC1 (250 euro) è un classico modello con cavo dall’aspetto molto semplice
ma pratico, leggera e comoda ma con un sofisticato
sistema di cancellazione del rumore, mentre la Sennheiser Momentum Wireless (449 euro) è il modello
più costoso del test ma si ripaga con il collegamento
Bluetooth, una finitura molto curata e materiali duraturi. La Sony MDR-100 ABN (300 euro) è il modello
che più attira lo sguardo perché è disponibile in molti
colori vivaci su finitura metallica, ha il Bluetooth e si
rivolge al pubblico più giovane e a chi non ama passare inosservato. Per tutte le cuffie il controllo della
qualità della riduzione del rumore si è sommato ad
un attento ascolto musicale, perché sarebbe inopportuno ridurre benissimo il rumore e poi riprodurre
in modo mediocre la musica.
Cancellazione del rumore
Ecco come funziona
Prima di passare al test vero e proprio facciamo un ripasso su come funzionano le cuffie NC, eredi dei primi
modelli pionieri dell’aviazione, dove avevano il compito di attenuare l’incessante rombo dei motori, quando
i piloti non erano piazzati in comodi posti di comando
ben isolati come ora avviene sui grandi aerei di linea.
I circuiti per la riduzione del rumore sfruttano dei mi-
video
lab
crofoni sistemati nei padiglioni che percepiscono i
rumori che ci circondano e creano delle onde sonore
opposte che vanno a cancellarli o attenuarli. Più sono
i microfoni – da due a quattro – più efficace sarà la
riduzione del disturbo. Le frequenze più semplici da
cancellare sono quelle basse e medie, per esempio il
rombo di un motore di aereo oppure quello generato
dalle ruote del treno sui binari, mentre le voci e i disturbi a frequenze più elevate sono più complessi da
ricostruire e quindi il circuito NC farà con più fatica il
suo lavoro. Proprio la presenza di microfoni e circuiti
rende indispensabile l’alimentazione, anche se si usa
un collegamento via cavo.
Parrot Zik 3, la cuffia d’autore
La cuffia firmata da Philippe Starck è giunta alla sua
terza edizione con estetica ritoccata solo per quanto riguarda la finitura e con nuovi colori disponibili.
Nell’esemplare in prova c’è un elegante rivestimento
effetto trapuntato che si somma alla grande cura di
ogni dettaglio e ampio uso di finiture metalliche. Prima di iniziare il test bisogna però scaricare l’apposita
applicazione che permette di personalizzare la cuffia
praticamente su ogni parametro, applicazione già
compatibile anche con gli smartwatch Apple e Android. Tramite app si possono inserire curve di equalizzazione personalizzate da vari personaggi oppure
crearsi la propria, si può inserire l’effetto surround
con diverse opzioni ambientali e soprattutto si può
variare i livello di intervento del circuito NC secondo
le diverse situazioni, il tutto semplicemente spostando il dito sul display. Il dito serve pure per i comandi
diretti a sfioramento sul padiglione destro, funzioni
abbastanza intuitive ma piuttosto imprecise, tanto
che risulterà molto più semplice usare i comandi del
segue a pagina 24 

Parrot Zik 3, 350 euro
torna al sommario
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST
Comparativa cuffie NC
segue Da pagina 23 
telefono o dell’app.
La cuffia una volta indossata è piuttosto comoda, i
padiglioni non sono ripiegabili ma solo orientabili, poi
va notato che il meccanismo per assestare l’archetto nella giusta posizione è durissimo perfino usando
due mani, forse un difetto del nostro esemplare.
Dal punto di vista tecnico la Zik monta trasduttori
da 40 mm e l’autonomia della batteria è di 18 ore,
lasciando comunque la possibilità di usare la cuffia
via cavo a batteria scarica, batteria che può anche
essere sostituita perché facilmente accessibile sotto
al padiglione. Per la ricarica si può usare anche un
pad per la modalità senza fili, ma è un optional che
costa 35 euro; si paga a parte pure la custodia per
il trasporto e costa altri 40 euro, forse un po’ troppo
dato il prezzo di listino della cuffia. Il Bluetooth è un
3.0 con abbinamento NFC ma senza aptX. L’ascolto di questa Parrot è stato insolito perché è difficile resistere alla tentazione di iniziare a giocare con
l’app e tutte le sue possibilità: l’equalizzatore è uno
dei punti di forza perché consente di stravolgere nel
bene e nel male qualsiasi pezzo musicale mentre gli
effetti DSP per diversi generi musicali sono sempre
gradevoli ma piuttosto tenui nei loro interventi. Per
quanto riguarda la riduzione del rumore, l’app trasforma lo smartphone in un fonometro, con l’indicazione
in decibel del rumore che ci circonda e di quanto lo
possiamo ridurre, quindi si può efficacemente tarare l’intervento a seconda delle situazioni, pur senza
raggiungere mai – opportunamente – il silenzio assoluto. L’inconveniente di un’app così evoluta è quello
Philips NC1, 250 euro
che alla fine anziché ascoltare la musica si gioca con
la cuffia, anche perché quando si prova ad escludere
l’equalizzatore e l’effetto DSP al confronto sembra
di ascoltare un citofono. Quindi l’importante è non
rimanere mai senza batteria perché altrimenti l’ascolto piacevole dei diversi effetti combinati fa sembrare
del tutto inadeguata la cuffia senza aiuti elettronici.
Philips NC1, leggera e semplice
La cuffia Philips ha scelto la strada della leggerezza
e del comfort, caratteristiche utili durante un viaggio quanto la riduzione del rumore; l’aspetto quindi
è piuttosto semplice, con padiglioni completamente imbottiti in memory foam che non circondano
l’orecchio ma diventano molto comodi durante l’uso.
Massiccio l’archetto metallico e di aspetto robusto il
meccanismo che permette di ripiegare i padiglioni in
pochissimo spazio. In dotazione c’è una borsa rigida
per il trasporto, dove trovano posto anche i cavi di
collegamento e ricarica, il cavo è di buona qualità soprattutto ai terminali.
Il sistema di cancellazione del rumore di questa cuffia
prevede l’utilizzo di ben quattro microfoni per cogliere gli elementi di disturbo e cancellarli creando onde
sonore di fase opposta per avere sempre la cancellazione più efficace; sulle frequenze più alte sono già
molto efficaci i padiglioni imbottiti in semplice modalità passiva. Per controllare la carica della batteria
integrata c’è un led vicino al tasto di accensione che
segnala l’eventuale necessità di ricaricare la cuffia. Il
collegamento alla sorgente è solo via cavo, con microfono universale per le conversazioni telefoniche.
Dal punto di vista tecnico la NC1 impiega trasduttori
da 40 mm, impedenza di 16 ohm e sensibilità di 107
dB mentre l’autonomia dichiarata per la batteria è di
30 ore. Al momento dell’ascolto la cuffia Philips mostra una buona qualità generale, con una risposta in
frequenza tutto sommato equilibrata anche se non
molto generosa sui bassi. Sull’estremo acuto la resa
è piuttosto dettagliata e aiuta a ottenere una buona
tridimensionalità, Il meglio viene dalle voci che sono
sempre ben al centro della scena e con un buon
corpo, prive di sibilanti e altre spigolosità, Alzando il
volume la cuffia perde l’equilibrio apprezzato finora
e diventa meno gradevole, specie con la musica più
compressa. Il sistema di riduzione del rumore sembra
piuttosto selettivo, agendo più su alcune frequenze
che su altre, alcuni rumori secchi vengono filtrati
poco mentre con motori e rombi la cancellazione è
migliore. Sulle voci la cancellazione è in genere ottima, ma con l’eccezione di voci acute come quelle
dei bambini. Insomma ideale per “zittire” quei vicini di
poltrona in treno che non smettono mai di telefonare; l’isolamento passivo è comunque piuttosto buono
nonostante i piccoli padiglioni non avvolgenti, usando a lungo il sistema di cancellazione però rimane in
sottofondo un fruscio abbastanza fastidioso.
Sennheiser Momentum Wireless
Il nome conta
In una rassegna di cuffie un modello Sennheiser non
può mancare e qui abbiamo scelto la versione senza
fili di un modello da qualche tempo a listino, recentemente rinnovato e che ha segnato una svolta verso il
pubblico più attento alla forma oltre che alla sostanza,
come dimostrato dal prezzo di listino di 449 euro che
la pone tra le scelte più costose della categoria. Per
la sostanza i tecnici della casa tedesca hanno sviluppato appositamente il circuito di riduzione del rumore
chiamato Active Noise Gard e non manca il microfono
integrato per le telefonate.
Per quanto riguarda l’aspetto i materiali utilizzati sono
più robusti che raffinati, anche se in effetti c’è largo
uso di pelle e metallo per raggiungere un livello di
finitura adeguato al non trascurabile prezzo di listino.
Tutto però è orientato alla durata più che a soddisfare la vista. I controlli della cuffia sono concentrati sul
padiglione destro, dove c’è anche il collegamento
via cavo, perché questa cuffia funziona normalmente
anche via cavo se la batteria è esaurita, rinunciando
però al circuito di riduzione del rumore. Si può controllare il volume e rispondere alle chiamate telefoniche,
con tasti meccanici che si riconoscono facilmente al
tatto ma che vanno utilizzati in sequenza per avere
l’azione desiderata. La disponibilità di energia della
batteria viene indicata da una sequenza di spie luminose ma l’effetto non è molto chiaro, specie se non si
sono lette prima le istruzioni: molto meglio visualizzare direttamente sul display del telefono lo stato di carica, almeno per quegli smartphone (come gli iPhone)
che lo prevedono. Dal punto di vista tecnico vengono
utilizzati trasduttori da 40 mm in padiglione chiuso,
impedenza di 28 ohm (in modalità senza riduzione
rumore) mentre l’autonomia della batteria è di circa
22 ore con circuito NC attivato ; per quanto riguarda
il collegamento senza fili abbiamo un Bluetooth 4.0
con aptX e abbinamento automatico NFC. Da poco è
Sennheiser Momentum Wireless , 449 euro

segue a pagina 25 
torna al sommario
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TEST
Comparativa cuffie NC
segue Da pagina 24 
anche disponibile l’applicazione CapTune per personalizzare la resa sonora e accedere ai propri contenuti musicali, attualmente però è solo per dispositivi
Apple con iOS 8 e comunque non riguarda la fase di
cancellazione del rumore.
Al momento dell’ascolto le cuffie Sennheiser svelano
il loro lato migliore, restituendo musica con qualità
eccellente, c’è tutta l’esperienza del marchio in tema
di cuffie monitor da studio di registrazione con bassi
molto profondi ma controllati, in grado di addomesticare anche i brani più “inascoltabili” per un utente che
abbia superato la ventina. Sugli acuti invece la risposta è più morbida per evitare eccessi da studio di registrazione ma senza nulla togliere al miglior dettaglio
possibile e a una buona tridimensionalità. La risposta
in frequenza è migliore con il collegamento via cavo,
anche ascoltando un semplice streaming da Spotify
e quindi, appena possibile sarà utile evitare il Bluetooth. La riduzione del rumore è molto efficace anche
se non completa, per intenderci non si ha mai quell’effetto “sottovuoto” che a volte può anche dare fastidio,
rimane solo un lieve fruscio di fondo che indica il funzionamento del circuito. Bisogna dire che l’isolamento dai rumori esterni è già notevole in modo passivo,
grazie ai padiglioni chiusi che circondano l’orecchio.
Tirando le somme una cuffia di qualità eccellente che
giustifica il salato prezzo di listino, in primo piano c’è
sempre la musica mentre il rumore se ne sta buono in
un angolino e non disturba l’ascolto.
Sony MDR-100 ABN, suoni e colori

Le cuffie h.ear presentate per la prima volta alla scorsa
edizione dell’Ifa hanno ora una versione con cancellazione del rumore, ancora più costosa ma sempre con
la stessa veste estetica molto elegante con effetto
metallico, sempre disponibile in molti colori che non
passano certo inosservati. completa di custodia nella
stessa tinta. Peccato che il prezzo salga di ben 100
euro rispetto alla versione base, portandosi a quota
300 euro. Oltre a essere piacevole esteticamente
la cuffia Sony è anche ”parlante” dato che una bella
voce femminile segnala l’accensione e lo spegnimento della cuffia e del Bluetooth, ovviando all’impossibilità di vedere le spie luminose mentre si indossa
la cuffia; per inserire il circuito NC c’è un altro tasto
con relativa spia, dato che la cuffia funziona anche via
cavo e anche senza batteria se non serve la riduzione del rumore. Sul lato destro del padiglione ci sono
i comandi a bilanciere per il volume e per cambiare
brano, entrambi abbastanza facili da individuare. Dal
punto di vista tecnico abbiamo trasduttori da 40 mm,
e autonomia della batteria di circa 22 ore che salgono
a 38 se si usa il collegamento via cavo. Il Bluetooth
con aptX è abbinato al sistema NFC e si può anche
sfruttare il circuito esclusivo LDAC per la trasmissione
senza fili di brani in alta risoluzione dai pochi dispositivi compatibili con questa tecnologia.
Vediamo ora come si comporta in pratica la nuova
cuffia Sony. La riduzione del rumore è già notevole in
modo passivo grazie alla super imbottitura dei padi-
torna al sommario
Sony MDR-100 ABN, 300 euro
glioni, di conseguenza anche molto morbidi e confortevoli. Inserendo il circuito NC invece scatta un effetto
risucchio e sottovuoto non proprio gradevole, cui si
somma un notevole fruscio di fondo. I rumori però vengono praticamente cancellati per gran parte, lasciando
solo un piccolo rombo ascoltabile solo quando non c’è
musica e voci lontanissime. La resa musicale utilizzando il cavo è piuttosto indirizzata verso un ascoltatore
giovane, quindi tanti bassi e tanto dettaglio che a volte
diventano troppo esuberanti seppure non fastidiosi.
Con musica tranquilla si apprezzano le voci e una tridimensionalità. Passando all’ascolto senza fili la resa diventa più equilibrata anche se forse si perde qualcosa
in gamma bassa, comunque ancora dinamica e gradevole mentre sugli acuti si ha un certo arrotondamento
che forse farà perdere qualche piccolo dettaglio ma
rende l’ascolto più facile sui tempi prolungati.
Sennheiser vince per distacco
La vincente del confronto è senza dubbio la Sennheiser che raggiunge prestazioni musicali eccellenti e ha
pure un’ottima riduzione dei rumori, un buon compromesso tra quanto rimane leggermente udibile e quanto resta per il contatto con la realtà; purtroppo il prezzo
è molto elevato ma la cuffia sembra destinata a durare
una vita. Meriti opposti per la Philips che è vincente
per il rapporto qualità/prezzo.
Parrot e Sony sono più o meno sullo stesso livello:
la francese ha dalla sua l’applicazione che permette
di giocare sulla resa sonora e sul livello di riduzione
del rumore, fattori che per alcuni possono essere fondamentali, però la resa sonora senza aiuti non è impeccabile. La Sony ha una riduzione del rumore quasi
totale che può anche non essere gradevole mentre la
resa sonora è buona con il Bluetooth ma non proprio
all’altezza del prezzo e un po’ troppo puntata sui gusti
dei più giovani.
Cuffie
Parrot
Zik 3
Philips
NC1
Senneheiser
Sony
Momentum W MDR-100 ABN
Costruzione e finitura
8
7
8
8
Comfort
7
8
8
8
Bluetooth
sì
no
sì
sì
Cancellazione rumore
9
7
8
8
Qualità audio
7
8
9
7
Qualità/prezzo
8
9
8
7
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MAGAZINE
TEST Si dice che il “3” sia il numero perfetto e OnePlus con il suo nuovo smartphone pare aver preso sul serio la questione
OnePlus 3: rapporto qualità prezzo imbattibile
Bello, potente, affidabile e ha un prezzo molto interessante.Basteranno queste armi per surclassare la concorrenza?
di Vittorio Romano BARASSI
iente inviti. Prima di iniziare la nostra approfondita analisi su OnePlus 3 ci sembrava giusto fare il punto su una delle questioni che più
hanno fatto tribolare gli utenti di mezzo mondo; lo
smartphone è in vendita libera sul sito ufficiale del
produttore che finalmente, visti anche i “successi”
dei precedenti smartphone, è riuscito a mettere in
piedi una rete di vendita e di assistenza all’altezza
delle aspettative. Addio dunque al tanto odiato sistema ad inviti; sborsando 399 euro, quasi la metà
rispetto al prezzo di gran parte dei top di gamma
concorrenti, tutti potranno acquistare un OnePlus 3.
E se amate Android, dovreste pensarci seriamente.
Come gran parte della stampa specializzata abbiamo provato OnePlus One, il capostipite, OnePlus 2, il
degno successore, e pure OnePlus X, il medio gamma che molti sognavano; OnePlus 3 è essenzialmente la summa di ognuno di questi dispositivi: grazie
ad una maggiore “esperienza” e grazie soprattutto
all’attivissima community, gli ingegneri sono riusciti
a capire cosa aggiungere e cosa rimuovere, arrivando ad ottenere un prodotto capace di far davvero la
voce grossa. Scopriamolo insieme.
N
Qualità e finiture al top
ma il design sa di “già visto”
I precedenti OnePlus non hanno certo fatto dell’aspetto il loro punto di forza e i designer cinesi
stavolta si sono messi all’opera al fine di proporre
anche uno smartphone molto piacevole alla vista. Il
risultato finale è indubbiamente ben riuscito e, anche se pecca di originalità per via di indubbie similitudini con alcuni recenti iPhone e HTC, dona quella
sensazione “premium” che la community OnePlus ha
evocato a gran voce.
OnePlus 3 si presenta con un’elegantissima confezione di vendita nella quale troviamo - ben organizzati - smartphone, cavo USB-USB Type C e caricatore Dash Charge. Ci sono diversi opuscoli e guide,
oltre alla ormai irrinunciabile “graffetta” per l’apertura dello slot riservato alle due schede nanoSIM (sì, è
video
lab
OnePlus 3
FORSE NON È IL MIGLIOR ANDROID PHONE, MA A 399€ È UN MUST-BUY
399,00 €
OnePlus 3 mantiene tutte le promesse ed è il nuovo “flagship killer” che tutti aspettavano. Offre prestazioni mostruose, un design piacevole
e una costruzione esemplare a soli 399 euro, prezzo che è quasi la metà di quello - di listino - dei principali concorrenti e che gli attuali top di
gamma raggiungeranno solo dopo molti mesi di permanenza sui mercati. Non è uno smartphone perfetto: ci saremmo aspettati qualcosina di
meglio dalla fotocamera e, soprattutto, dall’autonomia, ma “pesando” questi minus con tutti i pregi del dispositivo e con il prezzo di vendita
ne risulta un dispositivo di cui sarebbe impossibile non consigliare l’acquisto. Se nelle vostre vene scorre puro sangue “verde Android” prendetelo a scatola chiusa e non ve ne pentirete; se vi attirano i vari Galaxy S7 o i nuovi LG G5, HTC 10 o Huawei P9, pensate bene se vale davvero
la pena spendere molto di più per avere, forse, poco di più. OnePlus 3 è Android all’ennesima potenza. Un vero cavallo di razza.
8.8
Qualità
9
Longevità
9
Prestazioni impressionanti
COSA CI PIACE Qualità costruttiva e finiture
Rapporto qualità-prezzo
Design
7
Semplicità
8
D-Factor
8
Prezzo
10
Autonomia non eccezionale
COSA NON CI PIACE Mancanza slot micro SD
Foto belle ma la concorrenza fa meglio
anche dual-SIM). Il modello inviatoci da OnePlus è
quello nella colorazione Graphite, ma nei prossimi
mesi sarà possibile acquistare anche la variante Soft
Gold.
OnePlus 3 è uno smartphone caratterizzato da un
design unibody in alluminio anodizzato che, a differenza di qualche altro concorrente, risulta estrema-
mente solido e compatto in ogni porzione della scocca; le dimensioni di 152,7 x 74,7 millimetri sono nella
media della categoria mentre lo spessore di 7,35
millimetri (retro ricurvo, a cui però bisogna aggiungere qualcosa per via della fotocamera sporgente),
seppur non da record, è abbastanza soddisfacente.
Ottimo il lavoro fatto nel bilanciamento delle masse:
OnePlus 3 pesa 158 grammi, già un buon valore per
un dispositivo di questo genere, e questi sono distribuiti in maniera talmente ottimale da non far risultare
il dispositivo così “pesante” come la scheda tecnica
potrebbe suggerire.
Pulsante di sblocco e slot per le nanoSIM sono sul
lato destro mentre bilanciere del volume e “switch”
zigrinato per la selezione delle varie modalità di notifica (Alert Slider a tre livelli - Silent, Priority e All
- ormai un must per gli smartphone OnePlus) sono
sulla porzione sinistra del device; il lato superiore è
sgombro mentre in basso troviamo due piccole viti
alle estremità che contornano - da sinistra a destra

segue a pagina 27 
torna al sommario
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MAGAZINE
TEST
One Plus 3
segue Da pagina 26 
- speaker di sistema, ingresso USB Type-C, microfono principale e jack da 3,5mm. Sul retro emergono
prepotentemente le due bande scure che fungono
da ausilio per le varie antenne, così come spicca la
grossa porzione - sporgente - del modulo fotocamera; sopra di esso è nascosto un microfono (che funge
anche da secondario per la cancellazione del rumore di fondo in chiamata) mentre al di sotto vi sono il
flash LED e il logo OnePlus.
OnePlus 3 è senza ombra di dubbio un bel telefono; non dà troppo nell’occhio e appagherà l’utente
che lo andrà a scegliere. L’ergonomia è buona e si
utilizza abbastanza bene con una mano (ma non
vi sono “aiuti” software in questo verso); forse per
qualcuno potrà risultare un po’ scivoloso, ma noi non
abbiamo mai riscontrato grossi problemi di presa. La
scocca resiste abbastanza bene alle ditate e all’utilizzo spensierato: OnePlus 3 non si sporca troppo facilmente e, dopo qualche giorno di utilizzo intenso,
non abbiamo neppure riscontrato piccoli graffi e/o
ammaccature sui bordi (quasi taglienti al tatto, ma
non in maniera fastidiosa).
Optic AMOLED molto bello, però…
Acceso lo smartphone non si può non restare colpiti
dai colori del suo display. È un qualcosa di immediato, che fa subito intuire all’utente un po’ più smaliziato di ritrovarsi dinanzi ad un display basato sulla
tecnologia AMOLED, sicuramente un deciso passo
avanti rispetto al poco convincente LCD installato su
OnePlus 2. Le sensazioni, ovviamente, sono confermate dalla scheda tecnica: quello di OnePlus 3 è un
pannello Optic AMOLED da 5,5 pollici di diagonale,
con risoluzione Full HD (1920x1080 pixel) e il cui rapporto tra i valori fa risultare gli ormai “soliti” 401 ppi
in quanto a densità dei pixel. È giusto essere chiari:
non siamo dinanzi ad un display di nuova generazione e la dicitura “Optic” sembra solo una piccola
trovata pubblicitaria per sottolineare il fatto che One-
Plus abbia lavorato al miglioramento di contrasto e
temperatura del colore; insomma è un AMOLED di
ultima generazione con qualche trattamento - marginale - extra.
Quel che conta davvero, però, è che indubbiamente
si tratta di un pannello di qualità: neri profondi, bianchi molto buoni, ottimo contrasto e visibilità più che
soddisfacente anche sotto la forte luce diretta del
sole. Convincono di meno i colori, bellissimi ma poco
naturali, e gli angoli di visione laterali che, seppur
ottimi, fanno trasparire immediatamente la tendenza
del display a virare leggermente su tonalità blu-verdi
(bastano pochi gradi di inclinazione in condizioni di
media illuminazione - e con immagini chiare a schermo - per notarlo); anche in questo caso è doveroso
sottolineare quanto già ripetuto più volte in passato:
si tratta di considerazioni assolutamente marginali,
dettagli che nell’utilizzo quotidiano sfuggirebbero
tranquillamente ad un occhio meno attento o esperto.
In generale il display di OnePlus 3 (che vanta una
cornice davvero sottile) si è dimostrato decisamente
migliore rispetto a quello di OnePlus 2, al livello di
moltissimi concorrenti che costano tanto di più, ma
forse un pizzico al disotto ai migliori rappresentanti
del settore. Insomma, molto direttamente, il display
Super AMOLED di Samsung Galaxy S7 sembra essere ancora il punto di riferimento assoluto. La differenza di prezzo, però, è notevole…
Bello e sapientemente realizzato è il vetro Corning
Gorilla Glass 4 posto a protezione del display, con
tanto di leggerissima finitura 2.5D dei bordi che aiuta
a donare la giusta curvatura alla porzione anteriore del dispositivo. Sopra allo schermo troviamo una
piccola cassa auricolare, la fotocamera frontale, un
comodo LED RGB di notifica e i sensori di prossimità e luminosità, con quest’ultimo sempre in grado di
adattarsi velocemente e con precisione ai livelli di
illuminazione ambientale.
Inferiormente, al di sotto del display, campeggia un
grande “tasto Home”: non si tratta però di un vero
pulsante poiché non vi è nulla di meccanico da premere e funziona a sfioramento, mentre al suo interno
nasconde un pratico sensore per il riconoscimento
delle impronte digitali (fino a 5) dell’utente. Il sistema
è veloce, molto affidabile e non vi deluderà, ma forse
a livello di precisione qualche concorrente (pochi!)
riesce a fare ancora meglio. Comodissima la possibilità di poter spegnere il display con un doppio tap
sul sensore, che si contrappone al doppio tap sul
display per l’attivazione dello schermo. Ai lati del tasto home vi sono anche altri due pulsanti soft-touch,
personalizzabili (intercambiabili) nella funzione tramite via impostazioni. Per chi lo volesse, è possibile
anche portare a schermo tutti i tasti.
Prestazioni da numero uno
OxygenOS rimane una garanzia
Per essere l’ennesimo “flagship killer”, OnePlus 3
aveva bisogno di una componentistica di primissimo
livello e, ovviamente, in Cina non se lo sono fatti dire
due volte. Il dispositivo propone quanto di meglio il
mercato ha da offrire, puntando tutto su un potentissimo e affidabile SoC Snapdragon 820 di Qualcomm
con CPU quad-core Kyro (2 core a 2,2 GHz, altri due
a 1,6 GHz) e GPU Adreno 530; ad affiancare il chip
ci sono anche ben 6 GB di memoria RAM LPDDR4,
quantitativo mostruoso che mai si era visto finora su
uno smartphone. Chiude il cerchio lo storage fisico
UFS 2.0 da 64 GB, che nei nostri test ha fatto registrare velocità in lettura di oltre 400 MB/s, valore
senza dubbio importante e che molti concorrenti
provvisti di memorie più lente (vedi alcune eMMC)
possono solamente sognare. Rovescio della medaglia? Non c’è uno slot micro SD per espandere lo
spazio di archiviazione, ma con 64 GB a disposizione
non è poi un problema così grande.
All’atto pratico tutto questo “ben di Dio” si dimostra
in grado di offrire prestazioni assolutamente straordinarie all’utente di turno; non c’è situazione in grado di mettere in difficoltà OnePlus 3 e ogni operazio-

segue a pagina 28 
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TEST
One Plus 3
segue Da pagina 27 
ne, grazie pure alle velocissime memorie UFS 2.0,
è sempre eseguita con una rapidità impressionante. Apertura e chiusura delle app sono immediate,
il multitasking non è mai un problema e l’utilizzo di
applicativi particolarmente dispendiosi di risorse non
scalfisce in alcun modo la solidità prestazionale di
OnePlus 3. Giochi 3D di ultima generazione e filmati,
anche impegnativi (2160/60p H.264), vengono eseguiti e riprodotti senza imbarazzi di alcun tipo; semmai si può criticare - poco - il percepibile surriscaldamento della scocca posteriore dopo qualche minuto
di utilizzo “intenso”, ma niente di così preoccupante
da far scoppiare un caso (ricordate lo Snapdragon
810? Niente a che vedere con quella vicenda.).
Ci siamo divertiti anche nel far eseguire a OnePlus
3 i classici benchmark che siamo soliti effettuare sui
dispositivi che passano dalla redazione e i risultati
non ci hanno stupito più di tanto. Lo smartphone ha
sfiorato i 140.000 punti nell’ultimo test AnTuTu e con
GeekBench 3 ha fermato l’asticella della prova multicore a quasi 5300 punti; si tratta di valori che, per
quanto siano sempre piuttosto relativi, confermano
lo straordinario valore di OnePlus 3.
Che dire poi di Oxygen OS, sistema operativo - che
poi è poco più di un’interfaccia grafica - scelto per dirigere l’orchestra? Da questo punto di vista le novità
sono limitate poiché i tecnici OnePlus non hanno voluto sconvolgere quella realtà che ha reso vincente
i precedenti dispositivi. OnePlus 3 ci è arrivato con
la versione 3.1.1 preinstallata e dopo qualche giorno
di utilizzo abbiamo effettuato l’aggiornamento alla
release 3.1.2 che proponeva qualche fix generico;
Oxygen OS è essenzialmente l’interpretazione di
Android (qui in versione 6.0.1 Marshmellow) da parte di OnePlus, la quale è praticamente una release
stock con qualche piccolo accorgimento grafico
e con alcune ottimizzazioni software. C’è il drawer
per le app, è possibile scegliere tra un tema chiaro ed uno scuro (quest’ultimo con l’AMOLED ci va a
nozze), si possono configurare pulsanti e gestures
(basta disegnare una O o una V sul display per accedere a torcia e fotocamera), c’è la modalità Ambient
(passando la mano sopra al sensore di prossimità si
attiva il display) e non manca neppure Shelf, schermata personalizzabile supplementare accessibile
effettuando uno swipe verso destra sulla quale si
possono aggiungere scorciatoie e widget.
Il sistema è sempre reattivo e pare essere cucito
ad-hoc sulle componenti hardware di OnePlus 3; è
essenziale al punto giusto, non c’è alcun software
“inutile” preinstallato e dona all’utente una Androidexperience probabilmente ineguagliabile. Tutti gli
amanti del sistema operativo Android non potranno
non adorare Oxygen OS, mentre forse potrebbero
inizialmente storcere il naso gli utenti che provengono da sistemi più “lavorati”, salvo poi ricredersi
nell’arco di pochissimi giorni di utilizzo. Poi si sa: su
Android basta fare un salto sul Play Store per cambiare tutto.
Segnaliamo poi che OnePlus ha deciso di lasciare il
bootloader di sistema sbloccato, così da permettere
con ancor più facilità le operazioni di modding. Con
una community come quella OnePlus, non tarderanno ad arrivare ottime ROM.
La fotocamera rincorre “a ruota” i big
La scheda tecnica di OnePlus 3 fa “paura” che sotto
la voce fotocamere: il modulo principale che gli ingegneri hanno deciso di installare a bordo di questo
smartphone è composto da un sensore CMOS Sony
IMX298 da 16 megapixel (pixel size da 1.12 µm) messo
alle spalle di un sistema di lenti con apertura massima
f/2.0; non mancano poi stabilizzazione ottica ed elettronica delle immagini, un sistema di messa a fuoco
a rilevamento di fase e possibilità di salvare le foto
in RAW.
Sul campo, OnePlus 3 si comporta in modo egregio:
le fotografie scattate in condizioni ottimali sono di

Qui sopra la stessa foto in modalità normale (a sinistra) e in modaltà HD (a destra).
torna al sommario
buonissima qualità, ricche di dettagli e povere di imperfezioni; la messa a fuoco è molto veloce e precisa,
la rapidità di scatto è encomiabile (ottimo per il pointand-shoot) e se volessimo davvero trovare un difetto prenderemmo solo ad accennare ad una leggera
tendenza alla sovraesposizione delle fotografie, con
annesso bilanciamento dei bianchi non proprio precisissimo. I colori - visti al PC su un display calibrato
- sono ben riprodotti e naturali, sebbene sul display
AMOLED dello smartphone questi possano inizialmente apparire fin troppo saturi e poco realistici; è il
solito problema dei dispositivi provvisti di questa tipologia di pannelli, quindi il consiglio è quello di valutare
le foto davanti ad un computer.
Scendendo la luminosità ambientale cala proporzionalmente anche la qualità delle foto; la messa a fuoco
fa più fatica a lavorare e gli scatti perdono dettagli poiché il software tende ad ammorbidire e “pennellare”
le immagini al fine di nascondere il rumore dovuto all’innalzamento della sensibilità ISO. Se si guarda guarda al computer un file RAW (.DNG) salvato da OnePlus
3 si capisce benissimo quanto “pesante” sia il lavoro
di post-elaborazione effettuato dallo smartphone; il
risultato finale, seppur non eccezionale, pare miracoloso.
Il software della fotocamera non propone molte opzioni tra le quali scegliere ma ci sono da segnalare la
modalità HD che “migliora” le immagini (a patto di tenere davvero fermo il dispositivo per qualche decimo
di secondo di troppo) e quella HDR, la quale funziona
egregiamente ma non può lavorare in connubio con
la precedente. L’interfaccia dell’applicazione è molto
essenziale ma non mette mai in difficoltà; anche la modalità “manuale” è piuttosto risicata, pur permettendo
l’impostazione dei principali parametri di scatto.
Con OnePlus 3 è possibile registrare filmati in modalità 4K a 30 frame per secondo ma si può anche decidere di passare ad una risoluzione inferiore (1080p o
720p) ed ad una funzione slow-motion con ripresa a
720/120p. I video sono di buona qualità ma non ai livelli di dispositivi più studiati sotto il profilo foto-video;
di giorno, escludendo una messa a fuoco “ballerina”,
non emergono troppi problemi mentre di sera spunta
un certo fastidio nella stabilizzazione dei video, probabilmente dovuto a qualche tipo di “incomprensione” software tra i vari sistemi in gioco e l’autofocus.
La fotocamera frontale da 8 megapixel - basata su
sensore Sony IMX179 - fa egregiamente il suo lavo-
segue a pagina 29 
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TEST
One Plus 3
segue Da pagina 28 
ro e riesce a garantire buoni selfie in ogni occasione;
c’è la modalità “bellezza” ormai largamente diffusa su
quasi ogni tipologia di smartphone e c’è pure la possibilità di scattare al rilevamento del sorriso. Per chi ne
sentisse il bisogno, non manca neppure la possibilità
di registrare filmati a 1080/30p.
Tirando le somme sul comporta foto/video di questo
OnePlus 3 ci sentiamo di promuoverlo, ma non a pieni
voti; sulla carta, le qualità ci sono tutte, ma probabilmente si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Le foto
sono certamente degne di un top di gamma e non
sfigurano se confrontate con quelle di concorrenti più
“dotati”, ma la sensazione che si ha è quella che i vari
Galaxy S7, LG G5 e Huawei P9 siano ancora leggermente avanti. Non dimentichiamolo però: OnePlus
costa 399 euro.
Batteria discutibile, ma c’è il Dash Charge

Sul fronte autonomia generale, non convince appieno
la batteria integrata - non rimovibile - da 3000mAh
che troviamo a bordo di OnePlus 3; il dispositivo si
comporta molto bene in stand-by e con il Wi-Fi connesso, mentre è molto meno parco nei consumi una
volta usciti fuori dalle mura “amiche”. In linea generale
non si farà mai troppa fatica ad arrivare a sera con un
buon 10-15% di carica ancora a disposizione, ma da
un dispositivo con display AMOLED e sistema operativo che pare cucito su misura ci saremmo aspettati
qualcosa di meglio, anche perché la concorrenza - a
parità, o quasi, di capacità - riesce mediamente a fare
meglio.
Interessantissima è la novità del Dash Charge, nuovo sistema di ricarica introdotto da OnePlus che permette di ricaricare il telefono da zero in poco più di
un’ora e di arrivare al 60% di batteria in mezzora; la
tecnologia, molto banalmente, fa fare il lavoro grosso
all’apposito caricatore (abbastanza corposo, con output di 5V 4A) e garantisce al telefono una intensità
di ricarica costante anche quando questo è utilizzato.
Ciò che ne deriva è una maggiore velocità di ricarica
ed un minor surriscaldamento del comparto batteria,
torna al sommario
comunque abbastanza percepibile in fase di caricamento. Dash Charge funziona esclusivamente con
OnePlus 3 e necessita dell’apposito cavo USB-USB
Type-C offerto in dotazione; OnePlus ha anche realizzato un apposito caricatore per auto il quale funziona
nel medesimo modo. Lo smartphone è comunque
ricaricabile tramite normale cavo USB Type-C (e un
qualsiasi caricatore standard), ma utilizzando tale sistema si rinuncerà alla carica rapida.
Sotto il profilo telefonico OnePlus 3 non nasconde alcuna lacuna; prende bene ovunque e permette chiamate di qualità, il WiFi “ac” è stabile e parco
nei consumi, il Bluetooth 4.2 affidabile e c’è pure la
connessione NFC, grande assente del precedente
modello. Il telefono è dual SIM con possibile switch
a caldo tra le due linee e si comporta molto bene in
ogni occasione. Poco da dire sull’audio: il DAC a bordo è quello standard dello Snapdragon 820, il quale
garantisce all’altoparlante principale una qualità più
che sufficiente (ma non tanta potenza) e all’uscita da
3.5mm, con cuffie di qualità, una buonissima resa.
Loop VR? Solo pubblicità
Chiudiamo la nostra analisi su OnePlus 3 spendendo
qualche parole su Loop VR, visore 3D che OnePlus
ha deciso di realizzare in tiratura limitata di 30.000
pezzi e che i primi acquirenti dello smartphone hanno
potuto portarsi a casa al solo prezzo delle spese di
spedizione. Si tratta di un dispositivo - realizzato da
AntVR - lontano anni luce dai migliori visori presenti
sul mercato e pare essere più una trovata di marketing che un qualcosa di davvero utile; l’azienda probabilmente voleva innalzare l’attesa nei giorni immediatamente precedenti al lancio di OnePlus 3 e l’idea
di poter seguire la presentazione dello smartphone
in diretta tramite il visore - nonostante non sia filato
proprio tutto liscio - a qualcuno è piaciuta.
Il dispositivo è interamente realizzato in plastica e
permette il suo utilizzo con un qualsiasi smartphone
equipaggiato con display dai 5 ai 6 pollici di diagonale; ci sono degli inserti in spugna - incollata male - che
rendono leggermente più confortevole l’utilizzo ma
manca qualsiasi tipo di supporto per il naso, cosicché
il visore finisce per pesare in maniera importantissi-
ma su questa porzione del volto. Le lenti sembrano di
discreta qualità, ma non ci hanno impressionato più
di tanto.
Manca un controller che permetta di muoversi tra i
vari scenari, così come è assente il QR code per poter
abbinare il visore all’applicazione Cardboard di Google; si può rimediare facilmente cercando possibili
workarounds sul web, ma tutto ciò finisce per risultare
piuttosto frustrante e spinge l’utente a riporre presto il
visore nel suo box, in attesa - chissà - di giorni migliori. In OnePlus, probabilmente, potevano risparmiarsi
questa trovata.
Disegnata
per ascoltare
I nuovi diffusori CM10 S2 sono indubbiamente belli,
grazie alle loro linee pulite ed alle finiture di qualità
superiore. Ma come per tutte le realizzazioni Bowers
& Wilkins la forma deve seguire la funzione, grazie
alla doppia cupola dell’unità alti ed alla tecnologia
tweeter-on-top non crederete quanto bene la
musica può suonare.
www.audiogamma.it
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST Huawei di adegua al trend del momento e lancia in Italia anche la versione Plus del suo smartphone top di gamma 2016
P9 Plus: più grande e con qualche arma in più
Stesso design del P9 ma più grande e specifiche pressoché identiche, il tutto a 150 euro in più. Scopriamo se ne vale la pena
di Vittorio Romano BARASSI
he Huawei si sia messa in testa di fare le cose
per bene è chiaro già da un bel po’ di tempo e
il fatto che più si va avanti e più continuano ad
arrivare ottimi prodotti ne è la palese dimostrazione.
P9 è solo l’ultimo dispositivo di una lista di device che
sono cresciuti bene in qualità e quantità e rappresenta la decisa risposta di Huawei a chi pensava che mai
l’azienda cinese sarebbe riuscita ad arrivare ai livelli di
altri produttori. L’importanza “strategica” di P9 è stata
subito evidente e Huawei non ha certo risparmiato in
marketing; l’obiettivo è quello di raggiungere il prima
possibile il primo gradino del podio dei produttori di
smartphone e, continuando così, passare dal secondo posto al primo sarà quasi una formalità. Di P9 noi
di DDay ne abbiamo già parlato abbondantemente e
per questo motivo eviteremo di dilungarci troppo sulle cose ormai note: dopo averne seguito la presentazione, analizzato a fondo le fotocamere ed eseguito
la prova completa del P9, eccoci giunti al momento
di analizzare quanto di buono ha da offrire anche il
P9 Plus.
C
Identità di design e qualità
P9 Plus si fa riconoscere
Sarà per la massiccia campagna pubblicitaria che
Huawei ha realizzato per P9, sarà per la presenza di
due loghi ben visibili sia anteriormente che posteriormente, ma questo P9 Plus non è mai passato inosservato, neppure agli occhi di utenti meno interessati.
La confezione, come da tradizione Huawei, è grande,
ben curata e completa: è organizzata in scomparti
separati poiché ognuno di essi è composto da una
scatola nella quale è racchiuso qualcosa. C’è il caricatore USB rapido, il cavo USB - USB-C, ci sono le cuffie, un rapido manuale d’uso e pure l’indispensabile
“graffetta” per accedere allo slot nanoSIM-microSD. A
sormontare tutto, però, appena aperta la confezione
c’è lo smartphone che stupisce per qualità non appena si decide di impugnarlo; le dimensioni sono generose ma allo stesso tempo relativamente contenute
considerando il segmento (152,3 x 75,3 millimetri), lo
spessore è di pochissimo inferiore ai 7 millimetri (con
nessuna parte sporgente) e il peso di 162 grammi
sembra addirittura inferiore poiché distribuito in ma-
video
lab
Huawei P9 Plus
749,00 €
UNO SMARTPHONE DI RIFERIMENTO
Davvero difficile trovare qualche punto debole per questo Huawei P9 Plus. È uno smartphone completo sotto ogni aspetto, molto bello ed
egregiamente costruito; ha potenza da vendere, tanta RAM, una fotocamera (anzi due!) invidiabile e una buona autonomia. Se siete alla ricerca di un dispositivo Android di primissimo livello, P9 Plus dovrebbe assolutamente essere in cima alla lista delle possibili opzioni d’acquisto;
costa 749 euro di listino, 150 in più del “normale”, ma presto si troverà a cifre più abbordabili e allineate a quelle della concorrenza. Rispetto
al fratellino ha solo uno schermo Super AMOLED più grande di qualità, una porta IR e il Press Touch; ma è l’amalgama che colpisce: P9 Plus ha
una personalità unica e riesce a convincere sempre e comunque. Huawei punta a diventare il produttore di smartphone numero uno al mondo:
con prodotti come questo raggiungerà l’obiettivo molto rapidamente.
8.6
Qualità
9
Longevità
9
Personalità e qualità
COSA CI PIACE Fotografie sempre molto belle
Potenza in abbondanza
Design
9
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
niera perfetta su tutto il corpo del dispositivo.
Tutto sembra essere costruito con la massima attenzione al dettaglio e la sensazione di qualità è immediata; i pulsanti, posizionati sul lato destro, sono solidi
e danno un feedback incredibile (il tasto di sblocco è
zigrinato, contornato da una finitura rossa e inserito
in una depressione della scocca), ma è tutto il corpo
in alluminio ad appagare. Sul lato sinistro c’è lo slot
per inserire la scheda dell’operatore e l’espansione
di memoria, in basso vi è l’ingresso USB Type-C con-
D-Factor
8
Prezzo
8
Press Touch abbastanza inutile
Sensore di luminosità impreciso
tornato dal jack da 3.5mm (e microfono principale) e
griglia per l’altoparlante. In alto troviamo una porta IR
per il controllo di dispositivi che supportano tale input
(nel P9 normale non c’è) con al fianco un secondo
microfono utilizzato per la limitazione dei rumori di
fondo in chiamata.
Il retro di P9 Plus propone un’evidente fascia nera dedicata all’ormai rinomata doppia fotocamera Leica e
una porzione inferiore metallica nella quale è stato ricavato il sensore di impronte digitali (ottimo, come da
tradizione Huawei), il logo Huawei e una poco invadente banda “antenna” che si perde nei bordi del device (l’antenna è visibile anche in alto, sempre ai lati).
Gli angoli del dispositivo sono tutti arrotondati, smussati e levigati ad hoc, ulteriore elemento che denota
la cura che Huawei ha riservato a questo device.
Non assegnamo a Huawei P9 Plus il massimo dei
voti alla voce qualità essenzialmente per un motivo:
la porzione posteriore della scocca (ovviamente non
rimovibile, quindi non è prevista la batteria sostituibile), soprattutto nella porzione centrale e al di sotto del
sensore di impronte, ci è sembrata un po’ “vuota”. Tra
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MAGAZINE
TEST
Huawei P9 Plus
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l’allumino e le componenti che esso va a ricoprire c’è
quindi un piccolissimo gap, praticamente il medesimo
già evidenziato su Mate S e che ci sarebbe piaciuto
non constatare nuovamente. Segnaliamo inoltre che il
dispositivo si graffia e si sporca abbastanza facilmente, ma questo non possiamo annoverarlo tra i difetti;
l’ergonomia di utilizzo e il grip sono più che buoni ma
attenzione a mettere il device su superfici lisce: scivola facilmente.
Cambia il display ma non la filosofia
AMOLED fa un figurone
La grande differenza tra P9 e P9 Plus è certamente
quella che vuole il Plus equipaggiato con un display
più grande e di concezione completamente diversa.
Si passa dunque da 5,2 a 5,5 pollici e, soprattutto, da
un pannello LCD IPS ad uno Super AMOLED, mantenendo però la risoluzione di 1920x1080 pixel che su
questa misura equivalgono ad avere una densità di
pixel di circa 401ppi.
Come ogni AMOLED che si rispetti ci sono i colori a
farla da padrone: già molto “vivi” in modalità Normale
e quasi fin troppo saturi per chi deciderà di optare (via
Impostazioni) per la modalità Vivida. I neri sono ovviamente assoluti e i bianchi si difendono piuttosto bene;
emergono i classici limiti dei pannelli AMOLED solo
osservando il display da angolature estreme (davvero
estreme), nei quali il pannello tende a restituire tonalità non proprio naturalissime. Nell’utilizzo di tutti i
giorni non ci si accorge neppure di tutto ciò e il Super
AMOLED fa sempre la sua splendida figura.
Il contrasto è ottimo mentre la luminosità massima
non è eccezionale, e ciò diviene evidente soprattutto
all’aperto sotto la forte luce del sole, dove il display
di P9 Plus non sempre riesce a farsi apprezzare con
chiarezza. Pecca di precisione, ancora una volta su un
dispositivo Huawei, il sensore di luminosità ambientale: è lento nell’adattarsi ai cambiamenti di esposizione
e qualche volta non restituisce il livello di luminosità
giusto. Dopo diversi mesi e dispositivi ci saremmo
aspettati hardware (o software) più all’altezza.
A proteggere il prezioso display ci pensa un vetro
Gorilla Glass 4 di Corning, il quale è leggermente curvo ai bordi; la finitura 2.5D è davvero piacevole e ben
si sposa con le altre linee morbide del dispositivo. Sopra lo schermo c’è spazio per la compatta capsula auricolare e, più a sinistra, per la fotocamera frontale da
8 megapixel; tra queste sono ben nascosti il già citato
sensore di luminosità ambientale e quello di prossimità. Presente anche un piccolo LED di notifica RGB.
CPU e RAM al top, Press Touch serve poco
Huawei P9 Plus, come il “fratellino”, è equipaggiato con
un chipset HiSilicon Kirin 955 che garantisce prestazioni assolutamente entusiasmanti; l’accoppiata tra il
processore octa-core e la GPU Mali-T880 è perfetta e
lo smartphone, durante il nostro lungo periodo di prova, non è mai andato in difficoltà. Siamo al cospetto
di un dispositivo davvero equilibrato, molto piacevole
nell’utilizzo quotidiano e sempre reattivo nell’eseguire
ogni tipologia di applicazione; grazie ai 4 GB di memoria RAM (1 in più rispetto a P9) l’utente non si ritroverà
mai in difficoltà nel passare tra un’app e un’altra: apertura e chiusura dei software è sempre molto rapida,
nonostante memorie eMMC non proprio da primo della classe. Con 64 GB di storage probabilmente non si
sentirà neppure il bisogno di munirsi di scheda microSD per l’espansione della memoria ma, volendo, è possibile farlo e rendere “unico” lo spazio di archiviazione
grazie ad Android Marshmallow.
L’interfaccia grafica EMUI 4.1 si conferma una delle migliori presenti sul panorama Android; le impostazioni
continuano ad essere ancora un po’ confuse, ma sono
davvero tante e con un po’ di pazienza (utilizzando magari la funzione ricerca) si può arrivare facilmente alla
configurazione di ogni parametro.
Nei benchmark classici che siamo soliti somministrare
ai dispositivi, Huawei P9 Plus si è dimostrato inferiore
ad altri device equipaggiati con SoC diversi; niente di
preoccupante ovviamente: nell’uso di tutti i giorni certi
punteggi vanno davvero presi con le pinze e questo
Huawei è la tipica dimostrazione di quanto appena
affermato. P9 Plus va fortissimo, sempre, e non c’è situazione che lo possa spaventare. Il gaming non è un
problema: la GPU Mali-T880 garantisce massimi dettagli e framerate costanti. Nessun problema neppure nella riproduzione video: filmati a 1080/60p e 2160/30p
sono riprodotti in maniera fluida anche dall’ottimo
player video della EMUI. Niente da fare invece con i
meno comuni filmati 2160/60p, che vengono riprodotti
ma vanno a scatti. Poco male, comunque.
Segnaliamo, infine, una certa tendenza al surriscaldamento della porzione posteriore del dispositivo già
dopo qualche minuto di utilizzo intenso di applicativi
maggiormente esigenti e con l’applicazione fotocamera attiva. Il calore è percepibile ma quasi mai fastidioso,
senz’altro ai livelli di altri dispositivi appartenenti alla
medesima categoria di mercato.
Chicca di questo P9 Plus è la presenza del tanto pubblicizzato Press Touch già visto (ma non in Italia) sul
Mate S, specifica che permette al display di riconoscere diversi gradi di pressione della superficie e di
reagire di conseguenza. La funzionalità, di per sé interessante, ha però indubbi limiti poiché disponibile solo
per una manciata di applicazioni proprietarie di Huawei
e per l’app galleria: premendo con decisione sull’icona
di un’app “compatibile” si aprirà un menù contestuale
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TEST
Huawei P9 Plus
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dal quale sarà possibile effettuare qualche tipologia di
operazione rapida, mentre continuando a premere a
fondo si accederà alla funzionalità considerata come
preferita. Sulle foto della galleria Huawei (le app di terze parti non permettono di fare nulla) è possibile effettuare uno zoom sugli scatti, il quale si manifesta con
una vera e propria lente di ingrandimento che applica
uno zoom proporzionale al grado di pressione. Dalle
impostazioni è anche possibile configurare delle vere
e proprie scorciatoie sugli angoli superiori del display:
premendo con forza in alto a destra o a sinistra si potrà accedere a due app tra tutte quelle installate sul
dispositivo.
Al momento, in ambiente Android, non esistono praticamente applicazioni di terze parti in grado di supportare il Press Touch e il futuro non pare poi tanto roseo:
perché uno sviluppatore dovrebbe sprecare del tempo
prezioso a sviluppare qualcosa di compatibile se manca ancora uno standard condiviso? Apple ha il Force
Touch e sempre quello sarà; in ambiente Android
ognuno potrà avere la sua declinazione e sarà davvero
difficile arrivare ad una soluzione condivisa.
Le fotocamere restano un mistero
Ma che foto!

Per quanto concerne la porzione fotografica di Huawei
P9 Plus vi rimandiamo direttamente all’analisi effettuata un paio di mesi fa sul P9 e pure aalla recensione
completa effettuata su quest’ultimo. P9 Plus è equipaggiato con lo stesso identico hardware, proponendo
ben due fotocamere da 12 megapixel (sensore Sony)
con lenti Leica f/2.2 e lunghezza focale di 27mm; una
scatta in maniera tradizionale, l’altra solo in bianco e
nero e, secondo Huawei, le due fotocamere collaborano tra loro al fine di produrre scatti di maggiore qualità.
Gli scatti di cui P9 Plus è capace sono senza dubbio
impressionanti. Messo su treppiede lo smartphone non
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MAGAZINE
vi farà rimpiangere una reflex (sempre con le dovute
“proporzioni” e con tutti i limiti del caso) mentre nell’utilizzo più tradizionale il livello è quello di una buonissima compatta di fascia medio-alta. Se vi piacciono
le belle foto e siete disposti a sedervi davanti ad un
monitor per ritoccare gli scatti, il consiglio è quello di
fotografare in modalità RAW poiché la compressione
JPEG tende a togliere molto dettaglio a delle foto che
altrimenti sarebbero sempre ben definite. Di sera, o
nelle condizioni di poca luminosità, Huawei P9 Plus ha
sempre una certa tendenza a scattare ad ISO piuttosto elevati (per evitare il mosso) ma stando attenti e
giocando un po’ con le varie impostazioni è possibile
ottenere risultati superiori alla media. Il bilanciamento
dei bianchi è sempre preciso, la messa a fuoco rapida
(ma non fulminea) e pure il doppio flash LED (dual tone)
si difende alla grande. Se volete uno smartphone in
grado di fare belle foto e siete disposti a dedicarvi alla
post-produzione degli scatti, questo Huawei P9 Plus
(ma anche il P9) è il dispositivo che fa per voi. Volendo
cercare un limite, si potrebbe dire che le lenti Leica di
P9 sono eccellenti ma l’apertura massima non è così
ampia come quella di altri obiettivi presenti su altri concorrenti e questo, soprattutto con poca luce e unito alla
mancanza di stabilizzazione ottica, talvolta si fa sentire.
Si tratta comunque di considerazioni da prendere con
le dovute precauzioni: ormai gli smartphone di fascia
alta riescono a catturare fotografie eccellenti e non è
mai semplice dire quale dispositivo sia davvero meglio
di un altro. Sul fronte video P9 Plus si difende abbastanza bene; è in grado di registrare filmati a 1080/60p e la
qualità è più che buona per uno smartphone, seppur
meno sconvolgente se paragonata alla porzione prettamente fotografica. Buoni gli scatti della fotocamera
frontale da 8 megapixel con lenti f/1.9; immancabile la
tanto apprezzata, soprattutto dal pubblico femminile,
modalità “bellezza”.
Un ottimo telefono
Con una buona autonomia
Come vuole la tradizione, anche nel comparto telefonico vero e proprio Huawei si conferma al top della cate-
goria: P9 Plus ha un’ottima ricezione e la qualità delle
chiamate è altissima, merito anche del più volte lodato
sistema di cancellazione dei rumori ambientali. L’audio
in cuffia auricolare non spicca per potenza ma non si fa
mai fatica a percepire quello che viene detto dall’altra
parte della cornetta; buono il suono che proviene dall’uscita 3.5mm (nella media) e più che sufficiente è l’audio riprodotto dall’altoparlante principale posizionato
nella porzione bassa (a destra) del dispositivo.
Segnaliamo una curiosità: nella riproduzione multimediale l’altoparlante è coadiuvato anche dalla cuffia auricolare, la quale fa quel che può per rendere “stereo” il
sonoro; passando dalla modalità verticale a quella landscape, per esempio quando si guarda un filmato su
YouTube, l’audio si modifica di conseguenza, risultando
più equilibrato e giusto alla nuova modalità di visione.
Concludiamo l’analisi su Huawei P9 Plus, che sul fronte
connettività non manca di nulla, parlando di autonomia.
La batteria da 3.400 mAh non rimovibile è leggermente più grande rispetto a quella da 3000mAh montata
su P9 e questo fattore, legato probabilmente al minor
consumo del pannello AMOLED, permette al dispositivo di arrivare quasi sempre tranquillamente a sera con
un buon 30% di carica residua. Esagerando con giochi
3D e, soprattutto, fotocamera si rischia di avere una coperta più corta ma nell’utilizzo standard quotidiano non
ci siamo mai ritrovati a ricaricare lo smartphone prima
del tempo. Con utilizzo classico “d’ufficio”, fatto di chiamate, messaggi, mail e un po’ di social, l’utente può
stare decisamente tranquillo.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST Tra i tanti moduli opzionali per lo smartphone top di gamma di LG c’è questo accessorio per migliorare la resa sonora
Modulo audio LG Hi-Fi Plus, vale davvero la spesa?
Costa 150 euro ma è una bella comodità per chi non si accontenta dello streaming o dei soliti MP3. Lo abbiamo provato
di Roberto FAGGIANO
opo la sorpresa delle prestazioni sonore dello
smartphone V10 di LG eccoci a un test dedicato
al solo modulo audio dell’ultimo smartphone di
LG, il G5, già testato da DDay per quanto riguarda la
sua configurazione base. Il modulo costa 150 euro ed
è realizzato in collaborazione con B&O Play, il marchio
“economico” di Bang & Olufsen anche se in dettaglio
non sono stati resi noti i contenuti della collaborazione.
D
video
Non solo partner del G5
Il modulo arriva completo di un guscio separabile in
due parti perché può essere usato anche in modo
indipendente, per esempio collegato a un notebook
previa installazione dell’apposito software, oppure a
un altro smartphone o tablet Android compatibile con
la funzione OTG; aprendo il guscio invece si rendono
visibili i contatti che permettono di inserirlo sul fondo
del G5 sostituendosi alla parte originale. L’inserimento
del modulo non modifica le dimensioni del telefono ma
si ottiene una nuova presa cuffia, che sarà quella da
usare al posto di quella standard che è invece sul lato
superiore, per poter sfruttare le prestazioni superiori del
modulo separato. In dotazione al modulo troviamo un
cavetto adattatore USB C - USB B, ma solo in modalità
micro, e una piccola custodia per il trasporto. l modulo
Hi-Fi Plus contiene un convertitore D/A ESS Sabre a 32
bit ES9028 in grado di riprodurre praticamente qualsiasi formato musicale con frequenza fino a 384 kHz,
compresi i rari DSD, e un amplificatore per cuffia 9602
sempre Sabre, quest’ultimo uguale a quello già utilizzato nel V10 mentre il DAC in quel caso è il 9018. Per
caricare la musica sul telefono è consigliabile usare una
card micro SD da inserire nell’apposito vano, in modo
da non sfruttare la pur ampia memoria del telefono. La
fase di montaggio del modulo è piuttosto semplice ma
va effettuata a telefono spento perchè lo smontaggio
e il rimontaggio coinvolgono la batteria del telefono,
come detto alla fine il G5 sarà esteticamente identico
al modello di partenza, riconoscibile solo dal logo B&O
del modulo, con qualche millimetro in più di altezza.
Ancora un successo per LG

Per l’ascolto purtroppo non avevamo più a disposizione la cuffia Technics usata per il V10 ma ci siamo
limitati a una pur sempre valida AKG Y50. Per la prova
abbiamo usato brani Flac e DSD perché per ascoltare
torna al sommario
lab
musica da Spotify e iTunes basta la configurazione
originale del G5, che riteniamo già più che dignitosa.
La prima differenza con il V10 è il maggiore volume
o per meglio dire la maggiore pressione sonora raggiungibile: mentre con il V10 bisognava quasi portare il volume al massimo per un buon ascolto, con il
modulo del G5 basta portarsi poco oltre la metà del
livello per ottenere già ottimi risultati.
Un valore che rimane valido anche tenendo conto
delle diversa sensibilità delle due cuffie utilizzate. Piccolo inconveniente è il notevole calore sviluppato dal
modulo dopo circa un’ora di ascolto, cosa che lascia
presagire anche un maggiore consumo di batteria,
senza comunque raggiungere livelli preoccupanti. Ed
eccoci all’ascolto che rimane molto piacevole come
con il V10, fornendo prestazioni sconosciute ad altri
telefoni e degne di un ascolto molto attento tramite
cuffie o auricolari di alto livello. Rispetto al V10 non
ci è parso di cogliere particolari differenze, entrambi
suonano in modo eccellente per la categoria e anche
in assoluto; dovendo scavare nei dettagli forse il V10
offre un pizzico di precisione in più, ma non avendo
potuto usare la stessa cuffia, si tratta di opinioni personali e non di certezze. Quel che è sicuro è che LG
ha realizzato un altro ottimo strumento per la riproduzione musicale in mobilità, speriamo se ne siano
accorti dato che nelle comunicazioni pubblicitarie ci
sono sempre in primo piano altre funzioni – dal nostro punto di vista – assai meno utili ed esclusive.
E intanto il V10 costa sempre meno
Agli interessati non possiamo che consigliare caldamente il modulo Hi-Fi del G5, ma al tempo stesso
dobbiamo ricordare che il V10 ha praticamente le
stesse prestazioni audio senza bisogno di aggiungere moduli e soprattutto con un prezzo che online è
già precipitato sotto i 400 euro. Considerato che è
anche un ottimo smartphone non ce lo lasceremmo
scappare prima che finisca in pensione dopo ben 6
mesi di vita. Per quanto riguarda il solo modulo slegato dal suo smartphone, le caratteristiche sono sempre molto interessanti ma bisogna rilevare il prezzo
non trascurabile.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST Dieci giorni in compagnia del set top box di casa NVIDIA basato su Android TV. Per 199 €, è da tenere in seria considerazione
NVIDIA Shield: metà console, metà media center
Ci siamo soffermati sull’esperienza d’uso sia come centro multimediale, sia come console da gioco, con piacevoli sorprese
di Emanuele VILLA
ia per curiosità che per testarne le prestazioni, abbiamo trascorso 10 giorni in compagnia
di NVIDIA Shield. Chi non lo conoscesse può
leggere la nostra news di presentazione, qui ci
soffermiamo sull’esperienza d’uso sia come centro
multimediale della casa, sia come console da gioco. Sì, perchè il vantaggio di Shield è proprio poter
mescolare due anime parallele: quella multimediale,
sintetizzata da Android TV e dalle svariate applicazioni disponibili, e quella dedicata al gaming, che punta sulla dotazione hardware di alto profilo (alla base
di tutto c’è un Tegra X1), sul marchio NVIDIA e sulla
possibilità di installare diversi controller con o senza
filo, per sessioni videoludiche che non hanno nulla
da invidiare – quanto meno nel setup – alle console
tradizionali.
S
Installiamo e godiamoci subito
un bel Netflix
Punti a favore del set top box NVIDIA sono senza
dubbio l’estetica e la versatilità: disposta sull’apposita base, Shield fa la sua bella figura e per farla partire
è sufficiente collegarla via HDMI 2.0 al TV toccare il
tasto a sfioramento sul frontale, nulla di più. Il dispositivo effettua il classico aggiornamento e richiede l’accesso a un account Google, dopo di che è disponibile
all’uso tramite l’interfaccia di Android TV, molto pulita
ed elegante. Come set top box si utilizza il suo telecomando, sottile ed elegante con tanto di supporto
per i controlli vocali, mentre per giocare si possono
installare uno o più controller wireless o a cavo, la cui
instllazione è sempre stata rapida e indolore.
La versatilità come set top box è notevole e diventerà
ancor più marcata quando verrà rilasciato l’aggiornamento di sistema 3.2, che tra porterà il supporto per
l’audio in Dolby Atmos, l’HDR nei video e l’applicazione Plex server. In pratica, a breve sarà possibile utilizzare lo storage della versione PRO di Shield (500 GB)
oppure lo spazio di una periferica esterna (USB) come
server di contenuti da distribuire ai dispositivi esterni
come smartphone o tablet. Al momento, la versione
3.1 del software Shield comprende la versione client
video
lab
NVIDIA Shield
199,00 €
MEDIA CENTER E CONSOLE TUTTO IN UNO
Va dato atto a NVIDIA di aver creato un prodotto molto interessante: la versatilità di Android TV lo rende perfetto per “resuscitare” TV non
abilitati alla connettività web e per godere dei servizi di streaming audio e video di riferimento. Pur non potendosi paragonare a una console
di ultima generazione, Shield è anche una macchina da gioco capace di dare soddisfazioni grazie alla dotazione hardware di buon profilo e al
sistema di cloud gaming integrato che - connessione permettendo - la trasforma in un PC di ultima generazione. Per i 199 euro di listino è un
prodotto da tenere in seria considerazione.
8.3
Qualità
COSA CI PIACE
8
Longevità
7
Design eccellente
Dotazione di app
Ottima per giocare
Design
9
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
di Plex e permette al dispositivo di riprodurre sul TV
collegato i contenuti di un server presente altrove.
L’inclusione di Plex server, unito soprattutto al supporto HDR, renderà Shield un set top box allo stato
dell’arte, ma non che ora sia da meno: Shield è compatibile con gli stream 4K HEVC e VP9 fino a 60 fps
e dispone di HDMI 2 con HDCP 2.2, tante belle sigle
che di fatto significano un pieno supporto per il video
in 4K, mentre per quanto concerne l’audio il dispositivo supporta il 5.1 e 7.1 passante via HDMI. A questo
punto l’unica cosa da fare è godersi un film Ultra HD
da Netflix o da YouTube, giusto per rimanere tra le
app preinstallate, oppure una bella playlist musicale
da VEVO o un nuovo album da Spotify, il cui supporto
tra l’altro è recentissimo e la grafica per Android TV
davvero piacevole. A livello di app, Shield vive logicamente sulla suite Google (Play Film, Play Musica,
Photos & Videos, Play Giochi...) ma la dotazione può
essere estesa con molte app di terze parti presenti nel Play Store e dedicate alla riproduzione su TV.
Inoltre, Shield è pienamente compatibile con Google
Cast, in pratica ha un Chromecast integrato, il che
rende immediata sia la condivisione/mirroring di contenuti di dispositivi mobile, sia lo streaming usando il
D-Factor
9
Prezzo
9
Qualche app ancora da ottimizzare
Controlli vocali di Android migliorabili
dispositivo mobile come semplice controller.
L’utilizzo come set top box si è rivelato piacevole: l’interfaccia è sempre molto reattiva e la riproduzione
di contenuti non subisce alcun tipo di rallentamento
anche di fronte a un uso molto caotico, con ripetuti
richiami del menu principale, modifica di opzioni “al
volo” e via dicendo. Com’è ovvio che sia, alcune app
sono migliori di altre e qualcosa va ancora ottimizzato
(per esempio, al momento in cui si scrive l’app VEVO
va in crash con frequenza preoccupante), ma resta il
fatto che la base è solida e di qualità, con contenuti di
ogni genere e natura. Unico appunto riguarda il riconoscimento vocale di Android TV: perfetto per comprendere il parlato, ancora molto limitato nel gestire
ordini più complessi di qualche ricerca. Sotto questo
profilo, l’arrivo di Google Assistant (chissà quando lo
vedremo in italia) sarà un passo avanti enorme.
Scopriamo l’anima “gaming” di Shield
Come anticipato, ciò che distingue questo set top box
è la propensione per il gioco, per il quale si avvale di
componentistica interna NVIDIA (in primis del Tegra
X1) e può ospitare diversi controller wireless per par-
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segue a pagina 36 
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n.136 / 16
27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
MOBILE Da Western Digital arrivano i nuovi WD Pro, hard disk portatili pensati espressamente per i professionisti della fotografia
WD My Passport Wireless Pro, una manna per i fotografi
Dotati di Wi-Fi direct per scaricare le foto, porta per schede SD e una batteria per alimentare l’hard disk o uno smartphone
W
di Franco AQUINI
estern Digital presenta una
nuova famiglia di Hard Disk
pensata per i professionisti
della fotografia. Sono i WD Pro e hanno tante caratteristiche innovative da
rappresentare un’evoluzione naturale
dei dischi portatili.
My Passport Wireless Pro è un hard
disk portatile da 2 o 3 TB di storage
dotato di Wi-Fi direct, tramite il quale
scaricare le fotografie appena scattate, senza necessità di utilizzare un
notebook. E se non dovesse esserci il
Wi-Fi, allora c’è di serie un lettore per
schede SD. Il My Passport Wireless Pro
è dotato inoltre di una batteria che garantisce fino a 10 ore di autonomia e
in alternativa può anche essere utilizzato come power bank per ricaricare
lo smartphone. Fin qui si è parlato di
funzionalità hardware, ma non sono da
meno quelle software. I nuovi hard disk
della famiglia WD Pro sono integrabili
con Adobe Creative Cloud, per l’editing del materiale anche in mobilità.
Ma la chicca è la possibilità di installarci Plex Media Server, col quale è possibile riprodurre sui dispositivi compatibili (TV, media player, ecc. purchè
dotati dell’apposito client) i contenuti
fotografici e video memorizzati sull’hard disk.
Un dispositivo completo dunque,
che segna probabilmente l’inizio di
una nuova era per gli hard disk portatili, anche se il prezzo, comprensibilmente, non è proprio popolare.
My Passport Wireless Pro è disponibile
da subito sullo store online di Western
Digital o nei distributori come Amazon.
TEST
A tu per tu con NVIDIA Shield
segue Da pagina 35 

tite multigiocatore. Ovviamente la console supporta
Wi-Fi n e connessione di rete Ethernet, e mai come nel
gaming la presenza di una rete domestica reattiva, veloce e stabile è determinante: mentre la visione di un film
torna al sommario
I prezzi vanno da 269,99€ per la versione da 2TB, ai 299,99€ per la versione da 3TB.
Della nuova famiglia WD Pro fa parte
anche My Cloud Pro Series NAS, adatto
per l’editing in studio. Si tratta di un NAS
che può arrivare fino a 32TB di storage
può fare uso di una buona dose di buffer, qui la latenza
e la stabilità sono ciò che separa il gamer da una brillante vittoria (o cocente sconfitta).
Le sorgenti di gioco sono diverse, ma il concetto è che
Shield vuole offrire una potenza prestazionale tale da
non far rimpiangere le console dedicate. Intendiamoci,
nulla che possa far pensare a una Xbox One o una PS4,
ma il confronto con la generazione precedente potrebbe addirittura essere a favore di Shield, che ricordiamolo non è una console ad hoc e costa 199 euro. Con
Shield si possono senz’altro riprodurre i giochi casual
del Play Store, ma se si vuole passare a qualcosa di più
serio, ci sono le opzioni Shield Games e Ge Force Now.
Il primo consiste in uno store di giochi ottimizzati per il
set top box NVIDIA: molti titoli sono gratuiti e di buona
qualità, come Real Racing 3 per esempio, altri vanno
acquistati singolarmente come Resident Evil 5, Metal
Gear Rising e Grand Theft Auto: Liberty City Stories, ma
in ogni caso l’esperienza di gioco è stata appagante e
ben lontana dai canoni di casual gaming che siamo soliti associare a un set top box senza funzioni esclusive
da gioco. In realtà, però, ci siamo soffermati maggiormente sull’altra modalità di gioco disponibile, ovvero
GeForce Now, la piattaforma di cloud gaming di casa
NVIDIA disponibile agli utenti Shield previa sottoscrizione di un abbonamento mensile da 9.99 euro con
tre mesi di prova gratuita: questi sono particolarmente
importanti non solo per testare la qualità del servizio e
la bontà dei giochi, ma soprattutto per verificare la “tenuta” della propria rete e la latenza. Ovviamente si può
annullare la sottoscrizione del servizio in ogni momento. Fermo restando che la prova è avvenuta con una
rete Fastweb in fibra 100 aziendale (quindi in situazioni
difficilmente replicabili), non si può che parlare bene
della piattaforma, molto ricca in qualità e quantità.
e che permette di scaricare le fotografie
dalla fotocamera o dalle schede di memoria con la sola pressione di un tasto.
Permette lo streaming dei contenuti video fino a 4K e include, come il fratello portatile, l’integrazione con Adobe
Creative Cloud e Plex Media Server.
Non tutti i giochi fanno parte dell’abbonamento mensile, alcuni vanno acquistati singolarmente (come The
Witcher 3, proposto a 49,99 euro), ma la piattaforma
a forfait comprende titoli quali Tomb Raider, Batman:
Arkham City, Borderlands, Batman: Arkham Origins e
molto altro. Insomma, c’è di che divertirsi: usando una
rete ad alte prestazioni e una connessione Ethernet,
non c’è quasi possibilità di notare latenza o micro interruzioni; sembra il classico gioco residente su PC, e anche la grafica dei giochi 1080/60fps è davvero di alto
profilo (abbiamo provato tutti i giochi di cui sopra) e con
l’ulteriore vantaggio di non dover scaricare enormi patch alla prima installazione. Certo, c’è da dire che con le
nostre connessioni “traballanti” GeForce Now non sarà
un’esperienza accessibile a tutti, ma chi può permetterselo fa bene a considerarlo, perchè a livello di rapporto
qualità/prezzo è davvero in cima alla lista.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST TELE system ha lanciato sul mercato il primo decoder tv combinato per segnali da DTT e sat, in vendita al prezzo di 269 euro
TELE System Ts Ultra 4K, decoder per i primi TV 4K
Gestisce il 4K su Tivùsat e da Mediaset Premium. Mostra qualche guaio di gioventù, ma gli aggiornamenti sono già in arrivo
C
di Roberto FAGGIANO
i sono appassionati di tecnologia che sono corsi
a comprare il loro televisore ultimo modello con
definizione Ultra HD nell’ormai lontano 2014 e
ora si ritrovano con un apparecchio dalle ottime prestazioni ma che purtroppo non è compatibile con le attuali
trasmissioni televisive in 4K. Per loro nasce il ricevitore
TELE System TS Ultra 4K (269 euro), in grado di ricevere segnali tv terrestri e via satellite, già in regola con gli
obblighi di legge per la ricezione del digitale terrestre
DVB-T2 con HEVC e già pronto per il canale Rai 4K
trasmesso sulla piattaforma satellitare di TivùSat.
Inoltre è già abilitato alla ricezione del canale 4K di Mediaset Premium perché sul retro si possono inserire due
Smart Cam per altrettanti servizi codificati. Purtroppo le
cam non sono in dotazione e non troviamo nemmeno la
tessera TivùSat HD, perché al momento questo ricevitore non è certificato TivùSat. Nella dotazione c’è invece
un buon cavo HDMI per poter usare subito il ricevitore.
Ma il TS Ultra non si ferma qui, perché grazie all’ingresso
USB 3.0 può anche svolgere le funzioni di media player
per contenuti audio e video. Questa funzione è però limitata: non c’è un player di rete DLNA e i file vanno messi su chiavetta USB 3.0 veloce, e in questo caso legge
ogni tipo di file AVI e MKV (inclusi quelli HEVC a 10 bit), le
immagini JPEG e la musica MP3; per la connessione di
rete è previsto solo l’ascolto di web radio già memorizzate e disponibili in un elenco dal menù. La presa USB
è compatibile con dispositivi di memoria formattati in
FAT32 oppure NTFS. Il costruttore ha anche annunciato
le funzioni di registrazione e time shift, che però saranno
disponibili più avanti.
Completa la dotazione di prese un’uscita digitale ottica
per il collegamento a un sistema home theater oppure a una soundbar. Sul pannello frontale è disponibile
un’altra presa USB, ma di tipo 2.0, sempre per funzioni
multimediali o aggiornamento software.
Il telecomando in dotazione
Troppi tasti e troppo piccoli

Il comando a distanza del ricevitore TELE System è di
origine orientale e molto economico, i tasti sono moltissimi e sono
in gran parte molto piccoli, difficile
da utilizzare se avete mani poco
meno che affusolate. Inoltre alcuni
tasti tendono addirittura a restare
incastrati nella griglia dopo essere
stati premuti e bisogna farli riemergere con le unghie o uno strumento
appuntito. Le zone funzionali sono
divise abbastanza bene e si può
anche comandare un televisore tramite codici precaricati. Assai poco
“logica” la logica dei menù e prima
di fare la mano ci vuole un utilizzo
di qualche giorno. Per altre operazioni, come l’impostazione dei pre-
torna al sommario
video
feriti, bisogna andare a intuito seguendo le indicazioni
su schermo perché ignorate dal manuale di istruzioni.
Discutibile e fastidiosa la spia rossa che si accende
ogni volta che si preme un tasto.
Inizia l’avventura
Colleghiamo le due antenne terrestre e satellitare,
inseriamo la cam di TivùSat in versione HD, usiamo il
pregevole cavo HDMI per collegarci a un TV e inseriamo l’alimentazione tramite adattatore a spina esterno.
Sul ricevitore non c’è il display ma solo una spia di funzionamento ma comunque basta seguire le schermate.
Inizia la sintonia automatica con il satellite, nel nostro
caso il menù è già pronto su Hot Bird con parabola unica ma per impianti più complicati come Unicable, bisognerà impostare i vari parametri. La sintonia è piuttosto
lenta ma con tempi nella media e poi si passa subito
al digitale terrestre, qui le cose vanno veramente per
le lunghe perché il ricevitore analizza due volte ogni
frequenza, in modalità DVB-T e DVB-T2, comprese le
frequenze dove da molto tempo non ci sono più emittenti come i canali che vanno dal 61 al 69. La sensibilità
sul digitale terrestre non è delle migliori e alcuni canali
“difficili” non vengono riconosciuti e memorizzati, un
fattore da valutare se il vostro impianto d’antenna non
è dei migliori. Una volta terminate le operazioni possiamo accedere alle liste canali per scegliere i preferiti ma
notiamo che la numerazione sat è già quella di TivùSat
e quindi in pratica non serve fare altro. Sul digitale terrestre lo zapping è lento ma in maniera ragionevole,
come accade su tanti televisori, interessante il banner
di ogni canale dove appaiono anche i valori di intensità e qualità del segnale. Con i canali via satellite le
cose non vanno altrettanto bene e subito iniziano i
problemi con i canali codificati di TivùSat: per lunghi
istanti appare la scritta canale codificato, poi a volte
le cose si aggiustano, a volte invece si sente l’audio
ma non si vedono immagini oppure viceversa mentre
rimane la scritta canale codificato. Lo zapping quindi è
praticamente impossibile, specie quando si passa da
un emittente Rai a una Mediaset o La7; il brutto è che
l’inconveniente si presenta non solo alla prima visione
dei canali codificati dopo l’installazione, ma anche ad
ogni nuova accensione. Sul canale Rai 4K c’è la variante di blocchi colorati che si alternano sullo schermo, ma
per fortuna dopo qualche minuto l’immagine si stabilizza. TELE System deve avere già presente il problema
perché ha già annunciato aggiornamenti firmware, non
ancora disponibili durante il nostro test.
Male la prima
lab
Il ricevitore di TELE System ha il privilegio di essere
il primo in assoluto sul mercato con queste caratteristiche, ma ne paga anche il prezzo: forse si è andati
troppo in fretta per non perdere l’appuntamento con le
trasmissioni 4K degli Europei. Rimane il fatto che l’utilizzo del TS Ultra 4K non è piacevole ma continua fonte di
inconvenienti pratici. Se poi consideriamo il prezzo di
listino e la necessità di aggiungere la smarcam per Tivù
Sat (fatte salve promozioni in bundle nei punti vendita)
è davvero difficile per il momento consigliarne l’acquisto. Forse è meglio aspettare qualche mese in modo
che il costruttore sistemi le cose, fermo restando che
il telecomando in dotazione è inadeguato al prezzo richiesto per il ricevitore.
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27 GIUGNO 2016
MAGAZINE
TEST Nel panorama di videocamere connesse, Sitecom propone un dispositivo facile da configurare, controllabile via smartphone
La videocamera smart Sitecom ruota di 300 gradi
Ha due caratteristiche uniche: la rotazione a 300 gradi, controllabile da remoto, e la registrazione gratuita su Google Drive
di Franco AQUINI
ggi è possibile realizzare un buon impianto di
videosorveglianza con dispositivi semplici da
configurare e poco dispendiosi. Niente più mal di
testa da router, indirizzi IP o complicate configurazione
di rete; con un’app si mette in piedi un sistema di video
sorveglianza in una manciata di minuti. Sitecom prova a
differenziarsi dalla concorrenza con caratteristiche che
la rendono unica: la rotazione a 300 gradi motorizzata
e la registrazione gratuita su Google Drive, che non richiede dispendiosi abbonamenti mensili.
O
video
L’installazione è facile
quando tutto va per il verso giusto
Sitecom Home Cam Twist è un dispositivo domestico,
fatto per offrire un buon sistema di monitoraggio della
casa anche a chi non è pratico di configurazione di rete.
Stiano tranquilli quindi tutti coloro che confondono un
router con un’astronave giocattolo, Home Cam Twist si
configura in pochi minuti tramite l’app disponibile per
iOS e Android. Sull’installazione si può muovere soltanto un appunto: la procedura non è il massimo dell’intuitività e se si salta il passaggio iniziale della configurazione
della propria rete Wi-Fi, si può rischiare di entrare in un
loop dal quale si esce con difficoltà. Niente comunque
che non si possa risolvere staccando la videocamera
della corrente e ricominciando dall’inizio. Non ci saremmo soffermati a descrivere attentamente questo punto
se non fosse per il confronto, impossibile non farlo, con
i due prodotti analoghi di Netgear, Arlo e Arlo Q, che abbiamo avuto modo di provare a fondo qualche mese
fa. In quel caso avevamo apprezzato l’installazione, talmente semplice da essere un modello. In questo caso
invece, pur essendo su buoni livelli, qualche passaggio
rischia di diventare ostico. Bisogna però anche dire che
l’assistenza telefonica italiana (a pagamento) ha risposto immediatamente e ha risolto il problema in circa un
minuto, cosa assai poco comune.
L’occhio rotante che controlli con l’app

Home Cam Twist è una videocamera spiccatamente
indoor, fatta per stare su una superficie piana come un
mobile o un tavolo. Ha l’alimentatore micro usb con un
comodo cavo da 3 metri per poterla posizionare in posti alti come una libreria, ma non può essere appesa al
soffitto. Ha però una caratteristica che la rende unica: la
torna al sommario
lab
rotazione controllabile da remoto. Una volta registrata e
configurata la telecamera, attraverso l’app, è possibile
ruotare l’obiettivo motorizzato semplicemente agendo
sulle frecce poste ai lati del video. L’obiettivo ruoterà
a piccoli step di qualche grado, permettendo di avere
uno sguardo pressoché totale sull’ambiente dove è posizionata. Il meccanismo non è molto rumoroso, ma è
difficile che il soggetto spiato (tipicamente animali domestici) non se ne accorga. E allora la Home Cam Twist
potrebbe diventare il miglior giocattolo tecnologico per
gatti... e di conseguenza finire di vivere in un attimo. La
qualità del video soddisfa le esigenze. Si tratta di un
sensore CMOS da 1MP in grado di registrare video a
720p anche in condizioni di buio totale, grazie al LED
a infrarossi che offre una visione sostanzialmente chiara fino circa a 5 metri di portata. La qualità del video
è comunque impostabile secondo tre livelli qualitativi,
ma già con la qualità media si ottengono immagini di
discreta qualità che occupano poca memoria. Oltre al
video c’è l’audio bidirezionale. Non è possibile soltanto
ascoltare quello che succede nell’ambiente dov’è installata la videocamera, ma si può anche parlare tramite
lo smartphone. Basta schiacciare il tasto “parla” e l’audio viene riprodotto direttamente dalla videocamera. È
un audio certamente un po’ gracchiante, ma comunque
comprensibile.
Registra su Google Drive
Addio agli abbonamenti mensili
Infine, menzione particolare per quanto concerne la registrazione cloud dei clip. Il punto dolente di gran parte
della concorrenza sono i piani abbonamento. Intendiamoci: quasi tutte le videocamere domestiche, Home
Cam Twist compresa, prevedono la registrazione su un
memoria microSD locale, ma la funzionalità interessante di questi dispositivi connessi è proprio la possibilità di
registrare in remoto via Wi-Fi e consultare le immagini
registrare dall’app. Sitecom ha deciso di non creare un
proprio spazio nel cloud come la concorrente Netgear,
ma si è affidata all’ottimo servizio di cloud storage di
Google Drive. In questo modo ci si collega al proprio
account Google e si possono sfruttare i 15 GB, offerti
gratuitamente da Google, per registrare immagini e video. La disponibilità del video, rispetto alla notifica dell’evento, è quasi immediata. Basterà attendere qualche
minuto e comparirà una cartella con il video registrato
in formato mpeg4 con codifica H.264. Per capire, una
clip di 15 secondi in qualità media pesa circa 1 MB. Facile quindi intuire che i 15 GB gratuiti offerti da Google,
possono essere più che sufficienti per qualsiasi tipo di
utilizzo: nel caso non bastino, è sempre possibile accedere a un piano a pagamento.