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n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 Vittorio Merloni e la necessità di una nuova imprenditoria Nei giorni scorsi si è spento Vittorio Merloni, il grande industriale italiano che aveva portato una piccola azienda di famiglia a diventare un vero colosso, la Ariston, uno dei protagonisti internazionali nel settore degli elettrodomestici. Vittorio Merloni aveva incontrato sulla sua strada una temibile malattia contro la quale non aveva potuto nulla e che negli ultimi anni lo aveva privato della lucidità, costringendolo all’abbandono del timone dell’azienda. Un timone (indegnamente) ereditato dal figlio Andrea, non dimostratosi della stessa stoffa del padre e che un paio di anni fa fu costretto, dal dissesto finanziario, a cedere il gruppo Ariston/ Indesit alla concorrente americana Whirlpool. Una cessione che probabilmente il vecchio Vittorio, se fosse stato presente, non avrebbe mai avallato, consapevole del depauperamento del tessuto industriale italiano che ne sarebbe derivato: la vendita al gruppo americano ha avuto immediate conseguenze, con il licenziamento di circa 2000 operai e la conseguente chiusura di impianti e linee produttive. Vittorio Merloni, che era stato anche presidente di Confindustria, credeva nel ruolo dell’imprenditore e dell’industriale vicino al territorio e, pur avvalendosi dei capitali di borsa, guardava con qualche sospetto al capitalismo anglofono delle public company e alla conduzione delle aziende fatta da manager puri. Certo, Merloni faceva parte di quel gotha industriale italiano che ha attraversato la seconda metà del secolo scorso a braccetto con la politica; e per questo poteva essere criticato, qualche volta a ragione. Ma il rafforzamento dell’azienda, ottenuto anche passando per coraggiose acquisizioni, come quelle di Indesit e Hotpoint, oltre che a rendere più solide le casse di famiglia, aveva ricadute positive sul territorio, sui posti di lavoro, sull’immagine e sulle ambizioni del made in Italy nel mondo degli elettrodomestici e dell’elettronica. Oggi, a forza di non stupirci più di nulla, abbiamo un tessuto industriale italiano slabbrato e con rari e preziosi esempi di eccellenza: ci vengono in mente i Fumagalli della Candy, i Dè Longhi, i Casoli delle Cappe Elica, tanto per fare qualche esempio a cui sarebbe sbagliato non rendere giustizia. Ma di certo siamo di fronte a un panorama incapace di replicare la leadership continentale nel settore dei grandi elettrodomestici dei decenni passati: sentiamo la mancanza certo dei posti di lavoro persi e dei poli industriali desertificati. Ma soprattutto ci mancano sempre più di figure di spicco, capaci di indirizzare il mercato, di traguardare strategie a lungo termine e di incalzare il mondo politico. Insomma, sentiamo la mancanza degli imprenditori veri, quelli con il sacro fuoco dell’eccellenza e del bene dell’azienda. Ma ci basterebbero, in uno scenario sempre più dominato dalle multinazionali, anche manager illuminati, capaci di gestire le filiali italiane come se fossero cosa loro, con un piglio imprenditoriale; manager capaci ma anche messi in condizione dalle Case madri internazionali di gestire le realtà produttive e anche solo commerciali presenti in Italia nel rispetto delle tipicità del nostro Paese. Invece la sensazione è che sempre più a guadagnare le posizioni nelle sale dei bottoni delle filiali italiane siano sempre più gli “yes man” che tanto gratificano i board MAGAZINE L’iPhone 7 potrebbe anche non essere così innovativo 06 Hasselblad lancia la X1D, mirrorless medio formato 12 Enel: entro l’anno 10.000 colonnine in autostrada 17 Ecco Sky NOW TV: nuovi canali, a breve anche HD Tutti i dettagli di NOW TV, la nuova TV in streaming di Sky: ha una nuova interfaccia e pacchetti più ricchi. Da 9,99 euro al mese 04 Energica, le super moto elettriche made in Italy Da 0 a 100 Km all’ora in 3 secondi Benzina e gas di scarico addio: l’elettrico è arrivato nel mondo delle moto sportive 15 IN PROVA IN QUESTO NUMERO 23 26 OnePlus 3, qualità Supersfida cuffie Nel regno del silenzio a prezzo imbattibile internazionali ma che sovente perdono il contatto con il territorio e la necessità di far crescere un mercato sempre più intelligente e sano. Per questo – e non da oggi – ci manca Vittorio Merloni. La sua scomparsa, in questi giorni di Brexit e di (effimera) turbolenza sui mercati, dovrebbe farci pensare quanto la finanza fine a se stessa sia povera di contenuti e schiava degli speculatori; e a quanto si stia facendo troppo poco per creare delle condizioni a livello nazionale e comunitario per favorire che talenti di questo tipo trovino ancora terreno fertile per far nascere, crescere e sviluppare una nuova industria e una nuova imprenditoria italiana. Gianfranco GIARDINA 37 31 Huawei P9 Plus Più grande, più bello 39 TELE System Ultra 4K Sitecom Twist, la Decoder 4K completo home cam che “gira” n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MERCATO Nextplora ha pubblicato uno studio sulla diffusione dei servizi streaming in Italia Streaming in Italia: sul podio Netflix e Spotify Netflix è al primo posto per i film e le serie TV, per la musica gli italiani preferiscono Spotify L’ di Gaetano MERO istituto di ricerca Nextplora ha pubblicato i risultati di uno studio che analizza la conoscenza e l’utilizzo dei servizi streaming in Italia. La ricerca rivela che il 15% degli internauti maggiorenni nell’ultimo anno ha usufruito di contenuti sui siti di streaming a pagamento tra i quali al primo posto risulta Netflix con il 48%, seguito dai concorrenti Infinity (40%) e Sky Online (37%), quest’ultima ribattezzata ora NOW Tv. Tra i siti gratuiti, invece, il più utilizzato è senza dubbio Youtube con il 57% delle preferenze, e sul secondo gradino del podio troviamo l’istituzionale Rai.tv con un 40%. Il 61% di chi ha avuto accesso nell’ultimo anno a siti di streaming, gratuiti o a pagamento, ha dichiarato di aver visto principalmente serie tv e film, mentre il 59% ha ascoltato musica. Esaminando il segmento video, grande successo hanno riscontrato le trasmissioni in differita preferite dall’85% degli utilizzatori rispetto a quelle in diretta seguite dal 47% degli utenti. Il 35% degli intervistati ha affermato di accedere ai servizi streaming tramite siti legali mentre il 78% di utenti Con un investimento di circa 750 milioni di euro, l’azienda coreana ha iniziato a convertire le vecchie linee di produzione dei TV LCD per i pannelli organici di nuova generazione di Alvise SALICE si è rivolto a siti pirata per guardare film o serie TV. Il campione consultato ha dichiarato tra le principali ragioni alla base del ricorso ai servizi di streaming: la convenienza (39%), la possibilità di accedere ovunque ed in qualsiasi momento ai contenuti di proprio interesse (37%) e la comodità del servizio (35%). La spesa mensile per il 45% degli utenti dei servizi streaming video non ha superato la soglia dei 10 euro. Il dispositivo preferito in questa categoria rimane il computer per l’82% dei fruitori, il 30% utilizza anche il tablet, mentre solo il 23% ricorre alla smart TV. Nel settore streaming musicale al primo posto tra i servizi più utilizzati c’è Spotify con il 55%, seguito da Google Play Music con il 32% ed iTunes Radio che si assesta al terzo posto con un 26%. il 54% degli utenti si rivolge a siti gratuiti, mentre tra coloro che accedono a siti a pagamento, il 24% ha una spesa mensile che non supera i 10 euro. Cambiano però i dispositivi utilizzati per ascoltare musica, il preferito è lo smartphone (64%) molto più comodo e maneggevole per un utilizzo tramite cuffie ed auricolari, secondo posto per il computer (60%) e terzo posto per il tablet (26%). MERCATO Ipsos ha pubblicato un interessante studio sui marchi più influenti nel nostro Paese Quali sono i marchi più noti e influenti in Italia? Google e Amazon in testa, Apple è solo ottava Sorpresa: Apple è soltanto all’ottavo posto, ben quattro posizioni dopo la “rivale” Samsung A di Franco AQUINI pple non è tra i brand più conosciuti e influenti in italia, almeno secondo uno studio di Ipsos, società di ricerca e analisi dei mercati, che ha pubblicato una classifica dei marchi più influenti in Italia. I primi posti non sorprendono affatto. Google, Amazon, Facebook, i soliti noti insomma. Persino Samsung al quarto posto non stupisce nessuno, se non fosse che la rivale Apple, da sempre ritenuta un’azienda innovativa e influente, è posizionata solo all’ottavo posto, appena prima del Parmigiano Reggiano e dopo la Nutella. Siamo in Italia, è evidente che alcune eccellenze gastronomiche, in una clas- torna al sommario LG pronta a investire 750M di euro nell’OLED sifica particolare come questa, siano ben posizionati tra i primi dieci, ma che la casa di Cupertino finisse alle ultime posizioni è davvero curioso. Viene quindi da chiedersi come sia stato condotto lo studio e se sia realmente affidabile. Innanzi tutto vengono definitivi influenti i marchi che generano un impatto significativo nella vita delle persone, non soltanto nei consumi. Nel caso specifico, sono state considerati cinque parametri: La fiducia e affidabilità del marchio, il coinvolgimento (quello che viene chiamato in gergo tecnico Engagement), il ruolo e l’impegno sociale, la capacità di innovare e creare tendenza e la presenza sul mercato. Tutti parametri dove l’azienda di Cupertino sembra cavarsela piuttosto bene. Cosa ne pensate a proposito? Siete d’accordo con Ipsos? Tra i colossi dell’audio-video, solo LG è senza dubbio legato ai TV con tecnologia OLED. A riprova dell’enorme investimento dell’azienda, emergono in queste ore forti voci di corridoio secondo cui la divisione Display avrebbe avviato un poderoso business plan finalizzato ad incrementare in modo decisivo la produzione di Smart TV OLED. Si parla di una cifra stellare, 1 trilione di won (850 milioni in dollari statunitensi e poco meno in euro), che verranno investiti nello stabilimento di Paju, individuato da LG per attuare la massiccia conversione di linee produttive LCD nei nuovi impianti predisposti alla costruzione dei pannelli OLED di grandi dimensioni. Grazie alla mastodontica operazione aziendale, la capacità produttiva di LG supererà quota 60.000 unità al mese, quasi il doppio delle 35.000 dichiarate nel 2015. La produzione della gamma LCD dovrebbe spostarsi interamente presso lo stabilimento di Guangzhou in Cina. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MERCATO Fastweb ha annunciato di aver raggiunto con la propria rete in fibra le prime 24 città Fastweb: 24 città già a 200 Mbit al secondo Il piano prevede di raggiungere 13 milioni di famiglie e imprese in 500 città entro il 2020 L di Gaetano MERO a rete in fibra ottica di Fastweb con velocità fino a 200 Megabit al secondo ha già raggiunto in questi giorni le prime 24 città italiane. Ad annunciarlo è stata la stessa società che ha avviato ad aprile un piano di potenziamento delle proprie infrastrutture il cui obiettivo è di servire 500 città ed il 50% della popolazione entro il 2020. Dopo Arezzo, Viterbo, Riccione, Rimini, Trento, Massa, Pistoia, Caserta, a giugno Fastweb Alessandria, Brindisi, Chieti, Cologno Monzese, Cormano, Forlì, Grosseto, Lecce, Lecco, Magenta, Matera, Salerno, Savona, Taranto, Udine, e alcuni quartieri della città di Milano precedentemente non collegati dalla fibra (35 mila famiglie e imprese nelle zone di Affori, Barona, Bicocca, Crescenzago, Lambrate, Novara, Precotto, Quarto Oggiaro e Taliedo). Attualmente l’operatore offre servizi Internet in fibra a 10 milioni di famiglie e imprese in circa 200 città - a cui si sono recentemente aggiunte Bolza- La Federal Aviation Administration, assieme al Ministro dei Trasporti del governo Obama, ha emanato un regolamento che “liberalizza” l’uso degli UAV su suolo americano per molti operatori professionali no, Ravenna, Prato, Lucca, Cagliari e Messina - con la propria rete fino a 100 Mbps su tecnologia FTTH e FTTC . Nel solo mese di giugno 16 comuni hanno ricevuto l’upgrade alla rete ultraveloce a 200 Mbps ed altre 30 città saranno presumibilmente collegate entro l’estate. Il progetto di espansione prevede il raddoppio della velocità di Internet in download su tutta la rete, Fastweb promette infatti di collegare alla fibra ad alta velocità oltre ai nuovi abbonati anche i già clienti. “Puntiamo sulla velocità, ma anche sulla stabilità e potenza della nostra rete, con infrastrutture ridondate che permettano alle imprese e alle famiglie di avere il miglior servizio Internet” ha dichiarato Mario Mella, Chief Technology Officer di Fastweb. Al momento la società ha 200 cantieri aperti su tutto il territorio e posa circa seimila km di fibra al mese. MERCATO A sei anni dalla rimozione della funzione OtherOS, Sony dovrà risarcire gli utenti USA Sony multata per aver rimosso Linux dalla PS3 55 dollari a chi proverà di aver installato un altro sistema operativo, 9 dollari ai restanti L di Francesco FIORILLO anciata sul territorio americano nell’oramai lontano 17 novembre 2006 (in Europa si è dovuto attendere il 23 marzo dell’anno successivo), PlayStation 3 permetteva agli utenti non solo di riprodurre gli immancabili videogame appositamente sviluppati, ma garantiva anche il funzionamento dei Blu-ray e offriva la possibilità di installare sistemi operativi di terze parti. Quest’ultima funzione però, per problemi di sicurezza e di pirateria, fu eliminata nel 2010 tramite l’immancabile aggiornamento del firmware. Dopo ben sei anni di dibattito e una valaga di carte presentate ai tribunali statunitensi, Sony ha deciso di accettare il risarcimento di tutti gli utenti che comprarono PlayStation 3 in USA dal primo novembre 2006 al primo aprile 2010, proprio per la funzione torna al sommario USA Via libera ai droni commerciali che garantiva l’installazione del sistema operativo Linux. Secondo l’accordo, che necessita dell’approvazione finale del giudice, la società giapponese pagherà 55 dollari ad ognuno dei 10 milioni di giocatori che riuscirà a provare di aver installato sulla piattaforma un altro sistema operativo, mentre offrirà 9 dollari ai restanti acquirenti. I querelanti che hanno dato inizio alla class action dovrebbero inoltre ricevere 3.000 dollari di bonus a testa, mentre l’avvocato che li ha rappresentati chiederà 2,25 milioni di dollari per pagare le spese processuali. di Alvise SALICE Finora, negli Stati Uniti d’America per pilotare un drone a fini di lucro era necessario munirsi di una licenza di pilota a tutti gli effetti. Ora l’amministrazione Obama ha deciso di abrogare questa norma, sostituendo alla patente di volo l’obbligo di effettuare un semplice test di conoscenza degli UAV e del relativo regolamento, al superamento del quale verrà rilasciato un certificato ad hoc. Anche chi sarà sprovvisto del documento avrà la facoltà di radiocomandare il drone commerciale, a patto che sia supervisionato da un soggetto certificato. Naturalmente, pur fungendo la nuova normativa federale da liberalizzazione nei confronti dell’impiego di droni a scopo di lucro, non mancheranno le dovute, rigide imposizioni: saranno concessi esclusivamente voli a bassa quota (i consueti 122 metri), con i droni che dovranno trovarsi sempre sotto il controllo di chi li gestisce, e non potranno in alcun caso volare sopra la gente. E soprattutto, agli UAV sarà assolutamente vietato superare le 100 miglia orarie. Inoltre, con buona pace degli speranzosi investimenti già fatti da Amazon e compagnia, la Federal Aviation Administration continuerà, almeno per il momento, a non prevedere l’utilizzo dei droni come vettori per le consegne. “‘Questo è solo il primo passo”, garantisce Barack Obama, “perché siamo agli inizi di una rivoluzione nell’aviazione che cambierà il modo in cui facciamo affari, garantiamo la sicurezza e raccogliamo informazioni’’. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE ENTERTAINMENT La promessa dell’HD, l’app per smartphone, un’interfaccia nuova e pacchetti più ricchi. Ecco NOW TV di Sky Sky NOW TV: nuovi canali e a breve anche l’HD Sky ha lanciato la nuova offerta per la TV in streaming: si parte da 9,99 euro al mese, più opzioni si scelgono più si risparmia di Roberto PEZZALI OW TV è arrivato in Italia: Sky, più europea e consapevole della diffusione ormai inarrestabile dello streaming, ha deciso di rivoluzionare la sua TV via internet oggi chiamata Sky On Line trasformandola in una piattaforma tutta nuova. NOW TV, come abbiamo già avuto modo di scrivere nella nostra breve anticipazione, è un vero reset dell’esperienza streaming di Sky, un prodotto che nasce già più completo ma che solo tra qualche mese, dopo un periodo di rodaggio, si potenzierà per ottenere quelle funzionalità che tutti aspettano da tempo, alta definizione in testa. Sky mette le mani avanti per non esporre il fianco a critiche e annuncia che tra qualche mese arriveranno l’HD, una nuova offerta dedicata allo sport, probabilmente in concomitanza con la partenza della Serie A e una nuova app per smartphone, che va a completare un servizio già disponibile su Pc, Mac, Tablet, Smart TV (alcuni modelli), game console. Sky, nel corso dell’anno, introdurrà anche nuove piattaforme, e si spera in una apertura verso Apple TV e Chromecast. Se il futuro di NOW TV è senza dubbio promettente, anche il presente che Sky non è affatto male: rispetto a Sky Online è stata rifatta interamente l’interfaccia, con un nuovo stile content based che rende più facile la ricerca dei contenuti, ed è stata rivista l’organizzazione dei pacchetti, acquistabili come sempre con ticket mensili. Chi sottoscrive oggi l’offerta potrà scegliere tra “Intrattenimento”, “Serie TV” e “Cinema”, e per aiutare nella selezione ci saranno due settimane di tempo dove questi tre pacchetti saranno visibili gratis. NOW TV, come Sky Online, dà accesso sia a contenuti onDemand sia ai canali live in streaming del pacchetto sottoscritto, e coloro che si sono già abbonati noteranno la separazione dell’Intrattenimento dalle Serie TV. Sky, come avevamo già scritto, ha comunque potenziato i due singoli pacchetti, e per “Intrattenimento” N torna al sommario sono arrivati i nuovi canali Fox Animation, History, Nat Geo Wild, Eurosport 1 ed Eurosport 2 che si affiancano ai già presenti Sky Uno, Fox Life, MTV, Disney Channel, Disney Junior, Nick Jr e ovviamente le news di Sky TG 24. Serie TV, via libera alle stagioni complete Il potenziamento tocca anche le “Serie TV”, il pacchetto più ambito: oltre alle serie TV più recenti (Il Trono di Spade, Outcast e Billion) ci saranno anche i cofanetti con le stagioni complete di moltissime serie (Lost, Dexter, Vinyl e Once Upon a Time) oltre ovviamente alle produzioni originali Sky, come Gomorra-La Serie, In Treatment e Romanzo Criminale. L’abbonato, ma questo accade già ora, potrà vedere in diretta anche i canali Sky Atlantic, Fox, Fox Crime e Fox Life per poter vedere gli episodi di molte serie in contemporanea con gli Usa. Nei prossimi mesi sono attesi i cofanetti completi di Grey’s Anatomy, Desperate Housewives e Revenge. Si chiude con Cinema, otto canali sempre disponibili, 500 titoli a catalogo e 15 nuovi contenuti ogni mese, un pacchetto che diventerà interessante non appena verrà aggiunto l’HD. Per gli appassionati di Sport ci sarà in questa prima fase, ma non visibile nel periodo di prova gratuita, un pacchetto Calcio a 19,99 euro al mese (con le fasi finali dell’Europeo), potenziabile acquistando i singoli eventi di altri sport. Qui per ora non cambia nulla, ma un ticket Sport più completo è in fase di preparazione. A livello di prezzi l’offerta di Sky per NOW TV non è affatto male se si considera il potenziamento che arriverà a breve con HD e app per smartphone: 9,99 euro per un solo pacchetto, 14,99 euro per due pacchetti e 19,99 euro per tre pacchetti. Per gli attuali clienti di Sky Online che hanno sottoscritto il ticket “Intrattenimento” l’offerta si arricchirà dei nuovi contenuti ma il prezzo mensile non cambierà, questo ovviamente fino a quando non si blocca il pacchetto. NOW TV, come Sky Online, Netflix e Infinity non ha vincoli contrattuali legati alla durata, può essere attivato e Inside Out è tra i film del pacchetto Cinema, otto canali sempre disponibili, 500 titoli a catalogo e 15 nuovi contenuti ogni mese bloccato quando si vuole. Il modo più semplice per accedere a NOW TV resta il TV Box, set top box costruito da Roku collegabile ad ogni TV dotata di una presa HDMI. È lo stesso set top box di Sky Online con una nuova veste, e chi possiede il modello vecchio riceverà un aggiornamento software che adeguerà l’interfaccia. Qui il prezzo non cambia: 49,99€, con inclusi tre mesi di un pacchetto a scelta tra Intrattenimento, Serie TV o Cinema. Una nuova partenza quindi, anche se si dovrà attendere domani per vedere se l’arricchimento dei due pacchetti Intrattenimento e Serie TV a livello di contenuti giustifica i 5 euro in più richiesti rispetto a oggi. In ogni caso, quando arriverà l’alta definizione, se Sky non chiederà (come sul satellite e come fa ad esempio Netflix) un bonus per avere uno streaming di miglior qualità, l’offerta sarà super competitiva. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE ENTERTAINMENT In arrivo nuovi progetti tratti da famosi videogiochi e racconti per l’infanzia Netflix espande l’offerta per i più giovani La regina dell’Internet TV dal prossimo anno allargherà anche la propria l’offerta kids di Michele LEPORI rosse novità in arrivo su Netflix, ma stavolta le attenzioni sono tutte rivolte al mondo dei giovanissimi, con una proposta kids in espansione proprio per venire incontro ai loro gusti. Entro il 2017 saranno infatti ben 4 le nuove serie che arricchiranno il palinsesto dedicato ai cartoni animati, con nomi grossi del mondo dei videogiochi e progetti creati sulla base di racconti per l’infanzia vincitori di numerosi riconoscimenti. Si parte da Skylanders Academy, una serie interamente prodotta da Blizzard Studios e che vedrà il famoso gruppo di conosciutissimi eroi far fronte alle minacce del male che vuole conquistare il loro mondo. I 13 episodi di cui è composta la prima serie, in onda in inverno, vedranno nel cast dei doppiatori americani voci importanti quali Susan Sarandon, Daniel Wu, Parker Posey, James Hetfield, Catherine O’Hara, Chris Diamantopoulos e Harland Williams. Altro nome grosso per l’inverno, Llama Llama: basato sugli osannati racconti della scrittrice ed illustratrice Anna Dewdney, la serie esplorerà i momenti più importanti dell’infanzia del protagonista, assieme al rapporto che lo lega a doppio filo a G Asus ZenBeam E1 è un proiettore da taschino con 5 ore di autonomia e 120” di diagonale massima. Peccato per la risoluzione di Roberto PEZZALI famiglia ed amici. Previsto per la messa in onda nel 2017, la serie vede coinvolti nomi grossi quali il direttore premio Oscar Rob Minkoff (già apprezzato per The Lion King), il direttore Saul Blinkoff (in cabina di regia per Doc McStuffins), lo showrunner Joe Purdy, il direttore artistico Ruben Aquino (il nome grosso dietro a Frozen, The Lion King, Aladdin, Mulan) ed i produttori Jane Startz ed Andy Heyward. Chiude il 2017 un gradito rinnovo quale Kong: Re dei primati, che ripartirà da dove si era fermato rivelando il destino dei protagonisti ed aprendo le porte di un nuovo mondo sotterraneo. Per il 2018 saranno invece due i brand in rampa di lancio: la nuova serie ispirata a Spy Kids intitolata Spy Kids: Mission Critical, in cui i giovani agenti segreti dovranno fronteggiare la minaccia del cattivo Golden Brain e dell’organizzazione S.W.A.M.P. (Sinister Wrongdoers Against Mankind’s Preservation). Per i giovani ma non più giovanissimi, invece, ecco arrivare la serie Hilda a portare in TV i fumetti di Luke Pearson. Ambientata nella città fantasy di Trollberg, gli spettatori seguiranno le avventure della giovane protagonista fra razze fantasy ed incontri avvincenti e talvolta pericolosi sulla lunga e tortuosa strada della crescita verso l’età adulta. TV E VIDEO Shield arriva in due versioni: standard, con 16 GB di storage e PRO con 500 GB di spazio NVIDIA Shield PRO: accessori in regalo fino al 15 luglio Acquistando Nvidia Shield PRO in omaggio tutti gli accessori e 3 mesi di contenuti WRC di Gaetano MERO S hield Android TV è il set top box proposto da NVIDIA, disponibile da poco anche in Italia, che trasforma il televisore in un centro multimediale completo grazie alle potenzialità del sistema operativo Google, al supporto ai contenuti in 4K e alla torna al sommario Asus ZenBeam E1 Il piccolo proiettore con 5 ore di autonomia compatibilità con alcuni dei più diffusi servizi di streaming quali Spotify e Netflix. Come abbiamo già evidenziato durante la nostra prova, la particolarità di questa periferica è il suo spiccato lato gaming su cui NVIDIA spinge molto offrendo, a fronte di un abbonamento mensile di 9,99 euro, accesso a titoli da vera e propria console tramite la piattaforma dedicata Ge Force Now. In vista dell’estate la società ha dato il via ad promozione molto interessante e riservata alla versione PRO del set top box da salotto con 500 GB di storage. Fino al 15 luglio, infatti, chi acquista Shield Android TV PRO, al prezzo di 299 euro, riceverà in omaggio il piedistallo in alluminio per posizionare la console in verticale, 3 mesi di contenuti dal World Rally Championship oltre ad un Joypad, essenziale per le fasi di gioco, e allo Shield Remote, il telecomando avanzato dotato di microfono per gestire il dispositivo anche tramite comandi vocali. Nella confezione troveremo inoltre la cavetteria completa per collegare subito il set top box alla TV. La versione base del dispositivo, con storage interno da 16 GB, sprovvista del solo piedistallo è invece disponibile al prezzo di 199 euro. È possibile acquistare entrambi i modelli sul sito ufficiale del produttore. Forse i tempi non erano maturi: quando sono usciti i primi proiettori portatili la scarsa autonomia e soprattutto la ridotta luminosità hanno impedito la loro diffusione. Asus ci riprova ora con lo ZenBeam E1, un piccolo proiettore da tasca che grazie alla batteria integrata ha ben cinque ore di autonomia, e volendo può essere usato anche come battery pack per ricaricare lo smartphone. Lo ZenBeam, introdotto a Las Vegas quest’anno e finalmente disponibile a circa 250 euro, può contare su una discreta luminosità per un prodotto simile, 150 lumen, e su una risoluzione che purtroppo non è elevatissima, WVGA ovvero 854 x 480. Le specifiche tecniche sulla pagina del sito, che parlano di risoluzione HD e 900 lumen sono quindi errate, frutto probabilmente di un copia e incolla uscito male. Lo ZenBeam ha un altoparlante integrato, corregge automaticamente la distorsione trapezioidale e soprattutto grazie all’ingresso HDMI / MHL può accettare sorgenti come console, smartphone e media stick come Chromecast o il Vivostick di Asus. ZenBeam proietta fino a 120” da una distanza di circa 3,7 metri, anche se forse vista la luminosità è bene ridurre lo schermo a circa 70”. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MOBILE Per il Wall Street Journal, da sempre ben informato sui piani della Apple, iPhone7 potrebbe non avere novità importanti Come sarà iPhone 7: davvero innovativo o conservativo? Su Wibo, popolare social network cinese, spunta anche un listino prezzi nel quale è riportato il prezzo della versione Pro di Franco AQUINI I niziano a farsi più insistenti i rumors intorno al prossimo iPhone 7. Il Wall Street Journal, da sempre ben informato sui piani della casa di Cupertino, spiana il campo a una probabile delusione per tutti i fan dello smartphone più celebre di sempre. Secondo la testata statunitense, iPhone7 verrà presentato nella doppia versione con display da 4,7 e 5,5 pollici e senza jack audio per le cuffie, primaria differenza con la versione attuale. A mettere ancora più confusione ci si mette anche Weibo. Un’immagine rubata mostrerebbe un listino prezzi che cita, oltre alle due versione standard e Plus, anche una versione dell’iPhone 7 denominata Pro. La terza versione, già apparsa precedente in qualche rumor, potrebbe essere quella con la doppia fotocamera e il connettore magnetico per periferiche esterne. Il tutto però in palese contraddizione con quanto affermato dal Wall Street Journal sulla presunta assen- za di novità di rilievo sul prossimo iPhone in uscita a fine anno. Sempre secondo Weibo, un’altra novità sarebbe la scomparsa del modello da 16GB. Finalmente la versione base sarebbe quella da 32GB. Della presenza del jack audio da 3,5mm si è parlato a lungo, da quando a fine 2015 sono cominciate a spuntare le voci su una sua presunta rimozione dal prossimo iPhone, in favore dell’unico connettore lightning. Certo, i vantaggi ci sarebbero: l’iPhone potrebbe finalmente guadagnare una completa impermeabilità e soprattutto potrebbe diventare ancora più sottile, tuttavia, bisognerebbe fare i conti con auricolari più costosi o con fastidiosi adattatori per utilizzare gli attuali. Tutte cose che non farebbero certo felici gli utenti. Dietro quello che molti hanno già bollato (senza neppure vederlo) l’iPhone 7 come il meno innovativo di sempre ci sarebbe però una valida motivazione: il modello di iPhone che uscirà nel 2017, quello che spegnerà dieci candeline, potrebbe contenere tante novità da richiedere un tempo di sviluppo superiore alla norma. E’ prematuro comunque parlare: basterebbe un OLED, un processore super e una soluzione per una autonomia da record a tacere tutte le voci, molte di queste basate esclusivamente sul design. Apple si trova di certo in una posizione delicata: dopo aver registrato il primo trimestre fiscale della storia dell’iPhone con le vendite in discesa, deve dimostra- MOBILE Vodafone ha presentato il suo nuovo smartphone top di gamma con connettività 4G+ Vodafone Smart Platinum: design ultra sottile e 4G+ Ha un display 2K AMOLED da 5,5’’ e offre fino a due giorni di autonomia con una carica V di Gaetano MERO odafone ha presentato Vodafone Smart Platinum, uno smartphone di fascia alta che andrà ad ampliare la gamma di dispositivi che portano il marchio dell’operatore rosso. Il telefono supporta la linea superveloce 4G+ (LTE Cat 6) garantendo una velocità in navigazione fino a 225 Mbps. Vodafone Smart Platinum si mostra con un design ricercato e materiali da top di gamma, ha un corpo in alluminio aeronautico ultrasottile con uno spessore inferiore ai 7 millimetri, fronte e retro sono rivestiti da vetro gorilla glass resistente agli urti, alla back cover è stata inoltre applicata una lucidatura diamantata. A bordo troviamo un display da 5,5 pollici 2K AMOLED con risoluzione 2560x1440 pixel, 3 GB di RAM, 32 GB per lo storage interno espandibili con micro SD fino a 128 GB e lettore di impronte digitali posizionato sul retro scocca. Il processore scelto da Vodafone è l’octa- torna al sommario core Snapdragon 652 di Qualcomm, il sistema operativo sarà naturalmente l’ultima versione di Android, Marshmallow 6.0.1. Il comparto multimediale dello Smart Platinum è composto da due sensori, anteriore e posteriore, rispettivamente da 8 Mpx e 16 Mpx entrambi con Flash LED, attivabili anche a schermo spento mediante i pulsanti per la regolazione del volume. In particolare la camera principale può registrare video ad alta definizione ed è dotata di super zoom e zero ritardo di scatto. La batteria ha una capacità di 3.000 mAh e secondo quanto dichiarato dal produttore riesce a regalare fino a due giorni di autonomia allo smartphone. In più, grazie alla funzionalità Quick Charge 3.0, il telefono può raggiungere metà della carica in appena 30 minuti. Vodafone Smart Platinum è già in vendita in tutti gli store dell’operatore e sul sito ufficiale ad un prezzo di 429,99 euro. Lo smartphone sarà inoltre disponibile con diverse formule di abbonamento per clienti business e consumer. Il listino dell’iPhone 7 apparso su Weibo. re al mondo, e soprattutto agli investitori, di essere ancora capace di innovare. E, di conseguenza, di essere una gallina dalle uova d’oro per tenere alto il morale degli azionisti che negli ultimi anni si sono abituati a guadagni facili. MOBILE Honor 5C debutta in Italia Honor 5C è disponibile anche nel nostro Paese al 199,99 €. Si tratta di un Dual SIM con scocca in lega di alluminio aeronautico con levigatura “effetto metallo” che misura 147,1 x 73,8 x 8,3 mm per un peso di 156 g. Honor 5C è equipaggiato con un display IPS Full HD da 5,2” e con densità di 424 ppi. Il SoC a bordo è un Kirin 650 octa-Core Cortex-A53 (4 a 2,0 GHz e 4 a 1,7 GHz) affiancato da 2 GB RAM e 16 GB di storage interno, espandibile grazie allo slot (condiviso con il secondo vano della SIM) per micro SD fino a 128 GB. All’interno troviamo, inoltre, un modem LTE Cat.4, una fotocamera da 13 Mpx f/2.0 e LED Flash ed una camera frontale da 8 Mpx, f/2.0, con grandangolo da 77°. questo è il SUPER TV EMOZIONI IN 4K SCEGLI LG PER GODERTI LE PARTITE COME A BORDO CAMPO Tutte le Smart TV LG sono certificate tivùsat*. Guarda le partite in HD e 4K sui canali RAI SEMPLICEMENTE TUTTO! SATELLITARE INTERNET DIGITALE TERRESTRE T2 Ricevi tutti i canali HD gratuiti senza decoder Guarda i migliori contenuti da internet e le Replay TV Pronta a ricevere le future trasmissioni FULL HD per digitale terrestre T2 certificato tivùsat *Previo acquisto di CAM certificata tivùsat, con smartcard inclusa certificato tivùon! certificato Platinum n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MOBILE Con i nuovi sistemi operativi arriva la spada di Damocle per l’hardware più datato iOS 10 e macOS Sierra: chi potrà aggiornare I Mac precedenti al 2010 saranno esclusi dall’aggiornamento, così come diversi iDevices A di Mirko SPASIANO ll’utimo WWDC Apple ha annunciato, tra le altre cose, macOS Sierra e iOS 10, vediamo ora quali sono i prodotti che potranno beneficiarne. In quel di Cupertino, per quanto riguarda il supporto ai Mac, hanno deciso di escludere tutti quelli precedenti al 2010, indipendentemente dal form factor: tutti i MacBook, iMac, MacBook Air, MacBook Pro, Mac Mini e Mac Pro rilasciati nel 2009, o prima, non riceveranno macOS Sierra. Se per il sistema operativo dedicato ai Mac è abbastanza semplice, lo scenario delineato per gli iDevices è leggermente più articolato. In particolare, non riceveranno iOS 10: •iPad 1, 2 e 3 •iPad Mini •Gli iPod Touch fino alla quinta generazione •Gli iPhone 4S e precedenti Con buona pace dei possessori affe- In arrivo la nuova generazione del più diffuso tra gli e-reader Cura dimagrante, memoria aumentata e prezzo invariato Già in pre-order, debutterà nelle prossime settimane di Dario RONZONI zionati degli iDevices più vecchi, si potrebbe dire che, comunque, la lista dei dispositivi supportati da iOS 10 non è particolarmente sorprendente. Per i Macl discorso è leggermente diverso e farà sicuramente storcere il naso a qualcuno: qui sembra che Apple abbia effettuato un vero e proprio taglio lineare. MOBILE L’autenticazione a fattori di Google è disponibile da molti anni, ma pochi la utilizzavano Google semplifica l’autenticazione a due fattori Il sistema ora è più sicuro e con meno scocciature Google ha trovato un’ottima soluzione: niente più codici o SMS, basta un tap sull’app di Franco AQUINI L a soluzione perfetta per la sicurezza del proprio account Google ce l’ha da molti anni, ma pochi la usano. Il motivo? È una scocciatura. Ecco perché Google ha deciso di semplificare il tutto creando Google Prompt, un nuovo sistema di autenticazione basato su un’app disponibile sia per Android che per iOS, con la quale autenticare il proprio account sarà soltanto questione di un tap sulla notifica. Niente più codici a scadenza quindi. Google Prompt è disponibile sia per gli utenti degli account Google (quelli gratuiti) che per le Google Apps (account aziendali). Basterà entrare nelle pagina di gestione del proprio account e abilitare la verifica in 2 passaggi. Tutto questo richiederà l’app torna al sommario Nuovo Kindle Meno grammi e più RAM allo stesso prezzo di Google su iOS o l’ultima versione dei Google Play Services su Android. Il funzionamento è semplicissimo: quando verrà effettuato l’accesso a uno dei servizi di Google mediante nome utente e password, verrà inviata una notifica al telefono e con un tap potremmo validare il login, senza più codici da trascrivere. Google Prompt, al momento attuale, non è ancora attivo in Italia, ma non escludiamo che possa arrivare a brevissimo o che sia addirittura già in fase di roll-out. Kindle base si rifà il trucco. Il popolare e-reader di Amazon è stato svelato nella sua veste rinnovata, senza variazioni di prezzo. Rispetto alla generazione precedente, il nuovo Kindle è ora più sottile e leggero (160 x 115 x 9,1 mm, per un peso di 161 grammi), dotato di un profilo arrotondato che consente di impugnarlo anche con una sola mano. Disponibile in due colorazioni, bianco e nero. Amazon non si è però limitata a ritocchi estetici ed ergonomici: il nuovo Kindle dispone infatti di 512 MB di RAM, doppia rispetto al predecessore, e supporta tutte le più recenti funzionalità di lettura introdotte dalla casa madre, dall’estrazione facilitata delle note alla schermata iniziale personalizzata, oltre a un generale update dell’interfaccia di navigazione. Lo schermo e-ink touch da 6 pollici è rimasto invariato, così come la risoluzione di 161 PPI. Il nuovo Kindle è già in pre-order a partire da 69,99 euro e sarà disponibile tra qualche settimana, anche nei punti vendita fisici di Mediaworld, Hoepli, Giunti ed Euronics. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MOBILE ZTE, con Tim, ha annunciato la disponibilità in Italia di due prodotti basati su Android ZTE e TIM portano in Italia Axon Mini e Spro2 Axon Mini è uno smartphone 4G con scocca unibody, Spro2 è uno smart projector portatile Z di Mirko SPASIANO TE ha annunciato che commercializzerà in Italia, attraverso il principale operatore di telefonia mobile italiana, due prodotti di fascia alta: l’Axon Mini e lo Spro2. Il primo è uno smartphone 4G che, almeno sulla carta, si preannuncia molto interessante: scocca unibody in titanio ed alluminio e display super AMOLED Full HD da 5,2 pollici. Il cuore pulsante dell’Axon Mini è un processore octa-core di Qualcomm non meglio specificato, accompagnato da 3 GB di memoria RAM, 32 GB di spazio di archiviazione ed una batteria da 2800 mAh. Ma le vere caratteristiche distintive di questo smartpho- ne sono il Force Touch ed il triplo sistema di autenticazione biometrica. Se la prima, ormai, è ampiamente conosciuta, è opportuno spendere qualche parola sulla seconda: oltre al classico sensore per il rilevamento delle impronte digitali, ci si potrà autenticare con la retina e addirittura con l’impronta vocale, per una sicurezza senza compromessi. Lo Spro2, invece, stando alle parole di ZTE, è il primo proiettore al mondo con sistema operativo Android e display touch LCD da 5 pollici. Dispone di connettività 4G e Wi-Fi integrata, grazie alla quale sarà possibile visualizzare e proiettare su parete contenuti in streaming, con risoluzione massima HD (720p), fino a 120 pollici di superficie massima. Sarà possibile utilizzarlo in mobilità grazie alla batteria integrata da 6300 mAh, che dovrebbe offrire un’autonomia massima di 3 ore di proiezione, ed all’altoparlante integrato. Non mancano un ingresso HDMI, una porta USB ed uno slot microSD, che si affianca ai 16 GB di memoria ROM. La partnership con TIM non riguarda soltanto la commercializzazione, perché con le app TIMVision, Serie A TIM e TIMGames, gli utenti potranno vedere film e serie TV, oltre alle partite di Serie A della propria squadra del cuore, e scaricare i giochi. TianYe, Terminal Director di ZTE Italia si è detto entusiasta del lancio di questi prodotti nel nostro paese perché rappresenterebbero in pieno la qualità dei prodotti della compagnia cinese, spesso associata a terminali entry-level. Entrambi i prodotti sono in vendita sullo store online di TIM, rispettivamente ai prezzi di listino di 299,90 e 699,90 euro MOBILE Huawei lavora a un sistema operativo? Secondo The Information, Huawei sarebbe impegnata in un progetto molto ambizioso: la realizzazione di un sistema operativo proprietario. Sebbene si tratterebbe di un progetto ancora in fase embrionale, ci sarebbe un folto team di sviluppo al lavoro in scandinavia, al cui interno si troverebbe anche un nutrito gruppo di ex dipendenti Nokia. A capo del progetto ci sarebbe Abigail Brody, ex dipendente Apple. Al momento non è chiaro se il sistema operativo della compagnia cinese sia uno “spin-off” di Android, come FireOS di Amazon, o qualcosa di diverso. Ad ogni modo, anche se questi rumor dovessero rivelarsi accurati, il sistema operativo di Huawei potrebbe comunque non vedere mai la luce del sole. Il progetto dell’azienda cinese sarebbe volto semplicemente a limitare la dipendenza da Mountain View. Laddove Google dovesse limitare il supporto di Android o la libertà nella personalizzazione per le terze parti, Huawei avrebbe pronto un bel paracadute. MOBILE La compagnia taiwanese sta testando la sua Sense Home su smartphone non-HTC MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] torna al sommario Sense 8.0 su tutti gli Android? HTC ci prova HTC potrebbe rilasciare sul Play Store Sense Home anche per gli smartphone di altri brand C di Mirko SPASIANO ome ogni casa costruttrice di smartphone Android, HTC mette in commercio i propri dispositivi con la propria skin, nota come Sense, per abbellire e personalizzare il sistema operativo mobile di Mountain View. La novità è che la compagnia taiwanese potrebbe presto aprire la nuova versione della Sense Home a tutti gli smartphone Android rilasciandola “pubblicamente” sul Play Store. AusDroid è riuscito ad intercettare un invito che HTC avrebbe inviato ad uno dei partecipanti al suo programma di preview, nel quale incoraggia i possessori di smartphone non-HTC, che montano Android 4.4 o versioni successive, a provare la nuova Sense. Tra le caratteristiche principe della Sense si annoverano Blinkfeed (raccoglie tutti i media di interesse, come social e news in un’unica schermata), la possibilità di visualizzare specifiche app sulla home sulla base dell’orario e del luogo in cui ci si trova e quella di modificare l’aspetto del sistema operativo con dei temi personalizzati. I motivi di questa apertura sarebbero da ricercare proprio in quest’ultima funzionalità della Sense Home: infatti, la personalizzazione più o meno spinta della Home di HTC si può effettuare me- diante acquisti in-app. Pertanto, laddove l’azienda taiwanese decidesse di andare fino fondo, potrebbe estendere il target degli acquisti in-app a tutto il bacino di smartphone Android. Del resto, sono diversi anni che HTC sta stentando con la vendita dei propri terminali e spingere i propri servizi al di fuori del proprio orticello potrebbe rivelarsi una mossa azzeccata, oltre che remunerativa. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE SOCIAL MEDIA E WEB Rilasciato in beta il sito del Governo che mostra l’evoluzione della banda larga Scopri se e quando arriverà la banda larga Basta inserire l’indirizzo per prendere visione della situazione odierna, al 2018 e al 2020 V di Roberto PEZZALI ivi in un piccolo paese e sogni da anni una connessione decente? Grazie ad un sito del Governo è possibile controllare i piani per la banda larga in ogni angolo d’Italia. Il sito, raggiungibile all’indirizzo http://bandaultralarga.italia.it/ è già stata preso d’assalto e il risultato è sotto gli occhi di chi proverà a interrogare l’enorme database per scoprire se la fibra sta arrivando. “Impossibile connettersi al database” risponderà il browser, segno che in Italia la fame di connettività è tanta: dopo qualche tentativo si riuscirà comunque ad accedere a tutti gli open data con la possibilità di scaricare tutti i prospetti, e grazie ad una interfaccia chiara e immediata sarà possibile vedere la percentuale di copertura per ogni zona entro il 2020 sia a 30 Mbps sia a 100 Mbps. Ricordiamo che il Governo si è posto PC Presentato il primo chip a 1.000 core Durante l’edizione 2016 dei VLSI Technology and Circuits Symposia, il “Department of Electrical and Computer Engineering” dell’Università di Davis ha mostrato il primo processore al mondo dotato di mille core. Con circa 621 milioni di transistor, il KiloCore è in grado di eseguire la miracolosa cifra di 1,78 trilioni di operazioni al secondo. Cento volte più di un PC moderno.Il microchip a 1000 core è stato disegnato da studenti laureati in Ingegneria alla Davis. KiloCore vanta un consumo energetico risibile in proporzione alle sue capacità: ogni core, infatti, è in grado di attivarsi e lavorare singolarmente, ottimizzando il consumo energetico, raggiungendo livelli di efficienza finora solo sognati. Il processore a 1000 core, per esempio, sarà in grado di eseguire 115 miliardi d’istruzioni al secondo con un consumo di appena 0,7 watt, risultando così alimentabile anche da una singola batteria stilo AA. torna al sommario l’obiettivo di “coprire l’85% della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100Mbps garantendo al contempo al 100% dei cittadini l’accesso alla rete internet ad almeno 30Mbps.” Ci riuscirà? Lo sperano in tanti. PC Sui chiama TaihuLight, ha in totale 10,66 milioni di core Il computer più veloce del mondo è cinese ed è un mostro di potenza È di Roberto PEZZALI stato realizzato in Cina, utilizza esclusivamente processori di produzione cinese con architettura proprietaria ed è stato dichiarato il più veloce supercomputer del mondo. La scheda tecnica del Sunway TaihuLight è a dir poco mostruosa. Sono presenti 41.000 chip da 260 processori ciascuno, per un totale di oltre 10,66 milioni di core, quasi venti volte i “soli” 560.000 core integrati nella più potente macchina americana. Numeri importanti anche per la RAM da 1,3 petabyte. Il numero di operazioni a virgola mobile gestite al secondo dal TaihuLight è impressionante: 93 petaflops, un ordine di grandezza a 15 zeri, cinque volte superiore al più veloce supercomputer statunitense. Il TaihuLight, che si trova nella provincia cinese di Jiangsu, e più precisamente nel Supercomputing Center di Wuxi, sale in cima al ranking mondiale degli elaboratori più performanti, spodestando il Tianhe-2, sempre cinese, e precedente detentore del titolo “made in USA”. Il paese orientale è stato probabilmente spinto a studiare una propria soluzione tecnologica in seguito alla decisione del Governo americano di bloccare a partire da Aprile 2015, per motivi di sicurezza nazionale, le esportazioni di chip ad alte prestazioni proprio verso la Cina. Ecco il primo Chromebook Asus con le app Android Asus Chromebook Flip è il primo Chromebook a poter installare le app di Android. Scaricando la versione alpha di ChromeOS versione 53, gli utenti troveranno sul desktop il famoso Play Store di Google La versione definitiva uscirà entro fine anno di Mirko SPASIANO Le app di Android su ChromeOS sono realtà. Il primo Chromebook a poterle installare è l’Asus Chromebook Flip, ma presto saranno disponibili anche per i Chromebook Pixel e Acer Chromebook R11 del 2015. Per poter accedere al Google Play Store basterà scaricare la versione alpha per sviluppatori di ChromeOS 53. Le applicazioni installabili saranno soltanto le versioni tablet e parrebbe esserci qualche bug di troppo. Si tratta pur sempre di una versione alpha e per dare un giudizio sensato bisognerà aspettare almeno la versione beta. La versione definiva sarà comunque disponibile, in base a quanto affermato da Google, entro fine anno. Google ha ufficializzato il tutto soltanto all’evento dedicato agli sviluppatori di maggio scorso. Da quanto mostrato al Google I/O, la funzionalità sembrerebbe essere stata implementata in maniera intelligente, capace di catturare le notifiche e integrarle all’interno del sistema operativo che ospita le app emulate. La versione di Android emulata sarebbe la versione 6.01, ragione per cui questa rimarrà una funzionalità relegata ai Chromebook con l’hardware più prestante. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE GAMING Milioni di appassionati di Star Wars e Star Trek non vedranno l’ora di provare i nuovi game Con PlayStation VR si potrà pilotare un X-Wing Tra i progetti per visori VR ci sono Star Wars Battlefront X-Wing VR Mission e Star Trek: Bridge Crew di Francesco FIORILLO urante la sua conferenza all’E3 2016, Sony ha annunciato diversi progetti destinati alla periferica PlayStation VR, compreso l’atteso Star Wars Battlefront X-Wing VR Mission. Si tratta della tanto chiacchierata modalità, compatibile con la realtà virtuale, del titolo sviluppato da DICE e ambientato nell’universo di Star Wars. Destinato in esclusiva a PlayStation VR e affidato alle mani di Criterion Games, Star Wars Battlefront X-Wing VR Mission permetterà in pratica di pilotare un X-Wing e, di conseguenza, vivere in prima persona le epiche battaglie spaziali divenute famose grazie alle pellicole cinematografiche di George Lucas. “Pilotare un caccia X-Wing è qualcosa dell’universo di Star Wars che in molti hanno sognato di fare” ha dichiarato James Svensson, produttore del gioco. “Ricordo che era qualcosa che guardavo con timore nei film. La realtà virtuale ci permette di fare un passo in avanti verso la realizzazione di questo incredibile sogno. Grazie alla VR verrete immediatamente catapultati nello spazio dalla comodità del vostro salotto. E con gli artisti di Criterion e DICE al lavoro su ogni dettaglio, l’esperienza sarà più reale di quanto si possa immaginare”. Anche i fan di un’altra pietra miliare della cinematografia sci-fi, ci riferiamo ovviamente a Star Trek, potranno presto realizzare il loro sogno. Star Trek: Bridge Crew VR di Ubisoft calerà, infatti, i giocatori nei panni di un membro dell’equipaggio della nave U.S.S Aegis della Federazione. Il titolo, D torna al sommario Con Super Boy lo smartphone si trasforma in un GameBoy La periferica sviluppata da Hyperkin è regolabile per adattarsi a vari modelli di smartphone e, grazie a uno slot presente nella parte posteriore, offre la possibilità di giocare con le vecchie cartucce del Game Boy e del Game Boy Color in sviluppo sia su PlayStation VR, sia su Oculus Rift e HTC Vive, porterà i provetti comandati spaziali a collaborare fra loro (ognuno dovrà rispettare uno specifico ruolo) in modo da sopravvivere alle minacce dello spazio profondo. Immagini nuovo game Sony GAMING Notizia confermata dal game director di Square Enix Annunciato Final Fantasy XV Il primo gioco per Xbox Scorpio A di Francesco FIORILLO rriva la conferma, dalle parole del game director di Square Enix, del primo gioco in assoluto destinato alla nuova e chiacchierata Xbox Scorpio. In una recente intervista apparsa su Kotaku, Hajime Tabata ha infatti svelato che Final Fantasy XV sarà aggiornato per la nuova versione della console di Microsoft, nonostante i lavori non siano ancora iniziati. Tabata ha, inoltre, svelato di aver appreso la notizia relativa a Project Scorpio dopo l’annuncio ufficiale all’E3 2016, ma si è subito dichiarato colpito dall’enorme potenziale che caratterizza l’intero progetto del colosso di Redmond. I dettagli scarseggiano, ma l’upgrade di Final Fantasy XV sarà disponibile con molta probabilità a ridosso del lancio della nuova console, in modo da offrire sin da subito una scelta in più ai neo-giocatori di Xbox One Scorpio. di Francesco FIORILLO Nato inizialmente come un semplice pesce d’aprile, pubblicato dallo stesso produttore Hyperkin, il progetto Super Boy è riuscito a solleticare la fantasia di milioni di utenti. Con il passare dei mesi si sono moltiplicate, infatti, le richieste incentrate sull’effettiva messa in commercio di tale periferica e, in occasione dell’E3 2016, la società da sempre impegnata nell’universo dei retro-gamer ha svelato i suoi piani futuri. Dal prossimo primo dicembre, in cambio di 60$, i nostalgici potranno mettere le mani sul Super Boy. L’accessorio in questione è regolabile per adattarsi a vari modelli di smartphone e la sua parte frontale ricorda a tutti gli effetti la storica console di Nintendo. La periferica va collegata tramite il connettore Micro-USB, ma la vera peculiarità risiede nell’effettiva compatibilità con le vecchie cartucce del Game Boy e del Game Boy Color, da inserire in uno slot presente nella parte posteriore del device. Al momento non si hanno notizie di una versione adattata per iOS, mentre Hyperkin non ha nascosto l’intenzione di rendere il Super Boy una vera e propria console portatile, in grado di far girare sia i vecchi titoli dell’indimenticabile portatile a 8 bit, sia nuovi progetti indie appositamente sviluppati. È già possibile, sul sito ufficiale, prenotare questa nostalgica periferica. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE FOTOGRAFIA L’azienda che ha scritto pagine importanti della fotografia ha presentato la X1D Hasselblad lancia X1D, mirrorless al top La X1D offre una qualità professionale, da studio, in un formato compatto e maneggevole P Misfit e Speedo danno vita a una nuova generazione di fitness-tracker per chi nuota. Il braccialetto può contare uno degli algoritmi contavasche più efficienti in assoluto, un nuovo display a LED multicolore, notifiche di messaggi e chiamate e un timer per il nuoto di Roberto PEZZALI erry Oosting, CEO di Hasselblad, prima di togliere i veli all’ultima nata nella piccola fabbrica di Goteborg, Svezia si è espresso in questo modo: “Questo è in assoluto il prodotto più importante a cui abbiamo lavorato negli ultimi anni”. Rigorosamente fatta a mano, come tutte le altre macchine che hanno scritto pagine importanti di storia della fotografia, la X1D è veramente un prodotto chiave per una azienda che solo qualche anno fa era sull’orlo del fallimento, dopo una serie di operazioni disastrose. Hasselblad si è sempre rivolta con i suoi prodotti al mercato professionale, ma anche nella fotografia come in ogni settore i tempi cambiano e bisogna adeguarsi: ecco quindi la X1D, un piccolo passo verso il mercato consumer fatto però senza snaturare la filosofia di una azienda che ha ritrovato, grazie ad una serie di modelli azzeccati, lo spirito e la forza di un tempo. La X1D costerà infatti 7900 euro più iva per il solo corpo, un prezzo importante che deve comunque essere messo in relazione non solo alla indiscutibile qualità del prodotto ma anche al tipo di macchina, una mirrorless con un sensore CMOS medio formato da 50 Megapixel responsabile da solo di gran parte del costo del prodotto. La X1D è una macchina che di fatto non ha rivali sul mercato, perché per la prima di Franco AQUINI volta si può avere la qualità del medio formato, solitamente usato in studio, in un corpo leggero e trasportabile che può essere tenuto nel palmo di una mano: giusto per dare un’idea la foto qui sotto mostra la X1D paragonata ai suoi competitor, e oltre all’ingombro stupisce la dimensione del sensore che è quattro volte un sensore APS-C e circa il doppio più grande di un sensore full frame. Siamo davanti ad una macchina Le dimensioni della X1D paragonate ad altre concorrenti. torna al sommario Un fitness tracker per nuotatori bello da vedere moderna, e all’interno del corpo in metallo che fa segnare 725 grammi sulla bilancia trova spazio non solo il sensore con 14 stop di gamma dinamica e sensibilità da 100 a 25600 ISO ma anche un processore capace di gestire la ripresa video Full HD / 2K, la connettività Wi-fi e il GPS per il geotagging delle foto. Sul fianco protetto sotto uno sportellino, Hasselblad ha inserito un doppio slot di card, l’uscita HDMI, un connettore USB 3.0 Type C per trasferire le foto e i jack per microfono e cuffie, utili per chi vuole usare la macchina per fare video. Tra gli altri punti di forza lo schermo touch sul retro (purtroppo non orientabile) da un milione di punti e il mirino elettronico OLED da 2.3 megapixel. La X1D è compatibile con tutti i 12 obiettivi del sistema professionale H di Hasselblad mediante un adattatore, ma Hasselblad ha pensato anche ad una coppia di ottiche dedicate, l’XCD 45 mm f/3.5 (1900 euro) e l’XCD 90mm f/3.2 (2290 euro). Sono le prime, ne arriveranno altre. La X1D sarà distribuita in Italia da Fowa con distribuzione che inizierà a fine luglio: per fare un corredo serviranno circa 12.000 euro, ma il risultato che è possibile ottenere è difficilmente raggiungibile con una reflex o una mirrorless tradizionale. Misfit, insieme al celebre marchio Speedo, danno vita al nuovo tracker dedicato a chi nuota. Si chiama Speedo Shine 2 ed è un fitness tracker con speciali funzioni dedicate espressamente ai nuotatori. Ha dei timer per l’allenamento che avvisano tramite vibrazione percepibile anche in acqua, ma soprattutto ha un algoritmo contavasche, unico nel suo genere per precisione (così dicono), in grado di funzionare con qualsiasi stile. Speedo Shine 2 è realizzato in alluminio anodizzato ed è più sottile del precedente, è resistente all’acqua fino a una profondità di 50 metri ed ha un display formato da 12 led multicolore, capaci di mostrare 16 milioni di colori visibili anche alla luce diretta del sole. Oltre alle funzionalità specifiche per il nuoto, Speedo Shine 2 è compatibile con Misfit Link, può quindi agire da telecomando per comandare la musicare o semplicemente scattarsi un selfie. Il nuovo fitness tracking di Misfit è già disponibile su misfit. com, speedo.com e speedousa. com al prezzo 119,99€. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Dalla Francia uno dei più completi processori per il cinema in casa Trinnov, porta l’audio del cinema in casa Abbiamo ascoltato un sogno a cinque zeri Può gestire 32 canali e ha un processore programmabile per gestire qualsiasi codifica audio di Roberto FAGGIANO ui non parleremo dei soliti componenti home theater, ma di vero cinema in casa, cioè la realizzazione di una vera sala cinematografica tra le – ampie – pareti domestiche di chi può permetterselo. Quindi dimenticate i sintoamplificatori 5.1 e i soliti diffusori, l’unica cosa in comune tra i due mondi del cinema in casa è la sorgente, cioè un film da riprodurre. A molti dirà poco ma Trinnov è uno dei marchi più utilizzati dagli installatori specializzati di sale cinematografiche domestiche. Questa azienda francese ha in catalogo il processore Altitude (prezzi di listino da 19.900 euro) in grado di elaborare suoni a 8, 16 o 32 canali del tutto indipendenti tra loro, in grado di elaborare qualsiasi colonna sonora codificata secondo gli standard presenti e futuri perché la sua architettura non si basa su chip commerciali di decodifica, ma utilizza un sistema completamente modulare, programmabile e aggiornabile. Come si vede dal retro in poche parole ci troviamo davanti ad un computer al quale è stata aggiunta tutta la sezione di ingressi e uscite. Il processore Trinnov lavora a 192 kHz/24 bit e usa un processore a 64 bit, è in grado di pilotare fino a 32 finali di potenza dedicati ed altrettanti altoparlanti montati sulle pareti di una ambiente pensato per la riproduzione cinematografica. Avere il solo apparecchio però non basta: è necessario affidarsi ad installatori specializzati in grado di effettuare tutte le misurazioni in ambiente indispensabile per ottimizzare la resa sonora. Per questo scopo Trinnov ha realizzato un sofisticato software in grado di analizzare moltissimi parametri acustici delle più diverse ambientazioni sonore e per avere risultati al di sopra di ogni sospetto ha realizzato un proprio microfono ad alta risoluzione (750 euro). Al fortunato uten- Q torna al sommario te quindi non resta che affidare un locale adatto all’installatore e poi accomodarsi in poltrona a lavoro ultimato per godersi lo spettacolo, naturalmente previo versamento di ingenti cifre a cinque zeri. L’esperienza di ascolto è visione è avvenuta presso On House di Milano, uno degli installatori autorizzati per Trinnov in Italia. Dopo una lunga introduzione teorica della filosofia Trinnov e una illustrazione dei diversi parametri sonori analizzabili e modificabili dal processore Altitude abbiamo avuto il privilegio di accedere, a una sala dimostrativa che pochi potranno permettersi. Si entra in un ambiente completamente trattato dal punto di vista acustico, controsoffitto ad assetto variabile motorizzato, schermo di proiezione a parete, 32 altoparlanti incassati su tutte le pareti e il soffitto, amplificatori di potenza Rotel professionali, proiettore SIM 2, tre poltrone che nei veri cinema possiamo solo sognare e uno strapuntino per gli ospiti. Le proiezioni iniziano con le scene dell’ultimo Mad Max, codificato in Dolby Atmos, e prime impressioni sono “impressionanti”, forse perché abbiamo già visto il film per testare il lettore blu-ray 4K di Panasonic, ma con un sistema audio assai modesto. A parte il prevedibile impatto assolutamente realistico del subwoofer a trasmissione di linea, ciò che più stupisce è la precisione Da Fresh ’n rebel l’auricolare sportivo wireless e via cavo Il nuovo auricolare senza fili offre buone prestazioni a un prezzo accessibile e con la possibilità di usare il cavo quando finisce la batteria. Per lo sport c’è la certificazione IPX2 e adattatori in silicone a prova di corsa di Roberto FAGGIANO dei passaggi fronte-retro sopra le nostre teste, nonché il dettaglio di ogni pur minimo particolare del film. Evidentemente l’essere svincolati dai classici sistemi 7.1 a favore di una disposizione molto più diffusa degli altoparlanti fa la differenza, oltre all’impiego del processore Trinnov e dalla maniacale calibrazione della stanza. Certo la differenza è anche nel costo perché questa sala chiavi in mano viene sui 300.000 euro, migliaio più migliaio meno a seconda del grado di finitura e dei dettagli desiderati per arredamento e illuminazione. Colpiti dal primo ascolto siamo quasi rimasti delusi dagli spezzoni successivi, di film e musica, che hanno portato a risultati solo “normali” in relazione al costo, segno che anche la più sofisticata elaborazione acustica non può risolvere i problemi di colonne sonore meno che perfette. Concluso il sogno torniamo ai nostri soliti sistemi HT, ma guardandoli con occhi diversi. A chi desidera un buon auricolare sportivo senza spendere troppo arriva in aiuto Fresh ‘n Rebel con i nuovi Lace Wireless Sport, prezzo di listino di 50 euro. I nuovi auricolari resistono al sudore (certificazione IPX2), inoltre gli adattatori in silicone sono studiati per rimanere saldamente al loro posto. La durata della batteria dichiarata è di 8 ore e volendo si può ovviare all’esaurimento dell’energia utilizzando il cavo in dotazione, un semplice adattatore da minijack a micro USB. Lungo il cavo di collegamento tra i due auricolari è sistemato il telecomando per gestire musica e chiamate, oltre al microfono per il vivavoce; inoltre, una vibrazione avvisa di telefonate o messaggi in arrivo. Gli auricolari utilizzano un trasduttore da 9,2 mm, l’impedenza è di 16 ohm mentre il peso è di 17 grammi. La finitura è disponibile in tre colori: nero, azzurro e verde menta. Per chi non è interessato alla resistenza al sudore e vuole un auricolare con filo ancora più economico, c’è il modello Lace, che per soli 20 euro offre cavo piatto, auricolari in metallo e gli stessi driver utilizzati sul modello Wireless. H65M5500 SERIE M5500 The technological choice of TM UEFA EURO 2016 n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE Vicino a Modena sorge il nuovo stabilimento di Energica, produttore italiano di motocilclette elettriche Energica, le super moto elettriche made in Italy 195 Nm di coppia e da 0 a 100 Km/h in meno di 3 secondi: il divertimento è assicurato. Addio Benzina e gas di scarico di Gianfranco GIARDINA a culla dei veicoli elettrici è la Silicon Valley, con Tesla Motors di Elon Musk a dominare la scena. Ma (ancora) in pochi sanno che in una valle meno tecnologica ma molto più vicina a noi, la Val Padana, c’è chi sta scrivendo un capitolo importante della mobilità elettrica, questa volta su due ruote. Si tratta di Energica, una giovane società con solide radici nella competenza motoristica della provincia di Modena, recentemente quotata al mercato AIM della borsa di Milano, che ha sviluppato due modelli di potentissime e prestazionali motociclette a propulsione elettrica. In questo articolo andiamo alla scoperta di questa realtà tutta “Made in Italy” che sta iniziando ad avere rilevanza nel giovanissimo mercato mondiale delle moto a propulsione elettrica. L Prestazioni innanzitutto Per battere Ferrari e pregiudizi L’occasione per una visita alla sede di Energica nasce dall’inaugurazione del nuovo stabilimento della società, resosi necessario per la crescita della domanda e per una corretta implementazione del piano industriale, che prevede un incremento delle attività con un andamento esponenziale. Il primo pensiero va proprio al territorio modenese, che attorno a nomi come Ferrari, Maserati, Lamborghini e Pagani, ha costruito un successo fatto di industrie e soprattutto di un sapiente indotto che è famoso in tutto il mondo. Com’è possibile che sia questa terra, che viaggia a Lambrusco e benzina, a lanciare in Italia la rivoluzione della propulsione elettrica? Da queste parti, se si parla di “bel canto”, la gente ricorda Pavarotti e la “musica” di un bel tubo di scarico: come può amare anche il sibilo un po’ “extraterrestre” di un motore elettrico? La risposta è semplice: prestazioni. Qui, in terra di Modena, il germe dell’elettrico non poteva nascere con un placido scooterone per il commuting urbano, ma ha attecchito intorno alle prestazioni “da paura” del primo modello di Energica, la Ego, una macchina da guerra che è addirittura limitata per via elettronica a 240 Km/h e 3 secondi da 0 a 100 Km/h, ma che potrebbe dare ancora di più. Di fronte a una coppia “monstre” di 195 Nm rilasciata all’albero motore in maniera perfettamente costante da 0 a 4700 giri (cosa che permette di far sparire cambio e frizione), tutti stanno in religioso Energica Ego Drag Race torna al sommario silenzio. E di colpo, anche ai più incalliti appassionati, la vecchia musica del rumore di scarico sembra poco più di una pernacchia. Prestazioni, dicevamo: era l’unico modo per sdoganare l’elettrico qui, in terra di motori a scoppio. La società ha anche organizzato al lancio di Ego, il primo modello, una drag race, una di gara di accelerazione, sfidando le più veloci moto supersportive e anche auto dall’accelerazione estrema, come la Ferrari 458 Italia e Tesla Model S, vincendo la sfida in tutti i casi. Non a caso Energica nasce dall’esperienza del gruppo CRP, primo azionista e società attiva da oltre 40 anni nel mondo del racing automobilistico e motociclistico come partner tecnico di diversi team. Insomma, si tratta di guida per divertirsi e correre, come spesso da queste parti, e non certo (solo) per spostarsi. Ego, la supersportiva no compromise Parliamo di modelli: il capostipite, almeno sul fronte commerciale, è la Ego. Si tratta di una supersportiva che non nasce dal nulla ma riprende l’esperienza che la Casa madre, Gruppo CRP, aveva già sviluppato nel mondo delle competizioni, sia con propulsione endotermica che elettrica. Da “fuori”, almeno fino a che non si parte, non si capisce affatto che si tratti di una moto elettrica: le forme sono identiche a quelle delle più sportive moto tradizionali; il radiatore posto sotto la carena sembra convenzionale ma invece di raffreddare il motore, garantisce il corretto raffreddamento del pacco batterie; quest’ultimo occupa la maggior parte dello spazio e si prende la collocazione che normalmente è del motore termico; il motore elettrico, che malgrado il raffreddamento a olio è comunque molto più piccolo e leggero di uno termico, è un po’ più arretrato e del tutto non visibile dall’esterno. Il risultato è una moto da 280 kg e dalla distribuzione dei pesi molto vicina a quella ideale (53% del peso grava sulla ruota anteriore e il 47% su quella posteriore) per una guidabilità analoga a quella di una buona supersportiva. Quello che invece cambia, come dicevamo, è l’erogazione del motore, decisamente potente e continua: “Siamo stati costretti – ci spiega Giampiero Testoni, a capo della progettazione - a limitare la velocità a 240 Km/h per motivi di sicurezza e di affidabilità. Allo stesso modo, abbiamo fatto una complessa mappatura dell’erogazione del motore all’apertura del gas in modo tale da garantire una guidabilità ottimale”. Il pilota non ha a disposizione né cambio né frizione, che non servono, vista la coppia costante e già massimale anche a zero giri; sparisce quindi la leva di sinistra al manubrio. In compenso si può scegliere tra 4 mappature diverse dell’erogazione (Urban, Eco, Rain e Sport) e altrettanti schemi di rigenerazione (Basso, Medio, Alto e Spento) che attivano il freno motore per una ricarica parziale delle batterie durante la frenata o comunque quando si rilascia il gas. A ognuna delle 16 combinazioni possibili corrisponde ovviamente un consumo elettrico diverso che va a influire sull’autonomia, il vero punto debole del progetto: Ego ha una batteria da 11,7 KWh ai polimeri di litio capace di arrivare al massimo a 190 km di autonomia segue a pagina 16 n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE Energica, le super moto elettriche segue Da pagina 15 con una guida “tranquilla” e velocità moderate; “Ma se ci si fa prendere la mano – ci confessa Testoni – non si va oltre i 100 Km, molto dipende da come si guida. Ma, con una rete di ricarica veloce che diventerà sempre più capillare, e che già lo è in molti Paesi, abbiamo preferito non appesantire eccessivamente la moto con troppi pacchi batteria”. Il vero cuore di tutto il progetto è nella centralina elettronica (chiamata Veichle Control Unit) che è stata interamente progettata nei laboratori di Energica: si tratta di un computer centrale unico, che governa e coordina tutti gli altri sottosistemi e che soprattutto gestisce la mappatura dinamica del gas che, a seconda dei contesti e delle velocità, cambia la risposta per garantire una guidabilità eccellente e grande sicurezza. E sempre la sicurezza ha indirizzato la scelta verso un’architettura di questa centralina ridondante, con un doppio processore, capace di rispondere anche a un guasto parziale del sistema senza interrompere l’operatività. Tutte le funzioni della moto possono essere monitorate anche sullo smartphone, grazie alla connettività Bluetooth e, molto presto, anche via rete pubblica, grazie a una connessione 3G/4G, in arrivo entro la fine dell’anno. Per quello che riguarda la ricarica, può avvenire sia a una presa tradizionale - in tre ore e mezza - che a una colonnina “fast charge” in corrente continua, grazie alla quale “il pieno” si fa in mezz’ora. Veniamo alle note dolenti, i prezzi. Il costo di sfrecciare senza far rumore non è per tutti: la moto, già ben accessoriata, parte da 25mila euro più IVA. Ma il gusto di sfrecciare meglio di quando si potrebbe fare con una moto tradizionale e viaggiando a propulsione elettrica vale qualche sacrificio in più... Per una guida meno “tirata” ecco Eva Al recente EICMA di Milano, Energica ha presentato Eva, il secondo modello di moto elettrica del brand modenese, di fatto una variazione sul tema sulla piattaforma di Ego. Il telaio resta infatti identico, come anche il motore e il pacco batterie; cambia però la ciclistica e l’aspetto “naked” che porta così la moto a diventare una streetfighter, sempre molto aggressiva ma qui in una versione più agile destinata ad una guida più rilassante. Le prestazioni sono molto simili anche se in questo caso la velocità è stata limitata a 200 Km/h e la potenza un po’ ridotta, per rendere comunque la moto molto sicura e aumentarne l’autonomia. La produzione regolare delle Eva è iniziata da qualche settimana ed è stata “festeggiata” anche con un tour negli USA: un viaggio in giornata da San Francisco a Los Angeles, reso agevole dall’autonomia migliorata (si arriva ora a a 200 km in modalità Eco) e dalla larga disponibilità di colonnine a ricarica rapida. Come nel caso della Ego, oltre ai normali regimi di guida, Eva dispone anche di una modalità di parcheggio che permette trazione sia sulla marcia avanti che marcia indietro a velocità ridottissime, assistendo così il pilota nelle piccole manovre. Alla fine, Eva è meno estrema di Ego ma probabilmente più bilanciata, almeno fino a che non ci sarà un salto tecnologico nelle prestazioni delle batterie per unità di peso. “Stiamo già lavorando a nuove tecnologie relative alle batterie che ci permetteranno un salto in avanti – ci rivela il responsabile della progettazione – ma ci vorrà ancora qualche anno prima di vedere i frutti di questo lavoro. Presto invece vedrà la luce un terzo modello sulla base della medesima piattaforma di Ego ed Eva”. Per il resto, vengono confermate le scelte d’eccellenza già fatte nella componentistica di Ego: largo uso di fibra di carbonio, sistema di frenatura Brembo e ABS Bosch. Il prezzo resta comunque lo stesso di Ego: intorno ai 25mila euro più IVA, ancora alto se confrontato ai modelli tradizionali, ma sicuramente interessante visto l’alto contenuto tecnologico e la costruzione senza compromessi. Il nuovo stabilimento Progettazione e assemblaggio Grazie anche alla quotazione in borsa (nel segmento AIM Italia), che risale a gennaio scorso, la società ha attivato tutta una serie di investimenti finalizzati a mantenere il piano industriale promesso agli investitori, il cui tassello fondamentale è il nuovo stabilimento, necessario per portare la produzione al livello target di 2000 moto elettriche all’anno. La nuova sede di Energica sorge a Soliera, alla periferia nord di Modena torna al sommario video lab Energica Motor Company Intervista a Livia Cevolini e riunisce sia la parte di uffici commerciali, acquisti e progettazione, che la parte di vera e propria produzione e testing. Va detto che Energica a Soliera non produce i singoli componenti, ma cura tutta la progettazione e disegna i singoli componenti; l’intervento ritorna diretto nel momento dell’assemblaggio, svolto interamente in fabbrica. Un approccio di questo tipo è reso possibile dalla collocazione geografica nel bel mezzo della “motor valley” italiana, in cui non manca tutto l’indotto e i terzisti per la realizzazione di tutti i componenti secondo specifiche Energica. Primo fra tutti proprio CRP, la casa madre e principale azionista di Energica, che ha sviluppato tra le altre cose un sistema di stampa 3D (chiamato Windform) che è stato largamente utilizzato per Ego ed Eva e trova impiego anche in molti altri campi: recentemente è stato annunciato, per esempio, l’utilizzo della tecnologia Windform di CRP da parte di Parrot per la produzione del suo nuovo drone Bebop 2. Tornando a Energica, la produzione nel nuovo stabilimento è appena entrata in funzione e attualmente si attesta su circa due esemplari al giorno, assemblati e verificati a mano: “Siamo in linea con gli obiettivi di quest’anno, che prevedevano circa 250 moto – ci spiega Livia Cevolini, amministratore delegato di Energica – ma la struttura è pensata in maniera flessibile e scalabile, per arrivare a moltiplicare per otto la produzione”. Nella nuova sede di Energica lavora un team non gigantesco (circa 30 persone interne) in larga parte impegnato nella progettazione di componenti elettronici e meccanici; un team che però sta facendo un’esperienza quasi unica nel mondo nella propulsione elettrica a due ruote e nell’elettronica che la governa. Esperienza che – non c’è dubbio – tornerà decisamente utile quando, in un futuro prossimo, saranno gli elettroni più che gli idrocarburi a governare la nostra mobilità. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE Presentato il nuovo accordo di co-marketing tra Enel e le due aziende automobilistiche Mercedes e Nissan Enel, 10.000 colonnine in autostrada entro l’anno E l’auto elettrica per i dipendenti Enel costa meno Entro l’anno 10.000 colonnine a ricarica rapida sulla rete autostradale italiana, 20.000 in tutta Italia nei prossimi due anni Inoltre per i dipendenti Enel, grazie a un nuovo accordo con Nissan e Mercedes, l’auto elettrica costerà molto meno di Roberto PEZZALI nostri dipendenti saranno ambasciatori della mobilità elettrica”: esordisce così Ernesto Ciorra, Direttore Innovazione e Sostenibilità di Enel, alla presentazione del nuovo accordo di co-marketing siglato da Enel, Mercedes e Nissan. Le due case automobilistiche hanno infatti realizzato due vetture in edizione speciale Enel Edition che l’utility offrirà a condizioni super vantaggiose ai propri dipendenti. “Se una cosa non funziona prima di proporla al pubblico vogliamo provarla noi – prosegue il dirigente Enel – quindi chi tra i dipendenti Enel vorrà diventare ambasciatore dell’elettrico potrà avere accesso alla Mercedes Classe B o alla nuova Nissan Leaf insieme ad una serie di vantaggi esclusivi”. Enel, in pratica, ha preparato un pacchetto di noleggio a lungo termine convenzionato che offrirà le due auto insieme ad una serie di bonus a condizioni davvero particolari: un dipendente potrà avere la Leaf Enel Edition pagando un canone di 199 euro con 2500 euro di anticipo per 36 mesi (270 euro senza anticipo), mentre per la Classe B Mercedes serviranno 360 euro al mese. Il canone include ovviamente assicurazione RC e Kasko, la manutenzione, la possibilità di permuta dell’usato e alcuni bonus speciali per i dipendenti come la possibilità di fornitura elettrica ad un prezzo scontato, l’installazione ad un costo ridotto della Enel Box Station per la ricarica veloce in casa e anche la possibilità di parcheggiare l’auto (con ricarica inclusa) presso la sede Enel di appartenenza. Giusto per capire l’entità del risparmio, il noleggio a lungo termine (36 mesi) della Nissan Leaf viene proposto al pubblico a 499 euro iva esclusa con un anticipo di 2050 euro. La vettura realizzata da Nissan per Enel è poi davvero speciale: è realizzata partendo dall’allestimento Acenta e avrà dotazioni come il Solar Spoiler, ovvero lo spoiler posteriore con pannelli solari e una serie di altri optional come i cerchi in lega da 16”, il climatizzatore con controllo da remoto (tramite APP), il navigatore 7”, la retrocamera a colori, la batteria 30 kWh con ricarica veloce e i comandi al volante (Bluetooth + Cruise control + Audio Control). Ricordiamo che chi sceglierà la Leaf avrà anche il “Mobility pack”, 20 giorni di noleggio gratuito di una vettura tradizionale a chilometraggio illimitato, utilizzabile in tre anni e fruibile liberamente quando serve (per esempio ad andare in vacanza). Le condizioni sono ovviamente riservate ai dipendenti, ma se la “trial” dovesse andare come Enel spera potrebbe essere il punto di partenza per offerte simili anche ai clienti residenziali. L’obiettivo è arrivare il più presto possibile ad avere un milione di auto elettriche sulle strade italiane nel minor tempo possibile, ma “I torna al sommario Enel è consapevole che ci si potrà arrivare non solo con offerte particolari ma anche con una rete di infrastrutture che possa mettere tutti nella condizione di viaggiare “elettrico” senza il timore di restare a piedi. Il primo scoglio da superare resta comunque quello del prezzo: “La gente si spaventa quando vede che una macchina elettrica costa 7000 euro di più di una a benzina, - spiega Ciorra – ma non calcola che questi 7000 euro in un anno e mezzo sono già stati ammortizzati, e un auto dura ben più di un anno e mezzo. Bisogna fare una offerta vantaggiosa che coinvolge tutti i player, dalle utility di energia che forniscono la fonte di alimentazione per le auto elettriche alle assicurazioni, perché l’assicurazione di un auto elettrica, che oggi non viene rubata, non può costare come l’assicurazione di un euro tradizionale. Oggi pochi sanno che noi vendiamo energia per ricaricare un’auto elettrica a 30 euro flat al mese, un costo assolutamente più conveniente di ogni altro tipo di carburante per un motore termico.” Tutte le autostrade coperte con 10.000 colonnine entro fine anno L’anno della mobilità elettrica in ogni caso dovrebbe essere il 2017: Enel infatti confida sull’assegnazione di un bando europeo che consentirà a partire da settembre di coprire tutta la rete autostradale con il sistema di ricarica rapida. “Vogliamo coprire in pochi mesi tutte le aree di servizio con 10.000 colonnine – afferma Ciorra – e ci vorranno pochi mesi. Entro il 2017 avremo tutta la rete autostradale coperta con le nuove colonnine da 22 kW. Ancora non sappiamo esattamente quante postazioni di ricarica ci saranno in ogni area di servizio, sarà un’analisi fatta in base al traffico, ma ogni postazione può gestire tre auto quindi con 5 colonnine possiamo gestire 15 automobili contemporaneamente”. Ad oggi le aree di servizio in Italia sono circa 460, è lecito quindi pensare un numero di postazioni variabili dalle 10 alle 20 a seconda dei casi, ma i numeri esatti si conosceranno solo a fine giugno. L’obiettivo di Enel, che sta realizzando l’infrastruttura in collaborazione con il Politecnico di Milano, è di soddisfare la richiesta di 1 milione di auto elettriche entro due anni, con 20.000 colonnine distribuite in tutta Italia. Andare da Milano a Napoli non sarà più un problema neppure con un’auto elettrica, anche se si devono calcolare i tempi della sosta tecnica per la ricarica. Secondo Enel servono circa 20 minuti per tornare operativi, ma in realtà con una colonnina da 22 kW per portare all’80% una Leaf con batteria da 30 kW ne servono almeno il doppio. La creazione di una infrastruttura di rete è in ogni caso fondamentale, e Ciorra fa il paragone con le reti di segue a pagina 18 n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE Dichiarazioni rilasciate da Sean Cummings, Vice Presidente Senior Harley Harley-Davidson: elettrica entro il 2021 Il discusso prototipo LiveWire della Casa di Milwaukee non rimarrà solo un esperimento H di Giulio MINOTTI arley-Davidson sembra intenzionata a lanciarsi nel mercato delle moto elettriche nei prossimi cinque anni. Secondo le dichiarazioni fatte al Milwaukee Business Journal da Sean Cummings, Vice Presidente Senior della Casa americana, il celebre produttore di moto avrebbe un production plan che prevede la messa in vendita di un modello elettrico entro il 2021. Harley-Davidson, famoso per le sue moto tradizionali, rumorose e ricche di cromature, ha già fatto i primi passi in questo nuovo settore con la realizzazione del prototipo LiveWire. Realizzato due anni fa per raccogliere feedback dai biker di tutto il mondo e dotato di un look moderno, questo concept marciante è equipaggiato con un motore asincrono trifase con una potenza di circa 75 Cv ed è in grado di raggiungere una velocità massima limitata attorno ai 150 km/h con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 4 secondi. Purtroppo, a causa delle batterie da soli 7 kWh, l’autonomia è abbastanza ridotta, circa 80 km. Questo prototipo dotato, ovviamen- te, di una strumentazione completamente digitale, presenta anche elementi innovativi nel telaio non più doppia culla ma perimetrale, con forcella a steli rovesciati, singolo disco anteriore ed il monoammortizzatore semi-orizzontale, novità assoluta su un’Harley. Gli occhiali con speaker a conduzione ossea Gli occhiali da sole Panther di Zungle nascondono al loro interno un sistema audio a conduzione ossea integrato nelle aste. Riprendono il design degli Oakley Frokskins, hanno connettività Bluetooth 4.1 con aptX, batteria da 300 mAh e porta micro USB nascosta tra asta e montatura che consente di ricaricare in meno di un’ora la batteria per un’autonomia di quattro ore. Possono essere controllati tramite comando touch nell’asta destra, che consente di gestire la riproduzione musicale e rispondere alle chiamate. Disponibili con montature in cinque diversi colori, lenti UV400 in 7 tinte e sono ordinabili su Kickstarter a partire da 109 dollari (un secondo paio di lenti è in omaggio) con consegne a novembre. La campagna di crowdfunding sta riscuotendo un ottimo successo. AUTOMOTIVE Enel, 10.000 colonnine in autostrada segue Da pagina 17 telefonia mobile: “Se non si fosse creata una infrastruttura abbondante nessuno avrebbe usato i cellulari. Vogliamo fare lo stesso con la rete elettrica di ricarica, creare una infrastruttura abbondante per stimolare tutti a passare dal termico all’elettrico.” Una rete che, come il dirigente tiene a sottolineare, dovrà essere una “rete di tutti e non una rete Enel per clienti Enel”. Una rete italiana per gli italiani e per i turisti che arrivano dall’estero, che potranno grazie ad una applicazione abbinare una carta per il pagamento e ricaricare l’auto dove vorranno a prezzi concorrenziali. La rete dovrà essere aperta anche a tutti i gestori di energia elettrica, ognuno dei quali potrà fare l’offerta che ritiene migliore ai suoi clienti. Su questo punto in è attesa una risposta dall’ente regolatore, che dovrà decidere se Enel dovrà fare una rete per Enel oppure se Enel potrà fare una rete ad uso di tutti. Enel vede nell’elettrico anche una soluzione ai problemi di efficienza energetica delle città: secondo il Direttore Innovazione e Sostenibilità Enel è l’unica al mondo ad avere la tecnologia per prelevare energia dalle auto collegate alla rete e utilizzarla per compensare gli stress della distribuzione. Questo vuol dire che in piena estate, quando l’accensione dei condizionatori crea un deficit sulla rete delle grosse metropoli, Enel sarà in grado di interrompere per qualche minuto la ricarica delle auto agganciate alle colonnine e sfruttare la batteria delle auto per andare a equilibrare gli scompensi della distribuzione, evitando così i blackout. Una soluzione questa che interessa anche le aziende: torna al sommario dotandosi di una flotta elettrica e installando posti per la ricarica si potrebbero sfruttare le batterie delle auto connesse per ridurre la richiesta di energia dalla rete. In ottica futura la cosa potrà svilupparsi anche in ambito domestico, dove Enel ha già pianificato una serie di investimenti per abbattere i costi della ricarica elettrica al consumatore finale: oggi la colonnina privata nel box costa circa 2.000 euro, ma Ciorra assicura che a breve questo costo sarà ridotto di un terzo grazie ad un nuovo modello di Box Station venduto a 600 / 700 euro. Parallelamente si sta lavorando anche in ambito legislativo per offrire livelli di servizio e tempi di scadenza certi anche per l’installazione delle infrastrutture di ricarica casalinghe, perché oggi capita che l’acquirente di un auto elettrica riceva prima l’auto dell’infrastruttura necessaria per ricaricarla. Una nota infine sull’ambiente: le batterie delle auto hanno 5 anni di vita utile, ma questo non esclude che possano essere riutilizzate altrove dove non è richiesto un altissimo livello di efficienza. Anche se alcune aziende possono recuperare il 98% degli ioni di litio presenti in una batteria per ulteriori utilizzi, Enel utilizzerà per altri 15 anni le batterie recuperate dalle auto per creare poli di riequilibratura della rete elettrica italiana, tante batterie installate nei nodi di distribuzione che possano far fronte alle richieste improvvise. Batterie che, è bene precisare, a tendere saranno ricaricate con energia rinnovabile: oggi infatti parte dell’energia per caricare le auto elettriche è prodotta con fonti non rinnovabili, e se è vero che girare per le città con un auto elettrica è “green”, quando si fa il “pieno” parte di quell’energia non lo è ancora. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE Il fotovoltaico dovrebbe ridurre i consumi del motore elettrico fino al 10% In arrivo la Toyota Prius a energia solare Presto in commercio la Prius plug-in hybrid con in opzione un pannello fotovoltaico nel tetto N di Alvise SALICE el campo dell’automotive, la tecnologia fotovoltaica ha trovato applicazioni rare e marginali: mantenere in carica la batteria da 12 volt della Nissan Leaf, o alimentare il climatizzatore a motore spento nell’Audi A8. Poca roba insomma. Fino ad oggi. Toyota ha da poco presentato in Giappone un nuovo modello dell’auto che da vent’anni rappresenta il suo cavallo di battaglia nella corsa al risparmio di carburante: la Prius Plug-in Hybrid. Bene, la Prius ibrida di prossima generazione (in vendita in Italia il prossimo inverno) potrà montare fra i suoi optional un avveniristico tetto capace non solo di immagazzinare l’energia solare, ma anche di convogliarla direttamente nel propulsore elettrico, che la riutilizzerà per aumentare del 10% la AUTOMOTIVE Il giro del mondo in Tesla Model S È partito da Milano il giro del mondo a bordo di una Tesla Model S, dove la società Ecolibera.it che sponsorizza l’evento ha la sede e sarà l’AD, Pierpaolo Zampini, a guidare (quando non lo farà l’Autopilot) la Model S P85D con 500 km di autonomia. Il progetto “Tesla World Tour Ecolibera. it” ha lo scopo di dimostrare che le auto elettriche non sono il futuro ma già il presente e tra poco saranno alla portata di molti, permettendo spostamenti di qualsiasi entità senza emettere monossido di carbonio. Il giro del mondo a zero emissioni è sostenuto anche da Tesla Club Italy, BioEcoGeo e dalla comunità Aboliamo il Motore a Scoppio, e potrà essere seguito sulle relative pagine Facebook. Si parte con Europa, Stati Uniti e Giappone nel 2016, il tutto terminerà il prossimo anno con Cina, Australia, Africa e Sud America. Le ricariche saranno effettuate prevalentemente ai SuperCharger Tesla oppure si sfrutterà il sistema di ricarica Tesla, in grado di strappare energia da qualsiasi presa elettrica. torna al sommario propria già ragguardevole autonomia. In soldoni, se la nuova Prius Plug-in Hybrid per ogni pieno di benzina dichiara 50 km a regime elettrico, con il tetto solare opzionale, tale risultato salirà a 55 km. Lo straordinario (e presumibilmente caro) accessorio in questione verrà poi sfruttato dall’elettronica della Prius Plug-in Hybrid anche per alimentare i fari a LED, il climatizzatore e i cristalli elettrici con l’auto in marcia, al fine di ridurre il carico sulla batteria. Dopo aver debuttato sul modello più importante, ci si aspetta che il magico tetto solare possa fare capolino anche sulle altre vetture Toyota e Lexus della gamma Hybrid. BWM vuole metterti in casa le batterie usate delle auto. E non sarebbe male Al World Electric Vehicle Symposium and Exhibition di Montreal, il produttore tedesco ha presentato una soluzione in grado di impiegare le batterie usate della i3 e capace di immagazzinare energia elettrica per alimentare sia una casa sia una vettura elettrica di Giulio MINOTTI AUTOMOTIVE Dichiarazioni del CEO Matthias Muller VolksWagen a tutta elettricità 30 auto elettriche entro il 2025 di Massimiliano ZOCCHI C’ è una data che ricorre spesso nei piani futuri dei grandi del settore automotive: 2025. Secondo molti è questo l’anno entro cui il mondo delle auto sarà definitivamente diverso, più smart, e soprattutto più elettrico, ed ora sappiamo che lo crede anche VolksWagen. Il CEO Matthias Muller ha presentato il piano strategico per il rilancio dell’azienda, denominato proprio “Together - Strategy 2025”. Il dato che salta all’occhio più di tutti è certamente l’interesse per le vetture elettriche: entro il 2025 arriveranno 30 nuovi modelli “elettrizzati”, con un target di vendita annuale tra 2 e 3 milioni di veicoli. Altri punti nei piani di VW ricordano molto da vicino quello che sta facendo Elon Musk con Tesla Motors ormai da tempo, e cioè cercare di portare tutta la produzione in casa, comprese le batterie (e lo sta facendo anche Mercedes), oltre a una crescente attenzione al mondo digitale e alla guida autonoma, tanto che il gruppo tedesco entro la fine del decennio vorrebbe avere pronto il Self-Driving System, e offrirlo anche ad altre compagnie. Per raggiungere tutti questi risultati saranno necessari investimenti di miliardi di euro in doppia cifra, e per ora VolksWagen non specifica esattamente da dove raccoglierà tali fondi, se non con una generica ottimizzazione dei costi, dell’efficienza, e migliorando i guadagni sulle vendite attuali, in tutti i marchi controllati dal gruppo tedesco. Anche BMW, dopo Tesla, Nissan e Mercedes-Benz si lancia nel settore dei sistemi di stoccaggio domestico. L’accumulatore presentato all’EVS29, ancora sotto forma di concept, consente di immagazzinare energia per alimentare abitazioni e auto elettriche. Questo può essere integrato con un impianto fotovoltaico o con altre fonti rinnovabili e permette anche di accumulare energia nelle batterie quando le tariffe della corrente sono più basse; energia che potrà essere utilizzata in casa, ad esempio, durante i black out o per ricaricare la propria auto a costi più bassi. Il sistema disponibile nei tagli da 22 o 33 kWh, è infatti in grado, secondo le stime di BMW, di alimentare una normale abitazione per 24 ore. Questa soluzione che rientra nella piattaforma “BMW i 360° Electric”, è stata progettata per utilizzare sia batterie nuove sia modelli già usati, impiegati sulla i3. Al momento non ci sono ancora dettagli sul prezzo e sui tempi di commercializzazione di questo sistema. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE AUTOMOTIVE “Novità mondiale in campo automobilistico”, così è definita la tecnologia Nissan Nissan, auto elettriche con bio-etanolo L’autonomia è super, arriva a 800 km Nissan lavora a una cella a combustibile che funziona con idrogeno derivato dal bio-etanolo Servirà ad alimentare auto elettriche con autonomie molto elevate, anche 800 km N di Giulio MINOTTI issan sta sviluppando una nuova tecnologia che potrebbe risolvere i problemi di rifornimento e stoccaggio dell’idrogeno all’interno delle auto dotate di celle a combustibile. Gli ingegneri della Casa giapponese stanno lavorando su una Fuel Cell a Ossido Solido, alimentata dall’idrogeno estratto dal bio-etanolo. Questo sistema prevede la presenza all’interno dell’auto di un serbatoio riempito di biocarburante (anche mescolato ad acqua), che attraverso un “reformer” viene trasformato in idrogeno. L’idrogeno, mescolato all’ossigeno presente nell’aria, permette attraverso la cella a combustibile di generare corrente ricaricando le batterie che alimentano il motore elettrico del veicolo. La batteria diventa quindi un enorme condensatore che permette al motore di funzionare e di aver lo spunto necessario, ma la carica AUTOMOTIVE Guida sicura con l’head-up display iScout S’interfaccia a smartphone, tablet e device portatili Android, offre un head-up display visibile di giorno e di notte e visualizza informazioni come la mappa di navigazione (grazie al GPS integrato) e le notifiche dal cellulare collegato in Bluetooth. iScout è la prossima generazione degli HUD da cruscotto, il cui autofinanziamento su Kickstarter procede a gonfie vele. Renderà la guida più sicura anche grazie alle due videocamere (edizione premium) che trasmettono al display le immagini degli angoli morti, rendendo più semplici manovre in retromarcia e cambi di direzione. Sarà possibile usare i comandi vocali per inviare messaggi, effettuare chiamate e cambiare traccia musicale. I prezzi: 269 € per la versione base (priva di videocamere, da novembre), 399 per la VIP (ad agosto). torna al sommario arriva dalla cella combustibile. Con questa soluzione non sarebbe più necessario impiegare complessi e costosi sistemi di stoccaggio dell’idrogeno liquido nell’auto e si potrebbe sfruttare la rete di distribuzione dei carburanti diesel e benzina già esistente. Il bio-etanolo, infatti, è largamente disponibile nelle nazioni europee, in Nord e Sud America e in Asia, anche se non rappresenta ancora un’alternativa su larga scala ai carburanti tradizionali. Infine, secondo Nissan, i costi di esercizio di questo sistema dovrebbero essere paragonabili a un odierno veicolo elettrico ma con un’autonomia simile a quella delle auto a benzina, più di 600 km. In futuro si potrebbe arrivare addirittura a 800 km. In Svezia l’auto elettrica la carichi dal vicino di casa In Svezia, un Paese che ha fatto della condivisione una filosofia fondante della propria società civile, è nata una piattaforma online che, se esportata, potrebbe risparmiare molti grattacapi a un bacino d’utenza in continua crescita. Il servizio, ideato da Renault per il territorio svedese, si chiama Elbnb e consente a qualsiasi privato di mettere a disposizione la propria rete domestica per la ricarica di un’auto elettrica. Sul sito (e, immaginiamo, sulla relativa app) è disponibile una mappa con le indicazioni dei singoli punti di ricarica. I costi del servizio vengono determinati dai privati stessi, coi quali ci si mette in contatto in modo rapido ed efficiente. L’esperimento di Renault è teso a sensibilizzare i politici svedesi sul tema delle auto elettriche e sulla diffusione di punti di ricarica “ufficiali”. Non è detto che il marchio francese non proponga lo stesso progetto in altri Paesi nei mesi a venire. AUTOMOTIVE Il CEO ha rivelato che l’automobile sarà prodotta in pochi esemplari, solo 99 Aston Martin Nebula sarà l’auto più veloce al mondo Aston Martin in collaborazione con Red Bull sta lavorando a una nuova vettura, Nebula Sembra che punti a battere il record di velocità per una vettura di serie, forse ibrida A di Massimiliano ZOCCHI ston Martin e Red Bull hanno mostrato in gran segreto la loro prossima creatura ai potenziali clienti in un evento a margine del Gran Premio di Monaco. L’auto conosciuta al momento solo come AM-RB 001 o Project Nebula sarà ultimata solo nel 2018 e ciò che i clienti hanno visto è solo un modello in scala reale, per immaginarsi come spenderanno una cifra tra i 2 e 3 milioni di sterline. La collaborazione tra i due brand è strettissima, tanto che pare nel progetto sia coinvolto anche il leggendario progettista di Formula 1 Adrian Newey. Aston Martin sfruttando la disponibilità economica di Red Bull vuole battere il record di velocità per una vettura di serie. Per guadagnarsi la palma di auto più veloce al mondo la Nebula dovrà fare i conti con avversarie di sicuro valore, come la Bugatti Chiron. Per sbaragliare la concorrenza, la motorizzazione erediterà molto dal mondo delle corse. Indiscrezioni parlano di un motore centrale, ibrido benzina-elettrico, di netta derivazione dalla Formula 1, da cui prenderebbe anche il sistema di rigenerazione dell’energia elettrica. Se il vostro portafoglio è tanto grande, affrettatevi, poiché il CEO Andy Palmer ha rivelato che sarà una serie limitata a soli 99 esemplari, e omologata in pochi mercati europei e medio orientali. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE SMARTHOME Per non arrivare troppo tardi a rispondere al citofono la soluzione arriva da BTicino 300X di BTicino, più facile rispondere al citofono Il videocitofono di BTicino si connette tramite Wi-Fi per poter rispondere dallo smartphone Si installa molto facilmente e si può usare anche per aprire cancelli e controllare il portone A di Roberto FAGGIANO vete presente quando qualcuno suona ll citofono e voi siete dall’altra parte della casa? Una corsa verso l’ingresso non basta: il fattorino con il pacco di Amazon se ne è già andato mentre il postino con la raccomandata vi ha già dato per assenti e ha lasciato un avviso per ritirarla in un ufficio a 10 km di distanza e in orari impossibili. In queste occasioni il nuovo videocitofono Classe 300X13E di BTicino sarebbe stato molto utile, perché quando qualcuno suona alla vostra porta potrete tranquillamente rispondere dallo smartphone, senza alzarvi dal divano oppure perfino se siete fuori casa. Basta scaricare l’apposita applicazione già disponibile per Android e iOS. Tramite l’applicazione Door Entry si possono anche attivare altre funzioni: aprire cancelli, far partire un impianto di irrigazione, accendere o spegnere l’illuminazione del giardino, sfruttare la telecamera del videocitofono per controllare l’ingresso di casa, parlare con le persone a casa, sostituire il telecomando del box e altro ancora. E se proprio non si può rispondere, per esempio durante un viaggio in aereo, si può impostare un messaggio di risposta oppure registrare una comunicazione di chi ha suonato al citofono e si può anche videoregistrare ogni persona che si è presentata davanti a casa nostra. Volendo si possono anche installare delle telecamere in casa, sempre con funzione di controllo da remoto. Il videocitofono è al centro del sistema, con un ampio display touch da 7 pollici, che si usa per impostare le principali funzioni e per abilitare (o disabilitare) fino a 20 diversi smartphone e tablet connessi alla rete. Il costo del nuovo torna al sommario videocitofono e dell’installazione non sono esagerati perché il 300X13E di BTicino usa un sistema a due fili e può quindi facilmente sostituire anche un vecchio citofono, mentre la connessio- ne Wi-Fi limita o evita del tutto i lavori di connessione. Il nuovo videocitofono Classe 300X13E è il primo prodotto del progetto Eliot di BTicino, già illustrato da DDay lo scorso anno. Momit Cool rende smart tutti i condizionatori Momit Cool è un gadget che consente una gestione più intelligente del condizionatore d’aria, un dispositivo per regolare in modo smart la temperatura di casa a seconda della propria posizione, delle abitudini e ottenere un risparmio in bolletta. Il dispositivo può essere montato in pochi minuti e senza nessun attrezzo; è, infatti, sufficiente attaccarlo, tramite una superficie adesiva, sul climatizzatore e collegare al router il Momit Gateway, sfruttando la porta Ethernet. Momit Cool è compatibile con tutti i climatizzatori dotati di telecomando a infrarossi, apprende le funzionalità da quest’ultimo e lo sostituisce con un’app completa di funzionalità “connesse”. Questa app, per iOS e Android e presto anche per smartwatch, accende e spegne il clima in base alla nostra posizione, per godere sempre di un ambiente fresco. Momit Cool kit è ordinabile dal sito dell’azienda a 129 euro. SMARTHOME Un tentativo di reiventare la rete di casa abbandonando il concetto di router Plume, un sistema che migliora il Wi-Fi domestico Tanti piccoli hotspot Wi-Fi da attaccare alla presa di corrente di ogni stanza che si vuole coprire di Franco AQUINI I l Wi-Fi è diventato ormai una necessità primaria dalle nostre parti e molte aziende stanno facendo a gara per semplificarne la gestione. Plume è una di queste e propone un nuovo concetto di rete Wi-Fi domestica: con i suoi Pods, piccoli dispositivi da collegare alla presa della corrente, vuole distruggere completamente il concetto di router Wi-Fi e semplificare l’installazione e la gestione della rete. Tutti proviamo disagio quando abbiamo un qualsiasi problema con la rete Wi-Fi di casa. Stanze non coperte perfettamente, segnale che cade, velocità non ottimale sulla console da gioco e video in streaming che cominciano a scattare sul più bello. La soluzione secondo Plume è ripensare totalmente il concetto: con i suoi piccoli Pod, stando a quanto promesso dall’azienda, si può eliminare qualsiasi problema, basta inserirne uno in ogni stanza che si vuole coprire e la rete sarà efficiente ovunque in casa. È un concetto molto simile al multiroom per l’audio, insomma: non più un solo impianto in salotto, ma tanti diffusori in ogni camera che dialogano tra loro. Non può mancare la parte smart, perché i Pod sono in grado di ottimizzare il traffico, per garantire un flusso costante allo streaming 4k, per esempio. I Pod, semplificando, sono degli extender Wi-Fi 802.11ac, quindi con una velocità teorica che può arrivare a 1.200 Mbps. Utilizzano le frequenze da 2.4 e 5 GHz, ottimizzandone l’uso per estendere sia la potenza che la portata del segnale. Il tutto si gestisce facilmente tramite l’app su smartphone. Ognuno ha una porta Ethernet che può funzionare sia da porta di rete, appunto, sia da porta WAN, per poter collegare il modem o il router centrale di casa, che comunque bisogna avere. I Pod di Plume usciranno a fine anno a un costo di 49$ ognuno. È possibile preordinarli al prezzo scontato di 39$, ma il pacchetto minimo è di 6 pezzi, quindi la spesa è di 234$. Forse un po’ troppo per un appartamento italiano medio. Scopri la Carta Fan, la carta fedeltà che ti premia fin da subito e con la quale puoi usufruire di molti vantaggi e sconti! Adesso con l’App Trony, la Carta Fan è digitale! Portala sempre con te per raccogliere punti, ricevere premi e fantastici buoni acquisto. L’App Trony è disponibile su: Visita il sito app.trony.it per maggiori informazioni su sconti, voucher e servizi dedicati. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Abbiamo messo a confronto 4 modelli di cuffie dotate di circuito per la riduzione del rumore, scopriamo qual è la migliore Sfida a colpi di silenzio: 4 cuffie una contro l’altra Vediamo quanto riescono a ridurre il rumore e come suonano, fattore sempre fondamentale per valutare le prestazioni A di Roberto FAGGIANO lle cuffie chiediamo di riprodurre la nostra musica preferita, ma questa volta vogliamo di più: prima di riprodurre suoni devono cancellare tutto il rumore molesto che ci circonda ormai ovunque, non solo durante un lungo viaggio in aereo o in treno ma anche negli spostamenti quotidiani casa - lavoro. Per il nostro test abbiamo selezionato quattro cuffie con riduzione del rumore dalle caratteristiche tecniche di rilievo e di conseguenza anche piuttosto costose. La Parrot Zik 3 (350 euro) è la terza versione della cuffia disegnata da Philippe Starck che ha inaugurato l’era delle cuffie controllate da un’applicazione. La Philips Fidelio NC1 (250 euro) è un classico modello con cavo dall’aspetto molto semplice ma pratico, leggera e comoda ma con un sofisticato sistema di cancellazione del rumore, mentre la Sennheiser Momentum Wireless (449 euro) è il modello più costoso del test ma si ripaga con il collegamento Bluetooth, una finitura molto curata e materiali duraturi. La Sony MDR-100 ABN (300 euro) è il modello che più attira lo sguardo perché è disponibile in molti colori vivaci su finitura metallica, ha il Bluetooth e si rivolge al pubblico più giovane e a chi non ama passare inosservato. Per tutte le cuffie il controllo della qualità della riduzione del rumore si è sommato ad un attento ascolto musicale, perché sarebbe inopportuno ridurre benissimo il rumore e poi riprodurre in modo mediocre la musica. Cancellazione del rumore Ecco come funziona Prima di passare al test vero e proprio facciamo un ripasso su come funzionano le cuffie NC, eredi dei primi modelli pionieri dell’aviazione, dove avevano il compito di attenuare l’incessante rombo dei motori, quando i piloti non erano piazzati in comodi posti di comando ben isolati come ora avviene sui grandi aerei di linea. I circuiti per la riduzione del rumore sfruttano dei mi- video lab crofoni sistemati nei padiglioni che percepiscono i rumori che ci circondano e creano delle onde sonore opposte che vanno a cancellarli o attenuarli. Più sono i microfoni – da due a quattro – più efficace sarà la riduzione del disturbo. Le frequenze più semplici da cancellare sono quelle basse e medie, per esempio il rombo di un motore di aereo oppure quello generato dalle ruote del treno sui binari, mentre le voci e i disturbi a frequenze più elevate sono più complessi da ricostruire e quindi il circuito NC farà con più fatica il suo lavoro. Proprio la presenza di microfoni e circuiti rende indispensabile l’alimentazione, anche se si usa un collegamento via cavo. Parrot Zik 3, la cuffia d’autore La cuffia firmata da Philippe Starck è giunta alla sua terza edizione con estetica ritoccata solo per quanto riguarda la finitura e con nuovi colori disponibili. Nell’esemplare in prova c’è un elegante rivestimento effetto trapuntato che si somma alla grande cura di ogni dettaglio e ampio uso di finiture metalliche. Prima di iniziare il test bisogna però scaricare l’apposita applicazione che permette di personalizzare la cuffia praticamente su ogni parametro, applicazione già compatibile anche con gli smartwatch Apple e Android. Tramite app si possono inserire curve di equalizzazione personalizzate da vari personaggi oppure crearsi la propria, si può inserire l’effetto surround con diverse opzioni ambientali e soprattutto si può variare i livello di intervento del circuito NC secondo le diverse situazioni, il tutto semplicemente spostando il dito sul display. Il dito serve pure per i comandi diretti a sfioramento sul padiglione destro, funzioni abbastanza intuitive ma piuttosto imprecise, tanto che risulterà molto più semplice usare i comandi del segue a pagina 24 Parrot Zik 3, 350 euro torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Comparativa cuffie NC segue Da pagina 23 telefono o dell’app. La cuffia una volta indossata è piuttosto comoda, i padiglioni non sono ripiegabili ma solo orientabili, poi va notato che il meccanismo per assestare l’archetto nella giusta posizione è durissimo perfino usando due mani, forse un difetto del nostro esemplare. Dal punto di vista tecnico la Zik monta trasduttori da 40 mm e l’autonomia della batteria è di 18 ore, lasciando comunque la possibilità di usare la cuffia via cavo a batteria scarica, batteria che può anche essere sostituita perché facilmente accessibile sotto al padiglione. Per la ricarica si può usare anche un pad per la modalità senza fili, ma è un optional che costa 35 euro; si paga a parte pure la custodia per il trasporto e costa altri 40 euro, forse un po’ troppo dato il prezzo di listino della cuffia. Il Bluetooth è un 3.0 con abbinamento NFC ma senza aptX. L’ascolto di questa Parrot è stato insolito perché è difficile resistere alla tentazione di iniziare a giocare con l’app e tutte le sue possibilità: l’equalizzatore è uno dei punti di forza perché consente di stravolgere nel bene e nel male qualsiasi pezzo musicale mentre gli effetti DSP per diversi generi musicali sono sempre gradevoli ma piuttosto tenui nei loro interventi. Per quanto riguarda la riduzione del rumore, l’app trasforma lo smartphone in un fonometro, con l’indicazione in decibel del rumore che ci circonda e di quanto lo possiamo ridurre, quindi si può efficacemente tarare l’intervento a seconda delle situazioni, pur senza raggiungere mai – opportunamente – il silenzio assoluto. L’inconveniente di un’app così evoluta è quello Philips NC1, 250 euro che alla fine anziché ascoltare la musica si gioca con la cuffia, anche perché quando si prova ad escludere l’equalizzatore e l’effetto DSP al confronto sembra di ascoltare un citofono. Quindi l’importante è non rimanere mai senza batteria perché altrimenti l’ascolto piacevole dei diversi effetti combinati fa sembrare del tutto inadeguata la cuffia senza aiuti elettronici. Philips NC1, leggera e semplice La cuffia Philips ha scelto la strada della leggerezza e del comfort, caratteristiche utili durante un viaggio quanto la riduzione del rumore; l’aspetto quindi è piuttosto semplice, con padiglioni completamente imbottiti in memory foam che non circondano l’orecchio ma diventano molto comodi durante l’uso. Massiccio l’archetto metallico e di aspetto robusto il meccanismo che permette di ripiegare i padiglioni in pochissimo spazio. In dotazione c’è una borsa rigida per il trasporto, dove trovano posto anche i cavi di collegamento e ricarica, il cavo è di buona qualità soprattutto ai terminali. Il sistema di cancellazione del rumore di questa cuffia prevede l’utilizzo di ben quattro microfoni per cogliere gli elementi di disturbo e cancellarli creando onde sonore di fase opposta per avere sempre la cancellazione più efficace; sulle frequenze più alte sono già molto efficaci i padiglioni imbottiti in semplice modalità passiva. Per controllare la carica della batteria integrata c’è un led vicino al tasto di accensione che segnala l’eventuale necessità di ricaricare la cuffia. Il collegamento alla sorgente è solo via cavo, con microfono universale per le conversazioni telefoniche. Dal punto di vista tecnico la NC1 impiega trasduttori da 40 mm, impedenza di 16 ohm e sensibilità di 107 dB mentre l’autonomia dichiarata per la batteria è di 30 ore. Al momento dell’ascolto la cuffia Philips mostra una buona qualità generale, con una risposta in frequenza tutto sommato equilibrata anche se non molto generosa sui bassi. Sull’estremo acuto la resa è piuttosto dettagliata e aiuta a ottenere una buona tridimensionalità, Il meglio viene dalle voci che sono sempre ben al centro della scena e con un buon corpo, prive di sibilanti e altre spigolosità, Alzando il volume la cuffia perde l’equilibrio apprezzato finora e diventa meno gradevole, specie con la musica più compressa. Il sistema di riduzione del rumore sembra piuttosto selettivo, agendo più su alcune frequenze che su altre, alcuni rumori secchi vengono filtrati poco mentre con motori e rombi la cancellazione è migliore. Sulle voci la cancellazione è in genere ottima, ma con l’eccezione di voci acute come quelle dei bambini. Insomma ideale per “zittire” quei vicini di poltrona in treno che non smettono mai di telefonare; l’isolamento passivo è comunque piuttosto buono nonostante i piccoli padiglioni non avvolgenti, usando a lungo il sistema di cancellazione però rimane in sottofondo un fruscio abbastanza fastidioso. Sennheiser Momentum Wireless Il nome conta In una rassegna di cuffie un modello Sennheiser non può mancare e qui abbiamo scelto la versione senza fili di un modello da qualche tempo a listino, recentemente rinnovato e che ha segnato una svolta verso il pubblico più attento alla forma oltre che alla sostanza, come dimostrato dal prezzo di listino di 449 euro che la pone tra le scelte più costose della categoria. Per la sostanza i tecnici della casa tedesca hanno sviluppato appositamente il circuito di riduzione del rumore chiamato Active Noise Gard e non manca il microfono integrato per le telefonate. Per quanto riguarda l’aspetto i materiali utilizzati sono più robusti che raffinati, anche se in effetti c’è largo uso di pelle e metallo per raggiungere un livello di finitura adeguato al non trascurabile prezzo di listino. Tutto però è orientato alla durata più che a soddisfare la vista. I controlli della cuffia sono concentrati sul padiglione destro, dove c’è anche il collegamento via cavo, perché questa cuffia funziona normalmente anche via cavo se la batteria è esaurita, rinunciando però al circuito di riduzione del rumore. Si può controllare il volume e rispondere alle chiamate telefoniche, con tasti meccanici che si riconoscono facilmente al tatto ma che vanno utilizzati in sequenza per avere l’azione desiderata. La disponibilità di energia della batteria viene indicata da una sequenza di spie luminose ma l’effetto non è molto chiaro, specie se non si sono lette prima le istruzioni: molto meglio visualizzare direttamente sul display del telefono lo stato di carica, almeno per quegli smartphone (come gli iPhone) che lo prevedono. Dal punto di vista tecnico vengono utilizzati trasduttori da 40 mm in padiglione chiuso, impedenza di 28 ohm (in modalità senza riduzione rumore) mentre l’autonomia della batteria è di circa 22 ore con circuito NC attivato ; per quanto riguarda il collegamento senza fili abbiamo un Bluetooth 4.0 con aptX e abbinamento automatico NFC. Da poco è Sennheiser Momentum Wireless , 449 euro segue a pagina 25 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Comparativa cuffie NC segue Da pagina 24 anche disponibile l’applicazione CapTune per personalizzare la resa sonora e accedere ai propri contenuti musicali, attualmente però è solo per dispositivi Apple con iOS 8 e comunque non riguarda la fase di cancellazione del rumore. Al momento dell’ascolto le cuffie Sennheiser svelano il loro lato migliore, restituendo musica con qualità eccellente, c’è tutta l’esperienza del marchio in tema di cuffie monitor da studio di registrazione con bassi molto profondi ma controllati, in grado di addomesticare anche i brani più “inascoltabili” per un utente che abbia superato la ventina. Sugli acuti invece la risposta è più morbida per evitare eccessi da studio di registrazione ma senza nulla togliere al miglior dettaglio possibile e a una buona tridimensionalità. La risposta in frequenza è migliore con il collegamento via cavo, anche ascoltando un semplice streaming da Spotify e quindi, appena possibile sarà utile evitare il Bluetooth. La riduzione del rumore è molto efficace anche se non completa, per intenderci non si ha mai quell’effetto “sottovuoto” che a volte può anche dare fastidio, rimane solo un lieve fruscio di fondo che indica il funzionamento del circuito. Bisogna dire che l’isolamento dai rumori esterni è già notevole in modo passivo, grazie ai padiglioni chiusi che circondano l’orecchio. Tirando le somme una cuffia di qualità eccellente che giustifica il salato prezzo di listino, in primo piano c’è sempre la musica mentre il rumore se ne sta buono in un angolino e non disturba l’ascolto. Sony MDR-100 ABN, suoni e colori Le cuffie h.ear presentate per la prima volta alla scorsa edizione dell’Ifa hanno ora una versione con cancellazione del rumore, ancora più costosa ma sempre con la stessa veste estetica molto elegante con effetto metallico, sempre disponibile in molti colori che non passano certo inosservati. completa di custodia nella stessa tinta. Peccato che il prezzo salga di ben 100 euro rispetto alla versione base, portandosi a quota 300 euro. Oltre a essere piacevole esteticamente la cuffia Sony è anche ”parlante” dato che una bella voce femminile segnala l’accensione e lo spegnimento della cuffia e del Bluetooth, ovviando all’impossibilità di vedere le spie luminose mentre si indossa la cuffia; per inserire il circuito NC c’è un altro tasto con relativa spia, dato che la cuffia funziona anche via cavo e anche senza batteria se non serve la riduzione del rumore. Sul lato destro del padiglione ci sono i comandi a bilanciere per il volume e per cambiare brano, entrambi abbastanza facili da individuare. Dal punto di vista tecnico abbiamo trasduttori da 40 mm, e autonomia della batteria di circa 22 ore che salgono a 38 se si usa il collegamento via cavo. Il Bluetooth con aptX è abbinato al sistema NFC e si può anche sfruttare il circuito esclusivo LDAC per la trasmissione senza fili di brani in alta risoluzione dai pochi dispositivi compatibili con questa tecnologia. Vediamo ora come si comporta in pratica la nuova cuffia Sony. La riduzione del rumore è già notevole in modo passivo grazie alla super imbottitura dei padi- torna al sommario Sony MDR-100 ABN, 300 euro glioni, di conseguenza anche molto morbidi e confortevoli. Inserendo il circuito NC invece scatta un effetto risucchio e sottovuoto non proprio gradevole, cui si somma un notevole fruscio di fondo. I rumori però vengono praticamente cancellati per gran parte, lasciando solo un piccolo rombo ascoltabile solo quando non c’è musica e voci lontanissime. La resa musicale utilizzando il cavo è piuttosto indirizzata verso un ascoltatore giovane, quindi tanti bassi e tanto dettaglio che a volte diventano troppo esuberanti seppure non fastidiosi. Con musica tranquilla si apprezzano le voci e una tridimensionalità. Passando all’ascolto senza fili la resa diventa più equilibrata anche se forse si perde qualcosa in gamma bassa, comunque ancora dinamica e gradevole mentre sugli acuti si ha un certo arrotondamento che forse farà perdere qualche piccolo dettaglio ma rende l’ascolto più facile sui tempi prolungati. Sennheiser vince per distacco La vincente del confronto è senza dubbio la Sennheiser che raggiunge prestazioni musicali eccellenti e ha pure un’ottima riduzione dei rumori, un buon compromesso tra quanto rimane leggermente udibile e quanto resta per il contatto con la realtà; purtroppo il prezzo è molto elevato ma la cuffia sembra destinata a durare una vita. Meriti opposti per la Philips che è vincente per il rapporto qualità/prezzo. Parrot e Sony sono più o meno sullo stesso livello: la francese ha dalla sua l’applicazione che permette di giocare sulla resa sonora e sul livello di riduzione del rumore, fattori che per alcuni possono essere fondamentali, però la resa sonora senza aiuti non è impeccabile. La Sony ha una riduzione del rumore quasi totale che può anche non essere gradevole mentre la resa sonora è buona con il Bluetooth ma non proprio all’altezza del prezzo e un po’ troppo puntata sui gusti dei più giovani. Cuffie Parrot Zik 3 Philips NC1 Senneheiser Sony Momentum W MDR-100 ABN Costruzione e finitura 8 7 8 8 Comfort 7 8 8 8 Bluetooth sì no sì sì Cancellazione rumore 9 7 8 8 Qualità audio 7 8 9 7 Qualità/prezzo 8 9 8 7 n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Si dice che il “3” sia il numero perfetto e OnePlus con il suo nuovo smartphone pare aver preso sul serio la questione OnePlus 3: rapporto qualità prezzo imbattibile Bello, potente, affidabile e ha un prezzo molto interessante.Basteranno queste armi per surclassare la concorrenza? di Vittorio Romano BARASSI iente inviti. Prima di iniziare la nostra approfondita analisi su OnePlus 3 ci sembrava giusto fare il punto su una delle questioni che più hanno fatto tribolare gli utenti di mezzo mondo; lo smartphone è in vendita libera sul sito ufficiale del produttore che finalmente, visti anche i “successi” dei precedenti smartphone, è riuscito a mettere in piedi una rete di vendita e di assistenza all’altezza delle aspettative. Addio dunque al tanto odiato sistema ad inviti; sborsando 399 euro, quasi la metà rispetto al prezzo di gran parte dei top di gamma concorrenti, tutti potranno acquistare un OnePlus 3. E se amate Android, dovreste pensarci seriamente. Come gran parte della stampa specializzata abbiamo provato OnePlus One, il capostipite, OnePlus 2, il degno successore, e pure OnePlus X, il medio gamma che molti sognavano; OnePlus 3 è essenzialmente la summa di ognuno di questi dispositivi: grazie ad una maggiore “esperienza” e grazie soprattutto all’attivissima community, gli ingegneri sono riusciti a capire cosa aggiungere e cosa rimuovere, arrivando ad ottenere un prodotto capace di far davvero la voce grossa. Scopriamolo insieme. N Qualità e finiture al top ma il design sa di “già visto” I precedenti OnePlus non hanno certo fatto dell’aspetto il loro punto di forza e i designer cinesi stavolta si sono messi all’opera al fine di proporre anche uno smartphone molto piacevole alla vista. Il risultato finale è indubbiamente ben riuscito e, anche se pecca di originalità per via di indubbie similitudini con alcuni recenti iPhone e HTC, dona quella sensazione “premium” che la community OnePlus ha evocato a gran voce. OnePlus 3 si presenta con un’elegantissima confezione di vendita nella quale troviamo - ben organizzati - smartphone, cavo USB-USB Type C e caricatore Dash Charge. Ci sono diversi opuscoli e guide, oltre alla ormai irrinunciabile “graffetta” per l’apertura dello slot riservato alle due schede nanoSIM (sì, è video lab OnePlus 3 FORSE NON È IL MIGLIOR ANDROID PHONE, MA A 399€ È UN MUST-BUY 399,00 € OnePlus 3 mantiene tutte le promesse ed è il nuovo “flagship killer” che tutti aspettavano. Offre prestazioni mostruose, un design piacevole e una costruzione esemplare a soli 399 euro, prezzo che è quasi la metà di quello - di listino - dei principali concorrenti e che gli attuali top di gamma raggiungeranno solo dopo molti mesi di permanenza sui mercati. Non è uno smartphone perfetto: ci saremmo aspettati qualcosina di meglio dalla fotocamera e, soprattutto, dall’autonomia, ma “pesando” questi minus con tutti i pregi del dispositivo e con il prezzo di vendita ne risulta un dispositivo di cui sarebbe impossibile non consigliare l’acquisto. Se nelle vostre vene scorre puro sangue “verde Android” prendetelo a scatola chiusa e non ve ne pentirete; se vi attirano i vari Galaxy S7 o i nuovi LG G5, HTC 10 o Huawei P9, pensate bene se vale davvero la pena spendere molto di più per avere, forse, poco di più. OnePlus 3 è Android all’ennesima potenza. Un vero cavallo di razza. 8.8 Qualità 9 Longevità 9 Prestazioni impressionanti COSA CI PIACE Qualità costruttiva e finiture Rapporto qualità-prezzo Design 7 Semplicità 8 D-Factor 8 Prezzo 10 Autonomia non eccezionale COSA NON CI PIACE Mancanza slot micro SD Foto belle ma la concorrenza fa meglio anche dual-SIM). Il modello inviatoci da OnePlus è quello nella colorazione Graphite, ma nei prossimi mesi sarà possibile acquistare anche la variante Soft Gold. OnePlus 3 è uno smartphone caratterizzato da un design unibody in alluminio anodizzato che, a differenza di qualche altro concorrente, risulta estrema- mente solido e compatto in ogni porzione della scocca; le dimensioni di 152,7 x 74,7 millimetri sono nella media della categoria mentre lo spessore di 7,35 millimetri (retro ricurvo, a cui però bisogna aggiungere qualcosa per via della fotocamera sporgente), seppur non da record, è abbastanza soddisfacente. Ottimo il lavoro fatto nel bilanciamento delle masse: OnePlus 3 pesa 158 grammi, già un buon valore per un dispositivo di questo genere, e questi sono distribuiti in maniera talmente ottimale da non far risultare il dispositivo così “pesante” come la scheda tecnica potrebbe suggerire. Pulsante di sblocco e slot per le nanoSIM sono sul lato destro mentre bilanciere del volume e “switch” zigrinato per la selezione delle varie modalità di notifica (Alert Slider a tre livelli - Silent, Priority e All - ormai un must per gli smartphone OnePlus) sono sulla porzione sinistra del device; il lato superiore è sgombro mentre in basso troviamo due piccole viti alle estremità che contornano - da sinistra a destra segue a pagina 27 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST One Plus 3 segue Da pagina 26 - speaker di sistema, ingresso USB Type-C, microfono principale e jack da 3,5mm. Sul retro emergono prepotentemente le due bande scure che fungono da ausilio per le varie antenne, così come spicca la grossa porzione - sporgente - del modulo fotocamera; sopra di esso è nascosto un microfono (che funge anche da secondario per la cancellazione del rumore di fondo in chiamata) mentre al di sotto vi sono il flash LED e il logo OnePlus. OnePlus 3 è senza ombra di dubbio un bel telefono; non dà troppo nell’occhio e appagherà l’utente che lo andrà a scegliere. L’ergonomia è buona e si utilizza abbastanza bene con una mano (ma non vi sono “aiuti” software in questo verso); forse per qualcuno potrà risultare un po’ scivoloso, ma noi non abbiamo mai riscontrato grossi problemi di presa. La scocca resiste abbastanza bene alle ditate e all’utilizzo spensierato: OnePlus 3 non si sporca troppo facilmente e, dopo qualche giorno di utilizzo intenso, non abbiamo neppure riscontrato piccoli graffi e/o ammaccature sui bordi (quasi taglienti al tatto, ma non in maniera fastidiosa). Optic AMOLED molto bello, però… Acceso lo smartphone non si può non restare colpiti dai colori del suo display. È un qualcosa di immediato, che fa subito intuire all’utente un po’ più smaliziato di ritrovarsi dinanzi ad un display basato sulla tecnologia AMOLED, sicuramente un deciso passo avanti rispetto al poco convincente LCD installato su OnePlus 2. Le sensazioni, ovviamente, sono confermate dalla scheda tecnica: quello di OnePlus 3 è un pannello Optic AMOLED da 5,5 pollici di diagonale, con risoluzione Full HD (1920x1080 pixel) e il cui rapporto tra i valori fa risultare gli ormai “soliti” 401 ppi in quanto a densità dei pixel. È giusto essere chiari: non siamo dinanzi ad un display di nuova generazione e la dicitura “Optic” sembra solo una piccola trovata pubblicitaria per sottolineare il fatto che One- Plus abbia lavorato al miglioramento di contrasto e temperatura del colore; insomma è un AMOLED di ultima generazione con qualche trattamento - marginale - extra. Quel che conta davvero, però, è che indubbiamente si tratta di un pannello di qualità: neri profondi, bianchi molto buoni, ottimo contrasto e visibilità più che soddisfacente anche sotto la forte luce diretta del sole. Convincono di meno i colori, bellissimi ma poco naturali, e gli angoli di visione laterali che, seppur ottimi, fanno trasparire immediatamente la tendenza del display a virare leggermente su tonalità blu-verdi (bastano pochi gradi di inclinazione in condizioni di media illuminazione - e con immagini chiare a schermo - per notarlo); anche in questo caso è doveroso sottolineare quanto già ripetuto più volte in passato: si tratta di considerazioni assolutamente marginali, dettagli che nell’utilizzo quotidiano sfuggirebbero tranquillamente ad un occhio meno attento o esperto. In generale il display di OnePlus 3 (che vanta una cornice davvero sottile) si è dimostrato decisamente migliore rispetto a quello di OnePlus 2, al livello di moltissimi concorrenti che costano tanto di più, ma forse un pizzico al disotto ai migliori rappresentanti del settore. Insomma, molto direttamente, il display Super AMOLED di Samsung Galaxy S7 sembra essere ancora il punto di riferimento assoluto. La differenza di prezzo, però, è notevole… Bello e sapientemente realizzato è il vetro Corning Gorilla Glass 4 posto a protezione del display, con tanto di leggerissima finitura 2.5D dei bordi che aiuta a donare la giusta curvatura alla porzione anteriore del dispositivo. Sopra allo schermo troviamo una piccola cassa auricolare, la fotocamera frontale, un comodo LED RGB di notifica e i sensori di prossimità e luminosità, con quest’ultimo sempre in grado di adattarsi velocemente e con precisione ai livelli di illuminazione ambientale. Inferiormente, al di sotto del display, campeggia un grande “tasto Home”: non si tratta però di un vero pulsante poiché non vi è nulla di meccanico da premere e funziona a sfioramento, mentre al suo interno nasconde un pratico sensore per il riconoscimento delle impronte digitali (fino a 5) dell’utente. Il sistema è veloce, molto affidabile e non vi deluderà, ma forse a livello di precisione qualche concorrente (pochi!) riesce a fare ancora meglio. Comodissima la possibilità di poter spegnere il display con un doppio tap sul sensore, che si contrappone al doppio tap sul display per l’attivazione dello schermo. Ai lati del tasto home vi sono anche altri due pulsanti soft-touch, personalizzabili (intercambiabili) nella funzione tramite via impostazioni. Per chi lo volesse, è possibile anche portare a schermo tutti i tasti. Prestazioni da numero uno OxygenOS rimane una garanzia Per essere l’ennesimo “flagship killer”, OnePlus 3 aveva bisogno di una componentistica di primissimo livello e, ovviamente, in Cina non se lo sono fatti dire due volte. Il dispositivo propone quanto di meglio il mercato ha da offrire, puntando tutto su un potentissimo e affidabile SoC Snapdragon 820 di Qualcomm con CPU quad-core Kyro (2 core a 2,2 GHz, altri due a 1,6 GHz) e GPU Adreno 530; ad affiancare il chip ci sono anche ben 6 GB di memoria RAM LPDDR4, quantitativo mostruoso che mai si era visto finora su uno smartphone. Chiude il cerchio lo storage fisico UFS 2.0 da 64 GB, che nei nostri test ha fatto registrare velocità in lettura di oltre 400 MB/s, valore senza dubbio importante e che molti concorrenti provvisti di memorie più lente (vedi alcune eMMC) possono solamente sognare. Rovescio della medaglia? Non c’è uno slot micro SD per espandere lo spazio di archiviazione, ma con 64 GB a disposizione non è poi un problema così grande. All’atto pratico tutto questo “ben di Dio” si dimostra in grado di offrire prestazioni assolutamente straordinarie all’utente di turno; non c’è situazione in grado di mettere in difficoltà OnePlus 3 e ogni operazio- segue a pagina 28 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST One Plus 3 segue Da pagina 27 ne, grazie pure alle velocissime memorie UFS 2.0, è sempre eseguita con una rapidità impressionante. Apertura e chiusura delle app sono immediate, il multitasking non è mai un problema e l’utilizzo di applicativi particolarmente dispendiosi di risorse non scalfisce in alcun modo la solidità prestazionale di OnePlus 3. Giochi 3D di ultima generazione e filmati, anche impegnativi (2160/60p H.264), vengono eseguiti e riprodotti senza imbarazzi di alcun tipo; semmai si può criticare - poco - il percepibile surriscaldamento della scocca posteriore dopo qualche minuto di utilizzo “intenso”, ma niente di così preoccupante da far scoppiare un caso (ricordate lo Snapdragon 810? Niente a che vedere con quella vicenda.). Ci siamo divertiti anche nel far eseguire a OnePlus 3 i classici benchmark che siamo soliti effettuare sui dispositivi che passano dalla redazione e i risultati non ci hanno stupito più di tanto. Lo smartphone ha sfiorato i 140.000 punti nell’ultimo test AnTuTu e con GeekBench 3 ha fermato l’asticella della prova multicore a quasi 5300 punti; si tratta di valori che, per quanto siano sempre piuttosto relativi, confermano lo straordinario valore di OnePlus 3. Che dire poi di Oxygen OS, sistema operativo - che poi è poco più di un’interfaccia grafica - scelto per dirigere l’orchestra? Da questo punto di vista le novità sono limitate poiché i tecnici OnePlus non hanno voluto sconvolgere quella realtà che ha reso vincente i precedenti dispositivi. OnePlus 3 ci è arrivato con la versione 3.1.1 preinstallata e dopo qualche giorno di utilizzo abbiamo effettuato l’aggiornamento alla release 3.1.2 che proponeva qualche fix generico; Oxygen OS è essenzialmente l’interpretazione di Android (qui in versione 6.0.1 Marshmellow) da parte di OnePlus, la quale è praticamente una release stock con qualche piccolo accorgimento grafico e con alcune ottimizzazioni software. C’è il drawer per le app, è possibile scegliere tra un tema chiaro ed uno scuro (quest’ultimo con l’AMOLED ci va a nozze), si possono configurare pulsanti e gestures (basta disegnare una O o una V sul display per accedere a torcia e fotocamera), c’è la modalità Ambient (passando la mano sopra al sensore di prossimità si attiva il display) e non manca neppure Shelf, schermata personalizzabile supplementare accessibile effettuando uno swipe verso destra sulla quale si possono aggiungere scorciatoie e widget. Il sistema è sempre reattivo e pare essere cucito ad-hoc sulle componenti hardware di OnePlus 3; è essenziale al punto giusto, non c’è alcun software “inutile” preinstallato e dona all’utente una Androidexperience probabilmente ineguagliabile. Tutti gli amanti del sistema operativo Android non potranno non adorare Oxygen OS, mentre forse potrebbero inizialmente storcere il naso gli utenti che provengono da sistemi più “lavorati”, salvo poi ricredersi nell’arco di pochissimi giorni di utilizzo. Poi si sa: su Android basta fare un salto sul Play Store per cambiare tutto. Segnaliamo poi che OnePlus ha deciso di lasciare il bootloader di sistema sbloccato, così da permettere con ancor più facilità le operazioni di modding. Con una community come quella OnePlus, non tarderanno ad arrivare ottime ROM. La fotocamera rincorre “a ruota” i big La scheda tecnica di OnePlus 3 fa “paura” che sotto la voce fotocamere: il modulo principale che gli ingegneri hanno deciso di installare a bordo di questo smartphone è composto da un sensore CMOS Sony IMX298 da 16 megapixel (pixel size da 1.12 µm) messo alle spalle di un sistema di lenti con apertura massima f/2.0; non mancano poi stabilizzazione ottica ed elettronica delle immagini, un sistema di messa a fuoco a rilevamento di fase e possibilità di salvare le foto in RAW. Sul campo, OnePlus 3 si comporta in modo egregio: le fotografie scattate in condizioni ottimali sono di Qui sopra la stessa foto in modalità normale (a sinistra) e in modaltà HD (a destra). torna al sommario buonissima qualità, ricche di dettagli e povere di imperfezioni; la messa a fuoco è molto veloce e precisa, la rapidità di scatto è encomiabile (ottimo per il pointand-shoot) e se volessimo davvero trovare un difetto prenderemmo solo ad accennare ad una leggera tendenza alla sovraesposizione delle fotografie, con annesso bilanciamento dei bianchi non proprio precisissimo. I colori - visti al PC su un display calibrato - sono ben riprodotti e naturali, sebbene sul display AMOLED dello smartphone questi possano inizialmente apparire fin troppo saturi e poco realistici; è il solito problema dei dispositivi provvisti di questa tipologia di pannelli, quindi il consiglio è quello di valutare le foto davanti ad un computer. Scendendo la luminosità ambientale cala proporzionalmente anche la qualità delle foto; la messa a fuoco fa più fatica a lavorare e gli scatti perdono dettagli poiché il software tende ad ammorbidire e “pennellare” le immagini al fine di nascondere il rumore dovuto all’innalzamento della sensibilità ISO. Se si guarda guarda al computer un file RAW (.DNG) salvato da OnePlus 3 si capisce benissimo quanto “pesante” sia il lavoro di post-elaborazione effettuato dallo smartphone; il risultato finale, seppur non eccezionale, pare miracoloso. Il software della fotocamera non propone molte opzioni tra le quali scegliere ma ci sono da segnalare la modalità HD che “migliora” le immagini (a patto di tenere davvero fermo il dispositivo per qualche decimo di secondo di troppo) e quella HDR, la quale funziona egregiamente ma non può lavorare in connubio con la precedente. L’interfaccia dell’applicazione è molto essenziale ma non mette mai in difficoltà; anche la modalità “manuale” è piuttosto risicata, pur permettendo l’impostazione dei principali parametri di scatto. Con OnePlus 3 è possibile registrare filmati in modalità 4K a 30 frame per secondo ma si può anche decidere di passare ad una risoluzione inferiore (1080p o 720p) ed ad una funzione slow-motion con ripresa a 720/120p. I video sono di buona qualità ma non ai livelli di dispositivi più studiati sotto il profilo foto-video; di giorno, escludendo una messa a fuoco “ballerina”, non emergono troppi problemi mentre di sera spunta un certo fastidio nella stabilizzazione dei video, probabilmente dovuto a qualche tipo di “incomprensione” software tra i vari sistemi in gioco e l’autofocus. La fotocamera frontale da 8 megapixel - basata su sensore Sony IMX179 - fa egregiamente il suo lavo- segue a pagina 29 n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST One Plus 3 segue Da pagina 28 ro e riesce a garantire buoni selfie in ogni occasione; c’è la modalità “bellezza” ormai largamente diffusa su quasi ogni tipologia di smartphone e c’è pure la possibilità di scattare al rilevamento del sorriso. Per chi ne sentisse il bisogno, non manca neppure la possibilità di registrare filmati a 1080/30p. Tirando le somme sul comporta foto/video di questo OnePlus 3 ci sentiamo di promuoverlo, ma non a pieni voti; sulla carta, le qualità ci sono tutte, ma probabilmente si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Le foto sono certamente degne di un top di gamma e non sfigurano se confrontate con quelle di concorrenti più “dotati”, ma la sensazione che si ha è quella che i vari Galaxy S7, LG G5 e Huawei P9 siano ancora leggermente avanti. Non dimentichiamolo però: OnePlus costa 399 euro. Batteria discutibile, ma c’è il Dash Charge Sul fronte autonomia generale, non convince appieno la batteria integrata - non rimovibile - da 3000mAh che troviamo a bordo di OnePlus 3; il dispositivo si comporta molto bene in stand-by e con il Wi-Fi connesso, mentre è molto meno parco nei consumi una volta usciti fuori dalle mura “amiche”. In linea generale non si farà mai troppa fatica ad arrivare a sera con un buon 10-15% di carica ancora a disposizione, ma da un dispositivo con display AMOLED e sistema operativo che pare cucito su misura ci saremmo aspettati qualcosa di meglio, anche perché la concorrenza - a parità, o quasi, di capacità - riesce mediamente a fare meglio. Interessantissima è la novità del Dash Charge, nuovo sistema di ricarica introdotto da OnePlus che permette di ricaricare il telefono da zero in poco più di un’ora e di arrivare al 60% di batteria in mezzora; la tecnologia, molto banalmente, fa fare il lavoro grosso all’apposito caricatore (abbastanza corposo, con output di 5V 4A) e garantisce al telefono una intensità di ricarica costante anche quando questo è utilizzato. Ciò che ne deriva è una maggiore velocità di ricarica ed un minor surriscaldamento del comparto batteria, torna al sommario comunque abbastanza percepibile in fase di caricamento. Dash Charge funziona esclusivamente con OnePlus 3 e necessita dell’apposito cavo USB-USB Type-C offerto in dotazione; OnePlus ha anche realizzato un apposito caricatore per auto il quale funziona nel medesimo modo. Lo smartphone è comunque ricaricabile tramite normale cavo USB Type-C (e un qualsiasi caricatore standard), ma utilizzando tale sistema si rinuncerà alla carica rapida. Sotto il profilo telefonico OnePlus 3 non nasconde alcuna lacuna; prende bene ovunque e permette chiamate di qualità, il WiFi “ac” è stabile e parco nei consumi, il Bluetooth 4.2 affidabile e c’è pure la connessione NFC, grande assente del precedente modello. Il telefono è dual SIM con possibile switch a caldo tra le due linee e si comporta molto bene in ogni occasione. Poco da dire sull’audio: il DAC a bordo è quello standard dello Snapdragon 820, il quale garantisce all’altoparlante principale una qualità più che sufficiente (ma non tanta potenza) e all’uscita da 3.5mm, con cuffie di qualità, una buonissima resa. Loop VR? Solo pubblicità Chiudiamo la nostra analisi su OnePlus 3 spendendo qualche parole su Loop VR, visore 3D che OnePlus ha deciso di realizzare in tiratura limitata di 30.000 pezzi e che i primi acquirenti dello smartphone hanno potuto portarsi a casa al solo prezzo delle spese di spedizione. Si tratta di un dispositivo - realizzato da AntVR - lontano anni luce dai migliori visori presenti sul mercato e pare essere più una trovata di marketing che un qualcosa di davvero utile; l’azienda probabilmente voleva innalzare l’attesa nei giorni immediatamente precedenti al lancio di OnePlus 3 e l’idea di poter seguire la presentazione dello smartphone in diretta tramite il visore - nonostante non sia filato proprio tutto liscio - a qualcuno è piaciuta. Il dispositivo è interamente realizzato in plastica e permette il suo utilizzo con un qualsiasi smartphone equipaggiato con display dai 5 ai 6 pollici di diagonale; ci sono degli inserti in spugna - incollata male - che rendono leggermente più confortevole l’utilizzo ma manca qualsiasi tipo di supporto per il naso, cosicché il visore finisce per pesare in maniera importantissi- ma su questa porzione del volto. Le lenti sembrano di discreta qualità, ma non ci hanno impressionato più di tanto. Manca un controller che permetta di muoversi tra i vari scenari, così come è assente il QR code per poter abbinare il visore all’applicazione Cardboard di Google; si può rimediare facilmente cercando possibili workarounds sul web, ma tutto ciò finisce per risultare piuttosto frustrante e spinge l’utente a riporre presto il visore nel suo box, in attesa - chissà - di giorni migliori. In OnePlus, probabilmente, potevano risparmiarsi questa trovata. Disegnata per ascoltare I nuovi diffusori CM10 S2 sono indubbiamente belli, grazie alle loro linee pulite ed alle finiture di qualità superiore. Ma come per tutte le realizzazioni Bowers & Wilkins la forma deve seguire la funzione, grazie alla doppia cupola dell’unità alti ed alla tecnologia tweeter-on-top non crederete quanto bene la musica può suonare. www.audiogamma.it n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Huawei di adegua al trend del momento e lancia in Italia anche la versione Plus del suo smartphone top di gamma 2016 P9 Plus: più grande e con qualche arma in più Stesso design del P9 ma più grande e specifiche pressoché identiche, il tutto a 150 euro in più. Scopriamo se ne vale la pena di Vittorio Romano BARASSI he Huawei si sia messa in testa di fare le cose per bene è chiaro già da un bel po’ di tempo e il fatto che più si va avanti e più continuano ad arrivare ottimi prodotti ne è la palese dimostrazione. P9 è solo l’ultimo dispositivo di una lista di device che sono cresciuti bene in qualità e quantità e rappresenta la decisa risposta di Huawei a chi pensava che mai l’azienda cinese sarebbe riuscita ad arrivare ai livelli di altri produttori. L’importanza “strategica” di P9 è stata subito evidente e Huawei non ha certo risparmiato in marketing; l’obiettivo è quello di raggiungere il prima possibile il primo gradino del podio dei produttori di smartphone e, continuando così, passare dal secondo posto al primo sarà quasi una formalità. Di P9 noi di DDay ne abbiamo già parlato abbondantemente e per questo motivo eviteremo di dilungarci troppo sulle cose ormai note: dopo averne seguito la presentazione, analizzato a fondo le fotocamere ed eseguito la prova completa del P9, eccoci giunti al momento di analizzare quanto di buono ha da offrire anche il P9 Plus. C Identità di design e qualità P9 Plus si fa riconoscere Sarà per la massiccia campagna pubblicitaria che Huawei ha realizzato per P9, sarà per la presenza di due loghi ben visibili sia anteriormente che posteriormente, ma questo P9 Plus non è mai passato inosservato, neppure agli occhi di utenti meno interessati. La confezione, come da tradizione Huawei, è grande, ben curata e completa: è organizzata in scomparti separati poiché ognuno di essi è composto da una scatola nella quale è racchiuso qualcosa. C’è il caricatore USB rapido, il cavo USB - USB-C, ci sono le cuffie, un rapido manuale d’uso e pure l’indispensabile “graffetta” per accedere allo slot nanoSIM-microSD. A sormontare tutto, però, appena aperta la confezione c’è lo smartphone che stupisce per qualità non appena si decide di impugnarlo; le dimensioni sono generose ma allo stesso tempo relativamente contenute considerando il segmento (152,3 x 75,3 millimetri), lo spessore è di pochissimo inferiore ai 7 millimetri (con nessuna parte sporgente) e il peso di 162 grammi sembra addirittura inferiore poiché distribuito in ma- video lab Huawei P9 Plus 749,00 € UNO SMARTPHONE DI RIFERIMENTO Davvero difficile trovare qualche punto debole per questo Huawei P9 Plus. È uno smartphone completo sotto ogni aspetto, molto bello ed egregiamente costruito; ha potenza da vendere, tanta RAM, una fotocamera (anzi due!) invidiabile e una buona autonomia. Se siete alla ricerca di un dispositivo Android di primissimo livello, P9 Plus dovrebbe assolutamente essere in cima alla lista delle possibili opzioni d’acquisto; costa 749 euro di listino, 150 in più del “normale”, ma presto si troverà a cifre più abbordabili e allineate a quelle della concorrenza. Rispetto al fratellino ha solo uno schermo Super AMOLED più grande di qualità, una porta IR e il Press Touch; ma è l’amalgama che colpisce: P9 Plus ha una personalità unica e riesce a convincere sempre e comunque. Huawei punta a diventare il produttore di smartphone numero uno al mondo: con prodotti come questo raggiungerà l’obiettivo molto rapidamente. 8.6 Qualità 9 Longevità 9 Personalità e qualità COSA CI PIACE Fotografie sempre molto belle Potenza in abbondanza Design 9 Semplicità 8 COSA NON CI PIACE niera perfetta su tutto il corpo del dispositivo. Tutto sembra essere costruito con la massima attenzione al dettaglio e la sensazione di qualità è immediata; i pulsanti, posizionati sul lato destro, sono solidi e danno un feedback incredibile (il tasto di sblocco è zigrinato, contornato da una finitura rossa e inserito in una depressione della scocca), ma è tutto il corpo in alluminio ad appagare. Sul lato sinistro c’è lo slot per inserire la scheda dell’operatore e l’espansione di memoria, in basso vi è l’ingresso USB Type-C con- D-Factor 8 Prezzo 8 Press Touch abbastanza inutile Sensore di luminosità impreciso tornato dal jack da 3.5mm (e microfono principale) e griglia per l’altoparlante. In alto troviamo una porta IR per il controllo di dispositivi che supportano tale input (nel P9 normale non c’è) con al fianco un secondo microfono utilizzato per la limitazione dei rumori di fondo in chiamata. Il retro di P9 Plus propone un’evidente fascia nera dedicata all’ormai rinomata doppia fotocamera Leica e una porzione inferiore metallica nella quale è stato ricavato il sensore di impronte digitali (ottimo, come da tradizione Huawei), il logo Huawei e una poco invadente banda “antenna” che si perde nei bordi del device (l’antenna è visibile anche in alto, sempre ai lati). Gli angoli del dispositivo sono tutti arrotondati, smussati e levigati ad hoc, ulteriore elemento che denota la cura che Huawei ha riservato a questo device. Non assegnamo a Huawei P9 Plus il massimo dei voti alla voce qualità essenzialmente per un motivo: la porzione posteriore della scocca (ovviamente non rimovibile, quindi non è prevista la batteria sostituibile), soprattutto nella porzione centrale e al di sotto del sensore di impronte, ci è sembrata un po’ “vuota”. Tra segue a pagina 32 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Huawei P9 Plus segue Da pagina 31 l’allumino e le componenti che esso va a ricoprire c’è quindi un piccolissimo gap, praticamente il medesimo già evidenziato su Mate S e che ci sarebbe piaciuto non constatare nuovamente. Segnaliamo inoltre che il dispositivo si graffia e si sporca abbastanza facilmente, ma questo non possiamo annoverarlo tra i difetti; l’ergonomia di utilizzo e il grip sono più che buoni ma attenzione a mettere il device su superfici lisce: scivola facilmente. Cambia il display ma non la filosofia AMOLED fa un figurone La grande differenza tra P9 e P9 Plus è certamente quella che vuole il Plus equipaggiato con un display più grande e di concezione completamente diversa. Si passa dunque da 5,2 a 5,5 pollici e, soprattutto, da un pannello LCD IPS ad uno Super AMOLED, mantenendo però la risoluzione di 1920x1080 pixel che su questa misura equivalgono ad avere una densità di pixel di circa 401ppi. Come ogni AMOLED che si rispetti ci sono i colori a farla da padrone: già molto “vivi” in modalità Normale e quasi fin troppo saturi per chi deciderà di optare (via Impostazioni) per la modalità Vivida. I neri sono ovviamente assoluti e i bianchi si difendono piuttosto bene; emergono i classici limiti dei pannelli AMOLED solo osservando il display da angolature estreme (davvero estreme), nei quali il pannello tende a restituire tonalità non proprio naturalissime. Nell’utilizzo di tutti i giorni non ci si accorge neppure di tutto ciò e il Super AMOLED fa sempre la sua splendida figura. Il contrasto è ottimo mentre la luminosità massima non è eccezionale, e ciò diviene evidente soprattutto all’aperto sotto la forte luce del sole, dove il display di P9 Plus non sempre riesce a farsi apprezzare con chiarezza. Pecca di precisione, ancora una volta su un dispositivo Huawei, il sensore di luminosità ambientale: è lento nell’adattarsi ai cambiamenti di esposizione e qualche volta non restituisce il livello di luminosità giusto. Dopo diversi mesi e dispositivi ci saremmo aspettati hardware (o software) più all’altezza. A proteggere il prezioso display ci pensa un vetro Gorilla Glass 4 di Corning, il quale è leggermente curvo ai bordi; la finitura 2.5D è davvero piacevole e ben si sposa con le altre linee morbide del dispositivo. Sopra lo schermo c’è spazio per la compatta capsula auricolare e, più a sinistra, per la fotocamera frontale da 8 megapixel; tra queste sono ben nascosti il già citato sensore di luminosità ambientale e quello di prossimità. Presente anche un piccolo LED di notifica RGB. CPU e RAM al top, Press Touch serve poco Huawei P9 Plus, come il “fratellino”, è equipaggiato con un chipset HiSilicon Kirin 955 che garantisce prestazioni assolutamente entusiasmanti; l’accoppiata tra il processore octa-core e la GPU Mali-T880 è perfetta e lo smartphone, durante il nostro lungo periodo di prova, non è mai andato in difficoltà. Siamo al cospetto di un dispositivo davvero equilibrato, molto piacevole nell’utilizzo quotidiano e sempre reattivo nell’eseguire ogni tipologia di applicazione; grazie ai 4 GB di memoria RAM (1 in più rispetto a P9) l’utente non si ritroverà mai in difficoltà nel passare tra un’app e un’altra: apertura e chiusura dei software è sempre molto rapida, nonostante memorie eMMC non proprio da primo della classe. Con 64 GB di storage probabilmente non si sentirà neppure il bisogno di munirsi di scheda microSD per l’espansione della memoria ma, volendo, è possibile farlo e rendere “unico” lo spazio di archiviazione grazie ad Android Marshmallow. L’interfaccia grafica EMUI 4.1 si conferma una delle migliori presenti sul panorama Android; le impostazioni continuano ad essere ancora un po’ confuse, ma sono davvero tante e con un po’ di pazienza (utilizzando magari la funzione ricerca) si può arrivare facilmente alla configurazione di ogni parametro. Nei benchmark classici che siamo soliti somministrare ai dispositivi, Huawei P9 Plus si è dimostrato inferiore ad altri device equipaggiati con SoC diversi; niente di preoccupante ovviamente: nell’uso di tutti i giorni certi punteggi vanno davvero presi con le pinze e questo Huawei è la tipica dimostrazione di quanto appena affermato. P9 Plus va fortissimo, sempre, e non c’è situazione che lo possa spaventare. Il gaming non è un problema: la GPU Mali-T880 garantisce massimi dettagli e framerate costanti. Nessun problema neppure nella riproduzione video: filmati a 1080/60p e 2160/30p sono riprodotti in maniera fluida anche dall’ottimo player video della EMUI. Niente da fare invece con i meno comuni filmati 2160/60p, che vengono riprodotti ma vanno a scatti. Poco male, comunque. Segnaliamo, infine, una certa tendenza al surriscaldamento della porzione posteriore del dispositivo già dopo qualche minuto di utilizzo intenso di applicativi maggiormente esigenti e con l’applicazione fotocamera attiva. Il calore è percepibile ma quasi mai fastidioso, senz’altro ai livelli di altri dispositivi appartenenti alla medesima categoria di mercato. Chicca di questo P9 Plus è la presenza del tanto pubblicizzato Press Touch già visto (ma non in Italia) sul Mate S, specifica che permette al display di riconoscere diversi gradi di pressione della superficie e di reagire di conseguenza. La funzionalità, di per sé interessante, ha però indubbi limiti poiché disponibile solo per una manciata di applicazioni proprietarie di Huawei e per l’app galleria: premendo con decisione sull’icona di un’app “compatibile” si aprirà un menù contestuale segue a pagina 33 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 TEST Huawei P9 Plus segue Da pagina 32 dal quale sarà possibile effettuare qualche tipologia di operazione rapida, mentre continuando a premere a fondo si accederà alla funzionalità considerata come preferita. Sulle foto della galleria Huawei (le app di terze parti non permettono di fare nulla) è possibile effettuare uno zoom sugli scatti, il quale si manifesta con una vera e propria lente di ingrandimento che applica uno zoom proporzionale al grado di pressione. Dalle impostazioni è anche possibile configurare delle vere e proprie scorciatoie sugli angoli superiori del display: premendo con forza in alto a destra o a sinistra si potrà accedere a due app tra tutte quelle installate sul dispositivo. Al momento, in ambiente Android, non esistono praticamente applicazioni di terze parti in grado di supportare il Press Touch e il futuro non pare poi tanto roseo: perché uno sviluppatore dovrebbe sprecare del tempo prezioso a sviluppare qualcosa di compatibile se manca ancora uno standard condiviso? Apple ha il Force Touch e sempre quello sarà; in ambiente Android ognuno potrà avere la sua declinazione e sarà davvero difficile arrivare ad una soluzione condivisa. Le fotocamere restano un mistero Ma che foto! Per quanto concerne la porzione fotografica di Huawei P9 Plus vi rimandiamo direttamente all’analisi effettuata un paio di mesi fa sul P9 e pure aalla recensione completa effettuata su quest’ultimo. P9 Plus è equipaggiato con lo stesso identico hardware, proponendo ben due fotocamere da 12 megapixel (sensore Sony) con lenti Leica f/2.2 e lunghezza focale di 27mm; una scatta in maniera tradizionale, l’altra solo in bianco e nero e, secondo Huawei, le due fotocamere collaborano tra loro al fine di produrre scatti di maggiore qualità. Gli scatti di cui P9 Plus è capace sono senza dubbio impressionanti. Messo su treppiede lo smartphone non torna al sommario MAGAZINE vi farà rimpiangere una reflex (sempre con le dovute “proporzioni” e con tutti i limiti del caso) mentre nell’utilizzo più tradizionale il livello è quello di una buonissima compatta di fascia medio-alta. Se vi piacciono le belle foto e siete disposti a sedervi davanti ad un monitor per ritoccare gli scatti, il consiglio è quello di fotografare in modalità RAW poiché la compressione JPEG tende a togliere molto dettaglio a delle foto che altrimenti sarebbero sempre ben definite. Di sera, o nelle condizioni di poca luminosità, Huawei P9 Plus ha sempre una certa tendenza a scattare ad ISO piuttosto elevati (per evitare il mosso) ma stando attenti e giocando un po’ con le varie impostazioni è possibile ottenere risultati superiori alla media. Il bilanciamento dei bianchi è sempre preciso, la messa a fuoco rapida (ma non fulminea) e pure il doppio flash LED (dual tone) si difende alla grande. Se volete uno smartphone in grado di fare belle foto e siete disposti a dedicarvi alla post-produzione degli scatti, questo Huawei P9 Plus (ma anche il P9) è il dispositivo che fa per voi. Volendo cercare un limite, si potrebbe dire che le lenti Leica di P9 sono eccellenti ma l’apertura massima non è così ampia come quella di altri obiettivi presenti su altri concorrenti e questo, soprattutto con poca luce e unito alla mancanza di stabilizzazione ottica, talvolta si fa sentire. Si tratta comunque di considerazioni da prendere con le dovute precauzioni: ormai gli smartphone di fascia alta riescono a catturare fotografie eccellenti e non è mai semplice dire quale dispositivo sia davvero meglio di un altro. Sul fronte video P9 Plus si difende abbastanza bene; è in grado di registrare filmati a 1080/60p e la qualità è più che buona per uno smartphone, seppur meno sconvolgente se paragonata alla porzione prettamente fotografica. Buoni gli scatti della fotocamera frontale da 8 megapixel con lenti f/1.9; immancabile la tanto apprezzata, soprattutto dal pubblico femminile, modalità “bellezza”. Un ottimo telefono Con una buona autonomia Come vuole la tradizione, anche nel comparto telefonico vero e proprio Huawei si conferma al top della cate- goria: P9 Plus ha un’ottima ricezione e la qualità delle chiamate è altissima, merito anche del più volte lodato sistema di cancellazione dei rumori ambientali. L’audio in cuffia auricolare non spicca per potenza ma non si fa mai fatica a percepire quello che viene detto dall’altra parte della cornetta; buono il suono che proviene dall’uscita 3.5mm (nella media) e più che sufficiente è l’audio riprodotto dall’altoparlante principale posizionato nella porzione bassa (a destra) del dispositivo. Segnaliamo una curiosità: nella riproduzione multimediale l’altoparlante è coadiuvato anche dalla cuffia auricolare, la quale fa quel che può per rendere “stereo” il sonoro; passando dalla modalità verticale a quella landscape, per esempio quando si guarda un filmato su YouTube, l’audio si modifica di conseguenza, risultando più equilibrato e giusto alla nuova modalità di visione. Concludiamo l’analisi su Huawei P9 Plus, che sul fronte connettività non manca di nulla, parlando di autonomia. La batteria da 3.400 mAh non rimovibile è leggermente più grande rispetto a quella da 3000mAh montata su P9 e questo fattore, legato probabilmente al minor consumo del pannello AMOLED, permette al dispositivo di arrivare quasi sempre tranquillamente a sera con un buon 30% di carica residua. Esagerando con giochi 3D e, soprattutto, fotocamera si rischia di avere una coperta più corta ma nell’utilizzo standard quotidiano non ci siamo mai ritrovati a ricaricare lo smartphone prima del tempo. Con utilizzo classico “d’ufficio”, fatto di chiamate, messaggi, mail e un po’ di social, l’utente può stare decisamente tranquillo. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Tra i tanti moduli opzionali per lo smartphone top di gamma di LG c’è questo accessorio per migliorare la resa sonora Modulo audio LG Hi-Fi Plus, vale davvero la spesa? Costa 150 euro ma è una bella comodità per chi non si accontenta dello streaming o dei soliti MP3. Lo abbiamo provato di Roberto FAGGIANO opo la sorpresa delle prestazioni sonore dello smartphone V10 di LG eccoci a un test dedicato al solo modulo audio dell’ultimo smartphone di LG, il G5, già testato da DDay per quanto riguarda la sua configurazione base. Il modulo costa 150 euro ed è realizzato in collaborazione con B&O Play, il marchio “economico” di Bang & Olufsen anche se in dettaglio non sono stati resi noti i contenuti della collaborazione. D video Non solo partner del G5 Il modulo arriva completo di un guscio separabile in due parti perché può essere usato anche in modo indipendente, per esempio collegato a un notebook previa installazione dell’apposito software, oppure a un altro smartphone o tablet Android compatibile con la funzione OTG; aprendo il guscio invece si rendono visibili i contatti che permettono di inserirlo sul fondo del G5 sostituendosi alla parte originale. L’inserimento del modulo non modifica le dimensioni del telefono ma si ottiene una nuova presa cuffia, che sarà quella da usare al posto di quella standard che è invece sul lato superiore, per poter sfruttare le prestazioni superiori del modulo separato. In dotazione al modulo troviamo un cavetto adattatore USB C - USB B, ma solo in modalità micro, e una piccola custodia per il trasporto. l modulo Hi-Fi Plus contiene un convertitore D/A ESS Sabre a 32 bit ES9028 in grado di riprodurre praticamente qualsiasi formato musicale con frequenza fino a 384 kHz, compresi i rari DSD, e un amplificatore per cuffia 9602 sempre Sabre, quest’ultimo uguale a quello già utilizzato nel V10 mentre il DAC in quel caso è il 9018. Per caricare la musica sul telefono è consigliabile usare una card micro SD da inserire nell’apposito vano, in modo da non sfruttare la pur ampia memoria del telefono. La fase di montaggio del modulo è piuttosto semplice ma va effettuata a telefono spento perchè lo smontaggio e il rimontaggio coinvolgono la batteria del telefono, come detto alla fine il G5 sarà esteticamente identico al modello di partenza, riconoscibile solo dal logo B&O del modulo, con qualche millimetro in più di altezza. Ancora un successo per LG Per l’ascolto purtroppo non avevamo più a disposizione la cuffia Technics usata per il V10 ma ci siamo limitati a una pur sempre valida AKG Y50. Per la prova abbiamo usato brani Flac e DSD perché per ascoltare torna al sommario lab musica da Spotify e iTunes basta la configurazione originale del G5, che riteniamo già più che dignitosa. La prima differenza con il V10 è il maggiore volume o per meglio dire la maggiore pressione sonora raggiungibile: mentre con il V10 bisognava quasi portare il volume al massimo per un buon ascolto, con il modulo del G5 basta portarsi poco oltre la metà del livello per ottenere già ottimi risultati. Un valore che rimane valido anche tenendo conto delle diversa sensibilità delle due cuffie utilizzate. Piccolo inconveniente è il notevole calore sviluppato dal modulo dopo circa un’ora di ascolto, cosa che lascia presagire anche un maggiore consumo di batteria, senza comunque raggiungere livelli preoccupanti. Ed eccoci all’ascolto che rimane molto piacevole come con il V10, fornendo prestazioni sconosciute ad altri telefoni e degne di un ascolto molto attento tramite cuffie o auricolari di alto livello. Rispetto al V10 non ci è parso di cogliere particolari differenze, entrambi suonano in modo eccellente per la categoria e anche in assoluto; dovendo scavare nei dettagli forse il V10 offre un pizzico di precisione in più, ma non avendo potuto usare la stessa cuffia, si tratta di opinioni personali e non di certezze. Quel che è sicuro è che LG ha realizzato un altro ottimo strumento per la riproduzione musicale in mobilità, speriamo se ne siano accorti dato che nelle comunicazioni pubblicitarie ci sono sempre in primo piano altre funzioni – dal nostro punto di vista – assai meno utili ed esclusive. E intanto il V10 costa sempre meno Agli interessati non possiamo che consigliare caldamente il modulo Hi-Fi del G5, ma al tempo stesso dobbiamo ricordare che il V10 ha praticamente le stesse prestazioni audio senza bisogno di aggiungere moduli e soprattutto con un prezzo che online è già precipitato sotto i 400 euro. Considerato che è anche un ottimo smartphone non ce lo lasceremmo scappare prima che finisca in pensione dopo ben 6 mesi di vita. Per quanto riguarda il solo modulo slegato dal suo smartphone, le caratteristiche sono sempre molto interessanti ma bisogna rilevare il prezzo non trascurabile. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Dieci giorni in compagnia del set top box di casa NVIDIA basato su Android TV. Per 199 €, è da tenere in seria considerazione NVIDIA Shield: metà console, metà media center Ci siamo soffermati sull’esperienza d’uso sia come centro multimediale, sia come console da gioco, con piacevoli sorprese di Emanuele VILLA ia per curiosità che per testarne le prestazioni, abbiamo trascorso 10 giorni in compagnia di NVIDIA Shield. Chi non lo conoscesse può leggere la nostra news di presentazione, qui ci soffermiamo sull’esperienza d’uso sia come centro multimediale della casa, sia come console da gioco. Sì, perchè il vantaggio di Shield è proprio poter mescolare due anime parallele: quella multimediale, sintetizzata da Android TV e dalle svariate applicazioni disponibili, e quella dedicata al gaming, che punta sulla dotazione hardware di alto profilo (alla base di tutto c’è un Tegra X1), sul marchio NVIDIA e sulla possibilità di installare diversi controller con o senza filo, per sessioni videoludiche che non hanno nulla da invidiare – quanto meno nel setup – alle console tradizionali. S Installiamo e godiamoci subito un bel Netflix Punti a favore del set top box NVIDIA sono senza dubbio l’estetica e la versatilità: disposta sull’apposita base, Shield fa la sua bella figura e per farla partire è sufficiente collegarla via HDMI 2.0 al TV toccare il tasto a sfioramento sul frontale, nulla di più. Il dispositivo effettua il classico aggiornamento e richiede l’accesso a un account Google, dopo di che è disponibile all’uso tramite l’interfaccia di Android TV, molto pulita ed elegante. Come set top box si utilizza il suo telecomando, sottile ed elegante con tanto di supporto per i controlli vocali, mentre per giocare si possono installare uno o più controller wireless o a cavo, la cui instllazione è sempre stata rapida e indolore. La versatilità come set top box è notevole e diventerà ancor più marcata quando verrà rilasciato l’aggiornamento di sistema 3.2, che tra porterà il supporto per l’audio in Dolby Atmos, l’HDR nei video e l’applicazione Plex server. In pratica, a breve sarà possibile utilizzare lo storage della versione PRO di Shield (500 GB) oppure lo spazio di una periferica esterna (USB) come server di contenuti da distribuire ai dispositivi esterni come smartphone o tablet. Al momento, la versione 3.1 del software Shield comprende la versione client video lab NVIDIA Shield 199,00 € MEDIA CENTER E CONSOLE TUTTO IN UNO Va dato atto a NVIDIA di aver creato un prodotto molto interessante: la versatilità di Android TV lo rende perfetto per “resuscitare” TV non abilitati alla connettività web e per godere dei servizi di streaming audio e video di riferimento. Pur non potendosi paragonare a una console di ultima generazione, Shield è anche una macchina da gioco capace di dare soddisfazioni grazie alla dotazione hardware di buon profilo e al sistema di cloud gaming integrato che - connessione permettendo - la trasforma in un PC di ultima generazione. Per i 199 euro di listino è un prodotto da tenere in seria considerazione. 8.3 Qualità COSA CI PIACE 8 Longevità 7 Design eccellente Dotazione di app Ottima per giocare Design 9 Semplicità 8 COSA NON CI PIACE di Plex e permette al dispositivo di riprodurre sul TV collegato i contenuti di un server presente altrove. L’inclusione di Plex server, unito soprattutto al supporto HDR, renderà Shield un set top box allo stato dell’arte, ma non che ora sia da meno: Shield è compatibile con gli stream 4K HEVC e VP9 fino a 60 fps e dispone di HDMI 2 con HDCP 2.2, tante belle sigle che di fatto significano un pieno supporto per il video in 4K, mentre per quanto concerne l’audio il dispositivo supporta il 5.1 e 7.1 passante via HDMI. A questo punto l’unica cosa da fare è godersi un film Ultra HD da Netflix o da YouTube, giusto per rimanere tra le app preinstallate, oppure una bella playlist musicale da VEVO o un nuovo album da Spotify, il cui supporto tra l’altro è recentissimo e la grafica per Android TV davvero piacevole. A livello di app, Shield vive logicamente sulla suite Google (Play Film, Play Musica, Photos & Videos, Play Giochi...) ma la dotazione può essere estesa con molte app di terze parti presenti nel Play Store e dedicate alla riproduzione su TV. Inoltre, Shield è pienamente compatibile con Google Cast, in pratica ha un Chromecast integrato, il che rende immediata sia la condivisione/mirroring di contenuti di dispositivi mobile, sia lo streaming usando il D-Factor 9 Prezzo 9 Qualche app ancora da ottimizzare Controlli vocali di Android migliorabili dispositivo mobile come semplice controller. L’utilizzo come set top box si è rivelato piacevole: l’interfaccia è sempre molto reattiva e la riproduzione di contenuti non subisce alcun tipo di rallentamento anche di fronte a un uso molto caotico, con ripetuti richiami del menu principale, modifica di opzioni “al volo” e via dicendo. Com’è ovvio che sia, alcune app sono migliori di altre e qualcosa va ancora ottimizzato (per esempio, al momento in cui si scrive l’app VEVO va in crash con frequenza preoccupante), ma resta il fatto che la base è solida e di qualità, con contenuti di ogni genere e natura. Unico appunto riguarda il riconoscimento vocale di Android TV: perfetto per comprendere il parlato, ancora molto limitato nel gestire ordini più complessi di qualche ricerca. Sotto questo profilo, l’arrivo di Google Assistant (chissà quando lo vedremo in italia) sarà un passo avanti enorme. Scopriamo l’anima “gaming” di Shield Come anticipato, ciò che distingue questo set top box è la propensione per il gioco, per il quale si avvale di componentistica interna NVIDIA (in primis del Tegra X1) e può ospitare diversi controller wireless per par- segue a pagina 36 torna al sommario n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE MOBILE Da Western Digital arrivano i nuovi WD Pro, hard disk portatili pensati espressamente per i professionisti della fotografia WD My Passport Wireless Pro, una manna per i fotografi Dotati di Wi-Fi direct per scaricare le foto, porta per schede SD e una batteria per alimentare l’hard disk o uno smartphone W di Franco AQUINI estern Digital presenta una nuova famiglia di Hard Disk pensata per i professionisti della fotografia. Sono i WD Pro e hanno tante caratteristiche innovative da rappresentare un’evoluzione naturale dei dischi portatili. My Passport Wireless Pro è un hard disk portatile da 2 o 3 TB di storage dotato di Wi-Fi direct, tramite il quale scaricare le fotografie appena scattate, senza necessità di utilizzare un notebook. E se non dovesse esserci il Wi-Fi, allora c’è di serie un lettore per schede SD. Il My Passport Wireless Pro è dotato inoltre di una batteria che garantisce fino a 10 ore di autonomia e in alternativa può anche essere utilizzato come power bank per ricaricare lo smartphone. Fin qui si è parlato di funzionalità hardware, ma non sono da meno quelle software. I nuovi hard disk della famiglia WD Pro sono integrabili con Adobe Creative Cloud, per l’editing del materiale anche in mobilità. Ma la chicca è la possibilità di installarci Plex Media Server, col quale è possibile riprodurre sui dispositivi compatibili (TV, media player, ecc. purchè dotati dell’apposito client) i contenuti fotografici e video memorizzati sull’hard disk. Un dispositivo completo dunque, che segna probabilmente l’inizio di una nuova era per gli hard disk portatili, anche se il prezzo, comprensibilmente, non è proprio popolare. My Passport Wireless Pro è disponibile da subito sullo store online di Western Digital o nei distributori come Amazon. TEST A tu per tu con NVIDIA Shield segue Da pagina 35 tite multigiocatore. Ovviamente la console supporta Wi-Fi n e connessione di rete Ethernet, e mai come nel gaming la presenza di una rete domestica reattiva, veloce e stabile è determinante: mentre la visione di un film torna al sommario I prezzi vanno da 269,99€ per la versione da 2TB, ai 299,99€ per la versione da 3TB. Della nuova famiglia WD Pro fa parte anche My Cloud Pro Series NAS, adatto per l’editing in studio. Si tratta di un NAS che può arrivare fino a 32TB di storage può fare uso di una buona dose di buffer, qui la latenza e la stabilità sono ciò che separa il gamer da una brillante vittoria (o cocente sconfitta). Le sorgenti di gioco sono diverse, ma il concetto è che Shield vuole offrire una potenza prestazionale tale da non far rimpiangere le console dedicate. Intendiamoci, nulla che possa far pensare a una Xbox One o una PS4, ma il confronto con la generazione precedente potrebbe addirittura essere a favore di Shield, che ricordiamolo non è una console ad hoc e costa 199 euro. Con Shield si possono senz’altro riprodurre i giochi casual del Play Store, ma se si vuole passare a qualcosa di più serio, ci sono le opzioni Shield Games e Ge Force Now. Il primo consiste in uno store di giochi ottimizzati per il set top box NVIDIA: molti titoli sono gratuiti e di buona qualità, come Real Racing 3 per esempio, altri vanno acquistati singolarmente come Resident Evil 5, Metal Gear Rising e Grand Theft Auto: Liberty City Stories, ma in ogni caso l’esperienza di gioco è stata appagante e ben lontana dai canoni di casual gaming che siamo soliti associare a un set top box senza funzioni esclusive da gioco. In realtà, però, ci siamo soffermati maggiormente sull’altra modalità di gioco disponibile, ovvero GeForce Now, la piattaforma di cloud gaming di casa NVIDIA disponibile agli utenti Shield previa sottoscrizione di un abbonamento mensile da 9.99 euro con tre mesi di prova gratuita: questi sono particolarmente importanti non solo per testare la qualità del servizio e la bontà dei giochi, ma soprattutto per verificare la “tenuta” della propria rete e la latenza. Ovviamente si può annullare la sottoscrizione del servizio in ogni momento. Fermo restando che la prova è avvenuta con una rete Fastweb in fibra 100 aziendale (quindi in situazioni difficilmente replicabili), non si può che parlare bene della piattaforma, molto ricca in qualità e quantità. e che permette di scaricare le fotografie dalla fotocamera o dalle schede di memoria con la sola pressione di un tasto. Permette lo streaming dei contenuti video fino a 4K e include, come il fratello portatile, l’integrazione con Adobe Creative Cloud e Plex Media Server. Non tutti i giochi fanno parte dell’abbonamento mensile, alcuni vanno acquistati singolarmente (come The Witcher 3, proposto a 49,99 euro), ma la piattaforma a forfait comprende titoli quali Tomb Raider, Batman: Arkham City, Borderlands, Batman: Arkham Origins e molto altro. Insomma, c’è di che divertirsi: usando una rete ad alte prestazioni e una connessione Ethernet, non c’è quasi possibilità di notare latenza o micro interruzioni; sembra il classico gioco residente su PC, e anche la grafica dei giochi 1080/60fps è davvero di alto profilo (abbiamo provato tutti i giochi di cui sopra) e con l’ulteriore vantaggio di non dover scaricare enormi patch alla prima installazione. Certo, c’è da dire che con le nostre connessioni “traballanti” GeForce Now non sarà un’esperienza accessibile a tutti, ma chi può permetterselo fa bene a considerarlo, perchè a livello di rapporto qualità/prezzo è davvero in cima alla lista. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST TELE system ha lanciato sul mercato il primo decoder tv combinato per segnali da DTT e sat, in vendita al prezzo di 269 euro TELE System Ts Ultra 4K, decoder per i primi TV 4K Gestisce il 4K su Tivùsat e da Mediaset Premium. Mostra qualche guaio di gioventù, ma gli aggiornamenti sono già in arrivo C di Roberto FAGGIANO i sono appassionati di tecnologia che sono corsi a comprare il loro televisore ultimo modello con definizione Ultra HD nell’ormai lontano 2014 e ora si ritrovano con un apparecchio dalle ottime prestazioni ma che purtroppo non è compatibile con le attuali trasmissioni televisive in 4K. Per loro nasce il ricevitore TELE System TS Ultra 4K (269 euro), in grado di ricevere segnali tv terrestri e via satellite, già in regola con gli obblighi di legge per la ricezione del digitale terrestre DVB-T2 con HEVC e già pronto per il canale Rai 4K trasmesso sulla piattaforma satellitare di TivùSat. Inoltre è già abilitato alla ricezione del canale 4K di Mediaset Premium perché sul retro si possono inserire due Smart Cam per altrettanti servizi codificati. Purtroppo le cam non sono in dotazione e non troviamo nemmeno la tessera TivùSat HD, perché al momento questo ricevitore non è certificato TivùSat. Nella dotazione c’è invece un buon cavo HDMI per poter usare subito il ricevitore. Ma il TS Ultra non si ferma qui, perché grazie all’ingresso USB 3.0 può anche svolgere le funzioni di media player per contenuti audio e video. Questa funzione è però limitata: non c’è un player di rete DLNA e i file vanno messi su chiavetta USB 3.0 veloce, e in questo caso legge ogni tipo di file AVI e MKV (inclusi quelli HEVC a 10 bit), le immagini JPEG e la musica MP3; per la connessione di rete è previsto solo l’ascolto di web radio già memorizzate e disponibili in un elenco dal menù. La presa USB è compatibile con dispositivi di memoria formattati in FAT32 oppure NTFS. Il costruttore ha anche annunciato le funzioni di registrazione e time shift, che però saranno disponibili più avanti. Completa la dotazione di prese un’uscita digitale ottica per il collegamento a un sistema home theater oppure a una soundbar. Sul pannello frontale è disponibile un’altra presa USB, ma di tipo 2.0, sempre per funzioni multimediali o aggiornamento software. Il telecomando in dotazione Troppi tasti e troppo piccoli Il comando a distanza del ricevitore TELE System è di origine orientale e molto economico, i tasti sono moltissimi e sono in gran parte molto piccoli, difficile da utilizzare se avete mani poco meno che affusolate. Inoltre alcuni tasti tendono addirittura a restare incastrati nella griglia dopo essere stati premuti e bisogna farli riemergere con le unghie o uno strumento appuntito. Le zone funzionali sono divise abbastanza bene e si può anche comandare un televisore tramite codici precaricati. Assai poco “logica” la logica dei menù e prima di fare la mano ci vuole un utilizzo di qualche giorno. Per altre operazioni, come l’impostazione dei pre- torna al sommario video feriti, bisogna andare a intuito seguendo le indicazioni su schermo perché ignorate dal manuale di istruzioni. Discutibile e fastidiosa la spia rossa che si accende ogni volta che si preme un tasto. Inizia l’avventura Colleghiamo le due antenne terrestre e satellitare, inseriamo la cam di TivùSat in versione HD, usiamo il pregevole cavo HDMI per collegarci a un TV e inseriamo l’alimentazione tramite adattatore a spina esterno. Sul ricevitore non c’è il display ma solo una spia di funzionamento ma comunque basta seguire le schermate. Inizia la sintonia automatica con il satellite, nel nostro caso il menù è già pronto su Hot Bird con parabola unica ma per impianti più complicati come Unicable, bisognerà impostare i vari parametri. La sintonia è piuttosto lenta ma con tempi nella media e poi si passa subito al digitale terrestre, qui le cose vanno veramente per le lunghe perché il ricevitore analizza due volte ogni frequenza, in modalità DVB-T e DVB-T2, comprese le frequenze dove da molto tempo non ci sono più emittenti come i canali che vanno dal 61 al 69. La sensibilità sul digitale terrestre non è delle migliori e alcuni canali “difficili” non vengono riconosciuti e memorizzati, un fattore da valutare se il vostro impianto d’antenna non è dei migliori. Una volta terminate le operazioni possiamo accedere alle liste canali per scegliere i preferiti ma notiamo che la numerazione sat è già quella di TivùSat e quindi in pratica non serve fare altro. Sul digitale terrestre lo zapping è lento ma in maniera ragionevole, come accade su tanti televisori, interessante il banner di ogni canale dove appaiono anche i valori di intensità e qualità del segnale. Con i canali via satellite le cose non vanno altrettanto bene e subito iniziano i problemi con i canali codificati di TivùSat: per lunghi istanti appare la scritta canale codificato, poi a volte le cose si aggiustano, a volte invece si sente l’audio ma non si vedono immagini oppure viceversa mentre rimane la scritta canale codificato. Lo zapping quindi è praticamente impossibile, specie quando si passa da un emittente Rai a una Mediaset o La7; il brutto è che l’inconveniente si presenta non solo alla prima visione dei canali codificati dopo l’installazione, ma anche ad ogni nuova accensione. Sul canale Rai 4K c’è la variante di blocchi colorati che si alternano sullo schermo, ma per fortuna dopo qualche minuto l’immagine si stabilizza. TELE System deve avere già presente il problema perché ha già annunciato aggiornamenti firmware, non ancora disponibili durante il nostro test. Male la prima lab Il ricevitore di TELE System ha il privilegio di essere il primo in assoluto sul mercato con queste caratteristiche, ma ne paga anche il prezzo: forse si è andati troppo in fretta per non perdere l’appuntamento con le trasmissioni 4K degli Europei. Rimane il fatto che l’utilizzo del TS Ultra 4K non è piacevole ma continua fonte di inconvenienti pratici. Se poi consideriamo il prezzo di listino e la necessità di aggiungere la smarcam per Tivù Sat (fatte salve promozioni in bundle nei punti vendita) è davvero difficile per il momento consigliarne l’acquisto. Forse è meglio aspettare qualche mese in modo che il costruttore sistemi le cose, fermo restando che il telecomando in dotazione è inadeguato al prezzo richiesto per il ricevitore. n.136 / 16 27 GIUGNO 2016 MAGAZINE TEST Nel panorama di videocamere connesse, Sitecom propone un dispositivo facile da configurare, controllabile via smartphone La videocamera smart Sitecom ruota di 300 gradi Ha due caratteristiche uniche: la rotazione a 300 gradi, controllabile da remoto, e la registrazione gratuita su Google Drive di Franco AQUINI ggi è possibile realizzare un buon impianto di videosorveglianza con dispositivi semplici da configurare e poco dispendiosi. Niente più mal di testa da router, indirizzi IP o complicate configurazione di rete; con un’app si mette in piedi un sistema di video sorveglianza in una manciata di minuti. Sitecom prova a differenziarsi dalla concorrenza con caratteristiche che la rendono unica: la rotazione a 300 gradi motorizzata e la registrazione gratuita su Google Drive, che non richiede dispendiosi abbonamenti mensili. O video L’installazione è facile quando tutto va per il verso giusto Sitecom Home Cam Twist è un dispositivo domestico, fatto per offrire un buon sistema di monitoraggio della casa anche a chi non è pratico di configurazione di rete. Stiano tranquilli quindi tutti coloro che confondono un router con un’astronave giocattolo, Home Cam Twist si configura in pochi minuti tramite l’app disponibile per iOS e Android. Sull’installazione si può muovere soltanto un appunto: la procedura non è il massimo dell’intuitività e se si salta il passaggio iniziale della configurazione della propria rete Wi-Fi, si può rischiare di entrare in un loop dal quale si esce con difficoltà. Niente comunque che non si possa risolvere staccando la videocamera della corrente e ricominciando dall’inizio. Non ci saremmo soffermati a descrivere attentamente questo punto se non fosse per il confronto, impossibile non farlo, con i due prodotti analoghi di Netgear, Arlo e Arlo Q, che abbiamo avuto modo di provare a fondo qualche mese fa. In quel caso avevamo apprezzato l’installazione, talmente semplice da essere un modello. In questo caso invece, pur essendo su buoni livelli, qualche passaggio rischia di diventare ostico. Bisogna però anche dire che l’assistenza telefonica italiana (a pagamento) ha risposto immediatamente e ha risolto il problema in circa un minuto, cosa assai poco comune. L’occhio rotante che controlli con l’app Home Cam Twist è una videocamera spiccatamente indoor, fatta per stare su una superficie piana come un mobile o un tavolo. Ha l’alimentatore micro usb con un comodo cavo da 3 metri per poterla posizionare in posti alti come una libreria, ma non può essere appesa al soffitto. Ha però una caratteristica che la rende unica: la torna al sommario lab rotazione controllabile da remoto. Una volta registrata e configurata la telecamera, attraverso l’app, è possibile ruotare l’obiettivo motorizzato semplicemente agendo sulle frecce poste ai lati del video. L’obiettivo ruoterà a piccoli step di qualche grado, permettendo di avere uno sguardo pressoché totale sull’ambiente dove è posizionata. Il meccanismo non è molto rumoroso, ma è difficile che il soggetto spiato (tipicamente animali domestici) non se ne accorga. E allora la Home Cam Twist potrebbe diventare il miglior giocattolo tecnologico per gatti... e di conseguenza finire di vivere in un attimo. La qualità del video soddisfa le esigenze. Si tratta di un sensore CMOS da 1MP in grado di registrare video a 720p anche in condizioni di buio totale, grazie al LED a infrarossi che offre una visione sostanzialmente chiara fino circa a 5 metri di portata. La qualità del video è comunque impostabile secondo tre livelli qualitativi, ma già con la qualità media si ottengono immagini di discreta qualità che occupano poca memoria. Oltre al video c’è l’audio bidirezionale. Non è possibile soltanto ascoltare quello che succede nell’ambiente dov’è installata la videocamera, ma si può anche parlare tramite lo smartphone. Basta schiacciare il tasto “parla” e l’audio viene riprodotto direttamente dalla videocamera. È un audio certamente un po’ gracchiante, ma comunque comprensibile. Registra su Google Drive Addio agli abbonamenti mensili Infine, menzione particolare per quanto concerne la registrazione cloud dei clip. Il punto dolente di gran parte della concorrenza sono i piani abbonamento. Intendiamoci: quasi tutte le videocamere domestiche, Home Cam Twist compresa, prevedono la registrazione su un memoria microSD locale, ma la funzionalità interessante di questi dispositivi connessi è proprio la possibilità di registrare in remoto via Wi-Fi e consultare le immagini registrare dall’app. Sitecom ha deciso di non creare un proprio spazio nel cloud come la concorrente Netgear, ma si è affidata all’ottimo servizio di cloud storage di Google Drive. In questo modo ci si collega al proprio account Google e si possono sfruttare i 15 GB, offerti gratuitamente da Google, per registrare immagini e video. La disponibilità del video, rispetto alla notifica dell’evento, è quasi immediata. Basterà attendere qualche minuto e comparirà una cartella con il video registrato in formato mpeg4 con codifica H.264. Per capire, una clip di 15 secondi in qualità media pesa circa 1 MB. Facile quindi intuire che i 15 GB gratuiti offerti da Google, possono essere più che sufficienti per qualsiasi tipo di utilizzo: nel caso non bastino, è sempre possibile accedere a un piano a pagamento.