il vero viaggio di scoperta non è cercare nuove

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il vero viaggio di scoperta non è cercare nuove
‘il vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi’ (M. Proust)
Questi i risultati del SECONDO INCONTRO (Martedì 25 ottobre 2011) sulla DESCRIZIONE
Sono esercizi, materiale di lavoro non sempre – non ancora – rifinito. Qualcuno pensa che avrebbe potuto
fare meglio? Si accomodi. Non era facile. Tanto più che in molti degli esercizi si nasconde già una storia
che vuole essere raccontata.
Il gruppo si è riunito presso il Centro commerciale “Le Barche”. Divisi in gruppi di due/tre i nostri aspiranti
scrittori hanno ricevuto scarne istruzioni per una sorta di caccia al tesoro.
Hanno avuto 30 minuti di tempo per osservare e descrivere individualmente ...
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...il piazzale antistante l’Oviesse, individuando almeno due passanti interessanti
Sotto la tettoia c'è una moltitudine di persone che all'inizio non sembrano interessanti.
C'è un ragazzo che a prima vista dimostra di avere su per giù trent'anni, moro, con i capelli tagliati a
spazzola e una barba corta e anche un po' rada. Al sopracciglio sinistro ha un piercing verde fluorescente,
al labbro inferiore un anello d'oro e al lobo dell'orecchio destro un indiscreto dilatatore azzurro a forma di
spirale. Indossa una canottiera bianca leggermente consunta e dei jeans larghi e trasandati.
Per coprirsi indossa un cappotto dall'aria pesante con stampa militare e dei guanti di pelle senza dita. Ai
piedi porta degli anfibi neri con le stringhe strette e rosse.
Con circospezione porta la mano alla tasca destra del cappotto e ne estrae un sacchettino che
indubbiamente contiene del tabacco e con movimenti esperti comincia a arrotolarsi la sigaretta vagando
pigramente con lo sguardo. (Marta Roncato V B)
Più in là posizionato con la schiena contro una colonna c'è un ragazzo con i capelli ricci e rossi un po'
tendenti al biondo tenuti con una fascia rossa. I suoi occhi sono azzurri, contornati da una spessa linea
nera fatta con la matita. Sopra il labbro superiore c'è un neo e sembra anche andarne fiero. Al collo porta
un collare con applicate delle borchie lunghe ed acuminate.
Indossa dei pantaloni di pelle neri abbastanza attillati e una giacca nera di jeans anch'essa di pelle, che in
seguito rivelerà sulla schiena la scritta stampata in grande dei “Metallica”. Accanto a lui appoggiato senza
troppa cura c'è il suo zaino nero, con molte tasche e costellato di toppe e spille dei suoi gruppi musicali
preferiti. (Marta Roncato V B)
ANIMA ROCK
Camminavo lentamente nella piazza osservando i passanti.
Quando ad un tratto… ECCOLO!
Lo pedinai mentre la pioggia scendeva fina fina.
Si muoveva velocemente, era alto di statura, portava i lunghi capelli grigi legati con un codino nero.
Il mento era sfuggente, nascosto da una barbetta appena accennata che celava una bocca carnosa con
labbra piene e generose.
Gli occhi erano nascosti da un paio di occhiali con lenti scure.
Il fatto di non sapere nulla sulla sua vita ha lasciato spazio alla mia fantasia e l‟ho immaginato come un
chitarrista rock.
Dal suo abbigliamento giovanile e alla moda si percepiva una grande voglia di vivere, che solitamente negli
anziani è difficile da trovare.
Ed è questo che più mi ha colpito di lui. (Valentina Galvan V D)
UN PICCOLO UOMO
Ho un debole per i bambini.
Il piccolo che ho visto in piazza avrà avuto sì e no due anni.
I capelli lisci e nerissimi incorniciavano il suo visetto paffuto e sveglio.
Le labbra sporgenti sostenevano il succhiotto di gomma.
I suoi grandi occhi neri e dolci imploravano la madre di passargli l‟ombrello.
Traballava sui suoi piccoli piedi sfidando la madre a rincorrerlo.
Questo minuscolo uomo, vestito con jeans ed un giubbotto di pelle nero, mi sorrise.
Da questo ho capito che non sono un granché come pedinatrice. (Valentina Galvan V D)
... un uomo in un negozio di abbigliamento maschile
In un negozio di abbigliamento maschile, nascosto dall'ombra di una colonna, noto un ragazzo giovane,
probabilmente di un'età compresa tra i venti e i venticinque anni. Con il suo stile originale, che riproduce
quello di Bob Marley, sta osservando accuratamente la sua immagine riflessa su uno specchio. Si trova
perfettamente sotto una delle numerose lampade che illuminano il negozio e, con la sua presenza
appariscente, ricorda un divo di Hollywood sotto la luce abbagliante dei riflettori. Sfila delicatamente dalle
braccia mascoline una felpa colore rosso ruggine dal tessuto sgualcito e la posa, con altrettanta grazia, su
un ripiano al centro del negozio su cui erano già posizionati dei capi in esposizione. Infila ora, prima un
braccio e poi l'altro, in una giacca di un eccentrico color blu elettrico. La abbottona flemmaticamente, ma
tralascia il bottone centrale, destando un po' di disordine in tutta questa seraficità e lasciando dentro di me
un senso di incompletezza. Riguarda più volte con lo sguardo il suo riflesso per controllare che tutto sia
perfetto, poi si gira e protende la mano sinistra verso la sua felpa adagiata sul ripiano. Si ferma, ci ripensa.
Torna dinanzi allo specchio, forse non è più così convinto della sua scelta. Comincia nuovamente a
scrutare la sua figura, raddrizza le spalle, si volta a destra, poi a sinistra, poi si gira. Si avvicina alla parete
opposta a quella dello specchio e inizia a sfogliare gli abiti con la stessa delicatezza che avrebbe usato per
sfogliare le pagine della Bibbia. Ora si volta nuovamente e si accosta allo specchio, accarezza la giacca
per eliminare qualsiasi piegatura e imperfezione, pur non accorgendosi ancora di non aver chiuso un
bottone. Colpo di scena. Con aria altezzosa compie un cenno di approvazione con il capo, recupera la sua
felpa, sbottona la giacca e si dirige verso la cassa per acquistarla. Scambia poche parole con la
commessa, senza dare troppa soddisfazione alle attenzioni che questa gli rivolge. Si dirige ora verso
l'uscita del negozio, sfilando tra i manichini, con una camminata composta e ritmata da un suono
tintinnante, derivante da un mazzo di chiavi appeso con una catenina alla tasca destra posteriore dei
pantaloni color indaco. Ora riesco a intravedere i suoi capelli castani e ricci, che sembrano ribellarsi al
cappello verde smagliante in cui sono costretti. Il suo stile insolito fornisce un vivido contrasto con il suo
atteggiamento pacato. I suoi occhi, di un miele intenso, puntano dritto verso la maniglia e la mano si
prepara già ad afferrarla. (Giulia Stiglich V B)
...due persone che stanno visitando un negozio di abbigliamento femminile
Donna sulla quarantina, bionda, con i capelli lisci e sottili che arrivano appena sotto le spalle. Le punte dei
capelli sono un po‟ rovinate, segno che la piega perfetta dei capelli, con la scriminatura al centro della testa
non è naturale ma frutto della piastra. Indossa un cappotto grigio scuro, che tiene forse un po‟ troppo
stretto in vita, con il collo largo e foderato di pelo, come il bordo di un cappuccio. Dà l‟impressione di avere
un qualche animale intorno al collo. Probabilmente porta anche una gonna, perché si vedono calze nere
ipercoprenti che le inguainano le gambe non magrissime fino alle scarpe nere di vernice, a punta e con un
tacco a spillo sottilissimo. Forse per questo ad ogni passo fa uno strano movimento con le anche, come se
si dovesse puntellare per spingersi avanti, e la caviglia spesso le cede un po‟. Porta anche una borsa di
vernice nera da cui ogni tanto estrae dei guanti che credo siano di lana, sempre neri. Ha le guance molto
truccate, tanto che l‟effetto è strano perché invece gli occhi, che mi sembrano verdi, sono truccati più
normalmente, con la linea di matita nera e il mascara. Mi avvicino, vedendo che si è fermata accanto ad un
espositore, e sento che si lamenta, mettendo giù un anello foderato esternamente di pelo nero, seccata
perché non è abbastanza peloso. (Serena Voltan I C)
Donna più vicina ai cinquanta che ai quaranta, alta, con i capelli lisci, neri e lucidi, forse per la lacca, tenuti
dietro la testa da una grande molletta per capelli leopardata, che formano una specie di “coda di gallo”
dietro la testa, o almeno è quello che mi è sembrata. Indossa un cappotto marrone chiaro e scruta i vari
vestiti toccandoli con due dita e guardandoli con aria di disprezzo. La frase che le si sente dire più di
frequente è: “Che cos‟è „sta roba?”. (Serena Voltan I C)
... un cliente maschio del supermercato (variante: un commesso)
Accovacciato dinanzi a uno scaffale di dolci, la nostra vittima sta sistemando dei pacchetti su un ripiano di
metallo. È un ragazzo di appena ventiquattro anni, alto, robusto, moro, occhi scuri e un insignificante
accenno di barba sotto il mento e sulle guancie. Come testimonia il camice verde e grigio che porta sopra
una tuta è un commesso del supermercato ma, a differenza degli altri commessi, non è né di fretta, né
preso particolarmente dal suo impiego, né accenna alla solita frenesia che si vede negli addetti alle
vendite. È tranquillo, anzi annoiato: appoggia con lentezza il contenuto delle scatole che ha attorno e
guarda con sguardo assente ciò che ha davanti. La gente gli passa dietro, avanti, in fianco e il massimo
della sua reazione è di spostare una scatola che intralcia. È isolato, rapito in un mondo tutto suo, pensando
a chissà quali problemi, e lo confermano i gesti meccanici che compie. Temporeggia. Forse in un orario
triste come questo non c‟è molto da fare, i minuti passano lenti, il supermercato è semivuoto, i clienti sono
perlopiù anziani e madri part-time e il silenzio regna, si sente solo un po‟ di musica di sottofondo. Il tempo è
fermo, non passa più per la nostra vittima, che cerca disperatamente sullo schermo del cellulare l‟ora della
fine del suo turno. Temporeggia e spera che arrivi presto il momento in cui appenderà il suo camice e
scapperà dalla porta di servizio, verso i suoi appuntamenti da giovane uomo. Si tira su le maniche del
camice e della felpa sottostante mostrando le sue possenti braccia pelose e due braccialetti, uno giallo e
uno argento. Si guarda attorno con fare annoiato, cercando qualcosa che lo porti via da lì, si alza e con
passo allungato ma allo stesso tempo lento si aggira per il locale, fingendo di essere impegnato come i
suoi colleghi. Si siede su una poltroncina dietro una cassa e comincia a passare gli articoli sul lettore con i
soliti gesti meccanici e lo sguardo assente. Il suo mondo, chiaramente lontano da quel che è il
supermercato, lo trattiene, stretto tra pensieri distanti e insormontabili o semplicemente più interessanti del
suo lavoro. Borbotta un prezzo con la sua voce grossa e pigra, non ha nemmeno la voglia di dire una
manciata di numeri a un cliente. Continua la sua parata degli articoli sullo scanner e alla fine di ciascuno
parlotta il prezzo e un “arrivederci” strascicato che lascia pensare a tutto tranne che abbia desiderio di
rivedere quella cliente. Sulla sua poltroncina a rotelle leggermente rialzata compie dei mezzi giri ruotando
la parte superiore della sedia, come fanno i bambini annoiati e tamburella con le scarpe bianche
consumate sul pavimento, totalmente fuori tempo con la musica di sottofondo. Si passa di tanto in tanto
una mano tra i capelli impiastrati di gel, unico segno di uno stile curato che sicuramente adotta fuori dal
supermercato. Sbuffa e controlla ancora l‟ora. È incastrato lì, non può uscire e si sente chiaramente in
trappola, dentro ad un camice che dovrebbe indossare un uomo più maturo di lui, che non vuole
impegnarsi in altri impieghi o che deve arrotondare il guadagno mensile di un altro lavoro. Quel posto non
fa per lui e chiaramente non vede l‟ora di mollare tutto e andarsene, ma qualcosa glielo impedisce. (Elena
Noventa V D)
... il piazzale antistante il centro commerciale (negozi, traffico, comportamento automobilisti ecc.)
Il selciato è disseminato di mozziconi di sigaretta e foglioline color ocra schiacciate sulla pavimentazione.
La geometria (anche se mai omogenea) creata dall‟iterarsi di bidoni della spazzatura, pali della luce e altri vari - pali, si potrebbe riassumere in un insieme di susseguirsi di linee parallele inscritte in un triangolo
rettangolo il cui angolo retto coincida con l‟angolo destro del portico de “Le Barche” (angolo destro per chi
dia le spalle al complesso).
Così facendo, la linea più lunga (anche se è meglio d‟ora in poi chiamarla fila) si trova necessariamente di
poco avanzata rispetto al porticato.
In questa prima fila, dunque, si trovano verso sinistra tre bidoni della spazzatura - dei cinque totali dalla
forma più antiquata del piazzale (color verde bottiglia, con basamento e copertura pseudo-marmorea) –
accoppiati a tre pali della luce ed altri due lampioni liberi sulla destra.
Più in avanti vi sono altre due file, ugualmente distanziate, la più vicina è formata da tre pali della luce e
due bidoni del tipo descritto in precedenza, mentre l‟ultima (che combacia quasi con un vertice del nostro
ipotetico triangolo) ne presenta solo uno.
Nella prima fila, oltre all‟accoppiata bidone-palo della luce, c‟è anche un cassonetto dall‟aspetto più
moderno, in metallo e fornito di posacenere. I lampioni hanno una copertura metallica della lanterna, che
presenta la forma di un arco fortemente ribassato, sostenuta da due braccia (color verde bottiglia come il
palo), che si raccordano in una principale all‟altezza della lanterna.
Tra la seconda e la terza fila c‟è un orologio analogico con il quadrante bianco e lancette nere, che esibisce
una pubblicità del Simply Market.
Vi sono inoltre due piloni volti in senso radiale che sostengono le linee del tram.
Seguendo la curva della strada, sulla sinistra si trova un portico delimitato da pilastri quadrangolari, in
ognuno dei quali è segnalato da un cartello rettangolare rosso il divieto di affissione; sotto di questo, un
negozio della TIM che espone in un totale di tre vetrine - da sinistra verso destra – nella prima, una
scrivania e una sedia, entrambe dall‟aria moderna, bianche con le zampe metalliche, nella seconda in due
diversi supporti le “Novità” e i “Più venduti” mentre nell‟ultima, in un grande quadrato sospeso, la
presentazione dell‟IPAD 2.
In questo palazzo, oltre il piano terra interamente occupato dal negozio, ve n‟è uno nel quale finestre binate
si susseguono in modo regolare ed altri quattro che presentano al contrario portefinestre che vengono
raccordate due a due da un terrazzino. Il terrazzino angolare dell‟ultimo piano è sormontato dallo stemma
dell‟“Hotel Venezia” (un cappello da jolly a tre punte sormontate da altrettante stelle).
Questo edificio forma un angolo tra la strada e “Via Teatro Vecchio”, nella quale si trova l‟“Hotel Venezia”,
davanti il quale sono posteggiate due macchine, una gialle e la seconda di colore scuro (nero o blu).
Sempre costeggiando la strada si trova la “Gelateria dal Duca”, il negozio ”Adri”, caratterizzato da una
tenda bianca, sporca, con la scritta blu, come gli infissi.
Oltre, il negozio Pavan-Biondetti, che vende calzature esposte in tre vetrine (una che guarda la strada, le
altre due si affacciano invece ad una laterale), fa angolo con “Via Olivi” che prosegue – fin dove si riesce a
vedere - col caffè Dersut inquadrati da archi in laterizio a tutto sesto con piedritti evidenziati dall‟uso di un
materiale dal colore leggermente più scuro, superata la quale si trova un‟isola pedonale, con un‟edicola,
che si trova nella biforcazione tra questa e la strada presa fino ad ora in considerazione, che si immette in
“Via Lazzari”.
Attraversata la strada, ci si ritrova quindi di fronte al centro commerciale, con la sede di Antonveneta
(gruppo Montepaschi) sulla sinistra; l‟edificio è composto di otto piani, tutti – ad eccezione del piano terra –
intervallati da cinque finestre binate per piano con le tapparelle ovunque mezze abbassate (tranne la
singola angolare, la cui compagna si affaccia in Via Lazzari). (Giulia Olivato I A)
... una madre con figlio piccolo (max 6/7 anni)
La madre, italiana, di statura media, indossava un paio di jeans chiari, un giubbotto scuro, delle scarpe da
ginnastica, portava una borsa sui toni del marrone e teneva attaccati al braccio il proprio ombrello e quello,
dal manico rosso, del figlio. Sembrava avesse circa 35-40 anni.
Aveva i capelli neri raccolti in uno chignon, era struccata, sembrava essere piuttosto determinata e pareva
essere una persona che mette sempre molto impegno in ciò che fa.
Suo figlio (un bambino di 5 anni circa), verso il quale non sembrava esternare molto i propri sentimenti se
non nel tono di voce dolce e ammiccante, era stato probabilmente adottato, poiché quando abbozzava dei
discorsi parlava con accento straniero e alcune parole avevano significato diverso da quello delle normali
parole italiane, aveva la carnagione scura tendente all‟olivastro (probabilmente di origine asiatica) e aveva
una cicatrice sul volto vicino all‟occhio sinistro, aveva occhi e capelli scuri; indossava, come la madre, dei
jeans chiari, scarpe da ginnastica ed un giubbotto nero.
L‟atteggiamento del bambino era tuttavia completamente differente da quello della mamma: era totalmente
disinteressato allo shopping e a ciò che lei gli proponeva, sembrava vivere in una sua sfera privata e,
probabilmente facendosi condizionare dalla musica del locale, camminava tenendo le gambe larghe e
ciondolando da una parte all‟altra mentre giocava con il suo orologio verde e nero, che sembrava essere
sproporzionato ed enorme rispetto al suo piccolo polso, e teneva contemporaneamente in mano anche un
berretto nero. (Noemi Ruberti I A)
Racconto basato sull'osservazione della madre con bambino: LA VITA DI TUTTI I GIORNI.
La sveglia segna le sei della mattina. Devo alzarmi per andare al lavoro. Passo per il corridoio e piano apro
la porta della cameretta. Isac dorme profondamente. La notte è stata agitata. Continua a sognare quel
mostro nero che mangia i bambini. Vorrei che avesse soltanto paura del buio come tutti gli altri, ma
purtroppo lui è diverso e ogni volta ci vogliono ore per tranquillizzarlo. Vado in bagno e mi guardo allo
specchio. La prima persona che vedo ogni mattina è l'immagine di me stessa, o meglio, l'immagine che gli
altri hanno di me, perché io non sono così. Appaio stanca, affranta, prosciugata della mia energia. La mia
pelle è chiara, quasi trasparente. “Non sei più giovane come una volta” mi ripete la mia coscienza. Mi lavo il
viso: ora mi riconosco. La porta si apre: «Mamma?»
Rimango ogni volta stupita da questa parola: mamma. Devo ancora abituarmi all'idea di esserlo diventata
dopo essere uscita da quell'orfanotrofio.
Lo faccio entrare. Ha di nuovo fatto quell'incubo. Gli passo lo spazzolino da denti e insieme ce li laviamo.
Lui, pieno di gioia, scuro di pelle, mi guarda facendo smorfie davanti allo specchio. Io l'osservo tenendo per
me l'affetto che vorrei trasmettergli, senza riuscirci.
Per strada la gente capisce subito che non è mio, che non mi appartiene. La sfido con la testa alta e
continuo a camminare, ignorandola.
Lo saluto lasciandolo con gli altri bambini, da una parte mi dico che starà bene, dall'altra mille pensieri mi
soffocano. Gli ho dato la merenda? Lo prenderanno in giro? Gli chiederanno perché ha una cicatrice sul
volto? Ora basta. Devo andare.
Quando sono tornata a prenderlo, Isac mi ha regalato un disegno.
«La maestra mi ha detto di disegnare la mia mamma. Vedi? C'è scritto che la mia mamma è la migliore di
tutte perché mi vuole tanto bene».
Una lacrima mi scivolò via, come se fosse stato un tappo fece uscire tutti i miei sentimenti e cancellò quella
paura di non essere pronta ad assumere, per quel bambino, un ruolo importante da prendere, però, per
quello che era. Ho capito che Isac non vedeva le stesse cose che vedevo io nello specchio, ma nella mia
immagine riconosceva semplicemente quella di sua madre. (Nadia Fidone V D).