E E« N C L`antenata di Dracula? Portava la camicia rossa

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E E« N C L`antenata di Dracula? Portava la camicia rossa
MERCOLEDÌ
9 MARZO 2011
APPUNTAMENTI
DIALOGO SOTTO ESAME
◆ «Aperitivo d’autore» oggi alle
18.30 presso la Libreria Terra
Santa di Milano (via Gherardini,
6) con Piero Stefani – docente di
Giudaismo presso la Facoltà
teologica dell’Italia
settentrionale – e Francesco
Capretti, dottore in Teologia
ecumenica e autore di «La Chiesa
italiana e gli ebrei» (Emi). Dal
1965, anno della dichiarazione
conciliare «Nostra Aetate», a oggi:
che cosa è cambiato? I due
esperti esaminano i modi in cui il
documento conciliare è stato
recepito all’interno della Chiesa
italiana e fino a che punto ha
prodotto un pensiero teologico
aggiornato; l’autore prende in
considerazione quanto prodotto
dall’editoria cattolica sul tema
del dialogo cristiano-ebraico nei
quarant’anni dal 1966 al 2005.
LA STORIA
IN QUESTIONE
la recensione
Calambrogio: 50 anni
di incontri e scontri
tra «laici» e credenti
DI MAURIZIO SCHOEPFLIN
onsiglio di leggere questo
interessante volume di Giuseppe Calambrogio, direttore dello Studio di Scienze religiose
«San Luca» di Catania, partendo
dalla fine, perché proprio in un’appendice posta alla conclusione del
volume viene riprodotta una «Lettera dell’episcopato italiano al clero», risalente al 25 marzo 1960. Si
tratta di un documento che si fa
apprezzare per la straordinaria
lungimiranza: infatti esso dimostra
che, oltre cinquant’anni fa, i vescovi avevano già ben chiaro che cosa
fosse il fenomeno del laicismo che
si andava imponendo nella cultura
e nella società italiane; ed è veramente impressionante notare come alcune componenti cruciali
della polemica anticattolica tipica
di una certa intellighenzia laica
nostrana – le aspre e ingiustificate
critiche alla cosiddetta ingerenza
della Chiesa, le forzature in merito
alla legislazione sui delicati temi
riguardanti la vita, il reiterato attacco alla libertà della scuola, la
critica corrosiva dell’istituto matrimoniale e della famiglia in genere
eccetera - siano rimaste tutt’oggi
pressoché invariate. Dinanzi a
questa amara constatazione si potrebbe avvertire un senso di scoramento e di delusione, ma Calambrogio non ce ne lascia il tempo,
perché – per quanto opportunamente consapevole dell’enorme
fatica richiesta per operare alcuni
cambiamenti storico-culturali – richiama la nostra attenzione sullo
scenario in cui deve svolgersi, nel
momento presente, quel dialogo
senza complessi fra cattolici e laici
che appare tanto necessario quanto improcrastinabile. Però (e Calambrogio lo dice a chiare lettere)
non si tratta di instaurare un dialogo qualsiasi, tanto per ossequiare
il «politicamente corretto» che impone di dialogare a qualunque costo. Non di questo, infatti, si ha bisogno, mentre è massimamente
auspicabile un serio confronto che
sappia instaurare rapporti reciprocamente soddisfacenti, superando
quella che l’autore definisce «una
strana democrazia, una democrazia intollerante con i valori che costituiscono l’identità cattolica».
Per ottenere il risultato sperato,
Calambrogio fa appello alla ragione, nella convinzione che essa sia
lo strumento insostituibile «per
capire e non per demonizzare».
Come è noto, Benedetto XVI non
si stanca di sottolineare l’alto valore della razionalità umana, anche
ai fini della soluzione delle controversie più difficili. E proprio alla
luce della ragione nel libro si affrontano i grandi temi connessi
con la questione del dialogo fra
laici e cattolici – tra i quali spiccano la scienza, il diritto, la bioetica
e l’educazione –, nella convinzione che «la ragione è la vera condizione di possibilità di un dialogo
autentico».
C
Giuseppe Calambrogio
CATTOLICI E LAICI
PER UN DIALOGO
SENZA COMPLESSI
Editrice Istina.
Pagine 216. Euro 18,00
24
il caso
Durante la fuga verso
Venezia, dopo la fine
dalla Repubblica
Romana nel 1849, l’«eroe
dei Due Mondi» spesso
approfittò dell’ospitalità
dei conventi cappuccini
A Pietrarubbia, nelle
Marche, fece un’offerta
per tre celebrazioni
mentre a Loreto comprò
una cassetta di rosari
DI EGIDIO PICUCCI
state del 1849, al tempo della
fragile Repubblica Romana. Poco
prima che il generale francese
Nicolas Oudinot entrasse nell’Urbe,
Garibaldi iniziò da piazza San Giovanni
in Laterano una ritirata memorabile che
lo avrebbe dovuto condurre, secondo i
suoi progetti, al soccorso di Venezia con
un esercito di 2500 fanti, 400 cavalli,
alcune bestie da soma e un solo
cannone. Al suo fianco l’immancabile
Anita. In Toscana il generale fece due
fuggevoli soste nei conventi di Sarteano
e Cetona. Seguendo poi un itinerario
studiato a tavolino, l’eroe dei due
mondi s’avviò verso le Marche, dove
entrò valicando il passo di Bocca
Trabaria. Quindi dopo aver attraversato
Mercatello sul Metauro, Sant’Angelo in
Vado e Macerata Feltria, si fermò nel
convento dei cappuccini di
Pietrarubbia. Era il 30 luglio e, oltre alla
moglie Anita, c’erano con lui
personaggi passati alla storia, come il
colonnello Forbes, il barnabita padre
Ugo Bassi, Stefano Ramorino e Angelo
Brunetti detto «Ciceruacchio» con il
figlio tredicenne Lorenzo. In una
Memoria manoscritta redatta 50 anni
dopo la sosta di Garibaldi nel convento,
l’archivista padre Giuseppe da Fermo
scrisse: «Questo convento di
Pietrarubbia fu invaso dai garibaldini e
da Garibaldi stesso, che con la sua Anita
passò la notte nel medesimo. Per la
presenza di spirito del padre Salvatore
da Senigallia, il convento non ebbe a
subire guasti importanti da
quell’accozzaglia di gente… Curioso e
sintomatico è quanto fu scritto nel
Libro delle messe avventizie: «Messe tre
ordinate da Giuseppe Garibaldi per la
povera Anita, tanto sofferente». Ma
essendone i tedeschi alle calcagna, nel
mattino seguente abbandonarono
questi luoghi con tanto sollievo di quei
E
L’ateo Garibaldi
a Messa per Anita
montanari che, pieni di spavento, parte
a Loreto nel 1848, comprò "una cassetta
coi loro armenti se n’erano fuggiti tra
di rosari" per la mamma Rosa, donna
rupi e parte se n’erano rinchiusi nelle
devotissima». Continuando la marcia,
loro casupole [...] Quei buoni vecchi,
Garibaldi arrivò nella Repubblica di San
che tali cose mi raccontavano,
Marino il 31 luglio 1849, accolto dal
sembrava che tuttora sentissero i brividi
Reggente Domenico Maria Belzoppi e
del momento». Altri particolari
"dirottato" poi al convento dei
riguardano la richiesta, da parte di
cappuccini, il cui Guardiano, padre
padre Bassi, «di due uova fresche
Raffaele, soccorse amorevolmente i
perché ammalato di stomaco. Egli
soldati feriti, confortandoli e
portava con sé il breviario e il vasetto
ristorandoli. Anita, gravemente
dell’olio santo che poi lasciò in ricordo
inferma, fu ospitata in una stanza della
ai cappuccini della Repubblica di San
portineria. Scrive ancora padre
Marino, e cercava di rassicurare quei
Santarelli: «Una curiosa tradizione narra
buoni villici, spaventati dall’inaspettato
che Garibaldi avrebbe provato subito
passaggio di tanta gente armata, con lo
un’amichevole simpatia nei riguardi di
scoprire un crocifisso che portava sotto
padre Raffaele che sarebbe stato
la veste e col dire: "Non temete, buona
invitato a unirsi alla refezione dei
gente, non temete, siamo anche noi
soldati, costituita da carni rosolate
cristiani"». Scrive padre Giuseppe
all’aperto su lunghi spiedi. Il
Santarelli, storico del santuario mariano
cappuccino all’inizio avrebbe cercato di
di Loreto: «Quella nota del Libro delle
schermirsi, ma alla fine si sarebbe
messe avventizie purtroppo è andata
associato alla brigata e avrebbe
perduta. Nel 1931,
pronunciato parole
stando a quanto
sulle
A San Marino la moglie spiritose
scrive padre Pacifico
vivande fumanti". Il
da San Severino,
giorno dopo l’arrivo
malata venne accolta
essa era ancora
partì e,
in un istituto religioso e Garibaldi
conservata, perché
dando un ultimo
egli dice: "Come
sguardo al cenobio,
il generale commentò:
risulta da un registro
disse: «Ove sono i
«Dove ci sono i frati,
ancora esistente".
conventi, ivi pur
Dalla testimonianza
l’aria è buona». Sui
anche l’aria è buona»
di un altro religioso
gradini della chiesa
sappiamo che, dopo
scrisse l’Ordinanza
che conteneva anche il doloroso rinvio
la seconda guerra mondiale, il
della Legione, ormai ridotta allo stremo,
domestico del convento, solito a
pronunciando le storiche parole: «Io vi
prelevare le carte dalla biblioteca e
sciolgo dall’impegno di
dall’archivio per avvolgere i semi degli
accompagnarmi. Tornate alle vostre
ortaggi da distribuire alla gente, una
case, ma ricordatevi che l’Italia non
volta stracciò la prima pagina della
deve rimanere nel servaggio e nella
"Vacchetta" dove erano registrate le tre
vergogna!». Una lapide, posta sotto il
messe ordinate da Garibaldi, per
porticato della chiesa, ricorda l’episodio
avvolgervi alcuni semi, e consegnò
con queste parole: «Da questo sacro
l’involucro al parroco di Carpegna.
luogo/ ove primo sostava/ accolto dalla
Questi, notata la cosa, riportò al
pietà francescana/ nel mattino del 31
convento il prezioso foglio che andò
luglio 1849/ incalzandolo da presso
definitivamente smarrito. Nessuno,
l’Austriaco/ Giuseppe Garibaldi/
comunque, per l’esplicita attestazione
emanava ai suoi militi/ l’ordine del
dei due seri studiosi cappuccini, può
rispetto alla Terra di rifugio/ e scioglieva
dubitare della fondatezza storica della
la Legione». Tra i legionari era sempre
notizia. Garibaldi, nonostante la
presente padre Ugo Bassi, in camicia
proclamata irreligiosità, in questo caso
rossa, il quale lasciò ai cappuccini, in
rivela fiducia nell’aiuto di Dio e
amabile ricordo, il vasetto d’olio degli
sensibilità nei riguardi della sposa
infermi e il breviario, trasferiti poi nel
gravemente inferma, che morirà poco
Museo Garibaldi di San Marino, dove
dopo nella Pineta di Ravenna. D’altro
tuttora sono gelosamente custoditi.
canto si sa che il generale, di passaggio
Giuseppe Garibaldi in ritirata da Roma con Anita e il barnabita padre Bassi (quinto da sinistra), in un acquarello d’epoca (Fototeca)
leggere, rileggere
di Cesare Cavalleri
Ma fu anche massone,
anticlericale e donnaiolo
ella bibliografia per il 150° dell’Unità d’Italia non poteva mancare un pamphlet antipatizzante verso Garibaldi, e vi ha provveduto Luca Marcolivio, direttore del settimanale
web «L’Ottimista», pubblicando Contro Garibaldi
(Vallecchi, pp. 216, euro 12). Il sottotitolo, «Quello
che a scuola non vi hanno raccontato», spiega l’intento del lavoro. Marcolivio, infatti, dà per nota l’epopea garibaldina, non traccia un quadro storico
completo, e si concentra sulla figura di Garibaldi
in una sorta di controcanto rispetto a quello che,
effettivamente, a scuola ci hanno raccontato.
Assai poco gloriose le gesta del nizzardo in Sudamerica, in sospetto presso governi e presso gli insorti di Brasile, Argentina, Uruguay, che pure occasionalmente si servirono dei suoi quadri paramilitari, formati soprattutto da avanzi di galera o da
futuri inquilini di galera. Marcolivio, peraltro, non
dà credito alla leggenda secondo cui la famosa
zazzera di Garibaldi serviva a coprire un orecchio
mozzato, punizione – laggiù – per i ladri di bestiame: l’orecchio era effettivamente danneggiato, ma
a seguito di uno scontro a fuoco con la guardia costiera di Montevideo.
Garibaldi non aveva opinioni politiche proprie.
Dapprima si entusiasmò per l’idea repubblicana
di Mazzini, e la partecipazione a un’insurrezione
ordita dalla Giovine Italia, a Genova, nel 1834 (insurrezione regolarmente fallita) gli fruttò la condanna a morte che lo costrinse a prendere la via
del mare verso il Sudamerica. L’unica conquista
garibaldina d’oltremare fu Anita, vero e corrisposto amore della sua vita, che gli diede i primi figli e
condivise le sue battaglie fino a quando morì, ventottenne, in fuga con l’eroe, a Mandriole di Ravenna, nel 1849. Il capitolo
delle donne di GaribalUn pamphlet tenta
di è troppo affollato e
largamente boccaccedi demolire il mito
sco, per cui non ne
Però nonostante tutto
parliamo qui. Quanto
al profilo politico, Marè difficile non avere
colivio illustra assai
simpatia per il patriota
bene come Garibaldi,
nella spedizione dei
e la sua leggenda
Mille, fu vittima consenziente del doppiogioco dei Savoia: da Marsala a Napoli non fu una
cavalcata trionfale, ma un percorso di stragi, di ruberie e di corruzione degli ufficiali borbonici, al
punto che, a Napoli, Garibaldi fu accolto come liberatore addirittura dal Ministro degli Interni borbonico, Liborio Romano.
Il dato costante della vita di Garibaldi è la sua adesione alla massoneria, fino ai gradi più alti, con gli
aiuti che ne ricevette. Ciò non gli impedì, a Napoli,
di rendere omaggio alla Madonna di Piedigrotta e
di assistere alla liquefazione del sangue di san
Gennaro, che peraltro, anni dopo, definirà «una umiliante composizione chimica». Il culmine del
grottesco fu raggiunto nei suoi ultimi anni quando, trasportato in barella sulle piazze, amministrava addirittura dei battesimi rigorosamente "laici".
L’ambiguità politica di Garibaldi caratterizza anche i suoi rapporti con il Parlamento, di cui fu fiero
oppositore, pur non rinunciando a farsi eleggere
di volta in volta. Guerriero di dubbie capacità, privo di un disegno istituzionale, acerbissimo anticlericale, dissoluto lussurioso: ce n’è d’avanzo per
demolire Garibaldi.
Eppure, resta un interrogativo: come si spiega l’eccezionale popolarità del Generale, il credito internazionale, il consenso di scrittori come Dumas e
Hugo? Soltanto propaganda, autocelebrazione, esacerbato narcisismo, strumentalizzazione da parte dei «poteri forti» dell’epoca? Fatto sta che, nonostante le buone ragioni addotte da Marcolivio, è
difficile non conservare per Garibaldi una certa
simpatia. Proprio per ciò che ci è stato insegnato a
scuola, e che è entrato nel nostro immaginario interiore. Un pamphlet ridimensiona autorevolmente la leggenda, ma lo zoccolo duro resiste.
N
L’antenata di Dracula? Portava la camicia rossa
Franco Mistrali (1833-1880)
DI MASSIMO INTROVIGNE
ppure il sangue
ha la sua ebbrezza come il vino».
Avrebbe potuto dirlo il conte
Dracula di Bram Stoker
(1847-1912). Invece, trent’anni esatti prima del suo libro e
in anticipo di un triennio anche sulla Carmilla di Sheridan LeFanu (1814-1873) che
«E
presenta il primo vampiro al
femminile, queste parole
vengono pronunciate dalla
vampira principessa Metella
di Schonenberg, creata da un
romanziere italiano. È il barone parmense Franco Mistrali (1833-1880), di cui Il
vampiro. Storia vera esce a
Bologna nel 1869. Libro dimenticato, ora opportunamente ripubblicato dalla
nuova casa editrice Keres di
Mercogliano (Av), presenta
qualche consonanza sia con
Carmilla sia con Dracula, anche se «vampiri» nel racconto
sono sia i membri di una setta politica russa sia i veri bevitori di sangue, i cui misteri
non sono svelati neppure alla
fine del testo. Nonostante
l’intervento di un detective
francese che corrisponde a
sua volta al gusto nascente
per il genere poliziesco, il
dubbio su che cosa sia veramente Metella alla fine resta.
Mistrali indulge al gusto romantico per gli intrighi di famiglia, per quelli amorosi –
tra feste a base di «sciampagna» nel Principato di Monaco – e anche politici, nella
Russia degli zar e dei terroristi. Ma di vampiri si parla, per
la prima volta con questa
ampiezza in Europa, e forse il
testo può essere più apprezzato da un lettore di oggi, che
con la letteratura del vampiro
ha acquistato ampia familia-
Ripubblicato il romanzo
«Il vampiro» (1869),
del barone parmigiano
nonché patriota Mistrali
Che anticipò Bram Stoker
rità e comprende al volo certe allusioni. Questo primato
italiano nella letteratura di
vampiri mostra peraltro solo
che certi temi erano nell’aria:
non è probabile che Stoker o
LeFanu abbiano mai sentito
parlare di Mistrali. Ma chi era
costui? Si tratta di un personaggio tipico di un certo Risorgimento, che coniuga il
razionalismo laicista feroce-
mente ostile alle Chiese e alle
monarchie con passioni per
la reincarnazione, lo spiritismo, l’occultismo, temi tutti
che si ritrovano nel romanzo
sul vampiro. Nobile scapestrato, Mistrali s’innamora
del mito di Garibaldi, che più
tardi alimenterà con libri e iniziative pubbliche. Garibaldi lo prende a benvolere perché sia si batte tra le camicie
rosse in modo disordinato
ma valoroso, sia condivide il
più estremo anticlericalismo
del generale. Definisce il Papa «roditore» e «cancro della
povera Italia», e i cattolici
«clericume di una Roma imbastardita». Garibaldi lo ricompensa con un posto di
consigliere delegato alla Banca di Romagna, dove però è
coinvolto in un’oscura bega
fra massoni che lo contrappone al poeta Giosuè Carducci, e nel 1873 finisce in
prigione. Garibaldi, che ha
letto ed elogiato anche Il
vampiro, non abbandona
quello che è ormai un caro amico e riesce a farlo graziare
nel 1878. Negli ultimi anni
della vita Mistrali diventa amico del cardinale di Bologna Lucido Maria Parocchi
(1833-1903), futuro vicario di
Roma; conquistato dalla
bontà del vescovo, il romanziere si converte e muore, nel
1880, pienamente riconciliato con la Chiesa.