Riflessione sulla Prima Lettera ai Tessalonicesi

Transcript

Riflessione sulla Prima Lettera ai Tessalonicesi
Associazione Donum Vitae Roma 21 gennaio 2017 Riflessione sulla Prima Lettera ai Tessalonicesi Brano biblico: 1Ts 3,1-­‐13 Nell’incontro precedente abbiamo sottolineato il profondo legame materno e paterno di S. Paolo con i cristiani di Tessalonica e la conseguente preoccupazione dell’apostolo per la saldezza della loro fede, ancora non adeguatamente illuminata, eppure messa duramente alla prova da varie tribolazioni. Il capitolo due si è concluso con una espressione carica di intenso affetto: “Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia!”. 1. Andati a vuoto tutti i tentativi di raggiungere Tessalonica, l’apostolo decide di inviare Timoteo, “nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo”. Per due volte, nei vv. 1 e 5, scrive di non aver potuto resistere al bisogno di ricercare notizie di prima mano sulla situazione della comunità cristiana. Ha preferito rimanere solo ad Atene e mandare Timoteo “per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede”. L’invio di Timoteo nasce dunque da un bisogno del cuore e, nello stesso tempo, da una ispirazione divina, perché il Signore vuole che i missionari del Vangelo abbiano a cuore le sorti di quanti hanno accolto l’annuncio di Cristo e sono diventati credenti. Nel v. 5 l’apostolo ribadisce la sua preoccupazione e il suo desiderio struggente, scrivendo: “Non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla”. La solitudine ad Atene è costata molto a san Paolo, tanto più che in questa città non ha trovato un ambiente favorevole per l’annuncio del Vangelo, ma il bene dei Tessalonicesi lo ha aiutato a superare ogni sua sofferenza o remora. L’apostolo desidera sostenere e incoraggiare i Tessalonicesi che si trovano in mezzo a prove dolorose; Timoteo viene perciò inviato con il compito di confermare (cioè di far stare saldi) e di esortare (cioè di consolare, confortare, incoraggiare) i fratelli nella fede. Il Signore si serve dei suoi ministri per dire parole efficaci di sostegno e per far sentire la sua consolante presenza. Il timore di san Paolo è che la prova sia talmente pesante da diventare forte tentazione per prendere le distanze dalla fede. Ricorda perciò che la via del Vangelo non è una via facile, ma è costantemente contrassegnata dalla presenza della croce che è insieme sofferenza e amore, dolore e dedizione: alla croce di Gesù segue e corrisponde necessariamente la croce dei discepoli. Nel cammino di fede vanno messe sul conto sia l’inevitabile insidia della prova e della tribolazione sia la garanzia dell’assistenza costante del Signore, secondo la parola di Gesù che aveva detto ai suoi discepoli: “Nel mondo avete tribolazione, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33; cf At 14,21-­‐22). Il papa Giovanni Paolo II lo ricordava nella bolla di indizione del giubileo del 2000: “Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella Rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita” (IM n. 13). Non per nulla il cristiano è un “martire” con tutta la pregnanza di significato del termine. Nella sinagoga di Tessalonica Paolo aveva spiegato e sostenuto “che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio” (At 17,3). La vita cristiana sta dentro la prospettiva della Pasqua di morte e di risurrezione, perciò all’interno della beatitudine dei perseguitati a causa del nome di Gesù (cf Mt 5,11-­‐12). La prova può e deve diventare occasione di crescita e di vittoria. 2. Le notizie riportate da Timoteo sono molto positive e la gioia di Paolo è incontenibile. La fede e la carità continuano a caratterizzare la vita della comunità cristiana di Tessalonica e questo era e continua ad essere per l’apostolo motivo di profonda gratitudine al Signore. Gli viene inoltre riferito che il suo ricordo è molto vivo fra i Tessalonicesi e che grande è il loro desiderio di rivederlo, in sintonia con il suo stesso desiderio di poterli visitare. Fede, carità, vivo ricordo e desiderio di rivedersi hanno il profumo stesso del vangelo. E’ interessante notare che l’apostolo mette sullo stesso piano fede, carità e viva memoria dell’evangelizzatore. Il verbo che utilizza è quello della evangelizzazione, quasi a dire che esiste una corrispondenza fra il Vangelo annunciato e le “buone notizie”, riguardanti la fede, la carità e l’attaccamento all’apostolo dei Tessalonicesi. Le “notizie belle” fanno parte del Vangelo, sebbene non lo esauriscano! Fede e carità sono strettamente collegate fra di loro, come lo stesso Paolo attesta altrove (cf Gal 5,6). Lo stesso ricordo affettuoso dell’evangelizzatore è chiara espressione di amore fraterno. Tutto questo ingenera in Paolo una gioia straordinaria, per cui tribolazioni e prove sembrano quasi scomparire. L’apostolo sembra rinascere, anzi rivivere, di fronte alla costanza e alla fedeltà dei cristiani di Tessalonica. Se precedentemente aveva temuto che la persecuzione mettesse a rischio l’efficacia della prima evangelizzazione, forzatamente e precocemente interrotta, ora può invece felicemente constatare il contrario. Perciò gioia e gratitudine pervadono il suo cuore. La prima lettera ai Tessalonicesi ha tutto il sapore e il calore di una lettera familiare, che rivela una grande ricchezza di umanità, come dovrebbe essere abitualmente fra cristiani, superando la sempre presente tentazione di relazioni di stampo formale e burocratico. “Il linguaggio stesso di Paolo testimonia dell’intensa reciprocità di tale rapporto, con un continuo rimando tra il “noi” apostolico e il “voi” dei fedeli. Infatti, lo stesso vocabolario che indica l’azione apostolica e i sentimenti dell’apostolo, è riutilizzato per indicare l’atteggiamento e i sentimenti della comunità verso Paolo. Ricordiamo genericamente: “noi desiderosi di vedere il vostro volto, voi desiderosi di rivederci”; “noi vi abbiamo annunziato il Vangelo, voi, tramite Timoteo, ci avete evangelizzati”; “noi vi abbiamo amati, il vostro amore per noi”; “noi vi abbiamo esortato per la vostra fede, voi ci avete consolati (il verbo è lo stesso: parakaleo) a causa della vostra fede” (La prima lettera ai Tessalonicesi, introduzione, versione, commento di Paolo Iovino, Bologna 1992, p. 173). Ed ecco che il desiderio si fa preghiera, una preghiera intensa e insistente, perché sia il Signore stesso a disporre le cose in modo tale da permettergli finalmente di recarsi a Tessalonica per “vedere il vostro volto e completare ciò che manca alla vostra fede”. Nello stesso tempo scopo della preghiera è la crescita e la sovrabbondanza dell’amore scambievole e verso tutti da parte dei Tessalonicesi: amore fraterno nell’ambito della comunità e amore universale, perché tale è e deve essere l’amore dei discepoli di Gesù; tale è anche l’amore di Paolo verso i suo fratelli nella fede. E’ la carità a manifestare e a rinsaldare la fede e a permettere di percorrere la via della santità, mentre prepara in maniera adeguata l’incontro ultimo e definitivo con il Signore insieme “con tutti i suoi santi”: la prospettiva è escatologica. I discepoli di Gesù sono invitati a tenere costantemente presente lo scopo ultimo della vita e della loro risposta alla vocazione cristiana. Mons. Ugo Ughi