Articolo in formato PDF - elisabetta chicco vitzizzai

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NARRATIVA Torino tra Lombroso e Belle Epoque Con <<La
quarantaduesima carta>> Elisabetta Chicco ricostruisce riflessi di
un'effervescente epoca cittadina
Pubblicazione: [25-07-2003, TORINOSETTE, TORINO, pag.47] Sezione: TORINOSETTE
Autore: TESIO GIOVANNI
L'AVVENTURA e' lo stile. Nell'ultimo libro narrativo della torinese
Elisabetta Chicco Vitzizzai la scrittura e' davvero tutto, o quasi.
Pubblicato dalle romane Robin Edizioni, <<La quarantaduesima carta>>
(pp. 392, euro 18,00), il romanzo viene dopo alcune raccolte di
racconti e narra una vicenda povera di fatti ma ricca di
atmosfere, che si regge sul protagonismo di una scrittura
serpigna, sull'accumulo elegante e malizioso delle notazioni
storiche, sull'ironia degli inventari, sulla scelta esatta dei
termini settoriali (la moda, la gola, le maniere, la cultura, quelli
che i francesi chiamano l'<<air du temps>>), intorno a cui ruota
l'incanto malioso e maligno, anfibio e trasgressivo, di una
Torino entre-deux-sie'cles, tra lombrosismi e belle e'poque, tra
macchinismo neo-industriale e euforia di vita, tra mitologie
estetistiche e demoniache propensioni. L'avventura dei fatti
comincia al Casino della normanna Cabourg, dove il quasi
cinquantenne dottor Edmondo Barbi, medico-chirurgo,
anatomo-patologo, perito settore, solido studioso di fenomeni
misteriosi, e dunque fisiognomista, teratologo, ipnotista, incontra
la virgo preraffaellita, la medium ideale per le sue ricerche
oltre-frontiera e per la sua pseudoscientifica mania ordinativa. La
ragazza e' giovanissima, diciotto anni appena, si chiama Erina ed
e' la figlia di un sedicente attore da Grand Guignol, che sta
esibendosi in patetici numeri da baraccone. L'avventura continua
poi nella Torino del cinema e della prima velocita'
automobilistica, dove la giovane Erina si trasferisce in casa del
dottor Barbi in qualita' di sposa promessa. Per lo piu' racchiusa
in una villa-castelletto alla D'Andrade, ai margini del Valentino,
ben in vista della fontana dei mesi e della collina di San Vito,
l'avventura si muove ora in una sorta di scrigno labirintico che
sta tra il vagabondaggio e la prigione, tra mondo infero (quello
delle cucine) e mondo <<altro>> (quello delle porte chiuse, dei
divieti favolosi, delle chiavi iniziatiche, delle storie gotiche
alla Barbablu). Ma l'avventura vera - dicevo - e' quella dello
stile. Il romanzo vive della capacita' che, nonostante qualche
zona morta e qualche compiacimento, si mostra nella scrittura.
Sintomatico che il lettore sia piu' spesso ammirato dalla piega
dei periodi tortili e dalla patina arcaica tra lingua e dialetto
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che dalle vibratili e insidiose e duplici e perturbanti atmosfere
giocate tra maschera e volto (attor primo il maggiordomo e factotum
Orfeo), tra cupa fascinazione di morte e gioia di vivere, tra un
richiamo che sembrerebbe fatale e l'irresistibile desiderio di un
finale giocato - vivaddio - ad effetto. Giovanni Tesio
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