cronache da un eden moderno
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cronache da un eden moderno
In Grande festa campestre (1910-11, collezione Regione Sardegna) Biasi esprime l’interpretazione fiabesca e un po’ cupa del mondo rurale sardo sviluppata durante i primi viaggi nel cuore dell’isola. Giuseppe Biasi: un pittore e la sua terra CRONACHE DA UN Trasfigurate in poetiche immagini, le profonde radici agricole EDEN MODERNO e pastorali sarde trionfano nell’opera dell’artista sassarese DI CARLO MIGLIAVACCA - FOTOGRAFIE ARCHIVIO ILISSO EDIZIONI 34 35 P ellegrino infaticabile lungo le strade polverose dell’isola, osservatore incantato di paesaggi ai bordi della storia, di frammenti di vita e cultura rurale affioranti da epoche remote, di volti scolpiti dal sole e dal vento: Giuseppe Biasi ha rappresentato in seno alla cultura sarda una sorta di corrispettivo pittorico della vivida scrittura proposta nei romanzi e nei racconti di Grazia Deledda. E proprio dando forma grafica a quelle immagini letterarie, per riviste come L’illustrazione italiana e La lettura, alla fine del primo decennio del Novecento il giovane artista sassarese (era nato nel 1885) si è accostato alla scoperta della Sardegna più profonda, quella delle pianure e degli altipiani, degli stazzi e delle sagre popolari, ricevendo dalla scrittrice lettere di apprezzamento e incoraggiamento. Diversa fortuna ha però accompagnato i volumi della Deledda (Nobel per la letteratura nel 1926) e i dipinti di Biasi, ingiustamente relegati, dopo il successo durato fino alla sua morte, nel troppo angusto ambito del Nella pagina precedente, dall’alto: un particolare di Fanciulle al lavatoio (1913) e Sera a Ittiri (191418). Durante il secondo decennio del Novecento lo sguardo dell’artista diviene più sereno e i toni dei colori più chiari. La tecnica preferita è quella della tempera, mentre acquistano grande rilievo le figure di giovani donne, intente al lavoro o colte nelle giornate di festa e durante processioni religiose. A destra e in basso: altri due particolari di Fanciulle al lavatoio che permettono di cogliere l’eroica fierezza attribuita alla figura maschile e la soave trattazione riservata al mondo infantile. Sull’isola le opere di Biasi sono visibili a Tempio Pausania, dove l’artista ha decorato la stazione ferroviaria, al Museo d’arte di Nuoro (Man), al Museo Sanna di Sassari e nella sezione di arte sarda in allestimento alla Galleria comunale d’arte di Cagliari (da luglio). La consolante scoperta di un mondo senza tempo folklore o in quello asettico della ricerca etnografica. In realtà la sua opera, dedicata all’incanto di piccoli paesi, al primitivo mistero di figure maschili o alla sfuggente bellezza di volti femminili, alle splendenti cromie dei costumi tradizionali, appare frutto di una trascrizione lirica ed epica della realtà popolare sarda piuttosto che di un’osservazione a fini documentaristici. Sono le stesse parole del pittore a chiarire i termini delle sue incursioni in quel mondo: “La Sardegna è un paese povero e quel che meglio ci si può trovare è ancora un poco di poesia... la poesia che sembra fuggire tutte le contrade”. Nella tormentata Europa d’inizio secolo la poesia doveva essere merce rara. Come Gauguin in Francia e gli Espressionisti in Germania, l’avvocato Biasi (la laurea fu un tributo ai desideri familiari) l’ha cercata e trovata nel cuore agricolo e pastorale della sua terra, nei villaggi dell’Anglona, del Logudoro e della Barbagia; a Teulada: “paese del sogno” secondo la definizione del suo compagno di viaggi Mario Mossa De Murtas, come lui pittore e come lui tanto attratto dalle valenze artistiche del borgo del Sulcis da seguire l’amico nella scelta di affiancare a lungo il toponimo alla propria firma. Tra il secondo e il terzo decennio del secolo il pennello di Biasi, intinto alle fonti della più avanzata cultura figurativa europea, ha dato forma ad immagini che hanno contribuito alla definizione di una più solida coscienza dell’identità sarda, tratteggiando i caratteri di un mondo edenico e fiabesco, ancora non intaccato dagli aspetti deteriori della modernità. Nei soggiorni a Teulada le linee squadrate ereditate dalla grafica si ammorbidiscono, gli scuri colori della tavolozza si schiariscono e la poesia si rasserena; i gesti di uomini e donne sono quelli composti e fieri di un popolo arcaico acquattato tra le protettive pieghe del tempo. Quelle opere gli varranno una rapida affermazione (sfruttata al meglio con il trasferimento a Milano nel 1916) al centro del mercato artistico nazionale. Il rapporto con l’inesauribile fonte d’ispirazione rappresentata dalla Sardegna 37 Figure e paesaggi sospesi tra mito e realtà Nella pagina precedente: Scolastica (1917 circa, Galleria d’Arte Moderna di Milano). A destra: La canzone del pappagallo (1916-17 circa). Trasferitosi a Milano nel 1916, Biasi ottiene un crescente successo, conquistando il pubblico cittadino con opere ispirate da seducenti figure femminili o da pittoresche scene di genere. La produzione di dipinti a soggetto sardo si alimenta grazie ai viaggi compiuti sull’isola e alle fotografie scattate dall’artista. Sotto: Danzatrici e suonatrice di fisarmonica (1935 circa). L’osservazione del mondo contadino assume negli anni Trenta maggiore realismo. non verrà però mai meno, e sarà solo temporaneamente offuscato da un lungo periodo di soggiorno in Africa Settentrionale (1924-27), ancora alla ricerca di un universo primitivo, questa volta secondo una declinazione esotica. Nel 1929 la devozione per il fascino profondo dell’isola assume anche le forme di un’intensa lettera indirizzata ai colleghi sardi, sollecitati a considerare con orgoglio le “infinite” possibilità offerte all’artista dalla terra comune: “In quale paese, infatti, potrà trovare una così ricca e variata quantità di tipi, e quali donne! E quali uomini! Anche se, talvolta, illividite dagli stenti e dalla malaria, queste figure si muovono ed agiscono come i personaggi di una tragedia antica, tale è la nobiltà del portamento e la sobrietà del gesto! E quale ricchezza di scenari!”. Parole che introducono all’ultima stagione pittorica, trascorsa tra importanti successi e accese polemiche sostenute contro il sistema artistico nazionale, accusato del tentativo di marginalizzazione degli artisti sardi: i “parenti poveri”. Un periodo concluso dalla cruenta morte del pittore, avvenuta a Biella nel 1944, dove era stato arrestato con l’accusa di appartenere allo spionaggio tedesco. Da quella data l’opera di Biasi è incorsa in un oblio rischiarato soltanto da affettuose iniziative espositive promosse nell’isola. E dalla Sardegna, la sua “vecchia terra direttamente emersa piuttosto dalla leggenda che dalla storia”, proviene anche la bella monografia con cui, nel 1998, la casa editrice nuorese Ilisso e i curatori Giuliana Altea e Marco Magnani hanno restituito al pittore il meritato ruolo nella storia dell’arte italiana del Novecento. 39