Quale pensione in caso di lavoro a part-time

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Quale pensione in caso di lavoro a part-time
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Venerdì 27 Giugno 2003
IL PROGETTO CIDA, PER IL RILANCIO DELLA PRESENZA CONFEDERALE, ANTICIPA IL FEDERALISMO
Nuovo ruolo delle unioni regionali
Occorre comunque una semplificazione dell’attuale architettura statutaria e un budget adeguato
per le più ampie funzioni loro affidate. Appello alle sinergie fra le associazioni promosse dalla Cida
DI
BACHISIO FIRINU
U
no dei punti qualificanti del
Congresso della Cida svoltosi il 22 marzo scorso è stato,
insieme all’allargamento dell’area rappresentativa a tutte le alte professionalità, il progetto di
rilancio della presenza confederale sul territorio.
Il nuovo statuto infatti, nel ribadire la titolarità, da parte delle Unioni regionali Cida, a rappresentare le politiche Confederali nei confronti delle istituzioni e degli altri soggetti operanti
a livello locale, ha previsto l’inserimento di esponenti del territorio, con voto consultivo, negli
organi nazionali (Congresso e
Consiglio) al fine di favorire il
miglior raccordo, delle politiche
e delle strategie, tra centro e periferia.
Il processo di federalismo in
atto, infatti, sposterà sempre più
il baricentro delle decisioni che
interessano le categorie rappresentate dalla Cida e, più in generale l’intero mondo del lavoro, da
un livello nazionale ad un livello regionale.
Ciò implicherà un graduale superamento dei tradizionali assetti organizzativi che dovrà portare ad un esercizio della rappresentanza capillare, omogeneo, ed
autorevole in tutte le realtà locali.
Come ho detto siamo consapevoli e convinti dell’importanza di questafrontiera così come è
dimostrato dalle nostre scelte organizzative più recenti.
Il potenziamento delle nostre
Unioni passerà innanzitutto attraverso l’approvazione dei nuovi Statuti o regolamenti, da parte della varie Cida-Regionali e attraverso la scelta di rappresentanze incisive e dinamiche in grado di affrontare al meglio il dialogo sociale con le istituzioni locali.
Come da più parti viene sollecitato, l’attenzione dovrà essere
rivolta a quelle norme degli Statuti regionali che consegneranno
all’organizzazione nuove capacità e nuove potenzialità per affrontare il futuro.
A tal proposito si pone in modo evidente un’esigenza di snellimento e di semplificazione del-
l’attuale architettura statutaria a
livello regionale non solo per
conseguire un risultato di maggiore funzionalità ma anche e soprattutto per rafforzare le regole
lasciando agli organi deliberativi la libertà operativa e lo sviluppo di innovazioni nel rispetto dei principi confederali ed associativi propri dei nostri valori
fondativi.
È poi ineludibile il problema
di dotare le realtà regionali di un
budget adeguato alle nuove e più
ampie funzioni loro affidate.
Per questa esigenza la Cida dovrà poter fare affidamento sulla
collaborazione e sull’appoggio,
sia in termini economici, sia in
termini di fornitura di servizi, di
tutte le componenti che ad essa
aderiscono e ciò anche al fine di
accrescere la nostra visibiltà in
ogni regione.
Sarà pertanto opportuna una riflessione sull’intero sistema di
allocazione delle risorse e sul loro impiego, dalle quote associative all’utilizzo dei flussi di entrata prodotti dai servizi.
Così come tutta la galassia degli enti e delle associazioni pro-
mosse dall’organizzazione dovranno essere sinergicamente integrate per renderle più efficaci
nella propria missione e canali di
consenso per la Cida.
La sfida da vincere, del resto,
val bene lo sforzo. Affrontare il
cambiamento vuol dire collocarsi
da protagonisti nel nuovo modello di federalismo solidale varato
con la riforma parziale del titolo V
della Costituzione.
Questo modello prevede, come
è noto, l’inserimento tra le materie affidate alla legislazione concorrente, della tutela e sicurezza
del lavoro aprendo così un potenziale varco a pericolose differenziazioni territoriali su temi che riguardano i diritti e le protezioni
sociali.
Di qui l’imperativo per noi di
vigilare affinché il federalismo, di
cui approviamo l’ispirazione generale, non spinga il mercato verso un’idea di sviluppo incoerente
e verso modelli di competizione
dannosi.
Altre priorità alle quali andrà
data risposta sono, per il paese,
l’ottimale utilizzo dei fondi europei per rilanciare lo sviluppo del
Sud e i nuovi contratti di localizzazione per attrarre investimenti.
Su questo impegno le Unioni
Regionali Cida del Mezzogiorno
avranno tutto il nostro sostegno. E
a proposito di fondi da utilizzare
con oculatezza, è stato deciso che,
la Cida nazionale affiancherà le
Unioni Regionali che ne faranno
richiesta per presentare progetti
finalizzati alla ricollocazione dei
colleghi disoccupati nell’ambito
degli stanziamenti messi a disposizione dall’art. 20 della legge
266/97.
In ultimo, ma non per importanza in questa fase, dove ancor
più determinante risulta la nostra
capacità di presenza ed il nostro
pensiero, occorrerà prestare
un’attenzione particolare alla valorizzazione dell’informazione
ridando la collocazione che merita alla stampa Confederale.
Ho messo sul tappeto una serie di problemi complessi.
Nessuno degli iscritti alla Cida deve sentirsi ad essi estraneo
e tutti dobbiamo rimetterci in discussione, se serve, per dare all’esperienza sindacale della Confederazione nuovo slancio.
UN INTERVENTO DELL’ESPERTO CHE CONSENTE DI DETERMINARE ANZIANITÀ E IMPORTO PENSIONE
Quale pensione in caso di lavoro a part-time
DI
A
MAURO DE PETRIS
nche nel settore del credito sempre
più spesso si sente parlare di rapporto di lavoro part-time, ossia a tempo parziale. Le motivazioni sono molteplici,
vuoi sicuramente per le importanti novità
in materia introdotte con l’ultimo Ccnl
11/07/1999, ma vuoi pure, e anzi forse soprattutto, per il mutamento del panorama
di riferimento legislativo intervenuto negli ultimi anni.
E sebbene in generale su tale forma di
contratto «individuale», qualcosa è quasi
certamente capitato di sentir dire o si è
magari letto, l’aspetto che invece parrebbe essere rimasto tuttora alquanto sconosciuto, è quello relativo ai riflessi che ne
discendono sotto il profilo previdenziale.
Più in particolare, ci sembra di poter cogliere l’interesse degli Associati di conoscere, seppur a grandi linee, quali conseguenze sulla futura pensione potrebbe determinare l’eventuale scelta di trasformare il proprio rapporto di di lavoro, dalla
forma a tempo pieno (full time) a quella
a tempo parziale.
Preliminarmente, va posto in opportuno rilievo che è ormai definitivamente
chiarito, come il meccanismo di computo proporzionale dell’anzianità contributiva relativa ai periodi di lavoro a tempo
parziale, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione,
trova eguale applicazione sia nei casi di
rapporti di lavoro che sono stati trasformati in itinere (da full time a part time e
viceversa), come in quelli sorti ed estinti
con orario ridotto.
Pertanto, mentre per l’accertamento dei
requisiti di anzianità validi per la maturazione del diritto alla pensione, i periodi di
lavoro part time si computano come se
fossero a tempo pieno (per cui per es. il
lavoratore che dopo 30 anni di attività a
full time decidesse di fare un part time nei
5 anni successivi, avrebbe comunque
un’anzianità di 35 anni complessivi), per
la determinazione dell’ammontare della
pensione gli anni a part time (5) verrebbero considerati proporzionalmente all’orario di lavoro effettivamente svolto, sia
per quanto riguarda il computo dell’anzianità di servizio da utilizzare nel calcolo, sia per quanto concerne la retribuzione media pensionabile.
Unica eccezione che impone un riproporzionamento dell’anzianità contributiva anche ai fini della maturazione del «diritto», permane l’ipotesi in cui la retribuzione erogata per ciascuna
settimana lavorata risulti inferiore al 40% dell’importo del
trattamento minimo mensile di pensione a carico del
Fpld (Fondo pensioni lavoratori dipendenti); cosicché,
per l’anno 2003, l’importo di
retribuzione minima da coprire per non vedersi ridotta
l’anzianità utile per il diritto
alla pensione ammonta a €
8.364,2 (52 volte € 160.85 che
rappresenta il 40% di € 402.12,
ossia del trattamento minimo di
pensione dal 1° gennaio
2003).
Ma come si calcola, in effetti, la pensione in
caso di
partt i me?
Occorre innanzitutto stabilire l’anzianità contributiva utile relativa agli anni
di attività svolti a tempo parziale, nel
seguente modo: determinato il numero
delle ore retribuite in ciascun anno solare, lo si divide per il numero delle ore
che costituiscono l’orario di lavoro ordinario (tempo pieno) settimanale previsto dal Ccnl (nel caso del credito di
37 ore e 30 minuti); la somma dei risultati delle singole divisioni costituisce
il numero delle settimane di contribuzione valide per il periodo di lavoro svolto con orario ridotto (questo calcolo compete al datore di lavoro, che dovrà indicare il dato nel punto «Settimane utili» del Cud).
Per ottenere il totale dell’anzianità
contributiva, al risultato come
sopra ottenuto occorrerà, quindi, aggiungere il numero delle settimane lavorate a tempo
pieno, corrispondenti a 52 per
ogni anno intero. Successivamente, il calcolo della pensione avverrà secondo le comuni regole in vigore per la
generalità dei pensionati (quota «A», sugli ultimi 5 anni con
riferimento all’anzianità al
31/12/1992; quota «B», sugli
ultimi 10 anni con riferimento all’anzianità
dall’1/01/1993),
ovviamente
tenendo
conto,
per i
pe-
Mauro De Petris
riodi a part time, delle anzianità contributive «ridotte» in base a quanto detto
nel precedente comma.
Data la complessità del meccanismo, riteniamo in ogni caso di concludere riportando un concreto esempio di calcolo.
Si ipotizza il caso di un dipendente che
ha prestato attività ininterrottamente per
36 anni, dal 1° luglio 1965 al 30 giugno
2001 (data di cessazione del rapporto di
lavoro), alle seguenti condizioni:
a) fino al 31 dicembre 1995 ha lavorato a tempo pieno, per un totale di 1.586
settimane;
b) dal 1° gennaio 1996 alla fine dell’attività lavorativa ha lavorato a part time,
per un totale di 286 settimane, con riduzione delle 37,30 ore ordinarie settimanali
a 23 ore;
Situazione contributiva
- ai fini del diritto alla pensione è utile
l’intera anzianità maturata, pari a 1.872
settimane (1.586+286);
- per la misura della pensione, l’anzianità contributiva sarà pari a 1762 settimane, composta dalla somma di tutte
le settimane a tempo pieno fino al
31/12/1995 (come detto 1.586), più
quelle ridotte per il lavoro a part time
da gennaio 1996 a giugno 2001 (176),
così determinate:
- 32 settimane (23x52:37.5) per ognuno
degli anni dal 1996 al 2000, per un
totale di 160 settimane (32 x 5);
- 16 settimane (23x26:37.5) per i sei mesi del 2001.
Anzianità sulle due quote (A e B)
- quota A, l’anzianità al 31/12/1992 è di
1.430 settimane;
- quota B, l’anzianità dal 1° gennaio
1993 è di 332 settimane (156+176).