il volto nascosto di osama

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il volto nascosto di osama
Maurizio Piccirilli
IL VOLTO NASCOSTO
DI OSAMA
PREFAZIONE DI FRANCO CARDINI
ISBN: 978-88-7615-516-1
I edizione: marzo 2011
© 2011Alberto Castelvecchi Editore Srl
Via Isonzo, 34
00198 Roma
Tel. 06.8412007 - fax 06.85865742
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Cover: Sandokan Studio
1. La fine
«Geronimo EKIA». Due parole nello slang militare dei Navy Seals
hanno messo la parola fine alla vita di Osama bin Laden. Lo Sceicco del
Terrore, il capo di Al-Qaeda, il terrorista che ha colpito al cuore l’America è morto. Ucciso con un colpo sotto l’occhio sinistro nella sua stanza da letto in un comodo rifugio ad Abbottabad a cento chilometri da
Islamabad, capitale del Pakistan.
L’orine «Geronimo, killed in action», ucciso in azione, pronunciato
dal Charlie One del commando dei Navy Seals ha attraversato il mondo. Il ponte radio dalla squadra di commando ha spedito il messaggio
al centro operativo Cia impiantato a Jalalabad al di là del confine afghano e poi veso Langley, sede della Cia, e da qui, superato il fiume Potomac, è risuonato nella situation room della Casa Bianca dove il Presidente Barack Obama, il suo vice Biden, il Segretario di Stato Hillary
Clinton, il capo del Pentagono Robert Gates, il capo di Stato Maggiore Usa Robert Mullen assistevano in diretta alle fasi dell’operazione.
Osama bin Laden è morto, ucciso da una pallottola americana. Ma
il mondo non ha ancora visto il suo cadavere. Obama ha deciso così:
«Nente foto del terrorista ucciso. Potrebbero innescare rappresaglie.
Osama non è un trofeo da esibire». Questo ha innescato una serie di
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dubbi, non solo nei nemici degli Stati Uniti, ma persino in Israele. Argomenti diversi per contestare e criticare l’operazione.
Tutto nasce a Guantanamo. Il waterboarding, la tortura per immersione, dà i suoi frutti. Khaled Sheikh Mohammed, lo stratega dell’11
settembre, e Abu Faraj al-Libi, capo operativo di Al-Qaeda, rivelano il
nome di uno dei corrieri di Osama bin Laden: Abu Ahmad, un kuwaitiano. Non è un semplice postino. Abu Ahmad ha combattuto a Tora
Bora e ha fatto parte del team che ha addestrato i «diciannove kamikaze» dell’11 settembre.
Le rivelazione dei prigionieri di Guantanamo diventano così la prima traccia. Siamo nel 2005 e ci vorranno quasi sei anni per raggiungere un obiettivo inseguito dal 1998. Scatta così l’operazione Cannonball. In quegli anni le apparizioni e le notizie su Osama bin Laden sono
sempre più labili. Il capo delle operazioni clandestine della Cia, l’ispano-americano José Rodríguez, nomina un nuovo responsabile del
Centro antiterrorismo e spedisce in Pakistan e Afghanistan decine di agenti. Tutta l’operazione è autorizzata dalla Casa Bianca e dal Presidente Gorge W. Bush. Si inaugura la cooperazione tra team operativi
Cia e squadre speciali militari così da essere pronti per qualsiasi tipo di
missione. Cinque anni di ricerche e appostamenti. Finché nell’agosto
2010, un contractor pakistano della Cia incrocia a Peshawar una Suzuki bianca con a boro l’uomo che assomiglia ad Abu Ahmad. Sarà il
numero del Bingo dell’amministrazione Obama.
L’auto viene seguita a più riprese. Ma per mesi non conduce da nessuna parte. A gennaio 2011 la prima svolta. In una cittadina militare,
Abbottabad, non lontano dalla capitale pakistana, viene catturato Umar Patek, un super-ricercato indonesiano responsabile di attentati
contro obiettivi occidentali. È considerato un membro di Al-Qaeda.
La caccia si fa più serrata. Non mancano i problemi. Sempre a gennaio,
a Lahore, un contractor americano della Cia, Raymond Davis, resta
coinvolto in una sparatoria: uccide due uomini che stavano per sparar-
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gli. La «squadra pulizia» della Cia non riesce a raggiungerlo per recuperarlo e fare sparire tutto. Davis viene arrestato e il caso gela i rapporti tra Pakistan e Stati Uniti, tra Cia e Isi, il servizio segreto pakistano.
L’operazione Cannomball va avanti. Leon Panetta, il capo della Cia,
avverte il Presidente: «Tutto si farà senza avvisare i pakistani». La conferma alla fine arriva: Osama bin Laden, il primo della lista dei ricercati di tutto il mondo, è ad Abbottabad, cento chilometri da Islamabad,
dove ha sede l’Accademia militare del Pakistan. Una cittadina tranquilla, residenziale, dove vivono ufficiali in servizio e in pensione con le
loro famiglie. È il 26 aprile quando Leon Panetta conferma al Presidente l’individuazione dell’obiettivo. Il compound dove vive Osama
bin Laden è abitato da benestanti che non frequentano i vicini, fanno
vita riservata. All’interno ci sono molti bambini. Venerdì 29 il via libera di Obama.
La notte avvolge nel silenzio Abbottabad quando, verso l’una, l’aria
viene smossa dalle pale di due Black Hawk che sorvolano a bassa quota. A bordo i commando della Marina degli Stati Uniti, le «foche», i
Navy Seals. Sono due team, uno si è addestrato nella base di Coronado,
il secondo a Virginia Beach. Hanno ricostruito l’edificio dove abita Osama, ma i commando non sapranno il nome del loro bersaglio fino alla partenza per la missione. Mentre i due elicotteri, settantanove uomini, si avvicinano al compound, due aerei li proteggono dall’alto. Una versione vuole che siano partiti dall’Afghanistan dalla base di Jalalabad. Altri sostengono che il team era in Pakistan. Sono ventiquattro i
commando che scendono sull’edificio con le funi. Gli altri cinturano
l’edificio prendendo posizione nel vasto giardino. La palazzina ha tre
piani. Al primo abita una famiglia, i Seals salgono le scale, visore notturno sugli occhi, mirini laser accesi. Tra il primo e il secondo piano si
innesca la battaglia. Uccisi due «corrieri», due fratelli che risultavano i
soli abitanti del compound. Nella sparatoria muore anche una donna.
I cacciatori cercano gli Htv, i bersagli di alto valore. Sono al piano su-
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periore. Nel frattempo bombe flash accecanti, spari e persino un elicottero che ha «inciampato» sul muro di cinta alto otto metri, hanno
svegliato gli abitanti della tranquilla Abbottabad, e così un giovane
informa il mondo su Twitter che laggiù sta accadendo qualcosa di grosso. Di storico. I commando sono al terzo piano. Entrano in una vasta
stanza da letto. È «Geronimo» la moglie Amal, le due figlie di 12 e 13
anni, e il figlio Ibrahim che tenta di difendere il padre. Cade sotto i colpi dei Seals. Ucciso anche Osama bin Laden con un colpo al viso: il capo della Cia sostiene che abbia reagito. Ma nei report lo scontro a fuoco viene definito, all’inizio, come «fierce», aspro, mentre nella versione
come «volatile», cioè incostante: infatti solo uno degli abitanti avrebbe fatto fuoco contro i commando ed è stato subito «annientato». Ferite a un polpaccio la moglie e una bambina. EKIA, conferma il capo dei
Seals: il nemico è stato eliminato. A Washington, alla Casa Bianca Obama esclama: «We got him», l’abbiamo preso. Le prime versioni sono
molto scarne ed edulcorate. Si parla di un blitz di pochi minuti, invece è durato oltre due ore, e il raid vero e proprio nella casa 45 minuti.
Tutta l’operazione è stata filmata dalle telecamere sugli elmetti dei
commando. Il cadavere di Osama bin Laden viene fotografato e poi
messo in una body bag per essere trasferito a Bagram, in Afghanistan.
Nella base americana si scattano altre foto al corpo e poi vengono fatti
l’autopsia e l’esame del dna. Al mattino il corpo è trasferito sulla portaerei Uss Carl Vinson, dove, dopo una breve cerimonia funebre, nel
Mar Arabico, avvolto in un lenzuolo bianco, Osama bin Laden viene
sepolto negli abissi. Primo maggio 2011, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a dieci anni dall’11 settembre, va in televisione e annuncia agli americani e al mondo: «Giustizia è fatta».
I Navy Seals recuperano molto materiale: computer, pen drive, un
centinaio tra cd e dvd e tantissima documentazione cartacea. Sono lettere, appunti scritti di suo pugno da Osama bin Laden. Ci sono anche
ricevute e conti. «Una miniera d’oro», la definisce la Cia.
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La storia però non è finita. Osama bin Laden è stato giustiziato con
un colpo in testa, esploso alle sue spalle dopo averlo fatto inginocchiare. Lo racconta la figlia, e la Cia smentisce sdegnata: «Menzogne». Osama era disarmato come conferma la Casa Bianca. Indosso aveva cinquecento euro e numeri di telefono. La Casa Bianca smentisce che Osama si sia fatto scudo con la moglie. Questa, tra l’altro, conferma alle
forze di sicurezza pakistane che la prendono in consegna, che lei e bin
Laden vivevano in quel compound da cinque anni. I soldati pakistani
entrati al mattino nella palazzina non trovano armi e neppure molti
bossoli. Le foto della sua fine sono descritte come «raccapriccianti» da
Hillary Clinton, che convince Obama a non diffonderle nonostante il
parere contrario del capo della Cia.
Lo sceicco, il principe, il capo dei credenti, la cui immagine è diventata l’icona del male, sparisce così. Dopo tanto apparire con i suoi videomessaggi che scatenavano paura e rabbia, la censura. Senza un’ultima
immagine per chiudere l’album. Lasciando aperti misteri e dubbi intorno all’uomo che osò attaccare al cuore gli Stati Uniti d’America.