primo levi - Collegio San Giuseppe
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primo levi - Collegio San Giuseppe
PRIMO LEVI “Se questo è un uomo” “La tregua” La vita Nasce a Torino il 31 luglio 1919 Nel 1934 si iscrisse al Liceo classico Massimo d'Azeglio Nel 1941 si laureò con lode, con una tesi in chimica. Partigiano, nel 1943 venne catturato dai nazifascisti e quindi, nel febbraio 1944, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Fu uno dei venti sopravvissuti dei 650 ebrei italiani arrivati con lui al campo. Il primo romanzo è come “un’opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s'industria di rispondere ai perché". Nel 1947 terminò il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutarono. Venne pubblicato da un piccolo editore, De Silva. Nonostante la buona accoglienza della critica, inclusa una recensione favorevole di Italo Calvino su L'Unità, incontrò uno scarso successo di vendita. Il successo giunge nel 1956. Nel 1963 pubblica La tregua che vince il Campiello Nel 1975 va in pensione e ritorna a scrivere • Nel 1975 pubblica Il sistema periodico. • Nel 1978 pubblica La chiave a stella. Questo romanzo, concepito durante i suoi numerosi soggiorni lavorativi, rappresenta un omaggio al lavoro creativo ed in particolare a quel gran numero di tecnici italiani che hanno lavorato in giro per il mondo a seguito dei grandi progetti di ingegneria civile portati avanti dall'industria italiana del boom. Nel 1978 La chiave a stella vince il premio Strega. • Molte collaborazioni con la RAI, interviste, riduzioni radiofoniche… • Nel 1982 pubblica “Se non ora, quando?” • Nel 1986 pubblica il saggio “I sommersi e i salvati” • Nel 1987 muore cadendo dalle scale di casa sua Il dovere della memoria e della testimonianza SHEMA Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un si o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d'inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando per via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi. La lirica presenta il tema fondamentale della memoria e della dignità: gli orrori della guerra e della shoah vanno ricordati per sempre, affinchè non capitino più. L’enunciazione dell’impegno morale è accompagnata da una maledizione in stile biblico per chi lo violerà. Shema infatti è la preghiera Il viaggio Il primo capitolo spiega la situazione degli ebrei italiani deportati a Fossoli nel campo di transito. Il trasferimento in Germania è comunque imminente e la maggior parte dei prigionieri sa di andare incontro alla morte quasi sicura. Il treno fa tappa al Brennero, a Salisburgo, a Vienna e ancora in Polonia. Nella carrozza ferroviaria i deportati vengono trasportati in condizioni disumane, sicché parecchi di loro muoiono. Sul fondo ed Iniziazione Nel secondo e nel terzo capitolo vengono descritte le prime scene nel campo di concentramento. A ciascuno dei prigionieri, gli Häftlingen, viene assegnato un numero che costituisce la loro nuova identità con decorrenza immediata. Si tratta di una identità carica peraltro di significati fin dall'inizio. Al suo arrivo, il protagonista ignora ancora che grazie a quelle cifre è possibile stabilire provenienza e grado di anzianità dei vari prigionieri. Fin troppo in fretta si apprendono le prime leggi del campo, come quella di non fare domande, di fingere di capire tutto, di saper apprezzare il valore di oggetti essenziali alla sopravvivenza come le scarpe ed il cucchiaio. Primo Levi tiene molto a spiegare il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. A proposito di questo paesaggio linguistico variegato, Levi svolge un paragone del lager con la città e la torre di Babele. Ka-Be È il nome abbreviato dell'infermeria (baracca detta Krankenbau) che dà il titolo al quarto capitolo. In seguito ad un problema al piede, Levi viene assegnato a questo blocco, fatto che gli concede una sorta di tregua per venti giorni, ma non di vera e propria speranza. Come dovrà capire, il numero che il protagonista porta tatuato sul braccio si trova di poco al di sotto di duecentomila: dato che il campo ospita poche decine di migliaia di persone, è logico che centinaia di migliaia di persone sono state uccise o sono morte di stenti prima ancora della deportazione del protagonista. Del resto, nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte delle persone ancora vive è destinata a morire a medio termine. È questo quanto un gruppo di prigionieri ebrei fa capire a Levi, non senza fargli sentire un certo disprezzo. Questo atteggiamento ostile è in parte dovuto al fatto che il protagonista - essendo italiano - non parla la loro lingua, lo yiddish. Le nostre notti Il quinto capitolo contiene tra l'altro una celebre pagina in cui il protagonista illustra il suo dormiveglia, una situazione nella quale i confini tra realtà e sogno si dissolvono. Si tratta dunque di un sonno che non regalerà mai il necessario riposo. Ogni notte infatti Levi, come gli altri internati, è periodicamente assalito da due incubi ricorrenti: Il primo riporta l'autore a casa, ignorato dai suoi amici e familiari mentre racconta le atrocità subite nel lager; il secondo illude invece Levi d'aver davanti a sé del cibo che poi scompare repentinamente ogni qual volta prova a mangiarlo. Il lavoro Il sesto capitolo illustra la scarsa predisposizione di Levi ai lavori pesanti: dovendo trasportare carichi di grosse dimensioni, il protagonista rischia di morire estenuato. Ciononostante, Levi approfitta della solidarietà del compagno di origini francesi Resnyk, il quale lo aiuta generosamente nei compiti più gravosi. Una buona giornata Il settimo capitolo presenta una nuova fase di tregua nella vita del lager. Il fatto di poter mangiare a sazietà costituisce un evento eccezionale per i prigionieri, dato che le dosi di cibo previste dai regolamenti non coprono il fabbisogno energetico giornaliero. La parvenza di un minimo di normalità, d'altro canto, favorisce il riemergere della disperazione, altrimenti rimossa durante le giornate dominate dalle percosse, dalla fame e dalla spossatezza. Al di qua del bene e del male Il titolo dell'ottavo capitolo allude all'opera di Nietzsche. Ma, al contrario dell'eroe nietzschiano, il prigioniero del lager viene presentato nella sua nullità. Questo capitolo illustra inoltre il significato e le ripercussioni di un fatto apparentemente banale come il cambio della biancheria (il cosiddetto Wäschetauschen). Infatti, sul mercato del lager le camicie dei prigionieri vengono utilizzate come merce di scambio da cui poter ricavare della stoffa: nel campo si è sviluppato un mercato nero, una sorta di borsa soggetta a regole descrivibili con una certa precisione. Il valore di scambio, quindi il prezzo di cose e materiali è soggetto a sbalzi e ad improvvise cadute, in funzione della variabile disponibilità dei beni e dei capricci del mercato: oltre ai meccanismi di domanda e offerta, giocano un ruolo molto importante le manovre di speculazione messe in atto dai prigionieri. Il cambio della biancheria, ad esempio, comporta un crollo di valore delle camicie sul mercato nero. I sommersi e i salvati Uno dei capitoli di maggiore importanza è senza dubbio il nono, dedicato alla “selezione” e ai trucchi per sopravvivere (il titolo verrà ripreso per il saggio del 1986): Levi spiega come questa distinzione (tra candidati alla sopravvivenza o alla morte) sia per lui di importanza assai maggiore rispetto a quelle di bene e di male, praticamente impossibili da definire in maniera obiettiva. Levi passa quindi ad illustrare le vicende di alcuni detenuti a mo' di exemplum: come mostrano le brevi note biografiche dedicate a questi internati, il miglior modo per sopravvivere è senza dubbio quello di conquistarsi un posto al sole facendosi incaricare di mansioni speciali, diventando ad esempio un cosiddetto Kapo. La maniera esemplare per far parte dei votati alla morte sicura è invece quella di adattarsi alle regole ufficiali del campo, per poi indebolirsi lentamente a causa dell'esaurimento, della denutrizione e delle malattie. Esame di chimica In seguito a un esame in tedesco sostenuto presso il dottor Pannwitz, Levi viene ammesso alle mansioni di laboratorio. È questo uno dei principali fattori che ne garantirono la sopravvivenza nel lager, sottraendolo al destino dei cosiddetti Muselmänner, cioè dei votati alla morte certa. Il canto di Ulisse • L'undicesimo capitolo segna la rivincita dell’uomo sull’orrore e la disumanizzazione: è ispirato al XXVI canto dell'Inferno, in cui viene narrata la vicenda umana di Ulisse guidato - come Dante e come Levi - dalla sete di sapere: il protagonista cerca di ricordarsi i versi danteschi e di tradurli ad un suo compagno di prigionia (Pikolo). I fatti dell'estate Il 12° capitolo riferisce le reazioni dei prigionieri al tracollo militare tedesco (nel 1944) e ai bombardamenti alleati. Neanche alla fine della guerra, dopo lo sbarco in Normandia e la gigantesca controffensiva sovietica in Russia, si sviluppa tra gli Häftlingen una speranza vera e propria: i fronti alleati sono infatti lontanissimi, mentre la necessità di risolvere gli impellenti problemi della sopravvivenza quotidiana continua ad essere onnipresente. Ottobre 1944 - Kraus Ottobre 1944 (tredicesimo capitolo) illustra la sopravvivenza di Levi ad una retata di selezione da parte dei nazisti, mentre il capitolo Kraus propone il ritratto di un prigioniero del lager. Die drei Leute vom Labor “Le tre persone del laboratorio” descrive alcune impressioni sulla nuova vita da chimico del protagonista, senza tuttavia approfondire le funzioni specifiche del laboratorio, né le mansioni svolte dal narratore. La presenza di tre donne crea un effetto estraniante. L'ultimo Nel capitolo viene rappresentata la figura amica del bresciano Alberto Dalla Volta, già nota dai capitoli precedenti. Costituisce una specie di alter ego per il protagonista. Si tratta di un personaggio sempre solidale ed estremamente ricco di inventiva e diplomazia, nonché una figura assai amata nel campo. Storia di dieci giorni Scritto sotto forma di diario, costituisce l'epilogo della vicenda. Siccome l'arrivo dell'Armata Rossa è ormai imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo facendo partire da Auschwitz almeno i prigionieri sani. Dato che si è ammalato di scarlattina, Levi è ricoverato e viene escluso dal trasferimento, senza sapere che però quella spedizione finirà per portare i prigionieri verso la fine (la marcia della morte in cui soccombe Alberto). Sopravviveranno invece diversi dei pazienti che, come Levi, rimangono nel campo, pur destinati a morire di fame. Il protagonista e altri due prigionieri si daranno da fare per aiutare gli altri malati della loro baracca mentre aspettano l'arrivo dei sovietici, avvenuto il 27 gennaio 1945. N.B. la data viene ricordata nel giorno della memoria LA TREGUA • Scritta nel 1962, come continuazione di “Se questo è un uomo”, ne differisce in molti particolari • Narra il lungo viaggio di ritorno in Italia dopo la liberazione e la fine della guerra. • Il racconto è segnato da una certa ironia e riprende un tema tradizionale, quello dell’ebreo errante Lo stile dei due libri • Il linguaggio dei due libri è simile: lucido, chiaro, preciso, nitido, lineare, geometrico, uniforme, con un linguaggio colto e alto, ricco di parole forbite che formano un registro linguistico elevato, nobile e ampio. • Anche lo stile è simile: personale, ampio, chiaro, ricco di figure retoriche, similitudini, allitterazioni e descrizioni ampie Somiglianze e differenze tra i due romanzi-memoriale • Simili sono: lo stile, l’intento memoriale (specie per gli amici morti in quei tragici anni), la capacità di descrivere fatti e personaggi minori con rigore e precisione, e di esprimere il loro mondo interiore attraverso la descrizione degli occhi. Diversità tematiche e sentimentali • Nuova nella Tregua è la curiosità con cui descrive i paesaggi polacchi e russi, l’ambiente sociale e alcune usanze di queste terre lontane, che sono anche la culla della civiltà ebraica d’Europa • Dopo le umiliazioni del lager, egli riscopre con gioia di avere una dignità, anche con gli abiti strappati, di essere di nuovo libero. • La percezione del tempo è dilatata, sospesa tra l’esperienza traumatica del lager e l’attesa del ritorno alla “normalità”, pur con il bagaglio di traumi e incubi incancellabili • Riscopre il senso della vita come affermazione del bisogno primario di contatti umani, necessari al vivere sociale • Il tema del viaggio è nel 1° romanzo quello di una discesa all’inferno, verso l’annientamento; nel 2° di una risalita e di un ritorno alla vita • Nella Tregua esprime i sentimenti dell’amore per la vita, della speranza in una vita futura positiva e basata sulla giustizia umana, l’affetto verso la patria e la casa. • Compare una certa ironia (tornare a ovest andando a est, vedere la propria debolezza e gli scherzi del destino…) L’ultima pagina • WSTAWAC Sognavamo nelle notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: tornare; mangiare; raccontare. Finché suonava breve sommesso Il comando dell’alba; «Wstawac»; E si spezzava in petto il cuore. Ora abbiamo ritrovato la casa, il nostro ventre è sazio. Abbiamo finito di raccontare. È tempo. Presto udremo ancora Il comando straniero: « Wstawac». (11 gennaio 1946) • Levi spiega così l'ultima pagina della Tregua: «Questa pagina, che chiude il libro su una nota inaspettatamente grave, chiarisce il senso della poesia posta in epigrafe, e ad un tempo giustifica il titolo. Nel sogno, il Lager si dilata ad un significato universale, è divenuto il simbolo della condizione umana stessa e si identifica con la morte, a cui nessuno si sottrae. Esistono remissioni, “tregue”, come nella vita del campo l’inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una tregua, una proroga; ma sono intervalli brevi, e presto interrotti dal “comando dell’alba”, temuto ma non inatteso, dalla voce straniera (“Wstawac” significa “Alzarsi”, in polacco) che pure tutti intendono e obbediscono. Questa voce comanda, anzi invita alla morte, ed è sommessa perché la morte è iscritta nella vita, è implicita nel destino umano, inevitabile, irresistibile; allo stesso modo nessuno avrebbe potuto pensare di opporsi al comando del risveglio, nelle gelide albe di Auschwitz.».