Lezione 14 - IPERTENSIONE ARTERIOSA E DIABETE

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Lezione 14 - IPERTENSIONE ARTERIOSA E DIABETE
Lezione 14 - IPERTENSIONE ARTERIOSA E DIABETE
Dia 1
L’ipertensione arteriosa è una patologia più frequente nella popolazione diabetica rispetto alla
popolazione generale, soprattutto da quando i criteri per definire un iperteso si sono fatti più
rigorosi. Da una serie di rilevazioni epidemiologiche eseguite nelle popolazioni occidentali si può
calcolare una prevalenza media dell’ipertensione di oltre un terzo della popolazione generale. La
prevalenza media del diabete noto in una popolazione generale è di circa il 3-4%, ma in una
popolazione di ipertesi è più che doppia. Ciò significa che l’ipertensione arteriosa risulta aumentata
nella popolazione diabetica di circa 2-3 volte rispetto alla popolazione generale. Ciò indica che il
medico di famiglia sarà più impegnato a gestire l’ipertensione in un soggetto diabetico rispetto a un
non diabetico, tenendo anche conto del fattore moltiplicativo sulle complicanze che possiede
l’ipertensione.
Dia 2
La presenza dell’ipertensione arteriosa nel diabete è differente nelle 2 forme sia come
prevalenza sia come patogenesi.
Nel diabete di tipo 1, giovanile e senza sovrappeso, la prevalenza dell’ipertensione è molto
bassa e non differente da quella della popolazione non diabetica. Diviene molto più frequente nei
casi in cui inizia il coinvolgimento renale con la fase microalbuminurica. La comparsa è quindi è
legata alla compromissione renale per alterazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. In
mancanza di nefropatia diabetica ed in mancanza di sovrappeso, il problema ipertensione nel diabete
di tipo 1 ha le stesse dimensioni del soggetto non diabetico.
Nel diabete di tipo 2, viceversa, l’ipertensione ha una frequenza più che doppia rispetto alla
popolazione non diabetica ed è direttamente correlata al grado di insulino-resistenza, condizionata,
a sua volta, dal grado di sovrappeso e obesità.
Dia 3
Il problema ipertensione e diabete è balzato alla ribalta sul piano clinico nel 1998, grazie ai
risultati dello studio UKPDS, che hanno sottolineato l’importanza dei valori pressori sullo sviluppo
delle complicanze, sia microvascolari che macrovascolari. Questo studio aveva documentato come
con la riduzione di 10 mmHg di sistolica e 5 mmHg di diastolica si poteva ottenere, nel corso dei 10
anni dello studio, una significativa riduzione dell’insorgenza di complicanze.
Queste sono le immagini, tratte dalle numerosissime pubblicazioni relative a questo studio, che
indicano molto bene come, con la riduzione pressoria di 10 mmHg di sistolica, si otteneva una
riduzione percentuale
del 12% di qualsiasi patologia indotta dal diabete
del 17% per le morti in relazione al diabete
del 12% per la mortalità per tutte le cause
Si noti come tutti questi dati raggiungono una elevatissima significatività statistica.
DIA 4
Inoltre, i dati sulle complicanze macro e microvascolari documentavano che la riduzione pressoria,
sempre di 10 mmHg. di sistolica, permetteva di ridurre
del 12% gli infarti cardiaci, seguiti o meno da morte
del 19% gli stroke, seguiti o meno da morte
del 13% gli endpoint microvascolari (retinopatia, nefropatia e neuropatia)
del 16% l’amputazione o morti per arteriopatia periferica
del 12% l’insorgenza di scompenso cardiaco
DIA 5
Questo studio dimostrò per la prima volta nel mondo come le complicanze del diabete non sono
soltanto dovute alla iperglicemia, ma sono pesantemente condizionate dalla presenza di ipertensione
arteriosa. Inoltre, la riduzione dei valori pressori riusciva a ridurre lo sviluppo e la progressione
delle complicanze sia micro che macrovascolari.
Dia 6
Data l’importanza dell’argomento, è bene rivedere i punti salienti sulla diagnosi di ipertensione
arteriosa. Lo sviluppo dell’epidemiologia ha permesso in questi ultimi anni di ottenere dati
sperimentali che hanno portato alla conclusione di ridurre i livelli dei valori di pressione sia
sistolica che diastolica necessari per ridurre al minimo le complicanze vascolari dell’ipertensione.
Queste revisioni sono eseguite periodicamente da un apposito gruppo di studio internazionale e
sono fatte proprie dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Prima del 1993 i valori pressori
considerati normali erano inferiori a 140 per la sistolica e 90 per la diastolica. La diagnosi di
ipertensione al 1° stadio veniva posta se i valori erano superiori a 140/90.
In quell’anno, in considerazione dei numerosi dati sperimentali che si erano nel frattempo
accumulati, si decise di prevedere una nuova categoria di soggetti che non poteva considerarsi
normale, ma neanche ipertesa, con valori sistolici compresi fra 130 e 139 e i diastolici fra 85 e 89.
La categoria prendeva il nome di “soggetti con valori pressori normali/elevati”.
Dia 7
Nel 1997, dopo non più di 4 anni, ebbe luogo una revisione, eseguita dal gruppo internazionale,
spinta da nuove evidenze sperimentali, e che introdusse una nuova categoria di soggetti: “con valori
pressori ottimali” che venivano stabiliti in 120 per la sistolica e 80 per la diastolica. La diagnosi di
ipertensione al 1° stadio rimaneva però identica (valori >140/90).
Dopo 6 anni, nel 2003, il gruppo aggiornò nuovamente i criteri classificativi, stabilendo che i valori
normali venivano abbassati a 120/80, mentre scompariva la fascia dei valori normali-alti. La
diagnosi di ipertensione al 1° stadio rimaneva comunque identica (valori>140/90), e la categoria dei
soggetti con valori compresi fra quelli normali (120/80) e quelli che identificavano l’ipertensione
al 1° stadio (140/90) è stata denominata “pre-ipertensione”
Dia 8
Tornando al problema diabete, va da se che la popolazione diabetica, in considerazione del fatto che
presenta un rischio maggiore di complicanze cardiovascolari, è divenuta una popolazione su cui
agire con particolare attenzione per l’applicazione delle linee-guida sempre più stringenti e rigorose
perchè finalizzate a prevenire lo sviluppo delle complicanze. In particolare, in accordo alle linee
guida americane dell’ADA del 2006, essa deve essere tenuta SEMPRE al di sotto di 130/80 e deve
essere controllata più frequentemente rispetto alla popolazione non diabetica.
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Le stesse linee-guida identificano anche una serie di aspetti relativi a cattivi stili di vita,
caratteristici della popolazione occidentale, da correggere per ridurre i valori pressori. In
particolare:
- la riduzione dell’eccesso ponderale, così frequente nei diabetici, è in grado di ridurre i
valori pressori sistolici da un minimo di 5 ad un massimo di 20 mmHg, per ogni 10 kg di
sovrappeso perduto (in media 10)
- 30 minuti al giorno di cammino a passo sostenuto sono in grado di produrre una riduzione
dei valori sistolici da un minimo di 4 ad un massimo di 9 mmHg.
- Una dieta ricca di verdura e frutta e povera di lipidi è capace di ridurre la pressione
sistolica da un minimo di 8 ad un massimo di 14 mmHg
- La riduzione del contenuto di sale negli alimenti fino a valori non superiori a 6 gr al dì
producono una riduzione dei valori sistolici da un minimo di 2 ad un massimo di 8 mmHg.
Si comprende bene come la modifica dello stile di vita, laddove attuata correttamente da tutti
i popoli occidentali, sarebbe in grado di ridurre notevolmente l’attuale elevatissima prevalenza
dell’ipertensione arteriosa, che colpisce nel mondo industrializzato oltre 1 su 3 individui.
Dia 10
Una recente metanalisi condotta su 25 studi di riduzione ponderale non farmacologica, (dieta,
attività fisica o entrambe i trattamenti) su un ragguardevole numero di soggetti di ambo i sessi, con
età di 37-66 anni e BMI medio di 31,
seguiti da un minimo di 8 settimane ad un massimo di 5 anni, con una media di un po’ più di un
anno, ha documentato una riduzione dei valori pressori sia sistolici che diastolici di 1 mmHg per
ogni kg peso perduto. Nella figura a destra gli studi sono stati rappresentati con una sfera il cui
diametro è proporzionale alla numerosità del campione studiato, leggibile sulla piccola scala a
destra, e come si osserva, esiste una franca relazione fra decremento ponderale e decremento
pressorio.
Dia 11
Un altro studio osservazionale meno recente, eseguito in Corea su vastissima casistica composta da
22.500 soggetti, ha dimostrato il progressivo incremento dei valori sia sistolici che diastolici con
l’aumentare del BMI.
Dia 12
Questo è il motivo per cui, ogni medico, ha il dovere di convincere il paziente ad attuare quelle
modifiche dello stile di vita, quando i livelli pressori, secondo le raccomandazioni dell’ADA del
2006, sono compresi fra 130 e 139 di sistolica e 80-89 di diastolica. Il tentativo dovrebbe essere
fatto per un periodo di almeno 3 mesi, dopo i quali se il target di 130/80 non è stato ancora
raggiunto, è giusto iniziare il trattamento farmacologico
Dia 13
Una grande mole di studi clinici controllati in questo ultimo decennio ha permesso di stabilire come
il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa si avvale di numerosi gruppi di farmaci fra
cui i più importanti sono gli ACE-inibitori, gli antagonisti dell’angiotensina II, i calcioantagonisti, i
diuretici e i betabloccanti. Tutti si sono dimostrati in grado di ridurre la morbilità e la mortalità
cardiovascolare.
Gli obiettivi pressori sempre più rigorosi indicati dalle linee-guida internazionali, hanno
fatto inoltre emergere la necessità di utilizzare con grande frequenza più di 1 farmaco, soprattutto in
vista del fatto che non vi è pericolo di danni da eccessiva riduzione dei valori pressori, come era
stato in predecenza ipotizzato. Lo studio HOT ha dimostrato su casistica numerosa (19.567
pazienti) la sicurezza del trattamento anche quando l’obiettivo è stato quello di raggiungere valori
sistolici di 120 mmHg e diastolici di 70 mmHg. Questi risultati danno sicurezza al medico
prescrittore, sollevandolo da possibili rischi da sovratrattamento.
Dia 14
La generica equipollenza delle cinque classi di farmaci non permette oggi di tracciare
raccomandazioni di sequenzialità. E’ possibile però suggerire alcune raccomandazioni dettate
dall’esperienza:
1) su qualsiasi classe di farmaci sia caduta la scelta, iniziare con dosi medio-basse, per
minimizzare gli effetti collaterali,
2) per la stessa ragione, prima di aumentare le dosi, aggiungere un farmaco di un’altra classe,
3) se i due farmaci sono ben tollerati, ma l’effetto non è stato raggiunto, si consiglia di passare
all’aggiunta di un terzo farmaco di un’altra classe, per utilizzare diversi punti di attacco.
Dia 15
La scelta della classe di farmaci da utilizzare deve tener presente le indicazioni elettive e le
controindicazioni.
Le indicazioni elettive sono:
•
per gli ACE-inibitori la presenza di diabete, l’ infarto recente, lo scompenso cardiaco
•
per i beta-bloccanti la presenza di angina, presenza di tachicardia
•
per i calcio-antagonisti una ipertensione sistolica, l’età geriatrica
•
per i diuretici l’ ipertensione sistolica, lo scompenso cardiaco
•
per gli inibitori dell’angiotensina II la presenza di tosse da ACE-inibitori
Dia 16
Le controindicazioni sono
•
per gli ACE-inibitori e per gli inibitori dell’angiotensina II l’insufficienza renale, la
gravidanza, l’iperpotassiemia e la stenosi bilaterale delle arterie renali
•
per i beta-bloccanti l’asma bronchiale o le BPCO, i blocchi AV di 2° e 3°
•
per i calcio-antagonisti i blocchi AV di 2° e 3°
•
per i diuretici la presenza di gotta o iperlipidemie
Dia 17
Raccomandazioni per il diabetico nefropatico. E’ importante stabilire per ogni diabetico la presenza
o meno di coinvolgimento renale (nefropatia diabetica) anche a livello di semplice
microalbuminuria, perché in questo caso vi è la indicazione assoluta ad iniziare il trattamento con
gli ACE-inibitori, con l’avvertenza di porre particolare attenzione ai soggetti con insufficienza
renale già in atto nei quali questa classe di farmaci può indurre iperpotassiemia.
Anche se l’assenza di nefropatia giustifica una scelta farmacologia non differente da quella
che si effettua nella popolazione non diabetica, la necessità di una nefroprotezione preventiva,
associata alla maneggevolezza d’uso degli ACE inibitori fa propendere sul loro utilizzo anche nei
diabetici non nefropatici.
Il meccanismo dell’azione protettiva degli ACE-inibitori sulla funzionalità glomerulare, è
basato sull’azione dilatante espletata dal farmaco sull’arteriola efferente del glomerulo, evitando
così l’aumento della pressione di filtrazione glomerulare che rappresenta il primo passo verso la
sclerosi glomerulare, causa principale della progressiva riduzione del filtrato glomerulare.
La presenza della tosse nel 3-10% dei soggetti trattati può essere risolto dal passaggio agli
inibitori dell’angiotensina II (sartanici), con i quali l’effetto indesiderato si riduce a meno del 3%.
Dia 18
Infine le raccomandazioni dell’ADA del 2006, sottolineano l’importanza di raggiungere valori
pressori molto rigorosi in gravidanza: 110-129 per la pressione sistolica e 65-79 per la pressione
diastolica. Valori più bassi potrebbero indurre una ridotta crescita fetale.
E’ da notare inoltre il potenziale danno fetale indotto da una terapia con ACE-inibitori o con gli
antagonisti dell’angiotensina II.
I farmaci ipotensivi da utilizzare con sicurezza in gravidanza sono il metil-dopa, il labetalolo, il
diltiazem, la clonidina e la prazosina.