Il Classicismo

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Il Classicismo
Introduzione
Il Classicismo è un orientamento letterario ed artistico che si propone il rispetto e l'imitazione del
classici, soprattutto greci e latini. Il suo periodo storico è compreso tra il declinare dello stile galante, o Rococò,
ed il sorgere del Romanticismo (1770 -1820). In senso traslato ed in ogni tempo, il termine «classico» indicò
l'opera d'arte che, senza imitare necessariamente i prototipi greco-romani, assumeva qualità affini di misura ed
equilibrio. Il Classicismo mirò alla fusione del bello (qualità estetiche) col buono (qualità morali) e cerco di unire
la ricerca geometrica con quella naturalistica. Attraverso i secoli, diversi movimenti artistici ebbero in comune il
concetto che la bellezza dell'opera d'arte consiste soprattutto in ordine, coerenza, simmetria e proporzioni.
Proprio per una sostanziale unità di fondo, di principi ispiratori e di poetica, si può parlare di Classicismo per
opere dell'età ellenistico-romana, dell'alto Medioevo, del periodo romanico, del Rinascimento e del '600
soprattutto francese. Fra la metà del XVIII sec. e l'inizio del XIX sec. il Classicismo sfocia nello stile neoclassico
di A.Canova e del preromantico Ingres1.
Il Classicismo musicale
Caratterizzato dall'alta perfezione di ogni mezzo espressivo e da una naturale coincidenza fra le esigenze
formali ed il contenuto umano dell'ispirazione, il Classicismo diede origine ad uno stile sereno e controllato, nel
quale tutti gli elementi costitutivi della musica (melodia, ritmo, armonia) raggiungevano un'equilibrata fusione
anche se la melodia aveva un posto preminente; si trattava però un tipo di melodia semplice e scorrevole, ben
lontana dalla facile cantabilità e legata strettamente ad un raffinato sviluppo armonico. Inoltre la chiarezza
melodica del Classicismo si unì a ben determinati interessi costruttivi e per questo le melodie sono sempre
collegate a sviluppi precisi, in ampie strutture formali: su questa via, il Classicismo definì la «forma-sonata» e
cioè lo schema base dei generi strumentali più importanti dell' ottocento (la sinfonia, la sonata, il concerto). Il
Classicismo che già si rileva in Gluck e che in Italia trovò le voci più originali in Boccherini, Spontini ed altri,
raggiunse il suo culmine con la scuola viennese di Haydn, Mozart e Beethoven, nel quale però hanno crescente
rilievo i valori romantici.
Lo «Sturm und drang» si può considerare come reazione degli intellettuali di area mitteleuropea allo
stile «galante», al Rococò a all' Arcadia. L'ottimistico razionalismo dell'età dei «lumi» cede il passo ad una
concezione fatalista ed irrazionale della vita, considerata una perpetua lotta contro ineffabili forze avverse. Si
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Qualche legame con il mondo latino fu presente in ogni tempo nella civiltà neolatina, mentre fu invece fatto
più raro e ricercato nelle letterature del resto d'Europa. Per quanto riguarda la tradizione letteraria italiana, il
Classicismo è un fatto generale fin dalle più antiche testimonianze letterarie medievali; ci sono però movimenti
in cui assume un aspetto più evidente, come durante la Rinascenza carolingia nel IX sec., il Rinascimento
francese dei secoli XI e XII ed il grande Rinascimento italiano dei sec. XV e XVI. La nascita delle letterature
volgari può sembrare una ribellione alla tradizione classica, ma l'innovazione fu esclusivamente formale e
linguistica perché moltissimi rimossero i legami contenutistici con il mondo latino. Comunque il momento in cui
il Classicismo si fece dominante fu durante il Rinascimento in Italia, quando dai classici si trassero i canoni
poetici che determinarono tutta la produzione letteraria prima italiana e poi europea. Questo periodo di
rigoroso Classicismo in Italia si può suddividere in due fasi; la prima, più propriamente rinascimentale in cui si
cercarono le leggi di quell'arte perché servissero come norme per la realizzazione di una nuova arte altrettanto
perfetta. Processo analogo avvenne nel campo delle arti figurative. Questo Classicismo, che inizialmente
prometteva una grande libertà creativa, si irrigidì poi in regole e schemi angusti e soffocanti, tratti dalla poetica
di Aristotele, intesi a definire rigidamente i vari generi letterari e a canonizzare «il poema epico regolare». I
trattatisti italiani furono maestri per tutto il '600 europeo e soprattutto in Francia dove questi principi furono
espressi nell'arte poetica di Baieleau. In Francia però queste posizioni vennero presto discusse nella famosa
polemica degli antichi e dei moderni. Il tramonto della poetica classica, come regolamentazione della
produzione teatrale, ebbe inizio in Spagna dove Lope de Vega, pur riconoscendo la legittimità delle regole
aristoteliche, sostenne il dovere per l'autore di teatro di appagare il gusto nuovo del popolo. Col sorgere della
poetica barocca il Classicismo continuò come libero studio e amore del classici, con punte di rinnovato fervore
nell'Arcadia, nel Neoclassicismo e durante la reazione carducciana al Romanticismo.
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prepara dunque la strada all'età romantica attraverso la ridefinizione dei fini e dei mezzi dell'espressione artistica:
l'opera d'arte deve porre il fruitore nelle stessa condizione psicologica ed emozionale dell'autore nell'atto della
sua creazione. Viene esaltata la creazione a carattere improvvisativo, l'espressione immediata dei sentimenti;
l'attenzione si rivolge alle vite «maledette» e «tristi», diverse dalla banalità quotidiana e soprattutto opposte
all'ideale equilibrio e alla serenità tanto agognata nell'età precedente. L’ottimismo, e anche lo spirito tragico
impassibile, scompare dalle opere per lasciar posto anche a personaggi brutali ma che abbiano nella loro
malvagità una superiore grandezza. In musica il Romanticismo comincia molto più tardi (1820 circa) di quello
letterario, si dovrà attendere la stagione di Schubert, Schumann, Chopin; ugualmente nell’opera è quasi assente
l’influenza dello «Sturm und drang». Solo nella musica strumentale possiamo scorgere delle avvisaglie del
cambiamento epocale nell’uso frequente delle tonalità minori in senso tragico e non più, com’era solito, in senso
patetico e malinconico. L’uomo del ‘700 si trasforma nell’artista ottocentesco, libero e indipendente; il tramite è
idealmente, se vogliamo, Beethoven, fautore di una musica dal forte impegno sociale. La violenza incruenta della
sinfonie di Beethoven è sintomatica dei profondi mutamenti, a volte drastici, della società: rivoluzioni americana
e francese ecc. La sonata (classica), come struttura formale, dominerà il periodo; la sezione di sviluppo di questa
si amplierà; i temi della sonata in esso si mescoleranno e quasi si «perderanno» negli anfratti delle continue
modulazioni e variazioni, uscendone rafforzati nella tensione drammatica. La forma sonata, attraverso l’opera
magistrale dei tre grandi compositori del Classicismo viennese (Haydn, Mozart, Beethoven), uscirà definita
compiutamente nella struttura e nelle proporzioni, anche se talvolta piegata, soprattutto da Beethoven, alle
superiori esigenze espressive e drammatiche.
Haydn
Il padre riconosciuto del genere sinfonico e della forma sonata classica è F.J. Haydn (1732 - 1809). La
sua lunga vita abbraccia tutta l’età musicale classica, dalla fase iniziale, in cui sono ancora presenti elementi
tipici dello stile barocco, fino al nascente movimento pre-romantico che mina alla base le certezze e gli equilibri
tipici del sinfonismo settecentesco. La sua vita è peraltro emblematica della profonda metamorfosi che investì la
figura del compositore negli ultimi anni del XVIII secolo: il musicista di corte, che crea la sua arte per divertire e
compiacere il proprio «datore di lavoro», si trasforma nel musicista libero e imprenditore di se stesso, che
compone in base alle sue specifiche esigenze artistiche o su commissione di un impresario. Il musicista si eleva,
dal rango di servitore, considerato poco più che un cameriere, alla dignità di artista universalmente riconosciuto e
apprezzato.
Haydn fu, per quasi tutta la sua vita, maestro di cappella della nobile famiglia ungherese degli Esterhàzy
ma ebbe modo di sperimentare il «clima» viennese e di avere a disposizione una orchestra stabile; la sua era
quindi una posizione privilegiata nei confronti di gran parte dei suoi colleghi, in quanto gli era concessa una
relativa libertà nel lavoro. Dopo il 1790 egli si affrancò completamente dal servizio e in questa condizione,
agevolato anche da un vitalizio concessogli dagli Esterhàzy, morirà.
La sua produzione si può riassumere in tre periodi: il primo fino al 1770 in cui ancora prevalgono
atteggiamenti compositivi tipicamente barocchi; il secondo è quello dell’affermazione della forma sonata e del
maggior numero delle sinfonie e durerà fino al 1795; nel terzo, che si concluderà con la morte, si ha soprattutto
produzione di musica sacra (soprattutto oratori).
Le sinfonie di Haydn segnano costantemente il passo dell’evoluzione del suo linguaggio musicale;
inizialmente in tre tempi, con una breve introduzione lenta al primo, si stabilizzano nella classica forma in quattro
movimenti con il minuetto al terzo. Molte sinfonie hanno titoli programmatici (Il colpo di cannone, La gallina
ecc.) mentre altre sono raccolte che portano il nome della città dove ebbero la prima esecuzione (parigine,
londinesi). Lo stile sinfonico di Haydn, inizialmente derivato da quello delle sinfonie avanti l’opera sul modello
italiano, mostrano ancora procedimenti tipici del barocco strumentale, soprattutto nell’uso frequente e sapiente
delle forme contrappuntistiche. Nello stesso modo il linguaggio dei quartetti ha ancora le caratteristiche del
divertimento, una sorta di composizione con uno strumento in evidenza, generalmente il 1° violino, e
accompagnamento omoritmico e accordale delle altre parti. Haydn scrisse due grandi oratori: «La Creazione» e
«Le Stagioni». Pur essendo l’oratorio una forma tipicamente legata all’età barocca, è evidente nelle due
composizioni una maggiore densità nel discorso strumentale che le avvicinano, stilisticamente, alla produzione
sinfonica.
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Mozart
W.A. Mozart (1756 - 1791) è una figura unica nella storia della musica. Fu un talento precocissimo e la
sua musica è considerata, dai più, «musica assoluta», cioè libera da qualsiasi ispirazione che non sia
interiormente legata al linguaggio musicale stesso (e quindi totalmente opposta alla «musica a programma»).
Mozart fu grande in tutti i campi della sua produzione e, soprattutto come operista, fu conosciuto in tutta Europa
sin dalla più tenera età.
Produzione operistica
Le opere di Mozart non presentano novità dal punto di vista della costruzione, tanto meno caratteri
nuovi o rivoluzionari dal punto di vista drammatico. Lo schema, anche delle opere in lingua italiana che sono la
maggioranza, è sempre impiantato sulla successione di recitativi (secchi o accompagnati), arie, cori
(maggiormente nelle opere serie) e concertati. Le novità vanno ricercate invece sia nel fatto puramente musicale
sia nell’impiego sempre più accurato dei recitativi accompagnati e dell’orchestra, e infine nel contenuto
drammaturgico che si avvicina il più possibile alla realtà. La qualità del discorso e delle idee musicali è sempre
molto alta e a ciò va aggiunta la notevole varietà armonica; i pezzi chiusi sono resi originali ed interessanti anche
per l’uso di forme chiastiche2, inusuali nel teatro. Il ruolo del recitativo accompagnato, specialmente nelle opere
«buffe», è particolarmente rilevante e l’orchestra, oltre ad essere usata con particolare varietà, assume, insieme
alle voci, schemi e modi tipici della musica puramente strumentale, in particolare il principio dello sviluppo
sonatistico. In campo drammaturgico vi è l’abolizione del confine tra opera comica e opera seria («Le nozze di
Figaro», ad esempio, è opera buffa con diversi spunti drammatici; il «Don Giovanni» è sottotitolato «dramma
giocoso» a testimonianza della contaminazione tra il tragico e l’umoristico). Nel «Don Giovanni» il protagonista,
libertino e amorale, assume un carattere epico che lascia presagire i grandi personaggi drammatici romantici ed è
opera vicina ai caratteri dello «Sturm und drang».
La produzione operistica di Mozart comprende opere in italiano, secondo il modello ormai consolidato
nel ‘700, ed opere in tedesco, fra cui dei «singspiel» , particolare tipo di melodramma in cui i recitativi non sono
cantati ma parlati. L’opera italiana di Mozart, né seria né comica ma fusione dei due generi, è moderna «ante
litteram» nel senso che tende ad essere uno specchio quanto mai realistico della vita. Il modello di riferimento per
queste opere è soprattutto lo stile napoletano ed in particolare è evidente l’influenza di Jommelli e Hasse; fra
queste «La finta semplice», «La finta giardiniera», «Lucio Silla» che sono ancora i primi esperimenti e a cui
seguono le grandi opere della maturità quali «Idomeneo», «Le nozze di Figaro», «Così fan tutte», «La clemenza
di Tito» e «Don Giovanni». Le opere tedesche comprendono da singspiel di semplice fattura e con pochi
personaggi come «Bastiano e Bastiana», a lavori più ampi: «Il ratto dal serraglio» e soprattutto «Il flauto
magico», ultima opera di Mozart e con cui prende le mosse l’opera tedesca più originale e autonoma rispetto ai
modelli italiani.
Idomeneo. In scena nel 1781 (commissionata nel 1780) su libretto di G.B. Varesco, rappresenta il
culmine dell’opera seria italiana del ‘700. Mozart si è rifatto all’opera italiana riformata e l’ha portata al suo
massimo sviluppo. L’importanza dell’ «Idomeneo» è non solo nella matrice gluckiana ma emerge soprattutto da
alcune caratteristiche interne all’opera: il perfetto equilibrio fra le componenti del dramma (recitativi, arie, cori,
orchestra e danze), la compostezza classica del linguaggio e grandiosità drammaturgica delle scene, il numero
ristretto di personaggi chiave ben delineati psicologicamente.
Le nozze di Figaro. (vedi appendice 2) Il principio dell’adozione nella musica operistica dello stesso
metodo adottato in quella strumentale (cioè di un discorso che, teoricamente, potrebbe vivere di vita propria
anche senza un testo) trova la sua massima realizzazione ne «Le nozze di Figaro». Non a caso in questo lavoro
c’è una preponderanza del pezzo d’insieme che culmina nei grandi concertati della fine degli atti. Già con
quest’opera il concetto di «buffo» si disintegra a favore di un modello drammatico che, anche se con
caratteristiche comiche evidenti, fonde quest’ultime con l’elemento serio e patetico, in modo tale da presentare
personaggi vicini, nella loro psicologia, alla realtà. Per esempio uno dei personaggi più riusciti e profondi è la
Contessa, dipinta con tutti i suoi turbamenti, le ansie, le malinconie e i desideri segreti della donna che sta
abbandonando la giovinezza per entrare nella maturità. Ma in fondo, lo stesso personaggio di Figaro ha delle
caratteristiche rivoluzionarie; egli, pur di umili condizioni e personaggio del popolo, s’impone attraverso la sua
intelligenza, la furbizia e la forza dei sentimenti alla prepotenza del Conte, burlandosi della presunta superiorità
della nobiltà. Non secondario motivo della grandezza di questa e delle altre opere italiane di Mozart, sono i
2
Da chiasma (o chiasmo): figura retorica per cui due termini concettualmente e grammaticalmente paralleli
sono disposti in ordine inverso: Cesare fui e son Giustiniano (Dante); rotto dagli anni e dal cammino stanco
(Petrarca); non si vive per mangiare ma si mangia per vivere.
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libretti di Lorenzo Da Ponte, curiosa ma non insolita figura di letterato e avventuriero che ebbe, nella produzione
operistica italiana di Mozart, quasi lo stesso peso che Calzabigi in quella di Gluck.
Don Giovanni. Con «Le nozze di Figaro» Mozart ebbe un successo moderato a Vienna, ma la sua
accoglienza entusiastica a Praga gli valse la commissione per il «Don Giovanni» [...] dramma giocoso di un
tipo molto particolare. La leggenda medievale su cui è basata la trama era stata spesso trattata in letteratura e
in musica, sin dal primo Seicento; ma con Mozart, per la prima volta in opera, Don Giovanni stesso fu
considerato seriamente, non come combinazione incongrua di figura farsesca e orribile peccatore, ma come un
eroe romantico, un ribelle contro l’autorità e che disprezza la moralità comune, un sommo individualista,
coraggioso e incorreggibile fino alla fine. E’ alla musica di Mozart, più che al libretto di Da Ponte, che si deve
la posizione eminente di Don Giovanni e la definizione del suo personaggio per tutte le generazioni successive
[...]. Alcuni degli altri personaggi. nonostante siano sottilmente messi in ridicolo, devono anche essere presi sul
serio, per esempio l’alquanto tragica Donna Elvira, che non smette mai di lamentarsi di essere stata piantata in
asso da Don Giovanni. E il servitore di Don Giovani, Leporello, è qualcosa di più di un servitore-buffone della
Commedia dell’arte, poiché rivela una profonda sensibilità e intuizione. [Grout]
«La clemenza di Tito» è un’opera di stampo metastasiano che risente di un certo accademismo, mentre
completamente opposta nel tono, brillante e spassionato, è l’opera «Così fan tutte», sottilmente indagatrice delle
peripezie dell’amore coniugale. Anche se in lingua tedesca, «Il ratto dal serraglio» è opera che nello stile
musicale (specialmente nelle arie) risente degli stereotipi, specialmente melodici, dei modelli italiani, ma che
s’inserisce in quel filone di opere ispirate all’oriente, di ambientazione esotica dunque, che anticipano alcuni
futuri caratteri delle opere romantiche.
Il flauto magico. Mozart aderì alla Massoneria (un movimento spirituale che aveva una loggia anche a
Vienna) che rappresentava per il musicista una sorta di altra religione non in contrasto ma prolungamento del
Cristianesimo. Per celebrare determinati avvenimenti della vita della loggia, Mozart scrisse diversi brani tra cui
la celebre «Musica funebre massonica»; «Il flauto magico» è un’opera (per l’esattezza un singspiel) che,
inserendosi in tale filone, presenta una gran quantità di simboli. Essa può essere definita, alla stregua della 5ª
sinfonia di Beethoven, una lunga parabola dalle tenebre alla luce, il percorso che ogni uomo compie, o dovrebbe
compiere, alla ricerca della verità. Gli stessi personaggi sono simboli in quanto entità fantastiche e ideali che
dimostrano, molto spesso attraverso il loro comportamento ambiguo e ingannatore, quanto sia difficile per
l’uomo, qui rappresentato dal cavaliere Tamino, riconoscere il bene e la verità quando questi si presentano. Dal
punto di vista musicale «Il flauto magico» può essere considerato una vera e propria «summa» delle esperienze
operistiche del XVIII secolo, sia dell’autore stesso che di altri, intrecciando l’aria a solo, l’insieme buffo, a cui è
attribuito un nuovo significato musicale; un nuovo tipo di recitativo accompagnato da applicare alle parole
tedesche; scene corali solenni; e persino una rinascita della tecnica del preludio corale barocco, con
accompagnamento contrappuntistico. [Grout]
Musica strumentale
La produzione di musica strumentale di Mozart può essere distribuita in tre periodi: il primo
dell’apprendistato che dura fino al 1773; il secondo, della prima maturità, che giunge al 1781; e il terzo che
coincide con il decennio viennese (1781-91). La prima fase vede la nascita di alcune sinfonie e quartetti che
risentono dell’influenza italiana, anche di seconda mano attraverso il contatto con Johann Christian Bach a
Londra, ma maggiormente per l’influenza di Sammartini, conosciuti in uno dei viaggi dell’adolescenza in Italia.
Sia le sinfonie che i quartetti di questo primo periodo hanno alcune caratteristiche in comune e cioè la struttura in
tre movimenti, la quasi completa assenza di contrappunto e il clima sentimentale degli adagi (ad es. la prima
sinfonia K 16). Già gli ultimi lavori di questo periodo si avvicinano allo stile delle opere subito successive scritte
a Vienna che adottano i quattro movimenti. Stessa sorte hanno i quartetti: ai primissimi (K 80, K 155-160), di
stampo italiano in 3 movimenti, seguono opere concepite in uno stile più severo o almeno musicalmente più
lontane dal carattere del divertimento a vantaggio di un uso sempre maggiore del contrappunto e della struttura in
4 movimenti; a questa evoluzione contribuì molto l’influenza di Haydn e la conoscenza delle sue opere,
soprattutto quelle della seconda fase (dall’opera 20 in poi). Il momento cruciale nello sviluppo del primo Mozart
è la composizione della sinfonia K 183, in sol min.; questa è la tonalità «tragica» di Mozart e, in questo caso,
viene usata in una sinfonia che è molto vicina, come sarà anche la sinfonia K 201, ai caratteri dello «Sturm und
drang». Accanto a questi lavori di sperimentazione della forma, vi sono altre opere (ad es. K 250) composte su
commissione, che, pur non avendo nessuna pretesa di originalità, inserendosi nel filone dei divertimenti e delle
serenate nello «stile galante», denotano un impegno a volte sinfonico e un sapiente uso del contrappunto. Anche
nel campo della musica sacra Mozart compose molte opere su commissione, in particolare messe in stile
concertato, con coro, orchestra e solisti (stile noto come «salisburghese»); uniche eccezioni a questo stile sono la
messa in do min. e la messa da Requiem, opera della maturità, che contiene intere sezioni in stile fugato.
Una svolta significativa nella produzione mozartiana è data dai viaggi a Parigi ed a Mannheim in cui si
perfeziona nell’orchestrazione e nell’uso dell’armonia; indicativa di questo periodo è la sinfonia concertante K
364, per violino, viola e orchestra.
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Il periodo viennese è quello della massima maturità artistica; sono più rare le opere su commissione e il
compositore approfondisce la conoscenza dell’opera bachiana, di conseguenza la sua produzione acquista
maggiore spessore tecnico e contrappuntistico. Il culmine della produzione quartettistica di Mozart è
rappresentato dai sei quartetti dedicati ad Haydn, in cui troviamo delle fughe degne del miglior Bach. In campo
sinfonico la produzione diminuisce considerevolmente; se nei primi 25 anni di vita Mozart portò a termine circa
30 sinfonie, soltanto 6 sono da ascrivere agli ultimi dieci anni viennesi. Ciò significa soltanto che è
considerevolmente aumentato il peso specifico della sua composizione, tanto che proprio queste ultime sei
sinfonie sono capolavori assoluti. In particolare sono universalmente note le ultime tre: la sinfonia K 543, che
rappresenta il prototipo della sinfonia solenne e grandiosa, la K 550, detta «la tragica», sinfonia impregnata di
toni altamente drammatici e di un autentico spirito pre-romantico, ed infine la K551, detta «Jupiter», per il suo
tempo di dimensioni colossali, apoteosi del contrappunto, sfruttato nell’ultimo movimento per realizzare una
forma ibrida, incrocio della classica forma di sonata con una grandiosa fuga.
Nei concerti per pianoforte e orchestra si possono cogliere i progressi più evidenti nel rapporto
dialettico fra il solista e l’orchestra, nel trattamento della parte solistica e nella varietà del discorso orchestrale.
La forma del concerto per pianoforte e orchestra di Mozart rappresenta un ponte di collegamento tra la forma del
concerto barocco e quello romantico. Il concerto classico, inteso quindi come forma di raccordo, utilizza del
concerto barocco il principio della ripetizione e del ritornello, affiancandolo alla forma sonata ed alla varietà di
questa caratteristica. Nei primi concerti, almeno in quelli degli anni 1775 - 80, la parte orchestrale è ancora
piuttosto semplice e con poca varietà timbrica. In pratica solista e orchestra agiscono su due piani non ancora di
uguale importanza, ciò nel senso che l’orchestra non va al di là del preannuncio dei temi poi esposti da pianoforte
e si limita a fornire uno sfondo per la trama del solista. Fa eccezione, almeno nel rapporto tra le due entità, che è
più complesso, il concerto K 271, con la novità dell’ingresso pressoché immediato del pianoforte, senza
attendere il termine dell’introduzione orchestrale. Specialmente dopo la data fatidica del 1781, la produzione dei
concerti per pianoforte e orchestra tocca i suoi vertici assoluti; a partire dal concerto K 449 e con i seguenti, lo
stile matura sia sotto il profilo della elasticità con cui viene interpretata la forma sonata sia sotto l’aspetto della
varietà timbrica e del continuo alternarsi tra il solista e l’orchestra nel condurre il discorso musicale. Proprio gli
ultimi sviluppi del concerto mozartiano preparano la strada ai grandi concerti per pianoforte beethoveniani e
romantici. Da rilevare, ovviamente, anche il progresso in senso virtuosistico della parte solistica, determinato
dalla nascita, e dal progressivo affermarsi, della figura del concertista nella vita musicale del tempo.
Schema del primo movimento
del concerto per pianoforte e orchestra K 488
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Esposizione orchestrale: 1° tema - episodio di transizione - 2° tema - episodio di chiusura.
Riesposizione con il pianoforte: 1° tema - «tutti» di transizione - 2° tema - «tutti» di chiusura.
Sviluppo: elaborazione del materiale precedente e materiale nuovo con modulazione ai toni lontani.
Ripresa: come nella riesposizione ma con ambedue i temi nella stessa tonalità.
Coda: cadenza del pianoforte e «tutti» di chiusura.
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Beethoven
Tutta la sua produzione di L.V. Beethoven (1770 - 1827) si può considerare gravitante attorno all’orbita
della forma sonata. La sua opera viene solitamente suddivisa in tre stagioni: la prima di acquisizione e sviluppo
della forma (soprattutto sonatistica e sinfonica); la seconda della crisi della forma sonata con importanti
modificazioni alla struttura di questa; l’ultima, di assestamento su un genere di composizione che solo
apparentemente è simile a quello del primo periodo, ma che comprende anche altri aspetti come il ritorno alle
forme della fuga e della variazione, l’accentuazione della ricerca timbrica.
La prima fase produttiva comprende diverse opere brillanti e leggere (Settimino Op. 20), soprattutto
musica da camera disimpegnata, e i primi 2 concerti per pianoforte e orchestra, persino meno avanzati rispetto
agli ultimi di Mozart, ma che per densità musicale non possono essere considerati musica d’evasione. Le prime
sonate per pianoforte sono già in 4 movimenti, diversamente da Haydn e Mozart che sperimentarono in principio
la forma in 3 movimenti; il loro contenuto armonico è decisamente più avanzato rispetto a quello dei suoi
predecessori e i procedimenti tecnici sono in parte influenzati dall’opera di Muzio Clementi (per es. le ottave
spezzate). E’ da rilevare come già in questa prima fase, le sonate per pianoforte presentano accentuazioni
dinamiche mai praticate in precedenza e continui contrasti nella conduzione del discorso musicale3. Le prime due
sinfonie (vedi appendice 3), contrariamente a ciò che avviene per le sonate, sono in un linguaggio abbastanza
convenzionale e denotano la profonda influenza dei modelli haydniani.
Il secondo periodo della produzione di Beethoven viene idealmente aperto dalla composizione della III
sinfonia, detta «Eroica», anche se in un primo tempo dedicata a Napoleone con il titolo di «Bonaparte». In
seguito Beethoven, deluso dalle ambizioni di conquista del condottiero corso, sembra che stracciò la dedica
sostituendola con quello attuale. E’ questo il periodo in cui si definisce il «titanismo» beethoveniano che
raggiunge il suo culmine, anticipando nel clima la futura stagione romantica, nella composizione della V sinfonia,
celebre per l’inciso iniziale che Beethoven definì «il destino che bussa alla porta». Caratteristico di questa fase
della produzione dell’autore non tanto lo stravolgimento della forma, quanto lo sfruttamento fino agli estremi
limiti delle tensioni insite nelle strutture usuali, sinfoniche e quartettistiche. Così avviene, ad esempio, nei tre
quartetti dell’Op. 59, dedicati al conte Rasumovskij, primi esempi dello stile maturo del compositore e dei modi
espressivi caratteristici di questa forma. [Grout]. Di rilievo, in questo periodo, i concerti per pianoforte e
orchestra, tra cui «L’Imperatore», che ampliano la struttura ereditata da Mozart e ne intensificano i contenuti
attraverso un più marcato virtuosismo nella parte solistica. Accenti «titanici» anche nelle sonate, «Al chiaro di
luna», «Waldstein», «Appassionata» su tutte, che vivono di sonorità poderose, sconosciute fino ad allora, e
sviluppi altamente drammatici.
Il «Fidelio», unica opera teatrale di Beethoven, ha avuto più di una versione e di ciò sono indicative le
quattro stesure dell’ouverture4. Il carattere del «Fidelio» risulta chiaro se prendiamo in esame i motivi che hanno
condotto l’autore a modificarne più volte il preludio. Il più importante tra questi è senza dubbio «Leonora n°3»
che Beethoven scartò in quanto tanto intensa e imponente sinfonicamente che dominava l’opera stessa e
fuorviava l’attenzione dell’ascoltatore. Il «Fidelio» ha un carattere sostanzialmente sinfonico, e non a caso è
stato definito una sinfonia per soli, coro e orchestra. Le parti vocali di quest’opera hanno un carattere
spiccatamente strumentale, non hanno cioè quella identità melodica tipica delle parti vocali e spesso sono
soffocate dal tessuto contrappuntistico delle parti orchestrali. la forma dell’opera è abbastanza tradizionale; è un
singspiel (che quindi alterna parti musicali a sezioni interamente recitate) in lingua tedesca che ha i tradizionali
pezzi chiusi (arie, duetti, terzetti e concertati) e anche una forma non certo insolita nei singspiel, ma non
frequente, di melologo, una recitazione su uno sfondo musicale. Dal punto di vista contenutistico il «Fidelio» è
la realizzazione degli ideali etici, morali e spirituali di Beethoven, poiché è un’opera che esalta una delle
massime aspirazioni dei teorici dell’Illuminismo: la libertà. L’intreccio è molto comune e rispecchia gli stereotipi
classici del conflitto tra il bene e il male: i due protagonisti principali, un uomo e una donna, imprigionati da un
tiranno malvagio ed infine liberati da un terzo personaggio positivo. L’opera è, inoltre, l’esaltazione dell’amore
coniugale. La parte culminante del lavoro, sia dal punto di vista musicale che etico, è un coro di prigionieri
politici che, usciti all’aperto per l’ora d’aria, alla vista della luce del sole inneggiano alla libertà.
Il terzo periodo della produzione beethoveniana è molto diverso dai precedenti; in esso si entra in un
universo poetico ed estetico del tutto nuovo che per molti anni, anche in pieno Romanticismo, non venne
compreso neanche dagli addetti ai lavori. Le opere dell’ultimo periodo, tra cui citiamo la IX sinfonia, la Missa
Solemnis, le Variazioni Diabelli, gli ultimi quartetti per archi e la Grande fuga, sono in gran parte delle opere
sperimentali, forse rese tali anche dalla ormai completa sordità che affliggeva il compositore. Tali opere non
possono essere considerate né classiche né romantiche in quanto non sono classificabili secondo i canoni estetici
di queste due epoche; possono invece essere considerate moderne «ante litteram» e forniranno notevoli esempi ai
3
4
Ad esempio nella sonata «Patetica» troviamo ben 16 indicazioni dinamiche nelle prime 6 battute.
Le ouverture «Leonora» n° 1, 2, 3 e l’ouverture «Fidelio».
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compositori del primo Novecento. Tra le novità v’è l’abbandono del 2° tema nella forma sonata e la riduzione
dei ritorni tematici; ciò non è evidente solo nella forma sonata ma anche nella variazione che perde
completamente le caratteristiche haydniane.
Le principali novità del linguaggio beethoveniano del 3° periodo si possono riassumere nel modo
seguente:
1. Uso della variazione: a) come episodio di un movimento;
b) come intero movimento;
c) come intera composizione a sé stante.
2. Uso del contrappunto: a) in senso episodico;
b) come struttura di un intero movimento;
c) come principio tecnico di una intera composizione.
3. Sperimentazione timbrica.
Missa Solemnis. La differenza tra questa composizione beethoveniana e le messe di Mozart in stile da
concerto non è solo nelle imponenti dimensioni della prima, concepita come una sinfonia in 5 movimenti in cui
accanto ad una poderosa orchestra troviamo solisti e coro; essa è pensata come una grandiosa rappresentazione
musicale e corale del rito religioso, in cui non v’è spazio per la cantabilità pura e solistica, ma coralità nel senso
pieno del termine, concertante con la grande massa orchestrale.
IX sinfonia. Questa, che è l’ultima sinfonia di Beethoven, ha rappresentato per la storia della musica, e
per la successiva stagione romantica, una vera pietra miliare poiché l’autore sconvolge completamente la
struttura classica della sinfonia attraverso non solo il cambiamento nell’abituale ordine dei movimenti, ma anche
per l’aggiunta persino di un quinto in cui, per la prima volta nell’ambito di una forma strumentale pura,
compaiono un coro e dei solisti. Sull’ormai celebre «Inno alla gioia» su testo di Schiller, vero inno alla libertà ed
alla uguaglianza tra i popoli, la IX sinfonia chiude la stagione classica esaltando l’ideale illuministico, rimasto in
realtà allo stato di aspirazione. Nell’uso, in quest’opera, della compagine vocale c’è un ulteriore motivo
simbolico: gli strumenti hanno raggiunto con la musica di Beethoven il loro estremo limite espressivo, oltre il
quale soltanto la voce umana può aggiungere qualcosa di alto e significativo.
Note sul melodramma settecentesco
L'opera «letterata»
La presa di posizione più dura contro le convenzioni del teatro musicale del '700 è un opuscolo di
Benedetto Marcello che, ne «Il teatro alla moda», si scaglia in modo ferocemente satirico contro le cattive abitudini
dell'opera italiana, in special modo contro l'atteggiamento dei cantanti che, attraverso una eccessiva platealità ed un
uso gratuito dei virtuosismi, cercavano di focalizzare l'attenzione del pubblico esclusivamente sulla loro persona e
ciò a detrimento della musica e del dramma. Marcello non fu l'unico, all'inizio del secolo, a prendere dure posizioni
contro le tendenze del teatro alla moda (Quadro, Muratori, Crescimbeni); nacque infatti un movimento tendente a
far sì che il rapporto dramma-musica non pendesse esclusivamente, secondo i canoni dello «stile galante», in
favore di quest'ultima. Infatti, nonostante le innovazioni drammaturgiche e l'alta qualità dei libretti, soprattutto di
Apostolo Zeno e Metastasio, il melodramma serio presentava ancora un forte squilibrio a favore del fatto musicale
fine a se stesso e meramente virtuosistico. Il movimento di riforma del teatro musicale tende, senza rinnegare le
innovazioni introdotte da Zeno e Metastasio, a ristrutturare gradualmente il melodramma attraverso, in primo
luogo, l'abolizione del bipolarismo recitativo-aria o meglio, dato il valore di riempitivo che veniva ad assumere il
recitativo secco, attraverso la revisione del principio secondo cui l'aria era l'elemento di gran lunga più importante.
Per far ciò si tese ad attribuire maggiore rilievo ed importanza al recitativo accompagnato, o all'arioso di marca
francese, inteso come elemento che contempla i caratteri del recitativo secco e dell'aria (azione e sostanza
musicale). Più in generale si ricercò un maggiore equilibrio tra le varie parti che compongono il melodramma
facendo in modo di arrivare alla creazione di un fatto musicale più omogeneo, concentrato e meno dispersivo. Tra i
teorici che diedero il maggiore contributo a questa tendenza possiamo citare l'italiano Francesco Algarotti.
La riforma di Gluck
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Nella seconda metà del '700 i musicisti sono sempre più attratti dai modelli dell'opera seria in luogo
dell'opera buffa. Gluck non fu il solo artefice della riforma del teatro musicale settecentesco dato che il terreno su
cui poggia il suo teatro musicale fu ampiamente preparato da una folta schiera di musicisti, in special modo italiani,
tra cui non possiamo non citare Niccolò Jommelli e Tommaso Traetta. Ma l'Italia rimarrà sostanzialmente
indifferente agli sviluppi del melodramma serio che conoscerà invece i suoi maggiori vertici all'estero (sorte
comune a tante forme nate nella nostra penisola e subito adottate e sviluppate in altre regioni europee); infatti
anche Jommelli e Traetta differenziarono la loro produzione in ragione del luogo in cui doveva essere eseguita
l'opera e privilegiando l'opera buffa per le esecuzioni «italiane». Fra i meriti, comunque, dei due compositori non si
rilevano tanto sostanziali cambiamenti nella struttura di recitativo e aria ma quanto la dilatazione delle strutture
dialettiche negli elementi cardine del melodramma, facendo ad esempio precedere le arie da un robusto recitativo
accompagnato tale da creare delle ampie scene drammatiche.
Sulle novità apportate da questi musicisti s'innesta l'operato artistico di Gluck, allievo di Sammartini (fra i
padri della «forma sonata») a Milano e, in un primo tempo, operista «italiano» (circa 20 opere si ascrivono a tale
periodo). Punto cruciale della sua vita e della sua evoluzione artistica è l'approdo a Vienna dove conosce il poeta
Ranieri de' Calzabigi e il direttore artistico Giacomo Durazzo; entrambi lo incoraggiarono nella sua opera di
riforma. I primi particolari elementi «riformati» (specialmente nell'«Orfeo ed Euridice») sono la riduzione del
numero dei protagonisti, e conseguente riduzione delle scene; la semplificazione della trama oggettiva (2 scene nel
I atto, 3 scene nel II, 3 nel III). Ciò comportava naturalmente una maggiore attenzione, da parte dello spettatore,
sull'argomento e sullo sviluppo drammatico non essendo distratto dal fatto puramente virtuosistico. Altra grande
novità si riscontra nella nuova concezione degli episodi corali che tradizionalmente concepiti come espressioni
della «turba», in episodi di largo respiro, vengono ora espressi in frammenti brevi ma intensi e, soprattutto,
partecipi del fatto drammatico e non olimpicamente distaccati. Ma non sempre la ricerca del perfetto equilibrio tra
gli interventi dei personaggi e del coro si traduce in una maggiore espressività, tanto che a volte la scena assume
tratti di staticità e monotonia. Nel fatto musicale, si è detto, è eliminato ciò che è brutalmente virtuosistico e
spettacolare; è dato invece rilievo all'orchestra, che assurge a ruolo di «personaggio» fuori scena, e quindi
maggiore densità musicale. Dopo la parentesi viennese Gluck si trasferisce a Parigi dove scrive due tragedie
(Ifigenia in Tauride, Ifigenia in Aulide) adeguandosi ai gusti del pubblico francese; il carattere delle opere mostra
un maggior affinamento nello studio psicologico dei personaggi e un maggior rilievo dato al coro anche se
sostanzialmente il quadro riformista non cambia.
Nonostante la portata della riforma gluckiana, la grande maggioranza dei compositori europei, tra cui
anche W.A. Mozart, continuerà a perpetuare il genere dell'opera italiana.
Opera buffa italiana
E’ l’opera di maggior successo in Europa eccetto che in Francia; coltivata sia dagli italiani sia dai compositori
stranieri, la sua influenza si spinge anche in Russia dove ottiene un notevole successo l’italiano Giuseppe Sarti.
L’influenza del teatro comico goldoniano determinò una positiva evoluzione nell’opera buffa in quanto si
superò la staticità tipica delle «maschere» della commedia introducendo trame più accurate e dando vita a
personaggi psicologicamente più complessi. Il musicista che per primo rende effettivi i caratteri di Goldoni è
Piccinni e in seguito Paisiello (Re Teodoro) e Cimarosa (Il matrimonio segreto); la tradizione «buffa» italiana
prosegue fino all’800 con Donizetti.
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Appendice 1
FORMA DI SONATA
Per forma di sonata si intende il solo primo tempo di sinfonie, sonate, quartetti ecc., purché sia in
movimento mosso o moderato. E' una forma che si adopera anche per qualunque altro tempo, tranne che per il
minuetto, ed è la più importante e perfetta tra le forme tradizionali. Essa si può considerare un arricchimento
della canzone ternaria A-B-A' che, storicamente, è una trasformazione del tipo binario A-A'.
A - Esposizione tematica
In molte forme, come ad esempio il minuetto, si usa far precedere l’esposizione tematica da
un'introduzione e seguire da una coda; questi due elementi possono esserci ma non intaccano il significato della
forma se mancano. L'introduzione, se c’è, non prepara solo l' esposizione tematica ma lo svolgimento di tutto il
pezzo.
1) L’introduzione. Non è d'obbligo, ci sono anche delle forme in cui manca ed incominciano direttamente dal I
Tema; la sua durata e la sua importanza sono molto variabili. I motivi caratteristici dell'introduzione possono
trovarsi anche nella coda finale del pezzo.
2) Il I Tema. E’ il fondamento di tutto il pezzo, rappresenta il principio generatore e la misura di tutta la forma.
Principio generatore perché è l'elemento primo, vitale, creativo dell'intera composizione e per questo deve essere
il più possibile chiaro. Nella sonata i temi devono avere più che mai il carattere di esposizione tematica; questa è
costituita da un periodo musicale, anche doppio o triplo, in cui un' idea musicale viene presentata in maniera
chiara, espone pensieri e sentimenti senza trarne conseguenze e deduzioni. Il primo periodo va dunque fatto in
maniera da imprimersi bene nella mente di chi ascolta, ma anche da legarsi correttamente con quanto segue. La
struttura del periodo deve essere di tipo affermativo cosicché i motivi del tema si affermino in chi ascolta. Il I
tema può trovarsi in due condizioni diverse: a) essere un episodio distinto, come carattere, dall’esposizione
tematica; b) può essere legato al passaggio (o ponte modulante), da non potersene separare, né dal lato tonale né
da quello tematico. Nel primo caso il periodo del I tema è indipendente, nel secondo è congruente al passaggio;
in entrambi casi le conseguenze dominano la struttura di tutta la forma sonata. Dal punto di vista dell’ampiezza
non si possono dare norme costanti; ogni artista decide di propria volontà e col proprio sentimento il rapporto fra
le dimensioni e la validità di ogni sua opera. Una sonata facile, semplice, detta sonatina, non potrà certo avere le
dimensioni di una sinfonia.
3) Il passaggio (o ponte modulante). Collega l’episodio ed il tono del I tema a quello del II tema. Anche il
passaggio può essere indipendente oppure essere legato al I tema. a) Passaggio indissolubile: I maestri classici
espongono prima un periodo seguito, poi, da un secondo periodo collegato al primo, ma facendo spesso
sopraggiungere motivi ed elementi nuovi e quindi propri del passaggio. b) Passaggio indipendente: Questo, ben
distinto dal I tema, è arricchito con motivi propri; fu spesso utilizzato da Beethoven che, mentre stacca il
passaggio dal I tema, arricchisce la forma di nuovi elementi, quasi d’un tema nuovo. Bisogna, comunque, che la
fisionomia tematica del passaggio sia così ben subordinata da non prevenire l’arrivo del II tema. In quanto alla
durata è impossibile dare norme costanti. Quando il passaggio è indissolubile, non è possibile riconoscerne le
dimensioni, cosa che si può fare con il passaggio indipendente.
4) Il II tema. E’ l’elemento fondamentale contrastante col I tema. Deve essere, quindi, di opposto carattere ma di
vitalità, chiarezza e dimensione analoghe. Per quanto riguarda la durata di questo elemento, deve corrispondere
con quella del I tema. Il rapporto fra i temi è un elemento decisivo per la buona costruzione di un 1° tempo di
sonata; dal giusto rapporto di carattere fra i due temi dipende l’equilibrio della forma e la buona architettura di
tutto il pezzo. Siccome stiamo parlando di tempi di carattere vivace, c’è bisogno di un I tema deciso, rapido,
mentre il II tema deve essere melodioso e cantabile. Questo già basta per costituire un ottimo elemento di
contrasto fra i due temi. Ma perché lo sviluppo della forma si svolga con un buon risultato, bisogna che i due
temi siano legati da un nesso che permetta loro di costituire una sola unità.
5) Codette. Col II tema è già completa la sostanza dell’esposizione tematica che costituisce la prima grande parte,
è perciò possibile passare addirittura immediatamente allo svolgimento che occupa la seconda parte. Ma il senso
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di buona chiusura, sia nelle intere forme sia anche solo nelle loro parti e nei periodi musicali, conduce ad un
prolungamento in forma di coda. A questo scopo i grandi maestri, per rinsaldare l’unità di questa prima parte del
I tempo di sonata, aggiunsero all’esposizione del II tema delle cadenze. Queste codette sono formalmente
staccate dal II tema e presentano motivi nuovi; ma sono anche legate al II tema da nessi tonali o tematici e perciò
ne rappresentano una continuazione di carattere conclusivo. Le codette hanno la funzione di concludere
l’esposizione, confermando il tono del II tema, devono finire, di regola, nel tono stesso. Queste codette, che non
sono indispensabili per la chiusura dell’esposizione, possono consistere anche in qualche breve cadenza o
raggiungere una lunghezza notevole. L’ampiezza e l’importanza dei motivi sono variabilissime.
6) Ritornello. Nelle forme di piccole e medie dimensioni tutta la prima parte si ripete indicando la riesposizione
col ritornello. Però nei pezzi di grandi dimensioni, essendo già ampiamente affermati i temi, la ripetizione si può
omettere e quindi dopo le codette si passa allo svolgimento. Quando c’è il ritornello, occorre che, sia dal lato
tonale che da quello tematico, questo riconduca all’episodio del I tema.
B - Svolgimento (o sviluppo)
Lo svolgimento occupa tutta la parte centrale della sonata ed è una fantasia sui due temi esposti nella
prima parte e sui motivi del passaggio e delle codette. Si è precedentemente detto che l’esposizione tematica
corrisponde in musica al momento in cui l’autore spiega, attraverso i temi, i propri pensieri e sentimenti senza
volerne ancora trarne conseguenze con ragionamenti e deduzioni. Ebbene lo svolgimento tematico è proprio il
complesso dei ragionamenti, delle deduzioni con cui si arriva alle conseguenze. E’ quindi chiara l’importanza
dello svolgimento, e la necessità di caratteri opposti a quelli dell’esposizione: nell’esposizione tutto deve essere
chiaro e gli elementi tematici devono venire solo presentati; nello svolgimento il percorso si complica, i motivi
ed i temi sono elaborati ed amplificati. Lo svolgimento è, quindi, la fase dialettica, ed anche di aperto contrasto,
fra i vari elementi della sonata.
Tonalità. Il II tema con le codette chiude in un tono affine che, di regola, è quello della dominante; spesso, però,
il II tema è già in tono di dominante e ciò produce un ritorno al tono del tema principale. E’ evidente il pericolo
che lo svolgimento si riduca ad una mascherata dimora del tono di dominante. Bisogna quindi allontanarsi tanto
dal tono del II tema, quanto da quello del I. Questo allontanamento si produce spesso partendo dal tono del II
tema; oppure secondo un procedimento tipico di Beethoven, raggiungendo un tono più o meno lontano attraverso
rapide modulazioni.
Lunghezza. La durata dello svolgimento è di regola un po’ più breve di tutto il complesso dell’esposizione
tematica. Questa proporzione viene confermata dalla gran maggioranza dei lavori classici. Ma se vi si prestano i
temi, se vi si presta l’intensità, la densità del complesso, gli stessi maestri oltrepassano questi limiti normali
anche di molto. In condizioni normali, dopo chiusa l’esposizione stessa e riconfermata con le codette, non si
introduce più nessun nuovo elemento tematico.
Norme pratiche. Lo svolgimento non può essere un qualcosa di superficiale, bisogna che vi siano andamenti
tematici e tonali che esprimano decisa volontà; non si vaga da un tema all’altro, o da un tono all’altro, ma si
percorre un cammino logico. Ad ogni modo ci sono alcune norme che costituiscono regole generali: 1) non
toccare mai un motivo se non si sa bene cosa farne; 2) una volta toccato non abbandonarlo; 3) una volta lasciato,
non riprenderlo, a meno che non si voglia renderlo musicalmente più interessante; 4) non andare e venire su uno
stesso tono; 5) riservare il tono di dominante verso la fine dello svolgimento.
A’ - Ripresa dell’esposizione
Questa terza fra le grandi parti del I tempo di sonata è il ritorno all’inizio del pezzo e comprende i tre
grandi periodi: a) I tema; b) passaggio; c) II tema; a cui va aggiunta una coda. La sola differenza che c’è tra
esposizione e ripresa riguarda la tonalità. Nella ripresa tanto il I quanto il II tema devono presentarsi nel tono
principale; quindi il passaggio intermedio va opportunamente modificato. Il fatto che entrambi i temi si devono
riprendere in uno stesso tono renderebbe superfluo il passaggio. Ugualmente il passaggio si può riprodurre
inalterato trasportandolo, con tutto il II tema, alle nuove condizioni tonali.
1) Ripresa abbreviata. In genere la brevità della ripresa viene più o meno compensata dalla coda: cioè da
un’appendice che ha appunto il preciso scopo di soddisfare il bisogno di prolungamento conclusivo.
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2) Ripresa variata. Nel riprendere l’esposizione, spesso avviene di collocare al grave ciò che prima era all’acuto.
Questa è già una prima fonte di varietà, di rinnovamento, degli episodi; spesso i materiali tematici stessi vengono
variati, specie con variazioni ornamentali.
3) Ripresa con nuovi episodi. I grandi maestri talvolta nel variare, nell’arricchire la ripresa, venivano a dar vita
ad episodi nuovi, sviluppati sui temi e sul passaggio dell’esposizione. Il fatto che il passaggio deve ricondurre al
tono principale, invece che rendere superfluo il passaggio stesso, ha dato spesso occasione ad un diverso giro
tonale rendendolo più vario ed interessante.
Coda. Si è già più volte detto come una delle maniere più naturali d’amplificare una forma consiste nel farla
precedere da un’introduzione, e seguire da una coda; aggiunte queste che hanno una loro missione. La coda
soddisfa la tendenza al prolungamento finale, legato al senso di buona chiusura nelle forme musicali.
Sunto da: Bas - Trattato della forma - Ed. Ricordi
a cura di Marietta De Quattro e Maria Rosaria Salzillo
Classe IV sez. B Socio-psicopedagogico - A.S. 1996/97
Appendice 2
Le Nozze di Figaro di W.A. Mozart
«Le Nozze di Figaro» è una commedia in quattro atti di W.A. Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte. La prima
rappresentazione avvenne a Vienna, il 1° maggio 1786. Il successo fu immediato e straordinario. L. Da Ponte
racconta nelle memorie che fu Mozart a proporgli come soggetto la commedia di Beaumarchis, «Le Memorie di
Figaro» (1781), che portava anche il titolo di «La Folle Journèe» e che aveva suscitato scalpore a Parigi. Sempre
nelle memorie, Da Ponte riferisce che la commedia di Beaumarchis era considerata pericolosa e che fu merito
della sua diplomazia se Giuseppe II diede il consenso all’opera, dietro promessa di eliminare dal testo i motivi
rivoluzionari, tra i quali il passo più celebre e scottante era l’accusa di Figaro alla nobiltà e il suo elogio del
«terzo stato». Si è osservato che Mozart, a parte la scelta significativo del soggetto, sapeva bene come nessun
altro la condizione di chi è sottoposto ad un padrone arrogante, e che fu uno dei primi a tentare di sottrarsi
all’impiego cortigiano di prammatica per i musicisti del settecento, e che la dignità di Figaro è data per scontata.
Egli è l’eroe, e non burlesco, dell’opera, ed è degno di esserlo per il garbo, dirittura morale e la franchezza che
gli presta il musicista. Schemi vocali e gli schemi strumentali si identificano in un gioco ininterrotto di armonia e
viva corrispondenza tra testo e melodia, tra scansione della parola e ritmo musicale: i personaggi rivelano
sottigliezze di astuzia, di ingenuità, di balordaggine che trapelano in ogni battuta. Ne risultò un equilibrio vocale
e strumentale senza precedenti, nella ricchezza di fantasia e nella varietà melodica, ritmica e armonica, che
riflettono i trapassi psicologici dei personaggi.
Atto primo:
In una stanza del castello del conte di Almaviva ci sono Figaro e Susanna che hanno avuto dal padrone il
consenso di sposarsi, ma Susanna rivela al suo promesso che il padrone vuole esercitare su di lei il privilegio
dello «jus primae noctis». Figaro si mostra sicuro di saper rimettere al suo posto il padrone. Allontanatisi i
fidanzati, entrano in scena Don Bartolo e l’attempata Marcellina: quest’ultima ha intezione di valersi di una carta
che ha fatto firmare a Figaro una volta che aveva bisogno di un prestito, e nella quale si impegnava a sposarla.
Marcellina, uscendo, ha un breve scontro con Susanna che sta tornando. Entra poi nella stanza Cherubino, il
giovane paggio innamorato di ogni donna che vede, venuto a chiedere a Susanna di intercedere per lui presso il
conte che l’ha sorpreso con Barbarina. Ma sta arrivando il conte e Susanna nasconde il paggio dietro una
poltrona. mentre il conte chiede a Susanna un appuntamento, delle voci in corridoio gli fanno scegliere lo stesso
rifugio di Cherubino che fa appena in tempo a saltar sopra la poltrona e a celarsi sotto un abito. Entra Don
Bartolo, il pettegolo: quando il conte lo sente dire che Cherubino è innamorato della contessa, esce dal
nascondiglio e spiega che ha sorpreso il paggio nascosto sotto un mantello insieme a Barbarina. A mo’ di
esempio solleva l’abito sulla poltrona, ed ecco nuovamente Cherubino in situazione imbarazzante. Mentre
Susanna difende il paggio arriva Figaro a chiedere se può affrettare le sue nozze. Il conte non gradisce l’idea, e
intanto decide di mandare Cherubino militare a Siviglia. Figaro si prende gioco del paggio.
Atto secondo:
Nel suo salotto la contessa siede tristemente: non si sente più amata dal marito. Entrano Susanna e Figaro: questi
ha pensato, per far ingelosire il conte, di fargli credere a una relazione tra il paggio e la contessa, e inoltre di
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mandargli a un convegno Cherubino travestito da donna invece di Susanna. Cherubino canta alla contessa, ma il
conte bussa alla porta. Il paggio si nasconde nello spogliatoio, Susanna dietro una tenda, e la contessa gli fa
credere che la cameriera si sta provando un abito da sposa. Ancora più sospettoso, il conte esce in cerca di arnesi
per aprire lo spogliatoio portandosi via la contessa. Cherubino scappa dalla finestra, Susanna prende il suo posto.
Il conte apre lo spogliatoio convinto di trovarvi Cherubino - la contessa nel frattempo ha confessato - ma esce
Susanna. Le due donne dichiarano di aver voluto burlarlo per punirlo dei suoi bassi sospetti. Ma in quella ecco il
giardiniere Antonio, che afferma di aver visto un uomo uscire dalla finestra. Figaro che lo segue, giura di essere
stato lui. Il conte sospetta di essere ingannato, ma non ha le prove. L’ingresso di Marcellina con don Bartolo
aumenta la confusione.
Atto terzo:
D’accordo con la contessa, Susanna fissa un appuntamento con il conte. Viene poi discussa la causa di Figaro e
Marcellina, presente il giudice Curzio: salta fuori che Figaro è figlio di don Bartolo e Marcellina. Più tardi la
contessa aiuta Susanna a scrivere la lettera al conte fissando l’ora e il luogo del convegno.
Atto quarto:
Nel giardino, di notte, Barbarina racconta incautamente a Figaro quanto basta per fargli capire che Susanna ha un
appuntamento con il conte. Figaro è folgorato. Ma la burla prosegue. Susanna e la contessa si sono scambiate gli
abiti. Accorgendosi che Figaro è vicino, Susanna canta «deh, vieni non tardar ...» ma Figaro non osa credere che
quelle parole sia rivolte a lui. Cominciano gli equivoci a catena che cessano solo quando Figaro riconosce
Susanna e chi viene smascherato alla fine è il conte, perdonato però con dolcezza dalla moglie. Le nozze di
Figaro posso venire finalmente celebrate.
Sunto da: Enciclopedia della Musica - Garzanti
a cura di Liana La Porta
Classe IV sez. B Socio-psicopedagogico - A.S. 1996/97
Appendice 3
Le Sinfonie di L.V. Beethoven
Ludwig van Beethoven compose, oltre a sonate, quartetti, concerti e molte altre composizioni di vario
genere, anche 9 sinfonie. La sua imponente produzione evidenzia, per quanto riguarda il suo stile, due principi
contrapposti: da una parte, la sua adesione alle strutture formali ereditate dalla tradizione classica di Haydn e di
Mozart; dall'altra, la tendenza ad inserire elementi di contrasto, di impeto, che spezzano la linearità della sua
musica. Nonostante questa libertà, questa fantasia, egli non concepì la musica, al contrario dei suoi
predecessori, come espressione intima e immediata: nelle sue opere i momenti della comunicazione sono mediati
dalla ragione, per cui nella sua arte non è presente un vero e proprio atteggiamento romantico perché non si
affida liberamente alla fantasia e alla spontaneità.
Un certo distacco dalla tradizione classica è evidenziato anche dal numero di sinfonie composte, esiguo
rispetto a quello di Haydn (100 sinfonie) e di Mozart (50 sinfonie). Uno dei motivi di questa differenza sta nel
fatto che le sinfonie di Beethoven erano più lunghe. Ma ragione più importante è l’estrema laboriosità nella
creazione, evidenziata dai numerosi libretti di appunti in cui egli scriveva le bozze delle sue opere, le quali a
volte, occupavano più spazio dell'opera definitiva, essendo sviluppate in varie fasi.
La sua musica, a differenza di quella dei compositori classici, è espressione della sua individualità, dei
suoi stati d'animo. Infatti, nel 1798 cominciò ad essere tormentato dalla sordità, che progredì sempre di più fino
a diventare completa e la consapevolezza di questa malattia lo portò a crisi di sconforto che compromisero i suoi
rapporti sociali e da cui, tuttavia, riusciva ad uscire grazie al suo ottimismo e al suo amore per l'umanità. Basti
pensare che è lui che scrisse l'esuberante Seconda Sinfonia in re maggiore. Proprio questa esuberanza e questa
gaiezza sono caratteristiche predominanti nella musica di Beethoven. La sua musica, però, non è sempre
fantasiosa, fervida, ma diventa a volte anche tenera, garbata o addirittura malinconica, a causa di bruschi
cambiamenti d'umore.
Si usa suddividere le opere di Beethoven in tre periodi: Imitazione, Estrinsecazione e Riflessione.
Il primo periodo, dell'Imitazione, oltre ad altre opere, comprende anche le prime due sinfonie, e va fino al 1802.
Il secondo periodo, dell'Estrinsecazione, va fino al 1816 e vi fanno parte le sinfonie dalla terza all'ottava. Infine
l'ultima sinfonia viene composta nel periodo della Riflessione.
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Le opere del primo periodo mostrano un certo richiamo alla tradizione classica. Infatti, la Prima
Sinfonia, composta nel 1799, nei suoi movimenti presenta una forma molto regolare e molte caratteristiche
tecniche derivanti da Haydn. La sinfonia presenta i seguenti tempi: 1) Adagio molto - Allegro con brio; 2)
Andante cantabile con moto; 3) Minuetto - Allegro molto e vivace; 4) Finale: Adagio - Allegro molto e vivace.
Particolarmente importante è l'Adagio d'introduzione al primo movimento che inizia in fa maggiore nonostante la
sinfonia sia in do maggiore. L'introduzione al finale è scherzosa secondo lo stile di Haydn.
La Seconda Sinfonia fu composta nel 1802, in re maggiore e con i seguenti tempi: 1) Adagio molto Allegro con brio; 2) Larghetto; 3) Scherzo: Allegro; 4) Allegro molto. L'introduzione di questa sinfonia può
essere schematizzata in tre parti: a) otto battute in re maggiore; b) sedici battute, prima in si bemolle, poi
procedendo a ritroso fino alla dominante di re; c) dieci battute di preparazione alla dominante. Il Larghetto è
rilevante per la varietà di temi e per il suo carattere cantabile. Lo Scherzo e il finale sono ricchi di energia ed
esuberanza proprie dello stile di Beethoven. Il finale è in forma sonata ampliata, con qualche richiamo al rondò
per la ripresa del primo tema all'inizio dello sviluppo e all'inizio della coda, la quale introduce un nuovo tema.
Comunque in tutta la sinfonia è presente, dal punto di vista formale, un certo equilibrio. Da questo periodo al
secondo, nel giro di pochi anni, Beethoven fu riconosciuto come compositore e come autore di sinfonie alla
stregua di Haydn e Mozart. Egli, durante la sua vita, non scrisse mai musica su commissione di qualcuno, ma
scrisse per se stesso e per la sua epoca storica vista attraverso la sua interpretazione.
Questo secondo periodo vede la nascita della maggior parte delle sue sinfonie. La Terza Sinfonia, in mi
bemolle maggiore, fu composta nel 1803 con i seguenti tempi: 1) Allegro con brio; 2) Marcia funebre: Adagio
assai; 3) Scherzo: Allegro vivace; 4) Finale: Allegro molto - Poco andante - Presto. Questa sinfonia è detta anche
«Eroica», perché, secondo la leggenda, fu inizialmente dedicata con il titolo «Bonaparte» a Napoleone che
rappresentava per Beethoven l'eroe ideale che avrebbe dovuto portare l'umanità all'affermazione dei grandi ideali
proposti dalla Rivoluzione Francese ( libertà, uguaglianza, fraternità ). Ma quando questi si autoproclamò
Imperatore rivelando la sua natura ambiziosa, il compositore strappò la dedica originaria. Questa sinfonia inizia,
dopo due accordi introduttivi, con un tema semplicissimo sulla triade di mi bemolle maggiore, poi un do diesis dà
origine a variazioni e sviluppi nel corso del movimento. Nell'esposizione sono presenti altri cinque temi e lo
sviluppo ne introduce un altro. Ma l'elemento importante di questo movimento è il modo in cui il materiale è
elaborato e sviluppato, come se un tema fosse la continuazione di un altro. Al posto di un movimento lento poi, la
sinfonia presenta una Marcia funebre in do minore con una sezione contrastante in do maggiore ed è questa
marcia a creare un collegamento con la Francia, e precisamente con la «Marche lugubre» di Gossec. Anche se il
pensiero di Beethoven era rivolto a Napoleone, la Marcia funebre è dedicata al tema dell'eroismo, del sacrificio
e del lutto. Il finale della sinfonia comprende una serie di variazioni con episodi sviluppati in stile fugato e coda.
La Quarta, Quinta e Sesta Sinfonia furono composte tra il 1806 e il 1808. La Quarta ( 1) Adagio Allegro vivace; 2) Adagio; 3) Allegro vivace; 4) Allegro ma non troppo) e la Quinta ( 1) Allegro con brio; 2)
Andante con moto; 3) Allegro; 4) Allegro) sono state composte quasi contemporaneamente perché i primi due
movimenti della Quinta erano già composti prima che la Quarta fosse ultimata. I due lavori, però, sono
contrastanti, come se Beethoven volesse esprimere contemporaneamente due stati d'animo opposti. Allegria e
senso dell'umorismo caratterizzano la Quarta Sinfonia mentre la Quinta è la proiezione della sua decisione di
combattere contro il destino.
Il primo movimento della Quinta Sinfonia, è dominato da un motivo di quattro note annunciate
solennemente attraverso il passaggio dal do minore al do maggiore, passaggio che conduce dallo scherzo al
finale, dove avviene l'entrata dell'orchestra con i tromboni. Nel finale compaiono anche un ottavino e un
controfagotto, oltre ai tromboni, agli archi, ai fiati, ottoni e percussioni.
La Sesta Sinfonia, detta la «Pastorale», fu composta nel dicembre del 1808 con i seguenti tempi: 1) Poco
sostenuto - Vivace; 2) Allegretto; 3) Presto; 4) Allegro con brio. In questa sinfonia Beethoven si discosta dalla
forma sinfonica classica inserendo dopo lo scherzo un movimento supplementare che introduce il finale. Nella
coda dell'Andante, il flauto, l'oboe e il clarinetto, si uniscono nell'imitare il canto degli uccelli.
La Settima e l'Ottava Sinfonia, rispettivamente in la maggiore e in fa maggiore, furono completate nel
1812 con questi tempi: 1) Poco sostenuto - Vivace; 2) Allegretto; 3) Presto; 4) Allegro con brio; e 1) Allegro
vivace e con brio; 2) Allegretto scherzando; 3) Minuetto; 4) Allegro vivace. La Settima, si apre con una lunga
introduzione lenta con tonalità lontane che conducono ad un Allegro. Lo Scherzo è in fa maggiore, il terzo grado
inferiore della tonalità principale, abbassato di un semitono. In contrasto con questa sinfonia, l'Ottava sembra una
sinfonia in scala ridotta. Il secondo movimento è un vivace Allegretto, mentre il terzo è un minuetto arcaico.
Le composizioni del terzo periodo acquistano sempre più carattere meditativo, il linguaggio diventa più
concentrato e astratto. Una delle caratteristiche degli ultimi lavori di Beethoven è l'elaborazione dei temi e dei
motivi. Il principio della variazione si basa sulla ripetizione di un tema dato in nuovi modi, mantenendo la
struttura dell'intero tema. Un'altra conseguenza della qualità astratta degli ultimi lavori di Beethoven fu
l'invenzione di nuove sonorità.
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La Nona Sinfonia fu composta tra il 1822 e il 1824 con i seguenti tempi: 1) Allegro ma non troppo; 2)
molto vivace; 3) Adagio molto e cantabile - Andante moderato; 4) Presto - Allegro assai. la novità sorprendente
di quest'ultima sinfonia è l'uso del coro e delle voci soliste nel finale. Le scelte che Beethoven fece delle stanze
da adattare alla musica enfatizzavano due principi: la fratellanza universale degli uomini attraverso la gioia e il
suo amore per il Padre celeste. Beethoven era preoccupato nell'introdurre le voci come momento culminante
dopo una lunga sinfonia strumentale. La sua decisione determinò la forma dell'ultimo movimento: una breve
introduzione tumultuosa e dissonante; una selezione dei temi dei movimenti precedenti; la proposta del tema
precedente; l'esposizione del tema in quattro stanze; recitativo del basso; l'esposizione corale-orchestrale del
tema della gioia in quattro stanze e con una doppia fuga; nuovo tema, orchestra e coro; doppia fuga sui due temi
e, per finire, la coda. I primi tre movimenti della sinfonia sono ampi. Lo Scherzo è organizzato in forma sonata
con un unico motivo ritmico.
Gli ultimi lavori furono così personali da non poter essere imitati. La musica per Beethoven è un modo
di esprimere la sua personalissima spiritualità e suscitare nell’ascoltatore la paura e lo sgomento di fronte alle
forze incontrollabili della natura e del destino; per questo può essere considerato, sotto molteplici aspetti, un
compositore romantico.
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