Annamaria Poggi La legislazione regionale sull`istruzione dopo la

Transcript

Annamaria Poggi La legislazione regionale sull`istruzione dopo la
Annamaria Poggi
La legislazione regionale sull’istruzione dopo la revisione del Titolo V.
Poche prospettive e molti problemi
(testo provvisorio)
Trento, 28 aprile 2005
1. Il decentramento legislativo in materia di “istruzione” e i possibili
scenari di attuazione del nuovo quadro costituzionale.
Da un punto di vista astratto e teorico è indubbio che la revisione costituzionale
apre in materia di istruzione uno scenario decisamente nuovo e più complesso
rispetto al periodo precedente sotto almeno due diversi ma convergenti profili.
Il primo profilo riguarda la divisione di competenze Stato-Regioni: tra i diritti
sociali “classici” è senza dubbio l’istruzione ad essere sottoposta ad una
maggiore innovazione. Sanità e servizi sociali sono da tempo “regionalizzati”
almeno quanto ad organizzazione delle funzioni amministrative. Sino al 2001
(ma sarebbe più corretto dire sino al d.lgs. 112/1998) l’istruzione (quanto a
elaborazione delle politiche e quanto a organizzazione conseguente) è sempre
stata tutta “statale”. Rispetto a tale quadro è indubbio che la revisione dell’art.
117 abbia scombussolato il precedente (e tranquillante) assetto che vedeva
unicamente in capo alle Regioni la competenza legislativa concorrente in materia
di “istruzione artigiana e professionale” e di “assistenza scolastica”. Mentre
queste ultime due materie sono divenute di competenza esclusiva, sull’istruzione
le Regioni hanno acquisito la competenza legislativa concorrente “salva
l’autonomia delle Istituzioni scolastiche”. Il salto dall’esercizio (o delega)
nell’esercizio di funzioni amministrative all’attribuzione di potere legislativo
sulla materia non è di poco conto. Attraverso l’esercizio del potere legislativo
passano, infatti, le scelte attinenti la politica del settore. Il terzo comma dell’art.
116 prevede, inoltre, la possibilità di attribuire alle Regioni a statuto ordinario
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie di legislazione
concorrente e in alcune materie in cui lo Stato ha competenza legislativa
esclusiva, tra cui anche le “norme generali sull’istruzione”.1 E’ chiaro che questo
profilo è nettamente determinato dalla pregnanza che si attribuisce alle
competenze statali in materia di “norme generali” e di “livelli essenziali”.
Il secondo profilo (che non sarà oggetto dell’analisi che farò in questo intervento
ma che va comunque tenuto sullo sfondo) è la dinamica dei rapporti StatoRegioni-Istituzioni scolastiche. Pur essendo costituzionalizzata l’autonomia delle
Istituzioni scolastiche va rivisitata: inutile negare che l’attribuzione alle Regioni
del potere legislativo in materia di istruzione (senza parlare del Disegno di legge
di revisione costituzionale approvato in prima lettura da entrambe le Camere)
obbliga per un verso ad una rilettura dell’autonomia e, per altro verso, ad una
ridefinizione dei rapporti Regioni_Istituzioni scolastiche in sede locale
(programmazione, gestione del personale…).
La legge costituzionale 2001 segna, dunque, una decisa innovazione anche
rispetto al d.lgs. 112/1998. Il d.lgs. n. 112/1998, infatti, pur delegando importanti
1
Un inquadramento dei principali problemi posti dal Titolo V in materia di istruzione è in L.BARBERIO
CORSETTI, La riforma del Titolo V della Costituzione, Nuova secondaria, 2001, n. 4, 9 ss.;
G.BERTAGNA, Quale istruzione e formazione dopo la nuova legge costituzionale? ivi, 14 ss.; A.POGGI,
Istruzione, formazione professionale e Titolo V: alla ricerca di un (indispensabile) equilibrio tra
cittadinanza sociale, decentramento regionale e autonomia funzionale delle Istituzioni scolastiche, Le
Regioni, 2002, 771 ss.
funzioni alle Regioni rimaneva comunque sul versante del trasferimento o della
delega delle sole funzioni amministrative al sistema regionale.
Non a caso la funzione principe delegata è stata proprio quella della
programmazione2 mentre rimaneva in mano statale la leva delle risorse, e cioè la
leva più prettamente “politica”. Il passaggio era stato giustamente criticato:
scindere la programmazione dalla decisione sulle risorse equivaleva ad una mezza
soluzione. Di più, tuttavia, il d.lgs. 112/1998 non poteva (o forse non voleva) fare.
L’attribuzione della competenza legislativa alle Regioni sposta in buona misura la
leva finanziaria e ciò sarebbe già di per sé sufficiente a dare ragione di una
profonda innovazione.
2. Gli scenari possibili
Gli scenari che si aprono e che dovrebbe stabilizzarsi nel lungo periodo rispetto a
questa innovazione costituzionale e per quanto attiene la definizione del riparto di
competenze Stato—Regioni sono sostanzialmente due sulla falsariga di note
teorie costituzionalistiche che da sempre si contrappongono sulla Costituzione
come fattore di discontinuità o come collante di continuità del sistema.
2
Sia “la programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione
professionale” (art. 138, comma 1, lett. a), sia “la programmazione della rete
scolastica” (art. 138, comma 1, lett. b), vanno però assolte attraverso formule
concordate e partecipate con le stesse Istituzioni scolastiche. La formula della
concertazione tra Regioni e Istituzioni scolastiche nella definizione delle politiche di
formazione per il territorio è ribadita al comma 1 dell’art. 1 del Regolamento
sull’autonomia delle Istituzioni scolastiche (d.P.R. n. 275/1999) secondo cui “Le
Istituzioni scolastiche (…) interagiscono tra loro e con gli enti locali promuovendo il
raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali
del sistema di istruzione.” Funzioni nuove e assai rilevanti sul terreno della
programmazione vengono altresì trasferite a Comuni e Province (quali l’istituzione, la
soppressione e l’aggregazione di scuole, i piani di utilizzazione degli edifici, anche se
“previa intesa” con le Istituzioni scolastiche)
Nel primo scenario la normativa costituzionale viene definita dallo schema
interpretativo per cui la modifica costituzionale ha costituito una sorta di
“adeguamento” o di razionalizzazione” delle trasformazioni impresse dal
legislatore al sistema amministrativo. La teoria della revisione costituzionale
come adeguamento (Haberle) è stata sostenuta con riguardo alla modifica del
2001 da molta parte della dottrina (Elia, Pizzetti….).
E’ la tesi della “copertura” costituzionale dei trasferimenti operati con la 59/1997
resasi necessaria per l’insufficienza della vecchia formulazione del 118 Cost a
legittimare un federalismo amministrativo di tale ampia portata.
In questa prospettiva la formula “istruzione” andrebbe sostanzialmente a coprire
le funzioni già assegnate dal d.lgs. 112/1998 non più quali funzioni
amministrative delegate o attribuite bensì quali funzioni legislative. Lo schema è
noto e in qualche misura coerente con un’assodata elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale che vede nella Regione un ente di “alta programmazione” o
comunque un ente di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative degli
altri enti territoriali e locali.
Il secondo scenario vede, invece, l’affermarsi di una interpretazione della
normativa costituzionale connessa alla teoria delle modifiche costituzionali quali
momenti di discontinuità dell’ordinamento. In questa prospettiva la Costituzione
si modifica solo quando i problemi dell’oggi (cioè quelli messi nell’agenda
politica dai vari attori…) non sono più risolubili dalla sua sola (anche se
estensiva) interpretazione per cui la revisione della Costituzione equivale ad una
discontinuità (Baldassarre, Dogliani, Rescigno anche se con sensibilità
assolutamente differenti, quando non opposte)
Ne consegue che la materia “istruzione” assume un peso specifico e il potenziale
di differenziazioni legittimato dal nuovo art. 117 diventa una questione tutta da
esplorare in un ordinamento che come il nostro non ha mai dovuto affrontare
questioni di tal natura.
Quello più rilevante riguarda il potenziale di differenziazioni che discende
inevitabilmente da tale nuovo assetto. Infatti, sino a quando i piani delle
elaborazioni di principi (discendenti dalla normativa costituzionale) e della
organizzazione strutturale hanno fatto capo allo Stato il problema delle
differenziazioni non si è posto mentre di pone inevitabilmente quando i due piani
dell’elaborazione dei principi e delle organizzazioni strutturali ad essi funzionali
si separano. L’effettività dei diritti richiede, infatti, un livello di “organizzazione
strutturale” che sorregga l’osservanza di tali principi. In questa prospettiva
assume anche un senso più puntuale e pregnante la formula dei “livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale” (art. 117, comma 2, lett. m) che, non a caso,
compare nei sistemi fortemente decentrati…..
E’ chiaro che sia l’uno che l’altro scenario richiedono, per affermarsi, una
condizione indispensabile: la concertazione Stato-Regioni a livello legislativo. Il
salto rispetto alla stagione delle riforme amministrative emerge su questo come
su altro terreno in maniera evidente.
La questione della Camera delle Regioni non è un fattore estetico su cui indugia
una dottrina insofferente ma una necessità reale del sistema poiché almeno
assicura (se non il risultato) almeno l’esistenza di un’arena istituzionale di
concertazione.
La carenza di quella sede ha determinato, su questo come su altri terreni, un
quadro normativo che vede marciare Stato-Regioni in direzioni diverse, proprio
perché non concertate con la conseguenza che, all’oggi, non siamo né in uno
scenario, ne nell’altro. Il che di per sé non sarebbe un male se non fosse che tale
situazione è foriera di poche prospettive e di molti problemi.
3. Gli interventi normativi successivi alla revisione costituzionale.
Sul versante statale la legge n. 53/2003 ha posto le basi per il riordino
complessivo del sistema rinviando, tuttavia, lo stesso riordino a decreti legislativi
delegati di attuazione che, oltre a delineare la struttura e i contenuti del sistema
educativo di istruzione e di formazione e a dettare le norme generali sulla
valutazione del sistema e sulla formazione degli insegnanti, avrebbero dovuto
altresì definire i L.E. in materia di istruzione e di istruzione e formazione
professionale.
Nella sua impostazione di fondo tale legge delinea un assetto di competenze
saldamente incentrato sull’asse Stato-Istituzioni scolastiche attribuendo un ruolo
residuale alle Regioni e agli enti locali. I due principali strumenti su cui si regge
l’articolato sono: l’interpretazione della competenza legislativa (concorrente)
regionale sull’istruzione e della competenza legislativa regionale (esclusiva) sulla
istruzione
e
formazione
professionale
come
fortemente
condizionate
dall’esercizio del potere governativo (nella forma dei decreti legislativi delegati
ma spesso anche di regolamenti) di definizione delle norme generali
sull’istruzione e sulla determinazione dei livelli minimi essenziali delle
prestazioni; la considerazione del “sistema educativo” (comprendente l’istruzione
primaria, secondaria e l’istruzione e formazione
sistema unico, indirizzato,
professionale) come un
coordinato e programmato dallo
temperamenti a questa linea sono costituiti dalla
Stato.
I
previsione della previa
intesa con la Conferenza unificata per l’adozione dei decreti legislativi
delegati. La riconduzione all’area della competenza legislativa esclusiva della
materia della formazione professionale costituisce una scelta indubbiamente
problematica: essendo qualificata anche in termini di “istruzione” essa è, dunque,
in parte assoggettata ai limiti propri dell’istruzione. In questo scenario è evidente
che la esclusività della stessa legislazione regionale è fortemente revocata in
dubbio.
L’attuazione della delega Moratti quanto a struttura del nuovo sistema scolastico
è quasi ormai ultimata. Al d.lgs. n. 59/2004 (Definizione delle norme generali
relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma
dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53) si è infatti affiancato ed è ormai
in via di definitiva approvazione lo schema di decreto legislativo concernente “le
norme generali relative al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e
formazione ed i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e
formazione professionale”
Apparentemente tali atti seguono lo schema della definizione delle norme
generali, dei principi fondamentali e dei L.E. In realtà leggendoli controluce:
1) sono un contenitore sostanzialmente vuoto che rinvia a successivi atti
normalmente regolamentari;
2) quando occupano spazi lo fanno entrando pesantemente sull’autonomia
delle Istituzioni scolastiche (come le Indicazioni nazionali che incidono su
profili organizzativi quali la definizione degli organici di istituto, il
docente tutor, la valutazione degli apprendimenti) o entrando in quello che
dovrebbe essere proprio delle Regioni (v. art. 1 c. 3 del d.lgs 59 e artt. 15,
16, 17, 18 sino al 22 dello schema di decreto legislativo di definizione del
secondo ciclo);
3) non prevedono coperture finanziarie o, peggio, costruiscono un altro
contenitore vuoto: l’art. 1 c. 2 del d.lgs. 59 dice che “è assicurata la
generalizzazione dell’offerta formativa e la possibilità di frequenza della
scuola dell’infanzia” poi aggiunge che a tali fini provvedono i decreti
legislativi di cui all’art. 7, c. 8 legge Moratti. Tali decreti, tuttavia,
possono essere adottati “solo successivamente all’entrata in vigore di
provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie”.
Ad oggi è stato approvato dal Consiglio dei ministri, nel settembre 2003,
un piano programmatico in cui si stima in 8.320 milioni di euro il
fabbisogno complessivo per il quinquennio 2004-2008 per realizzare
quanto previsto nella legge Moratti. Nel documento risulta altresì che
4.283 milioni di euro (la metà di quelli occorrenti) sono iscritti a bilancio
per lo stesso periodo.
Vi sono poi altri tre provvedimenti che completano l’impianto e che sono ancora
in fase di Schema ed in corso di approvazione e cioè: a) lo schema di decreto
legislativo di definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e
alla formazione ai sensi dell’art. 2, c. 1 lett. c) l. 53/2003; b) lo schema di decreto
legislativo di definizione delle norme generali relative all’alternanza scuolalavoro ai sensi dell’art. 4 l. 53/2003; c) lo schema di decreto legislativo di
definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini
dell’accesso asll’insegnamento ai sensi dell’art. 5 l. 53/2003.
Tolto quest’ultimo schema di decreto legislativo gli altri due procedono con la
stessa logica di ri-occupazione statale di spazi che la normativa costituzionale
non consentirebbe oppure con la tecnica del rinvio alla fonte regolamentare
(addirittura per alcuni L.E.).
L’unico provvedimento attuativo della riforma che non procede in tal senso e si
mostra, invece, rispettoso del ruolo di Regioni e istituzioni scolastiche è il d.lgs.
286/2004 (Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di
istruzione e di formazione nonché riordino dell’omonimo istituto a norma degli
artt. 1 e 3 l. 53/2003).
Le operazioni più “pesanti” vengono tuttavia effettuate attraverso due strumenti:
la circolare, tornata in gran voga, e le leggi finanziarie.
Sulle prime non mi soffermo essendo a tutti evidente quali e quanti profili
problematici rispetto all’autonomia delle istituzioni scolastiche, ma altresì con
riguardo alle competenze legislative delle Regioni esse presentino. Anche qui si
tratta di un ricorso storico: attraverso la famigerata funzione di indirizzo e
coordinamento si sono consumate le poche chanche di autonomia regionale nel
contesto del precedente sistema costituzionale di autonomie.
Le manovre effettuate con le leggi finanziarie, invece, meritano qualche
attenzione poiché sono già passate sotto la scure della dichiarazione di
incostituzionalità
Così, con l’art. 3, comma 101 della l. 350/2003 (legge finanziaria 2004) si
prevedeva che parte del Fondo nazionale per le politiche sociali e precisamente
“20 milioni di euro per l’anno 2004” e “40 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2005 e 2006” fossero destinate “all’ulteriore finanziamento delle finalità
previste dall’articolo 2, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289” e cioè
fossero destinate, come prevede quest’ultima norma, ad attribuire alle persone
fisiche un contributo “finalizzato alla riduzione degli oneri effettivamente rimasti
a carico per l’attività educativa di altri componenti del medesimo nucleo
familiare presso scuole paritarie”. La norma è stata prontamente impugnata
(dalla Regione Emilia-Romagna) poiché, come assunto dalla ricorrente, essa,
distogliendo dal Fondo nazionale per le politiche sociali uno stanziamento
cospicuo allo scopo di aumentare consistentemente lo stanziamento finalizzato
alla concessione di ulteriori contributi (rispetto a quelli già previsti dalla c.d.
legge paritaria) finalizzati a sostenere la spesa delle famiglie presso scuole
paritarie avrebbe ridotto “le risorse trasferite alle Regioni per sostenere,
viceversa interventi diretti dello Stato”. Ciò in palese violazione: sia delle
competenze legislative e amministrative regionali in materia di istruzione (art.
117 c. 3 e art. 118), sia dell’autonomia finanziaria delle stesse garantita dall’art.
119 Cost., sia, infine del principio di leale collaborazione, per aver la norma
disposto tale “scorporo” dal fondo senza la concertazione con le Regioni.
Così, ancora l’art. 22, commi 3 e 4 della legge finanziaria 2002 (n. 448 del 2001)
disponeva in relazione in materia di organizzazione scolastica con riguardo alla
definizione delle dotazioni organiche di personale e all’orario di lavoro. Anche
qui la norma è stata prontamente impugnata per violazione del riparto di
competenze legislative previsto all’art. 117, che affida allo Stato la sola
determinazione dei principi fondamentali (oltrechè delle norme generali). Inoltre,
l’assegnazione ad un organo statale di livello regionale dei relativi compiti
avrebbe, altresì, violato il principio di sussidiarietà e adeguatezza di cui al primo
comma dell’art. 118 Cost.
Lo Stato, dunque, continua a comportarsi come se la revisione costituzionale non
fosse avvenuta. Il che per i teorici della discontinuità va bene: il problema però è
che le Regioni legiferano….
4. Normativa regionale
Già prima della legge 53/2003 le Regioni hanno iniziato ad intervenire in materia
disciplinando o ridisciplinando tre diversi settori: il diritto allo studio (sia nella
forma delle provvidenze e assegni di studio, sia nella forma dei c.d. buoni
scuola): l’istruzione e la formazione personale; il sistema formativo nel suo
complesso.
4.1 Diritto allo studio e/o disciplina del rapporto pubblico-privato
L’incremento della legislazione regionale in materia è dovuto oltrechè alla
revisione costituzionale (l’art. 117 Cost non citando più l’assistenza scolastica tra
le materie di legislazione concorrente delle Regioni l’ha attratta nell’area della
legislazione esclusiva) anche all’adozione della l. n. 62/2000 che con la
costruzione del “sistema nazionale di istruzione” comporta l’effetto di estendere i
benefici di diritto allo studio agli alunni delle scuole paritarie (parificate,
pareggiate, legalmente riconosciute).
E’ proprio a tale legge che fanno espresso riferimento la l. Regione EmiliaRomagna n. 26/2001 (Diritto allo studio ed all’apprendimento per tutta la vita) e
la l. Regione Umbria n. 28/2002 (Norme per l’attuazione del diritto allo
studio)nell’ottica di coniugare estensione del diritto (agli alunni delle scuole
paritarie) e capacità economica dei beneficiari. Lo strumento principe di queste
leggi rimane, infatti, la borsa di studio ossia la provvidenza attraverso la quale si
rende possibile ai capaci e meritevoli, ancorché privi di mezzi, il raggiungimento
del più alto grado di studi.3
Altra direzione viene invece imboccata da quelle Regioni che in attuazione della
legge paritaria e usufruendo del maggior spazio di azione che loro deriva dalla
revisione costituzionale introducono il c.d. buono scuola, cioè il rimborso delle
spese sostenute per l’istruzione.
Il passaggio va evidenziato: dalle provvidenze agli studenti (di scuole statali e
private) alla disciplina del rapporto pubblico-privato
Il c.d. buono scuola è previsto dalla l. Regione Veneto n. 1/ 2001 (Interventi a
favore delle famiglie degli alunni delle scuole statali e paritarie), dalla l.
Regione Liguria n. 14/ 2002 (Interventi regionali a sostegno delle famiglie per
favorire il percorso educativo degli allievi delle scuole statali e paritarie), dalla
l. Regione Sicilia n. 14/ 2002 (Norme per l’erogazione del buono scuola ed
interventi per l’attuazione del diritto allo studio nelle scuole dell’infanzia,
3
Sia l’una che l’altra legge prevedono, per usufruire della borsa di studio, il limite di reddito annuo netto
di circa E. 16.000 per un nucleo familiare di tre componenti, aumentabili in relazione alla composizione
del nucleo stesso.
elementari e secondarie); l. Regione Piemonte n. 10/2003 (Esercizio del diritto
alla libera scelta educativa).
La Regione Lombardia lo aveva introdotto con la l.r. n. 1 del 2000 di attuazione
del d.lgs. n. 112/1998.
Caratteristiche comuni di tale intervento sono: la finalità (completamento della
garanzia del diritto allo studio e sostegno alla libertà di educazione delle
famiglie); i destinatari (alunni di scuole statali e paritarie ai sensi della l. n.
62/2000);4 il tipo di intervento (totale o parziale copertura delle spese sostenute
per l’istruzione); l’applicazione di fasce di reddito per l’erogazione; il richiamo
all’I.S.E.E. per fissare il reddito familiare; la complementarietà dell’intervento
(rispetto a quelli previsti in leggi statali o altre leggi regionali).
Al di là delle sterili questioni ideologiche che inquinano la discussione in
proposito, vi sono dei problemi che inevitabilmente si ripropongono rispetto a
tali interventi e che, per quanto qui interessa, toccano altresì il tema dei L.E.
La questione centrale riguarda la perimetrazione del sistema scolastico nazionale:
le scuole paritarie di cui alla legge n. 62/2000 fanno parte o no di tale sistema?
Se sì (come ha indirettamente affermato la Corte costituzionale5 e come pare si
possa sostenere sulla base di una rilettura dell’art. 33 alla luce del nuovo art.
4
Con qualche differenza significativa: il Veneto lo limita alle famiglie degli studenti residenti nel
territorio regionale; la Sicilia lo estende agli stranieri, apolidi e rifugiati politici, nel rispetto degli accordi
internazionali.
5
Con la sentenza n. 45 del 2003 la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta
referendaria avente ad oggetto l’abrogazione di cinque commi dell’unico articolo di cui si compone la
legge n. 62/2000 (“Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio”). La
inammissibilità, che secondo la Corte riguarda più profili della stessa richiesta referendaria, si incentra in
realtà su un unico punto e cioè sulla sua “intima” contraddittorietà. I promotori del referendum, sostiene
la Corte, mentre chiedevano di eliminare il riferimento alle “scuole paritarie private” dal primo comma
dell’art. 1 della legge (e cioè quello secondo cui il sistema nazionale di istruzione si compone delle scuole
statali, di quelle degli enti locali e, appunto, di quelle private paritarie) non chiedevano, nel contempo
l’abrogazione dei commi successivi nei quali, non solo si definiscono le scuole paritarie private, ma
vengono altresì specificati i requisiti che esse devono possedere per far parte del sistema nazionale di
istruzione (tra cui: un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; l’attestazione della
titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; l’istituzione di organi collegiali improntati alla
partecipazione democratica; l’iscrizione alla scuola di tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta;
l’inserimento di studenti con handicap; il possesso di un titolo di abilitazione da parte del personale
docente; la stipulazione di contratti individuali di lavoro per il personale dirigente ed insegnante che
rispettino i contratti collettivi di settore e, non ultimo, il divieto di rendere obbligatorie attività extracurriculari che presuppongano o esigano l’adesione ad una determinata ideologia o confessione
religiosa). L’esito positivo del referendum, prosegue la Corte, avrebbe dunque comportato una normativa
di risulta in cui le scuole paritarie private, pur escluse dal sistema nazionale di istruzione, avrebbero
114)6 evidentemente non è più in questione la legittimità dello strumento (il
buono scuola) bensì la sua finalizzazione alla garanzia dell’accesso al sistema
nazionale di istruzione in relazione e in rapporto agli altri strumenti esistenti:
provvidenze e assegni di studio.
In altri termini: un buono scuola eccentrico rispetto alle provvidenze di cui
godono gli alunni della scuola statale (perché complessivamente ed
economicamente “premiante” la scelta per la scuola paritaria) pone la questione
della sua compatibilità con il principio di uguaglianza sostanziale rispetto
all’accesso al sistema della istruzione/formazione.
Qui però si pone il problema: la legge 62/2000 probabilmente andrebbe rivista in
questa prospettiva e cioè nell’ottica di fissare in maniera più precisa i tetti in
basso e in alto della disciplina del rapporto pubblico-privato allo scopo di evitare
che discipline regionali molto generose non comportino questioni di disparità di
trattamento.
Problematiche in parte uguali e in parte diverse sono sollevate dalla l. Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 9/2000 (Interventi per promuovere il diritto allo studio,
per la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nell’ambito del
sistema scolastico regionale); dalla l. Regione Abruzzo n. 92/2000 (Contributo
per la qualificazione del sistema formativo delle scuole non statali); dalla l.
Regione Valle d’Aosta n. 1/2005 (Disposizioni per la manutenzione del sistema
continuato a formare oggetto di disciplina legislativa da parte della legge stessa. La disciplina legislativa
attuativa del quarto comma dell’art. 33 Cost, in sostanza, si sarebbe posta in contraddizione con il
principio di esclusione delle stesse scuole dal sistema nazionale di istruzione. Il quesito è certamente
contraddittorio nell’ottica in cui si pone la Corte costituzionale e cioè nell’ottica che assume la
realizzazione di un sistema nazionale di istruzione quale una delle interpretazioni costituzionalmente
possibili del quarto comma dell’art. 33 Cost. La parità di cui alla norma costituzionale, pertanto, in quanto
si concretizzi in una disciplina dettagliata di prescrizioni e di obblighi, abilita le stesse scuole a
concorrere, con quelle statali e degli enti locali, alla realizzazione degli obiettivi costituzionalmente
imposti. Tale posizione della Corte è esplicitata in un passaggio decisivo della motivazione della sentenza
in cui si afferma: “Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non potrebbero infatti non
concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce
“obiettivo prioritario della Repubblica”, vale a dire “l’espansione della offerta formativa e la
conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita”.
normativo regionale. Modificazioni abrogazioni di leggi e disposizioni regionali)
e dalla l. Regione Campania n. 4/2005 (Norme regionali per l’esercizio del diritto
all’istruzione e alla formazione).
La prima prevede contributi direttamente erogati alle scuole non statali che
realizzano progetti e programmi di attività formative la cui definizione avvenga
in collaborazione con gli organi periferici dell’amministrazione scolastica statale.
La seconda finalizza l’erogazione di analoghi contributi al miglioramento della
qualità dell’istruzione con particolare riferimento all’innovazione tecnologica e
multimediale. Oltre alle questioni prima evidenziate, infatti, queste ultime due
leggi pongono anche il problema della compatibilità con l’art. 33 Cost., almeno
con quella interpretazione della norma secondo cui lo Stato non dovrebbe
finanziare direttamente la scuola non statale. La terza attribuisce alla Giunta
regionale di determinare annualmente “criteri e modalità di attribuzione dei
finanziamenti alle istituzioni scolastiche”.
L’ultima si muove su un piano complesso di intreccio tra programmazione degli
interventi e definizione di puntuali strumenti 8sostegni economici) a studenti di
scuole statali e paritarie.
In materia di diritto allo studio vanno ancora segnalati gli specifici interventi a
sostegno ed integrazione nel processo formativo dei soggetti portatori di
handicap.7
Dunque: modelli di intervento diversi e, più al fondo, diverse modalità di
interpretazione delle norme costituzionali
e della normativa ordinaria di
attuazione della Costituzione.
6
A.PAJNO, Autonomia delle scuole e riforme istituzionali, in Rapporto sulla scuola dell’autonomia 2002,
ed. LUISS, 2002, 51.
7
L. Regione Friuli-Venezia Giulia n. 4/2003 (Norme in materia di enti locali e interventi a sostegno dei
soggetti disabili nelle scuole); l. Regione Molise n. 20/2000 (Interventi a favore degli studenti affetti da
patologie che non consentono la frequenza dei corsi di studio). Interventi specifici in materia sono anche
previsti nelle leggi dell’Emila-Romagna e dell’Umbria citate nel testo.
4.2.
Istruzione
e sistema
formativo nel suo complesso (anche con
riferimento alla formazione professionale
Qui lo spazio di azione delle Regioni dovrebbe ridursi molto in presenza non solo
del limite dei L.E. ma altresì delle “norme generali sull’istruzione”.
Eppure, forse in verità a dimostrazione delle tensioni che la presenza di diversi
livelli di governo necessariamente comporta in un ordinamento, anche su questo
terreno si registrano anche prese di posizione “coraggiose”, quando non proprio
delle autentiche “fughe in avanti” da parte di alcune Regioni.
Di fuga in avanti certamente può parlarsi in relazione alla l. Regione Veneto n.
12/2002 così titolata: “Referendum consultivo in merito alla presentazione di una
proposta di legge costituzionale per il trasferimento alla Regione del Veneto
delle funzioni statali in materia di sanità, formazione professionale e istruzione,
polizia locale”. Nel quesito referendario si specifica poi che le competenze in
materia di istruzione atterrebbero alla “organizzazione scolastica, offerta di
programmi educativi e gestione degli istituti scolastici” (art. 2).8
La specificazione è importante perché è evidente che con essa mentre si revoca in
dubbio l’autonomia delle scuole (insistendo l’eventuale competenza legislativa
della Regione sulla “gestione degli istituti scolastici”), non si nega né l’esistenza
di norme generali sull’istruzione, né il rispetto di L.E.
Nel quadro, invece, dell’attuazione dell’art. 117 e, dunque, della competenza
legislativa concorrente in materia di “istruzione”, si muove la l. Regione Toscana
n. 32/2002 (Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di
educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro) e la l
Regione Emilia-Romagna. n. 12/2003 “Norme per l’uguaglianza delle
8
La precedente legge n. 11/2001 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali
in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112) si muoveva invece nella direzione
dell’attuazione dei trasferimenti di funzioni amministrative operate dalla legge n. 59/1997. In senso
opportunità di accesso al sapere, per ognuno e per tutto l’arco della vita,
attraverso il rafforzamento dell’istruzione e della formazione professionale,
anche in integrazione fra loro”.
Si tratta di due provvedimenti di grande respiro e di ispirazione assai diversa.
L’uno (quello toscano) è teso a promuovere azioni di sostegno, anche finanziario,
alla domanda individuale di istruzione nelle sue varie articolazioni. Tutta la fase
dell’obbligo formativo è sostenuta dalla Regione sia attraverso l’esercizio delle
funzioni amministrative che derivano dal d.lgs. n. 112/98 (programmazione della
rete scolastica, programmazione dell’offerta formativa integrata tra istruzione e
formazione professionale), sia attraverso il sostegno finanziario alla domanda
individuale. La fase che, invece, riceve una disciplina più dettagliata e originale è
quella inerente la formazione “post-obbligo” (art. 14) in stretta connessione con
le politiche del lavoro (artt. 19 e ss.).
L’atro (quello emiliano) effettua, nell’ambito della propria competenza
legislativa concorrente, anche scelte nette:
1) autoindividua i principi generali sull’istruzione (anticipando i decreti di
attuazione della l. n. 53/2003);
2) rifiuta il concetto di sistema nazionale integrato pubblico-privato (art. 1);
3) prevede la definizione concertata tra Stato-Regioni-Enti locali degli
“standard essenziali nazionali per la formazione professionale, anche
integrata” (art. 4);
4) sostiene l’autonomia delle istituzioni scolastiche trasferendo loro ogni
propria competenza in materia di curricola didattici (art. 21);
5) disciplina in linea generale le attività formative da svolgersi in
integrazione tra istruzione e formazione professionale e, in particolare, il
primo biennio dell’istruzione secondaria superiore (anche qui anticipando
analogo anche la l. Regione Calabria n. 34/2002 (Riordino delle funzioni amministrative regionali e
locali” dagli artt. 124 al 142.
i decreti di attuazione della l. n. 58/2003 ma, ancor più al fondo sposando
la linea di un necessario arretramento statale dal settore di integrazione tra
istruzione e formazione professionale);
6) costruisce un canale di formazione professionale regionale autonoma
rispetto alla istruzione e formazione professionale compresa nel sistema
nazionale di istruzione.
Si tratta di due linee politiche assai diverse anche con riguardo al rispetto dei
L.E.
In quello toscano il rispetto dei L.E. consiste nel sostegno finanziario che la
Regione si impegna a garantire alla domanda individuale di istruzione.
Emblematico, in tal senso, è l’art. 7 della legge: “La Regione promuove servizi e
interventi volti a rendere effettivo il diritto all’apprendimento e all’istruzione
scolastica dei soggetti frequentanti le scuole statali, le scuole paritarie private e
degli enti locali, dall’infanzia fino all’assolvimento dell’obbligo scolastico e
formativo. Le finalità di cui al comma 1 sono perseguite attraverso:
a) il sostegno di tutti i servizi e le iniziative di supporto alla frequenza delle
attività scolastiche;
b) l’erogazione di provvidenze economiche prioritariamente destinate ai
soggetti appartenenti a famiglie in condizioni svantaggiate;
c) lo sviluppo di azioni di miglioramento della qualità dell’offerta di
istruzione e formazione prioritariamente finalizzate alla riduzione
dell’insuccesso e dell’abbandono scolastico”.
La legge emiliana, invece, assume che la definizione dei L.E. per la parte di
propria competenza (formazione professionale tout court e formazione
professionale integrata) va concordata tra Stato, Regioni ed Enti locali. Per quelli
inerenti l’istruzione pone già qualche premessa: il sostegno al sistema paritario (e
agli alunni frequentanti quelle scuole) non è considerato tale.
4.3.
Organizzazione della rete scolastica e disciplina del personale
Dopo la sentenza della Corte (la n. 13/2004) si registrano: la l. Provincia
autonoma di Trento n. 5/2005 (Disposizioni urgenti in materia di istruzione e
formazione) che disciplina l’organizzazione del personale e introduce forme di
contrattualzione a tempo definito.
Una serie di interventi normativi della Regione Toscana (….).
5. Conclusioni
Il terzo scenario e cioè quello si stà effettivamente delineando, è potremmo dire
nel mezzo, nel senso del configurarsi di una situazione che non costituisce né
l’uno (razionalizzazione del 1998) né l’altro (innovazione).
Legislatore e amministrazione statale tendono a riappropriarsi anche degli spazi
aperti dal d.lgs. 112/1998.
I legislatori regionali intervengono invece ad appropriarsi di spazi che la
normativa costituzionale loro consente.
La questione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche potrebbe rimanere
compressa da questo duplice intervento: certamente sul versante statale (le
circolari…) ora su quello regionale: la programmazione e la disciplina del
personale…
I motivi di questa situazione sono evidentemente collegati alla “frattura” nel
disegno politico realizzatasi nel 2001 e alle diverse anime della maggioranza
governativa (la Lega e la devoluzione per un verso, A.N. e l’interesse nazionale,
per altro verso).
In questa delicata situazione le indicazioni più di sistema giungono non
sorprendentemente, dalla Corte costituzionale
Tuttavia:
In assenza di una Camera delle Regioni:
a) livelli essenziali (meglio se concertati);
b) sviluppo di sistemi di concertazione a livello locale (modello legge
Toscana?)