Come il manager Don Ciotti offre dignità e riscatto

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Come il manager Don Ciotti offre dignità e riscatto
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Come il manager Don Ciotti
offre dignità e riscatto
intervista di Paola Cavallero
Luigi Ciotti
Nato il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore, è “Luigi”. Per tutti.
Così lo senti nominare da chi lavora con
lui nel Gruppo Abele, nell’associazione Libera, dai redattori di Narcomafie, il mensile che dirige. Dai giovani che fanno volontariato sulla strada, avvicinando sotto sguardi pericolosi chi vive vendendo il
proprio corpo. Poco distante, c’è lo sfruttatore di quei proventi che controlla il colloquio. Chiede che gli si parli usando il
“tu”. “Sono nato nelle Dolomiti”, è la sua
presentazione. Concisa, ma che spiega il
temperamento. È un emigrato. Con la famiglia arrivò a Torino nel 1950. Un bambino nella metropoli. La Sua crescita ha
coinciso con l’assunzione di responsabilità sempre più grandi. 1966: fonda il
Gruppo Abele, per restituire dignità a chi
l’ha smarrita nella droga, su un marciapiede, per ogni altra sventura della vita.
1968: inizia l’impegno all’interno delle carceri per minori. 1972: ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino. Ottiene
che come parrocchia gli venga affidata la
strada. “La mia casa è la strada”, ripete.
1982: costituisce il CNCA, coordinamento
nazionale delle comunità d’accoglienza.
1982: diventa il primo presidente della LILA Lega italiana per la lotta contro
l’AIDS, fondata da Franco Grillini. 1988:
è giornalista pubblicista. Negli anni seguenti, editorialista e collaboratore di quotidiani e periodici. Trova anche il tempo
“No alle parole. C’è bisogno di fatti concreti”, grida con veemenza il sacerdote. Sul palco. O al microfono di una radio. Poche battute. Nessuna intervista, a meno che non lo
si rincorra su e giù per l’Italia, oltre a qualche trasferta all’estero. Don Luigi Ciotti, fondatore nel 1966 del Gruppo Abele e nel 1995 di Libera - nomi e numeri contro le mafie -,
è essenzialmente un religioso. Ad ogni platea si rivolge con
un avvolgente “noi” pastorale. La segreteria dell’organizzazione ha un gran daffare a star dietro all’uomo di fede
con la missione di diffondere buoni sentimenti e salvare anime che rischiano di perdersi tra i mali terreni. Ministero dell’Istruzione, della Solidarietà Sociale, dell’Interno, sono divenuti partner istituzionali dei suoi progetti. Gli insegnanti
che partecipano ai corsi di formazione organizzati da Libera
per sensibilizzare i giovani a non ceder alle lusinghe della
malavita sono esonerati dal servizio. Ormai sono oltre 1500
per scrivere su riviste specializzate per
operatori sociali e insegnanti. 1993: fonda la rivista Narcomafie, dopo le stragi di
Capaci e via D’Amelio. 1995: a Roma
fonda Libera, “associazione nomi e numeri contro le mafie”, che oggi coordina oltre 700 associazioni nell’impegno antimafia. 1998: a Bologna, laurea honoris causa in Scienza dell’educazione. È
autore di libri a carattere educativo, impegno sociale, riflessione spirituale, tra
cui “Genitori, figli e droga” e “Chi ha paura delle mele marce?”. 2007: riceve il Premio San Bernardo per l’impegno sociale. 2008: organizza a Roma, con l’alto apporto della Presidenza della Repubblica,
gli Stati generali dell’Antimafia. 2009: Premio Capua Follaro d’Oro. 2009: II edizione degli Stati generali, tre giorni di confronto tra operatori e rappresentanti delle Istituzioni. 10 dicembre 2009: a Firenze, è relatore al 13° meeting dei diritti umani, organizzato dalla Regione Toscana, davanti a ottomila studenti, e in
prima fila il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. È membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Torino.
le adesioni di movimenti locali, delle scuole, e di gruppi di
volontari che supportano l’associazione. Libera è nata con
l’intento di coordinare e sollecitare l’impegno della società
civile contro tutte le mafie, agisce per favorire la creazione
di una comunità alternativa alle mafie, “nella consapevolezza che il ruolo della società civile è quello di affiancare
l’opera di repressione propria dello Stato e delle forze dell’ordine con una offensiva di prevenzione culturale”, sottolinea Don Luigi. L’associazione è attiva nel riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai mafiosi; nell’educazione alla legalità e nel sostegno diretto a realtà dove è molto forte la penetrazione mafiosa, con progetti che puntano a sviluppare risorse umane, sociali ed economiche presenti sul
territorio. Si occupa anche di formazione e informazione sul
fenomeno mafioso. Nel 2008 l’Eurispes ha annoverato Libera tra le eccellenze italiane. Il Gruppo Abele offre acco-
glienza (comunità residenziali, centri
diurni, dormitori, servizi a bassa soglia
e lavoro di strada) alle persone segnate
dalla dipendenza da droghe, alcol e
altre sostanze e colpite dall’infezione
Hiv, a chi esce dal carcere, alle ragazze
in fuga dal circuito della prostituzione e della tratta, a chi chiede asilo, a
chi è senza fissa dimora e in genere
a chi cerca integrazione. Il Consorzio
Sociale Abele Lavoro offre informazione, orientamento e accompagnamento a quanti cercano lavoro. Non solo in Italia. Sin dai suoi primi anni di attività il Gruppo Abele ha scelto di non limitare il proprio impegno per la giustizia al nostro contesto occidentale. Dopo alcuni interventi realizzati in Vietnam (in seguito alla guerra), il Gruppo ha operato, agli inizi degli anni 80, in Africa
(Costa d’Avorio) e in America Latina (Messico e Guatemala). Nel 2002 ha sviluppato iniziative per l’umanizzazione
della condizione carceraria in Burkina Faso, Mali, Costa d’Avorio e Togo, promosso attività di sostegno per minori orfani o ammalati di Aids e realizzato la costruzione di una
rete di aiuto in Marocco per giovani migranti in situazione
di difficoltà.
La politica
deve servire
i cittadini,
non servirsi
dei cittadini
Per anni Le hanno dato l’etichetta “prete di strada”. In molti hanno semplificato “di sinistra”. Don Ciotti, chiariamo.
“Il nostro primo servizio è stato aiutare tossicodipendenti, persone che vivono sulla strada offrendo accoglienza:
posto letto, pasti caldi, ed una struttura con personale disponibile all’ascolto. La strada in questi anni ci ha parlato
di Aids, alcolismo, immigrazione, carcere, prostituzione, senza fissa dimora, malattia mentale, gravi problematiche della famiglia d’origine che finiscono per ripercuotersi sulla
crescita dei figli, che si sentono o diventano disadattati,
solitudini diverse... E sempre più spesso, perdita del lavoro, della casa, l’uno e l’altra insieme. Vogliamo restituire dignità all’essere umano e lo accompagniamo in questo percorso sinché non è in grado di farcela da solo. Non
devono e non possono esserci distinzioni politiche tra coloro che porgono la mano ai sofferenti”.
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Com’è cominciata la Sua vita a contatto della strada?
A sedici anni, nel 1966, durante gli
studi di preparazione al sacerdozio ho
creato il Gruppo Abele che portava assistenza ai minori negli istituti di pena. Conclusi gli studi nel Seminario di
Rivoli, nel 1972 sono stato ordinato
sacerdote dal Cardinale Michele Pellegrino. La mia parrocchia? Da subito, la strada. Nel 1986 mi hanno chiamato a presiedere
la Lega italiana per la lotta contro l’Aids-LILA.
Uno che parla di “fatti concreti” rischia ora di essere etichettato “filoberlusconiano”.
“Io non guardo in faccia nessuno. Quando mi chiamano
davanti ad una platea per diffondere la mia esperienza,
intesa come conoscenza dei mali di vivere della società
contemporanea, io accetto sempre volentieri. Si badi bene: sono sempre consapevole di rappresentare il Gruppo Abele, a cui ognuno è libero di associarsi senza pagare alcuna quota di iscrizione. Ogni anno, alla fine di agosto, c’incontriamo in un campus per far il punto sui nostri progetti. Il socio conosce il programma del Gruppo ed
è libero di portare il proprio parere, che è sempre ben gradito. La politica deve servire i cittadini. E non viceversa,
servirsi dei cittadini. No alle strumentalizzazioni, ai discorsi facili. Sì alla soluzione dei tanti problemi. Con la crisi economica, è aumentato il fenomeno dell’usura. Con
la promessa ingannevole “ti diamo quello che ti serve, pagherai poco alla volta” la malavita costringe le persone a
lavorare per far fronte al debito. Il singolo diventa un loro dipendente, mantenendo le responsabilità e gli oneri
dell’attività che porta avanti. Perché se non paghi... Eppure sono in molti a cadere in questa trappola. Per leggerezza. Per mancanza d’informazione. Per l’abitudine popolare in certe zone di non rivolgersi al sistema bancario, finiscono tra le fauci del lupo”.
Don Luigi Ciotti non ama i discorsi, neppure quando gli
consentirebbero di fare proselitismo usando i media. Met-
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ter insieme il testo di un articolo su di lui risulta un’impresa. Per giunta, complicata. Sarà perché il soggetto ha
un compito più importante. Sarà perché ha mille responsabilità a cui far fronte, tra cui anche la Casa Editrice ed il mensile Narcomafie.
Alle giornaliste di un importante quotidiano francese consiglia di visitare l’Oasi di Cavoretto, incantevole dimora sulla collina di Torino lasciata al Gruppo in comodato gratuito dalla nobile famiglia Pulcioni. La villa padronale serve da foresteria del Gruppo ed albergo con ristorante per
chi cerca un soggiorno di pace a cinque minuti dal centro città. Centro congressuale per gruppi religiosi ma anche aziendali. Un altro nucleo di palazzine d’epoca è stato destinato alla Comunità alloggio per le giovani ex prostitute. Due abitati dentro un grande parco secolare e con
un lussureggiante roseto in comune.
Il Gruppo Abele ama l’arte: dopo l’Oasi di Cavoretto, è in
via di ultimazione il restauro e la riapertura della Certosa
di Avigliana. Edifici storici a disposizione del pubblico.
“Certamente. La nostra forza sono le persone che ci danno la loro attenzione. Coloro che ascoltano le nostre parole. Non solo denunce, ma proposte: è il nostro motto.
L’Oasi è stata completamente ristrutturata due anni fa e,
a quanto ne so, è una meta anche per i soggiorni dei turisti. La Certosa potrebbe esser inaugurata nella Pasqua
del 2010. Sarà una struttura alberghiera con ristorante, annessa ad importanti spazi congressuali. Diventerà sede di
dibattiti e laboratori di studi sociologici. Speriamo di offrire ai giovani un luogo di riflessione alternativo alla direzione
che sta prendendo il loro vivere. Spesso vedono solo in superficie i problemi che li attorniano, non è colpa loro, dipende da come sono stati abituati a percepire l’altro ed i
suoi bisogni. C’è bisogno di una pausa. Nessuno deve infierire su un debole. Cercheremo di dar il nostro contributo alle giovani generazioni. Oggi si è persa la tradizione
orale nelle famiglie, dove non esiste di fatto un patriarca
inteso come una volta, custode della memoria delle generazioni precedenti e dei loro valori”.
Qual è il pensiero che Le fa dire “oggi abbiamo lavorato
bene”.
“Aver potuto rispondere alle realtà di sofferenza con servizi di accoglienza, quali comunità residenziali, centri diurni, dormitori, servizi primari. Ed ovviamente con opere di
prevenzione attraverso il volontariato in strada. Coraggiose ragazze e ragazzi, universitari, durante i fine settimana
percorrono a piedi le strade della prostituzione distribuendo
opuscoli sulle norme di profilassi sanitaria. Ormai si può
dire che le vittime di questa tratta ci conoscono e si fidano del Gruppo. Diamo loro la possibilità di effettuar uno
screening gratuito presso un ospedale convenzionato. Chi
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vuole cambiare vita incontra una seconda possibilità”.
Il Gruppo Abele ha iniziato la sua attività occupandosi, oltre che di minori, proprio di prostituzione. A quel tempo,
fine anni ’60, il Gruppo gestiva una comunità-appartamento
per ragazze che volevano uscire dal “giro” della prostituzione forzata. Da allora, l’area della prostituzione è stata
sempre presente negli interventi di accoglienza, ma anche
nelle attività di tipo culturale e politico.
Quante persone hanno trovato insieme a Lei la forza di ritornare alla vita?
“Dietro alla prostituzione ci sono quasi sempre storie di povertà e di sfruttamento. Sono migliaia le ragazze, anche
molto giovani, che vengono nel nostro paese con la speranza di una vita migliore. Spesso oberate da un debito
contratto con chi organizza “viaggi della speranza” che si
trasformano in viaggi nell’incubo. Sono ragazze, minorenni o appena ventenni, quasi tutte arrivate dall’Africa con
la falsa promessa di un lavoro, una casa, opportunità migliore di quelle offerte dal loro villaggio. Chi le inganna, inganna la loro famiglia. Spesso è una persona che ti ha visto crescere, o negli anni ha costruito un rapporto di fiducia coi tuoi genitori. E, per soldi, ha accettato l’incarico
di queste organizzazioni di sfruttamento di individuare e
“reclutare” le più giovani. Ad attenderle trovano una madame che con la violenza le costringe a prostituirsi. Quasi sempre ci troviamo ad accogliere giovani donne con la
stessa triste storia. Tutte con un sogno infranto, una vita
spezzata, alle quali bisogna dare una “nuova famiglia”. Ricostruire la fiducia in se stesse e nel prossimo. Il Gruppo
Abele diventa la “loro” famiglia. Trovano un alloggio sicuro e, soprattutto, ritrovano la loro libertà. Noi non imponiamo nulla. Diamo. Possono decidere cosa fare: studiare, tornare nel loro Paese, cercare un lavoro. Con calma.
Occorre tempo per superare un trauma. È una violenza terribile, quella che subiscono. Per prima cosa la persona deve ritrovare se stessa”.
Nella “famiglia Abele”, a Cavoretto, un gruppo di ragazze
extracomunitarie, di spontanea iniziativa, ha creato un orto e ogni sera qualcuna di loro annaffia le colture. Un’insegnante di Italiano impartisce buone lezioni affinché le
giovani possano frequentare scuole e corsi di formazione.
B. è una minorenne nigeriana. Mostra quasi senza curarsene una profonda cicatrice sul polpaccio. È il marchio che
le ha lasciato l’amica della sua famiglia quando ha rifiutato di prostituirsi. “Dio non dorme. Dio non dorme - ripete -. Quella donna aveva detto a mia mamma che qui
c’è lavoro. Io andavo a scuola. I miei genitori mi han affidato a lei. La prima sera mi ha detto “questo è il tuo lavoro”. Io mi sono opposta. Le ho detto che ero in Italia per
lavorare e quello sul marciapiede non è un lavoro. E’ una
cosa sporca. Lei mi ha picchiato e ferito. Ma sono riuscita a scappare. Ho chiesto aiuto e su-bi-to su-bi-to (scan-
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dito con forza) ho trovato il Gruppo. Eccomi qua. Finisco
la scuola grazie a queste persone che hanno cuore per me.
Dopo voglio far il corso da infermiera”.
La direttrice dell’Oasi, Vittoria, divide il tempo intrattenendo con eguale amore i turisti e le ragazze che bussano alla porta del retrocucina. Chi chiede un ingrediente per completare la preparazione della cena, chi una pentola più grande per organizzare una tavola più grande con le altre ospiti. Il reportage delle croniste francesi che rappresentano il
salotto buono della stampa d’Oltralpe prosegue nei terreni
in Piemonte, Puglia, Campania, Sicilia, confiscati alla mafia e coltivati dai ragazzi che in un passato non troppo lontano le cosche ingaggiavano per sporchi affari in cambio
di un posto di lavoro. Don Luigi vuole far vedere i frutti dello straordinario impegno del Gruppo. Per buona educazione
si farà trovare alla fiaccolata contro la mafia. Ma le risposte marciano al passo tra la folla e chissà che cosa sarà
stato scarabocchiato su quei taccuini...
Per questo articolo sono stati necessari mesi di telefonate, di mail, di benevole intercessioni di amici a lui cari. Don
Luigi non fa il divo. Lo è. Lo chiamano per battesimi, comunioni, cresime, matrimoni. Don Luigi c’è. D’abitudine
aggiunge il nuovo appuntamento alla già fitta agenda della giornata. Diventa pressoché impossibile a chiunque sapere che cosa farà nelle prossime ore. “Mai dice no a qualcuno”, ripete uno dei suoi più stretti collaboratori. Anche
l’intervista dipende dalla possibilità di avvicinarlo. Se ci riesci, è fatta! Don Luigi Ciotti è gentilissimo. Affabile. Attento ascoltatore. Intuitivo. Capace di fulminare l’interlocutore con una rapidissima, e corretta, analisi delle problematiche sociali. Si percepisce che deve averne viste tante... Difatti suole ripetere: “Ormai non mi stupisco più di
niente”.
In prima fila ovunque. Accanto al sindaco di Napoli Rosa
Russo Jervolino per ricordare la figura del giornalista de Il
Mattino Giancarlo Siani, vittima della camorra. A Palermo
per l’inaugurazione del primo emporio dei prodotti delle terre coltivate da Libera, accanto a sindaco, prefetto, questore,
comandante provinciale dell’Arma. Lontano dalla “sua” Torino - che ha accolto la famiglia di “immigrati” Ciotti quando aveva appena fatto in tempo a vedere la natia Pieve di
Cadore - eppure presente, appena lo avvertono che qualcuno ha bisogno di aiuto Don Luigi è puntuale nel commemorare Maurizio Laudi, magistrato scomparso prematuramente, autore di coraggiose indagini contro il terrorismo negli Anni Settanta.
Non vuole mancare alla presentazione dei nuovi vini prodotti nei poderi della Cooperativa Terre di Puglia - Libera
Terra, tra cui la varietà rosso e rosato della linea Hiso Telaray, ad indicazione geografica tipica, imbottigliati dalle vigne confiscate alla Sacra Corona Unita, la malavita organizzata pugliese. Don Ciotti sottolinea: “Sono due vini biologici a base di negroamaro, intensi e fruttati. Rappresentano
inoltre un tributo alla memoria per l’impegno del giovane
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migrante albanese Hiso Telaray, ucciso nelle campagne nell’estate del 1999, a soli 22 anni, dalla violenza dei “caporali”
che ne sfruttavano il lavoro. A lui ed a tutti quelli che non
chinano la testa dinanzi all’arroganza mafiosa dedichiamo
questi vini”.
I presidi di Libera sono sorti in Sicilia, nel nome di Pio La
Torre, sui terreni in provincia di Palermo, di indirizzo agricolo o agrituristico confiscati ai clan mafiosi: si producono pasta, legumi, vino e farina di ceci. I prodotti delle terre liberate dalla mafia sono anche confetture di marmellata, miele, olio, melanzane, passata di pomodoro, peperoncino. In base ad un accordo, in parte già avviato, si
troveranno in vendita in tutta Italia negli Ipercoop e nei
negozi di prodotti equi e solidali. Ma i ragazzi che lavorano nei presidi di Libera dalla terra hanno ottenuto anche altro. “Hanno imparato - spiega Don Ciotti - la responsabilità, la cura costante, la capacità di attendere, la
pazienza, il senso del limite, la tenacia”. Una fattoria didattica bioenergetica è a Castel Volturno, in località Centore e Cancello Arnone, su terreni di circa 30 ettari sottratti alla camorra. Qui avviene la produzione di mozzarella e la generazione di energie rinnovabili. Poi c’è il bell’esempio della Cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, a
Trapani, dove sei dipendenti dell’impresa confiscata alla
mafia, hanno potuto salvare il lavoro dopo nove anni in
amministrazione giudiziaria grazie all’intervento dell’associazione di Don Ciotti. Libera è presente in Campania,
Calabria, Puglia, Toscana, Sardegna, Piemonte. A San Sebastiano da Po si producono nocciole nel podere confiscato alla n’drangheta. In Liguria è stato aperto un primo
avamposto a Sanremo.
L’appuntamento annuale più impegnativo del Gruppo Abele, attraverso Libera nella battaglia sociale contro il crimine
è la convocazione degli Stati generali dell’Antimafia, giunto alla seconda edizione a Roma, dal 23 al 25 ottobre scorsi. “Ogni anno dobbiamo darci un obiettivo culturale e sociale - spiega Don Luigi - per offrire progettualità e contenuti all’associazionismo che si occupa di lotta alle mafie. Inoltre, è il momento in cui fare il bilancio dei risultati ottenuti e degli impegni mantenuti, a partire da quanto contenuto nel Manifesto finale di ogni edizione”.
Uno dei punti fermi del programma di Libera nel prossimo
futuro è chiedere all’Europarlamento di prender ad esempio l’Italia, affinché emani una direttiva che estenda a livello internazionale la confisca dei beni delle mafie.
“Abbiamo già raccolto 300 firme tra i parlamentari europei affinché si facciano promotori di una direttiva che preveda la confisca internazionale dei beni delle mafie ed il
loro uso sociale. Prevedere questo istituto legislativo ci pare importante dato che le mafie, come s’è già detto più
volte, investono in altri Paesi. La prima mafia da combattere
è quella delle parole. Servono fatti concreti”.
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