Altre poesie

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Altre poesie
L’APE NELLA POESIA DI GIOVANNI PASCOLI
I due fuchi
Tu poeta, nel torbido universo
t’affisi, tu per noi lo cogli e chiudi
in lucida parola e dolce verso;
si ch’opera è di te ciò che l’uom sente
tra l’ombre vane, tra gli spettri nudi.
Or qual n’hai grazia tu presso la gente?
Due fuchi udii ronzare sotto un moro.
Fanno queste api quel lor miele (il primo
diceva) e niente più: beate loro!
E l’altro: E poi fa afa: troppo timo!
La poesia, tratta dalla raccolta Myricae, ha per protagonisti due fuchi, ovvero i
maschi dell’ape. Giovanni Pascoli sceglie proprio quest’animale perché rappresenta
il modello della società in cui vive lo stesso poeta, ovvero una società perfettamente
inquadrata e dominata dalla visione utilitaristica. L’ape è, infatti, un insetto ben
organizzato, nato per compiere il suo lavoro, con un preciso compito che nulla deve
domandarsi in più.
Lo scopo di questi versi è proporre una riflessione sulla funzione del poeta nella
comunità, ma a noi lettori non vengono fornite le risposte a questo interrogativo. Nel
loro colloquio i due fuchi si domandano che soddisfazione ne ricavi il poeta dallo
scrivere per gli altri, non traendone certo un valore materiale. Le api lo accusano di
fare il miele solo per se stesso senza portare nulla all’uomo se non ombre vane,
pallido riflesso di quell’universo che aveva cercato di decifrare.
Secondo noi, la società di Pascoli non è certo molto diversa da quella di oggi in cui
spesso si dà più importanza ai valori materiali, dove non si attribuisce il valore alle
cose se non producono qualcosa di concreto.
Fior d’acanto
Fiore di carta rigida, dentato
i petali di fini aghi, che snello
sorgi dal cespo, come un serpe alato
da un capitello;
fiore che ringhi dai diritti scapi
con bocche tue di piccoli ippogrifi;
fior del Poeta! industria te d’api
schifa, e tu schifi.
L’ape te sdegna, piccola e regale;
ma spesso io vidi l’ape legnaiola
celare il corpo che riluce, quale
nera viola,
dentro il tuo duro calice, e rapirti
non so che buono, che da te pur viene
come le viti di tra i sassi e i mirti
di tra l’arene.
Lo sa la figlia del pastor, che vuoto
un legno fende e lieta pasce quanto
miele le giova: il tuo nettare ignoto,
fiore d’acanto.
La poesia Fior d’acanto è dedicata ai fiori di questa pianta che noi abbiamo spesso
sentito nominare durante le lezioni di Educazione Artistica, in quanto le sue foglie
decorano i capitelli corinzi. Pascoli però canta non le foglie bensì il bianco fiore
dell’acanto esteticamente bello ed elegante. Esso però è disdegnato dall’ape che
non si accontenta del miele di questo fiore, mentre l’ape legnaiola 1, più umile, ne
rapisce il suo dolce nettare. In questo conteso il poeta si immedesima, come sarà
anche per la poesia Il gelsomino notturno, in un‘ape, non quelle “regale”, superba,
ma in quella legnaiola che sa trarre il buono anche da quei fiori comuni considerati
non pregiati.
1
La Xyilocopa viene anche chiamata “Ape legnaiuola” questo nome derivava da fatto che le femmine
scavano delle lunghe gallerie nel legno vecchio e in esso vi stipano il miele e vi allevano le larve.
Il gelsomino notturno
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . .
.
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Il componimento Il gelsomino notturno è inserito nella raccolta Canti del
Castelvecchio ed è incentrato sulla descrizione di un paesaggio notturno, ma in
realtà la trama della poesia è punteggiata da richiami tipici del Simbolismo
decadente. Facendo l’analisi del testo per decifrare i simboli usati da Pascoli, si
capisce come i versi siano molto tristi poiché l’intento del poeta è comunicarci la sua
solitudine e l’impossibilità di trovare un posto nel mondo in quanto incapace di
crearsi una famiglia. L’ape ha la funzione di rappresentare il poeta, infatti l’insetto
trova già tutte chiuse le cellette dell’alveare e quel suo sussurrare sembra quasi una
protesta a bassa voce per essere stata dimenticata (“Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle”). L’ape diventa così chiara metafora della solitudine di
Pascoli e della sua esclusione dal rapporto amoroso.