Limosano questioni di storia

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Limosano questioni di storia
FRANCESCO BOZZA
LIMOSANO: Questioni di Storia
Ricostruzioni ed Approfondimenti
LIMOSANO: Questioni di Storia
Ricostruzioni ed Approfondimenti
Al figlio Fabio
col rispetto, intimo e sincero, della sua libertà di uomo
questa testimonianza concreta, seppur modesta,
di amore paterno
teso alla costruzione del suo futuro più sereno
Con un sentimento di orgoglio e di liberazione, ora che sono riuscito a portare a
termine anche quest’altra mia ricerca, sento di poter dire: “Finalmente!”
Mi ha accompagnato il sogno di riportare ad lucem, ed a farle come rinascere, le
cose che, costruite dai padri, rappresentano quello che siamo ora, in questo
momento e qui. Perché si è la somma dei momenti, tutti, vissuti. Nella sofferenza
e nella gioia, ma ‘vissuti’.
Penso di non offendere nessuno, dicendo che ho dovuto sopportare eccessiva
fatica. Perché, a parte il mio “Limosano nella storia”, che, uscito nel 1999, pure
sta incontrando riscontri soddisfacenti, ho dovuto ‘lavorare’ tra la mancanza
assoluta di ricerche riguardanti l’area del medio Biferno e, più nello specifico, di
Limosano.
Sono consapevole che avrei potuto, di certo, far meglio; ma ugualmente ne provo
grande soddisfazione. Non tanto per averlo finalmente portato a termine, il
presente lavoro; ma per essere, soprattutto, riuscito ad indicare, con l’essere
andato, pazientemente e con dedizione (e devozione), a ‘scavare’ le radici
sporcandomi le mani di terra, i percorsi da seguire per trovare il terreno fertile sul
quale costruire il futuro.
Qui sono raccolti gli elementi per progettare, appunto, tale futuro. E, se non si sa
partire da essi, si è destinati a non averne, di futuro.
Come metodo, ho preferito cercare fonti e documenti ed ho preferito, più che (o,
non solo) affidarli alla mia personale interpretazione, farli parlare direttamente e
raccontare come sono andate le cose accadute. A me pare che ne sono venuti fuori
dei quadri con affreschi palpitanti di vita sofferta, ma vera; e sono emersi pure le
grandi conquiste, anticipatrici del futuro, che chi ci ha preceduto ci ha voluto
tramandare.
Questo mi ero prefissato di far rivivere.
Mi si permetta di chiedere solo una attenzione benevola da parte di quel cortese
lettore che avrà la bontà di leggere e di seguirmi sino in fondo. Lo voglio, sin da
ora, ringraziare.
Limosano, 19 Agosto 2001
Francesco Bozza
Francesco Bozza nasce a Limosano (Campobasso) il 25 luglio 1948 e, dopo un
brillante curriculum di studi, si laurea in Storia e Filosofia presso l’Università
degli Studi di Napoli nel 1972.
Si occupa, in prevalenza, di ricerche storiche. La profonda conoscenza delle
problematiche di storia locale – ha dedicato, oltre ai vari articoli ed interventi su
riviste prestigiose, diversi lavori di ricerca storica all’ambito territoriale del
medio Biferno [“Limosano nella storia” (Campobasso 1999); “Limosano:
Questioni di storia”, Campobasso 2008; “L’antistoria nel medio Biferno”,
portata a termine nel 2007; “Pietro de’ Marone: l’avventura del molisano del
suo tempo che diventerà Papa Celestino V” (L’Aquila 2006); “Segni di
presenze bizantine nel ‘Samnium’ molisano dell’alto medioevo (476-1054)”,
consegnato alla stampa] – e quelle della storia generale gli consente analisi
critiche ed ipotesi originali per una corretta re-interpretazione degli avvenimenti
storici.
La solida cultura classica lo porta ad essere particolarmente attento alla fonte,
assai sensibile alla lettura interpretativa del documento e, quando non innovativo
nella proposta, molto raffinato nella sua personale e meditata rielaborazione dei
contenuti.
Appassionato di letteratura, riesce a leggere e ad interpretare le suggestioni
dell’evento naturale e cosmico con particolare sensibilità e delicatezza estrema.
Ciò gli ha consentito di scrivere le raccolte di poesia: “Il gabbiano e il mare”
(2002); “Campo di grano con papaveri”, in corso di stampa; “Le mani mie nel
mare”, in co-produzione nella raccolta “Due granelli di sabbia”, Bucarest 2007.
Sta lavorando alla raccolta “Nelle periferie dell’anima”
Ha pronto per la stampa, che presumibilmente avverrà nel 2009, anche il
romanzo “Molinosa”.
Nel 2007 (1° dicembre) ha organizzato il convegno “LIMOSANO: la zecca e le
monete”.
5
CAPITOLO 1°
LA DIOCESI: DA ‘TIFERNATE’ A ‘MUSANENSE’
6
7
LIMOSANO: Gli insediamenti sannitico-romani, il percorso viario e le stazioni intermedie di
“Ad Canales” e “Ad Pyrum” della Tabula Peutingeriana. Localizzazione del sito delle
battaglie di ‘Tiphernum’ descritte da Tito Livio
8
1.1 - Tifernum: ipotesi di localizzazione
Alla guerra sociale (91-87 a.C.), voluta con determinazione dalla Confederazione delle
popolazioni italiche, guidate ancora e per l'ultima volta dai Sanniti, con l'obiettivo di tenere la
cittadinanza e la equiparazione nei diritti, Roma con e dopo la vittoria fece seguire "in
Samnio" una romanizzazione fatta di genocidio sistematico mediante l'annientamento brutale
e lo sgozzamento animalesco dell'elemento maschile, rimpiazzato con deportazioni in massa
9
di intere 'gentes' (nello specifico dell'area mediana del Biferno con la tribù Voltinia); fatta di
pulizia etnica mediante l'ingravidamento di quello femminile con lo stupro e la violenza
razziale; fatta di devastazioni e saccheggi perpetrati con l'intento di privare gli autoctoni sia
della identità culturale come di quant'altro essi erano riusciti a rendere disponibile all'avanzare
della propria storia. Tanto che dopo non si sarebbe più potuto trovare nel Sannio alcunché di
sannitico.
A conferma di tutto questo anche la recente ricognizione del Barker ha riscontrato che "il
momento di più forte decremento della popolazione rurale nella valle,..., riflette l'événement
costituito dalle conseguenze della guerra sociale.
In conseguenza di questa definitiva imposizione della romanizzazione, il Latino rimpiazzò
l'Osco come linguaggio dominante, le élites abbracciarono i modi romani di vestire e di
comportarsi, ed il surplus da essi prodotto non più veniva condotto ai santuari o agli
insediamenti fortificati, bensì fu convogliato nella costruzione di monumenti di prestigio
che,..., furono realizzati nell'alta, media e bassa valle (Bovianum, Fagifulae e Larinum
rispettivamente)"1 del fiume Biferno.
Questi tre "municipia", così come gli altri situati nel territorio dell'attuale Molise (Saepinum,
Aesernia, Venafrum e Terventum), sicuramente mantenendo tutti continuità con preesistenti
insediamenti abitativi di origine sannitica, furono istituiti, oltre che per affermare la
'romanitas', perché esplicitassero funzioni strategiche e di controllo sulle arterie stradali, sui
corsi d'acqua e su quelle strutture produttive, che, in una regione a forte vocazione agricola ed
alle strette dipendenze delle istituzioni, vengono organizzandosi nelle 'villae' e nei 'latifundia',
nei quali una economia di mero sfruttamento sta sempre di più rimpiazzando quella agropastorale e di sopravvivenza. Ciò vuoi per il vistoso calo demografico che si era avuto e vuoi
per la forzata rinuncia da parte dei Sanniti al loro classico modo di essere "vicatim".
Nella media valle del Biferno, poiché ben riassume tutte quelle caratteristiche e mantiene la
continuità con il preesistente insediamento di Tifernum, situato, di poco lontano, sulla
dirimpettaia collina, viene assegnata la dignità di "municipium" a Fagifulae, che è centro
emergente, più 'romanizzabile' e del primo meglio posizionato rispetto al fiume.
Da parte sua Tifernum aveva già visto iniziare il suo declino con i saccheggi subiti sin da
quando nelle sue adiacenze (alla "Morgia della Battaglia") si erano avuti gli scontri del 304 e
del 297 a.C. descritti da Livio nei suoi "Ab Urbe condita libri" 2. Aveva poi ricevuto il secondo
e più duro colpo dopo la guerra sociale, quando "le città più ribelli furono distrutte: alcune
rase al suolo dalle radici,..., ed altre ridotte in uno stato che non ne avresti trovata una con la
dignità di città"3.
Ciò nonostante, è da supporre che, pur in posizione decentrata (ma il "ponte" le teneva
ugualmente e comunque ben collegate), satellizzata ed alla periferia della preferita e più
moderna Fagifulae, anche la più antica Tifernum col tempo riacquista una sua visibilità,
rimane in qualche modo antagonista a quella e non abdica dalla sua funzione-vocazione di
punto di riferimento, almeno per le popolazioni della media valle alla sinistra del Biferno.
1
BARKER G., Due Italie una valle una prospettiva, in ALMANACCO DEL MOLISE (d'ora in poi solo AM)
1991, II, pag. 90. La ricognizione guidata da BARKER ha accertato la riduzione degli insediamenti romani ad
1/3 di quelli sanniti.
Notevoli, sempre a cura del Barker, i volumi, purtroppo solo in lingua inglese: A Mediterranean Valley e The
Biferno Valley Survey, entrambi London (Londra) 1995.
2
LIVIO T., Ab Urbe condita Libri..., IX, 44, e X, 14.
3
STRABONE, Geographia, V, 9. "Pervices fractae fuere civitates: aliquae vere radicitus exstintae,..., et aliae
talis qualis ne unam pro dignitate censueris civitatem".
10
Scultura di statua femminile, databile al periodo tra l’VIII ed il VI secolo a.C., rinvenuta in località
di “Colle (del)le Case’r”, che, presumibilmente la stessa del ritrovamento della “lapide
tiferniana”, situava lungo la “publica via”, che in un catasto del 1816 era descritta: “per via Cupa,
e Corcorillo, sotto le Case, va al passo di Campobasso” ed alla Covatta. Tale località può essere
fatta coincidere con la “Ecclesia S. Martini ad Bifernum”(v. 2° Capitolo).
I numerosi rinvenimenti, sporadici ed, in assenza di una sistematica indagine di ricognizione
archeologica, casuali, di reperti di ogni tipo (iscrizioni, statuette, monete sia di epoca sannitica
che romana,...)4; l'analisi comparata della eziologia dell'etimo 'ti-pher(num)' con i nomi di
4
Per quanto riguarda le iscrizioni, si veda: DE BENEDITTIS G., Repertorio delle Iscrizioni Latine, III
Fagifulae, Campobasso (?) 1997, con particolare riferimento: alla n. 6 (CIL, IX, 2595), rinvenuta in "contrada
Monte Mercurio (anche Monte Marcone)"; alla n. 16 (CIL, IX, 2621), rinvenuta anch'essa in "località Monte
Marcone (o Mercurio); alla n. 17 (CIL, IX, 2623), "rinvenuta in agro di Limosano, località Colle Ginestra", che,
per dimensione (h. 57 x l. 93; sp. 17 cm.), per grandezza delle lettere (h. 18 cm.) e per il colore di esse (rosso),
potrebbe rappresentare un 'pezzo' del frontone di un santuario. Quanto alla n. 2 (CIL, IX, 2553), contrariamente
a quel che sostiene FORTE M.L. (Fagifulae, testimonianze epigrafiche, in AM 1991, pag. 45 e segg.), che la
dice, dimostrando scarsa conoscenza dei luoghi e dei fatti legati alla 'lapide tiferniana', "rinvenuta su un ponte
sul Biferno tra Trivento e Campobasso", e contrariamente alla tesi di chi la vorrebbe trovata in agro di
Montagano, essa venne rinvenuta, se non prima, al più tardi nel 1724 in agro di Limosano presso il fiume
Biferno e, d'ordine del Cardinal Orsini, murata sul ponte di Limosano, che quell'anno era in fase di rifacimento.
Tanto da indurre il MOMMSEN ad attribuirla a Trivento e, prima di lui, MATTEO EGIZIO a posizionare la
stessa Tifernum tra il Biferno e Limosano. Ed, a questo punto, senza alcun tentativo di spostare l'evidenza della
lapide tiferniana né a Terventum, come pretendeva la storiografia 'classica' e Mommsen, e né tantomeno a
Fagifulae, in quanto centro posto alla destra del Biferno, come pretenderebbe la ricerca più recente, sembra più
corretto e di maggior rispetto della verità storica lasciarla a Tifernum, insediamento sì satellite e nell'orbita
fagifulana, ma completamente autonomo nel suo essere. Va aggiunto che di recente nell’area tiferniana è stato
rinvenuto qualche reperto assai interessante. Prima di tutto, a “Colle Ginestra”, una colonna (alta circa un metro)
ellenico-romana, di sicuro proveniente da qualche tempio, che siamo riusciti a fotografare. E poi, alla zona di
“Colle le Càsere”(al margine della più conosciuta contrada Cese) e dove, con ogni probabilità, si rinvenne la
lapide tiferniana, una grossa statua in pietra-calcare, raffigurante, forse, una dea della fertilità. Anche di
quest’ultima ci si sta adoperando per recuperarne almeno una fotografia.
Circa le statuette, si veda, una per tutte, quella bronzea riproducente 'Ercole in assalto' descritta da DI NIRO A.
(Piccoli Bronzi figurati nel Museo di Campobasso, Campobasso 1978, tav. VII). Come si diceva, recentemente
da un contadino, tal Giancola Nicola, è stata rinvenuta in località della Contrada "Colle (del)le Casere" (non
11
alcuni luoghi in territorio limosanese5; i motivi di coerenza e di opportunità storica, che, soli
riescono a spiegare vicende, episodi e circostanze di fatti6; questi e tanti altri (frequenti
ritrovamenti di resti umani, sarcofagi in pietra con scheletri al loro interno, utensileria antica,
monili, preziosi, ecc.) i motivi che inducono a fissare il sito di Tifernum in una posizione ben
precisa.
molto distante dal luogo in cui fu ritrovata la lapide tiferniana) una scultura in pietra raffigurante una divinità.
Corre anche notizia che nella stessa contrada, dove, per la vicinanza a ‘Pesco Martino’ potrebbe localizzarsi il
Monastero di S. Martino Vescovo, sono stati trovati diversi oggetti in oro ed antiche tombe in pietra. Il tutto,
però, viene tenuto nascosto per timore di 'espropri' di terreni da parte delle autorità.
Relativamente alle antiche monete, i rinvenimenti, sparsi sull'intero territorio dell'agro di Limosano, così come
hanno confermato le numerosissime testimonianze 'orali', sono stati non pochi ed abbondanti.
5
Attualmente in agro di Lucito (anticamente era agro di Limosano) vi è la contrada di FERRARA, dove
insisteva un omonimo 'Casale', che (v. PIEDIMONTE G., Notizie civili e religiose di Lucito, Campobasso 1899)
"è probabile sia stato distrutto col terremoto del 1456; (anche se) dopo fu ricostruito il solo palazzo con poche
case attorno nelle quali abitavano i fittaiuoli e i pastori, nel Palazzo villeggiava il Barone"(pag. 109). Quel
'Casale', che fu feudo, così come altri (v. COVATTA, che il 30 agosto 1631 ancora esisteva, essendovisi fatta
l'apertura "presente cadavere", che verrà seppellito "dentro la Matrice Chiesa di detta Terra nominata Santo
Pietro, del testamento 'chiuso' rogato l' 11 luglio dello stesso anno da Lucia Radatto nella sua casa "sita intus
dictam Terram in loco d.o vicino la Porta di sopra" alla presenza dei testimoni: Leonardo Marchetta, Donato e
Pietro Palumbo, Andrea Castiglione, Stefano Gabriele e Francesco Radicchi, tutti "affate Terre Cubatte"),
scomparve definitivamente tra il 1610 ed il 1650. Relativamente a "quell'amena distesa di colli,..., i ruderi di
vetuste mure, e l'essersi ivi rinvenuti molti utensili antichi, idoli di bronzo, specie Ercole e Giove, e molte
monete di rame ed argento, consolari ed imperiali, fanno testimonianza che ivi sorgesse una città sannitica, forse
l'antica Tifernum... E si noti che Matteo Egizio asserisce che la città di Tifernum era tra il Biferno e Limosano.
Del medesimo parere furono G. Galanti, L. Giustiniani e Domenico Romanelli" (v. PIEDIMONTE G., op. cit.,
pag. 107).
Circa l'etimo 'Ferrara', che contiene la radice "PHER" (o anche 'FER'), potrebbe essere proposta la derivazione,
con successivo fenomeno di 'corruzione' linguistica, da "(ti)PHERna-ra".
Posta al confine tra i territori di Limosano, di S. Angelo e di Lucito, non lontana di molto da quella di Ferrara, vi
è la Contrada di CASCAPERA, dentro la quale insisteva l'omonimo 'Casale', anch'esso feudo. E, poiché non
figura né nel Catalogus Baronum e né nelle Rationes decimarum ecclesiae potrebbe essere possibile che nei
periodi (secoli XI e XIV), cui tali documenti si riferiscono, l'insediamento fosse già andato distrutto. In tal modo
il nome 'CASCAPERA' si riferirebbe ad un sito di un antico ('CASCUM', plurale 'CASCA', = antico, vecchio)
insediamento ricollegabile ed identificabile con TiPHERnum, che ha, si badi bene, la stessa radice etimologica,
P(h)er, di quest'ultimo.
Tale radice, se la si fa derivare da PYR (genitivo PYROS, = fuoco), potrebbe far pensare ad una località dove si
svolgevano antichi (CASCA) rituali con il fuoco; se, al contrario (ma a noi questa seconda ipotesi pare meno
probabile), la si deriva da PYROS (gen.: -OU, = grano), ci si potrebbe riferire ad una località, particolarmente
fertile, dove veniva prodotto grano in abbondanza.
In ogni caso è sin troppo evidente l'affinità etimologica tra i toponimi di CASCAPERA e di FERRARA con
quello della stazione 'Ad PYRum' sull'antica strada di collegamento tra Bovianum (Boiano) e Larinum
(Larino) riportata dalla 'Tabula Peutingeriana'. Tale affinità è un ulteriore elemento di prova dell'esistenza di
quell'arteria viaria e che essa necessariamente corresse lungo il Biferno ed alla sinistra di quel fiume.
6
A parte la 'compatibilità' morfologica del territorio e nella tempistica con gli avvenimenti descritti da LIVIO,
anche motivazioni di necessità e di opportunità, come la vicinanza della località FERRARA-CASCAPERA al
confine tra le popolazioni della Pentria, nemiche irriducibili di Roma, e quelle della Frentania, alleate del popolo
romano, inducono ad ivi collocare il sito di una emergenza insediamentale (e la prossimità della strada, di cui
alla nota precedente, ne diventa logica conseguenza) ricollegabile ed asservita ad un Santuario, importante
luogo di gestione politica e di culto.
12
Reperto di colonna rinvenuta nell’area di Cascapera.
Del resto, se le stesse ragioni sono esaustive per l'ipotesi di collocare Fagifulae (che pure
andrebbe posizionata, per ragioni migliori, decisamente più a valle e precisamente in quella
zona pianeggiante posta al confine con Petrella) alla contrada Faifoli dell'agro di Montagano,
perché non ritenere le analoghe motivazioni, oltre tutto qualitativamente e quantitativamente
più puntuali, altrettanto valide a posizionare Tifernum in quel sito posto alla sinistra del
Biferno che è Colle Ginestra, contrada limosanese tra Cascapera, Ferrara e Monte Marconi
(o Mercurio)?
E che tale insediamento, e solo esso, sia da identificare con la liviana "Tiphernum" e non con
altri, oltre alle cennate motivazioni etimologiche ed alle analoghe ipotesi proposte con
continuità ed 'ab antiquo' dagli storici (v. le note 4, 5 e 6), vi sarebbe la stessa omonimia col
nome del fiume Biferno, già "Tiferno".
E se mutamenti di media o di lunga durata si verificarono, gli unici possibili possono essere
riferiti solamente ad un più che probabile 'spostamento' più in alto dell'insediamento abitativo,
dopo le distruzioni ed i saccheggi (ultimi, si diceva, quelli seguiti alla guerra sociale), da
Ferrara, che da questo momento rimane una semplice 'statio', verso Cascapera (a Colle
Ginestra ed a Monte Marconi), dove, da ora, viene riorganizzata una struttura da villaggio
13
urbano intorno all'area di un preesistente 'santuario' sannita sito in quest'ultima contrada e
che era, al momento, in uno stato di avanzata decadenza.
Anche la storiografia più recente non solo non esclude l'ipotesi, ma al contrario pare si stia
sempre con maggiore decisione orientando verso di essa, della contemporanea esistenza dei
due insediamenti, allorché inizia a riconoscere la validità e l'opportunità di prendere in
considerazione "se l'abitato (di Fagifulae) non avesse strutture analoghe a quelle di 'Ferrara',
un centro fortificato poco noto posto presso Lucito di cui si conosce un solo circuito murario
disposto a mezza costa, ma di cui sono segnalati altri terrazzamenti più a valle; i dati raccolti
fanno infatti ritenere che il municipio romano sia stato sovrapposto ad un centro italico le cui
strutture avranno condizionato non poco ogni eventuale adattamento agli schemi urbani
romani, sempre che ciò sia possibile"7.
1.2 - Il proto-Cristianesimo
Parallelo al corso del fiume Biferno e solo a qualche centinaio di metri alla sua sinistra, come
dicono i documenti, è 'ab antiquo' esistito un tracciato di strada8, che è lo stesso che,
rappresentato anche nella 'Tabula Peutingeriana'9, andava "da Bovianum a Larinum. Questa
strada viene riportata nella Tabula Peutingeriana secondo il seguente tracciato:
Bobiano (Bojano)
XI
Ad Canales
VIII
Ad PYR(um)
IX
Geronum (Gerione, abitato scomparso presso Casacalenda)
VIII
Larino (Larino)
E' forse da identificare con la òdòs Samniou ricordata da Procopio di Cesarea (B.G., VI, v, 2)
a proposito della guerra tra Goti e Bizantini, allorché Zeno, per recarsi a Roma, attraversò il
Sannio per raggiungere la via Latina"10.
7
DE BENEDITTIS G., Fagifulae, in AA.VV., Samnium - Archeologia del Molise, Roma 1991, pag. 259.
Troppo asservita alla campanilistica esigenza di privilegiare l'ascesa di Campobasso, come e nel mentre
diventa la città-capoluogo della 'Provincia', l'ipotesi, proposta dal ROMANELLI e seguita da altri studiosi, che
pretende di farla attraversare dall'antico tratto stradale, da un lato, e, dall'altro, caratterizzata da eccessivo e mal
celato bisogno di apparire ad ogni costo 'originale' la recente ipotesi di CARROCCIA M. (v. Strade ed
insediamenti del Sannio in epoca romana nel segmento V della tabula Peutingeriana, S. Elia Fiumerapido 1989)
perché possano spiegare con la necessaria imparzialità i fatti della storia e, così, essere condivise.
La prima ricostruisce il tracciato della strada che collegava Bobiano (Bojano) a Larino, collocando le due
stazioni intermedie, indicate nella Tabula, di "Ad Canales" nei pressi di Campobasso e di "Ad PYRum" vicino
a Campolieto; venendo in tal modo tenuti completamente isolati il 'municipium' di Fagifulae e tutta l'area
fagifulo-tiferniana, riteniamo non essere da condividere.
Per Carroccia "Ad PYRum" è da identificare con Taverna S. Pietro posta all'incrocio del tratturo CelanoFoggia con il fiume Sangro, "Ad Canales" con Taverna Canale in località Cerreto di Carovilli e Bobiano con
Pietrabbondante. Anche questa seconda ipotesi, completamente fuorviante, riteniamo, proprio in quanto tale, di
non doverla condividere.
9
Essa (v. DE BENEDITTIS G., Appunti sulle fonti classiche relative alla viabilità romana nel Sannio, in AM
1988, II, pag. 13-15) è la "riproduzione del XII sec. di una carta stradale dell'impero romano del IV sec. d.C. (ed
è) detta Peutingeriana da Konrad Peutinger (1465-1547), dotto umanista tedesco a cui (ne) dobbiamo la
scoperta".
10
DE BENEDITTIS G., Appunti... cit. La via Latina "da Roma menava a Cassino", proseguiva sino alla statio
'ad FleXUM' (S. Pietro Infine), dove si biforcava e "con un ramo di 13 miglia andava a Teano sulla via Appia, ed
8
14
Sul tracciato della strada alla sinistra del fiume i siti delle due prime stazioni intermedie del
percorso disegnato nella Tabula vanno così posizionati: 'Ad Canales' nella contrada "La
Canala" di Castropignano e 'Ad PYR(um)' nei pressi di "Ferrara" non lontano da
'Cascapera'. Già in nota 5 abbiamo detto della evidentissima affinità etimologica, che,
sconosciuta al Mannaert (MANNAERT Konrad, Geographie der Griechen und Romer,
Nurnberg 1799, tomo IX, parte I, pag. 804) che per primo propose tale ipotesi, ne costituisce
indubbiamente ulteriore elemento di prova.
Relativamente all'agro di Limosano, quella strada, che lambiva l'antico "ponte a fabbrica, che
contava l'epoca della sua fondazione con quella dell'Impero di Adriano"11, era ancora attiva
nel XIX secolo, quando, per la direzione 'a monte', è documentata "l'esistenza della via detta
Spinillo, la quale mettendo capo nella strada de' forestieri serve al passaggio degli abitanti
suoi (= di Limosano) non pure ma di molti altri comuni"12, e, per la direzione 'a valle' viene
attestato che "ha da tempo remotissimo sempre esistito una pubblica strada,..., quale strada
conduce al distrutto Ponte, e quindi va a riunirsi alla parte sinistra con la strada dei
Forestieri, che passando per le falde di Fiorano mena all'ex feudo di Ferrara, ed indi alle
Comuni di Lucito, Civita e Lupara ed in avanti fino all'Adriatico"13.
Era sempre attiva durante il XVII secolo, quando "ad preces et pro parte Pompei Capillo
etatis annorum octuaginta duo, Francisci Minicuccio etatis annorum nonaginta, Donati
Donatelli etatis annorum septuaginta, Dominici Fracasso etatis annorum sexaginta, Pontij
Marchetta etatis annorum sexaginta octo, Antonij Marc'Antonio annorum septuaginta
quinque, Joannis Antonij de Amico annorum sexaginta, Francisci Marinaccio annorum
septuaginta quinque, Aloisij Busso annorum sexaginta, Francisci Corvinella annorum
sexaginta, et Petri Antonij de Lucito annorum quinquaginta quinque incirca,..., Civium et
Hominum magis seniorum, et expertorum dicte Terre Limosani" viene attestato "come nel
luogo detto li Patrisi pertinente di d.a Terra di Limosano vi è, et è stata sempre una Strada
publica, per la quale si andava, e si và nel Bosco di Ferraro, come nella Terra di Lucito,
della Civita, et altri luoghi publici circonvicini, e detta Strada se la ricordano dà che hanno
havuto l'uso della raggione, et hanno Inteso dà loro Padri esservi stata sempre d.a Strada,
per essere Strada antichissima, non ritrovandosi memoria dà che fusse cotal Strada
fatta,..."14.
Sempre ad essa, certamente attiva nei secoli precedenti, va riferito quel 'nodo' di strade, posto
a Cascapera, sulle quali insistevano alcuni "antichi termini lapidei, che di consenso delle parti
con publico istrumento del 1547 e 1744 si erano posti per designare i confini de' territori in
quistione fra i due limitrofi"15 di Limosano e di S. Angelo. Erano esse la "Strada Publica
chiamata del Procaccio, che entra al Termine della Crocella, passa per Fonte Murato et escie
un ramo di 16 miglia menava a Venafro" (MASCIOTTA G.B., Il Molise..., ristampa Campobasso 1988, I, pag.
68). La via Frentano-Traiana correva lungo la costa adriatica da Aterno a Teano Appulo. Entrambe queste vie
erano raggiunte da arterie stradali minori che toccavano tutti i 'municipia' siti nel territorio dell'attuale Molise.
11
Dalla 'Relazione' dell'Ing. Berardino MUSENGA (14 ottobre) all'Intendente di Molise, nella quale si
descrivono i danni provocati dall'alluvione del 21 settembre 1811. Con ogni probabilità il ponte, per il cui
rifacimento, probabilmente dopo l'alluvione del 1621, quando, "a detta di Galanti e Perrella, nel Molise la
pioggia cadde ininterrottamente per quattro mesi ed il Biferno impazzì" (v. TASSINARI S., Biferno il fiume che
era Dio, in MOLISE n. 1, giugno 1992, pag. 36), è documentato un intervento dell'Orsini, venne costruito per
'unire' l'area fagifulana con quella di Tifernum.
12
ASC (= ARCHIVIO DI STATO di CAMPOBASSO), Intendenza di Molise, B. 575, f. 10. Allegazione
Forense "Per Comune di Limosano...", Napoli 1836, pag. 8.
13
ASC, Intendenza di Molise, B. 574, f. 9. Attestazioni dei Sindaci di Limosano, Montagano, Petrella, S. Angelo
Limosano e S. Biase, tutte del 1834, allegate in copia autenticata alla nota del 29 settembre 1836 del Sindaco di
Limosano all'Intendente di Molise.
14
ASC, Protocolli Notarili, Not. CARRELLI Giandonato di Fossaceca (Fossalto), atto del 4 ottobre 1697.
15
ASC, Atti demaniali, Limosano, B. 1, f. 2. Allegazione Forense del 25 gennaio 1810 dell'Avvocato Antonio de
Giacomo.
15
alla Strada Langianese"16 e, per l'appunto, la 'Strada Langianese'.
E quest'ultima non senza ragioni ben potrebbe essere la stessa, che nella Tabula Peutingeriana
è rappresentata con quel "segmento che sembrerebbe raffigurare (fatta salva la possibilità di
un errore del copista medioevale) una ulteriore arteria che collegherebbe Aufidena (nota: e
perché non altri luoghi dell'Abruzzo?) con la località Ad pyrum"17.
E, mentre la "Strada Publica del Procaccio", che passava "distante da Limosano da circa
miglia quattro" (ed, essendo Limosano distante circa altre quattro miglia da Castropignano,
verrebbe confermata anche la distanza delle 8 miglia tra le due stazioni di 'Ad Canales' e 'Ad
PYRum'), serviva "per il passaggio del Procaccio allorché da Campobasso si recava nel
Vasto", la "Strada Langianese", dopo aver attraversato Monte Marconi e toccato il Bosco
Fiorano, passava per l'abitato di Limosano, scendeva alla "Pera Corcorilli" (dove, ancora nel
1739, "la strada publica era detta delli Lancianesi") e permetteva di raggiungere sia il 'Ponte'
che il 'passo della Covatta'.
Era sicuramente attiva quando Papa Leone IX, proveniente da Montecassino, la percorreva
nei primi giorni di giugno del 1053, e, "cum... contra Apulie fines pergens, vel intra
Beneventarum Principatum, in loco Sale iuxta Bifernum fluvium..." si fermò il 10 di quel
mese e vi tenne un grande 'placito' sette giorni prima della sconfitta (17 giugno) di Civitate.
Quel "loco Sale iuxta Bifernum fluvium", incomprensibilmente ritenuto 'sconosciuto', è
senza dubbio da posizionare in agro di Limosano, coincidendo con l'omonimo 'Corpo'
feudale, "qual è di tomuli mille, e cinquecento incirca"18: "li Territorij detta la Sala è
terminata dell'infratto modo: Incomincia alla Strada publica dello Fiume nominato Biferno,
quale strada se nomina lo passo della Covatta, e se ne vene sempre per la strada publica suso
in sino alla strada che si piglia per andare alla Fonte della Valla (nota: moltissimi elementi
fanno ritenere che questa 'fonte' coincida con la "Fonte dello Sbirro", che sta scomparendo
dalla geografia limosanese), seguitando per lo Frattale traverso, che esce sotto detta Fonte, e
se ne vene sempre strada in sino à Fonte Faucione alla Confina, che è fra S. Angiolo, e
Limosano, e del resto confina da ogni banda con lo Casale di Castelluccio e Territorij di
Fossacieca"19.
I limosanesi di allora a ricordo dell'avvenimento vi eressero un "Casalenum ecclesie dicte de
Sancto Leone", che il 17 agosto 1595 risultava ancora esistente ed era "situm et positum ubi
Vulgo dicit La piana Sancto Leo iuxta flumen Bifernj (si noti la coincidenza delle
espressioni) et Confinia Terre Limosanj et feudi Casalis de Castell(ucci).o"20. Al presente
quella contrada con evidentissima 'alterazione' linguistica si chiama "Piana Santa Lena", che
nella forma italianizzata, e la 'corruzione' è ancora più visibile, è diventata anche la "Piana S.
Elena".
Era essa attiva durante il VI secolo d.C., quando la attraversò, già lo abbiamo detto seguendo
il De Benedittis, l'imperatore Zenone.
Era attiva il 24 ed il 25 gennaio del 49 a.C., quando la percorse Pompeo, inseguito da Cesare,
durante la guerra civile.
Era attiva nei primi giorni di ottobre del 217 a.C., quando vi passò Annibale, che da Capua e
dall'agro del Falerno intendeva raggiungere Geronio per accamparvisi e svernare prima della
Battaglia di Canne (216 a.C.).
Fu, perciò, certamente la disponibilità e la percorribilità di quell'arteria stradale a favorire
16
ASC, Protocolli Notarili, Not. SANTORO Francescantonio di Fossaceca, ma nativo di Limosano, atto del 8
luglio 1596.
17
DE BENEDITTIS G., Appunti... cit.
18
ASC, Protocolli Notarili, Not. AMOROSO Francescantonio di Limosano, atto del 27 giugno 1752.
19
V. nota 16 e ASC, Protocolli Notarili, Not. JAMONACO Michele Silvestro di Limosano, atto del 7 gennaio
1768.
20
ASC, Protocolli Notarili, Not. DI RIENZO Giavan Pietro di Fossaceca, atto del 17 agosto 1595.
16
l'arrivo dei presbiteri-predicatori delle innovative dottrine cristiane a Tifernum, prima che in
altre località della media valle, se non già dalla fine del I secolo, almeno sin dagli inizi del
successivo. Vi si allungavano da Saepinum e da Bovianum, dove, per la strada lungo il fiume
Tammaro, arrivavano provenienti da Benevento, qui giunti nel loro risalire la Via Appia da
Brindisi a Roma21.
Erano in ciò agevolati, oltre che dalla strada, dalla posizione stessa di Tifernum, avendo
questo insediamento una collocazione di certo più decentrata rispetto a Fagifulae,
"municipium" e centro amministrativo ufficiale. Il fatto poi che fosse anche meno accessibile
e, perciò stesso, poco controllabile dalle autorità (anche a Roma i centri di culto, i punti di
riferimento e le stesse catacombe del primo Cristianesimo erano situate lontane dal 'centro',
alla periferia e lungo le principali arterie stradali) vi favorì l'organizzazione di una comunità e
delle prime strutture, più o meno clandestine, della nuova fede.
La penetrazione di quella religione e delle sue idee rivoluzionarie, specie nel sociale, accolte
come elemento coagulante di attenzioni per rifiutare la non gradita romanizzazione, venne
senza dubbio facilitata dalle difficoltà incontrate da quest'ultima e, per Tifernum, dal suo
sentimento di ostilità verso Fagifulae, in quanto preferita dalle autorità.
Tutte queste condizioni favorevoli portarono alla formazione di una vera e propria comunità
cristiana, guidata dal suo 'presbitero (= anziano)' e da alcuni 'diaconi (= servitori)'. Quella
'ecclesia (= riunione)', in quanto riferibile ad un 'municipium' (anche se civilmente lo era
Fagifulae) e ad un suo ben preciso ambito territoriale, venne assegnata alla amministrazione
di un 'episcopus (= amministratore)', che nel tempo diventa il capo del relativo distretto o
"diocesi".
Questa, la diocesi di Tifernum, infine, nata nel corso del II secolo come "tifernate",
maggiormente diventa ed è tale allorché, a partire dal IV secolo (Fagifulae lentamente inizia
ad uscire dalla scena della Storia), il Cristianesimo diventa la religione 'ufficiale' dell'Impero e
la Chiesa con la sua gerarchizzazione verticistica viene appropriandosi del territorio e si fa
struttura organizzata, iniziandosi lo spostamento verso di essa della titolarità patrimoniale, cui
gradualmente seguirà anche quella demaniale, dalla istituzione 'stato' sempre più
burocratizzato e sempre meno presente.
Alla esistenza "ab antiquo" della diocesi e dell'episcopus "tiphernatium" (= dei 'tifernati'; e
ciò, si noti, nella duplice accezione di abitanti di una ben precisa e ben determinata area e di
entità contrapposta all'altra dei 'fagifulani') porta una implicita conferma anche l'opinione
corrente, secondo la quale "le diocesi molisane documentate negli albori del Cristianesimo
sono quelle di Venafro, Isernia, Trivento, Bojano, Sepino e Larino" 22, centri tutti sede di
'municipium'. E perché escludere dalla 'logica' precisa di quella "ratio historica" il
'municipium' di Fagifulae, quando già per altro verso si ammette che della diocesi di
Limosano (o, che è lo stesso, di Tifernum) "la prima consacrazione ricordata dal testo (nota:
del documento rinvenuto dal Kehr, di cui si riferirà in seguito) potrebbe essere riferita ai
primi secoli del Cristianesimo"? Del resto, "ciò potrebbe essere giustificato dal fatto che
Limosano sorge entro i limiti giurisdizionali del municipio romano di Fagifulae",
specialmente adesso che con la nostra ricostruzione si riesce a ben superare quella supposta
difficoltà, per cui "il documento avrebbe indicato Fagifulae e non Limosano"23.
21
La ricerca storica, pur caratterizzata da episodicità e frammentarietà oltre che da una visione della verità
deformata dall'esclusivo amore per il proprio campanile o dal solo interesse di parte, già da tempo indicava come
"un discepolo - come è tradizione - del Principe degli Apostoli portò la fede evangelica ai Boianesi" (DI FONZO
L., Memorie cristiane e francescane di Bojano..., in L'Avvenire, Roma, del 6 febbraio 1941, pag. 3) e, più
generalmente nel Sannio Pentro, proveniente da Benevento, che, probabilmente con Fotino, già "nel primo
secolo ebbe il suo vescovo" (TIRABASSO A., Campobasso sacra, Campobasso 1929, pag. 7).
22
DE BENEDITTIS G., Repertorio... cit., pag. 30.
23
V. nota precedente.
17
D'altronde la scarsa e scarna documentazione esistente (e per la diocesi di Tifernum essa è
non più, ma neanche meno, abbondante che per tutte le altre del Molise) già faceva scrivere al
Gasdia che "il Lanzoni,..., identifica Tifernum con Città di Castello; ma se questa città è la
nostra sannita, dirò che essa ebbe due vescovi..."24.
Così è anche all' "episcopus tiphernatium", in quanto titolare di una di quelle "molte diocesi
nel Molise esistite sin nei primi tempi del Cristianesimo (IV e V secolo)" e come uno dei tanti
esponenti delle "diocesi per Samnium", che "nel 459 Papa Leone I dirige una sua lettera
pastorale"25, che denuncia devianze e modi di vivere pagani.
Sempre così è che "... S. Florido, vescovo di Tifernum, e Amanzio sono due ecclesiastici
dell'antica Tifernum"26.
E da quella stessa Tifernum, posizionata in agro di Limosano, arriva quell' Eutodius o
"Eubodius, 'episcopus tifernas'"27, che partecipa al Concilio tenutosi a Roma nell'anno 465, e
del quale riferiscono documenti dell'archivio vaticano.
1.3 - Le vicende altomedioevali
Sin dal IV secolo e, con conseguenze sempre più evidenti, dal successivo si ha che iniziano a
verificarsi eventi e fenomeni tali da determinare sconvolgimenti radicali nell'organizzazione
sia del territorio che della società. Di quelli riferibili all'area della media valle del Biferno
cause ed effetti si intersecano talmente tra di loro che, in seguito, non riuscirà più possibile
individuarli. E difficoltosa sarà anche la loro definizione identificativa vuoi per l'estremo
degrado che ne seguì e vuoi per la scarsità della documentazione lasciata dai contemporanei.
Ma quali furono quei 'fatti' e quale il loro impatto?
Pur in mancanza di notizie certe, pare possibile pensare che "in seguito al terremoto del 346
che colpì gran parte delle città di questa regione"28, il Sannio pentro e, nel nostro specifico,
anche l'intera area del medio Biferno quasi certamente ebbero a soffrire danni tanto gravi da
essere ridotti a cumuli di rovine. Degli altri eventi sismici, "che interessarono la nostra
regione negli anni 69, 324, 344 e 369"29, si hanno solamente notizie e tracce sbiadite; la
mancanza di documentazione, tuttavia, non deve indurre a sottovalutarne effetti e
conseguenze, specie se si considera l'elevato grado sismico della zona.
E', inoltre, assai probabile che i grandi cambiamenti climatici, collocabili tra il V e l'VIII
secolo, abbiano avuto come effetto, con l'abbassamento della temperatura terrestre, il ripetersi
di frequenti alluvioni e, conseguentemente, di fenomeni franosi tali da provocare
'sbarramenti' allo stesso fiume Biferno.
Potrebbe, in tal modo, attribuirsi ad un macro sbarramento da frana del Biferno (di recente,
nel marzo del 1996, in contrada Covatta se ne è verificato uno analogo; le cui conseguenze,
però, sono state quantomeno mitigate dagli interventi dei mezzi resi disponibili dal progresso
tecnico) sotto a Dirriporri ed a Ferrara, in direzione di Petrella, la formazione di quell'invaso
lacustre, paludoso e malarico (ipotizzato anche dal Galluppi), che quasi certamente fu
24
GASDIA V.E., Storia di Campobasso, Verona 1960, pag. 192. L'opera, cui si riferisce il Gasdia è: LANZONI
F., Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII (604), Faenza 1927.
25
FERRARA V., La diocesi di Trivento..., in AM 1987.
26
S. GREGORIO MAGNO, Dialoghi, III, 35.
27
LANZONI F., op. cit. alla nota 24, pag. 482 e segg.
28
DE BENEDITTIS G., Bovianum e il suo territorio: Primi appunti di topografia storica, Salerno 1977, pag. 33.
29
PARI P., Aspetti della sismicità storica del Molise fino al 1899, in AM 1993-94, pag. 143. Altro evento
sismico di rilevante proporzione fu quello del giugno dell'847 sicuramente con epicentro nel Sannio (le
coordinate epicentrali stimate sono: 41°30' di latitudine e 14°18' di longitudine), "al quale si attribuisce
un'intensità pari al X grado della Scala Mercalli". Da esso, al dire di BARATTA M. (I terremoti d'Italia, Torino
1901, pag. 15), "Isernia fu quasi interamente distrutta con grande numero di vittime".
18
responsabile sia della scomparsa di Fagifulae che delle radicali trasformazioni nella geografia
fisica e sociale della valle, che ne seguirono. A tale fenomeno potrebbe farsi risalire anche la
formazione di quella 'pianura', di evidente origine alluvionale, estesa nell'agro di Limosano
alla "Piana del Ponte" ed alla "Piana Donatelli", che trova corrispondenza e quasi prosegue
dall'altro lato del fiume, dove era appunto situata Fagifulae, come farebbero ipotizzare tutti
quei rinvenimenti archeologici ivi avvenuti nella proprietà, attualmente, Caserio.
Di eventi consimili (che certamente non furono, né è possibile siano stati, i soli) relativamente
più recenti e dei danni da essi provocati, oltre a quello della contrada Covatta, abbiamo
appena qualche notizia 'certa' tanto dell'alluvione del 1621, quando, "a detta di Galanti e
Perrella, nel Molise la pioggia cadde ininterrottamente per quattro mesi ed il Biferno
impazzì"30, quanto di quella del 1811, più nota, che, oltre alle numerose vittime ed agli
ingentissimi danni, fece crollare anche l'antico "ponte a fabbrica" di Limosano31.
A tali fenomeni, che contribuirono ad accelerarla, si coniugò il lungo ed acuto momento di
una fase di profondissima regressione demografica. Questa, le cui cause, molteplici e
complesse (con sintesi estrema: la rivoluzione sociale, che privò nel lungo periodo il sistema
produttivo dell'apporto gratuito della manodopera degli schiavi, portata nella cultura classica
dal primo Cristianesimo, che però con lo strutturarsi nella organizzazione 'Chiesa' perse la sua
primitiva connotazione rivoluzionaria per assumere nell'alto medioevo lo stesso ruolo dello
'stato' romano; la concentrazione, favorita dalle frequenti svalutazioni, della massa monetaria
circolante nella disponibilità di pochi; le frequenti crisi di sottoproduzione delle derrate
alimentari, per la concorrenza della periferia dell'impero al centro, dovute al mutato sistema
socio-economico introdotto dalla romanizzazione), venivano da lontano, fece sì che del
Sannio, che amministrativamente non subì variazioni di rilievo almeno sino ai primi anni del
VII secolo, "civitates cum suis territoriis deserta erant" e "omnis haec regio vacabat
habitatoribus rarusque viator aut agricola videbatur"32.
Il punto più basso della crisi demografica ed economica lo si toccò, dopo la guerra grecogotica, con la terribile carestia tra il 565 ed il 57033.
Pure allora, come tante altre volte e come ancora nel 1764, "...il marito ave abbandonata la
moglie ed essa il marito i Figli alli Padri ed essi alli Figli: In molte Terre per la fame
mangiavano carne di somari morti sinnache (si) mangiava la pelle o sia cuoio di detti somari
morti, pelle di animali, che si servivano per stivali intorno alle gambe, Pelle di capre, che
stavano nei crivelli che servivano a cernere grani. Tagliavano orecchie di somari e li
cuocevano per cibarsi. Mangiavano ossi di olive ed altri ossi di animali morti li pistavano e
se li mangiavano. Con li miei occhi viddi mangiare in S. Biase Feccia di botte ed altro che
non mi sovviene. E finalmente in questa Terra (di Limosano) si ave ridotto a mangiare alcune
genti sterco di uomo, quando andavano dal Corpo di sotto alle Ripe del Palazzo Marchesale.
E che i figli del fu Donato di Egidio Greco ammazzavano li cani, e la carne di essi si
mangiavano;..."34.
Quel periodo di depressione, lungo ed oscuro, ebbe una durata plurisecolare, almeno sino
all'VIII secolo.
E' del tutto ovvio che in una tale fase regressiva l'incolto, la macchia ed il bosco si
appropriassero quasi totalmente dell'intero paesaggio, che aveva subito profondi cambiamenti
già col passaggio dalla produzione di sopravvivenza dei Sanniti a quella, romana, di
30
TASSINARI S., art. cit. alla nota 11.
V. nota 11.
32
PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, I, 5; e CHRONICON VULTURNENSE di GIOVANNI
Monaco, ed. FEDERICI 1925-38, II, pag. 85.
33
PROCOPIO DA CESAREA, La guerra gotica, II, 20.
34
ASC, Protocolli Notarili, Notaio Jamonaco M.S. di Limosano, annotazione ai Protocolli del 1763. La "Terra",
di cui il Notaio parla, è Limosano.
31
19
sfruttamento nel sistema delle 'villae' e dei 'latifundia', agricoli ed armentizi, mentre del
"territorio semensabile" e "laboratorio" restavano solo ridotte isole poste intorno ai pochi
insediamenti abitativi, minimi per dimensionamento e per numero di abitanti.
E tutti quei fenomeni-avvenimenti, fattori di regressione, si accompagnarono allo
sgretolamento, sotto i pesanti colpi inferti dalle diverse incursioni-dominazioni barbariche
"dei Visigoti (12 anni), dei Vandali (2 anni), degli Eruli (17 anni), dei Goti (circa 50 anni) e
dei Greci Bizantini (30 anni)"35, della forma amministrativa romana dei 'municipia'.
La riorganizzazione del potere, poi ed a partire dal 571, con l'evidenza del Ducato di
Benevento comportò nel territorio l'affermarsi di una organizzazione della campagna in tante
piccole unità autosufficienti, le curtes36, al cui emergere parteciperà non poco il monachesimo
che sta ora muovendo i primi passi.
Così è assai probabile che, scomparsa definitivamente Fagifulae, almeno in un primo tempo
fosse Tifernum (che da questo momento subisce la trasformazione dell'etimo in 'Bifernum'),
posta di parecchio più a monte di quella ed al centro di un'area, quella di Cascapera e
limitrofe, particolarmente fertile, a restare il solo punto di riferimento insediamentale per i
pochi abitanti rimasti. A partire, poi, dal VII secolo comincia anche il recupero di altre zone
all'agricoltura, grazie all'impulso di quelle strutture monacali, organizzate secondo la regola
benedettina dell' ora et labora, che, più di una, si situano sulle poco accessibili "morge (o
'pescli')" dell'intero agro attuale di Limosano, contribuendo in tal modo allo spostamento
dell'abitato, che si organizza intorno alla residenza vescovile ed alla cattedrale, verso
"Musane". Di alcune, almeno, di tali strutture, poste nell'agro di Limosano, abbiamo notizia e
sono: S. Illuminata, che sicuramente fino al giugno del 1109 è sotto la giurisdizione di S.
Sofia; S. Silvestro, che nelle Rationes Decimarum del 1309 "solvit TAR III" ed ancora nel
Catasto Onciario del 1743 è in "suolo di S. Soffia di Benevento"; l' "Ecclesia S. Martini in
castello Mosano", o "in Biferno", sempre sotto la giurisdizione di S. Sofia; S. Pietro "de Sale"
(trattasi del "loco Sale iuxta Bifernum fluvium", pertinenza del "Beneventarum
Principatum"), che, sempre nelle Rationes Decimarum del 1308-1310, "solvit TAR III"; e di
"Sanctae Crucis in Limosano".
Del resto, poiché i fattori di regressione, nel periodo che va dal VI all'VIII secolo, mai
avrebbero potuto favorire la nascita 'ex novo' di un insediamento urbano, quella della
continuità storica da Tifernum a Musane, più che una semplice ipotesi, diventa necessaria ed
insopprimibile realtà.
Sicuramente per affermare il potere (ma allora il 'civile' ed il 'religioso' erano intimamente
collegati) su una entità territoriale in ripresa e per esercitare il controllo sulla risorsa idrica
rappresentata dal fiume Biferno, nel novembre 774 (appena "appellatus est Princeps gentis
Langobardorum"), "nos vir gloriosissimus Adelchis, per rogum Melonis filii nostri, in
monasterio S. Sophiae, concessimus omnes illas dationes, vel pensiones quascumque servis
praedicti monasterii S. Sophiae..., nec non et in gastaldato Bifernensi concessimus
cortisanos, hi sunt Johannem et Walterium cun uxoribus et filiis suis, et omnibus sibi
pertinentibus: seu et unam sororem Judari. Hos autem cum integra portione eorum Sanctae
Sophiae Monasterio comcessimus possidendum. Item et in eodem gastaldato concessimus
Baccarios: hi sunt Grauso cum uxore et filiis; sed et norae et nepotes eius, et omnia eius
35
DI LALLO A., Petrella Tifernina..., Campobasso 1985, pag. 8.
"Pur modellandosi sullo schema delle antiche villae le nuove curtes se ne differenziano per vari motivi. Esse
sono ora quasi l'unico centro produttivo, hanno scarsissimi rapporti di mercato e tendono ad acquistare una
autonomia economica ed a produrre tutto ciò che serve alla comunità. In molti casi, inoltre, il nucleo centrale di
esse è un luogo fortificato. Infine tra i membri della comunità ed il signore si instaurano rapporti che non sono
soltanto relativi alla gestione economica della azienda, ma riguardano anche la vita politica e amministrativa e
l'organizzazione della difesa." Da VILLARI R., Storia medioevale, Bari 1971.
36
20
pertinentia: nec non et Sindonem cum uxore et filiis suis. Seu et Baccas in integrum qui
fuerunt Servi Rimichis, et de germano eius carpentarii nostri"37.
In tal modo e per la continuità storica, che si tenne anche tramite il "gastaldato Bifernense
(l'etimo 'Tifernus' si è già trasformato in 'Bifernus')", inteso come unità amministrativa e
territoriale civile coincidente con quella religiosa della diocesi "Tifernense-Musanense",
risulta giustificato che "riconosce Limosano i suoi principj dalla nobile famiglia de' Pantasij di
Benevento, da cui a relazion del Vipera, fatti furono i primi fondamenti delle mura. E perciò
come originarj di quella i suoi cittadini de' privilegj de' Beneventani godono in Benevento,
come dice mostrarsi per l'insegne, ed iscrizione, che stanno sopra la porta del Borgo di essa
Città"38.
Certamente a tali 'privilegj' fanno riferimento nel mese di maggio 1636 "l'Università et
particulari della Terra delli Musani, (quando) humilmente fando intendere alle SS.VV. (nota:
erano l'Ill.mo et Rev.mo Monsignor Vice-Governatore di Benevento et molto illustri et molto
eccellenti Consoli et Consiliari di detta Città) in questo pieno e spettabile Consilio, come
detta Università et li suoi cittadini sono stati da tempo immemorabile trattati franchi et
immuni nella città di Benevento da qualsisia pagamento di datio, doghana et ogni altra
imposizione ordinaria che pagano li forestieri... et acciò che per l'avvenire non vi sia
novatione alcuna... presentano davanti le SS.VV. le fedi di dette loro franchitie, le quali fando
istantia si conservino con le altre scritture di detta Città ad futuram rei memoriam..."39.
Se è vero, come è vero, che durante l'alto medioevo "le diocesi coincidono, ricalcando in
molti casi i confini, con le ripartizioni dei municipi romani", l' episcopus tiphernatium ebbe
la sua giurisdizione sull'intera unità amministrativa che, nella media valle del Biferno, era
stata del municipium di Fagifulae; se è vero, come è vero, che "la presenza vescovile
conferisce il senso di città (intendendo per città 'tutti quei centri demici che hanno sentito se
stessi come tali e che come tali sono stati riconosciuti dai contemporanei')" ad un centro
abitato con la sua ben definita circoscrizione territoriale, essa sicuramente si tenne da quella
"Musane" (dove si era spostata da Tifernum), che ancora nel 1807 viene detta "questa Antica
Città di Limosano in contado di Molise"; se è vero, come è vero, che solo "le istituzioni
ecclesiastiche consentono il permanere di un minimo di amministrazione civile"40, questa
nell'ambito territoriale del medio Biferno la si ebbe solo con la coincidenza del "gastaldato
Bifernense" con la diocesi "Tifernate-Musanense"41; se è vero, come è vero, che "il termine
civitas, se scompare in parecchi dei centri urbani, in seguito allo scadimento generale della
vita cittadina, si mantiene sempre e solo per le città vescovili"42, esso rimane documentato ed
indubitabile appannaggio di Limosano, definita sempre nei documenti "olim civitas"; se è
vero, come è vero, che "consultando l'Ughelli-Coleti, non troviamo menzionati i vescovi di
Trivento dal 390 all'879, di Bojano dal 503 al 1011, di Isernia dal 450 al 758, di Venafro dal
499 al 1004, di Sepino dal 506"43 a mai più, per la diocesi "Tifernate-Musanense" il lasso di
37
UGHELLI, Italia Sacra, X, col. 438.
CIARLANTI G.V., Memorie istoriche..., III, pag. 222.
39
SAMNIUM 1975, pag. 102.
40
MANFREDI-SELVAGGI F.R., Il Molise nell'Età Altomedioevale: la struttura insediativa, in AM 1984, pag.
159 e seg. Di buon interesse, anche se vi andrebbe ridefinita l'intera rete viaria, il disegno di pag. 155, che
propone il 'Molise dei secoli VI-X'.
41
DE BENEDITTIS G., Bovianum... cit., pag. 36 e seg. "Va inoltre tenuto presente che se esiste un bovianensis
gastaldus nell'anno 860, è nota l'esistenza di un bifernensis gastaldus nel novembre del 774, entrambi dunque in
connessione con il fiume Biferno...; la diversa denominazione ci induce ad ipotizzare l'esistenza di due entità
territoriali distinte da ricollegare rispettivamente all'alto (bovianensis) ed al medio (bifernensis) corso del fiume
Biferno...". Si nota la maggiore antichità del gastaldato bifernensis.
42
DUPRE-THESEIDER G. Problemi della città nell'alto medioevo, in 'La città nell'alto medioevo', Spoleto
1959; citato da MANFREDI-SELVAGGI (v. nota 40).
43
RUOTOLO N., Il Castaldato di Boiano distrutto dai Saraceni, in SAMNIUM 1967, pag. 109 e seg.
38
21
tempo oscurato, che va dal 502 all'814 (v. paragrafo seguente), è il minore (dopo Isernia, che
la supera solo di 4 anni) di tutti quelli riferiti alle altre diocesi molisane.
Per tutto ciò, solo quell'entità rappresentata dalla diocesi di "Tifernum", che, come etimo,
passando dapprima per "Bifernum", diventa tra il VII e l'VIII secolo "Musane(nsem)" e che
ricopre la stessa area che sarà del "gastaldato Bifernense", verifica non solo tutte quelle
condizioni, ma riesce anche a 'riempire' il vuoto nella giurisdizione ecclesiastica che, se la si
cancellasse, caratterizzerebbe il territorio della media valle del Biferno, non assoggettato, o
assoggettabile, né a Boiano, né a Trivento e né a Larino. Tanto che, quando essa come diocesi
verrà meno, quell'ambito territoriale dipenderà direttamente da Benevento.
1.4 - Musane e la sua diocesi
Dopo il ridimensionamento, seguito alla scomparsa di Fagifulae, nel corso del VI (i
documenti parlano dell'episcopus tifernas ancora nel 502) o, più probabilmente, del VII
secolo, di Tifernum, che in questa fase, almeno come etimo, si trasforma per indicare il suo
ambito territoriale in Bifernum (e tale fenomeno è forse da imputare proprio alla mancanza,
dopo la decadenza, di un insediamento significativo in quell'area), già nel corso del VIII
secolo e, con certezza, agli inizi del IX, il centro urbano organizzato, che, come tale, riemerge
con maggiore evidenza e visibilità di altri nel territorio della media valle del Biferno, è
"Musane".
Esso, alla cui costruzione partecipano sia gli autoctoni e sia, come si è visto, Benevento (che
così intende controllare la risorsa idrica rappresentata dal Biferno, l'importante snodo viario e
la fitta rete di monasteri situati in quell'ambito) con quei cortisani e quei baccari (che ben
possono essere la stessa cosa che quella "nobile famiglia de' Pantasij", dalla quale "riconosce
Limosano i suoi principj"), cui era stato concesso dal Princeps Arechi nel 774, pur risultando
spostato (ed il motivo dello spostamento è la prerogativa, segno dei tempi, di maggiore
inattaccabilità del 'nuovo' insediamento) rispetto al sito dell'antica civitas di Tifernum, è
sicuramente ancora sede episcopale e di diocesi.
Dal "Provinciale Vetus", difatti, che il Migne riferisce a data compresa nel periodo di tempo,
che, partendo dall'anno 800, al più tardi arriva all'814, sappiamo che:
"In Samnio Metrop(olita). Benevent(an)um hos habet suffraganeos episcopos:
TELESINUM, S.AGATHAE, ALIFIEN., MONTIS MARAN.
MONTIS CORVIN., AVELLIN., VICANUM, FREQUENTIN.
ARIANEN., BIBINEN., ASCULEN., LICERINUM
TORTIBULEN., DRACONAR., WLTURAR., ATARIN.
CIVITATEN., TERMULEN., TOCCIEN., TRIVINEN.
BIVINEN., GUARDIEN., MORCON. et MUSANEN."44.
Circa l'eziologia dell'etimo di "Musane", da prendere in scarsa considerazione, in quanto
sembrano peccare di eccessiva elementarietà e superficialità, sono le ipotesi riportate o
proprie del Masciotta45.
44
MIGNE, Patrologia..., Provinciale Vetus sive Ecclesiae Universae Provinciarum Italiae Notitia - Cod. Dipl. Monum. etc., sive Cod. Carolinus, Seculum IX.
45
MASCIOTTA G.B., op. cit., II, pag. 200. "Quale, però, l'etimologia del nome comunale? Alcuni vogliono
rinvenirla in 'Limen-Samnii'; sennonché la topografia dell'antica e storica confederazione non è consenziente, sia
che il limite si voglia riferire ai Pentri ed ai Frentani, sia che si voglia determinare in rapporto ai Pentri ed ai
Caraceni. Noi preferiremmo piuttosto l'étimo 'Limus-satus' - cioè limo fecondo, terra sativa per eccellenza; ma è
da avvertire che siffatto étimo è nostra ideazione (e perciò punto autorevole), e da ricordare che Limosano è
chiamata 'Musanum' nelle più antiche scritture 'u Musano' del dialetto locale". Lo stesso Masciotta, quindi,
22
Scarsa attendibilità ci sembra avere anche quella ricostruzione46, che lo vorrebbe derivato dal
gentilizio latino 'Numisius', sottoposto, nel periodo lungo, a fenomeni linguistici di
corruzione.
Un suggerimento, tuttavia, ad orientare la ricerca nella direzione di una ipotesi ben precisa
viene da alcuni elementi, di certo molto originali, suggestivi ed interessanti, contenuti nel
brano che segue. "...In molti luochi (= conventi) fundati li centinaia d'anni prima che questa
santa Religione (= l'Ordine dei Frati Cappuccini, sorto tra il 1527 ed il 1528 ad opera di Fr.
Matteo da Bascio) havesse origine, si vedeno in esse depinte le figure del nostro Padre san
Francesco,... Del che chiaro testimonio ne dà primo una figura di esso Padre nostro depinta
nell'antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias Musane, così registrata
nella porta enea dell'arcivescovado di Benevento,..., la quale chiesa hoggi è posseduta da
padri Conventuali, apparendo nel choro di essa una simile imagine di un san Francesco, con
capuccio e corda come di sopra"47.
Almeno tre gli elementi che è possibile evidenziare. Il primo, di rilievo, è proprio la conferma
del fatto che l'etimo "Musane" indica l'insediamento sorto nel sito che ancora attualmente
occupa. Un altro è rappresentato dalla sua composizione con 'mu' (contrazione di 'homini') e
con 'sane' (derivato da 'sani'). Ma se 'sane', più che l'aggettivo 'sani', rappresentasse la forma
conclusiva di un processo linguistico, cui fu sottoposto la parola "Samnie", e 'mu', più che
dalla contrazione di 'homini', derivasse da "néos, a, on <genitivo: -ou> (= nuovo, recente)", si
avrebbe che "Musane" sta ad indicare "del nuovo Sannio", dove 'Sannio (o Sannia)'
rappresenterebbe quella città antica e sede di diocesi48, che tra gli studiosi si rivela, anche
oggi, di difficile localizzazione geografica. Una tale ipotesi, del tutto legittima e proponibile,
pur portando a differenziarsi dal testo, non contraddice l'altro elemento significativo, il terzo,
rappresentato dal preciso accenno all' "antico vescovado della destrutta città".
poneva seri dubbi sulla validità delle ipotesi riportate e su quella da lui proposta.
46
AA.VV. (Ed. UTET), Dizionario di Toponomastica, Torino 1990, voce 'Limosano'. "Quanto all'origine,... è,
invece, una formazione prediale da un personale latino Numisius (cfr. fundus Numisianus nella Tabula di
Veleia), con il suffisso aggettivale -anus e con dissimulazione di n con l, come aveva già visto Flechia 1874, 32
(cfr. anche Alessio 1963, 154-155; De Giovanni 1974, 198)". Gli autori citati sono: FLECHIA G., Nomi locali
del napoletano derivanti da gentilizi italici, Torino 1874 (rist. anastatica Bologna <Forni>, s.d.); ALESSIO G.,
Toponomastica storica dell'Abruzzo e del Molise, Napoli <Liguori> 1963 (dispense); DE GIOVANNI M., Studi
linguistici, Verona - Pescara <Anteditore - Istituto di studi abruzzesi>, 1974.
Anche una tale ipotesi di ricostruzione, che (e perché) non parte dalla radice dell'etimo da considerare, che deve
essere 'Musane' o 'Mesane', ma da 'lumusane' o lumesane', non sembra doversi condividere per le stesse
motivazioni che portano a non prendere in nessuna considerazione le proposte (v. nota 45) del Masciotta.
47
IASENZANIRO M. e BORRACCINO R. (Trascrizione e Introduz. a cura di), CHRONICHETTA de Frati
Minori Cappuccini della Provincia di S. Angelo di Puglia... compilata dal P. f. Girolamo da Napoli in Lucera di
Puglia l'anno del Signore 1615 (Manoscritto, il cui originale si trova in Biblioteca Sainte-Geneviève di Parigi,
ms 33,85), Foggia 1990, pag. 100.
48
PATTERSON J., Una città chiamata "Sannio", in AM 1990, pag. 17 e segg. Il Patterson propende a collocare
'Sannio' "ad fontem Volturni", dove cioè situa S. Vincenzo al Volturno. Si veda anche LANZONI, op. cit., pag.
263. Il Lanzoni (che cita anche: UGHELLI, X, 163; DUCHESNE, Les évequés d'Italie..., I, 104 e II, 397)
scrive: "...Nel VII o nell'VIII secolo forse questa diocesi scomparve, perché il Catalogus provinciarum Italiae
(Script. Rer. Longobar., p. 189), compilato in quel tempo, pone nella duodecima provincia d'Italia 'antiquitate
consumpta Sampnium'".
Una mano alla ipotesi, che qui si avanza e si propone, sembra venire dal seguente brano del DI MEO A. (Annali
del Regno di Napoli, Napoli 1795, I, pag. 70), che, relativamente all’anno di Cristo 575, recita: “… i Greci,…,
per aver seguaci dé loro errori innalzarono delle nuove sedi (vescovili)…; e che poi i Romani Pontefici
istituissero qualche nuova Sede, e molte altre ristabilissero. Pur tuttavolta in numero assai maggiore erano i
Vescovadi nel nostro Regno di quello, che sono al presente, primaché le tante, e sì doviziose Città di esso
venissero barbaramente sterminate dà Longobardi. (…), Mevania,…, Samnia…”.
Se nulla può dirsi circa la città di “Samnia”, non può non essere sottolineata la sorprendente somiglianza tra
‘Musane’ e/o ‘Mesane’ con “Mevania”
23
Quest'ultimo, tuttavia, di per sé importantissimo in quanto indicativo del fatto che "Musane"
riprende la funzione ed il ruolo di un'antica città "destrutta", verifica compiutamente anche
l'altra ipotesi, quella di Tifernum, "città destrutta" anch'essa e sede di "antico vescovado".
In tal caso, allora, "Musane", posta sulla grande massa tufacea al centro di diversi 'cenobi' o
monasteri, tutti, o quasi, pur essi situati sopra 'morge' e 'pescli', ben potrebbe aver tratto la sua
origine dal "magno saxo" di tufo, il più grande, sul quale fu costruita.
La derivazione, poi, da mésos (= nel mezzo, mediano, centrale), pur possibile in quanto parte
dall'altra forma dell'etimo ("Mesane", anziché "Musane"), privilegia la nuova posizione
dell'insediamento, riedificato, appunto, in mezzo ad altre emergenze, tutte, magari, dipendenti
da Benevento, e rafforza pure la credibilità dell'altra ipotesi.
Oltre ai menzionati elementi, quelle poche righe pare che evidenzino pure l'antichità, della
quale non pare più possibile dubitare, della diocesi "Musanensem S. Mariae" e del lungo
periodo, fatto di secoli, nel corso dei quali quella rimase, senza alcuna interruzione, attiva.
Perciò, se a 'Musane', centro urbano rifondato nel segno della continuità con Tifernum da una
scelta ben precisa del Principato di Benevento, venne da questo assegnata una funzione di
entità cuscinetto e di controllo sulle risorse strategiche di quella importante zona rappresentata
dalla media valle del Biferno, alla sua diocesi, oltre al puntuale scopo politico-aggregatore,
specifico delle istituzioni sia civili che ecclesiastiche in questa fase storica, si diede il compito
di far da riferimento e vigilare su una serie di notevoli evidenze monastico-economiche
posizionate lungo il fiume. Basti pensare, e diciamo solo delle più significative tra esse, delle
quali però tutto o quasi allo stato resta sconosciuto, a:
- S. Maria di Castagneto, "sita prope terram Casalium Cipriano" che, ancora nel 1309, "solvit
TAR XVIII" di 'rationes decimarum';
- S. Pietro "de Sale", che insieme a S. Benedetto ed a S. Maria, è detta anche "de Maccla
Bona";
- S. Illuminata, che nel 1109 passa, dopo essere stata sottratta a S. Sofia di Benevento con
manovre poco chiare, sotto la giurisdizione di Montecassino;
- S. Martino Vescovo sito "in castello Mosano" o, anche, "in Biferno" e Santa Croce;
- S. Silvestro, "in suolo di S. Soffia";
- S. Maria di Faifoli, chiesa "insigne" della diocesi beneventana;
- S. Angelo in Altissimis, monastero importante tra Lucito e Civitacampomarano.
Degli "episcopi" della diocesi di "Musane", che sta riappropriandosi del ruolo di quella di
"Tiphernum", di cui gli 'ultimi' titolari di cui corre notizia erano stati "Marius, episcopus
tiphernas", ed "Innocentius, episcopus tiphernatium", i quali la rappresentarono, il primo nel
499 ed il secondo nel 501 e nel 502, ai Concili tenutisi in tali anni a Roma, il seguente ne è il
datario essenziale e la cronotassi, che risultano forzatamente minimi non perché essa, la
diocesi, sia stata 'minore', ma solo perché, come scrive il Kehr (R.P.R. - Italia Pontificia, IX,
Berlino 1962, pag. 47), "de episcopatu Limosanensi notitiae inde a saec. XIII desiderantur...".
Rif. Temporale
Avvenimento e (…) Fonte49
49
(a) V. nota n. 44.
(b) Albini et Cencii Libris Censuun S.R.E., II 103-109; e FABRE-DUCHESNE in Bibl. des écoles Francaises
d'Athénèe de Rome, II Serie, Paris 1910. Vedansi anche gli Antichi Provinciali, citati sempre ed in modo
particolare da SARNELLI P., Memorie Cronologiche de' vescovi ed arcivescovi della S. Chiesa di Benevento,
Napoli 1691. Il Sarnelli, dotto ed informatissimo in quanto per diverso tempo ha potuto consultare i documenti
degli archivi (ecclesiastici e non) beneventani, scrive testualmente: "leggesi registrata (la diocesi di Limosano)
in tutti gli antichi Provinciali".
(c) PIEDIMONTE G., La Provincia di Campobasso - cenni storici, Aversa (Caserta) 1905. Il Piedimonte dice di
aver ricavato le notizie da una "antica Pergamena", della quale, però, sicuramente di provenienza 'ecclesiastica'
e quindi attendibile, non indica altro.
(d) CAPPELLETTI G., Le Chiese d'Italia, Venezia 1845, VIII, pag. 71 e 147.
24
tra 800 e 814
Secc. IX e X
anno 1040
anno 1060
anno 1063
anno 1085
anno 1099
anno 1102
anno 1110
anno 1130 - '38
anno 1153
anno ????
anno ????
anno 1175 (o 1179)
anno 1192
anno 1250 ca.
anno ????
anno 1303
Esistenza della diocesi (a).
Esistenza della diocesi (b).
FOTINO è vescovo (c).
GIOVANNI (c) e (d).
GISOLFO (c).
BENEDETTO (c).
CELIO (c).
ROFFREDO (c).
GREGORIO (c) e (e), il primo con tale nome.
GREGORIO, diverso dal precedente, nominato (v. paragrafo
seg.) dall'anti-papa Anacleto, mentre è vescovo HUGO(ne).
Soppressione della diocesi (f).
Ripristino della diocesi (g).
RAHONE (l, foglio 183a; testimonianza P.sb.ri Guillelmus
de Rogerio de Limosano al Processus).
Nuova soppressione della diocesi (h).
Nuovo ripristino della diocesi (f).
Esistenza della diocesi (f).
Nuova soppressione (i).
Richiesta di ripristino e Processus (l).
Che il "procedimento svoltosi nel 1303" avvenga nello stesso anno della morte di Bonifacio
VIII, il pontefice che aveva 'costretto' alle dimissioni papa Celestino V, e
contemporaneamente al fenomeno dei 'Fraticelli', che caratterizza il Molise centrale di questo
fase storica, non sembra essere circostanza fortuita o casuale.
A partire dagli avvenimenti che coinvolsero Gregorio, il vescovo della Chiesa di S. Maria
nominato (o meglio: fattosi nominare) dall'antipapa Anacleto (v. paragrafo seguente), mentre
il titolare 'ufficiale' della diocesi, che, però, costretto, era rimasto ad esercitare dalla Chiesa di
S. Stefano, era Hugo(ne), non si hanno più i nomi dei presuli limosanesi, se non di quel
Rahone, per il quale, in quanto (v. f. 207r) visto dal padre dello "Judex Berardus (filius)
Judicis Rogerij de limosano" ed in quanto (v. f. 183) sempre indicato e nominato dopo
(e) Opinione largamente diffusa tra gli studiosi che si sono occupati della diocesi di Limosano. Di Gregorio
sappiamo che fu monaco di Montecassino, "come si ha nel Catalogo degli uomini illustri di quel Monastero (v.
CIARLANTI G.V., Memorie historiche..., III, pag. 222)". Si noti, al riguardo, che l'anno prima (1109) il
Cenobio di S. Illuminata, sito nella immediata vicinanza di Limosano, era passato nella giurisdizione di
Montecassino.
(f) MARRA G., Precisazione della data della Porta di Bronzo del Duomo di Benevento, in SAMNIUM 1959,
pag. 211.
(g) Se effettivamente vi furono le soppressioni del 1153 e del 1179 (o del 1175), necessariamente tra le due date
va collocata una 'reintegratio'.
(h) VITI A., Note di diplomatica ecclesiastica sulla contea di Molise..., Napoli 1972, pag. 164. Il Viti,
riferendosi al Concilio Laterano III, indetto da Papa Alessandro III e tenutosi, con la partecipazione di circa 300
vescovi, dal 5 al 19 marzo 1179, scrive che "in tale assise si deliberò, tra l'altro, la soppressione del vescovado di
Limosano...".
(i) Vale l'argomentazione della nota (g).
(l) Collettanea n. 61 Archivio Vaticano - Notiziario di Gottingen - Nachrachter 1303. Il Processus si concluse
con il mancato accoglimento della richiesta, perché ufficialmente nella 'civitas' di li=Musani mancava l'acqua e
perché i beni terrieri della mensa episcopale erano carenti di legna per il riscaldamento.
Dobbiamo annotare che nella ricostruzione abbiamo volutamente, più che i classici UGHELLI-COLETI, Italia
sacra, e LANZONI, Le diocesi d'Italia..., privilegiato gli autori collegati, nelle loro ricerche, in vario modo ed a
diverso titolo alla storia ed alle vicende di Benevento, essendo Limosano 'suffraganea' della diocesi di tale città.
25
Gregorio nei 'Processi' (v. nota 49-l e nota 63), ne va ipotizzata la presenza sulla cattedra
limosanese o tra il 1153 ed il 1179 oppure verso il 1250, anno in cui è provata l'esistenza della
diocesi.
Anche questo è mera casualità? O, come pare più probabile, tale circostanza deve essere
collegata proprio a quel 'fatto'? Gli scontri, poi, tra la fazione guelfa e filo-papale con la parte
ghibellina e filo-staufica di Federico II, di certo entrambe fortemente presenti a Limosano,
quale influenza ebbero ad esercitare sulle vicende della istituzione ‘diocesi’?
E' assai probabile che ad un tentativo, dettato da esigenze che non saranno più avvertite in
futuro, di un processo riabilitativo e, comunque, teso a riportare alla luce verità in qualche
modo precedentemente 'occultate' fa riferimento l'episodio riferito dalla "fides pubblica per
Liberum Longo Terre li=Musanorum pro Ven.li Ecclesia Sancti Stephani", con la quale il
quasi settantenne Longo testimonia come nel mese di luglio del 1721 si fosse recato a
Limosano il Cardinale Orsini, che "stanziò per tutto il tempo di S. Visita" nel Palazzo
Marchesale ed il giorno 20, dopo pranzo, essendosi "partito dal Palazzo e recato nella Chiesa
di S. Stefano, vicina e contigua al Palazzo, dopo essersi trattenuto alquanto tempo in
Sagristia col Sig. D. Giuseppe Antonio del Gobbo Arciprete di detta Chiesa, uscì da detta
Sagristia insieme al medesimo, per visitare la Chiesa avanti l'altar maggiore, e proprio fuori
la palaustrata, nella Colonna dell'Arco sopra la gradiata in faccia al Pulpito, ove stava esso
costituto, ivi l'Orsini si voltò in faccia al suddetto Arciprete e facendoli una rimproverata, gli
disse che per la contesa avuta con l'altro Curato di detta Terra Sig.r Don Domenico
Boscaino, circa il titolo di Arciprete", dopo ricerche ("riviste") fatte nell'Archivio di
Benevento "aveva già trovato che la Chiesa di San Stefano era l'Arcipretale, e non quella di
S. Maria perche perche (nota: nel testo si ha la ripetizione) in mezzo detta Chiesa di San
Stefano vi son quelli gradi, che la denotano primitiva"50.
Certo è che 'titolari' della diocesi di Limosano, ancora nel 1732 (anche se si ignora a partire da
quando ed in virtù di quale disposizione ecclesiastica), sono gli stessi arcivescovi di
Benevento. Lo ricorda, senza possibilità di dubbio, la 'Captio possessionis'51 dell'Arcipretura
50
ASC, Protocolli Notarili, Notaio AMOROSO F.Antonio di Limosano, atto del 7 Novembre 1734.
ASC, Protocolli Notarili, Notaio AMOROSO F.Antonio di Limosano, atto del 1 Novembre 1742. Di notevole
importanza, per la ricostruzione storica e per le notizie sulla diocesi di Limosano, è la “Captio possessionis”
(atto del 11 Ottobre 1753 dello stesso Notaio), da cui trascriviamo: “La Chiesa Arcipretale Matrice, già
Cattedrale, sotto il titolo, e Vocabolo di Santa Maria Maggiore in Cielo Assunta, di q.sta sud.a antica Città,…,
come tale si verifica essere, così si stima, si tiene, e si ha dalle antiche memorie de Vescovi, che sono stati in
essa, e si conservano in atto, e presentemente, nella medesima, conservandosi nella sua Sagristia Mitre antiche,
pastorali, Pianete, Stole, Cappelle Vescovili antiche, ed altro, e vien registrata ancora nell’Archivio della
Metropoli di Benevento, e si vede nella Serie de Vescovi Suffraganei essere il secondo nella Porta di Bronzo
della Metropoli Beneventana, riportato ancora dall'Arciprete Ciarlanti d’Isernia, dall’Ughelli, e da Monsignor
Sarnelli nella sua Cronologia de Vescovi Beneventani =Musanensem Sancte Marie=. Il quale numera frà
trentatrè Vescovi Suffraganei, quello di li=Musani il secondo; Si ha ancora nella Cancelleria Apost.ca nel 1549
=Sub archiepiscopo Beneventano Musanensem Sancte Marie=; e nell’anno 1110 era Vescovo di li=Musani
Gregorio Monaco Cassinese, e si ha nel catalogo dell’Uomini Illustri di quel Monastero= Nell’Anno 1132
sedeva nel Solio Vescovale di li=Musani, Ugone Vescovo di essa= Si ha pur anche chiarezza nella Geografia
Sagra di Carlo a San Paolo, stampata in Pariggi l’anno 1641 = lo Stesso Monsignor Sarnelli descrive quando
fù suppressa ed unita alla Menza Arcivescovile, e più chiaro si ha nell’antichissima lapide scolpita sopra
l’arcotrave della Chiesa Arcipretale di San Stefano di q.sta sud.a antica Città, da noi con atto publico
riconosciuta, et estrattane la sua antica iscriz.ne intagliata con antichis.mo intaglio in d.a lapide, alli undici di
Luglio mille settecentoquarantatrè, ad istanza del q.m Rev.do Don Domenico di Tata era economo di q.lla
Chiesa, in cui chiaram.te, tra l’altre cose, si leggono queste parole =HVIVS ECC: EPISCOPALIS AEDIF.
URBIS= et in ultimo si legge =SUB ANN: D. XPI 156.. T. IIII=.
Per la qual lapide vi e nato assunto tra l’una, e l’altra Chiesa di pretendere la Maggioranza.
E dice d.o Monsignor Sarnelli esser oggi questa Chiesa retta dall’Arciprete,…= Il Vescovo di li=Musani, come
Suffraaneo della Metropoli di Benevento vien notata nella Sinodo Provinciale Beneventana celebrata da
Giacomo III Arcivescovo Sabelli, Cardinale LI, alli venticinque di aprile, mille cinquecento settantuno, Cap. 39
51
26
di S. Maria, nella quale, dopo aver ricordato che l'arciprete, ed anche "Vicario Foraneo..., (in)
loco del Vicario Generale per essere questo luogo già Cattedrale"52, di Limosano godeva del
diritto-privilegio, secondo le consuetudini ecclesiastiche di natura vescovile, della benedizione
dell'anello all'atto dell'investitura, viene detto che "...I Signori Deputati delle Nobili Piazze di
Napoli e de' Capitoli del Regno nella lor supplica del 1732 all'Imperatore Carlo Sesto
d'Austria,..., espongono essere l'Arcivescovo di Benevento, anche vescovo di tre Chiese:
Tocco, Li=Musani, e Lesina, e nel fol. 9 più volte lo ripetono". Occorre, al riguardo,
segnalare che, ancora nel 1851 (24 Dicembre), è "il Signor Don Domenico de Angelis di
Francesco Vicario Foraneo del Comune di Limosano", che, limosanese, era stato promosso a
vescovo da Papa Pio IX il 1° Novembre 1849 da Benevento, a "dare il possesso al nuovo
Arciprete Don Salvatore Venere".
Quanto alle figure di ‘vescovi’ originari del nostro centro, abbiamo notizia (forse tratta da
PATERNOSTER S. dalla cronotassi dei titolari, se non proprio dagli archivi, di quella
diocesi) di un certo “Mons. Bernardo de Coccio di Limosano”, il quale tenne la cattedra di
Gravina di Puglia dal 1349 al 1350.
Che, poi, almeno come struttura ed organismo ecclesiastico la diocesi "Musanense" abbia
continuato ad esistere per un periodo di tempo assai più lungo di quanto a posteriori si riesca
ad immaginare lo prova la "relatio ad limina" (1624) dell'allora vescovo di Guardialfiera,
Mons. A. Liparolo, con la quale si indica che la sua aveva per confine "ad Meridiem" la
diocesi "Limusanensem suprae dictae Beneventanae ecclesiae unitam"53.
=Episcopus Li=Musanensis= L’arcivescovo Frà Vincenzo Maria, Cardinale Orsini, indi Papa Benedetto XIII,
nell’Appendice della sua Sinodo Diocesana X Beneventana, celebrata à ventiquattro Agosto, mille seicento
novantacinque nell’Editto de Titoli ecclesiastici: Tit: Arcipreti delle già Cattedrali, nota l’Arciprete di Lesina,
di Santa Maria di li=Musani, e di Tocco; e si ha pur anche nelle Regole nel Sagro Seminario di Benevento,
stampate d’ordine del med.o Arcivescovo Cardinale Orsini, fol: mihi 9. = L’Arcidiacono Nicastro di Benevento,
nella sua Pinacoteca al Cap. 14, nota l’ampiezza dell’Arcidiocesi di Benevento, e numera li=Musani Città =
L’Abbate Fuliense al lib: 3, Cap: 36, e 37 descrive il Vescovo di li=Musani, e sua Unione alla Menza di
Benevento = L’Ughelli al tom: 8 pur anche descrive la sua Soppressione, ed unione alla d.a Menza
Arcivescovile di Benevento; Anzi più recente. I Sig.ri Deputati delle Nobili Piazze di Napoli, e de Capitoli del
Regno, nella lor supplica sorretta nel 1732 alla Maestà dell’Imperatore Carlo Sesto d’Austria, per le collaz.ni
de Beneficii, che sono in Regno, à Nazionali, fol: mihi 1, num: 7, espongono essere l’Arcivescovo di Benevento,
anche Vescovo di trè altre Chiese, Tocco, li=Musani, e Lesina, e nel fol: 9, più volte lo riportano =
Nell’Inventario de beni dell’insigne convento de Minori Conventuali di San Francesco di q.sta sud.a antica
Città de li=Musani, formato dalla Corte locale d’ordine Regio l’anno 1724, si fa menzione, e si rapportano in
q.lla Chiesa, la Sepoltura de Vescovi di li=Musani, ed i loro Cappelli, al numero di trè, appesi nel cielo della
Chiesa, come anche l’effigie del Vescovo scolpita di rilievo in marmo sopra l’Arco dell’Altare Maggiore, che
oggigiorno si vede, e vi sono ancora Cittadini di lunga età, che l’attestano, trà quali il Regio Giudice à contratti
Domenico Amoroso di anni novantacinque in circa, e freschi ancora, come è il Mag.co Raffaele Giancola
d’anni cinquanta in circa, ed altri Cittadini, che han veduto d.i Cappelli appesi in d.a Chiesa del sud.o
Convento, quali Cappelli poi imprudentemente furono tolti da un certo Rev.do Padre Mancinelli d’Agnone, che
fù Guardiano di d.o Convento, il quale Mancinelli tolse ancora dalla bella prospettiva di fuori di d.a Chiesa,
tutta di pietre ben lavorate, e ben connesse all’antica, un grosso e magnifico Angiolo di pietra di rilievo,
magnificamente scolpito all’antica, che faciva cima, e corona sopra al cornicione grande ultimo, alla
Magnifica, e mai veduta porta di d.a Chiesa, tutta lavorata con colonne di pietre angolate, e colonnette intorno
con certe di rilievo, cagnolini, e fogliami concavi mai veduti; e vi sono Cittadini vecchi, che si ricordano la
Cattedra del Vescovo in d.a Chiesa del Convento, e la Sepoltura ancora, come se la ricorda benis.mo lo d.o
Mag.co Regio Giudice à contratti Amoroso ancora vivente.
L’Arcipreti indi di d.a Chiesa già Cattedrale intervenendo alla Sinodo Beneventana occupano il luogo della lor
primitiva Chiesa, e q.sto sortisce ogn’anno continuamente, ritenendo sempre le rag.ni di già Cattedrale, anzi a
tutti l’Arcipreti di d.a Chiesa, per rag,ne della già Cattedra, dall’Arcivescovo se gli benedice l’anello, allora che
sono promossi in essa”.
52
ASC, Protocolli Notarili, Notaio AMOROSO F.Antonio di Limosano, atto ('Testamentum nuncupativum' di
Don Martino d'Amico) del 27 giugno 1746.
27
E maggiormente lo prova anche quel "passo dimenticato"54 del Sarnelli, che, relativamente ad
essa, riferisce che "leggesi registrata in tutti gli antichi Provinciali, ed anche recentemente in
quello della Cancelleria Apostolica stampato nel 1549: 'Sub Archiepiscopo Beneventano,
Musanensem S. Mariae'; così negli altri registrati nella Geografia Sagra di Carlo a' S. Paulo
(nota: altrove viene indicata 'Geografia Abate Fuliense'), stampato nel 1641"55.
Ed, infine, quella struttura non solo sopravvisse come tale o come semplice titolo, ma ebbe
anche, e per lungo tempo, il suo vescovo, quell' "Episcopus Limusanensis", che "viene citato
ancora nel secondo Sinodo beneventano tenutosi il 25 aprile 1571 dal metropolita Giacomo
III Savelli"56.
1.5 - La reintegratio di Papa Anacleto ed i processi tra il 1132 ed il 1312
Con e per la formazione di una propria ed autonoma entità civile, che, però e come volevano i
tempi, ha ancora risvolti, implicanze e funzione religiosa, l'ascesa dei 'de Molisio', che,
iniziata nella seconda metà del XI secolo, ha il suo culmine nella prima metà del successivo,
favorisce una intensa attività politica che, per la "Terra li=Musanorum" e, più in generale, per
l'intera area ad essa riferibile, è fatta di lotta aspra e violenti scontri.
E come la 'contea di Bojano', che riprende sul territorio ruolo e compiti del 'gastaldatus
bovianensis', anche l'entità politica, formatasi con lo smembramento del 'gastaldatus
biffernensis' nell'area della media valle alla sinistra del fiume, si ebbe da un ramo dei 'de
Molisio', la casata che con i Normanni possedette la contea. Il 'dominus' della "Terra
li=Musanorum", infatti, fu Tristaino, fratello e contemporaneo di Rodolphus II, che fu il
titolare della contea boianese fino al 1095.
La tendenza all'autonomia di Tristaino si intravvede già nel grave episodio di distrazione delle
"chartas" del Monastero di S. Illuminata, sito "intra fines... Limesani, loco ubi dicitur Petra
majore", avvenuto57 tra il 1065 ed il 1084. Esso costituisce, come ben si vedrà, solo il prologo
di un progetto premeditato e di un preciso disegno politico.
Nel 1109, anno in cui (giugno) il Cenobio di S. Illuminata, in precedenza sottratto da
quell'Alferio, che pochi anni più tardi troviamo vescovo di Trivento, alla giurisdizione di S.
53
DI ROCCO G., La Diocesi di Guardia Alfiera, Campobasso 1996, pag. 28 e 29. Dello stesso tenore è anche la
'relazione' del 1618 del Sac. Nicola Lisio (v. D'AGOSTINO B., Chiesa e politica unitaria nell'ottocento
meridionale, Termoli 1986, pag. 314).
54
MOFFA S., Diocesi scomparse nel Molise, in AM 1991, I, pag. 255.
55
SARNELLI P., op. cit., pag. 224 e seg.
56
DE BENEDITTIS G.F., Repertorio... cit., pag. 28. In nota il De Benedittis precisa: "Il testo è riportato da
FIORE, 'Fiorentino in Capitanata dalla distruzione del 1255 alla soppressione dei diritti feudali', pp. 45-46; in
chiusura al documento relativo al sinodo si legge: 'In dicta synodo infrascripti Patres Episcopi comparuerunt
personaliter, prout inferius annotantur, et alii comparuerunt per procuratores et excusatores, alii non
comparuerunt nullo modo, ut annotatur est, et annotatur inferius. Reverendissimi Patres Episcopi comparentes:
Episcopus Boianensis; Episcopus Arianensis; Episcopus Asculanus, Episcopus Guardiensis; Episcopus
Termulensis; Episcopus Thelesinus; Episcopus Trivicanus; Episcopus Allifanus. Non comparentes sunt:
Episcopus Lucerinus, per procuratorem; Episcopus Bovinensis, Vicario pro eo; Episcopus S. Agathae, per
Vicarium; Episcopus Vulturariae, per Vicarium; Episcopus Montis Corvini, per Vicarium; Episcopus
Avellinensis, per procuratorem; Episcopus Frequentinus, per procuratorem; Episcopus Triventinus, absens;
Episcopus Civitatensis, absens; Episcopus Lesinensis, absens; Episcopus Draconariensis, absens; Episcopus
Florentinus, absens; Episcopus Larinensis, per Vicarium; Episcopus Turtiburensis; Episcopus Montis Marani,
vacat sed praesens Vicarius constitutus sede vacante; Episcopus Limusanensis; Episcopus Troianus, eligens
per procuratorem".
57
Chronicon Cassinense, IV, 34. Di grande rilievo, per le possibili ricostruzioni, la puntualissima annotazione
del Cronista: "Notandum plane videtur, nequitiam et fraudolentiam Alferii Triventinatis episcopi (nella nota del
GATTOLA: 'Jam anno 1084 episcopus fuit, v. DI MEO Ann. Ad h.a.') hoc in loco inserere".
28
Sofia di Benevento, viene donato ('oblatus') a Montecassino, "Robbertus, filius domni
Frostayni" è il nuovo "dominus castelli Limosani"58, che in questo momento storico troviamo
indifferentemente definito 'castellum' e 'civitas'.
Le motivazioni autonomistiche, evidenti, dei 'de Molisio' si accompagnano comunque ad una
loro ricercata cura nel trovarsi sempre dalla parte delle gerarchie ecclesiastiche 'ufficiali'.
"Robbertus, filius Trosteni", il 'dominus' di Limosano che in gioventù, nel 1096, aveva
partecipato alla prima Crociata, alla morte "sotto le macerie del terremoto del 1117" del
fratello Simone, conte di Bojano (la contea da Rodolphus era passata a Hugo I, che la tenne
dal 1095 al 1113, e, poi, a Simone), succedendogli, riunificò nelle sue mani l'alta e la media
valle del Biferno.
A Roberto, figlio di Trastaino, nel 1128 "succede... Ugo II, figlio di Simone, che si trova
immischiato... nei moti insurrezionali contro Ruggero II del 1134. Nel 1135 viene privato di
tutte le terre ad oriente del Biferno"59.
Hugo, "markese", il secondo con tale nome per la 'contea di Bojano', ma per la "Terra
li=Musanorum" il primo, è la stessa persona di quel "dominus noster Ugo Comes molisianus",
il quale, "sedens pro tribunali intus in civitate limosane cum baronibus magnatibus iudicibus
aliisque suis bonis hominibus", nel 1148 (ottobre) è presente alla 'concordia' stipulata a
Limosano con Johannes, l'Abbate di S. Sofia di Benevento, riguardante il pagamento di un
tributo da parte degli uomini del Monastero di S. Angelo in Altissimo di
Civitacampomarano60.
Del tutto evidente la circostanza, nient'affatto singolare per i tempi, per la quale nella
esclusiva persona di Hugo, comes e markese, sia concentrato tanto il potere civile che quello
religioso.
Per tutto ciò e per la non certo casuale coincidenza del nome è assai probabile che il
molisianus Hugo fosse anche l'episcopus 'ufficiale' della diocesi di Limosano, essendo
provata la contemporanea esistenza di un vescovo con quel nome (v. Sarnelli, op. cit., pag.
129) "da un instrumento dell'anno 1132, mense februario". A conferma di tale ipotesi è il
posizionamento sia del 'Palazzo' baronale di Limosano, dove egli risiedeva, che della Chiesa
di S. Stefano, attigua e vicinissima a quello, nella quale egli comodamente 'officiava'. E ad
essa portano le 'riviste' nell'Archivio di Benevento (v. citazione del documento, di cui alla
nota 50), menzionate dal Card. Orsini nella "rimproverata" del 20 luglio 1721 all'Abate Don
Antonio del Gobbo, ed anche il testo di quella "iscrittione sopra un antica pietra di piano, ab
antiquo lavorata", posta sopra il portale d'ingresso, che guarda al 'Palazzo', della Parrocchiale
di S. Stefano61.
Gli equilibri politico-religiosi, piccoli e grandi, riferibili all'intera area molisana e, nel
particolare, a quella limosanese, dapprima messi in movimento dalle decisioni prese nel
grande 'placito' tenutosi (10 giugno 1053) "in loco Sale" dell'agro di Limosano prima della
battaglia di Civitate (17 giugno) e, poi, resi precari dalle scelte di autonomia dal potere
normanno e da quello del 'Principatus Beneventanorum' perseguite dai 'de Molisio', furono
totalmente stravolti dalla nomina (1130) a papa, fatta da quella parte della gerarchia
ecclesiastica rimasta insoddisfatta dalla elezione di Innocenzo II, di Pietro Pierleoni, che,
ebreo di origine e creato cardinale da Callisto II, prese il nome di Anacleto II.
Mentre la Chiesa 'ufficiale' di Innocenzo (e per lui parteggiano i 'de Molisio'), che è
espressione della politica 'imperiale', parteggia per Lotario, quella dell'antipapa Anacleto, "il
58
GATTOLA E., Historie Abbatie Cassinensis..., Venezia 1733, pag. 421 e seg. Il Gattola riporta l'atto di
donazione della Chiesa di S. Illuminata "cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis".
59
NOBILE P.L., Campobasso medioevale: le dinastie feudali e le fortificazioni, in ASM (= ARCHIVIO
STORICO MOLISANO) 1980-81, pag. 72.
60
JAMISON E., I Conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII, Casalbordino 1932, App. doc. 1.
61
ASC, Protocolli Notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto dell' 11 luglio 1743.
29
primo a riconoscere il duca Ruggero II come re di Sicilia e di Puglia,..., onore di Napoli e
difesa di Benevento il 27 settembre 1130"62, si schiera a favore dei Normanni.
Ed anche la Chiesa di Limosano, non dimentica del forte legame che, come cordone
ombelicale, la univa a Benevento, partecipa alla contrapposizione con il sentimento rozzo e la
violenta passionalità tipici dei centri più piccoli e vive la divisione con una determinazione
lacerante. Così contro il "molisianus Ugo comes" e, allo stesso tempo, vescovo, che
rappresenta la nuova (o antica?) espressione 'ufficiale' della gerarchia ecclesiastica, la parte
conservatrice, soccombente o in procinto di esserlo, e comunque contraria all'autonomismo
dei 'de Molisio' viene a schierarsi per papa Anacleto con il chiaro scopo di vendicarsi e di
ricostituire l'antico (o nuovo?) potere.
E' quanto emerge dal 'Processus super archiepiscopatu Beneventano'63, che viene di seguito
integralmente trascritto (con traduzione per quanto possibile letterale) nel testo così come
riassunto dal Kehr64.
- f. 152 priuilegium pape Anacleti in quo continebatur, quod dicta terra (Limosani) fuit
ciuitas et habuit proprium episcopum et diocesim terminatam.
(privilegio del papa Anacleto nel quale era contenuto che la detta terra <di Limosano> fu
città ed ebbe un proprio vescovo e la diocesi determinata.)
- f. 160' quoddam priuilegium domini pape Anacleti in quo continebatur quod ipse
rescriuebat episcopum et honorem episcopalem dicte terre Limosani.
(tale privilegio del signore papa Anacleto nel quale era contenuto che egli stesso riscriveva il
vescovo e l'onore vescovile alla detta terra di Limosano.)
- f. 165 . . in quo continebatur quod episcopatus Limosani fuit de prouincia Beneuentana et
habebat certa casalia sub se.
(. . nel quale era contenuto che il vescovado di Limosano fu della provincia Beneventana ed
aveva certi casali sotto di se.)
- f. 175' . . quod dignitas episcopalis seu cathedra, qua alias dicta terra fuerat priuata,
rescribebatur eidem terre.
(. . che la dignità vescovile o la cattedra, di cui altrove la detta terra era stata privata, era
riscritta a quella terra.)
- f. 180' . . in quo continebatur quod terra Limosani fuit ciuitas et habuit episcopum . .
Transsumptum priuilegii domini Anacleti pape secundi in quo continebatur quod papa
mandabat quod ipse episcopus obediret archiepiscopo Beneuentano.
(. . nel quale era contenuto che la terra di Limosano fu città ed ebbe il vescovo . . Riassunto
del privilegio del signor Anacleto papa secondo nel quale era contenuto che il papa
comandava che lo stesso vescovo ubbidisse all'arcivescovo Beneventano.)
- f. 182 . . et in dicto priuilegio continebatur quod castrum Pimanum erat de diocesi
Limosana . . in dicto priuilegio scriptum quod ecclesia sancte Marie de Limosano vocabatur
maior ecclesia Limosani episcopatus.
(. . e nel detto privilegio era contenuto che castro Pimano (Castropignano) era della diocesi
62
MATTEI A.M., Isernia una città ricca di Storia, Isernia 1992, I, pag. 166.
ARCHIVIO VATICANO di ROMA, Fondo Avignonese, Collect. t. 61: Benevent. civitatis et ducatus Varia
1132-1312. Ms. ch(artarum). s(eculi). XIV.
Stando alle indicazioni del KEHR (v. nota 64), che, a pag. 519, testualmente scrive: "Vorne stehn
Privaturkunden s. XII betr. das Castrum Limosanum; f. 151 sq. beginnt ein f. 209 mitten im Text abbrechender
Processus super archiepiscopatu Beneventano, in welchem mehrfach ein unbekanntes Privileg Anaclets II fur S.
Maria di Limosano erwahnt wird. S. Anhang.", è possibile pensare, come in effetti è, che dal f. 151 al 209
dell'indicato manoscritto si parli diffusamente della diocesi di Limosano.
64
KEHR P.F., Papsturkunden in Italien, Reiserberichte zur Italia Pontificia, Acta Romanorum Pontificum, Città
del Vaticano 1977 (Rist., in 5 volumi + 1 di indici, dell'opera "Nachtrage zu den Romischen Berichten", in
'Nachrichten der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen' Phil. Hist. Klasse, 1903), Vol. IV, pag. 218 e
219 (già 560 e 561).
63
30
Limosane(se) . . nel detto privilegio è scritto che la chiesa di Santa Maria di Limosano veniva
chiamata la maggiore chiesa del vescovado di Limosano <= cattedrale>.)
- f. 183 in quo continebantur castra et ecclesie dicte diocesis, uidelicet terra Limosani,
castrum sancti Angeli, castellucium de Limosano, ripa Limosani que uocabatur Ripa comitis
cum casali sancti Stephani de Ripa, castro Pimanum cum baronia sua, Fossaceta cum
casalibus suis, Camelum, Gobacta, Raytinum cum rocca Racini, castrum Montis Agani, Colli
rotundus, Pretella cum rocca, castrum de Lino Ferraria, castra Petra (leggasi: cascapera) I,
castrum Iohannis Fulconis Torella, Molisium, Serra Graffida cum sancto Alexandro, Collis
altus et Capiletum.
(nel quale erano contenuti i siti fortificati e le chiese della detta diocesi, ossia la terra di
Limosano, il castello di sant'Angelo, castelluccio di Limosano, ripa (di) Limosano che si
chiamava Ripa del conte col casale di santo Stefano di Ripa, castro Pimano con la sua
baronia, Fossaceta con i suoi casali, Cameli, Covatta, (O)ratino con la rocca di Racino, il
castello di Monte Agano, Collerotondo, Petrella con la rocca, castro di Lino Ferrara,
cascapera I, il castello di Giovanni Folcone Torella, Molise, Serra Graffida con
sant'Alessandro, Collealto e Campolieto.)
- f. 184' in quo continebatur quod idem papa reintegrabat episcopatum Limosani ad
petitionem domini Gregorii qui postea fuit episcopus Limosani.
(nel quale era contenuto che lo stesso papa reintegrava il vescovado di Limosano a richiesta
del signor Gregorio che dopo fu vescovo di Limosano.)
- f. 207' in quibus continebatur quod ipse dominus papa dictam terram que alias fuerat
episcopatus, reintegrauit et prefecit in eadem ecclesia sancte Marie de Limosano dominum
Gregorium et ipsum in episcopum dicte ecclesie ordinauit et mandauit domino Landulfo tunc
archiepiscopo Beneuentano quod ipsum dominum Gregorium in episcopum dicte ecclesie
ordinaret.
(nei quali era contenuto che lo stesso signor papa reintegrò la detta terra che altrove era
stata (privata ?) del vescovado e pre-fece nella stessa chiesa di santa Maria di Limosano il
signor Gregorio ed ordinò lo stesso a vescovo della detta chiesa e comandò al signor
Landolfo allora arcivescovo Beneventano che ordinasse lo stesso signor Gregorio a vescovo
della detta chiesa.).
Alla fase terminale degli accadimenti riferiti dal 'Processus', un manoscritto del XIV secolo,
va sicuramente assegnata, come riferimento temporale, la data del 1132 sia perché la Collect.
t. 61 del Fondo Avignonese, citata dal Kehr, si riferisce al periodo che va dal 1132 al 1312 e
sia per i motivi indicati dal De Benedittis65. Tuttavia, l'indicazione del f. 184' ("...papa
reintegrabat episcopatum Limosani ad petitionem domini Gregorii qui postea fuit episcopus
Limosani") e l'intero contenuto del f. 207' ben lasciano intendere come l'intera vicenda si sia
svolta in tempi discretamente lunghi e sia stata il frutto di scelte politiche non poco
complesse.
Sulla figura di Gregorio, il 'capo' della parte contraria ai 'de Molisio', certamente perché fu
quella che ne uscì sconfitta, null'altro dicono i documenti. Il suo ruolo, però, per l'intero
territorio dell'area del medio Biferno dovette essere nient'affatto secondario se la sua statura
politica gli consente di poter pretendere (v. f. 182), e la cosa è di grandissimo significato per
comprendere la contrapposizione che parte del territorio molisano muoveva alla contea di
Bojano, "quod castrum Pimanum erat de diocesi Limosana".
65
DE BENEDITTIS G.F., Note storiche-topografiche sulla Diocesi scomparsa di Limosano, in AM 1981, pag.
246-252. Tuttavia, dell'articolo del De Benedittis, pur discreto per la identificazione degli insediamenti ricadenti
nel territorio della diocesi limosanese, va detto che alcune argomentazioni sembrano contraddittorie ed altre non
poco preconcette e frutto di tesi predefinite, come quella, per nulla comprensibile, che riprende l'errore di
interpretazione del Kehr, il quale, e la cosa è spiegabile solo con la mancata conoscenza dei luoghi, traduce la
parola 'cascapera' con 'castra petra I', che poi ovviamente non riesce e non sa collocare geograficamente.
31
E rimane il forte dubbio se assegnare all'avverbio latino 'alias' (v. f. 175' e f. 207') valenza
temporale o di luogo. La sua soluzione (il testo, lo si vedrà, lascia intendere una propensione
per la prima) potrebbe contribuire, e non poco, a dare nuova luce e significato a fatti ed
avvenimenti.
Quanto al ruolo da attribuire alla diocesi di Limosano, ne va immaginata una sicura funzione
di controllo politico-religioso sulle risorse, non certo poche per quantità e per qualità, della
media valle del Biferno. Ne vanno, inoltre, ipotizzati anche compiti non facili di mediazione e
di aggregazione per le diverse funzioni (religiose, sociali, civili, economiche, produttive,...),
che si operavano, caratteristica dei tempi, dalle non poche strutture monastiche presenti nel
suo territorio.
Ciò in uno scenario, in cui, entrata in crisi la presenza greco-bizantina, Limosano rappresenta
(ed ha rappresentato) l’avamposto di grande importanza strategica per il raccordo politico
verso gli Abruzzi e, nel lungo periodo longobardo, di Benevento con Spoleto.
Una tale lettura, che lascia immaginare solo pochi elementi ed appena superficiali, seppur
importanti, della storia di Limosano, era già possibile dal 'transumptum' (v. nota 63) del
privilegio papale bollato con il sigillo di piombo (f. 184r: privilegium papalem bullatum bulla
plumbea) così come interpretato e riassunto dal Kehr (v. nota 64) e così come riportato, in
maniera totalmente acritica, dal De Benedittis (v. nota 65) e dalla storiografia tradizionale ed
ufficiale.
Dicono, tuttavia, assai di più per una ricostruzione, la più corretta e la più completa possibile,
del cammino storico non solo dell'area limosanese, ma dell'intero Molise i manoscritti dal f.
151 al f. 209 della Collectoria 61 (BENEVENTanae CIVIT.IS & DUCATUS VARIA
1132-1312) del fondo avignonese nell'Archivio Segreto Vaticano (v. nota 63).
Dicono essi della Limosano di allora (1132-1312), ma molti parametri non possono non
essere riferiti a periodo di tempo di parecchio più lungo, essere un insediamento urbano di tale
importanza e significato che, eccettuate le città che sono degne di avere un vescovo, e cioè
Lucera, Ariano e Bojano, nessuna delle altre città che si trovano nella provincia beneventana
è così adatta ed idonea ad avere la cattedra episcopale, o pastorale, come la predetta Terra
di Limosano (f. 164r, con conferma al f. 176a: exceptis civitatibus quae sunt digne ad
habendum episcopum videlicet luceria arianum et Boyanum nulla aliarum civitatium quae
sunt in provincia beneventana est ita apta et ydonea ad cathedram episcopalem seu
pastoralem habendam sicut terra limosani praedicta). Altri paragoni e raffronti, e tutti
favorevoli a Limosano, sono con le città di Guardialfiera, Dragonara, Termoli... (f. 175:
civitates Guardie alferie dragonarie Termolense...) e con la città di Trivento... e con la città
di Larino (f. 190: civitas Treventi... et civitas Larini). Le viciniori sedi vescovili di Dragonara
e Trivento sono Terre di gran lunga più piccole della Terra di Limosano (f. 173r: sunt longe
minores terrae ipsa terra limosani).
La popolazione di questo insediamento è composta (le stime più attendibili sono: di un Notaio
che, al f. 176, dice di aver ricavato i dati da un "quaternum Collecte"; di un tale che, al f. 183,
ha visto "scripta dationum seu collecte"; al f. 186, di un "appaltator primorum hominum dicte
terre et receptor collecte"; di un altro tale che, al f. 196, ha sentito leggere un "librum catasti"
ed, al f. 197, di un "Collector Regie collecte") da un numero oscillante tra i 700 ed i 900
'focolari' (focularia septingenta et plus e focularia nongenta) e che varia tra i 2000, tra
maschi e femmine, ed i 5000 abitanti (ibidem sunt bene duomilia inter mares et feminas e
homines quinquemilia). Una tale popolazione, assai consistente e con pochi uguali per l'epoca,
è concentrata in un territorio ristretto, che, da quel lato dove maggiormente si estende, non si
estende oltre un miglio (f. 208: dictum castrum [va, però, annotato che, mentre i contrari alla
diocesi a Limosano usano il termine 'castrum', i favorevoli ripetono sempre la parola 'terra']
limosani habet proprium territorium quod ab illo latere unde plus extenditur non extenditur
32
ultra unum miliare).
A tale indicazione geografica da conferma la stessa posizione, che, tra l'altro, trova adeguati
riscontri nelle Rationes Decimarum Ecclesie del 1308-1310, dei centri abitati circonvicini di
Castelluccio di Limosano, di S. Angelo, di Cascapera e di Ferrara. La condizione di
sovraffollamento nell'area comporta che alcuni di Limosano vadano a lavorare le terre di S.
Angelo (f. 204r: aliqui de limosano eunt ad laborandum terras sancti angeli) e le terre del
territorio... di Castelluccio e di Cascapera (f. 206r: terras territorij... castellucij et cascapere)
e di Ferrara (f. 202r: ferrarii).
Ma non di rado si verificano anche scontri armati, come quello (f. 176) con gli uomini di
Montagano (homines montis agani), che si trovano contro millecinquecento uomini armati di
Limosano (mille quingenti homines armigeri de terra ipsa) o contro gli uomini di Petrella (f.
171: contra homines de petrella). A provocarli il fatto che il territorio di Limosano non ha
legna sufficiente per gli usi degli uomini del nominato castello e gli uomini della Terra
predetta vanno per legna al territorio di Cascapera, di S. Angelo e di Ferrara (f. 202r:
territorium dicti castri non habet ligna sufficentia per usu hominum dicti castri et homines
dicte terre eunt per lignis ad territorium cascapere sancti angeli et ferrarij), ai boschi di
Montagano (f. 203: ad silvas montisagani), ai boschi di Trivento (f. 206r: ad silvas Triventi)
ed ai boschi di Petrella (f. 204r: ad silvas petrelle). E, siccome gli uomini di Limosano vanno
ai boschi di Petrella per legna (f. 206: homines limosani eunt ad silvas petrelle per lignis),
recandovi per il pascolo anche i propri animali, può accadere che questi ultimi vengano
catturati nel 'castro' di Petrella dai guardiani del bosco di Petrella, che asserivano averli
presi nei boschi di detto 'castro' (animalia capta in castro petrelle per guardianos silve
petrelle que dicebantur esse capta in silvis dicti castri), dove però erano stati catturati anche
i rispettivi padroni (homines limosani fuerunt capti in silvis). Una situazione analoga si
ripeteva anche con Trivento tanto che gli uomini del 'castro' di Limosano erano stati catturati
in quanto conducevano gli animali nei boschi, ovvero territorio di Trivento (f. 206r: homines
de castro limosani... captos per eo quod ducebant animalia in silvis seù territorio Triventi).
Tuttavia, il problema più grave, che affligge, e lo farà per lunghi secoli ancora, la popolazione
limosanese, dipende dalla cronica e grande carenza di acqua (f. 203r: magnum defectus
aque), in quanto nessun pozzo o fonte si trova nella Terra stessa o nel suo territorio,
eccettuate due fonti o una di acqua amara o 'salza' esistenti ai piedi del Tufo del predetto
luogo e le persone del luogo menzionato vanno al fiume indicato <= Biferno> per acqua ed
alla fonte che vien detta la fonte <?> (f. 206r: nullus putheus aut fons est in terra ipsa aut in
territorio suo exceptas duas fontes aut una aque amare seu salite existentes in pede Tufi dicti
loci et personae dicti loci eunt ad dictum fluvium per aqua et ad fontem que dicitur fons dicte
<?>). E così, sono costretti a farlo, gli uomini e le donne vanno al fiume ad approvvigionarsi
di acqua perché in quel 'castro' non vi sono pozzi o fonti di acqua dolce (f. 202r: homines et
mulieres eunt ad dictum fluvium ad auriendam aquam per eo quod in dicto castro... non sunt
puthei aut fontes aque dulcis).
Ma, nonostante le situazioni di bisogno, quella stessa Terra deve essere ritenuta insigne
(altrove anche 'potente' ed, al f. 186, "tanto grande nell'abbondare in ricchezze e nobiltà"),
perché ha molti uomini sapienti (f. 170r: multos homines sapientes), molti letterati, ossia
cultori della logica, dottori, medici e grammatici (f. 157r: terra ipsa reputari debet insignis
quia habet multos literatos videlicet logistas doctoralistas medicos et gramaticos), avvocati,
notai (f. 173r: homines peritos in Jure notarios), giudici... ed artisti (f. 175: Judices... et
artistas). E vi è anche presente chi tiene le scuole di grammatica (f. 189: regit scolas in
gramaticalibus).
Quei manoscritti, e sorprende che a farlo siano esponenti della parte contraria, riferiscono
Limosano essere sede di distretto amministrativo, con assoluta certezza per il periodo
33
normanno e, per quello alto medievale, con quella probabilità che conferma ed è confermata
dalla continuità storica col gastaldatus Biffernensis. Tanto che il 'castrum' di Limosano è del
Giustizierato di Terra del Lavoro e del 'Comitatus Molisij' ed i Giustizieri, oltre che gli
Ufficiali, del citato Giustizierato esercitano la propria giurisdizione nel predetto 'castro' (f.
202: dictum castrum limosani est de Justitiariatus Terrelaboris et Comitatus Molisij et
Justitiarii [al f. 208r si parla di officialos Justitiariatus terrelaboris] dicti Justitiariatus
exercitant Jurisditionem suam in dicto castro).
In quanto vero e, soprattutto, importante punto di riferimento, non solo sociale ed
amministrativo, ma anche economico, per l'intera area del medio Biferno, è ad essa che
vengono gli abitanti delle Terre circonvicine che vogliono comprare o vendere qualcosa ed
ivi trovano quello che cercano (f. 177: aliquid emere aut vendere accedunt ad terram ipsam
et ibi inveniunt quod querunt). E che le produzioni artigianali ed economiche, che vi si
esercitavano, fossero particolarmente sviluppate e significative lo provano i 'caldararii' (essi
sono da collegare alla presenza di quelle 'fucine', dove notevoli erano le lavorazioni del ferro),
che giravano per vendere le loro produzioni, ed i 'mercatores' (f. 201: a mercatoribus de
limosano), i quali conducono i loro somari carichi di frumento (f. 180: ducentes somarios
oneratos frumento) e di orzo da un luogo ad un altro per i loro commerci.
Ma, ovviamente, quella Collectoria di manoscritti, fornendo elementi assai utili per
l'individuazione e per l'analisi dei rapporti intercorrenti con le strutture insediamentali degli
altri ambiti territoriali, da notizie preziose sulle istituzioni religiose secolari di Limosano, che
ancora è una 'bona terra' e la migliore, eccettuata Bojano, di tutta la provincia (f. 154r: est
bona terra et melior totae provinciae excepto boyano), e sul suo Clero nel coinvolgimento in
vicende di scontri, di aggregazioni e di contestazioni facili, al momento, la fase finale, in
rapida evoluzione ma che, per una ricostruzione storica corretta, sarebbero da relazionare ad
un passato assai lungo.
Il disegno di geografia religiosa, ma che ha valenza anche politica, evidenzia rapporti
privilegiati e continui tra Benevento con, da una parte, l'area del medio Fortore, che sta
vivendo momenti di decadenza e di crisi demografica, dove, forse perché si è esaurito il loro
ruolo storico di controllo (non più necessario?), stanno perdendo importanza, quando proprio
non scompaiono, le diocesi di Ferentino, Dragonara e Civitate, e, dall'altra, con quella del
medio Biferno, dominata da Limosano, alla quale la stessa Benevento, e non solo quella di
Papa Anacleto, ha da sempre inteso e tuttora intende affidare il compito di contrastare Bojano
e Trivento. Sulla decadenza dell'area del medio Fortore va detto che: a) la diocesi di Ferentino
è talmente immiserita che il reddito ed i fanciulli della stessa Chiesa Cattedrale non arrivano
a dieci unità (f. 182r: redditus et pueri ipse Cathedralis Ecclesie non ascendunt ad summam
decem unitatis); b) la stessa città di Ferentino è quasi distrutta e disabitata (f. 178r: ipsa
civitas florentini est quasi destructa et inhabitata); c) in quella città vi sono ottantadue case
(f. 168r: in dicta civitate sunt octuaginta dua domos) solamente e non vi sono cento uomini (f.
186r: non erant centum homines).
Quanto a Limosano, in una fase, lo abbiamo già visto, di fortissimo sviluppo, avendo
diffusamente riferito sulla consistenza della diocesi nella interpretazione sintetizzante e,
talvolta, minimizzante del Kehr, vanno fatte solo alcune precisazioni ed aggiunte.
1) Sicuramente errata è la lettura, al f. 183, dell'espressione "cascapera Ideo castrum Johannis
fulconis" con "castra petra I castrum Johannis fulconis". Con tale correzione si ottiene che
l'importante, quantomeno relativamente, insediamento di Cascapera, a differenza di 'castra
petra I' in alcun modo posizionabile, può essere individuato e localizzato sul territorio con
precisione assoluta.
2) Forti contrasti sia con Bojano, la quale, capitale del Comitatus, politicamente è autonomista
e, dal punto di vista religioso, era stata governata da esponenti della famiglia dei 'de Molisio',
34
contro un cui ramo Limosano si era ribellata, che con Trivento, la quale mira ora ad allargarsi
in danno della stessa Limosano, sono provati dal fatto, e dall'espressione, che questa stessa
Terra fu città ed ebbe il proprio vescovo e la diocesi delimitata ossia la Baronia di
Castropignano, la Baronia di Fossaceca, la Baronia di Santo Stefano di Ripa, la Baronia di
Ripa, la Baronia di Pietravalle e molti altri luoghi (f. 195: ipsa terra fuit civitas et habuit
proprium episcopum et diocesim terminatam videlicet Baroniam castri piniani Baroniam
fossecece Baroniam sancti stephani de Ripa Baroniam Ripe Baroniam petrevalle et plura alia
loca).
3) Oltre e dopo del signor Gregorio (dominum Gregorium), apprendiamo, al f. 183, che
Limosano ebbe per vescovo anche un certo altro signor Raone (quandam alium dominum
Rahonem). E, forse, l'espressione del "Presbiter Guillelmus de Rogerio de limosano",
certamente di S. Maria, che, parlando dell'Abbate Nicolaus de limosano, riferisce di aver
sentito dire dai suoi predecessori che il Vescovo di Limosano, che allora era egli stesso,
visitava l'Arcivescovo di Benevento come suffraganeo (f. 183: audivit dici ab antiquioribus
suis quod Episcopus limosani qui dum ipse erat visitabat Archiepiscopum Beneventanum ut
suffraganeus), da ancora il nome di un altro Vescovo della diocesi di Limosano ed, in più,
anche limosanese.
4) La porta di bronzo di Benevento con i 24 vescovi suffraganei, tra cui quello di Limosano,
scolpiti non poteva non esistere ancora nei primi anni del 1300, se i documenti della
Collectoria sono da riferire ai primi anni di quel secolo.
5) L'antichità e la lunga durata della diocesi di Limosano, oltre che dal 'privilegium domini
anacleti pape secundi', sono dimostrate dagli altri strumenti (f. 180: alia Instrumenta), dai
'privilegia papalia' (f. 196), dal 'privilegium' del signor Landolfo, allora66 Arcivescovo di
Benevento (f. 207r: privilegium domini Landulfi tunc Beneventanum Archiepiscopum) ed,
inoltre, dal Giudice Berardo, il quale sentì dire dal proprio padre, il Giudice Ruggero, che lo
stesso Giudice Ruggero vide il Vescovo Raone (ipse Judex Rogerius vidit Episcopum
Rahonem) esercitare l'ufficio di vescovo (Episcopalem officium) nella Chiesa di Santa Maria
di quella stessa Terra e vide e lesse alcuni privilegi (si noti il plurale) dei Pontefici Romani
(privilegia Romanorum pontificum) e specialmente del signor Anacleto Papa II, nei quali (in
quibus) si tiene che lo stesso Signor Papa reintegrò la suddetta Terra, che già in altri tempi
era stata Vescovado (dictam terra qua alias fuerat Episcopatus reintegravit). Ed, in più, vi
sono i tanti, forse troppi, riferimenti a 'Regesta' ed a 'Registra' della Curia Romana, che
venivano letti nella chiese della diocesi di Limosano.
6) Se anche il numero dei 'parroci', che erano una quarantina, (f. 183: qui iam sunt
quadraginta) circa, dimostrerebbe la buona consistenza della diocesi, è certo che la Cattedrale
era la Chiesa di S. Maria, che è tuttora chiamata Chiesa Vescovile e Vescovado (f. 187:
vocatur adhuc Ecclesia Episcopalis et Episcopatus). Era ancora vivente, oltre a chi aveva
sentito dire che ivi si trova il libro che si chiama libro pastorale (f. 184r: audivit dici quod est
ibi liber qui vocatur liber pastoralis), ed anche una tale circostanza proverebbe la lunga
esistenza della diocesi, chi aveva visto nella stessa Chiesa le mitre vescovili, i pastorali,
l'anello, i rocchetti (f. 185r: in ipsa Ecclesia mitras Episcopales pastorales anulum
arochetas), il bacolo (f. 184r: baculum) e due stalli di cui uno è di legno e l'altro di pietra (f.
187: et duas sedes quarum una est de ligno et alia lapidea). E viveva pure, al tempo dei
manoscritti, chi aveva visto il Clero della detta Terra di Limosano, ossia i Chierici di Santo
66
Nella cronotassi dei titolari dell'Archidiocesi di Benevento del MASCIOTTA (I, pag. 257 e segg.) troviamo
solo due Arcivescovi col nome 'Landolfo': uno, il 42° della serie, che "governò la diocesi dal 957 al 983", e
l'altro, il 51°, che "tenne la cattedra dal 1108 al 1119". Probabilmente il testo fa riferimento ad un 'privilegium' di
quest'ultimo; e ciò confermerebbe anche l'esistenza, nel 1110, sulla cattedra limosanese del vescovo Gregorio, il
primo con tale nome, che era stato in precedenza 'monaco' di Montecassino e del quale parla Pietro Diacono nel
Liber de viris illustribus.
35
Stefano, di San Paolo [era forse, ma null'altro di essa sappiamo, una Parrocchia?] e delle altre
Cappelle di quella Terra, andare alla Chiesa di Santa Maria specialmente nelle festività
della stessa Vergine ad officiare... ed il popolo della predetta Terra andare alla suddetta
Chiesa ad ascoltare gli uffici divini ed onorarla come la Chiesa maggiore e la Vescovile (f.
190: clerum dicte terre limosani videlicet Clericos sancti stephani sancti pauli et aliarum
Cappellarum eiusdem terre euntes ad Ecclesiam sancte marie proprie in festis eiusdem
virginis ad officiandum... et populum dicte terre euntem ad dictam Ecclesiam ad divina
officia audendum et honorandum tamquam maiorem et Episcopalem Ecclesiam).
7) Da ultimo, sarebbe possibile cogliere in alcune espressioni del f. 180r [il Papa comandava
che lo stesso Vescovo dovesse obbedire all'Arcivescovo di Benevento (papa mandabat quod
ipse Episcopus obediret archiepiscopo Beneventano)] e del f. 182 [vide l'Arcivescovo di
Benevento ed il suo Vicario talvolta visitare la detta Chiesa di Limosano e punire alcuni
Chierici delinquenti (vidit archiepiscopum Beneventanum et suum Vicarium aliquando
visitantes dictam Ecclesiam limosani et coogentes ad clericos aliquos delinguentes)] qualche
accenno all'esistenza nell'area limosanese di problemi connessi a devianze dottrinali e
comportamentali da parte delle gerarchie clerico-religiose. Nient'altro ovviamente i documenti
riferiscono sulla loro consistenza e sulla loro natura ed origine.
Di particolare interesse, infine, per la ricostruzione della rete di vie di comunicazione e di
traffico commerciale nel Molise sono i riferimenti della Collectoria agli itinerari stradali. Ne
deriva che l'area territoriale del medio Biferno e, con essa, di Limosano si trova ad essere
nodo assai importante del sistema viario, medioevale e non solo, in quanto vi convergevano:
a) la via "detta dei langianesi", che, dopo aver incrociato il 'tratturo' per Castel di Sangro,
passando per Trivento, Canneto e Torrebruna, la collegava con Lanciano e con l'Abruzzo
adriatico; b) la via per gli insediamenti della fascia adriatica del Molise; c) la via,
prosecuzione della precedente, per Bojano, Isernia ed il Lazio; d) la via per Benevento; e) la
via per Ferentino e Dragonara, che la teneva unita alle Puglie. E se sull'esistenza e la funzione
delle prime tre, di cui già è stato detto altrove, è possibile solo proporre ipotesi, la
ricostruzione delle ultime due risulta particolarmente agevole e precisa.
Della prima di esse, quella da Limosano a Benevento, la distanza, che era di quaranta miglia
e più (f. 160: quatraginta miliaria et plures), poteva essere coperta impiegando due giorni ad
andare da Limosano a Benevento (f. 186: duos dies ad eundem a limosano Beneventum) ed
altrettanti quando da Benevento si torna a Limosano (a benevento reditur limosanum). Tra le
diverse vie (f. 183r: diversas vias) percorribili, oltre alle secondarie come la via di
Ripalimosani, di Ferrazzano, di Campodipietra, di S. Angelo di Radicinosa, di Castelvetere,
del Casale di Toio, di Circello e di altre Terre (f. 170r: viam Ripe limosani feraczani campi
de preta sancti Angeli de Radicinosa Castri veteris casalis Tohis cercelli et aliae terrae) e la
via per Montagano, Matrice, S. Giovanni in Galdo, Campodipietra (f. 174r: per montem
aganum matricem sanctum Johannem in gualdo campum de preta), eccetera, la strada
migliore era quella che toccava Campobasso e Morcone. Essa, nel dettaglio, viene così
descritta al f. 189 e seg.: dalla Terra di Limosano fino a Ripa sono quattro miglia e da Ripa
fino al 'castrum' di Campobasso sono tre miglia e dal 'castro' di Campobasso fino a
Ferrazzano sono due miglia e da Ferrazzano fino a Mirabello sono due miglia e da Mirabello
fino all'Abbazia di Monteverde (dove, come risulta dal f. 183r, vi è una 'villa') sono due
miglia e dalla stessa Abbazia (che, presumibilmente, è la stessa "abbatia sancti Juliani" del f.
186) fino a Monticello sono due miglia e da Monticello fino al 'castrum' di Cercepiccola sono
tre miglia e dal 'castro' di Cerce (al f. 201 si accenna ad una "viam hospital de guarana") fino
a Rigo del Gualdo sono due miglia e da Rigo del Gualdo fino a Sepino sono tre miglia e da
Sepino fino alla villa di Cannavina sono due miglia e dalla villa di Cannavina fino a
Morcone (dove sicuramente vi è una 'taberna' per pernottare) sono quattro miglia e da
36
Morcone fino a Montorone sono dieci miglia e da Montorone (al f. 192 si dice che "a
Montorono usque Crapariam sunt miliaria tria et a Craparia usque Beneventum sunt miliaria
quatuor") fino a Benevento sono sei miglia (a terra limosani usque Ripam sunt quatuor
miliaria et a Ripa usque castrum campibassi sunt miliaria tria et a castro campibassi usque
feraczanum sunt miliaria duo et a feraczano usque mirabellum sunt miliaria duo et a
mirabello usque ad abbatiam sancte marie montis virdis sunt miliaria duo et ab ipsa abbatia
usque monticellum sunt miliaria duo et a monticello usque castrum cerzi piczuli sunt miliaria
tria et a castro cerzi usque Rigum de gualdo sunt miliaria duo et a Rigo de gualdo usque
Supinum sunt miliaria tria et a Supino usque villam Cannapini sunt miliaria duo et a villa
Cannapi usque morconum sunt miliaria quatuor et a Murcono usque montoronum sunt
miliaria decem et a montorono usque Beneventum sunt miliaria sex).
Lunga, come si sentiva dire dai callarari e da molti altri (f. 181: audivit dici a caldarariis et
pluribus aliis), venti miglia (f. 181: viginti miliaria), la strada da Limosano a Ferentino, che
gli uomini della Terra di Limosano (f. 185: homines terre limosani), che conducono i somari
carichi di frumento (f. 180: homines ducentes somarios oneratos frumento) e di orzo,
percorrono assai facilmente in un giorno (dum facile uno die) solo, dalla nascita del sole sino
a dopo l'ora nona (f. 165r: ab ortu solis usque ad post nonas), tocca il 'castrum' di Petrella, il
'castrum' di Ripabottoni (dopo del quale vi è la 'taberna sancti modesti' e 'Turris de appis') ed
il 'castrum' di Tonnicchio e Sculcula (f. 183r: castrum petrelle castrum Ripe de butono et
castrum Tonnicchi et sculcula), dove si incontra la "Abbatia de sculcula". Le località
intermedie, con indicata anche l'appartenenza alla rispettiva diocesi, che si incontrano dai
confini della diocesi di Ferentino a quelli della diocesi di Limosano sono: Monte di Sculcula è
della diocesi di Dragonara; Tonnicchio e Montecalvo e la Terra di S. Modesto, insieme a
Ficarola (che in qualche caso viene assegnata a Benevento) ed alla Terra di Morrone, sono
della diocesi di Larino; Torre de Appio, insieme a Pianisi, è della diocesi beneventana; e
Petrella, così come Collerotondo, sono della diocesi di Bojano.
Da un tale disegno nasce l'esigenza, non più sopprimibile, di ri-assegnare all'area territoriale
di Limosano ed alle sue istituzioni un ruolo nuovo. Esso, fondamentale, è in ogni caso e prima
di tutto da riferire a tempi assai lunghi della storia di tutto il Molise. E da esso, con cui
occorre iniziare assolutamente a fare i conti per spiegare fatti ed avvenimenti come, uno per
tutti, il 'placito' di Papa Leone IX in loco Sale, non è più possibile prescindere.
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38
CAPITOLO 2°
LE ISTITUZIONI RELIGIOSE ‘SECOLARI’
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40
LIMOSANO: La diocesi. Al f. 183 del ‘Processus’ vengono riportati i “castra et ecclesie dicte
dioecesis, uidelicet terra Limosani, castrum sancti Angeli, castellucium de Limosano, ripa
Limosani que uocabatur Ripa comitis cum casali sancti Stephani de Ripa, castro Pimanum
cum baronia sua, Fossaceta cum casalibus suis, Camelum, Gobacta, Raytinum cum rocca
Racini, castrum Montis Agani, Colli rotundus, Pretella cum rocca, castrum de Lino Ferraria,
castra Petra (ma leggasi: casca pera) Ideo castrum Iohannis Fulconis Torella, Molisium, Serra
Graffida cum sancto Alexandro, Collis altus et Capiletum” (= nel quale erano indicati i siti e
le chiese della detta diocesi, ossia la terra di Limosano, il castello di sant’Angelo,
castelluccio di Limosano, ripa <di> Limosano che si chiamava Ripa del conte col casale di
santo Stefano di Ripa, castro Pimano con la sua baronia, Fossaceta con i suoi casali, Cameli,
Covatta, <O>ratino con la rocca di Racino, il castello di Monte Agano, Collerotondo,
Petrella con la rocca, castro di Lino Ferrara, cascapera vale a dire il catello di Giovanni
Falcone Torella, Molise, Serra Graffida con sant’Alessandro, Collealto e Campolieto).
41
2.1 - La Chiesa 'Cattedrale' di S. Maria Maggiore
Il fatto che dell'insediamento di Cascapera, che, come feudo ed unità amministrativa,
sopravvive per molti secoli e, pur diviso tra diversi contitolari (metà è dell'Università della
Terra de li=Musani, un quarto del Marchese della stessa Terra e la restante quarta parte
appartiene al Barone di S. Angelo Limosano), sino all'eversione, non vi sia menzione né nelle
42
'Rationes Decimarum Ecclesiae' (1308-1330), dove pure vengono riportati i viciniori centri di
Ferrara e di Rocca del Vescovo e né nel precedente 'Catalogus Baronum', che, per il
riferimento temporale, è della metà circa del XI secolo, ben potrebbe dar credito all'ipotesi che
vorrebbe posizionato in quel preciso luogo, e solo ivi, il sito dell'"antico vescovado della
destrutta città" di Tifernum. Ma che a Cascapera ancora (1132-1312) vi esistesse, almeno
come modesto villaggio, un insediamento lo lascia intendere il 'Processus' (v. paragrafo 1.5),
che riporta i centri abitati della diocesi di Musane, tra cui la limitrofa 'Ferraria' (mentre
Rocca del Vescovo non vi figura in quanto sicuramente dipendente già da Trivento).
Un minimo di continuità, oltre alle argomentazioni ed alle prove già riportate, tra quella
Tifernum, la "destrutta città" sede di "antico vescovado", così posizionata, e questa 'Musane',
il centro abitato che sino al decennio francese, e non solo negli atti, viene detto la "Terra, olim
Città, di Limosani", è assicurato dalla identica titolazione delle rispettive 'cattedrali'. E', vale
a dire, possibile che non sia del tutto casuale e fortuita quella circostanza per cui tanto la
Chiesa di Cascapera quanto la 'Cattedrale' di Limosano fossero entrambe dedicate a S. Maria
Maggiore.
La fase avanzata, se non proprio terminale, cui era pervenuta la vicenda di scontro e di lotta
intestina, che nei secoli XII e XIII vive la 'diocesi' limosanese, suggerisce di assegnare alla
costruzione originaria dell'edificio della "maior ecclesia Limosani episcopatus" una datazione
sicuramente anteriore, e di parecchio, a tale periodo. Più di un testimone del 'Processus', del
resto, riferisce "di aver visto il Clero dello predetta Terra di Limosano, ossia i Chierici di S.
Stefano (nota: che evidentemente già esisteva), di S. Paolo (nota: di questa antica Chiesa
limosanese, situata forse là dove poi verrà posizionato il Monastero, che fu dapprima di S.
Pietro, successivamente di S. Pietro Celestino e, da ultimo, di S. Maria della Libera, non è
stata trovata nessuna altra notizia) e delle altre Cappelle di quella Terra processionalmente
recarsi alla Chiesa di Santa Maria, specie nelle feste della Vergine, ad officiare e rendervi
onore... e di aver visto il popolo di detta Terra andare a tale Chiesa per ascoltarvi i 'divina
officia' ed onorarla come la più importante e la Chiesa Vescovile". E, dicono sempre i
documenti, già allora la festa principale era quella di metà agosto.
Che sin dall'inizio sia stata essa la 'Cattedrale' lo conferma una lunghissima tradizione. Ed,
eccettuato qualche periodo breve e mai determinabile con certezza e precisione, in cui il
contrasto e la rivendica della preminenza si vissero particolarmente accesi ed insanabili, essa
sempre tale è rimasta. Una sicura conferma a tutto ciò (ed il documento è del 1571) viene dal
"Liber magnus in quo de mandato Ill.mi, et Rev.mi Jacobi Sabelli Archiepiscopi Beneventani,
adnotatur nomina, et cognomina Baptizatorum et confirmatorum hujus olim Episcopalis,
nunc Archipresbyteralis et Parochialis ecclesie Sancte Marie de Limosano,..."67.
Quanto all'epoca della primitiva costruzione, una descrizione (prima metà del XX secolo) dei
beni demaniali del Comune di Limosano, che sulla stessa esercita un "antico possesso",
indicava che la "Chiesa di S. Maria sita in Via Municipio" era una "Chiesa ad una navata
abbastanza vasta ed in buone condizioni. La sua costruzione risale ad oltre un millennio"68.
67
APL (= Archivio Parrocchiale di Limosano), Libro dei Battezzati del 1571. "Libro grande, nel quale per
disposizione dell'Illustrissimo e Reverendissimo Giacomo Savelli, Arcivescovo di Benevento, si annotano i nomi
ed i cognomi dei Battezzati e dei Cresimati di questa Chiesa di Santa Maria di Limosano, una volta Vescovile,
ora Arcipretale e Parrocchiale...".
Dall'Archivio Parrocchiale di Limosano, ricco di documenti assai interessanti e 'sicuri', anche se mal conservati,
e per la cui consultazione siamo grati e riconoscenti al Parroco, Sac. COLAVITA Mario, abbiamo attinto, come
si vedrà in prosieguo, a piene mani. Al solo scopo di non appesantire il lavoro, limiteremo all'indispensabile la
citazione di documenti in esso conservati.
68
ASCL (= Archivio Storico Comune di Limosano), B. 23, f. 122. Il documento è databile intorno al 1935 ca.
43
Portale della Chiesa di S. Maria Maggiore (ora, del Rosario) così come risulta dal rifacimento del
1755.
La tipologia della costruzione, con particolare riferimento alla sua architettura negativa che,
nonostante sia poco visibile e, perciò stesso, venga scarsamente considerata, pure
significativamente la caratterizza; il singolare posizionamento dell'edificio, ricavato e scavato
nel tufo; e la sua esposizione verso oriente, tipica del periodo alto medievale; sono tutti
elementi che portano ad assegnare la datazione della originaria fabbrica, al più tardi, ad un
periodo di tempo tra la fine del secolo VIII e l'inizio del successivo. Molti elementi (tra essi la
possibilità di posizionare l’altare maggiore proprio sopra la sottostante tomba dei vescovi e,
maggiormente, sopra la cripta), infatti, fanno ritenere che la fabbrica originaria fosse costituita
dalla sola navata laterale (o ex Congrega del Rosario).
All'ipotesi di assegnare a tale periodo la costruzione della Cattedrale porta anche la data, il
774, dell'invio dei cortisani e dei baccari mandati dal neo-Principe Arechi in "finibus
Biffernensis", il cui nucleo maggiore, almeno nel numero, si stabilisce ed organizza il proprio
'villaggio' in Musane, dove vengono a confluire anche i pochi residuali abitanti di quella
Tifernum, situata a Cascapera, che, già in fase di grande decadenza, in questo momento
44
storico viene abbandonata (Fagifulae è scomparsa già da qualche tempo) per diventare ora e
così l'antico vescovado della destrutta città.
Ed, anche se, oltre a quelle di natura 'storica', più di una ragione (la particolare localizzazione
più 'a valle' rispetto alla quasi totalità dell'abitato e la presenza di cunicoli collegati alla
struttura) rende proponibile l'ipotesi che un luogo di culto, riferibile forse alla sola sua parte
negativa, vi situasse sin dal periodo paleo-cristiano, l'analisi stessa dei materiali, tra i quali i
non pochi "reperti sparsi e che non è agevole collocare in un organico quadro", impiegati e più
volte successivamente re-impiegati senza logica alcuna, porta a collocare ad un periodo non
più tardi dell'VIII secolo la data della prima costruzione dell'edificio. Anche se non è affatto
da escludere che vi sia esistito da epoca di molto più antica un riferimento di aggregazione
religiosa, che, poi e sino alla unificazione delle parrocchie, storicamente vivrà della
contrapposizione alla zona più alta e più 'nuova' (da ultimo, quella più ricca) del paese, per i
non pochi 'abitatori' delle grotte poste nell'attuale zona delle 'fucine'.
"La presenza di pietre decorate a rosette è abbastanza ricorrente: si vedano per esempio quelle
del campanile di Morrone e quelle di S. Maria di Canneto, dove (e proprio come alla Chiesa di
S. Maria di Limosano) sono appunto 'eleganti rosette carolingie... insieme a decorazioni
floreali, zoomorfe e geometriche, incise con un piglio ingenuo ma non privo di spirito' in uso
nel Beneventano già dall'VIII-XI secolo. (Per i due indicati edifici) molto frequenti sono
anche (i) rilievi zoomorfi ed astratti mentre non così usuali sono le bugne (= "pietre lavorate
sporgenti da un muro"), pare simbolo di fertilità, che invece abbondano a Limosano"69. Il
riferimento a tipiche simbologie 'pagane', ed in modo particolare alla fertilità, farebbe pensare
ad un re-impiego, nella 'costruzione' dell'VIII secolo (si noti che una conferma a tale ipotesi di
datazione viene, oltre che dalla particolarità delle 'rosette carolingie', anche dalla notevole
analogia con lo stile architettonico contemporaneamente 'in uso nel Beneventano'), dei
materiali provenienti da una struttura più antica.
Così è da questo preciso momento che nel territorio della media valle del Biferno risulta
spostata l'emergenza insediamentale di maggior significato. Ed, insieme ad essa, anche il
vescovado, inteso sia come istituzione religioso-politica, che, però e come tale, mantiene la
sua continuità col passato, che come edificio, viene in questo modo e proprio in questo
periodo storico ad essere ri-posizionato e ri-costruito nel nuovo (nella massa tufacea, tuttavia e
proprio perché molto friabile, è assai probabile che talune abitazioni, la cui esistenza è
documentata sino ai primi anni del XX secolo, vi fossero state ricavate già da diversi secoli)
insediamento di Musane.
69
MARINO L., La Cattedrale di S. Maria di Limosano, in AM 1981, pag. 255 e segg. Di notevole interesse, per
la puntuale analisi tecnica e strutturale del complesso architettonico, l'articolo del Marino, il quale prende sia la
citazione evidenziata che il riferimento alle caratteristiche 'beneventane' da ROTILI M., La Diocesi di
Benevento, Corpus della scultura medioevale, V, Spoleto 1966.
45
Particolare della ‘cripta’ della Chiesa di S. Maria Maggiore (ora, del Rosario).
Del corpo originario della fabbrica assai probabilmente altro non rimane che il solo perimetro
della base, parte, quella negativa, della struttura architettonica e, forse, la interessante cripta.
L'edificio esterno è stato sicuramente toccato dai "molti terremoti (che) hanno sconvolto il
Molise nel corso della storia. Il primo (nota: ma si veda, per i precedenti, il paragrafo 1.2) di
cui si ha memoria è quello dell'anno 847; un altro più terribile, che distrusse Boiano, si ebbe
nell'853; un terzo terremoto, quello del 1294, distrusse completamente una seconda volta
Boiano, che, riedificata, rovinò nuovamente col terremoto del 1305. Molti altri paesi del
Sannio, tra cui Venafro e Isernia, furono distrutti dal terremoto del 9 settembre 1349 ed altri
ancora, come Limosano, Oratino, Casacalenda da quello del 5 dicembre 1456. Il terremoto del
1688 ancora una volta colpì Isernia e Sassinoro. Altre scosse, spesse e forti, si ebbero negli
anni 1789-1794. Poi il mostro sotterraneo provocò un vero cataclisma il 26 luglio 1805"70.
In occasione dei diversi interventi, pochi finalizzati al lavoro di ripristino dopo i danni
provocati da quei tristi eventi e molti, assai frequenti, tesi alla manutenzione, più o meno
ordinaria, ed al restauro71, venivano per necessità re-impiegati anche i materiali originari; in
70
TESTA E., Campolieto e le sue Chiese, Ripalimosani 1986, pag. 40.
Dall' INSTRUMENTUM Conventionis pro rifactione S. Marie Maioris hujus Terre per M(agist).rum
Nicandrum Passarelli Terre Alfedene (v. ASC, Protocolli Notarili, Notaio CORVINELLI Melchise di
Limosano) del 10 Novembre 1768 sappiamo le modalità circa l'affidamento e lo svolgimento dei lavori relativi
ad un intervento restaurativo.
Nonostante alcuni lavori fossero stati, come lascia intendere la data (1755) incisa sul portale in pietra, effettuati
solo da pochi anni, "ritrovandosi la Chiesa Madre sotto il titolo di Santa Maria Maggiore... da molto tempo in
uno stato rovinoso,..., nella scorsa S. Visita Monsignor Vicario Generale di Benevento ne diede le premure per il
riattamento...". L'Università, con gli eletti ed il Sindico Franc.o di Donato Greco, la quale partecipa con 50
71
46
maniera del tutto disorganica però ed, almeno apparentemente, priva di disegno logico. Tutto
ciò perché le progettazioni e le direzioni dei lavori, specialmente se riferite ai soli interventi
documentati, risultano essere quasi sempre opera, più che di personale qualificato,
dell'ingegno e dell'estro di 'mastri fabbricatori', che, per quanto competenti, avevano le sole
conoscenze che portarono al ridimensionamento del pregio artistico della fabbrica. La durata
del singolo intervento, solitamente di alcuni anni, era parecchio condizionata dalle difficoltà,
collegate alle fasi di regresso o di espansione demografica, di reperire nel ristretto ambito
della sola Universitas le risorse necessarie a finanziarlo e nulla dalle lungaggini burocratiche,
recenti ed esclusivo frutto della democrazia verticale. Se, poi, si rendeva necessario
intervenire contemporaneamente su più di un edificio di interesse comunitario, quelle
difficoltà crescevano a dismisura ed i tempi, allora, diventavano davvero biblici. Come nel
caso della ricostruzione dopo il sisma del 1456, che, come indicano la data del 156_ di una
"iscrizzione antica intagliata" (v. paragrafo seguente) nella Chiesa di S. Stefano e quella del
1576 ancora visibile su un concio del campanile di S. Maria, dura abbondantemente oltre il
secolo.
Pur se "non si ha memoria della sua fondatione per esser antichissima", l'Arcipretale Chiesa
"sotto il tit.o di S. Maria Maggiore", almeno sino alla metà del XVIII secolo72, periodo per il
ducati annui (che andavano a sostituire il compenso per il Predicatore della Quaresima), il Mag(nific).o Cosmo
Marcantonio Economo della Ven.le Cappella del SS.mo Rosario, che darà 30 ducati annui, ed il Mag.co
Francesco Ricciuto Amm.re della Ven.le Cappella del SS.mo Sacramento, la quale verserà 12 ducati annui, "nec
non il Mag.co Notar Michele Jamonaco deputato eletto, e designato da cittadini in publico parlamento per la
caosa..., e Mag.co Cosmo Sebastiano parimente deputato designato", stipulano l'instrumentum con il Passarelli, il
quale, da parte sua, si obbligava di:
1) - fare la fabrica di essa chiesa con tutta la matura attenzione in ragione di carlini 5 la canna;
2) - fare le lamie, o siano volte, fatte a crociera... in ragione di carlini 7. e mezzo la canna;
3) - fare nella facciata di avanti di essa Chiesa un Fenestrone di pietre lavorate;
4) - fare la covertina di essa Chiesa in ragione di carlini 4 la canna ed esser tenuto esso medesimo tirarsi sopra
tutti i Travi, Tavole, Embrici, o siano Coppi;
5) - fare l'ossatura del cornicione (con altri lavori di finitura) di entro della Chiesa a grana 5 la canna;
6) - fare le lamie e fabriche sottane del pavimento della Chiesa in ragione di carlini 4 la canna;
7) - fare un Cornicione, o sia Frontespizio di pietre lavorate avanti le muraglia di detta Chiesa, secondo il
modello, o sia disegno per esso fatto,... che presso del Mag.co Not. Jamonaco Deputato presentemente si
conserva,..., il tutto per ducati 35;
8) - fare entro le pertinenze di detta Terra una Calcara a sue spese (ma l'Università dovrà fornire tutta la legna
occorrente), per la calce che sarà necessaria;
9) - rendere perfetta e compita (con la garanzia di anni 3) la detta chiesa;
10) - tenere a conto suo tutti gli uomini, e donne che saranno necessarj per li manipoli di detta fabrica, quanto
per fare li Calcinari, quanto per portare pietre, acqua, calce, legnami,...;
11) - dare tutta l'intiera opera per ferma, perfetta, stabile e valida per lo spazio di anni 6.
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ASC, Protocolli Notarili, Notaio Petrone Giuseppe di Montagano. "Oggi primo di Gennaro dell'anno Mille
settecento cinquanta due nella Terra olim Città di Limosano... Ad istanza, e richiesta fattaci per parte del M.to
Rev.do Sig.r D. Carmine Credico della Terra di S. Giovanni in Galdo, al presente Arciprete dell'Arcipretal
Chiesa, sotto il titolo di S. Maria Maggiore, fù Cattedrale di detta Terra olim Città di Limosani, ci siamo...
personalmente conferiti in d.a Arcipretal Chiesa fù Cattedrale di S. Maria Maggiore oggi dell'Assunta, sita, e
posta dentro detta Terra, e proprio nel luogo detto la Piazza di S. Maria, dove gionti, ed entrati in essa, e
proprio davanti l'Altare Maggiore, dove s'adora il Venerabile S.mo Sacramento dell'eucarestia. abbiamo
ritrovati il d.o M.to Rev.do Sig.r D. Carmine Arciprete Credico seduto nella sua sedia concionatoria, vestito con
zimarra, Cotta e stola Arcipretale, ed a mano destra di esso il Rev.do D. Cosmo d'Addario, a mano sinistra il
Rev.do Sig.r D. Pietro Gravini, ed altri Sacerdoti di d.a Chiesa Arcipretale fù Cattedrale, tutti seduti, e vestiti
con zimarra, e Cotta, con assistenza, e presenza di più e diversi Sig.ri Galantuomini, e Persone civile del Paese,
ed altri Uomini, e donne di d.a Terra olim Città di Limosani.
Il d.o Rev.do Sig.r D. Carmine Arciprete Credico ave asserito, e dichiarato avanti di noi, come avendo ritrovato
sin dall'anno 1742, che pigliò la carica di detta sua Arcipretale Chiesa la medesima molto rovinata in ogni
parte delle Muraglie per la sua antichità, ed avendo cercato di riparare alle molte lesione delle muraglie,
accomodato il tetto, e risarcito il Pavimento in ogn'anno con molta spesa, ed interesse, nulla però il tutto si
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quale è possibile documentare un intervento con qualche leggera modifica alla struttura
dell'edificio, ebbe una organizzazione architettonica diversa, anche se non di molto,
dall'attuale. Le differenze più significative ed evidenti erano, come mostra la seguente
descrizione del 171273, nella parte inferiore della facciata e nella strutturazione dell'interno.
"Si entra in detta Chiesa per due porte, cio è una minore laterale, che riguarda la parte
settentrionale, e l'altra porta maggiore che riguarda la parte orientale, l'una, e l'altra
composte di Marmo, le gambe in più pezzi, si entra nella grande per 15 gradini di pietra, con
atrio avanti, guarnito di tré Colonne di pietra (a), sopra d'essa vi è un nicchio dove stà
dipinta l'Immagine della Assunta, con gli Santi Ludovico Vescovo, e Felippo, e nel muro della
facciata di essa porta, nella sommità, stà eretta una Croce di Ferro, ed entrato nella med.a
rende vano, e conoscendosi bastentemente tutto ciò da d.o Sig.r Arciprete, che da altri, ha pensato il medesimo
di voler fare una spesa per sempre con suo interesse, purche vi concorra il soccorso, ed aggiuto delle Persone
benestante, e pietose, e del Popol tutto nel miglior modo, che li spinge la di lor carità, il che riuscendo, ha
determinato il detto Sig.r Arciprete non solo di riedificare detta Chiesa Arcipretale di nuovo, ma ben anche
allargarla quanto più si può, per renderla più capace al Popolo giacche per esser molto cresciuto, ed avanzato
si rende essa Arcipretal Chiesa assai angusta, e precisamente ne giorni sollenni, previo però in omnibus il
consenso, assenso, e beneplacito dell'Ill.mo Arcivescovo, e della Rev.ma Curia Arcivescovile di Benevento a
tenore de' Sacri Canoni, e Costituzioni Sinodali Diocesane sotto il titolo de Ecclesiis edificandis, et reparandis,
e non altrimenti, ne in altro modo.
E per maggiormente animare esso Sig.r Arciprete il Popolo devoto ad tal opera di pietà cristiana ha risoluto
voler fare donazione irrevocabile inter vivos alla d.a Sua Arcipretal Chiesa di tutte le sue rendite, che per un
anno continuo, principiando da oggi sudetto giorno per tutto l'ultimo giorno di Decembre di questo sudetto
corrente Anno 1752.
(...). Che però detto Sig.r Arciprete D. Carmine Credico ave nominato, e chiamato per Sindico Apostolico il
M.co Cosmo Bonadie di questa sud.a Terra olim Città di Limosani presente, il quale Cosmo come Sindico
Apostolico abbia, e debbia esiggere per intiero tutte le dette rendite Arcipretale per un Anno intiero come sopra
spiegato, ed in d.o Anno debbia sodisfare tutti li pesi forzosi, e del di più tenerli, e spenderli in beneficio della
nuova fabrica di d.a Chiesa, e di tutto d.o entroito ed esito... debbia farsene annotamenti ben distinti, e
dichiarati per rendersene in fine di dett'Anno chiaro, e lucido conto al Razionale eligendo dal sud.o Sig.r
Arciprete, e consignare in potere del suo successore tutto ciò che si ritrovarà in suo potere, e siccome verrà
significato ne conti della sua amministrazione, quale successore debbia similmente eliggersi dal medesimo Sig.r
Arciprete".
Quanto alle rendite da devolvere per la riparanda Chiesa, erano tutte quelle che "li pervengano, ed in
qualsivoglia modo li possano pervenire da d.a Arcipretura sì di decime, tanto prediali, che personali, censi di
qualunque sorte, fitti, e terraggi di territorij, augumenti, dritti di stola, di qualunque sorte, offerte, oblazioni nelle
sollennità, benedizioni, ed ogni altro, che ad esso Sig.r Arciprete in qualunque maniera, raggione, causa può, e
deve spettarlo da d.a Arcipretura... eccetto solo che da dette rendite... se ne debiano sodisfare, e pagare li pesi
forzosi, che per d.a Arcipretura si devono tanto alli Rev.di Sacerdoti, e Clero per celebrazione di Messe, ed alle
Sacre funzioni, come anco alla Rev.ma Curia di Benevento, ed Ill.mo Monsig.r Arcivescovo per la Sacra Visita,
Spoglio, e Cattedratico di d.o Anno, adempimento di decreti, di più si abbia da dette rendite sodisfare il servizio
al Sacrestano, compra di candele, ed oglio per la lampada, che bisognano nel corso di un Anno intiero, ed
ogn'altro che può occorrere, e necessitare da pagarsi da dette rendite".
I lavori, che per la lentezza del Passarelli (v. nota 5) vennero successivamente (15 gennaio 1773) affidati a
Giuseppe Calvitto di Pescopennataro, ebbero a durare almeno per un venticinquennio.
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APL, INVENTARIUM 1712. Trattasi di un documento assai prezioso per la ricostruzione sia della
disponibilità fondiaria e patrimoniale delle Istituzioni della Chiesa secolare che della geografia del centro abitato
di Limosano.
(a) Viene confermato il contenuto dell'Inventario del 1687 (APL), dove si legge che "L'Arcipretal Chiesa di
S. Maria Magg.re della Terra di Limosani... è posta, e situata nella Piazza publica della d.a Terra volgarm.te
detta la Piazza della Portella (che nell'Inventario del 1712 è detta "lo Codacchio") nel frontespizio della Porta
magg.re con gradiata e loggia coperta che va per la publica strada,...".
(b) Nell'Inventario del 1723, che fa quasi sempre riferimento a quello del 1712, tuttavia, si legge: "Solo
l'organo à sei registri, che sta à capo della nave picciola di detta Chiesa, di bel lavoro, fatto nuovamente di
tavole corniciate, e di fogliami con la sua balaustrata, colorata, è ora nel tutto terminata, e vi si ascende per
scale a lumaca, coverta di tavole dipinte".
(c) Trattasi della Confraternita del SS.mo Nome di Gesù.
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porta, à sinistra, vedesi nella prima colonna una Fonte di pietra per l'acqua Santa: è coverta
di pingi, colla sua soffitta di tavole, dipinta con quadri, fatti ad ottangoli.
Stà d.a Chiesa (che, come risulta dalla relativa pianta, è larga palmi 87, da nord a sud, e, da est
ad ovest, lunga palmi 56) composta à due navi, cioè una grande, ed un'altra piccola, che
vengono sostenute da tre pilastri, sopra quali sedono tre nicchi, e la d.a nave piccola è anche
dipinta à rose; A capo di essa nave piccola si vede un Organo (b), di bel lavoro, fatto di
Tavole corniciate e di fogliami, nuovo, si come è parimente la Balaustrata ancora colorata
per non esser intutto terminata. Si ascende in esso per scala à lumaca, coverta però
nuovam.te di tavole, li pareti, così di dentro, come di fuori, sono dealbati, dove si osservano
perlume ingrediente, sei finestre, tutte munite con vetriate, oltre quelle sono nel Coro, e
(d) Un confronto con l'Inventario del 1687 proverebbe sensibili modifiche, disposte quasi certamente dal
Card. Orsini. In esso, difatti, si legge che "vi sono Altari sei", e precisamente "L'Altare magg.re è posta nella
Nave grande,...; La Venerabil Cappella del SS.mo Nome di Giesù è posta... nella nave destra,...; La Capp.a del
SS.mo Rosario Confraternità è situata... nella nave sinistra,...; La Capp.a del Glorioso S. Gio: Batta (la cui
statua era stata 'dotata dali Covatta nell'anno 1633 die venti-due del mese di luglio') è situata... alla nave
contigua all'Altare del SS.mo Rosario...; L'Altare della Purificatione della B.B. Vergine (dove era anche 'la
statua del S. Ant.o a Padua') è posta... nella Nave sinistra...; La Cappella di S. Silvestro Papa è situata... nella
Nave sinistra nella quale vi è un Capo Altare di sculture soprindorate con colonne del medesimo modo con un
quatro con S. Silvestro Papa in mezzo, S. Ludovico Re di franza dalla parte destra, dalla parte sinistra S.
Tomaso d'Aquino...".
(e) Quella seguente è la descrizione così come risulta da altra parte dell'inventario. "La Capp.a di S. Silvestro
Papa (da tenere distinto dall'omonimo Beneficio semplice) e sita nel mezzo del muro laterale della Nave mag:re
quando s'entra in d.a Chiesa Arcip.le in cui si vede dipinto sop.a a tela un quadro dedicato al sud.o glorioso
Santo, ed à suoi lati vi sono dipinte l'effiggie di S. Tomaso d'Aquino, e di S. Loduvico Re di francia, e sop.a dello
stesso, ve n'e un'altro sop.a à tela piccolo in f.a quadra, ove sta dipinta l'incoronat.ne di N.ra Sig.ra; e alto d.o
quadro grande pal: otto, e largo palmi sei, la sua Icona e tutta posta in oro, guarnita di bellissime cornici, com
due Colonde rigate, ch'e cinto di balaustrata di legno per un gradino altre il suppedaneo, la Mensa del med.mo
e di pietra bianca lavorata ed in tre pezzi ben composta, in mezzo della qual'è locato il suo Tassello, lo Stipite di
d.o Alta.e è tutto di fabrica, con i suoi spicoli anco di pietra lavorati, e tiene il suo palliotto avanti. Tiene il
gradino della stessa pietra, e sopra d'esso vi sono quattro Candelieri colla Croce di legno lavorati, e colorati di
verde, colle sue Tabelle consacre di Gloria, ultimo vangelo, e lavabo; tiene fisso nel muro destro la Credenzola
per le Carrafine. La sua festa si sollennizza a 31 X.bre in ogn'anno.
Non si ha memoria della sua fondat.e, ben si fu ristaurato, e dotato con peso di messe dalli q.m Don Luigi, e D.n
Tomaso Russo come si legge nelle seguenti inscriz.e posta in fronte al gradino delli Candelieri cioe,
In honorem S. Silvestri Pape, at q: protettoris familie Russino à Limusano hoc opus restauravit, et
decoratum est in hanc formam sumptibus D.ni Aloysii Russo Archip.ri huius Eccl.e S. Marie, et D: Io
Thome Sacerdotis et Prothi Ap:i sub die 17: februarij 1650= Cappella hec fuit dotata cum onore
Missarum, ut in Tabella".
Viene, poi, riportata ancora una volta l'iscrizione, che si trascrive nella seguente nota (f).
(f) "L'Altare della Confraternita del SS.mo Rosario, e locato dentro la Chiesa Arcip.le di S.ta Maria Magg.re
nella nave laterale del Corno del Vangelo, dipinto in un quatro sopra a tela colla sua Icona di legno indorata
con i ripari a suoi fianchi con profili d'oro, et in essi, vi sono dipinte di buona pittura i quindici Misteri della
Beatis.ma Verg.e, et in d.o quadro ch'è alto pal. sei, e largo pal. 3 vi sono dipinte la Beatis.ma Verg.e del
Rosario, S. Domenico, S. Pietro martire, S. Caterina Verg.e e S. Caterina di Siena; Si ascende in d.o Altare,
cinto di balaustrata di legno, per un gradino oltre il soppedaneo. La Menza del med.o, e dipinta in tre pezzi, ed
in mezzo d'essa, vi e il suo Tassello ben lavorato, lo stipite è tutto di fabrica, con i suoi spicoli di pietra, e
palliotto avanti. Ha il suo gradino della stessa pietra, e sop.a d'esso vi sono quattro Candelieri di legno
lavorati, e posti in'oro, colle sue Tabelle corriacee di gloria In princip.s, et lavabo, ed ha fissa nel muro la
Credenzola per le Carrafine. La sua Festa si sollennizza nella prima Dom.ca d'Ottobre in ogni anno.
A 29 di Maggio dell'anno 1703 dall'Emo, e Rev.mo Sig.r Cardinal Orsini fu il sud.o Altare sollennem.te
consagrato, assieme con quello del glorioso S. Silvestro P.P., come si legge dallo Stromento stipulato in d.o
giorno, ed anno,..., rogato per m.o del Sig.re Mons.e Nicolò Coscia Not.o Arcivescovile, e dall'infratta lapide
posta nel Corno dell'Epistola dell'Altare sud.o di S. Silvestro del ten.e che siegue
Altaria hec duo minora, Alterum in honorem SS.me Virg.s Dei Marie, ac SS. Silvestri P.P. Thome
Aquinatis, et Ludovici Regis ac alterum in honorem eiusdem B. Virg.s de Ros.o et SS. Dom.ci Confess.
Petri Martyris, Catharine Virg.s et Mart: ac Catharine Senensis soll.i ritu dedicans die XXIX Maij
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Sagristia.
Li pavimenti d'ambedue le d.e navi sono composte di Mattoni, ne quali sono sei sepolture,
colle seguenti iscrizzioni cio è, Pro Clero, Pro Confratribus B. V. CHS: (c) Pro Viris, Pro
Mulieribus, Pro Parvulis, Pro Confratribus SS.mi Rosarij:=
Vicino la porta del Campanile è il Pulpito di legno, dipinto, col capocielo similm.te dipinto, è
col suo Crocifisso, ove si ascende per dentro il muro del d.o Campanile. Sono in d.a Chiesa
due Sedie confessionali di legno dipinte colle loro lamine forate, Casi riserbati, ed imagini
divote.
All'entrate della porta magg.re a man destra vi è la fonte battesimale, che tiene il suo ciborio
di legno dipinto, è foderato di tela bianca, col suo canopeo di Sangallo stampato, e Sagrario
nel pavimento,..., dietro la sud.a Fonte Battesimale, che è posta in una Tribuna sostenuta da
due Colonne di gesso, con cancelli avanti, serrati a chiave, vedesi l'imagine dipinta di S. Gio:
Battista, battizzante Cristo Sig.r nostro.
Vi sono parim.te due Armarij dipinti serrati a chiave posti ne' muri vicino l'Altare magg.re,
uno nel Corno del Vangelo, coll'iscrizzione sopra, Oleum infirmorum Foderato di Seta
Violacea,..., è l'altro nel Corno dell'Epistola, foderato di Sangallo, ove si conserva una Urna
d'ebbano con trenta sette Piastre d'argento adornate, inclusa la Crocetta, nella sommità
munita con Cristalli, ove si conservano sette Urne di Vetro, nelle quali sono riposti diverse
Reliquie de' Santi, che sono tanto di essa Chiesa, quanto della Parrocchiale di S.n Stefano...
Dietro l'Altare magg.re sta il Coro colla sua soffitta dipinta, il quale è lungo palmi 18, è
largo palmi dieci, con sedili di legno, e Finestra dalla parte di Settentrione, munita di vetri;
nel pavimento di mattoni vi è nel mezzo fisso un leggio grande con Armariotto sotto.=
Dal sudetto Coro s'entra per due gradini nella Sagrestia, la quale è lunga palmi 18 e larga
palmi dieci, colla sua soffitta di legno, dipinta, ove sono un'Armario di legno, ben
condizionato,... Si vedono sopra d'esso Armario due Statue vecchie della Beatissima Vergine,
et in mezzo un Eccehomo di legno;... Nel muro un Armarietto, ove si conservano le scritture
della Chiesa; La fonte de pietra per le mani con chiave d'Ottone, e girella di legno contigua
per la Tovaglia; Altro legno lungo, fisso nel Muro colli piroli per appendere...
Per una porta piccola posta quasi sotto al Pulpito, s'entra in una stantiola, per la quale
s'ascende al Campanile per 63 gradini di pietra fatti a lumaca; è alto palmi 72 inc.a coverto
a lamia trangolare di Imbrici a quattro senne; e nella sommità viè una Croce di Ferro con
gallo di Ramocipro; pendono in esso tre Campane, cio è due piccole, de quali, una serve per
l'Orologio di peso rotola 60. inc.a colle seguenti lettere a X d.d. m.= ed altre che non
s'intendono, è l'altra di peso Rotola 60. inc.a colle seguenti lettere Ave Maria gratia plena
Dominus tecum benedicta tù, Jacobus Francia de Toccia fecit, A D. 1624. ed un'altra
grande di peso Cantara undici inc.a colle seguenti lettere Deus Homo factus est et Verbum
caro factum est; A fulgure, et Tempestate, Christus nobiscum state: Libera nos D.ne
Jesu: Jussu Em.i Cardinalij Orsini Archiep.i Ben.i Ecclesie S.M.Maioris Magister
Joannes Angelus Marinelli Civis Agnonis per=fecit: A.D. 1703 + con due effigie della
Beatissima Vergine [IHS] [IHS] =. Non si ha però memoria che le sud.e campane piccole
fussero mai benedette, la grande però nel 1703, à 26 Ottobre, fu benedetta da Monsig.re
Ill'mo Giov: Andrea Moscarelli di Benevento, Vescovo della guardia, per delegatione del
sud.o Em.o Sig.r Cardinal' Orsino,...
Nella sudetta Chiesa Arcipretale, vi sono tre Altari (d), che sono li seguenti cioè= Il primo è
l'Altare Magg.re, sotto il tit.o di S.a Maria magg.re, nel quale sta esposta una statua della
beatissima Verg.e del SS.mo Rosario, col suo Bambino Giesù di rilievo, con Corona d'argento
M.D.CCIII Sacravit Fr. Vincenzius Maria ord.s Pred: Ep.us Tusculanus S.R.E. Cardinalis Ursinus
Archiepiscopus, et omnibus Anniversarios hic fund.bus preces centum Indulgentie dies perpetuo concessit
La sudetta Cappella, ò Confraternita del SS.mo Rosario... si mantiene colle sue proprie rendite".
50
in Testa, nuovam.te fatta, ed eccellentem.te sculpita di oncie 14; locata dentro de' un nicchio
proporzionato, che sporge dentro al Coro, e ne fianchi d'esso vi sono due Colonne de
mediocre grandezza, fatte de' stucco, in tal forma lustre, che paiono de fino marmo, e sono
lavorate ad onda, le quali sostengono un architrave anche formato di stucco in fogliame, e
puttini, si come è tutta la prospettiva di d.o Altare: tiene una cortina, avanti, di taffettà verde,
con protilo, lavorato di seta, lo stipite di d.o Altare è di fabrica con i suoi spicoli di pietra
lavorati, e tiene la sua Menza anche di pietra in trè pezzi, e nel mezzo di essa, viè il suo
tassello ben composto con due gradini anco di pietra lavorati per i Candelieri, et in mezzo
d'essi, è locata una Costodia di legno, indorata,...; si ascende in d.o Altare per tre gradini di
pietra, oltre al suppodaneo di legno, e tiene la Balaustrata avanti, di legno, lavorata ad uso
di torniti con genuflessorio, vi è nel Corno dell'Epistola la credenzuola di pietra attaccata al
muro per le Carrafine.
Il Secondo Altare (e), e posto nel Corno dell'Epistola nella nave magg.re dedicato al Glorioso
S.to Silvestro,...
Il terzo ed ultimo Altare (f) posto all'incontro dell'antecedente nella nave minore, è dedicato
alla Beatissima Verg.e del Rosario,...
Per mantenimento di essa Chiesa e riparatione è tenuta l'Università in ogni bisogno, come
diffusam.te si legge dall'Istromento della Consagratione, fatta nell'anno 1696, à 15 Agosto,
rog.to per m.o del Rev.do Sig.re D.n Francesco Antonio Fini Not.ro Arciv.le,...".
Troppi sono i riferimenti all'opera dell'Orsini, il quale, da titolare della relativa diocesi, tenne
per Limosano predilezione ed interesse assai particolari, teso a riaffermare sul suo territorio la
visibilità dell'istituzione 'Chiesa'. Ed il lavoro del Cardinale, che affatto nascondeva l'intendo
di sopprimere anche quelle devianze più o meno antiche, che non poche furono nell'agro
limosanese, si indirizzò non solo alle strutture, ma, e soprattutto, alla riorganizzazione del
patrimonio ecclesiastico.
Così, e solo così, trova una spiegazione la circostanza per cui il "Benef.o semplice senza cura
sotto il tit.o di S. Antonio Abbate (o indifferentemente anche: 'di S. Anton.o de Vienna')"74 sia
stato "dall'Emo Sig.re Cardinal Orsini Arciv.o nella Visita del 1693 trasferito nella Arcip.le di
S.a Maria Maggiore".
Così, e solo così, trova una spiegazione il fatto per cui anche "la Chiesa del Benefizio
semplice senza cura sotto il tit.o di S. Silvestro, (che) era nelle pertinenze della T.ra de
Limusani quasi un miglio distante da essa, situata nella parte setten:le sop.a una Morgia, (si
trovi) hoggi in un Mucchio di pietre per esser Demolita d'or:e dell'Emo Sig.re Card:l Arciv.o
Ursini in S. Visita dell'anno 1693. (Essa) è lunga pal: 36: e larga pal. 24:, (ed è) Confinante in
tutte le parti (con) li beni di d.o Benef.o".
Così, e solo così, si riesce a spiegare, terminata quella prima fase sistemativa che ha il suo
culmine nel 1693 e non poco interesserà anche le Confraternite, la compilazione,
contemporaneamente alla sistemazione giuridica con la stipula di regolari atti notarili, di
quell'imponente 'INVENTARIUM' del 1712-13, da cui chi vuol fare della 'storia' in modo
serio non può in nessun modo prescindere.
Pur se delle Confraternite si riferirà più diffusamente altrove, è quì necessario dare uno
sguardo sia all'organizzazione delle istituzioni religiose secolari che alla composizione dei
rispettivi ingenti patrimoni.
74
A differenza dei benefici senza nessuna specificazione, quelli detti "senza cura (animarum)" e che pagavano il
'cattedratico' si riferivano ad antiche chiese, che un tempo (in epoca alto medioevale) rappresentavano il punto di
riferimento spirituale di un insediamento 'minimo'.
Del 'Beneficio' di S. Antonio riportiamo la descrizione: "Era situata la Chiesa sotto il tit.o di S. Antonio Abbate
nelle pertinenze della sudetta Terra de Limusani, distante da essa quasi un miglio nel luogo dove si dice le
Macchie. E' totalm.te diruta, che non si possano ne meno giudicar le sue vestigia. Le sue coherenze sono circum
circa i suoi beni".
51
Giuridicamente separati, risultavano però annessi alla Chiesa di S. Maria Maggiore, anche se
"della quale anness(ion).e non se ne hà memoria per essere antica", "li sottoscritti benefizi":
1) il "Benefizio annesso del SS.mo Nome di Giesù". Esso, oltre ad un "Capitale di doc:
dieci" dati a "cenzo" con ipoteca "sopra tutti li suoi beni" a Biaso d'Amico, che "ne
corrisponde ogn'anno à 25 Agosto, alla ragione del nove per cento, carlini nove", possedeva
"un'orto sito e posto nelle pertinenze di questa Terra, nel luogo dove si dice la Via Cupa di
cap.a tt.a due. e m.re quattro", che "si tiene in affitto da Pietro Piciucco, e Franc.o Gravino, ò
Gabrino, e pagano ogn'anno à 25 Agosto carli(ni) dieciotto"75. Era ad esso collegata la
omonima 'Confraternita', che sembra essere stata la più antica.
2) il "Benefizio annesso di S. L(e)onardo". Teneva "un Territ.o Seminat.o con piedi di
Cerque, in mezzo del quale vi stà la Chiesa diruta, sotto il medesimo titolo di S. Lonardo, di
capacità tt.a trentasei, m.re cinque, e passi 27,...; le Coerenze del quale Territorio sono, dalla
parte di Levante, il fiume Biferno, dalla parte di Ponente, li beni della Cappella del SS.mo
Corpo di Cristo, da Tramontana, il Vallone, e dalla parte di mezzo giorno, la via publica; Si
tiene in affitto per tre anni da Antonio, e Lonardo Russo, e pagano à 25 Agosto tt.a quattro di
grano"76. Il tutto era ad un centinaio di metri dall'antico 'ponte' sul Biferno.
3) il "Benefizio annesso di S. Bartolomeo". Possedeva "un Territ.o sito, e posto nel luogo
dove si dice Peschio Martino di cap.a tt.a diecenove, e misure otto. Le Coerenze del sud.o
Territ.o sono, dalla parte di Levante, li beni dell'Università, dalla parte di Ponente, la via
publica, dalla parte di Tramontana, li beni dello Spedale e di S. Maria de Libera, e dalla parte
di mezzo giorno, li beni di d.a Università, mediante il Vallongello. Si dà a terraggio d'ogni
dieci uno; può rendere un'anno per l'altro tt. 2 e 2 quarti". Era, probabilmente, quel che restava
dell'antico Monastero di S. Martino.
4) il "Benefizio annesso di S. Giusta". Disponeva di "un Territ.o posto nel luogo dove si dice
S.ta Giusta (altrove: 'Le Macchie') di cap.a tt.a quattordici, misure sette, e passi quattordici,...
Le Coerenze del sudetto Territorio sono, dalla parte di Levante, li beni di essa (S. Maria)
Chiesa, dalla parte di Ponente, il Vallone, dalla parte di Tramontana, li beni di S. Maria di
Maiella e li beni di d.a Chiesa Arcipretale di S. Maria, e dalla parte di mezzo giorno, la via
pub.a. Si dà a terraggio d'ogni otto uno, ed un'anno per l'altro può rendere di terragg.o tt.a due
e mezzo di grano".
5) il "Benefizio annesso di S. Giovanni della Serra". Era proprietario di terreni, per metà
circa a 'vigna' e per la parte restante a 'seminatorio', per complessivi tt.a 10, misure 11 e passi
26; i beni, siti "nel luogo dove si dice La Serra di S. Giovanni", date le due vigne "in
emphiteusim a 29 anni" ed il seminatorio "a terraggio", potevano fruttare 14 carlini, in valuta,
e tre 'quarti', in grano.
6) il "Benefizio annesso di S. Pietro". Possedeva "un Territorio sito... nel luogo dove si dice
la Serra di S. Pietro di cap.a tt.a diece,... Le Coerenze del qual Territorio sono, dalla parte di
Levante, li beni della Chiesa Parrocchiale di S. Stefano, dalla parte di Ponente e Tramontana,
la via pub.a, e dalla parte di mezzo giorno, la via vicinale. Si da à terraggio di ogni tt.a otto
uno, che un'anno per l'altro può rendere tt.a due ed un quarto di grano". Potrebbe essere
riferito all'antico Monastero di S. Pietro "de Maccla bona", che situava alle 'Lame di S. Pietro'.
7) il "Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di S. Antonio Abbate (o,
indifferentemente, "sotto il tit.o di S. Antonio de Vienna")". Intorno alla Chiesa, "distante
dalla Terra de Limusani quasi un miglio nel luogo dove si dice le Macchie, e totalm.te diruta,
che non si possano ne meno giudicar le sue vestigia", possedeva "un Terit.o... di cap.a tt.o
75
Era quello del 25 Agosto il giorno in cui si riscuotevano i debiti derivanti dagli affitti, dai censi e da ogni altra
obbligazione, contrattuale e non, di natura finanziaria e fondiaria.
76
Veramente notevole la 'pianta', dalla quale, oltre alle misure della 'chiesa', che risultava essere di palmi 38 x
18, sappiamo che il 'ponte' sul Biferno era a tre arcate.
52
uno, e m.re otto. Le Coerenze del qual Territ.o sono li beni della Menza Arcip.le da tutte le
parti. Si tiene in affitto per tre anni da Gius.e di Luca e paga in ogn'anno a 25 Agosto grana
dieci". Il 'beneficio', che, pur "senza cura", ancora pagava il 'catted(ratic).o', e nella misura di
solo un grano, risultava dal 1693 annesso alla Chiesa di S. Maria.
8) il "Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di ? ? ?". Anche se di esso, a
causa delle evidenti abrasioni anche sulla 'pianta', non è possibile indicare con certezza né la
titolazione, né la localizzazione e tantomeno la consistenza patrimoniale, molti elementi
indiretti ed i riferimenti dell'inventario del 1723 portano ad identificarlo con il Monastero di
"S. Illuminata". Nel mezzo di "un Territ.o" sufficientemente esteso (tanto che "a terragg.o
d'ogni dieci uno puo rendere un tt.o di g.no") e "le coerenze del qual Territ.o sono, dalle parte
di Levante, li beni della Chiesa Parr.le di S. Stef.o, da Ponente, li beni dell'Uni.tà, da mezzo
giorno, li beni della med.ma Ch.a Parr.le di S. Stefano, e dalla parte di Tram.a, la via pu.a",
"la Chiesa sotto il tit.o _ _ _ era situata nelle pertinenze de Limusani poco distante da d.a
Terra verso la parte occidentale, qual distanza importera da 500 passi;... la quale vedesi
pr.ntemente diruta con alcune reliquie di muraglia indicante esser stata Chiesa; nell'anno
169_ nella prima S. Visita unita alla Chiesa Arcip.le dall'Emo e Rev:mo Sig.re Cardinal
Orsino Arcivescovo". Anche tale 'beneficio' pagava, nella misura di 20 carlini, il 'cattedratico'
alla Mensa Arcivescovile di Benevento.
9) la "Cappella sotto il tit.o di S. Silvestro Papa". Era "ab immemorabile annessa et eretta
dentro la Chiesa Ar.ple de Limusani" e, dopo la restaurazione del 1650 (v. la nota 7e anche
per la sua descrizione), Don Tomaso Russo, "nell'anno 1651, à 13 Genn.o", e Don Luigi
Russo, "a 25 Marzo 1658", con 'legati pii' ne incrementarono il patrimonio, che, nel 1712,
risultava formato: da sette immobili, quasi tutti situati a "la piazza delli Fucini", da una
diecina di pezzi tra orti, vigne e territori, estesi per tomoli 32 e 3 misure e da capitali per
106,50 ducati, 'impiegati' a mutuo ad un interesse medio del 7,687%. Tutti i beni risultavano
investiti e portavano 'frutti' per 22:46 ducati annui.
A riprova che anche a Limosano, ma il fenomeno era generalizzato, il patrimonio, meno
l'edilizio e di più il fondiario, quasi mai rientrasse nel disponibile del conduttore diretto, va
registrato il fatto, e lo si è visto, che tra i confinanti dei beni delle istituzioni religiose sono rari
i proprietari 'privati'.
Più complessa ed assai composita l'aggregazione del patrimonio "della Chiesa Arcip.le della
Terra di Limosani sotto il tit.o di S. Maria mag.re".
Oltre alla Chiesa vera e propria, essa possedeva una "Casa Arcipretale", che, lunga 33 palmi
e larga 2677, "è posta nel luogo dove si nomina la piazza delle botteghe, consistente in cinque
membri, cioè tre, uno Superiore all'Altro, ed una Cucina, e nella Stanza infima vi stà la
grotta,...; qual Casa sta per uso della propria habitatione del ordinario Sig.re Arciprete".
Disponeva di un "Cemiteo", che, lungo "pal. 36 e largo pal. 24", situava "à piè della sud.a
Terra, lontano da essa passi venticinque inc.a, vicino la Chiesa di S. Maria de Libera,
grancia de Padri Celestini di Campobasso, che riguardava la parte di mezzo giorno; a capo
di esso vi è un'arco in mezzo del quale vedesi una Croce di legno, ove sono tanti ossi di
Defunti; la sua porta è di legno di pioppo, nella quale vi sono alcuni buchi grandi, per
l'adoratione. Fu dall'Emo e Rev.mo Sig.re Cardinal Arcivescovo Orsini benedetto nell'anno
1693, come per Stromento rogato (per) il Sig.re D.n Giacomo Antonio Mussi Not.re
Arcivescovile à 8 Luglio: le sue coerenze sono dalla parte di dietro li beni dello Spedale di
77
Il 'palmo' era una misura lineare di cm. 26,45 circa.
Delle misure di superficie, il 'tomolo' era quella più significativa. Esso, un quadrato di 30 passi (il passo
era di 7 o, in qualche 'Terra', di 8 palmi), a Limosano era di 2688 m.quadrati ed era corrispondente alla superficie
che poteva essere seminata con un tomolo (= circa 48 Kg.) di semente. Un tomolo era formato da 16 'misure'. Il
vigneto, invece, si misurava a 'trentali'; ogni 'trentale' era un quadrato con lato di 120 palmi (o mt. 31,74) e,
quindi, corrispondeva a circa 1008 m.quadrati.
53
d.a Terra, da due lati la via pu.ca, ed avanti con il largo. Nel medesimo giorno della sud.a
benedittione, lo stesso Emo Arciv.o concedette l'Indulgenze, come il tutto si legge in un
lapide, posta sopra la porta di d.o Cemiteo, del tenor seguente:
L'Emo Orsini à di VIII di Luglio M.D.C.X.C.I.I.I. Benedisse sollennem.te questo
Cemiteo, e concedette in perpetuo à fedeli, che qui oreranno per gli defunti, in esso
sepelliti nel dì della commemoratione de Morti e sua Ottava cento giorni d'Indulgenza:
In altri dì una quarantana, un'altra à chi la monderà, è due à chi farà limosina a
tal'effetto"78.
Oltre che di alcune case, aveva la proprietà anche di un paio di "grotte". Di quest'ultime una, "
posta in d.a Terra, nel luogo, dove si dice lo Trappeto, lunga pal. 24, e larga pal. 22; si tiene
dal Sig.re Marchese di d.a Terra à tit.o d'affitto corrente. e paga in ogn'anno à 25 Agosto
carlini due"79, e la seconda "Grotta, o vero Cantina, posta nel luogo, dove si dice li Tufi di
lungh. pal. 18 e 2/3 e larga pal. 19 e 1/2", venne "ritrovata doppo terminato l'Inventario". Per
curiosità si dice che il "furno Marchesale" situava "nel luogo dove si dice la Piazza di Natale".
La proprietà fondiaria, non omogeneamente sparsa ed estesa per circa 861 tomoli ed 8 misure,
era formata da appezzamenti di varia grandezza (si va dal modesto "orto" di poche 'misure',
quasi sempre nelle vicinanze dell'abitato, al vasto "territorio con piedi di cerque" di molti
tomoli) ed a diversa destinazione. E' prevalente il "seminatorio", che è stimabile intorno al
75% del totale, ma vi è presente anche, oltre alla "vigna", valutabile intorno al 10% circa, il
boscoso e l'incolto.
Per conoscere sia i diversi tipi di contratti e sia le modalità di impiego di un patrimonio tanto
consistente, si riporta la "somma di tutti li frutti", che se ne potevano ritrarre.
- Per Case ad anno corrente
- Per Case à 29 anni
- Per Vigne ad anno corrente
- Per Vigne à 29 anni
- Per Vigne à 29 anni in grano tt.a uno e 3/4 à carlini 8 il tt.o
- Per Territorij à 29 anni
- Per Territorij à 29 anni in grano tre quarti à carl: otto
- Per Territorio à terraggio tt.a ciento, e dieci alla sud.a raggione80
- Per vendite d'olive de sud.i Terr.ij
- Per vendita di Cerque
- Per Pagliaro ad anno corrente
- Per Territ.ij in demanio grano tt.a 12, e m.re 9 à d.a raggione
- Per Orti ad anno corrente
- Per Orto in demanio
- Per Cantina in demanio
- Rendite perpetue
- Rendite di diversa natura dai "Benefizi"
78
3:70
0:95
0:60
21:50
1:40
1:70
0:60
88:00
1:00
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10:05
1:60
0:30
1:00
0:30
13:70
Di questo cimitero, che, caso assai raro per i tempi, situava già 'fuori delle mura' e, precisamente, davanti al
piazzale di S. Maria della Libera, ben poche, se non nulle, sono le altre notizie.
79
Il 'trappeto', attivo e sempre in quella 'grotta' che affacciava sulla cosiddetta 'strada del trappeto', nel catasto del
1816 (v. ASCL) figurava, anche se se ne ignora la data del passaggio, nella proprietà del Marchese. E, così
posizionato, era ancora funzionante nel 1898, quando, il 24 dicembre, vi morirono due persone schiacciate da un
macigno, che, staccatosi dal tufo soprastante, vi cadde sopra. La 'disgrazia', molto probabilmente, ne provocò la
definitiva chiusura.
80
Per il terreno dato "a terraggio", il conduttore, a raccolto ultimato, doveva versare al proprietario una parte su
otto (o una su dieci) del prodotto ottenuto. Il diverso trattamento dipendeva dalla distanza del cespite, minore o
maggiore di un miglio e mezzo, dall’abitato.
54
- Per decima, alla misura di Benevento, in grano81
- Per decima in Orzo tt:a 13, 4 misure ed 1/5 à carlini 4 il tt.o
- Per decima in denaro
- Per emolumenti di Stola82
La "somma di tutti li frutti" ammonta a
Ducati
38:36
5:31
14:87
20:17
226:06
Ne è venuto fuori un quadro fatto solo di schizzi, a tratti appena abbozzato e che non consente
di cogliere che solo pochi aspetti, e statici, di una realtà caratterizzata dalla crudezza e dalla
essenzialità. Da essa, in cui reazioni al condizionamento del religioso sul sociale hanno, però,
già iniziato a mettere in discussione il profondo senso del comunitarismo partecipato, stanno
partendo quei processi storici, che, per strade diverse e nel lungo periodo, sfoceranno
nell'individualismo delle democrazie verticali.
Per manutenzioni e riparazioni, che ne ridimensionarono ruolo e 'pregio' artistico, alla fabbrica
della Chiesa si intervenne nel tempo con lavori finanziati dapprima dal generoso
spontaneismo della 'Universitas civium', che mise a disposizione, sempre e secondo la
possibilità di ognuno, mezzi e forza lavoro, e, poi, da un potere democratico così accentrato da
sopprimere, con le difficoltà e le lungaggini burocratiche, tutte le scelte partecipative.
La facciata, definita superiormente da un frontone basso il cui timpano è arricchito da un
festone ricurvo a forte rilievo e caratterizzata da un austero finestrone e da una croce in pietra,
è, così come provano le lettere incise sul rigoroso portale83, databile ai primi anni della
seconda metà del '700, periodo, nel quale è documentabile un discreto intervento voluto
dall'Arciprete Angelilli.
Nel secolo seguente i guasti, cui non fu estraneo il sisma del 26 luglio 1805, all'edificio della
Chiesa si erano fatti di nuovo assai ingenti se è vero che "debbono ripararsi i due muri laterali
81
"La sudetta Chiesa Arcipretale esigge le Decime per antica ed immemorabile consuetudine nel seguente
modo.
- Per cadaun bove due tomola di grano, e mezzo tt.o d'orzo, alla misura di Benevento.
- Per cadaun giovenco la mettà di detto grano ed orzo.
- Per cadaun capo fuoco artista (gli 'artisti' erano "num. diecessette") carlini tre.
- Per cadaun capo fuoco non artista ("non artisti num. quaranta sei") carlini due.
- Per cadauna Donna vedova ("vedove n. sette") grani cinque.
Se pure accadesse che venisse qual che famiglia à fare abitazione nell'anted.a Terra di Limusani, deve pagar la
decima à questa Chiesa, e non alla Parrocchiale di S: Stefano, è per essere in essa T.ra due Chiese curate, le q.li
non formano distretto, ò rione, che tra esse vi fosse distinzione, sono però divise in famiglie, e quelle che sono
sottomesse a questa Chiesa Arcip.le sono le seguenti" famiglie (e dei rispettivi 'capi fuoco' vengono riportati i
cognomi) n° 33 e Case n. 92.
82
Riportiamo, per curiosità e per capire antiche costumanze, alcuni di tali 'emolumenti':
- Per ogni Battesimo una Cannela, e pure due grani;
- Per ogni benediz.e post partum un'altra cannela o due grani;
- Per l'aspersione dell'Acqua Santa nelle Case in d.o giorno (sabato santo) ... ovi n° sessanta;
- Per ogni processo, che si fa per l'ordinando (sacerdote) carlini dieci;
- Per ogni Matrimonio esigge come siegue:
- per li pubblicationi esigge una gallina
- per la Fede
- per la Messa
- per il Fazzoletto
- per le due candele
- Per ogni Defunto d'un anno carlini cinque, e mezza libera di cera;
- Per ogni Defunto sino alli sette anni inclusive carl: sette, e mezza libera di cera;
- Per ogni Defunto, da ott'anni in sù inclusive carl. venti e lib: tre di cera.
Esistevano, inoltre, molti altri complicati 'diritti Parrocchiali', stabiliti dai "Decreti dell'Esequie".
83
L'iscrizione, su due righi, è la seguente:
A. M. D. G.
DILEXIT DECOREM DOMUS TUAE FP AN. AD ANGELILLI ARCHIP. LIMUSANOR A.N.R.S. MDCCLV
55
cadenti con un altare, non che il muro del Coro anche cadente". E la burocrazia del nuovo
sistema centralizzato, portato dai 'francesi', contribuiva da parte sua ad aggravare la
situazione; tanto che, dopo circa un trentennio, "i due muri laterali nella Chiesa di S. Maria
Maggiore sono aperti, e strapiombati, per cui le piogge penetrano dentro la Chiesa sudetta;
egualmente accade nel muro del Coro, non che sull'altare, che è interdetto per le piogge, che
vi cadono sopra, essendone perciò distaccato tutto l'intonaco" 84. E, nel 1865, si rendevano
ancora necessari "urgenti accomodi da eseguirsi in questo Campanile della Chiesa matrice di
S. Maria"85.
Ma la unificazione, nel 1809, delle due parrocchie limosanesi 86 e la conseguente scelta, che
veniva da lontano, di privilegiare la Chiesa di S. Stefano avevano, già e di molto,
ridimensionato il ruolo della "olim Episcopalis, et nunc Archipresbyteralis et Parochialis
ecclesie Sancte Marie de Limosano".
Nel 1928 si eseguirono "lavori alla covertina alla chiesa di Santa Maria" e tinteggiatura per
complessive L. 1786,00. E dal preventivo, del 31 Maggio 1931, "per modifiche e restauri nella
Chiesa di S.ta Maria in Limosano", redatto da Carmine Antonio Pollice di Limosano, risultano
necessari i seguenti lavori per complessive L. 11.876,00.
- Pavimentazione dell'area compresa nella nave, portico orchestrale, abside e spazio tra gli
intercoloni, con piastrelle di cemento tipo marmette su massetto idraulico;
- Gradino in marmo sulla linea della balaustra;
- Balaustra in legno con colonnine tornite base e davanzali a cassero;
- Spostamento dell'Altare maggiore con rimpiazzo di elementi in marmo;
- Pietra di taglio per base colonne:
- Dado gravinato, cornice cesellata con doppio toro e listello, scorza e guscio;
- Dado gravinato, cornice con toro e listello più guscio.
I lavori descritti si fecero; e, come quelli del secolo precedente, che ne avevano cambiato
l'ingresso, contribuirono ulteriormente a modificare non poco l'interno della struttura. E quello
stesso anno si eseguirono interventi di restauro anche alla statua della Madonna del Rosario,
che un questionario87, databile tra il 1937 ed il '39, dice essere "scolpita in legno dal
Colombo". Molto probabilmente fu in tale occasione che andò distrutta una iscrizione
"all'altare del SS. Rosario", il cui testo, che si riporta fedelmente da una riproduzione assai
84
ASC, Intendenza di Molise, B. 175, f. 10. Da uno Stato delle riparazioni che abbisognano alle Chiese del 7
Gennaio 1834.
85
ASC, Prefettura II Serie, Limosano, B. 7, f. 30.
86
Le due parrocchie vennero unificate con Decreto di Gioacchino Napoleone Re delle Due Sicilie dell'8 Maggio
e con Bolla Arcivescovile del 29 Luglio 1809. Del 'Regio Decreto' se ne riporta il testo:
"Visto il rapporto del n.ro Gran Giudice Ministro della Giustizia, e del Culto, abbiamo decretato, e
decretiamo quanto segue
Artic.o 1°. L'Arcipretura Curata di S. Maria Maggiore del Comune di Limosano, in Diocesi di Benevento,
resta abolita.
Artic.o 2°. Le due Parrocchie di d.a Comune si riducano ad una sola, e l'abbia l'attuale Parroco, col titolo
di Arciprete.
Artic.o 3°. Il Prete Tiberio Aronne di Morcone, approvato nell'ultimo concorso per detta Arcipretura, sia
tenuto presente per altre Parrocchie o beneficj Ecclesiastici.
Artic.o 4°. L'attuale Parroco, il quale percepirà le rendite della dimessa Arcipretura, è obbligato a tenere
due Economi Curati nelle due Chiese, coll'assegnamento che sta prescritto negli Ordini Generali, con ripartirsi
fra il Parroco, e l'Economo il peso delle Messe. Ed è pur tenuto il Parroco al mantenimento delle due Chiese.
Artic.o 5°. La prestazione di un tomolo di grano, e di un quarto d'orzo per ogni Bue aratorio, resta
suppressa.
Artic.o 6°. Il nostro Gran Giudice Ministro della Giustizia, e del Culto, ed il Ministro delle Finanze sono
incaricati della esecuzione del presente Decreto.
Napoli, 8 Maggio 1809".
F.to
87
APL, Documenti sparsi.
56
incerta ed approssimativa in APL, era:
"Sacru hoc opus privato aere extructu Angela barbati Nicolao Del Vecchio stabili
conubio iuncta Philippi et Anaemae Gobbi filia nepos benemeritis T. Ev. Ab. Dominici
Ant Gobbi pietate ac doctrina nulli secundi quae ultimu gentis suae nuper vita fructi
adhuc lucet in devoti animi signii Virg.e Dei P.ae S.S. Rosarii dicat et post Erat Mem.ae
madat A.R.S. MDCCI. XXVII."
Per il prosieguo del tempo sono documentabili ancora tra il 1965 ed il 1968 ulteriori, ma non
gli ultimi, lavori di sistemazione alla copertura della Chiesa.
2.2 - La 'Parrocchiale', "seu Rectoria", Chiesa di S. Stefano Protomartire
E' posta nella parte più alta del centro abitato, la "Chiesa di S. Stefano sita in Via Igino
Petrone" [tale solo recentemente, essendo in passato 'Via S. (o, meglio, Don) Andrea'],
"Chiesa parrocchiale ad una navata di media grandezza. La sua costruzione risale ad oltre
mille anni fa"88 e, quindi, almeno al IX-X secolo.
Si dirà in seguito dell'organizzazione architettonica dell'edificio, che era anticamente assai
diversa dall'attuale. Circa la collocazione nel tempo della sua prima costruzione propendiamo
per una tale ipotesi di datazione, che la vuole antica di oltre un millennio, più che per quella
proposta da chi, quando scrive che la Chiesa "costituisce un buon esempio di architettura
dell'ultimo scorcio del secolo XIII - inizi del successivo, ma soltanto per alcuni elementi
particolari come il portale e la bifora della sacrestia, facilmente associabili, per forme e tipi di
lavorazione, ad esperienze di scultura architettonica del medio Molise, soprattutto della zona
di Boiano..."89, la vorrebbe edificata in epoca di molto posteriore.
88
ASCL, B. 23, f. 122.
MARINO L., art. cit., pag. 256. Il Marino cita anche TROMBETTA A., Arte medioevale nel Molise,
Campobasso 1971, pag. 159 e 160.
89
57
Particolare del Portale rivolto verso est della Chiesa di S. Stefano.
Già l'elenco di "queste (che) sonno le reliquie de' la chiesa... de s.to Stephano", che si trova
nello "Stato delle anime dall'anno 1579 all'anno 1635"90, per i riferimenti a fatti (infanzia,
crocifissione ed ascensione del Cristo al cielo) narrati nei Vangeli, e ad episodi della vita di
diversi Apostoli (Pietro, Paolo, Andrea, Bartolomeo e Tommaso) e di alcuni Martiri del primo
Cristianesimo, pur nella semplicità di una fede spontanea, ma antica, induce a collocare ad
epoca alto medievale questa Chiesa, con le relative strutture per il culto, di Limosano. Ne
riportiamo la parte che più interessa:
- Dela preta dove casco del sangue del nostro Salvatore Jh.su X.to
- Del ligno dela croce s.ta del n.ro Salvatore Jh.su X.to
- Dela preta dove pose li piedi il n.ro Salvatore Jh.su X.to quando sagliò al cielo
- Del latte della gloriosa virgine maria
- Dela manna che uscì da li gloriusi corpi de s.ti apostoli, pietro et paulo
- Del legno dove pendette lo gloriuso s.to andrea ap.lo
- Dele reliquie de esso s.cto andrea ap.lo
- Dele reliquie de s.cto Bar.meo ap.lo
90
L'elenco, conservato in APL, trova molte conferme anche nel SYNODICON Dioecesanum S. Beneventanae
Ecclesie, Benevento 1723, Pars II, pag. 651. Esse (e ci si limita alle significative) sono:
- 3. Bartolomeo Apost.
Pochi frammenti, e ceneri uniti
- 7. Donato Vesc., e Mart.
Un pezzetto d'osso
- 12. Pane della Cena del Signore
Diversi pezzetti
- 13. Pietra del S. Sepolcro
Un pezzetto
- 14. Pietro, e Paolo Apostoli
Pezzetti, e frammenti della Manna uscita da loro corpi
- 16. Tommaso Apost.
Un pezzo d'osso di deto
58
- Dela manu de s.to thomaso ap.lo
- Dele reliquie del protomartire s.to Stefano
- Deli carboni de s.to laurenzo
- Dele reliquie de s.cto Donato :ep.o, et martire
- Dele reliquie de s.ta lucia, et de s.ta cecilia
Tali reliquie erano conservate, stando al citato Synodicon, in una "cassetta di Ebano con
cristalli, guarnita di argento, con sette vasi". Ed, ancora nel 1880 (vedasi, in APL, le "Breve ed
esatte risposte al libro di Istruzione riguardante lo stato materiale e spirituale della Parrocchia
di Santo Stefano di Limosano", ordinato dal Card. Siciliano Rende), si custodivano "dentro
casse ben chiuse e suggellati e con molta decenza".
Pur non volendo dar eccessivo credito ad elementi legati alla sola manifestazione di 'fede' e,
perciò, non verificabili né razionalmente e né criticamente, va comunque detto che, in
aggiunta alle evidenti emergenze di derivazione 'monastica' riscontrabili nei pochi conci
'originari' ancora visibili nel corpo di fabbrica, la struttura è caratterizzata: 1) da una posizione
della Chiesa contigua e di fronte al 'Palazzo' marchesale, residenza, forse sin dall'epoca
longogarda, del gastaldus e, sicuramente dal periodo normanno, di quel comes, che per
Limosano viene da un ramo della stessa famiglia dei 'de Molisio', che detiene il 'Comitatus
Molisii'; 2) dai riferimenti ad uno stile architettonico [ma, oltre al portale ed alla bifora della
sacrestia databili, contrariamente a quanto pretende il Marino, ad epoca alto medievale,
andrebbero analizzate le due acquasantiere e la mensola posta vicino all'altare maggiore (ma,
fino alla metà circa del XX secolo, ne esistevano ancora due) sostenuta da una colonna
lavorata ed avente una base scolpita con intagli e con disegni geometrici di pregevolissima
fattura] riscontrabile nelle zone del Molise centrale, per diversi secoli 'posseduto' da esponenti
di una stessa 'casata', comune sia a Bojano che a Limosano; 3) dalle forti analogie
(esposizione ad oriente della porta principale, cunicoli di collegamento ricavati nel 'tufo' ed
architettura negativa), pur nell'evidente intento di contrasto, con la 'Cattedrale' di S. Maria. E
sono questi tutti elementi che portano ad ipotizzare la prima costruzione dell'edificio, al più
tardi, durante il X secolo e, secondo un documento in APL, "sui ruderi di una chiesa
antichissima". Ma sempre in epoca posteriore alla 'cattedrale' e, comunque, come riferimento
di aggregazione religiosa e sociale di quella parte dell'insediamento più alta, più nuova e, in
seguito, più ricca.
La facile associabililità della Chiesa alla residenza del 'dominus', che in modo assai singolare
unisce entrambe e le rende quasi una struttura unica, farebbe pensare a quel complesso come
la residenza di un 'conte', che contemporaneamente ricopre anche la carica vescovile. Tale
ipotesi è verificata non solo dalla contemporanea presenza, cui già altrove si accennava, nel
1132 a Limosano di un vescovo Gregorio, nella Cattedrale di S. Maria, e di un secondo
vescovo, Hugo(ne) 'de Molisio', ma, e maggiormente, da quella lapide, visibile nel 1743, posta
"sopra l'arcotrave dell'antica porta, in mezzo, e sotto l'arco di pietra, infra detto arco, et
arcotrave, lavorato detto arco, come sopra, con cornicioni e fogliami, (e costituita da) un
antica pietra di piano, ab antiquo lavorata sul piano tra l'arcotrave, e cornicioni dell'arco
suddetto, con iscrizzione antica intagliata, e scolpita a scalpello, e puntillo, in mezzo della
quale, vi è un fogliame a guisa d'una rosa, ...; e come che per l'antichità, (la) maggior parte
di detta iscrizzione, e sue lettere son corrose dalle acque, e dal tempo, che non si possono
leggere; ... e poi... han trovato con tutta la chiarezza essere giusta la... letteratura ricavata
puntualmente dalla suddetta lapide, et iscrizzione"91, ed il cui testo era:
91
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto dell'11 luglio 1743.
59
Una prima insopprimibile certezza, tra le poche, che emergono dalle lettere, "corrose dalle
acque, e dal tempo", di quella lapide, di cui al presente non rimane che il solo ricordo, è che,
così come l'altra di S. Maria Maggiore, pure la Chiesa di S. Stefano fu "Ecc(lesia)
Episcopalis" e venne "aedif(icata)" dai cittadini di una "urbis (= città)".
Una seconda certezza è che anche contro di essa, così come già per la Cattedrale di S. Maria,
si abbatterono i terremoti che interessarono l'abitato di Limosano. E così è quasi certamente
che già ad una ri-consacrazione della Chiesa, dopo i lavori di ripristino e di riparazione dei
guasti provocati dai gravi fenomeni tellurici del 1294 e del 1305, fa riferimento il documento
(v. nota 24) quando riferisce che "... sta in essa chiesa la bulla dela consecratione dela
chiesa, consecrata per lo Ill.mo et D.no Pandulfo Arcep.o de Benevento nell'anno 1321, alli
13 del mese de settembre...". Di lì a poco "Arnaldo, Arcep.o de ben.to, successor del s.dicto
Arcep.o Pandulfo have confirmato la s.dicta consecratione... nell'anno 1330 lo secundo de
augusto". Ed inoltre "lo medesimo p.to Arnaldo, ecc.mo Arcep.o have dato le gr.e, et indulg.e
al altar ch' se dice de andrea, de cola de andrea; a fo domandate, pero lo loco, et le indulg.e
al s.dicto ecc.mo per suo devotione ch' teneva allo glorioso Igino m.a, da uno chiamato
Ugone iudice, inteso da papa benedicto XII nell'anno 1336".
60
Materiale, di raffinata fattura, riutilizzato nei rifacimenti della Chiesa di S. Stefano
Questa serie di episodi, che non contraddice all'ipotesi di un vescovo auto nominatosi tale, va
inquadrata in un periodo di tempo, il primo quarantennio del secolo XIV, nel quale Limosano
significativamente vive una intensa attività sia nelle opere pubbliche, come la costruzione del
Convento francescano e la riallocazione del monastero dei Celestini, che nella difesa del suo
territorio dagli attacchi degli "uomini della Terra di Trivento i quali, istigati da uno spirito
diabolico, portarono via molti animali e li bruciarono, tagliarono alberi e sradicarono i termini
per mezzo dei quali si distingue il territorio dal territorio della stessa Terra di Trivento
(homines Terre Triventi qui diabolico spiritu instigati,..., plura animalia abstulerunt nec non
commiserunt ignem, arbores inciderunt et terminos per quos distinguitur territorium a
territorio dicte Terre Triventi contra Deum et iustitiam evulserunt)".
Il TERREMOTUS, tuttavia, cui fa riferimento la lapide apposta, quasi certamente, in
occasione della ri-consacrazione della Chiesa avvenuta SUB ANN- (Incarnationis) D(omini).
(Jesu) XR(ist)I 156- e dopo la ri-AEDIF(icatio) HUIUS ECC(lesie). EPISCOPALIS
finanziata esclusivamente (e la circostanza per cui è necessario un periodo di tempo assai
lungo ne lascia intravvedere le grandi difficoltà) dai cittadini URBIS li=Musanorum, è con
ogni probabilità quello, assai devastante e distruttivo, del 5 dicembre 1456. Anche se "l'altar
maggiore" era stato consacrato già da diverso tempo come lascia pensare il fatto che "in essa
chiesa sta la bulla dela consecratione de l'altar maggiore, lo quale lo consacrò lo episcopo
de trittivero, nomine io: bap.ta nellanno 1510, a li quattro de aprile".
Negli 'Inventari' del 1687 e del 1701 e, soprattutto, nell'altro, più dettagliato, del 1713
troviamo notizie assai preziose sulla 'originaria' consistenza architettonica, diversa da quella
attuale e del tutto particolare, dell'edificio92.
92
Nella prima parte vengono privilegiati i due inventari più antichi, in quanto riportano informazioni 'migliori'
dal punto di vista storico; successivamente, e perché più descrittivo, si preferisce il testo dell'inventario del 1713.
Ad ogni buon conto e perché si possano cogliere le differenze, quasi certamente frutto delle trasformazioni
imposte dal Card. Orsini, riportiamo qui di seguito anche l'altra descrizione.
"Sono in essa Chiesa tre navi à proportione con Archi di Pietre lavorate quattro per parte. Vi sono Cappelle
num.o due, Altari num.o 3 in questa maniera, nella nave di mezzo nel suo corpo vi è l'altare maggiore collocato
61
"La suddetta Chiesa Parroc.le sotto il tit.o di S. Stefano è posta nella parte più alta della
Terra di Limosano appresso la strada detta di D. Andrea, (e confina) da un lato con li beni
del Barone di essa Terra, nomine (nel 1687) Francesco di Grazia, e dall'altro della
Confraternità del SS.mo e dall'altri lati l'Ospedale...
Fu consegrata (non essendoci memoria di edificatione) dal Rev.mo Arcivescovo di Benevento
nomine Pandulfo l'anno 1321 alli 13 del mese di settembre; come anco fu consegrato l'altare
maggiore dal Rev.mo Vescovo di Tertiveri nomine Gio: Battista l'anno 1510 alli 4 del mese di
aprile.
Si entra in d.a Chiesa per due porte formate ad arco di pietra ben lavorata, a fogliami. Alla
magg.re Si ascende in essa per otto grada di pietra. cioe cinque da fuora e tre da dentro.
Si vede composta di tre navi, tutte colle soffitte dipinte, ed in mezzo la grande vi e un quadro
dell'Incoronat.ne di N.ra Sig.ra. Dette navi sono sotenute da sei pilastri di fabrica, e nep.mi,
così nell'una come nell'altra parte, vi sono le fonti per l'Acqua santa fatta a conca di pietra
ben lavorate e sop.a detta porta dalla parte di fuori, vi e un Nicchio nel quale sono dipinte le
effigg.e della B.V. de Santi Stefano, Lorenzo, e due Angeli, ed a drittura d'essa sommità del
muro vi sta eretta la Croce di ferro.
Alla porta minore, che riguarda la parte orientale si ascende per undici gradi di pietra da
una parte, e tre dall'altra, e si giunge ad in un'atrio posto avanti d'essa porta qual'è mezzo
coverto, e mezzo scoverto. A man di dentro, sono intonacati, e dealbati e q.lli di fuora
incrostati, e parim.te inbiancati, e tutta Chiesa e coverta d'Imbrici con romanella a torno.
Ne i muri laterali, vi sono due sedie confesionali ammovibili di legno,... E nel pilastro vicino
l'Alt.e magg.re nel Corno del Vangelo vi sta il pulpito ben condizionato col suo Capocielo
intagliato, e Crocefisso, dove si ascende per scala di legno fatta a lumaca.
Entrato la porta magg.re sud.a a man sinistra vedesi la fonte Battesimale...; sopra d.o fonte vi
è un Tribuna di fabrica lavorata a stucco ben fatta, quale viene sostenuta da i due muri
sotto un Amia con arco avanti, di dentro con la scoltura indorata, dove nello mezzo sta situata la statua della
B.ma Vergine di tutto rilievo dorata, à man destra vi stà la statua di tutto rilievo d'orata di S.to Stefano
Protomartire, alla sinistra S. Lorenzo Martire ambedue d'orate.
Alla man sinistra in un'altra nave in capite vi è situata la Cappella del SS.mo Sacramento Confraternita con la
Custodia e Baldacchino di stucco d'orata all'uso antico con pittura intorno con la suffitta. Nel mezzo della
muraglia di essa nave vi è la Cappella dedicata a S. Michele Arcangelo de' iure Patronato della Famiglia del
Dottor Gio: Ant.o del Gobbo con Scoltura di semplice legname con quattro colonne, dove anco vi è la statua del
glorioso S. Donato Martire; a man destra dell'Altare maggiore nell'altra nave vi è l'altare dedicato a S. Pietro
Apostolo con il quadro della B.ma Vergine con l'anime del Purgatorio. Nel mezzo di essa nave vi è il Choro.
Nell'ultimo angolo di essa nave vi è l'altare dedicato a S. Gio: Battista.
La suddetta Chiesa non have dote assegnata per la sua reparatione, mà occorrendo, si procurano elemosine da'
Parrocchiani, e per la fabrica nella spesa di consideratione, deve contribuire l'Università, ed il simile per le
suppellettili con la contributione anco dell'Arciprete di essa Chiesa.
... tiene il suo pavimento di mattoni ma non del tutto piano, mentre in mezzo vi sono sei gradi di pietra, ed è
lunga palmi 60, e larga palmi 35.
Da dietro al pulpito si saglie al Coro, che stà proprio sopra l'atrio della porta s.a accennata, al q.le si entra per
una porta tutta dipinta con cancelli avanti colla sua soffitta di tavole dipinte, e pavim.to di mattoni, ed è lungo
palmi 18 e largo palmi 10, in mezzo di cui vi è un leggio di legno dipinto fisso, e con armario sotto, ed intorno vi
sono i sedili di legno colle lor spalliere.
... ed a destra entrasi nella sagrestia con scendere cinque gradi di pietra, ed è lunga palmi 30; e larga p...
(illeggibile).
Si ascende al campanile per scala di fabbrica, che tengono 24 gradi: ed è lungo o sia alto palmi 45 in c.a,
coverto a quattroacque con croce di ferro nella sommità; e con quattro finestroni d'onde pendono quattro
campane".
Di esse una, di rotola 30, ancora non veniva benedetta nel 1701, mentre le altre tre risultavano benedette
dall'Orsini l'8 luglio del 1693. Ed erano: una, di cantara 8, del 1669 del M.ro Gio:Angelo Marinelli di Agnone;
una, di cantara 7, del 1583 del M. Donato Antonio di Capracotta; una, di rotola 20, "senza segni e senza lettere".
Molto stranamente, però, il documento del 1713 riferisce che le campane sono solo tre.
62
laterali, e da un Colonnetto, ove posano i dui anchi di essa Tribuna e nel muro di dietro di
detto Fonte vi e dipinto S. Giov: Batta battizzante Giesù, e nell'altro muro, vi sono scritte le
seguenti parole Mandante Em.o Archiep.o Ursino, Parochus Ioseph. del Gobbo proprio
aere erexit anno D.ni 1706; Vi e il Sagrario nel pavim.to; E cinto da balaustrata di legno
tornita.
Tiene detta Chiesa il suo pavim.to di mattoni, non e però tutto intiero mentre ascende per al
piano dell'Altare magg.re vi sono sei gradi di pietra; e lunga pal: 60: e larga pal: 35 (a),...
Nel Corno dell'Epistola dell'Altare magg.re e dentro al muro un'Armarietto indorato con
chiave,...
Da dietro al pulpito sud:o s'ascende al Coro, ch'e proprio sop.a l'atrio della porta piccola
sopraaccennata al quale s'entra per una porta tutta dipinta, con Cancelli avanti alla sua
suffitta di mattoni, ed e lungo pal 18, e largo pal: 10, in mezzo d'esso vie un leggio dipinto per
porvi i libri per il canto fermo con armario sotto, ed intorno d.o Coro vi sono i Sedili di legno
colle loro Spalliere ben lavorate, e per lume ingrediente ha due fenestrole, cioe una verso
levante, e l'altra a Settentrione costodite da vetri.
Dal Corno dell'Epistola dell'Altare mag.re entrasi in una Stanziola dov'è un Armario fisso
grande di legno per uso de Confrati della capp.a del SS.mo Corpo di Cristo.
A man destra di d.a Stanziola s'incontra la porta della Sagrestia nella quale entrasi in piano
per porta di legno dipinta, le sue gambe sono di pietra, vedesi il pavim.to di Mattoni ben
uniti, la suffitta col suo friso attorno, dipinta in buona forma; A man dritta dell'ingresso, vie
un Armario grande foderato di fuori, di legno di noce e di dentro di pioppo,... Li pareti sono
tutti inbiancati, ne quali son dipinte l'effiggie sopra tela di S. Filippo Neri, di S. gaetano, e
della SS.ma Annunziata divisa però in due quadretti cioe uno dell'Ang.o Annunciante, e
l'altro della Madonna,... e alta pal: 14 e lunga pal: 21; Ha due Fenestre una grande verso
mezzo giorno, e una piccola verso levante, ambedue con vetrate.
Si mantiene la med.ma Chiesa Parr.le dall'Unità, si come s'en'obligò nell'atto della
Congreat.ne della Chiesa, e la sua Festa si celebra a 26 X.mbre di quals.a anno, come
osservasi da dodici Croci dipinte dentro le muri di essa Chiesa, e leggesi in una descriz.ne
incisa sop.a un marmo (se ne riporta più sotto il testo) fabricato sop.a la porta magg.re ove
parim.te sta l'Organo nuovo col suo ercasto fatto a cancelli...
La sudetta Chiesa tiene per lumi ingredienti cinque Fenestre oltre di quelle del Coro, munite
tutte con vetriate.
A man sinistra della Stanziola sud.a de Confrati del SS.mo Corpo di Cristo si ascende al
Campanile (b) per scala di fabrica, che tengono 24 gradini, ed è alto pal: 45 in circa coverto
a quattro penne con Croce di ferro nella cima e con quattro finestroni pendono in esso tre
(ma, come si può vedere a nota 26, negli 'inventari' più antichi si ha che sono 4) Campane,
cioè una piccola e due grandi, la piccola che sarà di rot:a 30 inc:a non tiene segno alcuno, ò
inscriz.ne perloche non sa si sia benedetta; Una grande di cantara sei (c) inc:a tiene le
seguenti Iscrizzioni
Ave gratia plena D.nus tecum Benedicta tu= Verbum Caro factum est: habitavit in
Nobis Universitas Terrae Limusanorum refacta ex licentia E.mi D. Cardinalis Ursini
Archiepiscopi Beni: I: Angelus Marinelus Civitatis Agnoni fecit Anno Domini D.ni M: D.
C.CIII. Nella quale in una parte vi e scolpito S. Donato Vescovo, e nell'altra vie impressa la
figura del SS.mo Sacram.to.
L'altra che sarà di can:ra nove inc:a ha le seguenti Inscriz.ni
Verbum Caro factum est; et habitavit in Nobis= Adonai + Tetragramaton: + Sadij + Ave
gratia plena D.nus tecum benedicta tu in Mulieribus Mentem sanctam spontaneam,
honorem Deo, Patriae liberat:m - Uni.tas Limusanensis Campanas Eccle. S: Stephani
restaur:t ex lic:a Emi D. Cardinalis Ursini Beni A: D: M:D:CCIII: M: I: Angel.s
63
Marinelus Civi:s Agnoni fecit= colla figura impressa del Sacram.to
Furon benedette dal Sig.re Card.l Orsini nell'anno 1703 (d).
Nella sudetta Chiesa Parr.le di S. Stefano vi sono quattro Altari cioè:
A Frontespirtio dalla porta grande si vede eretto l'Altare magg.re il quale tiene una
bellissima Icona ben lavorata a fogliami, e tutta indorata, in cui vi sono quattro Nicchi che
vengono divisi da quattro Colonne le quali conservano quattro statue di legno, cioe una,
posta nella cima, a mezzo busto del P.re Eterno, e tre a tutto busto, cioè della Beatis.ma
Verg.e col Bambino, di S. Stefano, e di S. Lorenzo,..., avanti sotto la base della Colonna del
Corno del Vangelo, ne sta una figuretta sop.a a tavola dipinta l'effig.e di S. Gioseppe... e sotto
la base dell'altra Colonna ve n'è un'altra consimile dedicata a S. Gioacchino; Lo stipite di
detto Alt:re e tutto di fabrica con i suoi spicoli di pietra lavorata, la sua Mensa e anche di
pietra composta di tre pezzi col Tassello in mezzo, e due gradini anche di pietra per i
Candelieri, e Credenzuola sostenuta da una Colonna lavorata di pietra; tiene avanti la sua
balaustrata di legno tornite. Oltre al suppedaneo di legno, si ascende in d.o Altare per doi
gradini. Non se n'ha mem.ria della sua fondat.ne, ma solo ristaurato come si legge in piedi di
d.a Icona, che fu nell'anno 1644: Qual'Alt.re vien mantenuto colle sue rendite dall'Arcip.li
pro tempore. Fu consagrato assieme colla chiesa dall'Emo Arciv:o Orsini nell'anno 1696: a
16 Ag.to...
A capo della Nave laterale del Corno dell'Epistola sta eretto l'Alt.re sotto il tit.o del SS.mo
Corpo di Cristo (e)...
L'altro Alt:re e nella Nave laterale dal Corno del Vangelo dedicato all'Anime del Purg.rio
(f)...
Il quarto ed ultimo è parim.e sito nella parte della nave del Corno dell'Epistola... q.ale e
dedicato al glorioso S. Michele Arcangelo (g) della famiglia del Gobbo"93.
93
APL, Inventarium... 1712-13. Si veda anche la precedente nota (26).
(a) La pianta, che pure ne conferma la lunghezza in "pal: 60", indica essere la Chiesa "larga pal: 48".
(b) Una tale circostanza, combinata ad altre 'indicazioni', porta a collocare il campanile della Chiesa in una
posizione assai diversa da quella attuale.
(c) Circa la conversione delle misure di peso, si può dire che un 'rotolo' corrispondeva a circa Kg. 0,900 ed
un 'cantaro', pari a 100 'rotola', a 90 Kg. circa.
(d) Una prima benedizione delle campane da parte del Cardinal Orsini è documentabile per l'8 di Luglio
1693.
(e) "La Conf.ta del SS.mo Corpo di Cristo tiene la sua Capp.a nella Nave laterale nel Corno dell'Epistola
dell'Altare mag.re, il quale contiene una bellissima Icona tutta intagliata, e dipinta, ed indorata, con due
Colonne, ed in mezzo vi è Gesù Cristo di rilievo in atto di risuscitare dal mortum.to ed in mezzo vi e la Custodia,
ben unita di legno indorata e serrata con Chiave d'argento,..., e sopra d'essa Icona vi e un Capocielo di legno in
f.a di baldacchino colle sue tavole e Cornice intagliate colorate, ed indorate ed in mezzo vi e dipinto il SS.mo
Sacram.to. Lo Stipite di d.o altare e tutto di fabrica con i suoi spicoli di pietra, dalla q.le e anco la menza di
pezzi tre col suo Tassello in mezzo, ben unito con due gradini, anco di pietra lavorati ed ha la sua Credenza di
pietra fissa nel muro, con Colonnetta che lo sostiene. Ha la sua Balaustrata d'avanti di legno tornita; si ascende
al sud.o Altare per due gradini di pietra lavorata ed il suppedaneo di legno. Non si ha memoria della sua
fondazione:
Fu consagrato il sud.o Altare dall'Emo Arciv.o Orsini nell'anno 1703, a 30 di Maggio, assieme coll'Alta.ri di S.
Maria del suffraggio, e di S. Michel'Arcangelo, come si legge dalla seguente inscrizz.ne posta poco lontano dal
sud.o Alt.e nel muro laterale (v. nota g ), scolpita in marmo".
(f) "La Cappella sudetta dell'Anime del Purgatorio sta eretta dentro la Chiesa Parr.le,..., posta parimente al
Corno del Vangelo dell'Alt.re magg.re. Lo stipite dell'alt.re e tutto di fabrica, con i suoi spicoli di pietra. Tiene
la sua menza parim.te di pietra divisa in tre pezzi, col tassello in mezzo ben lavorato. Vi è il gradino di legno
dipinto per li Candelieri, sta la sua Credenzola di pietra attaccata al muro. Il quadro è dipinto sop.a tela,
coll'effiggie della B. Vergine del suffraggio, e sotto di essa vi sono l'anime del Purg.o, colla sua Cornice
indorata, e con lavori. Si ascende in esso Altare per un solo gradino di pietra oltre il suppedaneo. Vi e la
Balaustrata di legno tornita, è alto detto quadro pal: 6, e largo pal: 3.
Nel di 2 9.mbre di quals.a anno, si fa la Comm.e dell'anime del Purg.o.
64
Appena qualche anno dopo la prima 'benedizione' delle campane, il Cardinal Orsini, poiché
nel frattempo erano forse terminati i lavori, che in tale occasione non dovettero risultare assai
modificativi per la struttura se, nel luglio del 1721, quei sei gradi di pietra posti in mezzo alla
Chiesa ancora esistevano (v. nota 50 del 1° Cap.), 'inaugura' la Chiesa e ri-consacra l'altare.
Ricordava tutto ciò "una lapide, che si conserva(va) nell'Archivio di S. Stefano..., del tenore
che siegue
Ecclesiam hanc in honorem Dei, et S. Stephani Protomart: solemni ritu dedicans die 16.
Augusti anno 1696. cum principe ora sacravit Fr: Vincentius Maria Ord: Predic: Card:
Ursinus Archiepiscopus, et omnibus fidelibus ipsam visitantibus Dominica prima post
octavam Nativit: B. M. V. in quam dedicationis frustrum transtulit, centum indulgentiae
dies concessit.
Societas SSmi Sacramenti in hac Ecclesia rite erecta, ut disciplinae, et bonarum artium
in Limusanorum Civitate perennaret capitalium ducatos septingentos die 19. Septembris
anno 1695. Tabulis confectis manu Not: Josephi de Pompeio Sacro Seminario
Beneventano erogavit, hac lege, ut unus Alumnus a Confratribus nominandus perpetuo
aevo reciperetur, et gratis aderetur"94.
L'episodio, che dimostra un forte attivismo economico di Limosano in quel momento storico,
del versamento dei 700 ducati con la condizione di tenervi gratuitamente un alunno per lo
studio risultava nel "paragrafo nono del Cap: 1°" delle "Regole del S. Seminario della Città di
Benevento riconosciute, riformate et accresciute dall' E.mo Cardinale Fr: Vincenzo Maria
Orsini", dove "si legge il seguente articolo 9
Col nostro consenso nell'anno 1695 a 9. Settembre i Fratelli della Confraternita del SSmo
Corpo di Cristo della Città di Limosano della nostra Diocesi pagarono al Seminario ducati
settecento, coll'obbligazione di mantenere gratis un Alunno, nativo della stessa Città, da
nomianrsi da essi, e loro successori in perpetuum, siccome costa dallo strumento rogato dal
N:r Giuseppe di Pompeo Beneventano".
Fu d.o Alt.e a 3 Aug.o 1713 assieme con'altri due altari, cioe della SS.ma Ann.ta, e quello di S. Filippo Neri, e S.
Caetano, consagrato dall'Emo, e Rev.mo Sig.re Card:l Orsini Arciv.o,...".
(g) "Il sudetto beneficio ha la sua Cappella sotto il tit.o di S. Michel'Arcangelo... nella parte del Corno
dell'Epist.la dell'Alt.e mag.re nella nave laterale, e nel piano della Chiesa, dipinto in un quadro sopra tela con
S. Giovanni, la Madonna ed altri santi, ne tiene parim.te due altri, in uno perciò e dipinta l'Imagine di S. Ant.o
di Padoa e nell'altro di S. Fran:co di Paula ed altri due quadretti sono nella parte superiore tutti medesim.te
posti sopra tela; eglino vengono divisi da una Icona tutta ben intagliata, e ripartita da quattro Colonne pure
intagliate con consimili posta nella Sommità, ed in mezzo vi stà un'altro quadro depinto sopra tela indicante
Christo Sig.re N.ro, nell'atto della schiodat.e della Croce colle Marie, e sopra i gradini d'essa Icona avanti, il
quadro di S. Michele sta locata una statua di legno sotto il tit.o di S. Donato.
Lo Stipite di d.o Alt.re è tutto di fabrica colli suoi spicoli alli lati; la sua menza e di pietra a tre pezzi col suo
tassello in mezzo ben formato con due gradini di pietra per i Candelieri, e la Credenzola contigua al sud.o
Altare.
Si ascende al sud.o Altare per due gradini di pietra oltre il suppedaneo, e nel piano a pie' di essi gradini sono in
forma di Cangelli le balaustrate tutti torniti.
La sua festa si celebra due volte l'anno cioe a 28 di Maggio, e 29 7.mbre. Il mantiene il Beneficiato pro tempore.
(...). L'Altare sud.o fu consag.to dall'Emo Arciv.o Orsini a 30 Magg.o 1703 come si legge dalle seguenti
inscizz.ni scolpita in marmo posta poco lontano da esso Alt.re cioe
Fr. Vincentius Maria Ord. Praed. Episcopus Tusculanus S.R.C. Card. Ursinus Archiepiscopus tria in hoc
templo minora altaria solemni ritu sacravit: duo scilicet die XXX Maii MDCCIII: primum in honorem
B.V.M. ab angelo Annunciatae ac S.S. Philippi Nerii, et Gaetani confessoris, et alterum in honorem B.V.
de suffragio; tertium vero die immediate sequenti in honorem eiusdem S.S. Virginis Matris Dei Mariae, S.
Micahelis Arcangeli S. Joannis Ap. et Evang., et S. Antonii Abb: ac omnibus his anniversarios fundentibus
preces centum indulgentiae dies perpetuo concessit".
94
ASC, Opere pie Limosano, B.1, f. 1.
65
Una iscrizione su lapide, che tuttora esiste murata, pur se poco visibile, vicino alla nicchia con
la statua di S. Filomena95 nella terza delle quattro cappelle di destra della Chiesa, ricorda
ancora i
BENEFICIA SIMPLICIA ECCLE(SIAE)
S. STEPHANI LIMUSANOR(UM)
S. MICHAELIS ARCANGELI
S. CHRISTANTIANI
S. MARGARITAE
S. SYLVESTRI
S. NICOLAI
S. LUCIAE
Eccettuato quello di S. Michele, senza alcun dubbio recente, tutti gli altri "Benefizi senza cura
e da tempo immemorabile annessi" alla Rettoria di S. Stefano erano tanto antichi che "non si
sa se loro fussero mai state sotto il titolo di Chiese, ò Cappelle". Si incontrano tra le carte,
tuttavia, degli elementi che inducono a ritenerli meno antichi, e di non poco, dei 'benefizi'
annessi alla Arcipretale di S. Maria.
Quanto alla presenza ed al loro significato, va detto che le disponibilità fondiarie di tali
'benefizi' (così come pure degli altri annessi a S. Maria) rappresentavano la parte residuale
delle aggregazioni patrimoniali, più o meno estese e vaste, riferibili a quelle numerose
evidenze cenobitico-monastiche (ed anche alle loro dipendenze e grancie), che, nel "tempo
immemorabile" o, più correttamente, alto medievale, costituivano il nucleo delle emergenze
insediamentali, di dimensioni minime, sparse sul territorio e che, da tempo scomparse,
risultano ora, come e più di allora, di difficile collocazione.
95
Da una iscrizione, non più esistente ed il cui testo abbiamo trovato in mezzo ad alcune carte sparse dell'APL,
sappiamo che l'altare di S. Filomena fu edificato nel 1852 dai due esponenti ecclesiastici della famiglia De
Angelis, il Vescovo Mons. Domenico, appena da qualche anno (1849) consacrato a Benevento direttamente da
Pio IX, ed il gesuita P. Michele.
Il testo della lapide era:
D.O.M.
ARAM HANC D. PHILUMENAE V. ET M. SACRAM
REV. DOMINICUS DE ANGELIS VIC. FORANEUS NOVO MARTIRIS SIGNO
DECORAVIT ET IMPENSA SUA MARMOREUM FECIT
DEIN AERE PROPRIO CO-LATO NEC SUI PARENTUM
ET FRATRIS MICHAELIS SOC. JESU SODALIS MEMORIA
POST FATUM EXCOLESCERET UNIVERSO ECCLESIAE LIMUSANENSIS
ORDINI ANNIVERSARIA SACRA IN PERPETUUM LEGAVIT
ANN. MDCCCLII
66
Chiesa di S. Stefano: antica mensola, attualmente sistemata vicino l’altare maggiore.
La composizione patrimoniale delle singole istituzioni, che erano state (ma sfuggono il
quando, il come ed il perché) ricondotte nell'ambito amministrativo della Chiesa di S. Stefano
era così composta:
1) il "Benefizio annesso di S. Margarita". Era proprietario di ben sei 'territori' sparsi
nell'agro (i tre più grandi erano: al "Peschio della Palomba", alla "Serra di Diriporro" ed alla
"Fonta della Chiusa") ed estesi per complessivi tomoli 72 e 6 misure. Concessi
indistintamente col sistema del 'terraggio' di un decimo o di un ottavo, "tutti li Territ.ij
possono rendere di terraggio un'anno per l'altro tt. 9:20" di grano.
2) il "Benefizio annesso di Santo Nicolò". Possedeva solo "un territ.io, sito... nel luogo dove
si dice la Colagna di capacità tt.a sei...; le coerenze del sudetto Territorio sono da Levante la
via pu.ca da Ponente, li beni della sudetta Chiesa, da mezzo giorno, li beni dell'Unità, e da
Tramont.a colli beni del Convento di S. Francesco; si dà a terraggio d'ogni otto tt:a uno, che
un'anno per l'altro può rendere tt. 1:3 (quarti)".
3) il "Benefizio annesso di S. Lucia". Disponeva anch'esso solamente di "un Territ.io, sito...
nel luogo dove si dice Fonte dell'Olmo, di capacità tt:a dieci, m.e sette e passi quattordici...; si
dà a terraggio d'ogni otto uno, che un'anno per l'altro rende tt.a 2:3 (quarti)" ed, inoltre, "per
ghianda rende di sopra 0:30" ducati.
67
4) il "Benefizio annesso di S. Cristinziano". Dei due "territori", che possedeva, il più vasto
era "posto nel luogo dove si dice Colle della noce" e l'altro "nel luogo dove si dice la
Colagna". Estesi per complessivi 24 tomoli e 4 misure, "li sudetti Territorij un'anno, per l'altro
rendono di terraggio tt. 2:3 (quarti)" di grano.
5) il "Benefizio annesso di S. Maria Maddalena". Era proprietario di cinque pezzi di
"territorio", sparsi nell'agro ed estesi per un totale di 30 tomoli ed 8 misure. "Tutti e quattro li
sud.i Territ.ij possono rendere di terrag.o un'anno per l'altro tt: 6:3 (quarti)" di grano; mentre il
quinto, quello di minor dimensione ("di capacità tt:o uno, e m:e otto e passi venti") e che,
"posto... nel luogo dove si dice S: Felice", confinava con "li beni del Ven.le Convento di S.
Franc.o... e, dalla parte di Tramontana, colla via vicinale, si tiene da Ant.o de Angelillis à 29
anni, e paga in ogn'anno ad Ag.to per can.e di g.ni vinti cinque".
6) il "Benefizio annesso senza cura sotto il tit.o di S: Michele Arc'Angelo Jus padronato
della famiglia del Gobbo". Pur se, come lascia intendere il fatto di essere 'senza cura', il
"benefizio" esisteva da tempo, la sua aggregazione patrimoniale risulta essere il frutto di due
'legati' relativamente recenti.
Un primo lascito fu di Don Francesco Radicchio (quasi certamente originario della 'Terra' di
Covatta, fu Notaio Apostolico e Parroco di S. Stefano dal 1656 al 1659), il quale "legò a
benef.o della sud.a Capp.a di S. Michele Arcangelo, e S. Donato, dipinti in un quadro della
stessa Capp.a, una Casa con peso di messe piane q.nte dal frutto esse ne capivano, come per
Testam.to rog.to per m.o dell'Arcp.e D:n Donato Covatta nell'anno 1659". E, non essendo
ancora stato pagato il "prezzo della sud.a Casa legata dal sud.o Test.re, quale è sita... nel luogo
dove si dice la Piazza delle Fucine, e propriamente attaccata allo Spedale, le coerenze della
quale sono da una parte lo Spedale sud.o dall'altri li beni di Pasc'Ant:o Ramola, la Piazza
Pub.ca, e l'Inforzi", venduta "come per Strom.to rog.to di N: Giov. Corvinelli di FossaCeca
sot.o li 17 Aprile 1673", gli eredi degli acquirenti, i fratelli del Gobbo, "pagano in ann: doc:
otto, e g.ni vint'otto per un Cap.le di doc: novanta due".
La seconda donazione era stata del "q:m Giov: Ant:o del Gobbo", il quale, "col peso di due
Messe piane in d.o Altare in giorno d'ogni Lunedi di messe per l'anima sua, e della sua
famiglia, ed anco una messa Cantata con primi e 2:ndi vesperi nel dì della dedicaz.ne di S.
Michel'Arcang.o,..., assignò in Iusp.to della d.a sua Famiglia, come diffusam.te si legge
nell'Instrom.to di fondaz.ne rog.to per m.o di N: Carlo Sallottolo, della Terra di Campobasso à
5: X.mbre 1682", ben sei pezzi di terreno (una "vigna con cortina", tre "territori seminatori",
un "territorio, seu cerqueto" ed un "territorio parte seminatorio e parte frattoso"), estesi per
complessivi 190 tomoli e 4 misure. "Tutti li sudetti Territ.j si coltivano dal med.mo
Beneficiato (il Rev: Sig:re D:n Gius.e Ant.o del Gobbo, figlio del sud.o Test.re), e possono
rendere un' anno per l'altro tt.a trentacinq: di g.no,
le quali a ragg.ne di otto carl: il tt.o imp.no doc:
28:00
Il Cerqueto può rendere un'anno per l'altro carl: trenta due
3:20
La Vigna che parim.te si coltiva da esso Benef.to rende un'anno per l'altro
5:00".
Il beneficio, oltre al "Cattedratico" nella misura di 5 carlini, pagava anche 33 grani ed un terzo
per "spoglie e Galere".
7) la "Cappella dell'anime del Purgatorio". Essa, "fondata dal q:m D.n Dom:co del Gobbo,
nell'anno 1693", che la dotò di un capitale di 50 ducati, in un ventennio circa, tramite 'legati' e
lasciti, arrivò a tenere un patrimonio composto, oltre che da 'capitali' per complessivi ducati
82:60, impiegati al tasso medio del 7,978%, anche da due "case" (la più grande "sita nel luogo
dove si dice S. Angelo, seù lo Piano"), utilizzate dal donatore Dom:co Bonadie (che le aveva
donate "per esso, e per l'anima del q.m Ang.a sua figlia"), da "una vigna di trentali tre"
(corrispondenti a circa un tomolo e 2 misure) e da "pecore di ogni capo n:o dieci, dato ad
affitto a Franc:o di Pietro Gion:Cola, delli quali dedottone le spese gli e ne restano franchi
68
carl: dieci".
8) la "Cappella sotto il titolo di S. Giuseppe". Più che ad una Cappella vera e propria, si
faceva riferimento all'altare maggiore della Chiesa o, più precisamente, al fatto che "in
un'angolo dell'istessa Icona, dipinta sop.a a tela si venera l'effigie d'esso Santo in un quadretto
alto pal. 1 e mezzo e largo pal. 1". "Ne meno della consegratione" si avevano notizie; e per il
semplice motivo, forse, che mai essa era stata fatta, essendo recente l'intero suo patrimonio,
che risultava composto da: 1) un capitale liquido, ascendente "alla somma di duc: cento
novanta cinque", che "il q.m Pompeo Capillo assegnò in vita nel di p.o Mag.o 1698"; 2) un
capitale liquido, ammontante a ducati 275:80, ricavato dalla vendita di tutta l'eredità, che "il
med.o Pompeo Capillo nel suo ultimo Testamento stip.to... nel di p.o di Mag.o 1698" aveva
legato "a benef.o della sud.a Capp.a"; 3) un capitale liquido, di 33:00 ducati, frutto della
vendita "per ordine dell'Emo Arciv:o" delle "pecore n.o novanta dell'heredità del sud.o q.m
Pompeo Capillo", date "à socida a Benedetto del Gobbo; 4) "li seguenti debitori in tt.a vinti
sette di grano, che dovevano all'Eredità sudetta secondo l'Inventario vecchio del 1701, i quali
secondo il prezzo di carlini dieci che voleva quel tempo, oggi n'hanno fatto poliza aut.a":
- Fran.co Piscolla, e suoi fratelli per tt.a sei
ducati 6:00
- Fran.co Larenza per tt.a 5
"
5:00
- Cristofano Grieco per tt.a 1
"
1:00
- Dom.co Russo per tt.o uno
"
1:00
- Lonardo d'Amico per tt.a 1 e mezzo
"
1:50
- Il rimanente delli tt.a venti sette gli deve Tomaso Marc'Ant.o
"
13:00
27:50
- Più deve Carlo del Gobbo
ducati 8:00
- Il med.mo per un tt.o e quarto di grano
"
1:25
- Per quello potrebbe esigersi della vendita d'alcuni
utensilj di Cucina, e Cantina
ducati 3:20
I ducati 503:80 del capitale liquido erano 'impiegati' in 15 prestiti, che potevano andare da un
minimo di 9:80 ad un massimo di 100:00 ducati, al tasso dell'8%.
Del Santo esiste tuttora una statua lignea, di gran pregio artistico e firmata da "Nicola
Giovannitto Loretino" nell' "A.D. 1737", realizzata forse in tale anno con i proventi del
'benefizio'.
Quanto al patrimonio della "Chiesa Arcipretale sotto il titolo di S. Stefano", esso risulta meno
complesso, ma assai più consistente, di quello della Chiesa di S. Maria. La forte ed evidente
presenza nel primo, molto più che nell'altro, di capitali liquidi ingenti, riferiti tanto ai 'benefizi'
che alla stessa Chiesa, consente di ipotizzarne la aggregazione in un periodo di tempo
relativamente più recente. Permette, inoltre, di individuare nella Chiesa di S. Stefano e nelle
organizzazioni ad essa collegate il riferimento, sia sociale che religioso, di quella parte di
abitanti dell'insediamento, professionisti ed artigiani, più ricchi e possidenti, i quali per secoli
e sin dall'alto medioevo hanno vissuto in contrapposizione con la parte legata al lavoro della
terra e, comunque, più povera.
A differenza di quella di S. Maria, nel cui attivo non vennero riscontrate disponibilità
finanziarie liquide, la Chiesa di S. Stefano impiegava in prestiti capitali, pervenutile da 'legati',
tutti abbastanza recenti e di diversa natura (singolare quello derivante dalla vendita di "un
Cimbalo legato dal q.m Acolito Gregorio Giancola"), per un totale di 191:00 ducati. Le
"obliganze" si tenevano, per un importo medio di 11:24 ducati, da diciassette partitari ad un
tasso medio dell' 8,419% (e che variava tra l'8 ed il 9 %).
Tra i beni del patrimonio immobiliare non vi figurava, anche questo a differenza di S. Maria,
nessuna "Casa Arcipretale", di cui S. Stefano restò priva sino a quando, nel XIX secolo, venne
costruita quella (abitata per ultimo dall'Arciprete Casamassa sino alla morte avvenuta nel
69
1963), cui si accedeva da una porta, tuttora esistente nella sagrestia. Ma vi rientravano tre
'case', ciascuna "di due membri, uno sup.re, e l'altro inferiore", ed "una Grotta posta... nel
luogo dove si dice Fonte Salza, larga pal 20 e lunga pal: 26", che "si tiene in affitto da Donato
Marc'Ant.o a triennio e paga in ogn'anno carl: cinq:".
In una società atavicamente legata al lavoro agricolo ed in cui, per condizionarla, da sempre
era necessario esercitare il controllo della terra, intesa come fattore di produzione, era naturale
che la parte più consistente del disponibile patrimoniale fosse da questa rappresentata. La
Chiesa di S. Stefano, con 25 "vigne" più o meno estese (si andava dalla più piccola di 12
misure alla più grande di 5 tomoli e 6 misure) e "con piedi d'olive et altri albori fruttiferi",
"con canneto" o "con cortina", con 63 "territori" di ogni tipo e dimensione (da quello di un
solo tomolo al più grande di ben 106 tomoli), e con un "orto" di 10 misure, a suo modo
anch'essa condizionava, e non poco, la società limosanese. Si ignora l'incidenza sul totale sia
del "seminatorio" che dell'incolto e del boscoso; si riesce, tuttavia, ad individuare quella del
vigneto, che, con i suoi 67 tomoli e 6 misure, rappresenta il 7,76% dell'intero patrimonio
fondiario, che, distribuito assai irregolarmente per tutto l'agro, era di complessivi 863 tomoli e
10 misure.
Dalla "somma de tutti li frutti", che la Chiesa Parrocchiale di S. Stefano ricavava dal suo
patrimonio, si ottiene un quadro d'assieme completo ed assai utile anche per i possibili
raffronti con la Arcipretale di S. Maria.
- Per Case locate ad anno corrente
2:10
- Per Case à 29 anni
0:30
- Per Vigne à 29 anni
17:50
- Per Territ.j ad anno corr.te in g.no mezzo tt.o à carlini otto il tt.o
0:40
- Per Territ.ij à 29 anni
1:30
- Per Territ.ij à terag.o tt.a 145 ed un quarto, a carl. otto il tt.o
116:20
- Per ghiande
1:20
- Per Territ.o in dem.o tt.a quindeci, a d.a rag.ne
12:00
- Per orto ad anno corrente
1:00
- Rendite di diversa natura dai "Benefizi"
20:98
- Per Xma sopra a bovi tt.a 109 alla misura di Ben.to, a carl: 7 il tt.o
76:30
- Per Xma in orzo alla d.a mis.a tt:a 27 ed un quarto à carlini 4 il tt.o
10:92
15:21
- Per Xma personale96
- Per emolumenti di Stola97
20:32
La "somma di tutti li frutti" ammonta a
Ducati
295:73
L'opera dell'Orsini di rendere visibile il controllo ecclesiastico anche su attività sociali trovò,
almeno inizialmente, seguito ed entusiasmi. Come nel caso di Libero Antonio Longo, che,
dopo aver acquistata "l'immagine della Beata Vergine de' Sette Dolori nel 1717", ricorse al
Cardinale per ottenerne il permesso di erigerLe un altare. Ottenutolo e stipulato, il 2 Marzo
1718 per mano del Notaio Francesco A. Amoroso, un "istrumento di Fondazione del
96
Anche la 'Parr.le' di S. Stefano aveva "il Jus d'esiggere la Xma", e sempre "alla mis.a di Ben.to", come la
'Arcipretale' di S. Maria; però solo a quest'ultima apparteneva il diritto della decima nel caso che "qualche
famiglia forastiera venisse à fare abitazione nella Terra de Limusani". Le famiglie, delle quali se ne riportano i
cognomi, 'sottomesse' alla prima erano n° 38 (con 8 'artisti' e 62 'non artisti') e n° 101 Case; tra esse figuravano
tanto il "Sig.re Marchese di Grazia" che il "Convento di S. Franc.o".
97
Sempre per curiosità e per capire antiche costumanze (v. anche la nota 16) riportiamo qualche "emolumento":
- Per ogni rompetura della Fonte battesimale in Sabato Santo, ò nella Pentecoste una gallina;
- Per l'affissione delle Croci,...;
- Per oblatione nel di di S. Donato...;
- Per offerta à 3: Ag.to giorno dell'inu:e di S. Stefano ed à 26 Xmbre giorno di S. Stefano...;
- Per le Scomuniche esigge per tre denunce carlini tre, Per ciascedun Testimonio di rivela carlini due...
70
Beneficio di jus patronato della Famiglia Longhi", appena qualche anno più tardi, il 20 luglio
1721, lo stesso Orsini fece la "consacrazione dell'Altare del Beneficio della Beata Vergine de'
Sette Dolori".
Quei contrasti, tanto inutili quanto deleteri, ma che mal celavano i forti scontri sociali, per la
preminenza tra le due Chiese, che caratterizzarono, durante l'intero XVIII secolo, la storia
limosanese, portarono, nel 1809, alla unificazione (v. nota 20) delle due parrocchie. La
decadenza, da allora e con essa, si fece irriversibile ed inesorabile.
Quello, che dalle descrizioni tramandateci sembra essere stato un gioiello per rigorosità
stilistica di architettura cinquecentesca, quando, però, nei lavori di rifacimento (v. l'atto in
nota 25) non ne fu sconvolto l'impianto della fabbrica, ebbe a subire danni enormi ed
irreparabili in occasione del terremoto del 26 Luglio 1805. I lavori, che ne seguirono e che,
anche a causa delle mutate condizioni politico-amministrative, durarono per circa un
settantennio98, modificarono radicalmente la struttura architettonica della Chiesa. Prima di
iniziarli, però, con antico rispetto e senso di cultura non più usuale si fece una ricognizione. Di
essa, che ci fa conoscere l'impegno nel tramandare ai posteri le opere dei padri, ne
trascriviamo la registrazione99.
"... A richiesta fattaci dal Signor Don Emiliano Corvinelli Odierno Arciprete di questa
Parrocchial Chiesa di San Stefano, personalmente conferiti nella Chiesa sudetta scoverta
ruinata dal Flagello del Terremoto, entro della quale vi abbiamo ritrovati il Sacerdote Don
Francesco d'Addario, il Sacerdote Don Evangelista Matteo, il Sacerdote Don Vincenzo
Fracassi, il Sacerdote Don Luigi Fracassi, il Dottor Don Quirino Fracassi, il Dottor Fisico
Don Daniele Fracassi, Don Vitale Larenza, Don Vincenzo Fracassi, Don Vincenzo Maria
Tata, Magnifico Paschale Fracassi e Magnifico Luigi Sebastiano attual Amministratore di
questa Comune, tutti di questa sudetta (comune) di Limosano, ed in occasione di essersi dato
principio al riattamento dell'anzedetta Parrocchial Chiesa, primacche si distaccassero le
toniche delle muraglie del Battistero, per esservi in una di esse impressa un'antica Iscrizione,
a tal oggetto lo riferito Signor Arciprete ave pregato li sopradescritti Preti, e Galantuomini,
che come cittadini più probi, accreditati, onesti e degni di fede, avessero perciò
diligentemente, ed attentamente quella osservata, e riconosciuta per farne sollenne atto, li
medesimi in ciò sentire, senza verun ostacolo, immediatamente sono unitamente entrati nel
sudetto Battistero, ed approssimatisi al dientro in una muraglia dirimpetto a questo Palazzo
Marchesale, sopra la di cui tonica vi hanno ritrovata impressa un'antica Iscrizione
manoscritta a lettere Maiuscole del tenor seguente:
MANDANTE EMINENTISSIMO ARCHIEPISCOPO URSINI
ARCHIPRESBYTER JOSEPH DEL GOBBO PROPRIO AERE EREXIT
ANNO DOMINI 1706
Quale suddetta antica Iscrizione essendo stata rispettivamente da essi sudetti attestanti uno
dopo l'altro letta, riletta, osservata con tutta l'attenzione, e benemente riconosciuta, non
avendosi in essa affatto rilevato viziatura alcuna, cassatura, né rapura, ma vera sincera tale
quale anticamente fu manoscritta nella suddetta Epoca di tempo, e così hanno dichiarato,
testificato, ed attestato rispettivamente con giuramento tacto pectore, et tactis scripturis".
Nel 1928 si fecero "lavori alla covertina alla chiesa di Santo Stefano" per complessive L. 1293
ed altri opere, per L. 248, di manutenzione straordinaria all'interno.
E' del 23 Luglio 1950 la 'scrittura privata' per l'affidamento al "Signor Fracassi Ercole fu
Angelo" dei lavori di rifacimento "al soffitto in legno per la copertura interna della Chiesa
98
ASC, Prefettura II Serie, Limosano, BB. 3 e 7. E' del 1871 una perizia suppletiva di Giuseppe di Vincenzo da
Civitavecchia per accertare il fabbisogno per le riparazioni del "vuoto rinvenuto nell'abbattimento del muro che
minacciava rovina dalla parte di tramontana".
99
ASC, Protocolli Notarili, Notaio Lucito Giuseppantonio di Limosano, atto del 3 Marzo 1807. Circa il testo
dell'iscrizione, esso coincide con quello già trovato nell'INVENTARIUM del 1713.
71
Madre in conformità al progetto dell'architetto prof. ing. Cesare Antonelli".
Appena di qualche anno più tardi (e fu, probabilmente, in tale occasione che andò distrutta una
"antica mensola di pietra su base, pure in pietra, scolpita a rilievo", sino ad allora ancora
esistente al lato sinistro dell'altare maggiore) sono gli ulteriori lavori, che della Chiesa di S.
Stefano continuarono a ridurre il pregio artistico.
2.3 - Le Confraternite
In una società, che era appena passata da quel sistema economico chiuso, rappresentato dalla
'curtis', ai primi traffici commerciali ed alla, seppur lenta ed ancora primitiva, circolazione
della moneta; in una società, che, pur mantenendo ancora assai rigida la divisione tra gli
orantes (i professionisti del religioso), i pugnantes (gli specialisti nelle armi) ed i laborantes
(gli addetti alla produzione), vedeva con una tanto tacita quanto solida compenetrazione tra le
prime due categorie l'allontanamento della terza dalla partecipazione alla ricchezza; in una
società, che, dopo la commercializzazione degli schiavi, cui non erano state estranee le grandi
istituzioni religiose, ad ogni suo livello sviluppò, prima grave disfunzione socio-economica, il
fenomeno dell'usura; in tale società, quella del XII secolo, caratterizzata nel bene e nel male,
perciò, da evidenti impulsi evolutivi Pantasia Abdenago, che era "di nobile famiglia
originaria di Limosani (Molise)", fondava in Benevento "...nel 1177 una chiesa e una
collegiata, quella di S. Spirito, e, accanto ad essa, una confraternita laicale"100.
Essa, assai probabilmente la prima del genere, per essere 'laicale': 1) ha di innovativo la
tendenza a porsi in una posizione autonoma nei confronti del sistema ecclesiastico ufficiale; 2)
rappresenta la risposta, in forma comunitaria, alla domanda di mutualità solidale; 3)
costituisce, nell'ambito di una "Terra", l'alternativa antagonista, finalizzata alla difesa, ai
poteri forti tradizionali, specie nella sfera economico-sociale.
Tali esperienze di primordiale associazionismo, che in una società in fase di risveglio non
potevano già di per sé non incontrare favore e che, aiutate dalla politica federiciana per il loro
essere espressione di laicità, si sviluppano quasi a macchia d'olio, verranno ben presto anche
'esportate' dall'area beneventana e, ad essa collegata con un cordone ombelicale, da quella
limosanese. E' il caso di Isernia, dove, era appena il 1289, "aliqui cives nec non et alii forenses
in unum coniuncti glutino caritatis,..., fratariam seu fraternitatem fecerunt" 101, "opera et
labore" di quel Pietro del Morrone originario, non casuale, della stessa area, quella
limosanese, da dove proveniva Pantasia Abdenago.
Trovare, almeno sino a tutto il XV secolo, una traccia della presenza di confraternite, che pur
dovette essere significativa e visibile, nella Terra di Limosano, che ne vide ben sei
contemporaneamente attive, è cosa assai difficile. La prima notizia 'certa' da per sicuramente
esistente "la Confraternita del SS.mo Sagramento dall'anno 1500"102.
La assoluta coincidenza di una tale data, tuttavia, con l'altra "dela consecratione de l'altar
majore (della Chiesa di S. Stefano), lo quale lo consacrò lo episcopo de trittivero, nomine io:
bap.ta nellanno 1510, a li quattro de aprile", farebbe pensare a quel tipo di 'fundatione', che,
come avverrà una seconda volta con la "Bolla spedita à 6: 9.mbre dell'anno 1693" dall'Orsini,
100
ZAZO A., Dizionario Bio-Bibliografico del Sannio, Napoli 1973; voce 'PANTASIA Abdenago'.
Dalla Bolla di Roberto, Vescovo di Isernia, che, nonostante sia pervenuta in copia non autentica del '600 e,
perciò, affatto attendibile, molti isernisti ritengono documento principe a favore della loro ipotesi sulla patria di
Celestino V. "Alcuni cittadini residenti ed altri forestieri, uniti dal glutine della carità, per l'opera ed il lavoro del
religioso uomo Pietro de Morrone,... costituirono una frataria o (con)fraternita".
101
102
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano. Diverse notizie sulle Confraternite sono state ricavate da questo fondo
composto da quattro Buste, che, per evitare inutili appesantimenti, si eviterà per quanto possibile di citare.
72
rappresenta un primo e serio tentativo di portare quella Confraternita nell'orbita ecclesiastica.
Ma nonostante ciò, essa manterrà gelosamente, almeno sino all'intervento orsiniano, una
connotazione di 'laicalità' maggiore dell'altra Confraternita limosanese, quella del SS.mo
Rosario.
E quest'ultima sicuramente fu più recente della prima in quanto, oltre le indicazioni di fonti e
di documenti, a farla tale è il maggiore asservimento all'istituzione ecclesiastica della
"Ven.bile Cappella del SS.mo Rosario..., la quale per essere ecclesiastica, come si rileva
dalla prima fundazione di d.a Cappella fatta dall'Arcip.e di quel tempo alli venticinque
Marzo 1583", ed, ovviamente, "dalla annessione all'Arciconfraternità di Santa Maria della
Minerva di Roma al primo di Decembre 1693"103 dell'Orsini.
Della terza Confraternita di Limosano, quella "sotto il titolo del SS.mo Nome di Giesù",
scarne sono le notizie pervenute, anche se risulta presente ed attiva negli atti di notai
limosanesi del '600. Ma la rara titolazione col riferimento alla poco comune attribuzione del
"SS.mo Nome di Dio"; la particolare collocazione, non priva di significato, 'in maximo altare'
della Chiesa arcipresbiterale di S. Maria; e gli aspetti, documentati, riconducibili ad una
vissuta contrapposizione (pur con uno stesso modo di proporsi nella società) con la
Confraternita del SS.mo Corpo di Cristo, eretta 'in altare maiore' ed emanazione dell'altra
Chiesa limosanese; sono tutti elementi che inducono a ritenerla antica e, probabilmente, più di
quest'ultima. Una tale ipotesi mutuerebbe vicendevole conferma dall'altra per cui all'interno di
una 'Terra' "la nascita dell'ospedale si spiega con l'origine assistenziale e caritativa delle
confraternite"104. Ed a Limosano l'attività di una frataria antica può ben essere riferita alla
presenza dello 'Spedale', che, come quella, rientrava nell'orbita della Chiesa Arcipretale di S.
Maria, e che, al più tardi, può essere datato alla seconda metà del XIV secolo. Per
assoggettarla al potere religioso, con la bolla dell'11 Dicembre 1693105, infine, l'Orsini ne
sanciva lo status di Confraternita, "da tempo esistente" nell'altare maggiore della Chiesa di S.
Maria. Ma, tra la fine del XVII secolo ed i primi anni del successivo, o perché non si
sottomise alle nuove condizioni imposte dall'Orsini; o perché si muoveva in un'orbita contraria
al partito austriaco (che si stava, per come era allora possibile, impadronendo del potere); o
perché era governata da rappresentanti legati a forme di contestazione più o meno radicali ed
ispirate, tanto nel religioso che nel sociale, al rifiuto evangelico di ogni avere; oppure, più
103
ASC, Protocolli notarili, Not. Marone Saverio di S. Angelo Limosano, atto del 4 Febbraio 1766.
RUBINO E:, Il potere controverso, Campobasso 1995, pag. 21.
105
ASCL, Fondo luoghi pii ed opere pie, B. 1, f. 1. Stessa collocazione ha anche una copia del 12 Luglio 1864
della Bolla del Cardinale Orsini, datata 21 Novembre 1693, riguardante la Confraternita del SS.mo Rosario.
Infine, una copia della Bolla del 6 Novembre 1693 relativa alla fundatione della Confraternita del SS.mo
Sacramento è in ASC, Opere pie, Limosano, B. 1, f. 1.
Trattasi, forse, degli stessi documenti, depositati con atto per Notaio Lucito Giuseppantonio (v. ASC, Protocolli
Notarili) del 29 Novembre 1836, dal Sacerdote Don Vincenzo Fracassi, allora Prefetto Spirituale della
Congregazione del Santissimo Sagramento. L'anziano Sacerdote, dopo che "ha riferito che sotto l'occupazione
Militare gli pervennero nelle mani tre pergamene, due delle quali appartenenti alla Congregazione suddetta, e
l'altra a quella del Santissimo Rosario, le quali ha sempre colla massima gelosia custodite, ma temendo
coll'avanzar degli anni, o per qualche altro sinistro avente la di loro dispersione, ha risoluto per maggior
sicurezza depositarle presso un pubblico Funzionario dalla legge istituito.
La prima (pergamena)... contiene la Bolla spedita dall'Eminentissimo Cardinale Fra Vincenzo Maria Orsini
Arcivescovo della Chiesa Beneventana li sei Novembre dell'anno mille seicento novantatre, con cui si dichiara
legittima, e Canonica la Confraternità del Santissimo Sagramento eretta dentro la Chiesa Arcipretale sotto il
titolo di Santo Stefano.
La seconda di carte scritte numero undici contiene il Real assenso... sotto il dì quindici Dicembre
millesettecento cinquantasette alla Capitolazione fatta dal Priore e Fratelli della detta pia Congregazione pel
buon governo della stessa.
La terza contiene il Regio assenso concesso... sotto il dì tre Marzo mille settecento settantasette alle
Capitolazioni fatte dagli Agenti e Fratelli della Congregazione del Santissimo Rosario esistente dentro la
Chiesa Arcipretale di Santa Maria Maggiore di questo medesimo Comune, ed è di carte scritte numero sette".
104
73
facilmente, per le tre cose combinate insieme, la Confraternita del SS.mo Nome di Dio in
quel preciso momento storico cessa di esistere. Difatti, a differenza delle altre due, non se ne
trova traccia, se non nella omonima Cappella, già nel grande Inventarium del 1712-13.
Da fonti archivistiche dell’ultimo trentennio del XVI secolo, tuttavia, oltre alle tre menzionate,
risulta documentata l’attività di altre Confraternite sicuramente più antiche, come la
Confraternita di S. Martino, quasi certamente collegata con l’Ospedale della SS.ma
Annunziata, la Confraternita della SS.ma Concezione e la Confraternita del Cordone di
S. Francesco, entrambe operanti nella Chiesa annessa al Convento dei frati minori
Conventuali. Di esse rimangono solo poche tracce.
Una ricostruzione, assai fedele, del quadro, riferibile agli ultimi decenni del ‘500 (si noti la
concentrazione dentro o ai margini dell’abitato), delle istituzioni religiose attive ed operanti
nella ‘Terra’ di Limosano è la seguente:
- l’Ecclesia parrocchia di S.ta Maria (1571), che nel 1574 è in “edificio” ed è in
“reparatione” tra il 1580 ed il 1592;
- la Parrocchia di S.to Stefano (1571);
- il Convento di S.to Francesco (1571), che nel 1574 è in “edificio”;
- il Monastero de Majella (1571);
- la Cappella dell’Annunziata (1571), o, nel 1598, “dell’Annunziata dell’hospitale”;
- la Cappella (1571), che, nel 1589, è “Cappella con Confraternita” del SS.mo Corpo di
Cristo o, nel 1598, del SS.mo Sacramento, in S.to Stefano nel 1591;
- la Cappella con Confraternita del SS.mo Rosario (1589), in S.ta Maria nel 1591;
- la Cappella con Confraternita del Nome di Giesù (1589), in S.ta Maria nel 1591;
- la Confraternita (1587), o, nel 1589, Cappella con Confraternita, della SS.ma
Concezione, in S. Francesco nel 1591;
- la Cappella con Confraternita del S.to Cordone di S. Francesco (1589);
- la Cappella con Confraternita di S. Martino (1580 e 1589);
- la Cappella di S. Maria de liberi a Maiella (1580);
- la Cappella di S.to Giovanni (1571);
- la Cappella di S. Angelo a S. Maria (1574);
- la Cappella di S. Silvestro a S. Maria (1580).
Quanto alle costumanze amministrative, in uso prima della controriforma orsiniana nelle
Confraternite di Limosano, le notizie di maggior interesse vengono da una "Fides pub.ca pro
Mag.ca Universitate Terre li=Musanorum, super administratione Locorum Piorum
Laicorum, et Cappellarum eiusdem"106, del 31 Gennaio 1740, con cui "in publico
testimonio (si sono) constituiti Mercurio Covatta di anni ottanta, il Mag.co Domenico
Corvinelli d'anni settantasei, Ascanio Longo d'anni settanta, e Pietro Santone d'anni settanta,
come han detto, e dal loro aspetto apparisce, della sud.ta Terra, li quali spontaneamente
hanno asseriti avanti di noi, come prima di venire il fù Arcivescovo Orsini di Benevento, le
due Cappelle di questa sud.ta Terra, per essere laicali, e fondate con la carità de Cittadini,
cioè del Santis.mo Sagramento, e del Santis.mo Rosario, erano sempre amministrate da Laici
del Paese, e si eligevano economi delle medesime, sempre persone laiche, ancorche non
fossero stati Confratelli; tanto vero che detto Mag.co Domenico Corvinelli, secondo si va
ricordando, fù eletto economo, verso l'anno mille seicento ottantotto, et essercitò la sua
economia, e non era Confratello, e lo detto Ascanio Longo è stato varij anni economo, e non
era Confratello, bensì ricevevano il giuramento di ben amministrare, dall'Arciprete della
Chiesa di San Stefano,..., e sanno benissimo, che quando doveva eligersi l'Economo, si
sceglieva una Persona più capace laica del Paese, e non potevano ricusare, per essere cosa
del Publico, e da che venne detto Arcivescovo Orsini, le dette Cappelle passarono in mano
106
ASC, Protocolli notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto del 31 Gennaio 1740.
74
de Preti, et ita juraverunt".
Circa il modo di proporsi nella società, la Confraternita del SS.mo Sacramento "andava vestito
di camice torchino" e con la mantellina di colore rosso, mentre quella del SS.mo Rosario
"andava vestito di camice bianco" di tela, con la mantellina di colore azzurro107 ed il
"mozzetto" nero.
L'intero XVII secolo (anche se, scatenata dalle forze più conservatrici, occorre farla partire sin
dalla fase 'controriformatrice' del dopo Concilio di Trento) vede una intensa attività delle
istituzioni religiose, che, per le confraternite limosanesi, si concretizza in termini tra di loro
assai diversi. Per la Confraternita del SS.mo Nome di Dio la scelta di rimanere fedele
all'originaria vocazione assistenzialistica fu, se non la principale, una delle probabili cause
della sua scomparsa. Pur di rappresentare quella parte legata storicamente alla tradizione
dell'Università, il suo atteggiamento di chiusura verso il compromesso con le esigenze della
'nuova' classe emergente, sia ecclesiastica che civile, valse appena la sopravvivenza (e solo
quella) alla Confraternita del SS.mo Rosario. Invece, per la Confraternita del SS.mo
Sagramento l'essere diventata il punto di riferimento della parte più ricca e più progressista
della 'Terra' e la preferenza, probabilmente imposta dalla nuova famiglia Marchesale dei di
Grazia ed evidentissima nella stessa costituzione dei Monti Frumentari 108, da parte dell'autorità
ecclesiastica proprio nel momento in cui la Rettoria di S. Stefano ingaggia lo scontro, dal
quale uscirà vincitrice, con la Arcipretale di S. Maria, ne rappresentano le vere ragioni della
preminenza e del suo successo sociale ed economico.
Anche l'analisi, appena superficiale, della struttura patrimoniale delle due Confraternite
limosanesi, che rimarranno superstiti, porta a tali conclusioni.
E, da un lato, se è vero che al SS.mo Rosario facevano capo circa una diecina di immobili
urbani (tra cui: alcune case, due stalle, una "grotta, posta nel luogo dove si dice lo Borgo", ed
"una Cantina, che sta sotto la Casa della Chiesa Arcip.le della quale se ne serve l'Arciprete
pro tempore"), è pur vero, dall'altro, che ad essa potevano essere riferiti solamente terreni per
una estensione complessiva di appena 26 tomoli e 9 misure. E non regge, come meglio si
vedrà in seguito, nemmeno il paragone sulle disponibilità liquide. Essa, difatti, amministrava
'solo' 351 ducati, che teneva impiegati, ad un tasso medio del 7,986% (ed oscillante tra il 6 ed
il 10%), con 36 'debitori', i quali tutti al 25 di Agosto pagavano la quota di interesse. Il prestito
(ben 24 erano garantiti da tutti i beni di proprietà e 12 con ipoteca parziale) era mediamente di
9,75 ducati. Oltre a 25,00 ducati da "legati pij", la "somma di tutti li frutti", che si
introitavano, era:
- Case a ti.o di 29 anni
4:25
- Per Vigne a 29 anni
1:60
- Per terraggi di Territ.ij tt:a 3 e 1/2 à carlini otto il tt.o
2:80
- Per Cenzi redimibili in commune
6:18
- Per Cenzi redimibili in Specie
7:90
- Per Agum.to di grano accredenzato tt.a 12 e mezzo à carlini otto il tt.o 10:00
A fronte di tali "frutti", pagava "pesi" per 18,15 ducati109.
107
ASC, Protocolli notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto del 31 Maggio 1742.
Si veda, sia in ASC, Fondo Opere Pie, B. 2; e sia in APL, l'Estratto del Sinodo Diocesano decimo settimo di
Orsino, celebrato in Benevento nell'anno 1702. Dall' "Editto 30 per gli Monti frumentari della Diocesi" del "29
di Ottobre 1701": "... dichiariamo eretti i seguenti Monti frumentarij, prescrivendo ad essi per fondo, e Capitale
le somme infrascritte: ed insieme pubblichiamo i seguenti speciali decreti, per lo giusto, stabile, e fermo
regolamento di essi Monti = XVI. Limosani tum: 600
N° d'Ordine: 40. Santissimo Corpo di Cristo Confraternita ...
tum: 500
41: Santissimo Rosario Confraternita...
tum: 100".
Si ignorano le motivazioni di una simile differenza di trattamento. A meno che non la si imputi alla riconoscenza
per i 700 ducati versati appena qualche anno prima dal SS.mo Sacramento.
109
I 'pesi' della Confraternita del SS.mo Rosario, che ammontavano a soli 18:15 ducati, erano i seguenti:
108
75
Per il "Monte frumentario" la Confraternita del SS.mo Rosario "possiede tt.a cento di grano,
quale tiene dato impresto a diversi Cittadini e ne corrispondeno due misure per ogni tt.o
quali importano l'anno tt.a 12:2:. Il sudetto Monte è stato canonicamente eretto dall'Emo e
Rev.mo Sig.re Cardinal Arcivescovo Orsini à 29 Ottobre 1701 come si legge nel Sinodo XVII
titolo 5. Cap. 2°".
Le attività della Confraternita del SS.mo Sacramento, se confrontate con le voci dello stato
patrimoniale del SS.mo Rosario, presentano tutte quantità e valori superiori. E' così per il
patrimonio edilizio, che, costituito da 12 case, per complessivi 27 "membri" (o vani), e da
"una Cantina, posta nel luogo detto lo Sporto di S. Nicola", già sembra, sia per qualità che per
posizione, migliore. Di certo lo è per quello fondiario, che, esteso per ben 323 tomoli e 9
misure, è formato da 60 appezzamenti, di diversa grandezza e sparsi in maniera irregolare
nell'agro, dei quali 4 sono orti, 26 sono territori (dove risultano molto presenti le "cerque", i
"piedi d'olive" e gli "albori fruttiferi") e ben 30 sono a "vigna", che, estesa per 68 tomoli e 5
misure, rappresenta il 21% circa del totale. Lo è, infine e maggiormente, per la disponibilità di
capitali liquidi. Ciò è già sin troppo evidente dal fatto che "... nell'anno 1695 a 9 settembre i
Fratelli della Confraternita del SS.mo Corpo di Cristo della Città di Limosano... pagarono al
Seminario ducati settecento, coll'obbligazione di mantenere gratis un Alunno, nativo della
stessa Città, da nominarsi da essi, e loro successori in perpetuum, siccome costa dallo
strumento rogato dal N:r Giuseppe di Pompeo Beneventano"110. Ed è evidente sia per la
circostanza per cui "l'Organo fu acquistato dal Luogo Pio nell'anno 1709" 111 e sia per il fatto
che "nella Cassa Sagra di Ben.to furono depositati doc: trecento dalla sud.a Capp.a, quali
furono dati a Cenzo" con garanzia ipotecaria: ducati 67:70 al "Rev.do D.n Tiberio Bucciano
della Terra di Tocco"; ducati 82:00 alla "Ven.le Capp.a del SS.mo Rosario della Terra di
Apice"; e ducati 150:00 ai "Sig.r Filippo Ascolese e Sig.r Silvio Rendina" di Benevento.
Teneva impiegati a mutuo (con prestiti che, oscillando tra 2:00 e sino a 100:00 ducati, erano
mediamente di 18,294 ducati) altri 311:00 ducati con 17 partitari limosanesi ad un tasso medio
del 7,296% (ed oscillante tra il 7 ed il 10%). Una tale estesa attività creditizia (e redditizia)
venne di certo esercitata per lungo tempo, se è vero che aveva "la d.a Cappella del SS.mo
Sagramento di questa sud.a Terra dato ad annuo cenzo al fù D. Aniello Barisono della Città di
Montefuscoli ducati sissanta, e carlini quattro, colla corrisponsione delle sue annue terze, alla
ragione del cinque per cento nell'anno mille settecento ventisei, come per istrumento rogato
per mano di N:r Ignazio d'Auria di Benevento,..."112.
Era proprietaria, ma affidati a diversi partitari, di: 57 "animali vaccini" condotti "a società"; 4
"Bovi all'ammessa"; 9 "giovenchi in com.e" ed "un Ienco a capo prezzo" e 169 "pecore".
Teneva 34 "piedi d'olive" dislocati, "per uso di d.a Cappella", in diverse zone, "oltre altri piedi
d'olive situati in Territorij di d.a Capp.a, quali uniti colli sopradetti inclusovi lo Ius ch'ella
tiene d'essigg.e mezza Carafa da chiaschedun Forastiero che porta à vendere oglio in detta
Terra", dai quali poteva ricavarne "un'anno per l'altro Carafe n° trentanove".
Introitava 359:94 ducati dalla "somma de tutti li frutti", di cui se ne riporta la specifica:
- Per Casa ad anno corr:te
31:70
- Per vig.e in dem.o a tit.o di 29 anni
16:07
- Per Territ.ij a 29 anni in den.o
0:30
- Per Territ.ij a 29 anni in g.no tt.a nove e tre quarti, a carl: otto
7:80
"- Al Sig.re Arcip.te per la celebraz.ne di messe
duc.
10:45
- Per Olio alla Lampana del SS.mo
"
6:00
- Per Cera in tutto l'anno
"
0:70
- Per rata della procurat.ne della S. Visita in'ogni due anni
"
1:00".
110
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 1, f. 1.
111
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 1, f. 1.
112
ASC, Protocolli notarili, Not. Marone Saverio di S. Angelo Limosano, atto del 4 Settembre 1765.
76
- Per Territ.ij a terrag.o in g.no tt.a quaranta sette e mezzo a d.a ragg.ne 38:00
- Per Cerque che si raccogliano
3:80
- Per Territ.o in dem.o tt.a due a d:o prezzo
1:60
- Per Orto ad anno corrente
0:50
- Per Orto à 29 anni
0:15
- Per Orto in dem.o
0:15
- Per oglio, si hà dall'olive Carafe trenta nove, ad un carl: la Carafa
3:90
- Per Cenzi redimibili
38:36
- Per Vacche alla parte
50:00
- Per Cascio rot.o cento venti
12:00
- Per Bovi all'ammessa grano tt.a dodici, a carl: otto
9:60
- Per Jenci in com.e g.no tt.a tredici e mezzo
10:80
- Per frutto di pecore n° 169 a carlini cinque l'una
84:50
- Per un Ienco a capo prezzo
1:50
- Per frutto di g.no accredenzato tt.a 62 e mezzo, à carl: otto il tt.o
50:00
Pagava di "pesi" 35:80 ducati113, che rappresentavano solo il 10% degli 'introiti'.
Per il "Monte frumentario" la Confraternita del SS.mo Corpo di Cristo "tiene g.no tt.a
cinq:cento, q.ali imprestate à Cittadini n'esigge due mis.e a tt.o, che imp.no tt. 62:20. Il sud.o
Monte è stato Canonicam.te eretto dall'Emo, e R.mo Sig.r Card:l Arciv.o Orsini à 29 di
Ottobre 1701, come si legge nel Sinodo XVII tit:o 5, cap:o 2". Tuttavia, quella dell'Orsini, più
che una 'fondazione', deve considerarsi una vera e 'canonica' autorizzazione all'appropriazione
da parte del Clero sia di una istituzione, il monte frumentario sorto "co' suoi proprj danari
ritratti e dalla pie obbligazioni de Confratelli, e dalle rendite avanzate dal patrimonio, per
soccorrere non solo i Confratelli poveri, ma anche i poveri di tutta la popolazione", certamente
assai antica ed in precedenza gestita da laici, che del relativo patrimonio "consistente in
rendite di beni proprj, e capitali a cenzo bollare". E' quanto emerge dalla 'annotazione' all'art.
6 del Cap. 1° dell'Introito del "Progetto di stato discusso" del 23 Febbraio 1834, che recita:
"La Confraternita del SS.mo Sagramento dall'anno 1500 all'anno 1700, non ebbe altra
rendita, che l'aumento del grano accredenzato, per sostenere i pesi del Luogo Pio. In
prosieguo vi si aggiunse (come si è visto) quella dell'industria degli animali, e coll'economia
di essi si formò tra Canoni, Capitali, ed Affitti la rendita di annui duc: 80:00. Dal 1700, al
1720, la rendita effettiva de' Capitali si aumentò, dietro la vendita del grano, che marciva
inoperoso ne magazzini, essendo giunto all'eccedente somma di tomola 2000. Restò quindi
fissato la quantità del Capitale del Montefrumentario, dalla f:m: del Cardinale Orsino, a
tomoli 500"114.
113
I 'pesi' della Confraternita del SS.mo Corpo di Cristo, ammontanti a 65:80 ducati, erano:
"- Al Sig.r Arcip.e in ogni terza Dom.a del mese
duc.
1:80
- Al Sig:r Rett:re di S. Stefano per la medesima assist.a
"
1:80
- A quattro Sacerdoti per la medesima assist.a e process.e
"
4:80
- Al med.o Sig.r Rettore di S. Stefano per la celebraz.ne di 12 messe Cantate
"
- Al sud.o per la celebraz.ne di messe lette n° 40 per li benefattori
"
4:00
- Per Cera un'anno per l'altro lib.e 48 a g.ni 35 la libra
"
16:50
- Per Olio alla Lampana un'anno per l'altro
"
6:00
- Per Stipendio al benef.o sempl:
"
6:00
- Per Stipendio al soprantend.e
"
6:00
- Per incenzo
"
0:30
- Per rata della proc.e al Sagrista
"
1:20
- Per Cattedratico
"
1:00
- Per la procurat.e della S. Visita in'ogn: due anni per rata
"
- Per Cenzi passivi a S. Maria carl: 3; Alla Corte Baronale un carl:, in tutto
"
- Due scrivani de Libretti
"
6:80".
114
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 1, f. 1.
77
6:00
4:00
0:40
Nel frattempo, però, i capitali derivanti dalla vendita delle eccedenze, anziché essere investiti
in loco, avevano per la gran parte preso la direzione del Beneventano.
Le due Confraternite "ebbero in seguito le loro regole sanzionate con Real assenso, quella del
SS.mo Sagramento nel 1757, e l'altra del SS.mo Rosario nell'anno 1777, e le loro
amministrazioni furon sempre tenute da' loro Uffiziali eletti nel loro seno. Dal tempo
dell'occupazione militare le Congregazioni furon spogliate dell'Amministrazione di tutti i loro
beni, e confidate alla Commissione Amministrativa, come risulta dalle carte sistentino presso
il Consiglio Generale degli Ospizj"115. Già da qualche anno, però, "la mancanza della rendita
in grano, proveniente dall'industria degli Animali Bovini che furon venduti al declinare del
p: p: secolo, ed al principio del corrente ha fatto nascere un vuoto nella rendita"116.
Per ciò che riguarda la gestione amministrativa delle Confraternite, grandi erano le
responsabilità dei "loro rispettivi cascieri e Priori"117, i quali rispondevano in proprio degli
eventuali ammanchi. E' così che il 30 Novembre 1818 davanti al Notaio, dopo che "sono
comparsi Giorgio Piciucco fu Basilio, Domenico d'Amico fu Nicola, Antonio Minicucci fu
Pietro, Vincenzo d'Ambrosio fu Domenico, e Vincenzo e Tommaso d'Addario fu Saverio,
Contadini, ed i Signori Luigi Sebastiano fu Cosmo, Sartore, e Francesco Lucito fu Egidio,
Calzolajo,..., da una parte, e, dall'altra parte, il Signor Don Marcellino Corvinelli di
Melchise, Medico, Sindaco esercente di quest'istesso Comune, esso Signor Sindaco Corvinelli
ha dichiarato, che essendosi dalla Commissione incaricata per la discussione de' conti
arretrati de' Luoghi Pii... proceduto alla visura di varj conti di essi suddetti comparenti per la
gestione da loro tenuta in diversi, e replicati anni di queste Cappelle Laicali sotto il titolo del
Santissimo Sagramento, e Santissimo Rosario, così i medesimi dopo la digressione de'
prodotti reclami sono risultati debitori, cioè
- Giorgio Piciucco per l'amministrazione della Cappella del Rosario nell'anno 1802, nella
somma di ducati 79:89;
- Domenico d'Amico per la gestione della Cappella del Santissimo Sagramento negli anni
1804, e 1805, nella somma di ducati 86:66;
- Antonio Minicucci per la gestione della Cappella del Rosario nel 1805, nella somma di
115
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2, carte sparse. Da una 'comunicazione', del 1827, "al Signore
Intendente; e Consiglio Generale degli Ospizi della Provincia di Molise" da parte di Pasquale Fracassi, Priore
della Confraternita del SS.mo Sacramento, e del Notar Giuseppantonio Lucito, Priore della Confraternita del
SS.mo Rosario.
Quando (1777) venne concesso il ‘Real Assenso’ alle ‘regole’ della Confraternita del SS.mo Rosario, si appose,
con ogni probabilità, l’iscrizione, ancora presente, pur se poco visibile, nella Chiesa di S. Maria (in alto a sinistra
del secondo altare, sempre alla sinistra di chi entra), e di cui se ne riporta il testo:
SACRU HOC OPUS PRIVATO AERE EXTRUCTU ANGELA BARBATI NICOLAO DEL
VECCHIO STABILI CON(N)UBIO IUNCTA
PHILIPPI ET ANAEME GOBBI FILIA NEPOS BENEMERITIS. REV. AB. DOMINICI
ANT. GOBBI PIETATE, AC DOCTRINA
NULLI SECU(N)DI, QUE(M) ULTIMU(M) GENTIS
SUAE NUPER VITA FU(N)CTU(M) ADHUC LUGET
IN DEVOTI ANIMI SIGNU(M), VIRG.I DEIP.AE SS.
ROSARII DICAT ET POSTEROR. MEM.AE MADAT
A. R. S. MDCCLXXVII
116
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 1, f. 1.
117
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2, f. 4. Nelle Regole della Confraternita del SS.mo Sacramento,
stampate a Napoli nel 1687 per disposizione del Card. Orsini, significativa è quella riguardante l'elezione del
Priore, che recita: "Eligitur Prior cum praesidentia nostri Vicarii Foranei, vel Archipresbiteri. Qui Prior sic
electus officium sub poena excomunicationis non exerceat, nisi a nobis fuerit confirmatus (Il Priore sia eletto
sotto la presidenza del nostro Vicario Foraneo, o dell'Arciprete. Il quale Priore, così eletto, non eserciti, sotto
pena di scomunica, l'incarico, se non sarà da noi confermato)".
78
ducati 11:47;
- Vincenzo d'Ambrosio per l'amministrazione della cappella del SS.mo Sagramento nell'anno
1806, nella somma di ducati 10:30;
- e finalmente li Signori Francesco Lucito, Luigi Sebastiano, ed il fu Saverio d'Addario padre
delli suddetti comparenti Vincenzo, e Tommaso d'Addario, per l'amministrazione da essi loro
tenuta di ambe dette Cappelle dall'anno 1810, a tutto Maggio 1814, nella somma di ducati
280:00"118.
Caratterizzati dalla cultura della centralizzazione ad ogni costo, i nuovi sistemi di gestione
introdotti nel decennio francese, quando i Monti frumentari di Limosano, in qualche modo
anticipando la sorte che di lì a poco toccherà alle due Chiese, "furono riuniti in una
amministrazione, e regolati dal Demanio", portarono tali organismi al degrado più assoluto nel
giro di pochi anni. Tanto che il Priore Fracassi, era il 6 di Gennaio 1827, si vedeva costretto a
segnalare che di quella del SS.mo Sagramento, che era stata "una confraternita antichissima
per l'erezione, doviziosa per la rendita, che forniva di arredi sacri ed argenti la Chiesa,...,
vedesi oggi il suo Oratorio reso quasi una spelonga; ed in altro tempo luogo di
abbominazione; e il suo Altare sprovisto di sacri arredi; e ridotto nel deplorabile stato di
mendicare come per elemosina..."119.
E fu chiaro subito a tutti che, nonostante il progresso, le disfunzioni erano causate, come
sempre accade, sia dalla scarsa 'capacità' degli amministratori che, ed ancor più, dalla
centralizzazione della gestione. Ed i Priori delle due Confraternite limosanesi, sin dal 1827, si
videro costretti a rivendicare che, "abbenchè (esse) avessero sempre riclamata
l'Amministrazione, i loro voti non furon mai accolti; ma dopo il Real Decreto del 1° Febbraio
1816, non forma più dubbio, che l'Amministrazione istessa debba esserle restituita, giacchè
nell'Art. 3° così è ordinato 'L'Amministrazione de' beni, che formano il patrimonio delle
Congregazioni, e delle pie adunanze di qualunque natura, sarà restituita ai Confratelli delle
medesime, secondo il possesso, in cui erano nel 1805'. In detta epoca il patrimonio delle
Congregazioni era composto delle rendite di beni, ed annualità di capitali non solo, ma ancora
de' monti frumentari, quindi tutti questi denno restituirsi alle Congregazioni stesse"120.
E, siccome al passato non si può tornare mai, neppure allora ci si tornò. Nonostante la
evidente riorganizzazione contabile, che, in via di attualizzazione al 1° Febbraio 1831, l'allora
Sindaco Lucito così segnalava: "In prima detti Monti Frumentarij erano intieram.e cartolarj,
oggi sono in parte tali, ed in parte realizzati. Giusta lo stato reso esecutorio a 13 luglio del
caduto anno, il Montefrumentario del SS.mo Rosario è di tomoli 446:2:1, quello del SS.mo
Sagramento è di tom. 1070:1:2. Tutto Cartolario. Il reale poi indistintamente esatto da' due
descritti monti è di tomoli circa novecento, de' quali tomoli ottocentoventi (sono) già stati
accredenzati a Cittadini per la semina, e tomoli ottanta circa sono rimasti per vendersi onde far
118
ASC, Protocolli notarili, Not. Lucito Giuseppantonio di Limosano, atto del 30 Novembre 1818. "In seguito
indi delle domande da essi Contabili fatte a Sua Eccellenza il signor Intendente della provincia per una dilazione
ai pagamenti di tali significatorie, ciascuno,..., ha ottenuto un respiro, purchè però vadi a sottoscrivere
un'obbliganza sotto l'arresto personale. (...). Volendo ora i suddivisati contabili mandare in effetti l'obbliganza
chiesta dal Signor Intendente con le citate ordinanze, sono perciò devenuti alla stipula del presente atto. In virtù
di cui ciascuno de' sopradescritti Contabili in esecuzione di quanto gli viene dal prelodato Signor Intendente
imposto va ad obbligarsi sotto l'arresto personale per la rispettiva sua significatoria,...".
119
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2, f. 4.
120
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2, f. 4. "S'è lecito indagare la ragione, che il Provvido Legislatore
mosse a tanto disporre ve n'è una potentissima, ed è quella, che l'amministrazione passata in mani diverse da
quelle, cui fu confidata dagli istitutori delle Congregazioni, non ha più l'oggetto, che questi si prefissero, cioè di
servire all'esercizio di pietà, di cui furon mossi in istituir quelle. Ed in fatti la Commissione Amministrativa
senza aver presente il bisogno delle Congregazioni, dispone delle dette rendite contro la mente di coloro, che le
fondarono".
79
fronte agli esiti di amendue i sudetti Luoghi Pii,..."121.
Perché ognuno possa farsene da sé una idea quanto più precisa possibile, viene, extra testo,
riportato (e ad esso ci si rimanda) un quadro riassuntivo dei 'BILANCI' unificati (nella realtà,
però, le amministrazioni erano tenute separate e quello del SS.mo Rosario rappresentava circa
la quarta parte del totale) dei due Monti Frumentari122, che coprono un periodo
sufficientemente ampio a partire dalla riorganizzazione del 1831 (v. nota 55) ed arriva sino al
1873, quando subentrerà la Congrega di Carità.
Dopo quello, il primo, portato tra la fine del XVII secolo ed i primi anni del successivo
dall'autorità clerico-ecclesiastica alle disponibilità liquide; dopo il secondo mosso, nel
decennio francese, dal potere civile innovatore e foriero di nuova libertà alla proprietà
fondiaria ed alla rendita; a dimostrarsi fatale a quel che rimaneva delle Confraternite di
Limosano fu il terzo e decisivo attacco, sferrato questa volta, dopo la unificazione dell'Italia
operata dai Savoia, dal vorace potere economico della borghesia anticlericale.
E' appena del 3 Agosto 1862 la legge sull'amministrazione delle opere pie che istituisce
ufficialmente la 'Congrega di Carità', che, per Limosano, significò la ri-unificazione, da una
parte, di quanto restava delle Confraternite e, dall'altra, perché permetteva alla emergente
borghesia di appropriarsene, un funesto rintocco di quella campana che ne iniziava a scandire i
ritmi della definitiva scomparsa.
"... Non è il caso di fare una storia minuta e dettagliata del Monte Frumentario di Limosano,
delle disposizioni che lo hanno retto e dei suoi rapporti colla Congrega di Carità. (...). Dirò
solo che esso sorse con sovrana sanzione del 20 luglio 1776 ed ebbe la sua completa
disciplina nel regolamento del 18 aprile 1820,...
Fra le disposizioni in esso contenute..., vi è quella in cui è stabilito che ciascun colono, deve
nel tempo della raccolta dell'anno susseguente, restituire la quantità del grano ricevuto e
l'aumento, ossia l'interesse annuale per l'accredenzamento del grano, che non doveva
eccedere la sedicesima parte del capitale (mezzo stoppello a tomolo). Tale aumento, veniva
distribuito ai poveri, a norma dello stato che la Commissione composta del Sindaco e degli
amministratori del Monte doveva formare annualmente.
Colla istituzione della Congrega di Carità, tali aumenti ogni anno venivano dagli
amministratori del Monte Frumentario, assegnati a quelli della Congrega per essere erogati
in elemosina. Senonché dal 1884 al 1897, tali aumenti non vennero versati e per questa
mancanza, sorsero numerose controversie ed accuse ingiuste ed infondate vennero lanciate a
carico di persone che dell'amministrazione del Monte Frumentario non si erano mai
ingerite"123.
E, perché i rintocchi della campana si erano già sentiti pesanti ed irreversibili nell'aria, a nulla
valse la trasformazione del Monte frumentario in Cassa di prestanze agrarie.
Nell'assemblea del 15 Febbraio 1906, con la "Approvazione dello Statuto per la Cassa di
prestanze agrarie" all'unico punto dell'ordine del giorno, "nel solito locale delle sue adunanze
si è riunita la Congregazione di Carità del sudetto Comune nelle persone dei Signori: 1.
Pergola Nicolamaria, Presidente; 2. Giannantonio Michele; 3. Fracassi Angelo; 4.
Giannantonio Antonio, Membri; coll'assistenza del Segretario Sig. Fracassi Erminio, dopo
esauriente discussione l'assemblea ha formato il seguente Statuto,...:
Art. 1°. E' istituita nel Comune di Limosano una cassa di prestanze agrarie, col capitale
approssimativo di L. 8706.57, ricavato dal soppresso Monte Frumentario.
Essa è amministrata dalla Congregazione di Carità...
121
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2, f. 4.
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2.
123
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 1. Da una comunicazione, datata 24 Maggio 1926, indirizzata all'
"Ill.mo Signor Prefetto di Campobasso" da parte dell'allora Presidente della Congrega di Carità di Limosano,
Avv. (e, successivamente, Notaio) Gaetano Amoroso.
122
80
Art. 2°. La Cassa ha per iscopo di soccorrere mediante prestiti non maggiori di lire Cento e
non minori di lire Dieci, gli agricoltori più poveri del Comune.
(OMISSIS). Art. 30°. ..."124.
La campana, con la solita maggiore obiettività degli uomini, si era accorta che era stato
definitivamente tradito lo spirito delle antiche 'regole'. Di quelle regole, che, per non farne
perire la memoria e per non vanificare l'operato dei padri, riportiamo nel testo, così come si
era evoluto nel 1777, che codificava il modus vivendi della Confraternita del SS.mo Rosario.
Ad maiorem SS.mi Rosarj Gloriam
Regole da osservarsi da' Fratelli della Congregazione del SS.mo Rosario della Terra di
Limosani principiate, e poste in ordine.
--- Regole Comuni --Procuri lo Sacristano nelli giorni di Congregazione essere sollecito, la mattina mandare a
sonare tre volte, radunati i Fratelli, il Priore comincierà, o farà leggere la vita di qualche
Santo che corre, o Miracoli di Maria SS.ma, o pure altro libro Spirituale, detto prima
Actiones nostras. Dopo si reciterà il Rosario con proponersi i misteri da contemplarsi dal
Priore, o da altro Fratello per ordine di detto, o pure l'Officio di Maria SS.ma.
Appresso si farà dal Padre Spirituale l'Orazione mentale. Finito lo sermoncino,
immediatamente la litania della Beata Vergine, ed uscirà la Messa.
Finita la Messa si diranno le solite preci, e si terminerà la Congregazione.
--- Del Governo della Congregazione, e degli Officiali --Essendo indifficoltabile, che le membra si regolano dal ben stare del Capo, acciò la
Congregazione abbia la sua durata, e li capi devono sapere il loro Officio, acciò
adimplendolo, come si deve abbiano a regolare con quiete, ed averne la mercede dal Signore,
e dalla Madre Santissima.
--- E prima vediamo del Padre Spirituale --Il Padre Spirituale sia Sacerdote di quella qualità, che si considera di un Sacerdote, e Padre
Spirituale, dovrà a nomina del Priore eliggersi con maggioranza de' voti segreti de' Fratelli,
e sarà ad nutum amovibile dalli stessi, il quale attenda con carità alle Confessioni de'
Fratelli, e faccia qualche esortazione sopra gli evangelj, e Miracoli di Maria Santissima con
insegnare ai fratelli il modo di potersi guadagnare le innumerevoli Indulgenze concedute da'
Sommi Pontefici a questa, e simili Confraternite; farà l'orazione mentale, l'esortazione, i
sentimenti della disciplina; procuri insinuare a' fratelli la carità e l'amore fraterno fra di loro
senza punto di potersi ingerire nella temporalità della Congregazione, e che non possa
nominarsi all'Elezione di detto Padre Spirituale l'Arciprete della Chiesa, dove si sta eretta la
detta Congregazione, stante per il peso della cura delle anime, ch'esso tiene, ma altri
Sacerdoti Confessori, ed Esemplari, ed al detto Padre Spirituale si stabilirà qualche congrua
Elemosina, che parerà alli Superiori di detta Congregazione.
--- Del Priore --Il Priore da tutti li Fratelli si eligge con voti segreti separati. La sua elezione si farà nel
giorno della prima Domenica di Ottobre, festa del SS.mo Rosario, quali radunati i Fratelli, il
Priore, ed i due Assistenti nomineranno nove fratelli, tre per ciascheduno, i quali uno dopo
l'altro si proponeranno ai Fratelli per darsi i voti, chi si troverà averne avuto più resterà
Priore, quello che meno resterà Primo Assistente, e chi meno di questi Secondo Assistente, ed
in caso di parità di voti si dirima dalla sorte, ben inteso però, che i voti devono concorrere a
favore di ciascuno de' sudetti Officiali devono essere oltre la metà de' Congregati con
permettersi l'invocazione dello Spirito Santo, col dirsi Veni Creator Spiritus. Ed essendo
esclusi tutti i Nominati si farà dalli stessi nuova nomina, sintanto seguirà canonicamente
l'Elezione. Si avverta, che i voti debbano riceversi dal Segretario assistito da due più antichi
124
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 4.
81
Fratelli, ed in presenza de' medesimi numerarsi. Fatta l'elezione si metterà in mezzo il Priore,
a man destra il Primo Assistente, ed a man Sinistra il Secondo assistente con il Sacco, seu
Veste della Congregazione, vicino l'Altare, in cornu Evangelj, si canterà il Te Deum. Indi i
Fratelli anderanno a dar loro il bacio di pace. Il Priore starà al miglior luogo, con tenere il
Campanello per lo segno de' Fratelli. Venuta l'ora della Congregazione procuri di essere il
primo a fare le funzioni dette di sopra in ogni Domenica. Eleggerà, col parere de' suoi
Assistenti fra il termine di altri due Domeniche dopo la loro elezione gli altri Officiali Minori,
come a dire Segretari, Maestro de' Novizi, Maestro di Cerimonie, Portinari, e Sagristani; e
proporrà ai Fratelli due soggetti, che stimerà idonei, acciò colla maggioranza de' voti segreti
de' Fratelli possano essere eletti Razionali per la visura de' Conti de' passati Ufficiali. E
dell'entrate, e spese di detta Congregazione farà i biglietti il Priore al Depositario, seu
Cassiere, e fatti daliche dal Primo Assistente, e dal Segretario, purchè siano spese ordinarie;
ma essendo straordinarie maggiori di carlini venti debba proporli in Congregazione, ed
eseguirsi quello, che con maggioranza de' voti segreti de' Fratelli si risolverà, e lo stesso
pratticar debbasi per qualunque altra cosa di rilievo della Congregazione.
Esso regolerà tutta la Compagnia, e correggerà, e darà la mortificazione ai negligenti, ed ai
mancanti, e procurerà col suo esempio di essere di edificazione a tutti, e mancando esso alla
detta regola, devono gli Assistenti unitamente avvertirlo, acciò si corrigga.
--- Del Primo assistente --L'Officio del Primo Assistente è di fare quanto fa il Priore in caso che il medesimo fosse
assente, e di vigilare per l'avanzo della Congregazione.
--- Del Seconda assistente --L'Officio del Secondo Assistente, è di fare quanto fa il Priore in caso di assenza del
medesimo, e del Primo Assistente.
--- Delli Segretarj --I Segretarj saranno due, li quali dovranno registrare le cose, che accadono singolari nella
Congregazione, cioè uno noterà le mancanze de' Fratelli, e dare la nota in ogni Domenica al
Priore, registrerà tutte le conclusioni, che si farà in Congregazione, ed i biglietti che si fanno
al Tesoriere; e l'altro registrerà l'entrate, e pesi della Congregazione.
--- Del Depositario seu Cassiere --Il Depositario, seu Cassiere si elegerà da' Fratelli per voti segreti, ed il Priore ed i due
Assistenti nomineranno tre fratelli Benestanti, e timorati di Dio, e di Maria SS.ma, i quali si
proponeranno ai Fratelli congregati per darsi i Voti; Chi si troverà aver avuto più voti quello
resterà Depositario, seu Cassiere; ben inteso però, che i Voti, che devono concorrervi in
ciascuno de' sudetti nominati devono essere oltre la metà de' Congregati; e fatta l'elezione
avrà la consegna dal Priore, e da' due Assistenti; e quello avrà pensiero di esiggere tutte le
rendite, ch'essa Congregazione tiene, col peso della sodisfazione delle Messe piane in
perpetuum lasciate da' Defonti; ed al detto Depositario, seu Cassiere se li dia la solita paga
per l'esazione delle rendite, al tre per cento, ed il Monte Frumentario, all'uno e mezzo per
cento, con farne l'introito, ed esito con la condizione di non spendere cos'alcuna senza il
biglietto del Priore, e con la passata del Primo Assistente, e sottoscritto dal Segretario, e
finito l'anno consegnerà agli Officiali Maggiori suoi successori, e darà conto alli Razionali
eligendi dalla Congregazione con maggioranza de' voti segreti.
Che delle Messe, che tiene detta Congregazione in tanti legati Pii in perpetuum si
destineranno dal Priore, ed Officiali Maggiori Cappellani per la celebrazione delle Messe
nelle ore congrue, che da essi per biglietto si assegnerà.
--- Delli Maestro de' Novizj --Il Maestro de' Novizj avrà cura, che li novelli da riceversi facciano una supplica agli Officiali
Maggiori, li quali se conosceranno essere persone veramente disposte, faranno la provista.
82
Che si riceva con premettersi mesi sei di Noviziato, dentro li quali gli ammaestrerà bene nelle
regole, e nella Dottrina Cristiana per la salute delle anime, e quelli che non frequenteranno
la Congregazione, e li Sagramenti si darà a nota al Priore, acciò procuri l'emenda. Finiti i
sei mesi di Noviziato, ed osservandosi puntuali, procurerà il Maestro de' Novizj l'attestato,
tanto della frequenza de' Sagramenti, quanto della divozione; ed il Priore dovrà proponerli in
piena Congregazione, e concorrendo la maggioranza de' voti segreti de' Fratelli resteranno
ammessi, con vestirsi col sacco, seu veste della Congregazione, con dirsi il Salmo =Ecce
quam bonum=. E finita detta funzione s'intonerà il Te Deum, ed il Novello Fratello con il
Maestro di Cerimonie anderà uno per uno da' fratelli a dare il segno di pace, e
cominciandosi dal Priore. E poi anderà a sedere al suo luogo, che dal Priore medesimo gli
verrà assegnato.
Ed a rispetto dell'ammissione de' Fratelli Ecclesiastici, non possono essi godere della voce
attiva, e passiva nella Congregazione.
--- De' Portinari --Li Portinari siano i primi nella Congregazione, e metteranno in registro i banconi, con tenere
le porte serrate, ed occorrendo, che venghi qualche forastiero, che chiamerà qualche Fratello
per affari, lo debba dire al Priore. Ne faccia uscire alcuno prima di finirsi la Congregazione,
senza licenza del Priore; e finita rassetteranno i banconi, e seco portino la Chiave.
--- Del Maestro di Cerimonia --Il Maestro di Cerimonia avrà il pensiero di far stare in ordine i Fratelli nelle Processioni, e
precisamente nel tempo della Comunione, con fare, che prima si comunichino gli Officiali
Maggiori, e dopo gli altri Fratelli da grado in grado, e poi i Novizj.
--- Disposizioni Generali --Tutti li fratelli devono essere frequenti, e non mancare alla Congregazione in tutte le Prime
Domeniche del mese, precisamente nell'accompagnare la solita processione; e comunicarsi
nella messa Cantata della Congregazione col sacco, seù veste della Congregazione; e
mancando qualche fratello, sia peso del Priore d'informarsi della cagione di tale mancanza, e
ritrovandosi volontaria, deve esortarlo a non tralasciare il bene intrapreso, che se con tutto
ciò seguitasse a mancare per tre continue Domeniche prime del mese, debba con
maggioranza de' voti segreti de' Fratelli, essere cassato dalla Confraternita. E volendo esser
di nuovo ammesso faccia il Noviziato da capo; e se lo permetterà per tre mesi, e si riceverà di
nuovo come sopra.
In occasione di morte di alcun Fratello, o sorella, ogni fratello, o Sorella reciterà il Rosario
di quindeci poste, o pure l'Officio de' Morti per Fratello, o Sorella Defunto; e niuno tralasci
de' Fratelli associare processionalmente col sacco, seu veste il cadavere del defunto,
recitando per istrada, con voce sommessa il Rosario, o pure il salmo Miserere mei Deus per
l'anima del morto, e procuri con caritatevole emulatione di portare la bara, non avendo
riguardo alla propria condizione, e Stato.
Essendo conferito al fratello alcuno degli Officj della Congregazione, pel quale non ha
legittimo impedimento, l'accetterà con la dovuta modestia, e senza replica alcuna, ne li
rifiuterà a titolo d'infermità, o di altra vana scusa, ma si anima ad esercitarla colla maggior
prontezza.
Io Giacomo Donatelli Fratello mi sottoscrivo, come sopra =
Io Raffaele Giancola Fratello mi sottoscrivo; come sopra =
N.r Michele Silvestro Jamonaco fratello =
Io D.r Fisico Giuseppe Antonio Fracasso fratello =
E siegue la firma, e sottocrocesignato di altri settantaquattro fratelli
Che li sopradetti siano Fratelli della V.bile Congregazione del SS.mo Rosario della Terra di
Limosano, e che sia la maggior parte de' fratelli che la compongono, l'attesto io pubblico, e
83
Regio Notaro Francesco Covatta Fratello di detta Congregazione della Terra sudetta, richiesto
ho segnato = Locus Signi =.
Queste sono le regole su le quali si è supplicata V.M. pel Real Assenzo. Debbo però far
presente alla M.V. che le stesse si trovano presentate in questa Curia sin dal 1761 e sin
d'allora impedite dall'Arciprete, Curato della Chiesa matrice di S. Maria Maggiore di
Limosano. Il motivo, ch'egli nell'istanza dedusse si fu, che nelle regole eransi compresi
stabilimenti contrarj al solito, e specialmente di distruggere il diritto ab immemorabile
goduto dall'Arciprete pro tempore di essere egli il Prefetto di detta Congregazione. E' restata
tal pendenza indecisa sino al presente, ora i ricorrenti han prodotto non solo il documento di
essere quell'Arciprete passato a miglior vita, ma ancora un atto pubblico fatto dal Sacerdote
Antonio Giancola Economo Curato di quella vacante Chiesa Arcipretale, con cui presta il
consenzo alla spedizione del Regio Assenzo su le menzionate regole. (...)
Napoli al primo Marzo 1777125.
2.4 - Le altre istituzioni, il Clero ed i patrimoni degli 'ecclesiastici'
Se, perché se ne parli nel suo contesto più ovvio, del Benefizio Semplice senza cura sotto il
titolo di S. Silvestro e della relativa consistenza patrimoniale se ne dovrà per forza di cose
trattare nel capitolo seguente, non è proprio possibile a questo punto non riferire della
funzione e del ruolo storico "dello Spedale sotto il tit.o della SS.ma Nunciata della Terra di
Limusani". Era esso un'evidenza, e la cosa non è affatto priva di significato, della parte più
'bassa' ed antica dell'insediamento e, precisamente, di quella, riconducibile alla influenza della
Chiesa Arcipretale di S. Maria, in cui, perché discreta e nascosta, si era sviluppata la
lavorazione del ferro nelle fucine, contrapposta all'altra più nuova ed 'alta', riferibile alla
Rettoria di S. Stefano, dove erano prevalenti le attività commerciali collegate all'artigianato ed
i professionisti. E si trovava, poi, in una posizione assai prossima all'incrocio, davanti al
Monastero di S. Maria della Libera, tra l'asse viario, che dall'abitato menava al Bosco, con
quell'altra strada, che, risalendo per l'attuale via Conte di Torino e passando davanti al
Convento francescano dei minori Conventuali, portava da un lato a S. Angelo e, dall'altro,
dopo aver attraversato l'attuale via Giardini, si ricongiungeva alla strada che dal Borgo
scendeva verso il Ponte.
La posizione in luogo non distante dai percorsi viari, l'operare nell'ambito della Chiesa più
antica dell'abitato ed il collegamento della sua attività, probabile alla Confraternita del SS.mo
Nome di Dio e certo a quella di S. Martino, sembrano tutte circostanze a favore di una ipotesi
che ne porta a collocare la costruzione ad un periodo precedente alla fondazione del Convento
dei Francescani e, precisamente, durante la seconda metà del XIII secolo, quando, con l'arrivo
sul trono di Napoli degli angioini, venne operata la riconversione di quell'industria delle armi,
che era stata non poco fiorente con gli Svevi nella zona delle fucine, e, con essa, il riassetto
urbano di Limosano126.
125
ASC, Fondo Opere Pie, Limosano, B. 2.
Stanno emergendo prove di una presenza a Limosano di re Carlo I d'Angiò, durante i primi anni del suo regno
(1266-1285) e, più precisamente, tra l'agosto 1268 (dopo la battaglia di Tagliacozzo) ed il 1270. Il sovrano, che è
da presumere abitasse 'in incognito' nel Palazzo, per sottomettere le resistenze della parte ghibellina, la quale,
assai forte a Limosano, faceva riferimento alla zona, 'storica' e bassa, che ricadeva sotto l'influenza della Chiesa
di S. Maria, proibì la produzione di ogni tipo di armi. La presenza a Limosano era per attendere l'arrivo del
fratello, Luigi (o Ludovico) IX re di Francia, che si accingeva ad intraprendere l'avventura della Crociata,
l'ottava della serie, che lo vide poi morire di peste vicino a Tunisi. E', pertanto, molto probabile che le armi
requisite nelle fucine limosanesi siano servite per i soldati del sovrano di Francia. Anche Papa Celestino V tentò
di ‘legare’ Limosano agli angioini nominando S. Ludovico d’Angiò ‘protettore’ della Città.
126
84
Prova documentale dell'antichità dello Spedale era un "Inventario del 1562 (quando il
Concilio di Trento volgeva al termine) di fogli scritti 9", che, insieme ad altri più recenti
(rispettivamente: del 1655 di fogli scritti 11, del 1693 di fogli scritti 20 e del 1701 di fogli
scritti 9), si conservava tra le 'scritture' dell'inventario "principiato sotto il di 22 di Febraro, e
term.to sotto il di 18 Marzo dell'anno 1713".
"E' situato lo sudetto Spedale sop.a la porta della Terra, che dicesi la porta della fontana
(nota: trattasi della porta delle fucine, detta pure 'porta della fontana' per la vicinanza della
'fonte salza'), le sue coerenze sono, dalla parte di Levante, li beni del R: Sig.re D. Ant.o del
Gobbo, da ponente li beni del med.mo Sig.re del Gobbo, da mezzo giorno la via pu.ca e dalla
parte di Tramont.a l'Inforzi; e lungo d.o Spedale pal: 60 (e) largo pal: 80.
Si ascende alle Stanzi sup.ri di esso per undici gradini di pietra ben lavorati nel fine de quali
e un passetto ove sono dipinte l'armi del Sig.re Card.l Orsini, coverti d'imbrici, a capo del
quale, entrasi in due Stanze, uno dentro l'altra colle suffitte di tavole nove, le porte d'esse
sono dipinte a facciate di color bianco, e nero nella p.ma vi e dipinta l'immagine di S.
Martino, ed in nicchio vi e la statua di rilievo di S. Pietro Apos.o ed a man dritta, per scalino
s'ascende in stanzolino che serve per i Communi, e nella seconda stanza vi sta dipinta una
Croce; sotto a d.e Stanze ve ne sono due altre in una de quali vi sono i sedili lunghi colla
menza di legno fisse nel muro, e pavim.to per la lavanda a peregrini, e più dentro vi sta
un'altra stanziola per uso di Cucina, col suo Camino, e l'altra stanza a lato della med.a è per
commodità dello Spedaliero, a destra di d.o passetto, in due altre stanze si entra parim.te
della stessa maniera dipinte le porte e colle suffitte di leg.o nella p.a vedesi dipinta à muro un
Crocefisso colle Marie, e S. Filippo Neri, e nella seconda Stanza l'effiggie della Madonna
della pietà, sotto de quali vi sono due altre stanze uno per uso dello spedaliero col camino da
far fuoco, ed un'altra per uso delle D.ne peregrine; Più di sotto altre due stanze, una de quali
è oziosa, ed un'altra parim.te sta per uso dello Spedaliero; Più di sotto vi sono altre due
stanze solite darsi ad affitto, sono tutte le mentionate Stanze, così di fuora, come di dentro,
imbiancate, ed i pavim.ti parte astricati, e parte mattonati, e bene accomodati; E coverto tutto
d'imbrici, ed i tetti sono composti tutti a romanella; questo Spedale era sotto il tit.o della
SS.ma Nunciata, del di cui nome, attaccata ad esso se ne vede la Chiesa, la q.le nell'atto della
p.a S: Visita fu dichiarato oratorio viale, le sue coerenze sono , li beni di Lonardo del Gobbo
da un lato, li beni di D. Ant.o dall'altro da dietro li Tufi, e dalla parte di avanti la strada
pu.ca; e lunga pal: quaranta quattro, e larga pal: 18. (...). Per diligenza usate, non si è
possuta indagare veruna cogniz.ne della di lui fondat.ne; è stato bensì restaurato per ord.e
del sud.o Emo, e Rev.mo Arciv.o Orsini, e coll'elimosina proveduto delli seguenti mobili.
- Cinque lettiere con i banchi, e Tavole;
5
- Sei matarazzi, uno de q.ali è pieno di lana;
6
- Tre Coscine, due de q.ali son pieni di lana;
3
- Nove Lenzuoli;
9
- Altro lenzuolo;
1
- Cinque Coverte, 4 di Campobasso ed una Cardata
5
- Altra Coverta
1
- Tovaglia di tavola
2
- Tre sciugatoi
3
- Sei Salvietti
6
- Un Tavolino
1
- Tre sedie di paglia, ed una di legno
3
Non è affatto, a questo punto, possibile escludere un intervento di re Carlo per la riorganizzazione dell'assetto
edilizio urbano dell'insediamento, che in tale occasione risultò parecchio modificato.
85
- Quattro quadri posti nella Cella per feminij
4
- Un'Arca pro Suppellettili
1
- Cassette stercorarie
4
- Una Caldaia di rame di lib: 9 e 1/2
1
- Una Catena di ferro di peso Rot.a 3
1
- Un Spiedo di ferro di 1/4
1
- Un Cocchiarino di rame bucato di lib. 1 e 1/2
1
- Tre pentole
3
- Otto piatti
8
- Due teami
2
- Due Bocali
2"
Nel decennio, che seguì, di certo poche dovettero essere le modifiche, se nell'inventario del
1723 "dello Spedale sotto il tit.o della SS.ma Nunziata della Terra di Limusani" (dove,
tuttavia, assai frequenti sono i richiami a quello del 1712-13) si legge appena che "la Casa
Ospidale è ancora come fu descritta nell'Inventario del 1712, fuorché ne' decreti di picciol
momento".
Successivamente, però, le condizioni statiche della struttura ospedaliera limosanese nel breve
volgere di appena un ventennio peggiorarono parecchio. Tanto che nella sua relazione del 22
Giugno 1741 in occasione della S. Visita fatta (per ordine di Benevento) da Mons. Domenico
A. Manfredi, Vescovo di Bojano e Sepino, egli così riferiva al "N° 54. Per lo spedaliere. Non
habbiamo spedaliere, perché cadde lo spedale la notte del 6 febbraio ultimo scorso, e
perirono sotto le roine la moglie e sei figli dello spedaliere,... Alle ore 8,..., cadde lo spedale,
che era di tredici stanze, delle quali otto precipitarono,...".
Non si conosce se e come si intervenne allora per le riparazioni. E' dato, tuttavia, solo di
sapere che, dopo all'incirca 40 anni, il Galanti lo definiva "misero spedale"127.
Sulla figura dello Spedaliere e sulla gestione dello Spedale qualche notizia viene dalla
'obbligatio', del 10 Gennaio 1731, con cui "Cosmo Iamonaco,..., spontaneamente have
asserito,..., come essendo stato molti anni sono eletto da questa sud.a Università, e suoi
Amministratori, per la facoltà che ne tenevano, e ne ritengono, giusta l'antico solito, per
Spedalier dello Spedale di essa Terra, sotto il Titolo della Santis.ma Annunziata, colla sola
essenzione, e franchizia della sua Testa, solita godersi da tutti i Spedalieri suoi Predecessori
per tutto lo addietro; alla quale nomina, ed elez.ne così fatta, se gli spedirono dalla Rev.ma
Curia di Benevento, le lettere patentali, mercé le quali have essercitato detto uffizio per molti
anni fin oggi;..."128. Non può affatto sfuggire il sottile compromesso di fondo o, che è la stessa
cosa, la commistione tra il civile ed il religioso, che, con l'opera controriformatrice del
Cardinal Orsini, ancora imponeva il controllo su ogni manifestazione del sociale.
Circa l'attività patrimoniale dello Spedale limosanese, i documenti lasciano pensare che esso,
sin dal '600 e forse per la carenza di liquidità causata dalla forte contrazione demografica di
127
GALANTI G.M., Scritti sul Molise, ristampa 1987, pag. 90. Si veda ivi, a proposito di quanto alla precedente
nota 60, l'importante nota bs, che, nella parte di maggior interesse, riportiamo: "Castrum Limosani fu conceduto
ad Atenulfo, filio Joannis comitis Romanorum, nel 1269 da Carlo I, per once ottanta. Nella concessione si legge
una particolarità, che non si osserva nelle altre fatte in quella congiuntura: et licet quia omnes arces et fortellicie
regni nostri immediate ratione majoris dominii ad nos spectent, tanquam specialiter dignitati regie inherentes;
tamen fortelliciam aliquam in castro praedicto fieri absque speciali nostra licentia prohibemus (...; tuttavia
proibiamo di fare alcun fortellizio in quell'abitato senza una nostra speciale autorizzazione).
Nonostante qualche autore (COLITTO, Il Molise del 200 nei Registri della Cancelleria Angioina;
MASCIOTTA, II, p. 200; e qualche altro) sostenga che "all'avvento di Carlo I d'Angiò Limosano fu dato in
feudo alla stirpe dei conti di Renan, della Franca Contea", sembra molto probabile che quell'Adenulfo filius
Joannis comitis Romanorum, più che un conte di origine francese, fosse un esponente (un Cardinale ?) assai
importante della Chiesa Romana.
128
ASC, Protocolli notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto del 10 Gennaio 1731.
86
quel periodo, abbia iniziato a far registrare una quantità di dismissioni maggiore delle
acquisizioni. Ma, nonostante ciò, dall'inventario del 1712 ne risulta ancora assai significativa
la consistenza. Era, infatti, proprietario di 39 appezzamenti, di differente grandezza e sparsi in
modo irregolare per l'intero agro, tra territori (solo pochi, però, erano seminatori), orti e
vigne, la cui estensione complessiva era di 144 tomoli e 2 misure. Ma, se si esclude un solo
"territorio, sito nel luogo dove si dice Colle di Dario, di cap.a tt.a sessanta", ben si vede come
di ognuno di essi fosse relativamente modesta l'estensione.
Oltre alla "essenzione, e franchizia della sua Testa, solita godersi da tutti i Spedalieri",
sembra che essi godessero anche di altri privilegi. Risulta, infatti, che "Un Terrt.o seminat.o
sito nel luogo dove si dice S. Maria de Libera di cap.a tt.a due, m.ra una, e passi 24", che
confina "dalla parte di mezzo giorno col Cimiteo...; Si tiene da Giov: d'Onofrio Spedaliero per
suo uso, unito colli due susseguenti, gratis,...". Gli altri due erano: "una Vigna con Canneto ed
arbori de frutti sita nel luogo dove si dice li Patrisi, seu fonte delli Patrisi, di cap.ta tt.a
cinque, e passi 35", confinante "... dalla parte di mezzo giorno colli beni di S. Silvestro, ch'è
beneficio, che si dice di Ben.to", ed una seconda "Vigna con tre piante d'olive e diversi frutti
sita nel luogo detto li Patrisi, seu Patrisi, ò Serre delli Patrisi"129.
La proprietà edilizia dello Spedale era formata: 1) da due case, delle quali la prima, "di due
membri uno dentro l'altro", era "posta nel luogo dove si dice sotto il Campanile di S.o Stefano,
lunga pal: 24 e larga pal: 19", e l'altra, ugualmente "di due membri soprano, e sottano", era
"sita nel luogo dove si dice sotto il Campanile di S. Maria, larga pal: 24, lunga pal: 19"; 2) da
"una Grotta sita in d.a Terra nel luogo dove si dice sotto lo Trappeto lunga pal: 32, e larga pal:
18"; 3) ed, infine, oltre che dall'ospedale vero e proprio, che "è di quattordici membri, lungo
pal: 60 e largo pal: ottanta", da "una Chiesa diruta sotto il tit.o della SS.ma Nunziata lunga
pal: 44 e larga pal: 18", che era situata in prossimità di quello, ma che non confinava con esso.
Secondo un antico privilegio, di probabile origine aragonese e che in qualche modo ne
conferma l'antichità, "esigge il sud.o Ospedale dalla Reg.a Corte nella Città di Termoli tt.a
tre di Sale, in virtù di Carità, che S. Maestà Dio guardi dispenza".
Anche dello Spedale si riporta la "somma de tutti li frutti", che erano:
- Per Casa ad anno corrente
4:20
- Per Vigne, Territ.ij ed orti, à 29 anni
5:60
- Per Vigne, Territ.ij ed orti ad affitto
4:65
- Per Territ.ij à 29 anni in g.no tt.o uno, à carl: otto
0:80
- Per Territ.ij a terrag.o in g.no tt.a sei, a carl: otto lo tt.o
4:80
- Per Territ.ij in dem.o tt.o uno e tre quarti in g.no a d.a raggione
1:40
- Per Carità di Sale tt.a tre, a carl: quindici
4:50
- Per le Cerque si raccogliano in detti Territ.ij
1:00
Somma tutto
Ducati
26:95
Da essa, però, era necessario detrarre sia il "peso" di ducati 0:50 "per Cattedratico" e sia
l'altro, di ducati 2:80, "per trasporto del Sale".
Pur se ancora, ma a mala pena, ne lasciano immaginare l'importanza, che molti indizi portano
ad ipotizzare davvero notevole per i tempi più antichi, del sito e del territorio ad esso
associabili, assai scarne sono le notizie riguardanti il "Benefizio semplice senza cura, ò
Arcipretura rurale, sotto il tit.o di S. Maria di Cascapera". Ed, in effetti, perché di esso, e
di tutto quanto gli si dovrebbe riferire, già allora rimaneva assai poco, le operazioni di
inventario, che fu "principiato sotto il di 26 X.mbre e terminato sotto il di 31 dell'istesso,
dell'anno 1712", durarono solo pochi giorni.
- Descizzione della Chiesa. E' situata la sud.a Chiesa nel Feudo di Cascapera, e da tutti
129
"Tutti, e tre li sudetti stabili dello sud.o Spedale, potrebbero conducer in affitto in ogn'anno carl: vinticinq:" o,
che è lo stesso, ducati 2:50.
87
viene chiamata S. Maria di Cascapera, che è nella giurisdizione, e ristretto della Terra de
Limusani distante da essa da tre miglia inc.a; di essa Chiesa, ocularmente oggi appena se ne
conoscono le vestigie, essendo divenuta un mucchio di pietre, e per antica tradizione dicesi
che fusse stata Terra, ò Casale sotto posto alla sudetta Terra de Limusani. Al presente si gode
detto Beneficio dal Sig.re D.n Caetano Covatta, come per Bolla spedita sotto il di 30 di
Giugno dell'anno 1709 in carta membrana col piombo pendente.
- Della Decima. La Chiesa sudetta di S. Maria di Cascapera possiede e tiene lo Jus
d'esiggere la Decima nell'infradicendo Feudo di ogni tt.a sessanta, uno, di quanto in esso si
semina, di modo che un'anno per l'altro puo rendere in decima, cioé
in g.no
tt.a
9,Legumi
tt.a
3,-.
- Descizzione del Feudo. Il sudetto Feudo di Cascapera, che per prima era tutto boscoso, e
frattoso, oggi ridotto in buona parte à coltura, è situato nelle pertin.e, e giurisd.e di questa
Terra de Limusani, la di cui Università n'è proprietaria con distintione però, che dell'affitto,
ch'ella fà, se ne ritiene la mettà, e l'altra mettà, se divide fra il Barone di S: Angelo, e l'
Barone di questa medesima Terra de Limusani, salvo però il Jus sudetto d'esiggere come
sopra al sud.o Benef.o
Esso Feudo è confinato dalla parte Orientale colle pertinenze della Terra de Lucito, da
ponente colli beni dell'Università di S. Angelo de Limusani, da settentrione colli Territorij
della Città di Trivento, e da mezzo giorno colli beni di S. Venditto, dalla Commenda di Malta.
Dalla "somma de tutti i frutti", da cui "per Cattedratico" dovevano detrarsi 0:20 ducati,
sappiamo che introitava
- Per Decima in g.no tt.a nove a carlino otto il tommolo
7:20
- Per Decima in Legumi tt.a tre, a carlini quattro il tt.o
1:20
Null'altro si dice del "Benefizio semplice, ò Arcipretura rurale sotto il tit.o di S. Maria a
Cascapera della Terra de Limusani Diocesi di Ben.to", cui sin da allora più niente restava.
Ma bastano quelle poche notizie a segnare la traccia del passaggio della Storia.
Lo stato di decadenza ed una istantanea di quanto rimaneva di tutte quelle istituzioni religiose
‘minori’ si hanno dal “quadro de’ debitori Beneficiati appartenenti alla Mensa
Arcivescovile di Benevento”, siti nell’agro di Limosano, dato “dalla Segreteria Diocesana li
25 Maggio 1839”(v. ASC, OO.PP., Ruoli debitori Enti ecclesiastici, B. 9, f. 44). Quanto segue
è la situazione a tale data:
1° Beneficio, ed Arcipretura rurale di S.ta M.a di Cascapera di Limosani per Cattedratico
paga duc. 0 e grani 20 il 24 Ottobre. Il Beneficiato è D. Luigi Minotti di d.a Terra (o, più
probabilmente, di S. Angelo Limosano);
2° Beneficio di S. Antonio di Vienna annesso alla Ch.a Arcipretale di Limosani per
Cattedratico paga du. 1 e grani 00 il 24 Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del
Beneficiato.
3° Idem di S. Silvestro di Limosani per Cattedratico paga duc. 0 e grani 50 il 24 Ottobre. Non
se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
4° Idem di S. Michele Arcangelo di Limosani per Cattedratico paga duc. 0 e grani 50 il 24
Ottobre. Jus padronato della Famiglia del Gobbo.
5° Beneficio di S.ta Luminata annesso alla Ch.a Arcipretale di Limosani per Cattedratico
paga duc. 0 e grani 20 il 24 Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
6° Ospedale della SS.ma Annunciata di Limosani per Cattedratico paga duc. 0 e grani 50 il
24 Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
7° Capp.a e Confrat.a del SS. Corpo di Cristo di Limosani per Cattedratico paga duc. 1 e
grani 00 il 24 Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
88
8° Confrat.a del SS. Rosario, e Benef.o di S. Ant.o Abbate di Limosani per Cattedratico paga
duc. 1 e grani 05 il 24 Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
9° Badia di S. M.a di Faisolis di Limosani per Cattedratico paga duc. 0 e grani 50 il 24
Ottobre. Non se ne conosceva il nominativo del Beneficiato.
All'ombra dell'ingente patrimonio delle istituzioni religiose, che fu, per mantenersi tale,
favorito sia dalle esenzioni da ogni imposta che dal subdolo ricatto con cui si imponeva
l'acquisto della salvezza con le donazioni 'ad pias causas'130 e che, come dimostrano i
'Cataloghi de Debbitori (o de Conduttori)' di ognuna di esse (di partitari la Chiesa di S. Maria
ne aveva 62, la Confraternita del Rosario 50, la Cappella di S. Silvestro 19; la Chiesa di S.
Stefano ne contava 49, la Confraternita del SS.mo Sacramento 72, la Cappella di S. Giuseppe
15; l'Ospedale ne aveva 26 ed il Benefizio di S. Silvestro 14), non poteva non esercitare sulla
società quei condizionamenti derivanti dalla necessità forzata per ognuno di avere rapporti con
esso ed i suoi amministratori, prosperava un Clero composto da numerosi ecclesiastici.
E non solo essi, ma anche i loro inservienti ed i loro beni godevano di tante immunità
personali, locali e reali, che era impossibile contarle; apparteneva esclusivamente al foro
ecclesiastico ogni competenza nelle cause, penali e civili, riguardanti gli esponenti del Clero;
ogni sorta di arbitrio e di odioso favoritismo veniva perpretato per sottrarre, nelle vertenze tra
laici ed ecclesiastici, la giurisdizione al foro laico131.
E, se i legati testamentari dei privati, resi obbligatori dalle disposizioni canoniche del
Concilio, contribuivano ad incrementare il disponibile delle istituzioni ecclesiastiche, le
donazioni 'inter vivos', sempre stipulate in forma pubblica e sin da quando il clerico
tonsurando doveva ricevere gli ordini minori, servivano sì a costituire per ogni esponente del
Clero un proprio patrimonio, ma, soprattutto, ad affrancare tutti i beni che lo formavano da
ogni tassazione 'temporale'. Solo così si spiega, e come essa se ne trovano tantissime, la
"donatio irrevocabiliter inter vivos (donazione irrevocabile tra vivi)" con cui, era il 13
Febbraio 1686132, il "Mag.co V.J.D. Joannes Antonius del Gobbo Terre limosani" dona a
"Josepho Antonio del Gobbo eius filio":
1 - una casa di 5 membri, 2 inferius (sotto) e 3 superiores (sopra) "ubi dicitur la loggia, in
loco ubi dic.r le Poteche";
2 - una "cellam vinariam cum Cisterna intus (cantina con cisterna), sitam in d.o loco detto le
Poteche";
3 - trenta "animalia baccina, quas tenet ad societatem cum D.no D: Josepho Ferro Civite
Campi Marani (30 animali vaccini, che tiene a società con Don Giuseppe Ferri di
Civitacampomarano)";
4 - cinquanta "oves (pecore), et 5 scrophas (scrofe)".
Del tutto ovvia per la vastissima componente sociale dei nullatenenti la impossibilità di
entrare a far parte della casta privilegiata degli ecclesiastici133; come era 'naturale' la vita
130
"Secondo un antico uso, era necessario far lasciti "ad pias causas" per riparare ai propri peccati; diversamente
gli stessi ecclesiastici testavano per il defunto disponendo lasciti "ad pias causas" e l'abuso in alcune regioni era
arrivato a tal punto che si rifiutava la sepoltura se non si produceva testamento" [FRATANGELO M., Il
Sequestro delle Temporalità nel Regno di Napoli nei secoli XVI e XVII, s.l. (ma,forse, Ripalimosani) 1987, pag.
65].
131
SCADUTO F., Stato e Chiesa nel Regno delle due Sicilie dai Normanni ai nostri giorni (sec: XI-XIX),
Palermo 1887, pag. 296 e segg.
132
ASC, Protocolli notarili, Not. Aloisio Urbano di Castropignano, atto del 13 Febbraio 1686.
133
Assai indicativo della voracità senza limiti dei proprietari è (v. ASC, Protocolli notarili, Not. Fracassi Aquino
di S. Angelo Limosano) l'atto del 18 Settembre 1849, col quale la famiglia Jacovone si appropria del diritto che
la Confraternita del SS.mo Sacramento aveva di tenere gratuitamente un seminarista nel Seminario di
Benevento.
Difatti, con esso le parti "Donna Berenice Sabetta di D. Michelangelo Gentildonna proprietaria, e vedova di D.
Giovanni Jacovone,..., ed Antonio de Angelis di Francesco Proprietario, il quale agisce in qualità di Priore, ed
89
gaudente che univa il Clero alla feudalità ed ai proprietari. Ed anche a Limosano i suoi
esponenti, nati dalle famiglie più benestanti e possidenti (del Gobbo, Covatta, Corvinelli,
Fracassi, Amoroso,...), vissero di norma 'more magnatum (come i ricchi)' e, non di rado, nel
più completo disordine di costumi e di ortodossia dottrinale, che veniva da tempi lontani. Non
furono infrequenti i casi "d'aver commesso stupro..., ò di pratica disonesta con
ingravidazione", che videro coinvolti esponenti del Clero. E forse tali comportamenti, tanto
spregiudicati quanto comuni, traevano origine dal mundio, istituto giuridico longobardo
documentato, nel triventino assai più che nel limosanese, ancora nel XVII secolo, che
demandava al mundualdo, quasi sempre un esponente del Clero, ogni capacità di agire di una
donna precedentemente affidatagli e che in tutto gli doveva essere sottomessa. E, non di rado,
anche nei capricci più bassi del sesso.
Un "Sacerdote discreditato per li costumi" fu, a Limosano, quel Don Eliodoro Covatta, che "fù
ucciso... alli diecinove Maggio del 1785, e (che) spirò d'avanti la Taverna Marchesale alle
ore 22 inc:". Perché "el reprobo Sacerdote ucciso tanto meritava per le tante de lui notorie
dissolutezze, e scandalosi eccessi..." e, per l'odio misto al senso di rivendica sociale, venne
assassinato "a colpi di replicati spari di schioppo, e bainetta, ed indi pratticateli varie
sevizie"134.
Frequenti quanto spregevoli, simili comportamenti, oltre a quelli legati alle più banali
questioni di preminenza o di invidia per le nomine, anche le più insignificanti, che però non
potevano accontentare tutti gli esponenti di un Clero assai numeroso, furono all'origne dei
mille intrighi e contrasti, di cui essi per secoli si alimentarono. Uno per tutti l'episodio che, nel
1769, vide coinvolto "Criscenzo di Gregorio..., (che) ave asserito, qualmente nel caduto mese
di Settembre fu chiamato dal Reverendo Rettore (di S. Stefano) D. Francesco Busso, il quale
gli disse che dovendo l'Arciprete (di S. Maria) D. Francesco Antonio Angelilli... portarsi nella
Città di Benevento, perchè inquisito da quella Curia, e dovendo il med.o costituire in sua
assenza un Sacerdote idoneo, e probo, che faccia le sue veci in qualità di economo, si è inteso
per il Paese, che il med.o Arcip.e Angelilli voglia costituire il Reverendo D. Antonio Giancola
niente piacente ad esso Rettore Busso perchè inimico del med.o, mà che voleva far
succedere... il Reverendo sacerdote D. Nicola Marinaccio, che a tal'effetto se gli era
raccomandato, e li soggiunse il d.o Rettore Busso, che pensava egli di trovar modo, e
maniera di screditare il d.o R.do D. Antonio Giancola presso la Curia Arcivescovile di
Benevento,..., e che se non gli era riuscito l'intento d'impedire il d.o D. Antonio Giancola di
farlo predicare in d.a Terra di Limosani, mediante altri ricorsi fatti nella med.a Curia, pure
in questa occasione pensava d'impedirgli...". A convincere il di Gregorio a prestarsi al gioco
del Rettore Busso (che, a sua volta, aveva comprato la Rettoria di S. Stefano) fu mandato
l'amico Cosmo Bonadie, il quale lo pregò "affinché formato avesse un ricorso in d.a Curia di
Benevento contro il d.o D. Antonio Giancola, siccome il d.o Rettore Busso pregato l'avea, di
poi unitamente ambidue in luogo segreto, e solitario gli presentarono un memoriale, che i
in nome e parte della Congregazione del santissimo sagramento..., han dichiarato che questa Congrega del
santissimo Sagramento gode dil beneficio perpetuo di poter far educare un'individo paesano nel Sacro
Seminario Diocesano di Benevento, ad oggetto di ascendere al Sacerdozio pel bene della popolazione.
Essendosi ora proceduto alla votazione per la scelta dell'individuo da recarsi in detto Seminario, è caduta la
nomina in persona del figlio di Donna Berenice Sabetta a nome D. Tarquinio Jacovone, il quale pria di venirsi
all'atto della votazione istessa, fece domanda regolare che egli abbraccerebbe lo stato Ecclesiastico, ed in caso
contrario si obbligava al rinfranco de' danni cagionati in ragione di ducati trenta annui a favore della
Congrega medesima,...
Per garanzia e sicurezza di detta promessa di ducati trenta annui essa D.a Berenice obbliga a sottoporre a
speciale ipoteca a favore della Congregazione i seguenti beni stabili di sua proprietà e che sono siti nell'agro di
Limosano...".
134
ASC, Protocolli notarili, Not. Corvinelli Melchise(dech) di Limosano, Notazione a margine dei Protocolli del
1790.
90
med.i aveano fatto formare in suo nome, come Procuratore della Ven.le Cappella del SS.mo
Rosario contro il d.o D. Antonio Giancola"135.
Parecchio carente è la documentazione 'ufficiale' sulla contestazione dell'ortodossia, che però
alcuni elementi fanno ritenere nell'area limosanese più presente di quanto si possa
immaginare. Essa, come mostra la contemporanea presenza a Limosano di almeno due
vescovi, in epoca medievale fu esclusiva conseguenza della lotta politica. Solo in seguito,
divenne l'effetto necessario della predicazione, tanto veemente quanto inascoltata, del ritorno
alla povertà evangelica da parte della corrente spiritualista, che, con i Fraticelli e Pietro del
Morrone, molto interessò anche Limosano. Dopo il Concilio di Trento diventò quel velleitario
tentativo di ribellione di solitari disorganizzati, che, solo, riesce a dare un senso alla presenza,
nel 1675 circa, nel Convento dei Conventuali di Limosano, della "Catedra, ò sia la Sedia
dell'antico Vescovo, con la sua Cupola, e Crocetta sopra, tutta lavorata, scorniciata,
intagliata, ed indorata, fatta ad otto angoli, (che) stava sotto l'Arco della Sagristia sopra la
sepoltura delli Vescovi morti,..."136. E, si badi, tale presenza di Vescovi deve essere riferita ad
un Convento di frati francescani, in cui nel 1610 è presente un "R.dus Pater Frater
Franciscus Civitatis Vasti Doctor Theologus", e ad una località, quella di Limosano, dove
ben altre due Chiese sono state trovate essere 'Cattedrali' e sedi di Vescovi
Tali episodi trovano spiegazione solo se combinati con altre circostanze 'strane'. Come
l'affissione137, del 1661, alle porte della Matrice Chiesa di Torella di "un Cedolone spedito da
Monsig.r Auditore della Ch. Apostolica, nel q.le dichiara interd.e tutte le Chiese di
Castrop.no non esposte alla Visita di d.o Ill.mo, et dichiara scomm.ti tutti et quals.a
Sacerdote sì secolare, come Regolare, che celebrando in d.e Chiese". Come la richiesta, da
"Roma alli IX di Giugno del 1572", del Cardinal Carafa al Vescovo di Trivento "perché fà
bisogno che il Vescovo della Guardia(alfiera) facci la profissione della fidi, havendomi S. S.tà
ordinato ch'io facci il processo, et lo proponga in concistoro..."138. E come, nei territori di
Trivento, quei traffici di ebrei (Judej), che, ancora durante il XVI secolo, "se portano
carcerati" per mano di un "Conductor Judeorum Carceratorum".
Tra gli esponenti del Clero, tuttavia, alla maggioranza, senza ideali e rivolta alle sole cose
della terra, non rimaneva che occuparsi, magari col condimento delle attenzioni per qualche
donna, di impinguare il ventre e di accrescere quel patrimonio personale, dal quale ritrarre,
servendosi della manodopera di bracciali o di fatigatori poco pagati, le rendite per vivere da
benestante. Chi, come "Don Roberto arcip.te de Limosano, (che), per prezzo di quattro onze
d'oro e 24 tarì", con un atto "rog.to per mano di N. Pietro de Aczone di Boiano alli 3 di giugno
1295" compra "da Guglielmo de Limosane habitator di Boiano una sua potega vicino lo
vescovado"139, tentava l'investimento immobiliare. Ed altri, come quel D. Massimiano
Corvinelli, che, animato da notevole senso d'impresa e volendo, nel 1818, "costruire, e recare
al suo termine la Macchina del Molino", chiede (ed è, lo si noti, del tutto nuovo il tentativo di
localizzare un mulino lontano da un corso d'acqua) "il locale del soppresso Monistero degli
ex=Conventuali, ove gli si presenta un luogo degno, proprio, ed idoneo a poter situare e
costruire senza incomodo la Macchina sudetta, il di cui sito reca alla Popolazione il facile
accesso, vantaggio, ed utile..."140, investivano nelle attività produttive.
135
ASC, Protocolli notarili, Not. Marone Saverio di S. Angelo Limosano, atto del 21 Ottobre 1769.
ASC, Protocolli notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, 'fides publica' del 19 Aprile 1755, con cui "il
M.co Domenico Amoroso, di anni 93 incirca", riferisce fatti e situazioni di quando era adolescente di circa 12
anni e, perciò, databili tra il 1675 e il 1680.
137
ASC, Protocolli notarili, Not. Aloisio Urbano di Castropignano, atto del 16 Agosto 1661.
138
ASC, Protocolli notarili, Not. De Rubertis Giovanni di Trivento, carte conservate tra gli atti del 12 e del 22
Giugno 1572.
139
DE BENEDITTIS G. (a cura di), I Regesti Gallucci, Napoli 1990, pag. 42 e seg.; doc. N 57.
140
ASC, Intendenza di Molise, B. 572, f. 3.
136
91
Di contro furono veramente pochi quelli che, senza interesse, si occuparono degli altri e,
soprattutto, dei poveri. Meritano un ricordo il "Sacerdote D. Nicola Marinacci", che, nel 1762,
fece ricorso sino "alla Maestà del Re,..., contro Nicola Russo di questa medesima Terra, con
aver esposto varj Capi d'accusa contro dello stesso, ed in particolare... d'aver commesso
contratti illeciti, ed usurarj, e d'aver avuto prattica, ed intelligenza con ladri" 141; ed il " Signor
Don Vincenzo Bussi fu Saverio, Sacerdote", che nel suo testamento del 29 Luglio 1847 142, tra
le altre cose, scriveva: "Voglio che dopo la mia morte i miei eredi distribuiscano a' poveri la
somma di ducati venticinque col consenso del parroco e Padre Guardiano del Convento di San
Francesco di Limosano, e ducati venticinque da impiegarsi per la restaurazione della Chiesa di
Santa Maria Maggiore, sotto la vigilanza dei medesimi Parroco e Guardiano". Tra tutti gli altri
vanno ricordati, pur senza conoscerne il nome, solo quelli che fecero il bene e, perché portasse
il suo frutto, lo tennero nascosto.
Dal 'Catasto Onciario'143 del 1743 riportiamo, a titolo di conclusione e perché si abbia una
141
ASC, Protocolli notarili, Not. Marone Saverio di S. Angelo Limosano, atto del 11 Ottobre 1762.
ASC, Protocolli notarili, Not. Fracassi Aquino di S. Angelo Limosano, atto del 29 Luglio 1847.
143
ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. Per i possibili raffronti, si riporta, negli elementi più significativi, la
composizione del patrimonio, come risultava da un 'inventario' del gennaio 1665, del Rettore della Chiesa di S.
Stefano, D. Stefano de Bartolomeis, originario di Ripalimosani, il quale disponeva di:
- una casa di dieci membri;
- una cantina con sei botti piene di vino;
- due fundichi;
- una vigna di trentali nove;
- un'altra vigna di trentali sei;
- un pezzo di territorio di to.la trenta sito alla piana di Campobasso;
- un altro pezzo di territorio sito a Colle Leone di to.la trenta incirca;
- un altro pezzo di territorio di to.la sette sito alle serre;
- un altro territorio di to.la vinti siti allo Peschio;
- un altro territorio di to.la diece sito alla fonte dell'olmo;
- un altro territorio di to.la sette sito a Casal Cuculo;
- Duicento to.la di grano;
- Cinquanta to.la di seminato:
- Pecore num.o quattrocento fra grosse e piccole;
- Capre num.o cinquanta;
- Sette animali bovini dati in socita a Crescenzo Foligno di S. Angelo;
- Cinque animali bovini dati in socita a...;
- quattro animali bovini dati in socita a...;
- sei animali bovini dati in socita a...;
- quattro animali bovini dati in socita a...;
- quattro animali bovini dati in socita a...;
- ducati trenta dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati cinquanta dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati quindici dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati trenta dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti sette dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti tre dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati trenta dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati trenta dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati sedici dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati sedici dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati sedici dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati sedici dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati vinti sette dati a cenzo (o prestati) a...;
- ducati sedici dati a cenzo (o prestati) a...;
142
92
corretta idea del relativo peso sociale, la parte riguardante i patrimoni degli 'Ecclesiastici'
limosanesi di allora.
1. Il "R.ndo D. Antonio Gio:cola" di anni 31 "possiede li seguenti beni padronali:
- Una Casa di membri cinque, nel luogo d.o la piazza di D. Andrea... Possiede in oltre:
- Una Vigna di trantali tré, con sedeci pranzoni d'olive,..., nel luogo d.o primo Colle...;
- Un'altra Vigna di trantali tré, ed un quarto di trantale con quattro piedi d'olive,... nel luogo
detto Colle Capogrosso...;
- Un Territorio di misure tredeci, con querce,... nel luogo d.o Vallone di Natale...;
- Un'altro Territ.o di mezzo tomulo, con sei querce e sei bisceglie,... nel sud.o luogo Vallone
di Natale".
2. Il "R.ndo Sig,r Arciprete (della Arcip.le di S. Maria Mag.re) D. Cosimo Busso" di anni 36
"abita nella Casa solita Arcip.le,..." e "possiede li seguenti beni Patrim.li:
- Una Casa di membri quattro, nel luogo d.o la Piazza delli Focini...;
- Un'altra Casa di membri tré, suolo di S. Ant.o Abbate, con un Orticello, nel luogo d.o lo
Borgo di S. Rocco...;
- Una Vigna di trantali quattro, con misure otto di Territ.o intorno, con dodici piedi d'olive,...
nel luogo d.o S. Janno...;
- Un Territorio di tomula uno, con diverse bisceglie e mozzoni d'olive inculto,... nel luogo d.o
li Patrisi...;
- Una Vigna di trantali quattro e mezzo con diversi pranzoni d'olive,... nel luogo d.o Colle
Lorenzo...;
- Un'altra Vigna di trantali quattro contigua d.a Vigna con tredeci piedi d'olive,... nel sud.o
luogo Colle Lorenzo...;
- Tré scrofe in socita con Cosimo d'Ambrosio...;
- Nove poscastri in socita col med.o...;
- Quattordici poscastri a capo salvo col med.o...;
- Ventidue pecore gentili, maschi e femine à capo salvo con Francesco Russo...;
- Tomula cento di grano dinio (= granturco), e cinquanta d'orzo in negozio, e mantenimento de
sud.i animali...".
3. Il "R.ndo D. Cosimo Corvinelli" di anni 66 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Abita in Casa propria di membri cinque, nel luogo d.o la porta del Borgo...;
- Una Cantina d'uno membro per uso proprio, nel luogo d.o la piazza delli Focine...;
- Una Vigna di Trantali quattro,... nel luogo d.o S. Janno...;
- Un'altra Vigna di trantali due, con altre mis:a dodeci di Territ.o intorno, con cinque pranzoni
d'olive,... nel luogo d.o la Fonte nova...;
- Un Territorio di tomula uno, con un pede d'olive nel luogo d.o dietro le Case, e sotto S.
Maria della Libera...;
- Un'Orto di mis:e due nel luogo d.o dietro le Case...;
- Possiede una Giomenta per uso proprio".
4. Il "R.ndo D. Cosimo d'Addario" di anni 58 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- La Casa patrimoniale è diruta
- Abita in Casa acquistata dopo il Sacerdozio di membri cinque,... nella Piazza di D.
Andrea...;
- Una Vigna di trantali quattro, con sette pranzoni d'olive,... nel luogo d.o S. Antonio...;
- Un'altra Vigna di trantalo uno e mezzo, con un'altro tomulo e mezzo di Territorio intorno,...
- soppellettili di casa;
- matarazzi numero dodeci;
- Rame libre centocinquanta;
- Biancherie, due Cascie piene.
93
nel luogo d.o La Macchia delli Porrazzi. Possiede oltre il Patrimonio:
- Una Giomenta ed una somara fig.ta, cio è la Giomenta per uso proprio, e la somara fig.ta...;
- Due scrofe in socita con Antonio d'Alesio Marc'Ant.o...;
- La metà d'una somara a staglio con Niccolò Fioruccio...;
- La metà d'un'altra somara data à staglio a Niccolò Marc:Ant.o...;
- Un'altra somara à staglio con Simone Juliano della Terra di S. Angelo...;
- Un'altra somara fig.ta à staglio con Martino Petrone della Terra di Montagano...".
5. Il "R.ndo Sig.r Arciprete di S. Stefano D. Domenico Antonio del Gobbo" di anni 35
"possiede i seguenti beni Patrimoniali
- Abita in Casa propria di membri quattro, nel luogo la piazza delle Botteghe...;
- Una Vigna di trantali sei con un tomulo e tre quarti di Territorio intorno con due piedi
d'olive, ed una Massaria, nel luogo lo Borgo, e Case d'Apollonio...;
- Un'altra stanza di Casa per uso di stalla, nel sud.o luogo La piazza delle Botteghe...;
- Cinque altre stanze di Casa nello stesso luogo le Botteghe...;
- Un'Orto di misure due inculto, con due mozzoni d'olive nel luogo d.o S. Maria della Libera
e fuori la porta del Baglio...".
6. Il "R.ndo D. Domenico di Tata" di anni 62 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Abita in Casa propria di membri tré, con la metà d'uno bottale nel luogo d.o lo Sopportico
del Cane della Croce...;
- Una Vigna di trantali cinque con mezzo tomulo di Territ.o intorno, con otto piantoni
d'olive,... nel luogo d.o pozzo del Chiajo...;
- Un'Orto di un quarto, nel luogo d.o S. Maria della Libera, e pozzo novo...; possiede oltre il
Padrimonio
- Cinquanta pecore gentili, maschi e femine in socita con Gio: Minicuccio...".
7. Il "R.ndo D. Domenico Covatta" di anni 56 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri due, nel luogo d.o La piazza di D. Andrea...;
- Una Vigna diruta di tt.a otto di Territorio, con sei piedi d'olivi,... nel luogo d.o Li Patrisi...;
- Un pezzo di Territorio di tomula cinque,... nel luogo d.o S. Gio:, e Colle Franco...".
8. Il "R.ndo D. Domenico Longo" di anni 27 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri tré, e la terza parte d'uno Bottale nel luogo d.o la piazza di D. Andrea...;
- Una Vigna di trantali tré, con un tomulo di Territorio intorno, con tre piedi di querce, e
cinque piedi d'olive,... nel luogo d.o Colle Capogrosso...;
- Un'altra Vigna di trantale uno con tomula due di Territorio intorno, con cinque piedi
d'olive,... nel luogo d.o Pagliarello e via Cupa...;
- Un'Orto di una misura e mezza con quattro piantoni d'olive nel luogo d.o Giardinelle, e sotto
le Ripe di Tullo...;
- Un pezzo di Territorio di tomula due, e mezzo, con dieci piedi d'olive,... nel luogo d.o
Oliveri...;
- Un'altro Territorio di tomula tré,... nel luogo d.o Pagliaro favorito...;
- Un'altro pezzo di Territorio di tt.a tré con quindeci querce,... nel luogo d.o S. Illuminata...;
- Un'altro Territorio di tomula tré, inculto, con dodeci querce e cinquanta bisceglie,... nel
luogo d.o Vannara, e Valle Guglielmo...;
- Un'altro Territorio di tt.a uno inculto con una querce e dodeci piedi d'olive, nel luogo d.o Le
Vetiche...".
9. Il "R.ndo D. Domenico Bonadie" di anni 24 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri cinque, con mezza cantina, ed una Loggia, nel luogo d.o La piazza di
D. Andrea...;
- La metà d'un orto sotto d.a Casa per uso proprio;
- Una Vigna di trantali tré,... nel luogo d.o Valle fieno...;
94
- Un Territorio di tomula tré vigna diruta, con tré piantoni d'olive,... nel sud.o luogo Valle
fieno...;
- Un'altro Territorio di mezzo tomulo, con sei piedi d'olive nel luogo d.o Le Vetiche...;
- Un'altro territorio di tt.a due, con querce, nel luogo detto li patrisi...;
- Un'altro Territorio di tt.a cinque, con venti piedi di querce, nel luogo d.o La Valle...".
10. Il "R.ndo D. Francesco Antonio Angelillo" di anni 26 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri sei, nel luogo d.o lo piano di S. Angelo...;
- Una Vigna di trantali tré, e quattro altri tomula di Territ.o intorno, con undeci piedi d'olive, e
molte bisceglie nel luogo d.o Le Macchie delli porrazzi...;
- Un'altra Vigna di trantali due, con quarti due di Territorio intorno inculto, con dodeci
bisceglie,... nel luogo d.o S. Janno...;
- Un'altro pezzo di Territ.o di tomula tré inculto, con quattro piedi d'olive, e quattro
bisceglie,... in d.o luogo S. Janno...".
11. Il "R.ndo D. Martino d'Amico" di anni 46 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri quattordeci,... con un Orticello murato avanti, nel luogo d.o La piazza
della Casa della Terra,... di d.a Casa due membri affittati al Mag.co Gio: di Gregorio Speziale
di Medicina per uso di speziaria...;
- Un'Orto di misure nove sotto le fenestre di sua propria Casa,... nel luogo fuor la porta delle
Focini...;
- Una stalla di membro uno per uso proprio avanti la sud.a Casa, conf.a con lo forno della
Camera Marchesale...;
- Una Vigna di trantali quattro, con mezzo tomula di Territorio intorno,... nel luogo d.o La
fonte nova, e S. Ant.o...; Beni estra il Patrimonio
- Una Cantina, nel luogo d.o Le Botteghe...;
- Un'altra Casa di membri due, nel luogo d.o la piazza di D. Andrea...;
- Un Territorio di tomula cinque con dieci querce,... con una Massaria per comodo d'Animali,
nel luogo d.o S. Vittorino...;
- Possiede una Giomenta per uso proprio;
- Una Somara à staglio con Gennaro Bagnolo...;
- Un'altra somara à staglio con Cosimo di Niccolò Busso...;
- La metà d'una somara à staglio con Domenico Matteo...;
- La metà d'un'altra somara à staglio con Gio: del Gobbo...;
- La metà d'uno somaro mascolo à staglio con Niccolò di Pasquo Gravino...;
- La metà d'uno somaro mascolo à staglio con Donato Colavecchio...;
- Cento novantacinque pecore gentili maschi e femine...;
- Venti Capre maschi e femine...;
- Tiene dato un Capitale di docati cinquanta...".
12. Il "R.ndo D. Pietro di Gregorio" di anni 55 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri tré nel luogo d.o avanti la Chiesa di S. Maria Mag.re...;
- Una Vigna di trantali due,... nel luogo d.o La Valle...;
- Un Territorio di tomula tré inculto, con venti querce e molte bisceglie, e tre piante d'olive,...
nel luogo d.o Le Macchie delli Porrazzi...;
- Un'Orto di misure quattro nel luogo d.o Lo Borgo...".
13. Il "Diacono Pietro Gravino" di anni 24 "possiede i seguenti beni Patrim.li
- Una Casa di membri due, con un Bottale, e Balcone con un Orto attaccato a d.a Casa di
mezza misura, nel luogo d.o Melogranato, e sopra le Ripe della Fonte Salsa...;
- Un'altro Bottale in d.o luogo,... per uso proprio...;
- Una Vigna di trantali due e tre quarti di trantale,... con misure sei di Territorio intorno, nel
luogo d.o Pagliarello, e costa del Laco...;
95
Un'altra vigna di trantale uno con un pede d'olive donatoli dalli suoi F.lli Conjugi di Gravino,
nel Luogo d.o Fonte Vernavera, si possiede dalli suoi donanti;
- Un'altra vigna di trantale uno, donatalo dà Libero di Lucito suo Zio, nel luogo d.o Le
Vetiche, si possiede dal d.o Libero donante;
- Un'altra Vigna di trantale uno donatoli da Martino di Tata suo Cognato, nel luogo d.o pozzo
del Chiajo, si possiede dal d.o Martino donante;
- Un'altro Territorio di tomula due con un pede di Querce e venti piedi di bisceglie picciole,
donatoli da F.lli di Gravina...;
- Un'altro Territorio di misure quattro con tré piedi di Bisceglie donatoli da suo Padre, nel
luogo d.o Fonte vernavera...".
Tutte quelle donazioni, cui si era stati costretti a titolo di costituzione di patrimonio prima che
il tonsurando prendesse gli ordini, altro non erano per una famiglia che il prezzo da pagare per
la scalata sociale. Così che, una volta che si fosse sentito dare al congiunto, diventato prete, il
titolo di 'Don', ci si poteva sentire, e con soddisfazione, appagati perché socialmente arrivati.
E, se si pensa a quella che, confrontata con la vita della gente meschina, potevano menare i
preti, un tale orgoglio potrebbe anche essere giustificato. Se non da tutti, almeno da quegli
opportunisti, che, di gran lunga più numerosi di chi tiene alla propria coscienza, riescono a
misurare le cose sempre e solo col metro dell'interesse.
96
CAPITOLO 3°
LE STRUTTURE E LE ORGANIZZAZIONI DEL CLERO REGOLARE
97
98
LIMOSANO: L’agro con la localizzazione dei siti cenobitico-abbaziali e delle ‘ecclesie’ sul
territorio
99
3.1 - S. Martino vescovo e Santa Croce
Il tentativo di ricostruire l'organizzazione e la geografia del paesaggio, riferito ai primi secoli
dell'alto medioevo, ricompreso nel territorio del "gastaldatus Biffernensis" evidenzia, oltre
ad una forte predominanza della macchia boschiva, dell'incolto e, nella valle del fiume, con
molta probabilità del paludoso malarico, elementi di limitata uniformità e lo trova assai
discontinuo. In esso, una volta ridimensionato il ruolo economico dei 'latifundia', sia
100
armentizi che agrari, dal profondo calo demografico e dal generale imbarbarimento, le
funzioni sociali e produttive delle antiche 'villae' vengono interamente rimpiazzate da
strutture abbaziali e monastiche. Ciò anche nel posizionamento e nella localizzazione, che,
dovendosi soddisfare bisogni ed esigenze motivazionali non molto dissimili da quelle del
passato, fanno preferire gli stessi siti degli organismi produttivi romani.
Intorno a tali strutture, che dall'originario monadismo individualistico greco-bizantino (V
secolo) lo spirito della regola benedettina ('ora et labora') dapprima spinge ad evolvere in
"forme più o meno eremitiche e anacoretiche"144 e poi organizza in ‘complessi’ posti in
posizioni strategicamente situate a breve distanza dalle grandi vie di comunicazione, nei
pressi delle risorse idriche e vicino, quando proprio non sopra, a luoghi poco offendibili dalle
bande dei predoni, spesso si ri-formano villaggi ed insediamenti 'amministrati' da una casta
religiosa e 'mantenuti', una volta organizzati, con la produzione di quel sistema economico
chiuso, che era la 'curtis'.
Naturalmente anche nell'ambito del "gastaldatus Biffernensis" il monachesimo diffuse le
sue radici. E, nonostante la casualità, se non proprio la mancanza, di documentazione, pure
per il territorio dell'area limosanese "è possibile individuare almeno due fasi, la prima delle
quali", quella del cenobitismo italo-greco, "abbracciante i secoli V-VI (nonché gli inizi del
VII), vide in tutto il Mezzogiorno l'esistenza di impianti monasteriali di tipo cenobitico, retti
da regole particolari, per lo più a carattere misto, e sottoposti a un vigile controllo da parte dei
pontefici. Ne è una chiara testimonianza l'epistolario di Gregorio Magno (nota: Papa dal 590
al 604), il quale intervenne di continuo nella vita dei monasteri,..., ora per decidere in merito
a controverse elezioni abbaziali o per ovviare agli inconvenienti di un governo poco saggio,
ora per risolvere difficoltà finanziarie o punire monaci negligenti, ora per tentare di arrestare
la crisi di alcuni monasteri,... (...). Interventi di questo genere, comportando una limitazione
dell'autorità dell'ordinario diocesano, mostrano chiaramente in quale considerazione il Papato
tenesse i monasteri meridionali, di cui voleva garantirsi il controllo diretto. Né si tratta di una
scelta occasionale, dovuta alla originaria formazione monastica del pontefice, dato che
l'esempio di Gregorio Magno, a partire dal sec. VIII, era destinato ad essere seguito dai suoi
successori, fino a diventare,..., una vera e propria costante della politica papale nel
Mezzogiorno.
A questa prima fase, caratterizzata da una organizzazione di tipo prevalentemente cenobitico
e da un deciso intervento papale nella vita dei monasteri sia greci che latini, seguì,..., un
rarefarsi dei centri monastici, con il conseguente prevalere di forme più o meno eremitiche di
esperienza monastica. Il processo era già in atto,..., al tempo di Gregorio Magno, dalle cui
lettere emerge altrettanto chiaramente come solo in alcuni casi il fenomeno fosse dovuto alle
incursioni longobarde, dovendosi piuttosto inquadrare gli altri abbandoni nel contesto di crisi
economica e demografica, che probabilmente proprio nel sec. VII raggiunse nel Mezzogiorno
il suo culmine.
Le motivazioni ed i caratteri di questo eremitismo dei secoli VI-VII sono ovviamente diversi
da quelli che ne provocarono una rifioritura all'inizio del secondo Millennio, quando esso si
configurò come 'una forza di rottura nei riguardi delle istituzioni ecclesiastiche e sociali
preesistenti, in quanto era espressione delle nuove esigenze di moralismo estremistico, di
spiritualità pauperistico-evangelica, di religiosità più intima, ma rispondeva anche, molto
bene, a diffusi atteggiamenti mentali di una società in cui il processo di sviluppo si andava
decisamente accelerando'. Niente di tutto questo nei secoli di cui qui ci occupiamo. Adesso
l'eremitismo è l'espressione sul piano della spiritualità di una società in crisi, che si ripiega su
se stessa e, dopo aver visto sconvolto il proprio assetto territoriale, aspetta di darsene uno
nuovo, una società che, sia pur senza rifiutare gli apporti esterni, esprimerà dal suo stesso
144
VITOLO G., Caratteri del monachesimo nel mezzogiorno altomedievale (secc. VI-IX), Salerno 1984, pag. 10.
101
seno le forze per rinascere e per dar vita ad una nuova organizzazione dello spazio fisico, i
cui principali punti di riferimento saranno i monasteri e gli insediamenti castrensi"145.
La prima fase di espansione del fenomeno monastico, che, sia nella forma anacoretica di
matrice greco-bizantina prima, che successivamente in quella eremitico-cenobitica di
derivazione latino-occidentale, non poteva non trovare che terreno molto fertile nell'area
tiferno-fagifulana, assai sviluppata e dove il Cristianesimo si era ampiamente diffuso già da
tempo, ebbe a sua volta almeno due sotto-periodi di maggiore crescita, che furono intervallati
da un terzo di stasi, se non proprio di regressione, il quale trova collocazione temporale tra la
guerra gotica (535-553), cui seguì la triste carestia del 565-570146, e la conversione alla
religione cristiana, a partire dall'ultimo quarto del VII secolo, degli allogeni longobardi. La
accettazione della nuova fede religiosa, tuttavia, più che una cristianizzazione ed una
civilizzazione delle gerarchie 'religiose-civili' dei longobardi, portò nella realtà la
longobardizzazione delle strutture 'civili-religiose' della società cristiana. Essa, prima di tutto,
fece sì che al riconoscimento della uguaglianza giuridica tra indigeni e conquistatori non
seguisse una partecipazione dei primi al potere, che restò prerogativa dei longobardi; tanto
che l'organizzarsi delle strutture monastiche divenne quasi un contrapporsi dei locali al
potere, per così dire, ufficiale ed alle sue ataviche strutture tribali, insofferenti di ogni
gerarchia e che furono all'origine della formazione di domini personali e di potentati locali,
del tutto autonomi e privi di ogni riconoscimento politico. In secondo luogo determinò che,
con il definitivo superamento delle forme amministrative romane, quei municipia intesi come
poli di riferimento sociale ed economico della produzione dei latifundia e delle ville, si
affermasse una nuova organizzazione della campagna, che prevedeva unità produttive
completamente autosufficienti, le curtes; esse, modellate in certo qual modo e, come si
diceva, anche nel posizionamento sul territorio, sullo schema delle antiche villae, ne
costituirono di fatto il superamento, non avendo alcun rapporto di mercato e, nella più
assoluta autonomia economica, producendo esclusivamente ciò che serviva alla comunità.
Consentì, infine ed insieme ad un imbarbarimento della società, l'introduzione nella cultura e
nel diritto 'romano' di abitudini, di consuetudini e di principi del diritto 'germanico', che,
come il mundio (per tale istituzione giuridica poteva verificarsi anche il caso per cui il
mundualdo 'vendeva' la donna, sulla quale appunto esercitava il diritto di mundio, ad un
esponente del Clero, che ne disponeva, anche sessualmente, come di una cosa), sono
documentati almeno sino al XVII secolo147.
E', con ogni probabilità. da attribuire esattamente a tale momento storico di crisi, demografica
ed economica, quando, cioè, "le ville e gli insediamenti, già in precedenza pieni di abitanti,
dopo in realtà furono ridotte al silenzio più assoluto da chi fuggiva" 148 e quando, verso la
metà del VII secolo, "nell'Italia centro-meridionale la decadenza era giunta ad un punto tale
145
VITOLO G., op.cit., pag. 11 e segg.
PROCOPIO da Cesarea, La guerra gotica, trad. COMPARETTI, Roma 1896, II, 20.
147
Nell'area (e nella diocesi) di Trivento, in controtendenza con quanto accadeva nelle altre zone del Molise,
abbiamo trovato diversi casi di sopravvivenza del diritto e delle consuetudini longobarde. A Limosano (e ci pare
del tutto singolare e significativo che la cosa venga testimoniata da un Notaio di Trivento, il Not. DE BARDIS
A., con atto del 14 Agosto 1605 in ASC) l'unico caso è quello di "Marcella Juvene (nota: quasi certamente di
origine napoletana) vidua Jure magnatum vivente, ut dixit, cum consensui Anibalis mattei sui mundualdi".
Si veda sull'argomento lo scritto di COLITTO F., Diritto Longobardo nella Campobasso del Trecento, in AM
1978, pag. 161 e segg.
148
ERCHEMPERTO, Historia Langobardorum Beneventanorum, in M.G.H., Scriptores rerum langobardicarum
et italicarum saec. VI-IX, ed. WAITZ, Hannover 1878, II, 4. "Villae et castra, iam pridem repleta agminibus
hominum, postea vero fugientibus cuncta erant in summo silentio". Del tutto simili a quelle di Erchemperto sono
le descrizioni di quanto avveniva in quel periodo storico che ne fa PAOLO DIACONO nella sua Histoia
Langobardorum (v. ivi).
146
102
che quasi 100 città, un tempo sedi vescovili, persero il rango di diocesi" 149, la scomparsa della
civitas150 di Ti-pher-num, quella situata nella località di Cascapera, che così ed ora diventa
la "destrutta città", già sede di antico vescovado (v. paragrafo 1.4), della quale ruolo,
funzioni e compiti sul territorio vengono presi, a partire al più tardi dalla seconda metà
dell'VIII secolo, dalla antica Città di Musane, dove si fissano gli abitanti della zona attirativi
dalla possibilità di abitare nelle grotte già esistenti ed in quelle facilmente ricavabili dalla
massa tufacea. Non è certo un caso che di Limosano la parte più antica sia quella 'bassa', fatta
di grotte e riferibile alla influenza della Cattedrale di S. Maria, la Chiesa più importante del
paese.
E, se tanto nella dimensione temporale che in quella spaziale è già insidioso individuare la
collocazione originaria dei primi siti monasteriali, ovviamente assai "più difficile riesce
quantificare il fenomeno eremitico, di per sé più sfuggente, soprattutto in un periodo di scarsa
produzione letteraria e documentaria"151.
Per tentare, perciò, una ricostruzione delle cose di allora ricomprese nel territorio della
diocesi tifernate-musanense, occorre ragionare per ipotesi e fare affidamento solo su elementi
di collegamento minimi, indiretti e, quasi sempre, di poca percettibilità, come la
localizzazione, la intitolazione, il raffronto con le strutture consimili, la coevità delle
diffusioni devozionali ed il rito152.
Al primo sotto-periodo di sviluppo, quello dell'eremitismo greco, che, poco conosciuto (ma,
non perciò, poco diffuso), è limitatamente definibile nella reale consistenza, deve, quasi con
certezza, essere riferito l'originario eremo di S. Maria di Faifoli, per il quale il rito grecobizantino è documentato almeno sino a tutto il X secolo. "Il cardinale Orsini afferma che
nelle Chiese delle più insigni badie dell'Archidiocesi di Benevento, sotto la cui giurisdizione
(nota: in quanto eredità portatale dalle istituzioni ecclesiastiche di Limosano) era Santa Maria
di Faifoli, gli abati portavano il bacolo pastorale che è proprio degli abati greci, ed asserisce
inoltre che questi abati usavano il rito greco; rito quello che era adoperato verso l'anno
1000"153. Ora, se il bacolo era caratteristica del rito greco, la diffusione di tale rito e, con esso,
del monachesimo greco-bizantino non solo a Faifoli, ma in tutto il territorio riferibile alla
diocesi di Limosano, la cui antichità da una simile circostanza trova ulteriore conferma, è
provata dal fatto che, ancora nel XII secolo, si conservavano "nella indicata Chiesa di Santa
149
JONES P., Storia economica, in Storia d'Italia, Torino 1976.
DUPRE'-THESEIDER G., Problemi della città nell'alto medioevo, in La città nell'alto medioevo, Spoleto
1959. "Il termine civitas, se scompare in parecchi dei centri urbani, in seguito allo scadimento generale della vita
cittadina si mantiene sempre e solo per le città vescovili".
151
VITOLO G., op.cit., pag. 14.
152
PIETRANTONIO U., Il Monachesimo benedettino nell'Abruzzo e nel Molise, Lanciano (Ch) 1988. Il P., la
cui opera, lodevole per le indicazioni bibliografiche, per le schede e per la indicazione delle fonti, è assai
lacunosa dal punto di vista critico, nello 'Studio introduttivo' dedica al movimento monastico prebenedettino
appena qualche pagina. "... Nella considerazione di un movimento prebenedettino va anche rilevata, per
tradizione, per menzione in documenti di epoca posteriore, per ragioni di toponomastica (che costituisce un
documento probante quando è di origine remota) e per la struttura di alcune diocesi dal duplice rito greco e
latino, la presenza di un monachesimo basiliano, che quando si accentuerà l'esodo dei monaci dall'Oriente in
seguito ai provvedimenti iconoclastici, diventerà coevo di quello benedettino. (...). I Basiliani risultano presenti
anche a Trivento, Chiauci, Mirabello Sannitico,...". E' solo un caso che i centri indicati dal Pietrantonio siano
tutti limitrofi del territorio riconducibile alla diocesi di Limosano?
153
QUARTULLO M., Fondazione di monasteri benedettini nel Molise, tesi di laurea, anno acc. 1972/73, pagg.
105 e 106.
Anche MARINO L. (La Chiesa di S. Maria di Faifoli a Montagano, in AM 1979, pag. 129 e segg.) sembra essere
dell'avviso di dover datare ad epoca 'antica' l'eremo di Faifoli, quando afferma, a pag. 132, che: "dal VI-VII
secolo in poi, il territorio viene caratterizzato e, per più di un aspetto, qualificato dagli insediamenti monastici
benedettini" ed, a pag. 161, che: "la pianta della chiesa, caratterizzata da uno schema iconografico semplice, di
memoria paleocristiana...".
150
103
Maria di Limosano le insegne vescovili, ossia la sedia vescovile, la mitra, il Bacolo ed il
pastorale..."154.
Quali gli altri loci del territorio limosanese ad essere privilegiati dai primi esponenti del
movimento eremitico-anacoretico? Una circostanza di grande interesse, di cui se ne segnala
la caratteristica unicità che la rende assai significativa, è la posizione di diversi siti al di sopra
di una grande 'morgia' e più segnatamente: o "super magno saxo", o "super montem
lapideum", o "in pesclo majore" oppure "in pesclo minore". Se, poi, a questo loro
posizionamento, assai singolare e che trova pochi riscontri in altre località155, si unisce la
titolazione delle relative emergenze (badie, cenobi, eremi e "casalenum Ecclesie") a Santi
(Silvestro papa, Illuminata vergine e martire, Vittorino e Martino vescovo), tutti del
Cristianesimo primitivo, ne emerge con evidenza, affatto dubitabile, l'antichità e, con essa, la
possibilità di datarli tutti al periodo, nel quale, tra il V ed il VI secolo, si diffusero gli
anacoreti ed i primi eremiti greco-bizantini.
Una ulteriore particolarità, pur'essa non senza significato, è rappresentata dal fatto che,
mentre nessuno di tali eremi è dedicato alla Madonna (il cui culto si affermerà molto nel
periodo che seguì alla conversione dei Longobardi), tutte le principali Chiese degli
insediamenti 'civili', che circondavano in epoca medioevale Limosano, la cui Cattedrale era la
Chiesa di S. Maria Maggiore, sono intitolate a S. Maria: a Castelluccio di Limosano esisteva,
ancora in piedi nel 1706, la "Ecclesia Dive Marie de Castelluccio, sita in Burgo dicte Terre,
ubi dicitur la Piano di Santo Pietro"156; a Cascapera c'era la Chiesa di S. Maria; ed era del
"Feudo Nobile di Ferrara della Terra di Sant'Angelo presso Limosani"157 quel "Beneficio
Semplice, ò sia Cappella Ecc.ca diruta senza cura, sotto il titolo di S. Maria di Ferrara, sita
nel ristretto della Città di Triv.ti ò sia sua Diocesi", al quale, nel 1757, rifiutava il "Rev.do
Sig.r D. Isidoro Landone della Terra di San Giorgio la Molara della Prov.a di Principato Ultra
nel Regno di Napoli, Arciprete della Terra di Santangelo Limosani Diocesi di Benevento"158.
Se del "casalenum ecclesie de Sancto Vittorino, situm et positum ubi dicitur lo lago maiure,
super quondam magno saxo"159, le notizie sono tanto scarse da impedirne ogni ipotesi di
ricostruzione; e se, per la loro importanza, si dovrà trattare dello specifico della "Abbazia di
S. Silvestro" e del "cenobio di S. Illuminata" solo nel prosieguo; qui non si può non dare
almeno qualche cenno sia a quella "ecclesia Sancti Martini (o Martiani) Episcopi", che (a
dimostrazione del fatto che tra il VI e l'VIII secolo è in atto la trasformazione dell'etimo da
'Tifernum' in 'Bifernum' e, da ultimo, in 'Musane') viene posta "in Biferno" dai documenti più
antichi e, dai più recenti, "in castello Mosano", e sia alla "ecclesia Sancte Crucis in
Limosano"160.
154
ARCH. VATICANO, Fondo Avignonese, Collect. t. 61: Benevent. civitatis et ducatus Varia 1132-1312, f.
184r. "... Vidit in dicta Ecclesia sancte marie de limosano insignia episcopalia, videlicet sediam episcopalem,
mitram, Baculum et pastoralem et audivit dici quod est ibi liber qui vocatur liber pastoralis".
155
Altrove (v. paragrafo 1.4) abbiamo riferito alla posizione del 'magno saxo' di tufo, sul quale poggia l'abitato di
Limosano, in mezzo (mésos) a tutte queste emergenze monastiche la nascita dell'etimo Musane o Mesane.
Circa la particolare organizzazione in gruppo del monachesimo greco, BORSARI S. (Monasteri bizantini
dell'Italia meridionale longobarda, in ASPN, n.s. XXXII, 1950-51, pag. 1 e segg.) rileva che "spesso molti
monasteri di una stessa regione si univano insieme, sì da formare una specie di congregazione, che era retta
dall'egumeno del più importante tra i monasteri collegati, oppure da un monaco, che per le sue virtù fosse
particolarmente indicato per questa carica".
156
ASC, Protocolli Notarili, Not. Carrelli G.domenico di Fossaceca (Fossalto), atto del 9 Ottobre 1706.
157
ASC, Protocolli Notarili, Not. Marone Saverio di S. Angelo Limosano, atto del 18 Ottobre 1765.
158
ASC, Protocolli Notarili, Not. Orlando Caramuele di Fossaceca (Fossalto), atto del 20 Maggio 1757.
159
Era, ancora verso la fine del XVI, una chiesetta posta sopra quella che, al presente (e si noti la evidente
corruzione dell'etimo), si chiama "la Morgia di Santa Luttrina".
160
Chronicon Beneventani Monasterii S. Sophiae, in UGHELLI-COLETI, X, 415 e segg. Riportiamo, per la parte
che interessa il territorio limosanese, la 'concessio' del 1022 ("... Ecclesiam S. Angeli in altissimo super flumen
Bifernum in finibus campi Marani cum eadem Ecclesia haereditatem, quae in longitudine milliaria duo,
104
Molto scarne le notizie su quest'ultima emergenza religiosa, che deve, senza ombra di dubbio,
essere collocata nella omonima contrada, S. Croce, posta a confine tra i territori di Limosano
e quelli di S. Angelo, magari sullo spartiacque, in posizione elevata e non molto distante dalla
strada che da Fossaceca (Fossalto), passando per la Serra, risaliva da mezzogiorno verso S.
Angelo. Di certo antica, essa costituiva il polo di riferimento religioso di uno dei tanti minimi
'casalia', i quali, sparsi ancora 'vicatim' come in epoca sannita, erano assai diffusi sul
territorio e nel paesaggio medioevale molisano. Ancora esistente durante i primi anni del XIV
secolo, venne coinvolta nel feroce attacco mosso allora da Trivento a Limosano, come
mostrano le lagnanze di "Guilielmus de Limosano clericus devotus noster", il quale,
evidentemente stanco delle rapine e delle scorrerie, "exposuit quod nonnulli laici clericum
ipsum in possessione ecclesiarum Sancte Crucis prope Roccam Episcopi, Sancti Felicis de
Petrafinda et Sancti Petri de Malamerenda,... ex collatione facta sibi a Monasterio S. Sophiae
de Benevento in Rectoriam rationabiliter tenet et possedit... turbant indebite ac multipliciter
inquietant..."161. Il modesto omonimo casale ed, insieme ad esso, pure la "ecclesia Sancte
Crucis in Limosano" scomparvero, se non già in occasione della terribile peste di metà
secolo XIV, molto probabilmente col 'terremotus magnus' del 4 Dicembre 1456. Porta a tale
ipotesi anche la totale ed assoluta mancanza di notizie per gli anni che seguirono.
Quanto alla "ecclesia Sancti Martini (o Martiani) Episcopi", è possibile individuare per
essa, oltre a quelli sin qui già riferiti, alcuni altri elementi che la fanno ritenere assai antica ed
esistente ancor prima del 774.
E' indicativo della vetustà del complesso quel suo posizionamento in "pesclo minore"
(contrapposto al "pesclo majore", sul quale situava il cenobio di S. Illuminata), sopra la
'morgia', appunto, che ben potrebbe essere identificata con l'attuale 'Pesco Martino'.
Solo ad essa, poi, è possibile riferire la "integra portione", di cui alla concessio, datata in tale
anno, di Arechi, il quale "... in gastaldato Bifernensi concessimus cortisanos, hi sunt
Johannem et Walterium cum uxoribus et filiis suis, et omnibus sibi pertinentibus: seu et unam
sororem Judari. Hos autem cum integra portione eorum Sanctae Sophiae Monasterio
concessimus possidendum. Item et in eodem gastaldato concessimus Baccarios: hi sunt,
Grauso cum uxore et filiis, sed et noras et nepotes eius, et omnia eius pertinentia: nec non et
Sindonem cum uxore et filiis suis. Seu et Baccas in integrum qui fuerunt servi Rimichis, et de
germano eius carpentarii nostri".
Ed, infine, come non può in nessun caso essere messa in discussione l'esistenza, prima di tale
data, del 'gastaldatus Bifernensis', una organizzazione civile, diversa da quella (il
'gastaldatus Bovianensis') riconducibile a Boiano e da riferire all'ambito territoriale del corso
medio del fiume 'Bifernum', che è in tutto coincidente con la diocesi tifernate-musanense,
latitudine milliare unum, necnon Ecclesiam Sancti Joannis cum omnibus rebus suis in causa Pollucis,...,
Ecclesiam Sanctissime Trinitatis iuxta fluvium Bifernum cum omnibus suis pertinentiis, et Ecclesiam S. Martiani
in Castello Mosano cum omnibus suis pertinentiis,...") e la 'concessio' del 1102 ("... <ecclesiam> Sancti Martini
Episcopi in Biferno, Monasterium Sancti Angeli cum cellis suis, in Petra Sancti Angeli, S. Trinitatis in Patara
Findi Sancti Agnelli, Sancti Petri in Balneo in Valle luparia, Sancte Crucis in Limosano,..., Sancti Silvestri,..., in
Fossacaeca S. Stephani Protomartyris... in casali Petraefictae Sancti joannis...").
Un paio le osservazioni suggerite dalla lettura del 'Chronicon': 1) diversi insediamenti monastici sono di difficile
localizzazione, risultando oltremodo problematica la ricostruzione della toponomastica della zona; 2) la
circostanza per cui più di un possedimento dell'area limosanese non sia menzionato nelle concessioni papali
dopo il 1053 conferma l'ipotesi di notevoli interventi di papa Leone IX durante il suo passaggio nell'agro di
Limosano e la sosta, nel giugno di tale anno, "in loco Sale".
161
ZAZO A., Chiese, feudi e possessi della Badia di S. Sofia, in SAMNIUM 1964, pag. 25. "(Guglielmo di
Limosano) ha riferito che diversi 'laici' indebitamente turbano e diverse volte hanno inquietato lo stesso religioso
nel possesso delle Chiese di S. Croce vicino alla Rocca del Vescovo, di S. Felice di Pietrafinda e di S. Pietro di
Malamerenda, che tiene e possiede tra quelle a lui concesse dal Monastero di S. Sofia di Benevento".
105
diventa altrettanto indiscutibile l'esistenza nella relativa area di istituzioni ed organismi
religiosi, tanto secolari che, soprattutto, regolari.
Sorto nel periodo di diffusione dell'eremitismo anacoretico come eremo modesto e poco
accessibile, ben presto e nella fase di maggiore crescita (VIII secolo) del monachesimo
benedettino, forse anche per l'influenza dei tre complessi badiali siti nella poco lontana
"Maccla bona", dovette diventare un 'monastero' di discreto interesse e fungere da punto di
riferimento per quegli organismi produttivi di derivazione romana, le curtes (prima 'ville'),
situate, come mostrano i numerosi rinvenimenti nella zona, nella parte del territorio
limosanese estesa, a man destra del 'vallone Lavandaia', sino a "la piana Sancto Leo iuxta
flumen Bifernj et Confinia terre Limosanj et feudi Casalis de Castell(ucci).o". Poteva, infatti,
da esso, che posizionava vicino ad alcune fonti (esiste, tuttora, nei pressi la 'Fonte dello
sbirro'), esercitarsi facilmente il controllo tanto sulla risorsa idrica del fiume che, cosa di
maggior rilievo, sopra gli itinerari costituiti dalla storica 'strada', che, transitando appena a
qualche centinaio di metri, collegava Boiano (e Roma) all'Adriatico medio-basso ed al
Gargano162 e da quell'altra 'via', che, attraverso il 'passo della Covatta', menava sino a
Benevento.
Della buona fama e dell'importanza raggiunta, tra il X ed il XII secolo, da quella che era la
"Ecclesia Sancti Martini Episcopi in Biferno", o anche la "Ecclesia Sancti Martiani in
Castello Mosano", testimoniano i numerosi privilegi, papali ed imperiali, che in quel periodo
la menzionano (v. nota 17) e la fanno sempre dipendente dal Monastero di S. Sofia di
Benevento. Possedeva diverse pertinenze e disponeva di un discreto patrimonio immobiliare,
sparso ampiamente nel territorio. "Alla chiesa di S. Martino in Limosano nel 1080 fu
devoluta una parte del molino posseduto da 'Gisinulphus et uxor eius Clara'. Abbiamo anche
notizia di una donazione di territorio sito in Limosani, da parte di Ugo filius Malfredi, nel
1132"163, il quale, a motivo della coincidenza sia del nome che della data, potrebbe essere
l’omonimo vescovo (della parte guelfa) che in tale anno reggeva le sorti della diocesi
limosanese.
Nel secolo XIV la Chiesa di S. Martino, già in declino, fu affidata all'amministrazione del
diacono "Nicolaus de sancto Agnello" o, che è lo stesso, di S. Angelo, il quale "ex collatione
facta sibi a Monasterio S. Sophiae de Benevento in Rectoriam rationabiliter tenet et possedit".
Sempre appartenne all'Abbazia beneventana di S. Sofia, di cui, sia nello splendore che nella
decadenza, ne seguì fedelmente la parabola della sorte. Era già ridotto ad un semplice
'beneficium' ecclesiastico quando dalla 'Convenzione', con cui si dichiarava la fine dell'Ordine
benedettino nel Monastero di Benevento, sancita il 1° Gennaio 1595 dal Papa Clemente VIII,
fu attribuito ad uno dei sei monaci benedettini tra i quali vennero ripartiti tutti i benefici
dell'Abbazia.
"... D. Salustrio Carnazzale, monaco, possiede li seguenti benefizii:
- (...).
- S. Martino dello Musano.
- (...)"164.
162
Vedasi, per la ricostruzione della rete viaria che interessava il territorio di Limosano, il paragrafo 1.2. Il
"locus Sale", dove Leone IX il 10 Giugno 1053 si fermò per tenere un 'placito' prima di affrontare lo scontro con
i Normanni a Civitate, è a poche centinaia di metri da 'pesco Martino'.
163
ZAZO A., art.cit., pag. 26. Il Zazo cita il Repertorium S.S., c. 28b e 67a. Difficile la localizzazione del
molino, anche se in agro di Limosano, tra la Contrada Colle Diego ed il Biferno, tuttora vi è una 'strada del
Molino Vecchio'. Quanto a 'Ugo filius Malfredi', pare probabile trattarsi dello stesso Ugo che nel 1148, in
Limosano, stipula l'atto di concordia con l'abate Giovanni del Monastero di S. Sofia alla presenza, appunto, del
conte Ugo II di Molise per problemi sorti con il monastero di S. Angelo Altissimo.
164
SAMNIUM 1959, pag. 226 e segg. "La storica chiesa di S. Sofia, del tempo di Gisulfo II e di Arechi II (poi I
come 'princeps') e l'annesso monastero, che ebbero il loro massimo fulgore nel XII secolo, furono retti dall'Ordine
benedettino, prima alle dipendenze di Montecassino, indipendente poi, dopo alterne vicende, fin dai tempi di
106
Erano già passati molti anni da quando i monaci avevano abbandonato il complesso badiale e
la "Ecclesia Sancti Martini Episcopi in Biferno", probabilmente già ridotta a cumulo di
rovine, aveva smesso le sue funzioni ed il suo ruolo storico; a poco, se non a nulla, serve
sapere, perciò, a chi passasse in seguito il 'beneficium'. Forse, perché di nessun interesse,
neppure la Storia volle occuparsene e non ne lasciò traccia, se non nella possibile continuità
con quella “Confraternita di S. Martino”, eretta nell’Ospedale della SS.ma Annunziata, di cui
si ha ancora notizia nei documenti di fine XVI secolo.
3.2 - S. Silvestro
"Con atto in forma pubblica amministrativa del 25 Novembre 1908 venne stipulato tra la
Direzione Generale Fondo Culto e l'Economato Generale dei Benefici Vacanti di Napoli" il
definitivo passaggio alla Amministrazione Fondo Culto delle attività e delle passività del
Beneficio di S. Silvestro di Limosano. Era trascorso poco più di un decennio da quando
l'ultimo beneficiato, il Sig. Battinelli Michele, sacerdote, che ne aveva "preso possesso
nominale il 17 Agosto 1867", "già investito del Beneficio di S. Silvestro di Limosano, si rese
defunto nel 1897 nel Comune di Ponticelli dell'Ufficio (del) Registro di Barra"165, in
provincia di Napoli.
Erano gli ultimi atti burocratici, che sancivano la fine di una istituzione gloriosa e ricca di
storia, di cui però, al presente, non rimane nessun ricordo nei luoghi e pochissime tracce nei
documenti.
Anche se "il luogo detto a S. Silvestro", che viene detto trovarsi "in suolo dell'Abbadia di S.
Sofia di Benevento"166 e dove situava l'antico complesso abbaziale, risulta di non semplice
Gregorio VII. La decadenza del Monastero si iniziò con le turbinose vicende del Regno di Napoli nella seconda
metà del XIV secolo, accentuandosi dopo che la ricca Badia fu concessa in commenda (sec. XVI) a Rodrigo
Borgia. Al Borgia successe Giuliano della Rovere, poi Papa Giulio II, e, infine il Cardinale Ascanio Colonna,...,
chiese ed ottenne che fossero allontanati (i monaci benedettini) e sostituiti dai Canonici regolari della
Congregazione di S. Salvatore, dell'ordine di S. Agostino. Gli accordi furono presi col P. Generale, Ambrogio
Morandi, e furono sanciti da Clemente VIII, il 1° gennaio 1595".
Non sembra affatto casuale l'indicazione, nei documenti, di S. Martino dello 'Musano', il cui etimo, facilmente
corrompibile, è all'origine di attribuzioni spesso difficoltose e non vicine al vero.
165
ASC, Fondo INTENDENZA DI FINANZA, B. 349, f. 1510, comunicazione del 25 Gennaio 1909, con cui il
Ministero di Grazia e Giustizia - Direz. Generale del Fondo per il Culto impartiva le disposizioni del caso
all'Intendenza di Finanza di Campobasso.
La storia recente del Beneficio di S. Silvestro era stata riassunta in altra nota, datata 27 Febbraio 1885, tra gli
stessi menzionati soggetti. "In Comune di Limosano... è Sede un Beneficio Semplice contemplato dalla Bolla
'Dum Collatis', del quale è investito il Sacerdote Buttinelli Michele residente in Ponticelli (Napoli).
Chieste informazioni mi risulta che il Buttinelli è tuttora vivente ed attendo altre informazioni per assodare la
data dell'investitura e l'ammontare preciso del capitale che da alcune memorie attinte presso l'ufficio del
Registro mi risulta sia di L. 2080 circa, e cioè una rendita in denaro di annue L. 19,12 e di una corresponsione
in grano di Ettolitri 5 e litri 55.
Mi risulta inoltre dall'eseguite ricerche che il Verbale di presa di possesso del 17 Agosto 1867 venne dall'Ufficio
del Registro di Campobasso inviato alla Direzione Demaniale di Aquila con nota delli 12 Giugno 1869 N. 371581 e non fu più ritornato. Converrebbe quindi spedirne una copia all'Ufficio desumendolo o da quello per
avventura depositato in Cotesto Archivio, o richiedendola alla Direzione Generale.
Mi risulta altresì che l'atto di nomina venne spedito a codesta Intendenza con nota delli 27 Novembre 1879 N.
1328 e prego la S.V. farla ritornare all'Ufficio di Registro qualora sia cessato l'uso sul quale venne richiesta.
(...).
Finalmente avviso che il ruolo esecutivo delle rendite in parola fu rinnovato l'ultima volta nel 1835 ma la
prescrizione venne interrotta col giudizio di rinnovazione sostenuto nel 1852 dall'Economo dei Beneficii Vacanti
avanti la Pretura di Castropignano e le sentenze furono trasmesse alla Direzione Demaniale di Aquila con la
nota di questo Ufficio del Registro delli 12 Giugno 1869 N. 371-581".
166
ASCL, Catasto Onciario del 1743, B.1, f.1, passim.
107
identificazione e collocazione geografica, pare, tuttavia e con qualche ragione, proponibile
l'ipotesi di posizionarlo nella località (o Contrada) 'Castagna', al confine "dalla parte di sopra
con la strada publica che va al Bosco Fiorano", sopra ad una morgia, che con tale nome, la
Morgia di San Silvestro appunto, non è più ricordata da nessuno (forse perché utilizzata
nelle costruzioni) e che doveva situare a circa Km. 1,5 dall’abitato ed a breve distanza dalla
strada che portava a Montemarconi ed a Cascapera.
Dello splendore antico solo qualche barlume traspare dalla "Captio possessionis del 2
Novembre 1746"167, per l'avvenuta morte del precedente beneficiato, Don Bonifacio Fresella
di Pietradefusi (Avellino), da parte del "Rev.di D.ni Gherubini Gisolfi oppidi Solophre" di
quello che già allora era ridotto ad essere un "Beneficii Simplicis sub titulo Sancti Silvestri
hujus antique Civitatis li=Musanorum". Scrive il notaio che, per prenderne il possesso,
"accessimus in dicta Territoria, et signanter in locum dirute ecclesie, sub vocabulo et titulo
Sancti Silvestri supra unum montem lapideum, alias lingua vernacula, et idiomate paesano,
dictum Morgia di San Silvestro, et in summitate et plano eius sita et posita".
E, mentre del passaggio da Don Gisolfi a Don Bartolomeo Verrusio non è stata trovata
traccia, vi è del 'Beneficio di S. Silvestro' una ulteriore e successiva, del 1778, 'presa di
possesso', fatta "nella Terra di Limosani, e propriamente nelli Terreni di S. Silvestro,..., e
proprio sopra una Morgia, ove si dice esser stata la chiesa oggi diruta dentro li
Territorij di S. Silvestro"168 a richiesta del Sacerdote Don Nicola Fracassi, nella qualità di
"Procuratore del clerico Don Giuseppe Maria Verrusio della Terra di Ceppaloni", provincia
di Benevento, per l'avvenuta rinuncia in suo favore da parte del fratello Don Bartolomeo.
Dal Catasto Onciario (1742) risulta che "il Sig.r D. Bonifacio Frisella Canonico della Pietra
de Fusi Principale Pacifico, e (che) legitimamente possiede in questa Terra di Limusani il
beneficio semplice sotto il titolo (di) S. Silvestro, conferitelo dal Sig.r Arcivescovo di
Benevento come per sue Bulle, al qual titolo il d.o Sig.r Frisella fù legitimam.te promosso
agl'ordini (e) gl'effetti di d.o beneficio", ha 'rivelato' cespiti di proprietà del Beneficio, quasi
tutti coltivati a 'vigna', per circa 35 tomoli e 4 misure. Di tale patrimonio: 3 tomoli situavano
"alla piana del Ponte", poco più di 6 tomoli "alli Patrisi" o "alla fonte delli Patrisi" e la parte
più consistente, di circa 26 tomoli, "à S. Silvestro" oppure "alla Morgia di S. Silvestro"169.
Il confronto con le risultanze dell'Inventarium del 1712, che conta 17 'appezzamenti', situati
nelle stesse 'contrade' ma con una estensione complessiva di 41 tomoli, mette in evidenza la
fase di declino e di contrazione del disponibile fondiario del 'Beneficio', che solo nel
trentennio 1712-1742 diminuisce del 10% circa. Quest'ultimo documento, più volte citato,
fornisce, inoltre, sia i parametri precisi per la identificazione geografica del sito che alcuni
preziosi elementi per una ipotesi di ricostruzione storica, quando nella 'Descrizz.e della
Chiesa' riferisce che "la sudetta Chiesa del nominato Benef:o di S. Silvestro, era nelle
pertinenze della Terra de Limusani quasi un miglio distante da essa, situata nella parte
setten.e sop.a una Morgia, hoggi in un Mucchio di pietre per esser Demolita d'ord.e
dell'E.mo Sig.re Card.l Arciv.o Orsini in S: Visita dell'anno 1693: E' lungo pal: 36 e
larga pal: 24; Confinante in tutte le parti li beni di d.o Benef.o...; Presentem.te il sud.o
Benef.o si gode dal Rev.o Sig.re D:n Giuseppe Rota, della Città di Bergamo conferitoli dallo
stesso E.mo Arcivescovo Orsini. Non si ha memoria e notizia delle sue Bolle giudicandosi
haversele portate seco".
Perché il Cardinal Orsini 'ordina' la demolizione, sino a ridurla in un Mucchio di pietre, di
quella Chiesa sop.a una Morgia? Perché tra un Clero diocesano, numeroso a dismisura e,
come era costume, disposto persino a pagarlo, quel Beneficio viene conferito al "Rev.o Sig.re
167
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Not. Amoroso F.Antonio di Limosano, atto del 2 Novembre 1746.
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Not. Iamonaco Michele di Limosano, atto del 1 Luglio 1778.
169
ASCL, Catasto Onciario del 1743, B.1, f.1.
168
108
D:n Giuseppe Rota, della Città di Bergamo"? Perché se le ha portate seco (e, con quelle,
quanti e quali gli altri documenti asportati dalle istituzioni limosanesi? E, soprattutto, di che
natura?) così che, appena qualche anno più tardi, già non si ha memoria e notizia delle sue
Bolle?
Dalla "somma de tutti li frutti" si ha che, nel 1712, 'introitava':
- Per Vigne à 29 anni
04:55
- Per Vigne a 29 anni in g.no tt.a dieci e mezzo, a carl: otto il tt.o
08:40
- Per Terraggi in g.no, tre quarti alla sud.a raggione
0:60
- Per Territ.o in dem.o
0:40
A fronte di tali entrate, che ammontavano a complessivi 13:95 ducati, ne pagava "per
cattedratico" 0:50 (ma, nel 1742, l'importo dovuto "per cattedratico all'Arcivescovo" risulta
salito a ducati 1:20) e 0:16 (invariato nel 1742), "per spoglio, e galere".
L’intensa attività patrimoniale veniva da lontano. E, difatti, da un atto (Not. De Blasiis
Nicolantonio di Lucito <o, meglio, di Castelmauro>, in ASC, Protocolli notarili) del 19
Aprile 1672 sappiamo che il Rev.do Don Vincenzo Testa (non certo limosanese di origine)
“proprie nell’Anno 1669”, quando “… il R. Abb: Fra’ Jonno Morra (era il) beneficiato (di
S. Silvestro)”, ha venduto al limosanese Loreto Luciano “una casa di più membri un horto et
una vigna redditizia al’Abate di S.to Silvestro con peso d’annuj tt.a due di grano, li quali
beni, et fundi, ne fece detta cessione in sodisfatione del legato fatto del q.m D. Francesco
Radicchio di detta terra di limosanj…”, il quale era stato ‘Rettore’ della Chiesa Parrocchiale
di S. Stefano.
A sua volta e così ridotto, il 'Beneficio' di S. Silvestro, e la cosa traspare evidente anche
dall’attenta lettura del ‘Catasto Onciario’ del 1743 dal quale risulta che diversi cespiti, sparsi
nell’intero agro, situavano “in suolo dell’Abadia di S. Silvestro di Benevento”, era solo la
parte residuale di un notevole complesso monastico, che, in un passato sempre più lontano,
aveva conosciuto tempi assai migliori e goduto di buon prestigio. Lo lascia ben intendere il
fatto che per le "Rationes Decimarum", le decime pagate nel 1308-1310 (quando il
movimento benedettino era già da tempo entrato in crisi) alla mensa vescovile di Benevento,
veniva così tassato:
"4745 - Prior S. Silvestri de Limosano solvit TAR. III"170.
Proprio la circostanza per cui a governare la struttura, il patrimonio e la comunità dei monaci
vi fosse destinato un 'Prior' dimostrerebbe, almeno per questo periodo della sua storia,
l'appartenenza all'ordine benedettino di quel centro badiale.
E, se non già da prima, almeno ad iniziare dai primi anni del secolo XII fece sempre e
continuamente riferimento, anche come osservanza religiosa, all'Abbazia di S. Sofia di
Benevento, nel cui suolo in diversi punti del 'Catasto Onciario' si riporta che ancora situasse.
Di certo doveva essere monastero di discreto interesse se, con la dicitura di "(monasterium o
ecclesia) Sancti Silvestri", viene sempre indicato nelle 'concessioni' papali, con le quali, a
partire dal 1102, si inizia a farlo rientrare nella giurisdizione del grande Monastero sofiano171.
Ciò probabilmente perché, nonostante l'incipiente ma palpabile fase di declino (alla ricca
potenza dei monasteri benedettini si contrappone il seguito sociale degli ordini mendicanti),
170
INGUANEZ, MATTEI-CERASOLI e SELLA, Rationes Decimarum Italiae: Campania, Roma (Città del
Vaticano) 1942.
171
Si veda il 'Chronicon Beneventani Monasterii S. Sophiae' (in UGHELLI-COLETI, X, specialmente 495 e 500,
ma anche altrove). Dal combinato delle due 'concessioni', rispettivamente del 1102 (495) e del 1140 (500),
traspare la notevole diffusione del monachesimo e del cenobitismo nell'area del medio Biferno durante il secolo
XII: "... Sancti Martini Episcopi in Biferno, Monasterium Sancti Angeli cum cellis suis in Petra Sancti Angeli, S.
Trinitatis in Patara Findi (o Petra Findi) Sancti Agnelli, Sancti Petri in Balneo in Valle luparia, Sancte Crucis in
Limosano (o Limosana), Sancti Silvestri, in fossa caeca Sancti Stephani".
109
nella zona limosanese stava rimanendo l'unico e più importante avamposto, da non cedere,
della politica beneventana per contrastare il forte espansionismo di Montecassino.
Tra alti e bassi anche il complesso badiale di S. Silvestro, come la gran parte dei centri
monastici dei benedettini, visse il periodo del suo maggior sviluppo tra l'VIII ed il XI secolo.
Continui e di ogni tipo dovettero essere i contatti con il vicino "Monasterium (o, come lo si
riporta nei diplomi più antichi, 'Ecclesiam') Sancti Angeli in altissimo", che era posto, nella
concessione del 5 Novembre 999, "super fluvium Bifernum in fluviis atque finibus campi
Morani cum eadem Ecclesia haereditatem quae est in longitudine milliaria duo (nota: tutti i
parametri geografici portano ad identificare questa 'ecclesia' con S. Silvestro)" e, nell'altra del
6 Novembre 1102, "... cum cellis suis, in Petra Sancti Angeli"172, sulla pietra (o morgia) di S.
Angelo, appunto, tuttora esistente al centro di una 'contrada Abbazia', che col nome vuole
ancora ricordarne il passato.
Ma, necessariamente e senza ombra di dubbio, il cenobio limosanese di S. Silvestro dovette
essere ancora più antico.
Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione certa, il riferimento, valido
come per S. Angelo in Altissimo così per tutti gli eremi (quel caratteristico modo di essere
sulla sommità di masse rocciose, oltre che di S. Silvestro, lo fu anche di S. Martino e di S.
Illuminata) del territorio limosanese, alle 'celle', definibili e definite "minuscole abitazioni per
anacoreti ed eremiti solitari"173, scavate e ricavate nei fianchi delle 'morge'.
Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione scritta, la posizione, poco
offendibile ed a mezza strada tra gli insediamenti antropici di Cascapera e di Ferrara, di certo
i più antichi dell'area limosanese, il primo dei quali ha mantenuto la continuità storica con la
"Ti-phernum" di origine sannita e sede della omonima diocesi del primitivo Cristianesimo.
Del resto, quella, ai cui margini è possibile localizzare sia il sito del cenobio che l'area
archeologica di Cascapera (e Colle Ginestra), è la contrada di Monte 'Mercurio', che, nella
toponomastica, richiama un luogo di culto antico e, comunque, di origine romana.
Lo dimostra, nonostante manchi il supporto della documentazione diretta, la vicinanza del
sito, oltre che alle grandi risorse idriche del 'Lago di Cascapera' e del 'Lago maiure', alla
antica strada, che, chiamata più tardi "dei Langianesi", collegava la fascia adriatica degli
Abruzzi a Benevento attraverso l'area, che era, dapprima, stata 'tiferno-fagifulana' e, poi,
apparterrà al 'gastaldatus Bifernensis'.
Va, infine, a tutto ciò aggiunto che tanto la devozione per S. Silvestro che l'uso di intitolargli
un 'locus' cenobitico trovano documentazione per le zone del medio Trigno (area del
'municipium' di Terventum) e del medio Biferno (area del 'municipium' di Fagifulae) nel
periodo di tempo che va dalla seconda metà del V secolo e non supera la fine di quello
successivo.
3.3 - Il cenobio di S. Illuminata
Nonostante le posteriori abrasioni (frutto, quasi certamente, della volontà di 'cancellare' il
titolo di obbligazioni ataviche) sia alla 'pianta' che al nome del "Benef.o semplice senza cura
(animarum) sotto il tit.o di _ _ _ _ _", riportato nell'INVENTARIUM del 1712, diversi sono
gli elementi che portano ad identificarlo con certezza quasi assoluta con quanto, davvero
poco, allora rimaneva dell'antico cenobio di S. Illuminata. Dalla relativa 'descrizzione' si
172
UGHELLI-COLETI, X, 485 e 495. Il PIETRANTONIO (op.cit., pag. 409) localizza il Monastero di S.
Angelo in Altissimo "presso il bosco di Trivento già in territorio di Civitacampomarano ora Lucito" e lo dice
"donato da Arechi, principe di Benevento, a S. Sofia nell'870".
173
FERRARA V., Canneto sul Trigno, Vasto (CH) 1988.
110
riesce a sapere che "la Chiesa sotto il ti.o_ _ _ era situata nelle pertinenze de Limusani poco
distante da d.a Terra verso la parte occidentale, qual distanza importera da 500 passi;... la
quale vedesi pr.ntemente diruta con alcune reliquie di muraglia indicante esser stata Chiesa;
nell'anno 169_ nella prima S. Visita unita alla Chiesa Arcip.le dall'Emo e Rev:mo Sig.re
Cardinal Orsino Arcivescovo".
Il Lanzoni174, tanto autorevole per le ricostruzioni storiche quanto, per quelle ‘geografiche’,
poco attento, così che già il Gasdia ne poteva mettere in discussione la sua localizzazione di
Tifernum175, dopo aver collocato questo antico insediamento a Città di Castello (Perugia),
cerca in ogni modo di posizionare nelle sue immediate vicinanze anche la ‘ecclesia’ di S.
Illuminata, asserendo di derivarne la notizia dagli ‘Acta di S. Illuminata’176. Più di quanto
voglia pretendere, l’assunto lanzoniano dimostra semplicemente che: 1) quella istituzione
religiosa aveva origini e radici assai antiche; 2) una ‘ecclesia’ (tale etimo, anteriormente al
mille, da quando cioè si inizia con frequenza sempre maggiore a sostituirlo con
‘monasterium’, veniva usato per indicare una struttura cenobitica) titolata a S. Illuminata
situava in prossimità di un insediamento, sede di diocesi proto-cristiana, chiamato
‘Tiphernum’; 3) era essa, almeno per un certo periodo, appartenuta alla giurisdizione
cassinense, come prova il codice, da cui la notizia è tratta.
Ed anche se la cosa potrà recare dispiacere al Lanzoni ed ai suoi estimatori, quelle suesposte
sono tutte condizioni che ben si adattano alla “ecclesia sanctae Illuminatae infra fines
praedicti castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et
pertinentiis suis”177.
Sulla prima fondazione del cenobio, anch’esso, così come gli altri di S. Martino e di S.
Silvestro, posto sulla parte superiore di una ‘morgia’, propriamente “in loco ubi dicitur
Pesclo majore”, va detto che dovette essere molto antica (V o VI secolo) e certamente di
origine eremitico-anacoretica. Sono applicabili pure alla struttura di S. Illuminata tutte le
motivazioni (vicinanza ad una importante arteria viaria, posizione poco accessibile e
scarsamente offendibile, prossimità alla risorsa idrica rappresentata, nello specifico, dalla
fonte dello 'Spiracolo’), tipiche del primo eremitismo ed analizzate in precedenza, che
portano a datare ad epoca assai antica le emergenze religiose ‘regolari’ dell’agro limosanese,
tutte situate vicino a quanto restava di preesistenti strutture romane e che, poste lungo i
grandi percorsi viari, servivano a mantenere una certa unità del territorio.
Dovette, in seguito, mantenere quella rigida natura anacoretica almeno sino a quando, tra il
secolo VII ed il successivo, non ebbe inizio la aggregazione, nell’attuale sito,
dell’insediamento di ‘Musane’ (o ‘Mesane’), che riprende il ruolo storico e le funzioni, civili
e religiose, dell’antica ‘Tiphernum’, scomparsa o in procinto di esserlo, e che sta per
rappresentare il centro più importante del “gastaldatus Biffernensis”. E’ così che proprio in
174
LANZONI F., Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del sec. VIII (604), Faenza 1927.
GASDIA V.E., Storia di Campobasso, Verona 1960. Il Gasdia, a pag. 192, scrive: “Il Lanzoni,…, identifica
Tifernum con Città di Castello. Ma se questa città è la nostra sannita, dirò che essa ebbe due vescovi…”.
176
LANZONI F., op. cit. “MATURO, Gli ‘Acta’ di S. Illuminata, in ‘Roma e l’Oriente’, an. 1914 (VII, pp. 10118, 286-91; VIII, 31-9, 86-90, 214-30)” li deriva da un codice cassinese (e Limosano è di molto più vicino a
Montecassino, cui peraltro il cenobio limosanese appartenne, di quanto non lo siano l’Umbria ed, in particolare,
Città di Castello). “Una redazione degli ‘acta’ scrive: Extat ecclesia in territorio castri Massae (Martanae) in
diocesi tudertina, in qua dicitur requiescere corpus”. A parte la possibile corruzione nella trascrizione con
‘castrum Massae’ del ‘castrum Mesane’, che in seguito diventa ‘castrum Limessani’ (v. GATTOLA E., Historia
Abbatiae Cassinensis…, Venezia 1733, pag. 421 e seg.), non avvertita dal Lanzoni, egli sembra far grande
confusione (e da ciò le sue difficoltà nella ricostruzione ‘geografica’) tra gli etimi ‘tudertinus’, ‘tiberinus’ e
‘tiferninus’, i quali proprio non stanno ad identificare la stessa cosa.
177
GATTOLA E., op. cit. Vedasi la precedente nota 33. Traduciamo: “la chiesa di S. Illuminata (posta) dentro i
confini del ‘castrum’ di Limosano, nel luogo dove si dice ‘la Pietra maggiore’, insieme a tutte le chiese e le sue
pertinenze”.
175
111
questo momento storico, oltre al passaggio alla ‘religione’ benedettina, si inizia a dire “de
Musano”178 l’organizzazione monastica di S. Illuminata. Ed a tale espressione, così come si è
visto già per S. Martino e così come fu anche per la diocesi, che in questa fase (epoca
carolingia) è detta “Musanense”, non può non essere associata una valenza indicativa di un
ben preciso momento storico.
I benedettini del Monastero di S. Illuminata svolsero nello specifico dell’ambito del territorio
“musanense” il ruolo tipico e tutte le funzioni socioeconomiche, che è possibile riferire al
monachesimo del periodo che corre tra l’VIII ed il X secolo. Dopo aver sottomesso le
popolazioni rurali, che, però, trovarono “nell’istituzione benedettina la sicurezza necessaria
per sopravvivere in un’epoca contrassegnata da incertezze, violenze e soprusi, con la
progressiva estensione del territorio dipendente, la missione religiosa delle badie passò in
secondo ordine e gli interessi dei monaci privilegiarono gli aspetti economico-politici,
divenendo sempre più problematico cogliere in essi i lineamenti dell’autentica vocazione alla
solitudine. Con l’acquisizione di vari possedimenti si presentò, infatti, la necessità della loro
organizzazione e si fece strada l’idea di una più efficiente amministrazione con l’obiettivo di
un migliore sfruttamento dei beni terrieri. Si rileva innanzitutto nella politica agricola delle
badie la tendenza ad accorpare i vari fondi in una struttura più organica e quindi più
facilmente controllabile, per cui appezzamenti discontinui, conseguenza di donazioni in zone
diverse e distanti, si aggregano con opportuni acquisti e permute.
Il secondo criterio perseguito nell’amministrazione e sfruttamento del patrimonio terriero è
rappresentato dai contratti di colonia, dai cottimi e, soprattutto, dalle concessioni a titolo di
enfiteusi, come conseguenza dell’impossibilità da parte dei monaci di provvedere alla
gestione diretta dei fondi e delle terre dislocati anche in luoghi lontani”179. Nascono e si
organizzano in tal modo sul territorio, anche se di dimensioni assai ridotti, veri e propri
insediamenti (villaggi), in tutto dipendenti dal monastero e da esso dominati sia socialmente
che economicamente, il cui surplus della produzione rimane a sua completa disposizione.
Anche il Monastero limosanese di S. Illuminata “cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis”
diventa, da una parte, un attivo soggetto economico e di amministrazione fondiaria e,
dall’altra, oggetto delle mire e dei disegni politici nello scacchiere rappresentato dal territorio
dei medi bacini fluviali del Biferno e del Fortore, che, durante la seconda metà del X secolo,
è il vero teatro di un forte scontro per interessi contrastanti tra i poteri, religioso e civile,
riferibili al ‘principatus’ di Benevento.
Dopo averne definito una ben precisa strategia e con gli evidenti obiettivi di aggregare alla
'provincia beneventana' i territori di Lucera, di Termoli e di Trivento (e perché non anche
quelli di Civitate, di Dragonara, di Ferentino, di Larino e di Limosano?), soggetti
all’influenza bizantina, e di rinsaldare i legami del clero latino di quelle regioni con la Chiesa
di Roma, “in seguito al Concilio tenutosi a Roma nel maggio del 969, il papa Giovanni XIII
conferisce al vescovo Landolfo di Benevento il titolo di arcivescovo e gli riconosce la potestà
ut fraternitas tua et successorum tuorum infra tuam diocesim in locis quibus olim fuerant
semper in perpetuum episcopos consacret, qui vestre subiaceant ditioni”180. La qual cosa in
178
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 435. Il Pietrantonio, a pag. 63, scrive: “Nel sec. IX,…, il ducato di
Benevento, diventato principato di Arechi, fu diviso fra Siconolfo (Salerno) e Radelchi (Benevento). La
sovranità di Radelchi si estendeva sopra i gastaldati di Brindisi, Bari, Canosa, Lucera, Siponto, Bovino, Ascoli
Satriano, S. Agata dei Goti, Telese, Alife, Isernia, Boiano, Larino, Biferno e Campobasso”. Annotato che tutti
tali insediamenti erano sede di diocesi ed a parte i seri dubbi su quello di Campobasso, che in tale epoca storica
doveva essere, se non inesistente, insediamento minimo, dove, tra Boiano e Larino, localizzare Biferno se non
nell’area limosanese?
179
BUCCI S., La Badia di Melanico, Venafro (IS) 1998, pag. 39.
180
BUCCI S., op. cit., pag. 43 e 44. L’analisi proposta da BUCCI, al quale si chiede venia per la rielaborazione,
è stata opportunamente riadattata. Ne trascriviamo la sua conclusione (pag. 40): “La soluzione di una lunga
vertenza con l’arcivescovo di Benevento è il segnale di un’affermazione di ruolo autonomo rispetto alla sede
112
pratica voleva rappresentare la possibilità reale di assoggettare e di organizzare ingenti e vasti
territori, col sistema della suffragania, alla giurisdizione (‘ditioni’) dell’arcivescovo ed, in
senso più lato, della Chiesa.
La simultaneità di certe date rende difficile dire se una tale opzione politica del Papato e del
Clero secolare rappresentasse essa la risposta ad una ‘diversa strategia’ da parte del potere
civile dei Principi beneventani (nella cui orbita ruotavano tanto la media valle del Biferno che
quella del Fortore) messa in campo “per accrescere il controllo del territorio” allorché “dal
961 al 981 Pandolfo, consapevole della dilagante predicazione benedettina con i suoi assunti,
moltiplicò le donazioni pro remedio animae a favore delle comunità monastiche le quali
divennero delle vere e proprie imprese di trasformazione fondiaria…”181. Oppure sia accaduto
il contrario e, cioè, che la nuova politica, favorevole all’espansione del Clero regolare da
parte del Principato, abbia rappresentato, per ridimensionare le pretese dei vescovi (che si
stanno riappropriando delle sedi episcopali delle ‘civitas’), una scelta troppo obbligata in
seguito al nuovo atteggiamento dei Pontefici.
E, se, a questo punto, cogliere la cronologia delle motivazioni politiche non è affatto
semplice, di contro è assai facile ricostruire i fatti che ebbero ad interessare i monasteri
dell’agro limosanese e, nello specifico, il ‘cenobio’ di S. Illuminata. Quest’ultimo, subito
dopo che, rompendo delicati equilibri, si è inserito (schierato dalla parte del Papato) nello
scontro anche il Monastero di Montecassino, al quale, come si vedrà quando si dirà di esse,
nel mese di settembre 972 “oblatae sunt… tres ecclesiae in Lumisano, id est Sancta Maria,
Sanctus Petrus et Sanctus Benedictus in loco Maccla bona, cum omnibus rebus et
pertinentiis earundem ecclesiarum”182, viene assoggettato dal Principe Pandolfo alla
giurisdizione dei Monasteri di S. Eustasio (o Eustachio) e di S. Elena, situati nel contado di
Pantasia, sin dalla data di fondazione di questo secondo (“ab ipso suae constructionis
exordio”), che risale al 976183.
I favori dei ‘domini’, i quali per mezzo di ‘donazioni’ fatte per la salvezza dell’anima mirano
a rafforzare la propria autorità politica; l’attività patrimoniale, che si concretizza in
acquisizioni di nuovi possedimenti, in permute ed in cessioni le più opportune a migliorare il
disponibile; e la gestione quasi esclusiva dei mezzi di produzione economica e della forza
lavoro, che permette di controllare l’assetto sociale della popolazione rurale stanziante sul
territorio, fecero del Monastero di S. Illuminata un centro di potere capace, almeno per un
certo periodo, di garantire la stabilità politica ad un’area di frontiera, quale era quella
limosanese, e permisero ai suoi ‘praepositi’ di contrastare la potenza, frutto di commistione
tra il terreno e lo spirituale, dell’episcopus Musanense S. Mariae. E’ da pensare che
all’origine delle rilassatezze nei costumi e delle dissolutezze ipotizzabili per un certo, e non
breve, periodo nel cenobio limosanese vi sia stato proprio questo nuovo ‘status’ degli Abatimetropolitana, secondo una tendenza centrifuga opposta a quanto si era osservato nell’alto medioevo”.
181
BUCCI S., op. cit., pag. 44.
182
Chronicon Cassinense, II. “(Nello stesso modo) sono state sottomesse (a questo Monastero) tre Chiese
(situate) in Limosano, cioè S. Maria, S. Pietro e S. Benedetto della località ‘Maccla bona’, con tutte le cose e
le pertinenze di quelle Chiese”.
183
TRIA G.A., Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città e diocesi di Larino, Roma 1744 (rist. Isernia
1988), pag. 576 e segg. Sarà più chiaro dai documenti che si riporteranno nel prosieguo il collegamento di S.
Illuminata con i Monasteri di Pantasia sin dal momento della fondazione di S. Elena.
Quanto alla famiglia dei Pantasia, titolare dell’omonimo contado, cui sono da riferire i territori dell’area del
medio Fortore con le diocesi di Dragonara e di Ferentino, il Vipera la dice “nobile famiglia beneventana”, dalla
quale “Limosani ripete i suoi natali”. E, nonostante allo stato sia quasi del tutto sconosciuto, almeno nei termini,
il rapporto tra i Pantasia e Limosano, una pergamena (in cattivo stato di conservazione e che a fatica siamo
riusciti a copiare) dell’APL, datata “anno a Nativitate X.sti millesimo quatuorcentesimo octuagesimo quarto
(1484)”, sembrerebbe confermare l’esistenza di lunga durata, la notevole importanza e che essa, ancora attiva
all’epoca, sia appartenuta alla migliore nobiltà beneventana.
113
priori, i quali, per emulare la vita ed i comportamenti del vescovo, vanno sempre di più
perdendo di vista la parte della regola benedettina rappresentata dalla preghiera (ora), per
riservare uno spazio sempre maggiore alla produzione ed alle attività economiche (labora), se
non proprio ad una vita fatta di mondanità e di piaceri di ogni tipo.
Dopo una simile fase (tra la fine del X secolo e la prima metà del seguente) di vita poco
conforme ai dettami della regola, sembra, tuttavia, molto probabile che, come lascia
ipotizzare l’espressione “S. Brunonis nostri caussa” del Gattola, a partire dai primi anni
della seconda metà del secolo XI e dopo una riforma dei costumi nel cenobio si sia iniziato a
praticare una osservanza (la cistercense?) più rigida della regola monastica.
Il passaggio ad un modo di vivere più severo e conforme al rigore della riforma voluta da S.
Bruno, i cambiamenti nel rapporto di forze nell’area del medio Biferno disposti da Papa
Leone IX nel ‘placito’ svoltosi il 10 Giugno 1053 “in loco Sale iuxta Bifernum fluvium”, i
possibili mutamenti politici seguiti all’avvento dei Normanni, i quali per affermarsi rompono
le resistenze del Papato e di Benevento nelle aree del medio Biferno e del medio Fortore;
oppure, che è più probabile, le tre cose combinate insieme portarono al trasferimento del
Monastero di S. Illuminata nell’orbita della giurisdizione di Monte Cassino.
Una prima ‘oblatio’ dovette sicuramente essere anteriore al 1066, se è vero che la porta di
bronzo del Monastero cassinese, sulla quale (Pannello XII – II Valva) risultava inciso il nome
del cenobio limosanese, venne fusa proprio in tale anno184.
Ma che il passaggio dalla giurisdizione ‘beneventana’ a quella ‘cassinese’ sia avvenuto tra
mille contrasti e non sia stato, proprio nel momento in cui verso l’area limosanese iniziano ad
essere rivolte anche le mire dell’emergente Trivento, del tutto indolore, lo dimostra con
assoluta evidenza il seguente brano del Chronicon Cassinense:
“Sed et Johannes, Triventinae sedis episcopus una cum Robberto filio Tristayni (a: Trostayni
in charta ap. Catt<ola>. Hist. P: 421. Limosani situm est in com. Molise, ad Bifernum)
Limessani castri domino, optulit huic loco ecclesiam sanctae Illuminatae infra fines praedicti
castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis,
pena indicta centum librarum auri id removere quaerentibus.
Notandum plane videtur, nequitiam et fraudolentiam Alferii Triventinatis episcopi (b: Jam
anno 1084 episcopus fuit; v. DI MEO Ann. Ad h. a.) hoc in loco inserere. Hic enim, dum
praepositus in eadem beatae Illuminatae ecclesia esset, sciens supradictam ecclesiam
monasterio Sancti Eustasii ab ipso suae constructionis exordio subditam, et a Beneventanis
principibus in eodem loco concessam, simulque cupiens eam a dicione eiusdem monasterii
subducere, accessit ad praepositum qui tunc monasterio praeerat, eumque rogare suppliciter
coepit, ut sibi cartas eiusdem loci ostenderet, dicens suae haereditatis cartas ibidem esse
repositas: orare ut sibi illas exinde auferre permitteret, ne forte temporis vetustate perirent.
Praepositus autem nullum in verbis eius dolum existimans, dat ei et perquirendi et
adsportandi licentiam.
Tandem igitur inter reliquas praeceptum a Beneventanis principibus de ecclesia Sanctae
Illuminatae monasterio sancti Eustasii factum invenit; quod videlicet lucide satis et aperte
continebat, qualiter ecclesia illa a suae constructionis principio monasterii beati Eustasii a
Beneventanis principibus tradita fuerat. Huius illa ductus invidia et iniqua nebriatus vesania,
rapuit, abscondit et ad domum propriam reversus illud minutiam incidit.
Haec ita acta fuisse ego ex ore Alberti huius nostri Coenobii monachi ultimam fere jam
aetatem agentis audivi, ne quis hoc existimet mendose descriptum”185.
Quali erano gli interessi (e si spiega bene il motivo per cui, relativamente al periodo che
precede quella data, non rimane ‘carta’ alcuna) celati dietro a tali comportamenti, che, mossi
184
185
FABIANI L., La Terra di S. Benedetto, Badia di Monte Cassino 1968.
Chronicon Cassinense, IV, 34.
114
ed ispirati solo (si fa per dire) da ‘nequizia e fraudolenza’, avevano per evidente obiettivo il
cambio di giurisdizione del Monastero di S. Illuminata? Facile e senza dubbio alcuno
immaginare la risposta a tale domanda.
Va, tuttavia, aggiunto che l’autore, Alferio, già ‘praepositus’ di S. Illuminata, viene premiato
con l’essere nominato vescovo di Trivento. Va aggiunto anche che la famiglia dei ‘de
Molisio’, ad un cui ramo sicuramente appartenne per gran tempo Limosano, sta organizzando
a partire dalla seconda metà del XI secolo una contea assai importante e mira a rendersi
autonoma da Benevento. E va ancora aggiunto che, dopo circa un trentennio dal ‘fattaccio’, il
cenobio limosanese, nel Giugno del 1109, viene, una seconda volta ed in maniera definitiva,
‘oblato’ a Montecassino; e tutto questo sempre dagli stessi protagonisti, il Vescovo di
Trivento e Roberto ‘de Molisio’, figlio di Tristaino e cugino del conte di Bojano186.
Perché il documento permette di dare ai fatti accaduti nell’area del medio Biferno una lettura
diversa e nuova, lo riportiamo nella trascrizione (l’originale si conserva tuttora nell’Archivio
di Monte Cassino) del Gattola:
“Quamquam decreveramus nullas ecclesiarum Donationes recensere, quasdam tamen hic
referre in animo est, quae consensu, authoritateque Gelasii secundi, Callisti II et Anastasii IV
nobis concessae sunt, recensebimus etiam ecclesiam S. Illuminatae S. Brunonis nostri caussa.
Atque ut ab hac exordiamur, sic de ea scribit Petrus Diaconus cap. 34: ‘Sed et Johannes,
Triventinae sedis episcopus una cum Robberto filio Tristayni Limessani castri domino,
optulit huic loco ecclesiam sanctae Illuminatae infra fines praedicti castri Limessani, loco
ubi dicitur Petra majore, cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis, pena indicta centum
librarum auri id removere quaerentibus (an. 1109 Jun)’.
Extat hujusce donationis autographum in archivo nostro, estque hujuscemodi:
‘In nomine domini nostri Jesu Christi filii dei eterni, anno ab incarnationis esius millesimo
centesimo nono, mense Junio, secunda indictione.
Ego Robbertus filius cujiusdam bonae memoriae domni Frostayni, qui dei nutu Limosani
castelli sum dominus, declaro me habere quamdam ecclesiam pertinentem mihi per
hereditariam successionem infra fines praedicti limosani, quae constructa est in loco ubi
dicitur Pesclo majore, in honore S. virginis et martiris Illuminatae. Quam ecclesiam, cum
quadam die, divina me inspirante misericordia, cogitans, animadverti utpote facinorum
meorum, quorum me nexibus graviter, obstricteque religatum, agnosco absolucionis saltim
aliquantulum merear. Et qui nimii thesauri pondere innumerabilium peccatorum onera
lavare debuissem munusculo hoc exiguo terribilis judicis praesentiam judicii in diem
tantorum absecrationibus SS. Fratruum non iracundam, sed placabilem utinam in ultimo
Fidelium cetus loco positus, conspicere possim, et pro animae meae redempcione, et patris
mei Trostayni, et matris meae Altrudae, et filii mei Guilielmi, et Ruberti, et animarum
parentum nostrorum, videlicet Raonis comitis, et Rubberti, Raonis, Ugonis comitis, et
Rogerii filiorum ejus.
Deo primitus, et ecclesiae beati Confessoris, et Abbatum omnium patris Benedicti, quae sita
est monte castri Casini, ubi sacratissimum ejus corpum humatum est, et ubi tunc
omnipotentis providencia dispensante Brunus Signiensis episcopus Abbas, et rector esse
videtur, cum omnibus utensilibus suis interius, exteriusque manentibus, et cum aliis subditis
illis Ecclesiis, earumque facultatibus universis transactive offerro, atque transmitto in
potestate praedicti cenobii S. Benedicti, et ejus rectorum, atque custodum ad tenendum, et
dominandum, et faciendum omnia quaecumque ad utilitatem ejus Monasterii placuerint in
perpetuum, absque ulla contradictione mea, vel meorum heredum, seu cuiuscumque hominis
186
Non furono infrequenti (e lo dimostra anche quanto era avvenuto per i tre Monasteri della ‘Maccla bona’),
anche se si è portati a pensare il contrario, i casi di doppia ‘oblazione’.
115
pro parte nostra, et hoc mea sponte ut fatus sum optuli, una cum consensu, et voluntate
Johannis Triventini episcopi.
Igitur obligo me ego qui supra Robbertus, et meos heredes quod si hanc oblacionis cartulam
evacuare aut minuare quocumque modo quesierimus, vel contradicere his que continet
subjaceamus penae composicionis librarum auri centum, ast ego praenotatus Johannes
celsa, annuente potentia Triventinae sedis presul sic quod ex eadem ecclesia pertinet pro dei
tempore, et S. Benedicti, ac ob fraternum amorem venerabilis pontificis, et Abbatis Bruni, et
omnium Fratrum pariter offero, atque concedo, sine ulla reservacione sicut ceterae
ecclesiae, quae subditae ibi conceduntur, quatinus eorum sacratissimis adiutus subfragiis,
apud eternum bonorum omnium remuneratorem, retribucionem accipere valeam.
Et ego qui supra Johannes episcopus una cum nostrorum consensu, et voluntate
Canonicorum canonice anathemate perpetuo condemnamus, et excomunicamus successores
nostros, et ipsum Robbertum, et eius heredes, et omnes quicumque hanc cartulam oblacionis
contraire, vel minuare, seu contraire temptaverint, ut sint anathematizati anathemate
Maranata, idest pereant in secundo adventu domini nisi forte resipuerint, et ecclesiae
deiquam leserint per emendacionem, et condignam paenitentiam satisfecerint fiat, fiat, fiat.
Et haec cartula firma, et stabilis permaneat, et hanc cartam jussu praedicti pontificis
Johannis, nec non praenominati Rubberti scripsi ego Johannes presbyter eiusdem ecclesiae
Triventinae intus castello Limosano feliciter.
+ Ego Johannes episcopus Triventinae ecclesiae subscripsi
+ Ego Johannes presbyter
Ego Rizmannus presbyter
Ego Rubbertus de abrepa me subscripsi
Ego Johannes judex
+ Ego Johannes Angeli me subscipsi’”187.
Successivamente alla ‘donazione’ del 1109, il Monastero di S. Illuminata restò sempre sotto
la giurisdizione dell’Abbazia cassinese e, come tale, figura:
- in un ‘privilegium’ “datum Laterani… Nonas Februari indictione IIII incarnationis
diminicae anno MCXIII (1113) Pontificatus autem domni Paschalis secundi papae anno
XIII188;
- in un ‘privilegium’ “datum Besulis… Kalendas Octobris indictione I incarnationis
dominicae anno MCXXIII (1123) Pontificatus autem domni Calixti Secundi Papae anno
III189;
- in un ‘diploma’ dell’anno 1137 dell’imperatore Lotario III, dettato in Supplimburgo 190 e
rielaborato da Pietro Diacono (Ch. Cass., III, c. 17), nel quale tra i possedimenti abbaziali
viene indicata “(ecclesiam)… in castro Lemisano sanctae Illuminatae…”;
187
GATTOLA E., op. cit., V, note 33 e 34. Quanto alla bibliografia sul Monastero di S. Illuminata di Limosano,
riportiamo i pochi elementi indicati dal citato PIETRANTONIO (op. cit., pag. 426):
- REG. M.C.: Abbazia di Montecassino; I regesti dell’Archivio: 1°, 68 n. 51 (a. 1368); 2°, 62 n. 13 (a. 1109).
- GATTOLA E., Historia abbatiae Casinensis per saeculorum series distribuita, Venetiae 1733, vol. 1°, 333.
- CIARLANTI G.V., Memorie historiche del Sannio, 1644, III, 222.
- GALUPPI M., Note Storiche Molisane, La Donazione della Chiesa di S. Illuminata all’Abbazia di
Montecassino, in IL GIORNALE D’ITALIA del 3/12/1938.
- GALUPPI M., Note Storiche Molisane, La chiesa ed il cenobio di S. Illuminata, in IL GIORNALE D’ITALIA
del 20/12/1938.
- MASCIOTTA G.B., 1°, 276.
- BLOCH H., Montecassino in the Middle Ages, Vol. 3, Roma 1986; 427 n. 60, 476, 641 n. 160, 671 b. n. 40a,
676 n. 52, 797 n. 119, 922 n. 52.
188
GATTOLA E., op. cit., pag. 333.
189
GATTOLA E., op. cit., pag. 335.
190
FABIANI L., op. cit., II, pag. 425.
116
- in altro ‘privilegium’ “datum apud Ninpham anno MCLIX (1159)” da Alessandro III nel
suo primo anno di Pontificato;
- in altro ‘privilegium’ “datum Laterani anno MCLXXXVIII (1188)” da Clemente III nel suo
primo anno di Pontificato.
Nel 1368, il 5 Luglio, da Montefiascone “Guglielmo, Cardinal vescovo di S. Sabina, uditore e
commissario per le cause e gli affari di Montecassino, ai rettori etc. della diocesi di S. Marco
e di altrove: li incarica di provvedere alla restituzione perché appartenuti a Montecassino:…,
di alcune possessioni di S. Illuminata, prese da Antonio di Galluccio;…”191.
“L’abbate Giovanni Aragonio, l’ultimo di tutti <gli abati di S. Illuminata> diede in
commenda questa Chiesa il 4 Novembre 1471 al ‘Clerico’ Giovanni Fiorillo da Mercogliano
(nota: vicino Avellino) ed al ‘Clerico’ Barnaba Brancia da Sorrento l’11 Agosto 1479”192.
Col fenomeno della ‘commenda’, e come tutti gli altri anche il Monastero limosanese di S.
Illuminata, “i grandi antichi cenobi che affondavano le loro radici nell’ordinamento feudale e
che erano in stretto rapporto coll’autorità politica (nota: quando, ed è il caso di Antonio di
Galluccio con il cenobio di Limosano, non ne avevano subito gli attacchi ai rispettivi
patrimoni), subirono una crisi più grave. (…). Per porre rimedio alla situazione di dissesto
economico e di decadenza disciplinare, invalse l’uso,…, di affidare (commendare) i
monasteri in difficoltà all’amministrazione di un prelato della curia o anche a qualche
ecclesiastico locale bisognoso di aumentare (nota: frequenti furono i casi di ‘compra’ delle
commende) le proprie rendite coi proventi delle ancor ricche abbazie, almeno quando a
possessi fondiari. Le tentazioni di usare di tali proventi per i propri esclusivi interessi anziché
per la restaurazione della vita monastica era assai forte e quasi tutti i commendatari vi
cedettero”193.
Ed i commendatari del Monastero di S. Illuminata non poterono non essere, e non furono,
che come tutti gli altri.
Durante i primi anni del XVII secolo, ad occuparsi di quel poco che ancora rimaneva
dell’antico cenobio, dopo le usurpazioni di quanti avevano potuto impunemente farle e dopo
gli abusi e gli interessi privati dei commendatari, era rimasto “Hercules monacus”, del quale
(non sappiamo se a titolo di proprietà sua oppure dell’istituzione monastica) nel 1605 sono
documentati “bona in loco Sanctae Alluminatae”. Era egli un idealista sognatore, l’ultimo,
oppure, come par più vero, uno dei tanti ‘eremiti’, assai numerosi in quel periodo,
opportunisti, il quale si era ritagliato nella società limosanese di allora la sua area di
privilegio?
Ci piace di pensare che solo per salvaguardare gli interessi dell’antico e millenario cenobio
partecipasse alla “Particularium Civium multorum Terre Limosani Procuratio ad lites verbo
signanter” del 26 Febbraio 1607194.
Se, come sembra più probabile e come lasciano pensare gli elementi confrontabili con quelli
dell’Inventario del 1723, il “Benef.o semplice senza cura (animarum) sotto il tit.o di _ _ _ _
_” dell’Inventario del 1712-1713 deve essere identificato (v. paragrafo 2.1) con il “Beneficio
di S. Illuminata”, il quale di ‘cattedratico’ alla Mensa Vescovile di Benevento ancora
pagava 20 carlini, ci rimane, insieme alle ultime notizie, la seguente ‘descrizzione’: “la
Chiesa sotto il tit.o _ _ _ era situata nelle pertinenze de Limusani poco distante da d.a
Terra verso la parte occidentale, qual distanza importera da 500 passi; le sue coerenze
sono, da ogni parte li beni del med.mo Benef.o e Chiesa la quale vedesi p.ntemente diruta
191
REGESTA M.C., I, pag. 68, n. 51, Aula III, Capsula III.
GATTOLA E., op. cit., pag. 421 e segg. “Abbas Johannes Aragonius omnium ultimus ecclesiam hanc
commendavit die 4 Novembris 1471 Clerico Johanni Florillo a Mercugliano, ut ex eius literis in suo 1. Regesto
p. 25, et Clerico Barnabae Brancia a Surrento die 11 Augusti 1479 in eodem Regesto p. 126”.
193
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 73.
194
ASC, Protocolli notarili, Not. Cotriccione (altrimenti detto Covatta) Domenico di Limosano.
192
117
con alcune reliquie di muraglia, indicante esser stata Chiesa; nell’anno 169_ nella prima S.
Visita unito alla Chiesa Arcip.le dall’Emo e Rev:mo Sig.re Cardinal Orsino Arcivescovo”.
Dall’ “Inventario del Beneficio Semplice sotto il titolo di S. Illuminata,…” del 1723
risulta che “la suddetta Chiesa diruta nelle pertinenze di detta Terra de’Limusani è nel tutto,
come stà descritta nell’Inventario del 1712 (nota: e, se non si identificasse il ‘Beneficio sotto
il tit.o di _ _ _ _ _’ con quello di S. Illuminata, non vi sarebbe altro con cui poterlo fare);…
ed è annessa alla Chiesa Arcipretale per decreto dell’Emo Sig.re Arciv.o Orsini nella p.ima
S. Visita nel 1693”195.
Come già per quella di S. Silvestro, anche per l’Abbazia di S. Illuminata il Cardinale Orsini
ne decretava i rintocchi, mesti e freddi, della campana a morto. Perché tutto ciò nell’area
riconducibile all’influenza di Limosano?
Ed, inoltre, perché tanto accanimento verso quelle istituzione antiche e cariche di storia?
3.4 - S. Pietro "de Sala" e le altre 'strutture' monastiche alla "Maccla bona"
Una ulteriore conferma alla ipotesi dei notevoli interessi (di grande rilevanza politica allora e,
dopo, storica), che, sin da quando era ancora ‘Ducatus’, il ‘beneventanus Principatus’ ha
verso una realtà, che, come entità territoriale, non può necessariamente non essere che di
lunga durata, con valenza sia politico-amministrativa (gastaldatus) e sia religiosa (diocesis)
sull’intera area del medio corso del Biferno, ed il cui insediamento abitativo di maggiore
preminenza, etimologicamente e non solo, passa da Ti-phernum a Bifernum per
concludersi, quando l’insediamento stesso si sposta relativamente alla posizione geografica, a
Musane (o Mesane); una ulteriore conferma, si diceva, viene dalla diffusione del
monachesimo benedettino, che “risale al periodo posteriore alla conversione dei
Longobardi”196 e, segnatamente, tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo.
Che, da parte sua, anche l’Abbazia di S. Vincenzo al Volturno sia stata, oltre che emanazione
voluta dal potere politico beneventano, “una fondazione monastica che sin dalle origini
presenta un nesso strettissimo con la realtà geopolitica della Langobardia meridionale” e,
situata ai confini tra il ducato di Spoleto, quello romano e l’altro di Benevento, “con il
praeceptum concessionis di Gisulfo I è stata posta sotto la protezione (tuitio) del felicissimum
Palatium cioè sotto la diretta giurisdizione dei duchi di Benevento”197 con evidenti finalità
strategiche, pare cosa definitivamente acquisita.
In tal modo la costruzione del Monastero volturnense, coeva a quella di altre diverse
istituzioni monastiche poste alla sinistra (quantitativamente assai più numerose che alla
destra) del Biferno e nella valle del Fortore, deve farsi rientrare in un disegno ben definito
della politica beneventana, che, con l’obiettivo di rendere più sicuri i confini (e le vie di
comunicazione), oltre che di contrastare l’incipiente spinta autonomistica, viene a
concretizzarsi “tra la fine del sec. VII e l’inizio dell’VIII (presumibilmente tra la morte di
Grimoaldo II, avvenuta nel 689, e la morte di Gisulfo I avvenuta nel 706), durante la
reggenza (per la minore età di Gisulfo I) di Teodorada, che promuove la fondazione di
monasteri e chiese…”198.
195
APL, Inventari.
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 49.
197
FONSECA C.D., San Vincenzo al Volturno e la Langobardia meridionale, in AA.VV., San Vincenzo al
Volturno: dal Chronicon alla Storia, Isernia, pag. 21 e segg., passim.
198
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 52 e seg. L’importanza strategica che, in epoca alto medioevale, l’ambito
territoriale del medio Biferno, potendo da esso esercitarsi l’opera di controllo sulle vie di comunicazione, è sin
troppo evidente dalla seguente conclusione di BRUNO Ruggiero (v. Il ducato di Spoleto e i Franchi nell’Italia
Meridionale, in ASPN 1966-67, pag. 91). “Tralasciate le grandi strade consolari (l’Appia, la Latina, la
196
118
Nell’ambito di tale disegno rientra sicuramente la fondazione della grande istituzione
monastica di “Santa Maria di Castagneto, voluta, intorno al 700 d.C., dalla duchessa
longobarda Teodorada”199. Questa Abbazia, “sita prope terram Casalium Cipriano”, tanto
potente ed insigne quanto poco conosciuta, rientrava sin dal momento della sua prima
costruzione nell’ambito territoriale della diocesi (e perché non anche del relativo gastaldato?)
di Limosano. Di certo ancora oggetto di contesa tra il Papato e Benevento, nel ‘placito’,
tenuto il 10 giugno 1053 da Papa Leone IX “in loco Sale iuxta Bifernum fluvium”, essa viene
confermata all’abate Liutfrido di S. Vincenzo al Volturno, alla cui Abbazia era da sempre
appartenuta200.
La sua importanza, che fu davvero notevole e che, nonostante dai documenti poco traspaia,
tale dovette essere già in precedenza, viene a dir poco evidenziata dalle “Rationes
Decimarum”, per le quali (Diocesi di Trivento) “4872 – Ecclesia S. Marie de Castenneto
(solvit) tar XVIII”201. E tale somma, se solo si pensa che molte ‘Terre’ pagavano meno della
metà, deve considerarsi del tutto ragguardevole.
E che quel complesso monastico amministrasse un patrimonio assai ingente risulta evidente
ancora da un atto del 3 Maggio 1593202, alla cui stipula partecipa il Notaio Francesco Antonio
Santoro, originario di Limosano, nella qualità di procuratore “Ill.mi et Rever.mj dominj Don
pomponij de Magistris civitatis Rome Abatis sive prepositj Abatie sive eccl. S.te Marie de
Castagneto nullius Diocesis site prope terram Casalium Cipriano… cum omnibus et singulis
suis territorijs, silvis,… aquie fluvij, herbagijs, pasculis, pischerijs, lucris et emolumentis
censibus fructibus redimendis et cum omnibus et quibuscumque aliis eius juribus”.
Cinque anni più tardi, il 30 giugno 1598, l’intero complesso patrimoniale dei terreni e della
produzione veniva concesso in affitto per ben 700 ducati annui da “Marcus Ant:s de magistro
Abb. Abatie, et Ecc.e S.te Marie de castagnito site, et costrutte prope terram, et pertinentias
Casalii Ciprani”203. Esso, evidentemente ridotto a ben poca cosa, era stato già trasformato in
‘beneficio’, quando, il 13 Marzo 1723, il Rev.do “Abbate D.num D. Paulum Francone di.e
Civitatis Neapoli Beneficiatum Beneficij sub tit.o di S. M.a delle Castagneta, seù
dell’Annunciata”, affitta il beneficio stesso a D. Nicola Brancia, nobile Patrizio della Città
di Sorrento, “per anni tré alla ragione di docati trentacinque l’anno” solamente 204. Si deve
annotare che l’11 Agosto del 1479 anche il cenobio limosanese di S. Illuminata era stato
concesso in commenda ad altro esponente di quella stessa famiglia Brancia di Sorrento, e
precisamente al “Clerico Barnabae Brancia a Surrento”, che dovette e per lungo tempo essere
assai influente.
Nell’ambito di quel disegno politico, di cui si diceva, dovette rientrare la costruzione della
“Abbatia, seu Ecclesia S.ti Alexandri”, che deve essere localizzata “nell’agro di Pietracupa
e, più precisamente, nella località Colle Sant’Alessandro, posta al confine con l’agro di
Domiziana), i Franchi, come già i Longobardi, seguirono, in genere, come vie di penetrazione nel Mezzogiorno i
tracciati che dal territorio di Chieti immettevano nel Molise e nel Sannio”. Se ciò è vero, e non vi è motivo per
dubitarne, come e perché non attribuire alla “Strada detta delli Langianesi”, che collegava Lanciano a Benevento
attraversando l’intero agro di Limosano, una funzione di grandissimo rilievo?
199
PIETRAVALLE N., Molise: antichi interni, Torino 1990, pag. 55. A proposito di S. Maria di Castagneto il
Pietrantonio (op. cit., pag. 402 e 403) scrive: “Il documento più antico è la chartula offercionis, con la quale
Gisulfo I, duca di Benevento, nel 703 concede al Monastero di S. Vincenzo al Volturno la Chiesa di S. Maria di
Castagneto e sue pertinenze, costruita dalla madre Teodorata (Chron. Vult. III, 26)”.
200
Il citato PIETRANTONIO, nella indicazione delle fonti edite, segnala (a parte UGHELLI, VIII, 122) il solo
Chron. Volt., II, 15-18, 58, 105, 131, 249; e III, 14, 25, 87-89, 92, 97, 99, 100, 126, 161 e 163.
201
SELLA P., Rationes Decimarum Italiae, APRUTIUM-MOLISIUM, Roma (Città del Vaticano) 1936.
202
ASC, Protocolli notarili, Not. Di Rienzo Giovanpietro di Fossaceca (Fossalto).
203
ASC, Protocolli notarili, Not. Merone Francescantonio di Campobasso, atti del 28 e del 30 Giugno 1598.
204
ASC, Protocolli notarili, Not. Piccinocchi Giuseppe di Castropignano, atto del 13 marzo 1723.
119
Torella”205. Anche se di essa, che pure rientrava nell’ambito territoriale della diocesi di
Limosano, si conosce assai poco, vi sono, tuttavia, non pochi elementi, come i frequenti
rinvenimenti di reperti di origine romana ed alto medioevale nella zona, che portano a
collocarne la originaria datazione al periodo tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo. La
assoluta mancanza di documentazione, che non è affatto prova della sua inesistenza, ne
impedisce una ricostruzione storica. Solo la pergamena datata il 26 Aprile 1370, scoperta solo
di recente206, oltre alla vita gaudente che vi si conduceva, fa conoscere che “padrone
(patronus)” della Abbazia era il nobile Roberto “de petracupa”, che nello stesso tempo era
anche il “signore (dominus)” del “castrum petrecupe”. In precedenza (1328), di “Rationes
Decimarum” alla Diocesi di Trivento, “4930 – S. Alexander (solvit) tar VII”. E tale
importo, che non era di certo irrisorio rappresentando quanto doveva versare un ‘Casale’ di
media dimensione, lascia pensare ad un complesso monastico di ragguardevole struttura e di
discreta consistenza patrimoniale.
Un fuggevole cenno alla Abbazia di S. Angelo in Altissimo, posta “presso il bosco di
Trivento già in territorio di Civitacampomarano ora Lucito”207, già è stato dato nel precedente
paragrafo. Anch’essa, che dalla documentazione viene sempre ricompresa nella giurisdizione
beneventana, deve farsi rientrare nell’ambito dei disegni politici del ‘Principatus’. In quanto e
perché “venne donata da Arechi, principe di Benevento, a S. Sofia nell’870”208, doveva
sicuramente essere di costruzione antichissima.
Tutti i parametri e le attribuzioni geografiche della “Ecclesia S. Angeli in altissimo super
fluvium Bifernum, in campo Morani cum eadem Ecclesia haereditatem quae est in
longitudine milliaria duo, et in latitudine milliarum unum…, una cum cellis suis, in Petra
Sancti Angeli”, permettono di ritenerla (nel tempo è documentata almeno sino alla ‘Concessio
Papae Anacleti II’ del 1140) dotata di un patrimonio assai consistente, che le consentiva di
rappresentare nella zona un polo di riferimento notevole sia economico che sociale, oltre che
essere oggetto di mire politiche. E che, come le altre, anche l’Abbazia di S. Angelo fosse
sempre stata e che ancora rientrasse nell’orbita politica limosanese lo proverebbe il fatto che
“nell’anno 1148, a Limosano il conte Ugo II teneva corte con i suoi baroni, magnati, giudici e
boni homines, per la stipula di una concordia tra Ugo Markese, signore di Lupara e di
Castelbottaccio, e l’abate Giovanni del Monastero di S. Sofia di Benevento, riguardante il
205
BOZZA F., Anche nell’agro di Pietracupa un complesso badiale?, in Vita Diocesana, quindicinale della
Diocesi si Campobasso, 15 Ottobre 1998, pag. 7.
206
V. nota precedente.
207
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 409.
208
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 409.
120
pagamento di un tributo da parte degli uomini della chiesa di S. Angelo in Altissimo” 209, che
ne contestavano il diritto.
Relativamente alle altre evidenze monastiche, da riferire alla zona nord-orientale e più verso
il mare, dell’area del medio Biferno (anche se di alcune una localizzazione, pur
approssimativa, risulta assai difficile), sono da menzionare:
1) la “Ecclesia Sancti Joannis cum omnibus rebus suis in causa Pollucis”210, della quale ne
è documentata la presenza a partire almeno dalla seconda metà del X (dopo le frequenti
incursioni saracene) e fino al XII secolo e che, in quanto sempre sotto la giurisdizione del
Monastero di S. Sofia, dovette essere fondata proprio da quest’ultimo, che rappresentò il
braccio religioso della politica beneventana.
2) la “Ecclesia Sanctissime Trinitatis iuxta fluvium Bifernum cum omnibus suis
pertinentiis”211 della quale, forse solo di fondazione più recente, resta valido tutto quanto
detto della precedente.
3) la “Ecclesia Sancti Petri in Balneo in Valle luparia”212, che, probabilmente la più recente
di tutte (la si menziona per la prima volta nel 1102), ebbe un considerevole sviluppo tanto che
per le “Rationes Decimarum”, nonostante posizionasse in territorio della diocesi di
Guardialfiera, pagava alla Mensa vescovile di Trivento “4883 – S. Petrus de Balneo tar
XV” nel 1309 e, nel 1328, “4925 – Monasterio S. Petri in Balneo tar XII”213.
Sembra del tutto evidente che per la politica beneventana la linea del confine da difendere
andava spostandosi sempre di più verso il mare. E, del resto, non si spiegherebbe come i due
209
GENTILE O., Il Sannio pentro: dalla civitas di Boiano alla contea di Molise, Campobasso 1991, pag. 301 e
seg. Ad onor del vero, la notizia è di JAMISON E. (I conti di Molise e di Marsia nei secoli XII e XIII,
Casalbordino 1932, App. doc. 1), la quale conferma che “nell’anno 1147, Limosano col suo Castellum
appartenevano al dominio dei conti di Molise e che qui Ugo II teneva corte”.
Quello che segue è il testo del documento che riguarda S. Angelo in Altissimo:
“In anno ab incarnatione domini nostri ihesu christi millesimo centesimo quadragesimo octavo. Mense octuberis
undecima indictione.
Ego UGO markese qui sum dei gratia dominus castelli lupare et castelli calcabottazzi cum omnibus suis
pertinentiis. Quoniam quidem humani generi instiga(nte) inimic(o) mentis mee et quorundem meorum hominum
pravitas et adversitas tributa quedam et (red)dita ab ecclesia sancti angeli in altissimo et ab hominibus eius ausu
peterent et in tamquam iniuriose quadam vice precipue acciperent atque violenter subriperent, et male quesita et
surepta fore agnovi.
Scilicet quia dominus noster UGO COMES molisianus sedens pro tribunali intus in civitate limosane cum
baronibus magnatibus iudicibus aliisque suis bonis hominibus qui subterscripti sunt testes, venit dominus abbas
venerabilem atque Religiosam ducens vitam, qui dicitur iohannes sancte sophie beneventane ecclesie cum
confratribus et procuratoribus rerum et predicte ecclesie hominum, dampni iniurie actionem coram domino
comite et aliis subscriptis pro ecclesia sancti angeli in altissimo, que predicte ecclesie sancte sophie oblata esse
multis videatur privilegiis, conquestus de iniuria et violentia super nos egit…
Quod EGO PAGANUS IUDEX ET NOTARIUS taliter rogatus qui a supradicto UGONE marcisio, actum in
Limosano feliciter
Ego qui SUPRA comes UGO testis sum
Ego riccardus de molina hoc concedo
Ego Julianus castropiniani hoc testifico
Ego Raynaldus petre habundanti hoc dico
Ego Robbertus habalerij testis sum”.
210
UGHELLI, X, 485 (Concessio del 5 Novembre 999), 486 (Concessio del 6 Marzo 1022), 487 (Concessio
dell’8 Giugno 1038, dove la parola ‘causa’ diventa ‘casa’), 495 (Concessio del 6 Novembre 1102, nella quale è
indicata “in casali Petraefictae Sancti Joannis”).
211
UGHELLI, X, 486 (v. nota prec.), 487 (v. nota prec.), 495 (Concessio del 6 Novembre 1102, nella quale è
indicata: “... S. Trinitatis in Patara Findi Sancti Agnelli”), 500 (Concessio del 1140, nella quale figura come “…
S. Trinitatis in Petra Findi S. Agnelli”).
212
UGHELLI, X, 495 (v. nota prec.), 500 (v. nota prec.). E’ sicuramente da posizionare in agro di Lupara, in
direzione sud.
213
SELLA P., op. cit.
121
complessi monastici posti alla destra del Biferno (S. Maria di Faifoli e S. Maria di
Casalpiano) mai siano rientrati negli obiettivi della politica sofiana e, più in generale, del
‘Principatus’ beneventano.
In posizione geografica quasi centrale rispetto alle menzionate strutture benedettine e quasi a
chiuderne la linea equidistante dalla importante arteria stradale da posizionare più a valle
situava l’area monastica, così importante quanto poco nota, della “Maccla bona”, che,
mentre attualmente risulta parte nell’agro di Fossalto e parte in quello di Limosano (dove
esistono ancora le “Macchie Colucci”), rientrava allora per gran parte nella giurisdizione
amministrativa del “Casale di Castelluccio di Limosano” e per la rimanente parte più
piccola nel corpo feudale de “la Sala”, posto in agro di Limosano. Sulla importanza del sito
riferisce una testimonianza, riportata da Pietravalle Nicoletta (v. Molise Perduto, Roma 1998,
pag. 135), di Don Antonio Pizzi, Parroco di Fossalto, il quale afferma che “a Castelluccio,
agro attuale di Fossalto, un paese sepolto, abbandonato del tutto dopo il terremoto del 1805,
un paese che apparteneva alla diocesi di Limosano prima che fosse soppressa, ho trovato
punte di lancia sannite”.
Se ne ignorano i motivi per i quali il Pietrantonio214 è portato ad identificare con la provincia
Valeria (e, quindi, con una parte dell’Abruzzo) la ‘provincia’ di cui parla Gregorio Magno,
quando nei Dialoghi scrive: “Equitius pro suae magnitudine sanctitatis multorum in eadem
provincia monasterium pater exsistit”. Ma, se, come pare, sono gli stessi che gli fanno
collocare in Abruzzo il monastero equiziano di “S. Equizio (poi San Benedetto) di Pizzoli”,
sembra allora, se non probabile, quantomeno possibile che sia incorso in un errore. E lo
proverebbe la ‘bolla’, senza data, di Papa Anastasio IV, il quale però fu Pontefice solamente
tra il 1153 e l’anno successivo, con la quale si confermavano all’Abbazia di Monte Cassino
“…(ecclesiam sive monasterium) Sancte Illuminate in castello Lemusano,… …curtem
Sancte Marie in Sala, Sancti Benedicti Piczoli ibidem,…”215. Ora, se ‘S. Benedetto (già S.
Equizio) di Pizzoli’ era “ibidem”, ossia “in Sala”, “i tanti monasteri equiziani, sia maschili
che femminili, dei quali sono andate perdute le testimonianze” 216 e, con essi, una parte
consistente e significativa del ‘movimento’ eremitico ed anacoretico prebenedettino,
quantomeno quello equiziano, andrebbe riferito, se non esclusivamente, anche al territorio
della “provincia” sannitica ed, in particolare, all’area tiferno-musanense217.
In tal modo anche le ipotesi su S. Martino, S. Silvestro e S. Illuminata, costruiti “super
magno saxo”, trovano altri riscontri ed ulteriori elementi di conferma.
Il carattere di singolarità all’area monastica della “Maccla bona” le deriva dalla circostanza
per cui in un ambito di territorio relativamente ristretto si riescono a collocare ben tre
complessi badiali ed, inoltre, dal cambiamento di ‘titolazione’, che, come si vedrà, interesserà
qualcuno di essi. Ma trattasi di una singolarità solo apparente se è vero (v. Chronicon
Vulturnense, I) che “eo siquidem tempore rara in his regionibus castella habebantur, sed
omnia villis et ecclesiis plena erant. Nec erat formido aut metus bellorum, quoniam alta pace
omnes gaudebant, usque ad tempora Sarracenorum”.
214
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 47.
KEHR P.F., Papsturkunden in Italien, Reiserberichte zur Italia Pontificia, Acta Romanorum Pontificum, Vol.
5, Città del Vaticano 1977, IV, pag. 69, doc. XXII di Montecassino.
216
V. nota 71.
217
In quest’ottica e nella direzione della buona diffusione del Cristianesimo nell’attuale Molise assume un
significato assai particolare anche la famosa “Epistola ad Episcopos per Campaniam, per Samnium et per
Picenum…”, che Papa Leone I (Magno) scrisse, curiosamente non indicando l’Aprutium, il 6 Marzo del 459 (o
461) e con cui condannava “alcuni abusi relativi alla circostanza in cui veniva amministrato il sacramento del
Battesimo ed il modo con cui spesso si amministrava il sacramento della Penitenza o Confessione (con pubblico
libello)”(FERRARA V., Canneto sul Trigno, Vasto 1988, pag. 169).
215
122
Per la “Maccla bona” del periodo tardo-romano è ipotizzabile, così come lasciano pensare: a)
la condizione di particolare predisposizione della zona alla organizzazione di latifundia per la
produzione cerealicola, b) i frequenti rinvenimenti di reperti basso imperiali, e c) lo sviluppo
storico che essa avrà nel futuro, la presenza di non meno di una ‘villa’, la struttura produttiva
agricola dell’epoca, che porterà al superamento del ‘municipium’, la forma amministrativa
classica dei romani.
E così, “come molte altre badie benedettine… sorte sugli avanzi di città, templi o ville
sannitiche”218, su quanto restava delle ‘villae’ della ‘Maccla bona’, già sconvolta (V e VI
secolo) nel paesaggio dalla crisi demografica e dal movimento eremitico di matrice
equiziana, sorsero non più tardi del VII secolo la “Ecclesia Sanctae Mariae in Lumesano
loco Maccla bona”, la “Ecclesia Sancti Benedicti de Lemisano ibidem” e la “Ecclesia
Sancti Petri de Lumesano ibidem”, la quale ultima sarebbe da situare alle ‘Lame di S.
Pietro’ dove di essa è ancora possibile trovare qualche pietra lasciata, in quanto inservibile,
dai contadini della zona per le costruzioni delle loro ‘massarie’.
Costituiva quello benedettino tra il VII ed il IX secolo “un fenomeno sostanzialmente nuovo,
privo di continuità con il monachesimo dell’età tardo antica, e ciò non solo in senso
materiale, ma anche ideale e istituzionale”219 ed, ancor di più, culturale, in quanto allo
spontaneismo del secondo si contrappone per quello una ‘Regola’ precisa.
E, mentre la ricomposizione dell’organizzazione religiosa secolare “avveniva in maniera
lenta e per di più sotto il controllo quasi totale dei duchi longobardi, è sui monasteri che si
concentrò l’azione papale, e ciò non solo per diffidenza nei riguardi dei legami assai stretti
esistenti tra episcopato e potere politico, ma anche perché, data la situazione di spopolamento
che caratterizzava le campagne meridionali, erano i monasteri i soli a poter svolgere la
duplice funzione di centri di ripopolamento e di direzione della vita religiosa” 220. In tale
contesto è del tutto evidente che le strutture cenobitiche minori diventassero sempre di più
semplici strumenti a disposizione delle grandi abbazie (e non solo), divenute titolari dal 787
del privilegio dell’immunità negativa per le loro ambizioni e lotte politiche. Ed è così che
“l’aggregazione ad esse di un numero sempre crescente di monasteri e di chiese, queste
ultime a volte officiate da monaci eremiti o da piccoli nuclei monastici, che, si erano rivelate
strumento efficacissimo di animazione religiosa soprattutto nelle campagne”, era destinata a
diventare ben presto più estesa ed incisiva221. Alla necessità di tenere unita quella gran
moltitudine di ‘dipendenze’ si deve il formarsi e la codificazione tra la fine dell’VIII secolo e
gli inizi del successivo di consuetudini, che adattavano “alle esigenze di una vasta comunità,
non più riunita tutta insieme sotto la guida vigile dell’abate, ma smembrata in più nuclei di
diversa consistenza, i cui rettori, i prepositi, si ricongiungevano una volta all’anno, il 1°
agosto, al resto della comunità. Era in quell’occasione che essi ascoltavano dall’abate quid
facere, quid cavere, quid corrigere, seu qualiter sub Dei praesentia et timore cum regulari
observatione vivere deberent”222.
Una tale codificazione innovativa, ovviamente, avveniva nel pieno rispetto dello spirito della
‘Regola’, della quale, considerata la larga diffusione del monachesimo benedettino nell’area
limosanese, se ne riportano le linee e le caratterizzazioni essenziali.
“Poste le basi della vita cenobitica e ascetica nel prologo e nei capp. I-VII, nei seguenti capp.
VIII-XVIII sono le norme della preghiera liturgica e comune, mentre i capp. XIX-XX
indicano lo spirito che deve vivificarla insieme con l’orazione privata. Sistemata così la vita
spirituale, si passa a stabilire l’ordinamento del monastero. I capp. XXI-XXX ordinano la
218
QUARTULLO M., op. cit., pag. 49 e seg.
VITOLO G., op. cit., pag. 8.
220
VITOLO G., op. cit., pag. 20.
221
VITOLO G., op. cit., pag. 21.
222
VITOLO G., op. cit., pag. 22.
219
123
casa nelle sue linee generali, mentre i capp. XXXI-LVII ne regolano il regime materiale. Dal
cap. LVIII al LXI si tratta del reclutamento. Il gruppo seguente, capp. LXII-LXVII, dispone
la gerarchia e l’ordine della comunità, le sue relazioni con l’esterno. I rimanenti capitoli, dal
LXVIII al LXXII, sono delle aggiunte posteriori, intese a delucidare dei punti particolari di
disciplina o di ascetica, in relazione soprattutto alla vita di comunità. Il cap. LXXIII
costituisce l’epilogo. (…).
Questo edificio riceve coesione e garanzia di sicurezza dal voto di stabilità. E’ con esso che
san Benedetto prende decisa posizione contro il vagabondaggio e l’arbitrio individuale, i mali
che affliggevano e minacciavano il monachesimo dei suoi tempi. Con esso il monaco restava
fissato quasi da un’ancora spirituale nella sua via di perfezione, nel santo proposito di
perseverare in monastero fino alla morte. Ed il cenobio benedettino assume così quella
fisionomia giuridicamente stabile, che, mentre lo rende il modello della vita religiosa, offre
alle anime un saldo riparo. (…).
Ma soprattutto quest’ambiente è una famiglia,…, sotto la guida di un padre,… Colui che è il
centro e cardine di questa famiglia, l’abbate,…, riunisce nella sua persona gli uffici di
maestro e di padre. In questa Regola,…, è ignorata la parola,…, di superiore: chi presiede al
monastero,…, ha il carattere e le funzioni di un padre (abbas = padre), non di un’autorità
temuta; e l’ufficio suo, più che rigida custodia di una disciplina e mantenimento dell’ordine, è
la cura delle anime. Scelto dalla comunità e canonicamente installato, la sua carica è di per sé
perpetua,…
Se l’autorità paterna dà consistenza e carattere a questa famiglia, il raccoglimento e la
separazione dal mondo assicurano le necessarie condizioni di ambiente perché vi si possa
senza impedimento attendere alla ricerca di Dio. Ogni anima,…, deve procurare ciò, tenendo,
…, ad una adesione completa della propria volontà a quella del Signore, mediante
l’obbedienza; al conoscimento di se stessa, nell’esercizio dell’umiltà; ad una totale rinuncia
del proprio io e di ogni privato bene materiale, con la castità e la più completa povertà
personale, per cui deve sperare il necessario dalla provvidenza del padre di famiglia,…
Questa vita di unione a Dio si traduce nella preghiera, specialmente in quella che forma
l’occupazione principale, non il fine del monaco, l’opera di Dio, cioè la preghiera liturgica
comune, espressione della perfetta comunità di vita. (…). Essa dividerà la giornata del
monaco insieme con il lavoro, altro elemento essenziale, che il legislatore nobilita ed estende,
sì che ora et labora sarà poi nei secoli il motto sintetico della sua Regola. E se il lavoro
assumerà le forme più varie secondo i tempi e luoghi, sarà però sempre tale da salvaguardare
l’unica preoccupazione del Santo, quella di condurre le anime a Dio. In vista di questo fine
esclusivo, la casa, come una vera domus Dei, sarà ‘saggiamente amministrata’, in modo che
‘nessuno vi sia rattristato o conturbato’. Sarà quindi necessario che l’abate, non potendo far
tutto da sé, affidi ad altri ‘parte dei suoi pesi’. Se il numero dei monaci è grande, essi
verranno divisi in gruppi di dieci affidati alle cure immediate di decani; uno di essi, con il
nome di preposito, potrà, se proprio lo crederà necessario, coadiuvare direttamente l’abate e
farne le veci.
La Regola enumera pure altre cariche, i cui ufficiali attualmente disimpegnano anche le
attribuzioni degli antichi decani: il cellario, che avrà cura di tutti i beni temporali ‘quasi padre
per tutta la comunità’; il maestro dei novizi, ‘un seniore pieno di sollecitudine’ nell’esaminare
le disposizioni dei candidati; il forestario ‘la cui anima sarà piena di timore di Dio’;
l’infermiere anch’egli fornito di timor di Dio; il portinaio ‘un vecchio saggio a cui l’età
impedisce di vagabondare’.
Tutti questi incarichi vanno esercitati secondo le direttive date dall’abate, il quale può
rimuovere ciascuno dall’ufficio, qualora lo creda. Oltre questi aiuti, l’abate ha quello di una
duplice categoria di consiglieri. (…). Nei casi ordinari l’abate chiederà il parere dei seniori tra
124
i fratelli, i quali costituiscono quasi il senato del monastero. Ma nelle questioni più gravi tutti,
come è naturale in una famiglia, saranno chiamati a consiglio. Così il potere discrezionale e
paterno dell’abate viene soprannaturalmente temperato e la forma di governo cenobitico,…,
appare come un felice equilibrio fra quella monarchica, oligarchica e democratica.
Da questa società nessuna età, nessuna condizione o razza è esclusa:…, tutti vi possono
trovar posto,… Alla professione, pubblicamente fatta nell’oratorio con la esplicita promessa
della stabilità, obbedienza e conversione di costumi, o conversazione, va premesso un anno di
noviziato, in un locale separato, e vi si leggerà per tre volte per intero la Regola. I fanciulli
(oblati) sono offerti dai genitori. (…).
La diffusione di questa società, ossia la propagazione della Regola fu enorme”223.
Circa l’alimentazione dei monaci, evolutasi di molto nel corso dei secoli e sicuramente
migliore e più abbondante rispetto alla gente comune, va detto che la ‘Regola’ di san
Benedetto proibiva in modo assoluto l’uso della carne di quadrupedi, mentre consentiva, ma
solo implicitamente, il consumo di quella dei volatili (polli, pollastri e galline, capponi, oche
e papere, anatre, piccioni e colombe); nel periodo quaresimale però anche tale consumo era
severamente proibito. L’uso del grasso animale (lardo) non turbava l’etica alimentare
monastica, solo nei periodi di astinenza imposta veniva utilizzato l’olio di oliva. Assai diffuso
era il consumo delle verdure.
Quanto ai tre complessi cenobitici della ‘Maccla bona’, che, pur indipendenti l’uno
dall’altro, quasi certamente dovettero essere collegati tra di loro, essi, sin dall’VIII secolo e
per un periodo molto lungo, rappresentarono per gli abitanti della zona organismi notevoli di
direzione religiosa, di produzione agricola e di organizzazione sociale. Lo lascia ben
intendere quella espressione (“curtem Sancte Marie in Sala”), con cui una di esse veniva
indicata dalla bolla, databile tra il 1153 ed il 1154, di Papa Anastasio IV, specialmente se al
termine ‘curtis’ deve essere correlato “non quel particolare tipo di conduzione dell’azienda
agraria diffusissimo nell’Europa carolingia e noto appunto come sistema curtense, ma
soltanto la vecchia grande proprietà fondiaria, coltivata in gestione diretta dal proprietario
attraverso il lavoro di servi senza terra propria (definiti nelle fonti famuli, prebendari o
mancipia), magari stanziati sul fondo in nuclei familiari (le cosiddette condome)”224; ossia
quella “vecchia grande proprietà fondiaria”, nella quale si erano andati evolvendo i latifundia
e le ville del periodo tardo romano e che sta passando nella gestione dei monasteri.
Non parve vero all’Abbazia di Montecassino di potersi agevolmente inserire nello scontro
della seconda metà del secolo X (v. paragrafo 3.3) tra il Principatus beneventano ed il Clero
secolare nell’area del medio Biferno quando, nel 972, oltre a raggiungere senza contropartita
alcuna un obiettivo politico, assai importante, rappresentato dalla presenza in un’area
territoriale dove era sempre rimasta assente, poté impadronirsi anche della giurisdizione su
una “vecchia grande proprietà fondiaria”.
Si era nel mese di Settembre del 972, quando, spinti soprattutto dal timore di incursioni
saracene, “allo stesso modo furono offerte a questo Monastero tre Chiese, (situate) in
Limosano, e cioè Santa Maria, San Pietro e San Benedetto nella località ‘Maccla bona’, con
tutte le cose e le pertinenze delle stesse Chiese”225.
223
BUCCI S., op. cit. pag. 46 e segg.
FIGLIUOLO B., Il Molise dalla caduta dell’impero romano all’età angioina, Dispensa inedita, 1992, pag. 4.
Fondamentali, per chi voglia approfondire le conoscenze sull’organizzazione religiosa e sociale in epoca alto
medioevale, gli studi, veri classici sull’argomento, di DEL TREPPO M. e specialmente “La vita economica e
sociale di una grande abbazia del Mezzogiorno: San Vincenzo al Volturno nell’alto medioevo” (in ASPN, 1955).
225
Chronicon Cassinense, II. “… eodem modo oblatae sunt huic monasterio tres ecclesiae in Lumisano, id est
Sancta Maria, Sanctus Petrus et Sanctus Benedictus in loco Maccla bona, cum omnibus rebus et pertinentiis
earundem ecclesiarum”.
224
125
E che fosse assai grande l’interesse politico di Montecassino verso l’ambito territoriale del
medio Biferno, dove si sta vivendo un lungo periodo di contrasti politici e dove è da
“presumere che sia esistita un’unità amministrativa a sud della contea longobarda di Trivento
che occupa la media valle del fiume”226 e che non può non rappresentare anche una entità
politica, lo dimostrano le riconferme della sottomissione dei tre cenobi dopo circa un
cinquantennio. Queste, fatte nel lasso di tempo durato pochi mesi e singolarmente, sono la
“Oblatio Amiconis presbyteri de Sancta Maria in Lumesano loco Maccla bona” del Giugno
1019, la “Oblatio Richardi presbyteri de Sancto Petro ibidem” pure del Giugno 1019 e la
“Oblatio Berardi et Amiconis presbyterorum de Sancto Benedicto de Lumesano” del Marzo
1020227.
In seguito, dopo la riconferma a Montecassino con la ‘bolla’ di Anastasio IV, della quale già
è stato riferito, occorre aspettare le ‘Rationes Decimarum’ per altre notizie sui tre cenobi
della ‘Maccla bona’, situati tra Castelluccio di Limosano ed il corpo feudale de ‘la Sala’.
A Benevento: “4732 – Ecclesia S. Petri de Sala solvit tar III” nel 1308-1310228.
A Trivento: “4928 – Monasterium S. Johannis de Macla (solvit) tar XV”;
5018 – Clericis de S. Blasio de Macla Bona (solvunt) tar VIIII”229.
La decadenza del complesso badiale di S. Pietro, che a Benevento, in quanto ricade nel
tenimento di Limosano, paga solo “tre tareni”, deve essere imputata ad un possibile evento di
dissesto idrogeologico, del quale rimane traccia nel nome della contrada, in cui situava e che
attualmente è ‘le Lame di San Pietro’.
Alle altre due strutture monasteriali di S. Maria e di S. Benedetto viene assegnata (secondo
una prassi non rara ed abbastanza consolidata nelle cose della Chiesa del basso medioevo)
una nuova e diversa titolazione (S. Giovanni e S. Biagio), probabilmente nel momento in cui
entrambe passano nella giurisdizione della diocesi di Trivento, dalla quale non certo
casualmente dipende anche “4774 – Castellucium de Lipiosano (che paga) tar IIII.or”230.
Ed in effetti nella ‘bolla’ di Papa Alessandro III, data da Ferentino il 9 Aprile 1175, la Chiesa
di S. Benedetto risulta assegnata alla diocesi di Trivento con le seguenti parole: “…
concludens usque ad oppidum Ferrarii, quod est finis eiusdem episcopatus; ascendit denique
finis eiusdem usque ad ecclesiam Sancti Benedicti de Maccla bona, que est tui episcopatus,
…”231.
226
DE BENEDITTIS G., Fagifulae: Repertorio… cit., pag. 36.
HOFFMAN H., Chronik und Urkunde von Montecassino, in Quellen und Forschungen, LI (1972) da pag. 93 a
260, pag. 122 e seg. L’Hoffman riferisce anche di una ‘Oblatio Johannis presbyteri de rebus suis in Sancto
Johanne et Paulo de Limosano’ del marzo 1012. Circa le località indicate in tale documento: 1) ‘Sancto Joanne’
potrebbe essere identificato o con ‘San Giovanni della Serra’, che era assai vicino alla ‘Maccla bona’, oppure con
‘Santo Janni’, che, come contrada, esiste ancora, ma in prossimità dell’attuale abitato e, perciò, in posizione più
lontana rispetto alla stessa ‘Maccla bona’; in entrambe le località esistevano (ASC, Not. Di Rienzo Giovanpietro
di Fossaceca, atto del 17 Agosto 1595), nel XVI secolo, dei “casalenum ecclesie (= cappelle di campagna)”; 2)
‘Sancto Paulo’ potrebbe ben essere identificato con quella Chiesa di S. Paolo, dei cui ‘Clerici’ si parla al f. 190
della citata Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano e che la vicinanza con la contrada ‘Santo Janni’ porta a
localizzare là dove successivamente sorgerà il Monastero celestiniano di S. Pietro prima e, poi, di S. Maria della
Libera.
Tornando ai cenobi della ‘Maccla bona’, il DE BENEDITTIS (op. cit., pag. 36) aggiunge che “secondo il Bloch
(BLOCH H., Monte Cassino in the Middle Ages, 3 voll., Roma 1986, II, pag. 797) le tre chiese di S. Benedetto,
S. Pietro e S. Maria sarebbero da collocare nella contrada Macchia bona (nota: inesistente), presso Limosano”. Al
contrario, nella zona vi è una contrada, le “Macchie Colucci”, che, come toponimo ed almeno in parte, ben
potrebbe far pensare alla ‘Maccla bona’.
L’opera del Bloch risulta molto interessante anche per approfondire le notizie e la conoscenza sul Monastero di S.
Illuminata (v. nota 44).
228
INGUANEZ-…-SELLA, op. cit.
229
SELLA P., op. cit.
230
SELLA P., op. cit.
231
KEHR P.F., op. cit. in nota 72, V, pag. 575.
227
126
Gli importi dovuti da questi ultimi due complessi monastici (S. Giovanni e S. Biagio) li fanno
ritenere, ancora nei primi anni del XIV secolo, di rilievo e con a disposizione consistenti
patrimoni fondiari.
Da allora più nulla. Se non che, nel 1595232, ridotto a semplice ‘beneficium’, esisteva ancora
un “Casalenum Ecclesie de Sancto petro in dicto territorio limosanj et proprie ubi
dicitur a San Pietro”. Di esso e di ben altri cinque ‘beneficia’, con altrettante cappelle il
nuovo ‘beneficiato’, il “Reverendus D.nus Toma de aloijsio terre sancti angeli limosanj”, il
17 di Agosto prende possesso.
3.5 - Emergenze religiose minori e tentativo di ricostruzione del paesaggio medioevale
Da una ‘captio possessionis’, più volte citata, del 17 Agosto 1595, stipulata “in territorio
limosanj… et proprie ubi vulgo dicitur lo laco maiure” (che da un documento coevo risulta
ancora pieno di acqua) sappiamo che: “Ad preces nobis factas pro parte Reverendi d.ni Tome
de aloijsio Archipresbiterj terre sancti angeli limosanj nec non et per reverendum domnum
Angelum de rubeis dicte terre limosanj personaliter accessimus et nos contulimus ad sub.tta
beneficia, ut infra nuncupata sita in territorio limosanj et… ab uno ad aliud que beneficia
sunt: in quodam Casalenum ecclesie dicte de sancto vittorino situm et positum in territorio
limosanj et proprie ubi dicitur lo laco maiure super quodam magno saxo iuxta eius fines et ab
eo in quodam aliud Casalenum ecclesie dicte de santa Justa in dicto territorio limosanj et
proprie ubi vulgo dicit le macchie iuxta eius fines et ab eo in Casalenum sancti Joannis
bapta et Evangeliste situm etiam in dicto territorio limosanj et prope dictam viam ubi
dicitur a santo Janne, et ab eo in Casalenum ecclesie dicte de Sancto petro in dicto
territorio limosanj et proprie ubi dicitur a san pietro iuxta eius fines et ab eo in Casalenum
ecclesie dicte de santo Joanne della serra in dicto territorio limosanj et proprie ubi dicitur
la serra iuxta eius fines et ab eo in Casalenum ecclesie dicto de santo leone situm in dicto
territorio limosanj et proprie ubi dicitur la piana santo leo iuxta flumen bifernj et Confinia a
terra limosanj et feudi Casalis de Castell(ucci).o terre fosse. Omnia p.tta beneficia sine Cura
et beneventane diocesis”233.
La ‘Chiesetta’ del primo di tali ‘beneficia’, quello di S. Vittorino, che (come già si è visto
per S. Illuminata, S. Silvestro e S. Martino) era pur essa posta “super quodam magno saxo
(= sopra una ‘Morgia’)” a “lo laco maiure”, quasi certamente, e così come lascia intendere la
toponomastica fortemente corrotta nell’etimo, dovrebbe essere quella eretta sopra ‘la Morgia
232
ASC, Protocolli notarili, Not. Di Rienzo Giovanpietro di Fossaceca (Fossalto), atto del 17 Agosto 1595. V.
nota 84.
233
V. nota 89. “Per le preghiere fatteci per parte del Reverendo Don Tommaso de Aloisio Arciprete della Terra
di S. Angelo Limosano e per mezzo del Reverendo Don Angelo de Rubeis della suddetta Terra di Limosano
accedemmo e ci portammo ai sottoindicati ‘beneficia’, come sotto chiamati, siti nel territorio di Limosano e da
uno all’altro tali benefici sono: (ci recammo) in una tal ‘Cappella’ detta di S. Vittorino, sita e posta nel territorio
di Limosano e precisamente dove si dice ‘lo laco maiure’ sopra una certa grande pietra presso i suoi confini; e da
essa (ci recammo) in una tal ‘Cappella’ detta di S. Giusta nel predetto territorio di Limosano e propriamente
dove la gente chiama ‘le macchie’ presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ dei SS. Giovanni
Battista ed Evangelista, pure sita nel predetto territorio di Limosano e presso quella strada dove si dice a ‘Santo
Janne’; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S. Pietro nel predetto territorio di Limosano e
precisamente dove si dice a ‘S. Pietro’ presso i suoi confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S.
Giovanni della Serra nel predetto territorio di Limosano e propriamente dove si dice ‘la Serra’ presso i suoi
confini; e da essa (ci recammo) alla ‘Cappella’ detta di S. Leone sita nel predetto territorio di Limosano e
precisamente dove si dice ‘la Piana Santo Leo’ vicino al fiume Biferno ed ai confini tra la Terra di Limosano ed
il feudo del Casale di Castelluccio della Terra di Fossa(ceca). Tutti i predetti ‘beneficia’ (sono) senza cura e della
diocesi beneventana”.
127
di Santa Luttrina’; il posizionamento e, mancando ogni altra indicazione, solo quello la
vorrebbe molto antica.
Anche la ‘Chiesetta’ del beneficio di Santa Justa, il cui culto nel territorio molisano (v.
Palata, Baranello,…) era discretamente diffuso lungo i percorsi tratturali almeno dal IX-X
secolo, probabilmente deve farsi risalire a quel periodo; era situata a ‘le macchie’ nei pressi
dell’incrocio tra la strada che portava a Dirriporri ed a Ferrara e l’altra che dal Ponte,
passando al margine del bosco, risaliva sino a Montemarconi ed a Cascapera.
Delle ‘Chiesette’ dei SS. Giovanni a ‘Santo Janni’ e di S. Pietro, così come anche di quella
di S. Leone, probabilmente edificata subito dopo il passaggio di Papa Leone IX nel 1053 “in
loco Sale”, è stato già detto altrove. Ed è stato detto altrove anche del “benefizio sotto il tit.o
di S. Giovanni della Serra” e di quanto del suo patrimonio rimaneva nel tempo in cui si
compilò l’INVENTARIUM del 1712-13.
Più di un elemento (il fatto di essere ‘senza cura’, il cattedratico che pagava, la posizione sul
territorio,…) fa ritenere assai antica anche la Chiesa (v. paragrafo 2.1) del “Benef.o semplice
senza cura (animarum) sotto il tit.o di S. Antonio Abate (o, nel menzionato Inventarium
indifferentemente, ‘sotto il tit.o di S. Antonio de Vienna’)”, la quale era “distante dalla Terra
de Limusani quasi un miglio nel luogo dove si dice le Macchie, e talm.te diruta, che non si
possano ne meno giudicar le sue vestigia”. Potrebbe essere localizzata nell’attuale contrada
‘la Valle’, che ben soddisfa tutti i parametri indicati nella sua descrizione. E non è affatto da
escludere che in essa (magari mutandone il nome in S. Pietro) Pietro del Morrone vi
posizionasse l’eremo (v. capitolo seguente) fondato da lui in Limosano e che
successivamente i suoi monaci sposteranno, nelle immediate vicinanze dell’abitato, a S.
Maria della Libera.
Deve essere qui menzionata anche la Chiesa di S. Leonardo, ‘diruta’ all’epoca
dell’Inventarium (1712), che pure ne indica le dimensioni in palmi 38 x18; situava ad un
centinaio di metri circa dall’antico Ponte sul fiume Biferno; siccome la devozione a tale santo
si diffuse tra il X e l’XI secolo, è probabile essere stata edificata in quel periodo.
E’ quello che ne viene fuori un ambiente nel quale, parallelo alle grandi strutture cenobitiche
dove i ritmi della vita religiosa, più che seguire i dettami della ‘Regola’ e della
organizzazione benedettina, sono scanditi dai tentativi di incrementare il relativo patrimonio,
risulta molto diffuso un monachesimo spontaneo composto da eremiti solitari o da nuclei
monastici minimi. Spesso non ortodosso, esso, che in molti casi è fatto da genuina idealità, da
contestazione rabbiosa e, sempre, dal sacrificio estremo di una vita inumana, darà origine nel
secolo XIII (anche se continuerà a vivere di suo) al movimento francescano ed al desiderio di
separazione dal mondo che caratterizzerà non poco l’opera di Pietro del Morrone.
Se è in qualche modo vero che “i complessi monastici, tra il X e l’XI secolo ebbero
importanza nel determinare lo stanziamento di nuovi centri abitati, la rinascita di quelli
parzialmente ed in gran parte abbandonati e il riattamento e l’ampliamento delle vie di
comunicazione”234, è altrettanto vero che almeno tra le concause che determinarono la
decadenza a partire dal XII secolo ed, infine (secc. XIII e XIV), la tendenza alla scomparsa
delle strutture monastiche, che in precedenza da sole avevano controllato e gestito
economicamente il territorio, è da inserire la formazione della ‘Universitas Civium’, che
avviene nel momento in cui questa espressione inizia a sostituirsi al termine ‘Terra’, con il
quale era stato in precedenza indicato un insediamento abitativo.
In qualche modo e con gli elementi (non molti) disponibili, si tenterà di proporre una ipotesi
di ricostruzione del paesaggio umano e geografico relativo all’area limosanese così come
doveva presentarsi nel momento in cui stavano per iniziare quelle profonde trasformazioni, i
234
PIETRANTONIO U., op. cit., pag. 62.
128
cui effetti maggiori, nel tempo, vanno collocati tra il XIII ed il XV secolo (periodi degli
Svevi e degli Angioini).
Qualche dato per una ipotesi sulla presenza demografica, innanzi tutto, è possibile derivarlo
dalle ‘Rationes Decimarum (1309)’. E così, stimando in 4000 unità il numero degli abitanti di
Limosano (XIII secolo) secondo le indicazioni dei documenti della Collectoria t. 61
dell’Archivio Vaticano (v. paragrafo 1.5), il raffronto con le ‘Decime’, che indicano in “unc
III (et) tar XXIIII” l’importo dovuto da Limosano, porta a determinare (4000/114) in 35 un
coefficiente da moltiplicare per ogni ‘tarì’ di decima al fine di ottenere approssimativamente,
ma abbastanza realisticamente, la popolazione di ogni insediamento abitativo.
Con una tale logica si ha la seguente ricostruzione della geografia degli insediamenti
antropici:
A)
alla destra del Biferno
01 – 5108 (Boiano): Clerici Campibassi unc. I
CAMPOBASSO
(30x35)
1050
02 – 5036 (Boiano): Clerici Rivi de Limosano tar XII
RIPALIMOSANO
(12x35)
420
03 – 5061 (Boiano): Clerici Montisagani tar XI
MONTAGANO
(11x35)
385
04 – 5075 (Benevento): Monasterio S. Marie de Faysulis tar V
MONASTERO DI S. MARIA DI FAIFOLI
(5x35)
175
05 – 5107 (Boiano): Clerici Colli Rotundi tar III
COLLEROTONDO
(3x35)
105
06 – 5038 (Boiano): Clerici Petrelle tar VIIII
PETRELLA
(9x35)
315
B)
alla sinistra del Biferno
01 – 4851 (Benevento): Limosani unc. III tar XXIIII
LIMOSANO
(114x35)
3990
02 – 4840 (Benevento): S. Angelus de Limosano tar XXIIII
S. ANGELO LIMOSANO
(24x35)
840
03 – 4869 (Trivento): Castrum Ferrarium tar VI
FERRARA
(6x35)
210
04 – 4745 (Benevento): Prior S. Silvestri de Limosano tar III
S. SILVESTRO DI LIMOSANO (il Priore)
(3x35)
105
05 – 4749 (Guardialfiera): Clerici Liceti tar V
LUCITO
(5x35)
175
06 – 4755 (Guardialfiera): Civitas Campumarini tar VI
CIVITACAMPOMARANO
(6x35)
210
07 – 4879 (Trivento): S. Angelus (in Altissimis?) tar IIII
S. ANGELO IN ALTISSIMO (?)
(4x35)
140
08 – 4883 (Trivento): S. Petrus de Balneo tar XV
S. PIETRO AL BAGNO
(15x35)
525
09 – 4769 (Trivento): Rocca Episcopi tar VII
ROCCA DEL VESCOVO
(7x35)
245
10 – 4774 (Trivento): Castellucium de Lipiosano tar IIII.or
CASTELLUCCIO DI LIMOSANO
(4x35)
140
11 – 4928 (Trivento): Monasterium S. Joannis de Macla tar XV
S. GIOVANNI (già S. Maria) DI MACCHIA
(15x35)
525
12 – 5018 (Trivento): Clericis de S. Blasio de Macla bona tar VIIII
129
S. BIAGIO (già S. Bendetto) DI MACCHIA
(9x35)
315
13 – 4732 (Benevento): Ecclesia S. Petri de Sala tar III
S. PIETRO DI SALE (o Macchia Bona)
(3x35)
105
14 – 4777 (Trivento): Fossaceca tar VIIII
FOSSACECA (o Fossalto)
(9x35)
315
15 – 4779 (Trivento): Petracupa tar III et ½
PIETRECUPA
(3,5x35)
120
16 – 4872 (Trivento): Ecclesia S. Marie de Castenneto tar XVIII
S. MARIA DI CASTAGNETO
(18x35)
630
17 – 4930 (Trivento): S. Alexander tar VII
S. ALESSANDRO
(7x35)
245
18 – 4931 (Trivento): Clericis de Torella tar VII
TORELLA
(7x35)
245
Per una maggiore completezza della ricostruzione va aggiunto che, seppur non ricompresi
nelle ‘Rationes Decimarum’, è notizia da fonti coeve anche di altri ‘Casali’, villaggi minimi
ed assai modesti per dimensione. Di Cascapera si è già riferito. Il Casale di Covatta situava
alla destra, e non molto distante dal fiume, del Biferno, a mezza strada tra Ripalimosani e S.
Stefano di Campobasso; poteva contare una settantina di abitanti. Il Casale di Spiracolo,
insediamento di una cinquantina di individui collegato al Monastero di S. Illuminata, era “sito
in prossimità dell’abitato (di S. Angelo Limosano), e si ritiene che in antico tempo vi
sorgesse un villaggio”235. Il Casale di Colle Alto, di una ottantina di abitanti, era al confine
tra Castropignano e Torella “et proprie in loco ubi dicitur il Colle del Bove, ubi sunt tres
confines, scilicet dictorum Territorium demanialium dicte Terre Castripignani, d.ti Feudi
Coll’alti, et feudi nominati de Castelluccio, siti in pertinentiis Terre Fossececae”.
A margine del quadro della presenza antropica, che i pochi dati disponibili, pur nella loro
approssimazione, han fatto emergere, non si può prescindere da qualche annotazione
essenziale. Innanzi tutto va detto che gli insediamenti abitativi sono ancora diffusi ‘vicatim’,
e molto, sul territorio. Il numero, poi, della presenza umana vincolata dal lavoro, inteso come
strumento di produzione, ed asservita agli ambiti giurisdizionali dei complessi monastici
risulta ancora assai consistente.
Vengono, infine, confermati, ed integralmente, tutti gli elementi utili alla ricostruzione degli
aspetti geografici e, più importante, della vita socio-economica, già emersi dalla lettura dei
documenti della citata Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano.
Quanto agli aspetti geografico-fisici, sono scomparse del tutto le aree paludose lungo il fiume
ed, a dominare sul paesaggio, sono rimaste, ancora discretamente diffuse, la macchia
cespugliosa ed il bosco, che, nell’agro di Limosano, sarebbero da posizionare nelle attuali
contrade Cese, Selva, Selvitella, Foresta, Macchie e Bosco Fiorano. Le ampie zone di incolto
si intervallano ancora con le parti coltivate, che, estese per la gran parte intorno ai piccoli
‘Casali’ sono gestite da quei monaci, che, se talvolta e per scelta conducono vita eremitica,
assai spesso sono veri e propri amministratori di patrimoni monastici non altrimenti
controllabili, rientrano, comunque e sempre, ancora nel disponibile delle grandi strutture
cenobitico-curtensi.
Circa gli aspetti socio-economici della vita di allora è, prima di ogni altra cosa, emerso che
gli esponenti del Clero, sia secolare che regolare, riescono ancora a contrastare nello scontro
fattosi aspro, l’affermazione del ‘dominus’ laico. Il loro comportamento nella società,
vivendo quasi tutti more uxorio con donne, è caratterizzato soprattutto dalla grave piaga del
nicolaismo.
235
MASCIOTTA G.B., II, pag. 332.
130
E se gli esponenti del Clero e di quella borghesia intellettuale, sorprendentemente assai
diffusa e particolarmente attiva, si trovano al vertice della scala sociale, sul gradino
immediatamente più basso vi sono i “millecinquecento uomini armigeri di quella Terra (=
Limosano)”, i quali, però, non sembra costituiscano una vera e propria classe sociale, bensì
sono i lavoratori ‘attivi’ più agiati, che solo all’occorrenza si fanno carico dei compiti
militari.
I prodotti (armi, attrezzi di lavoro ed utensileria varia) della fiorente ed assai diffusa
‘industria’ locale del ferro, vengono fabbricati nelle caratteristiche ‘fucine’ ricavate dalla
massa tufacea su cui situa l’abitato limosanese.
Superati gli schemi dell’economia curtense, risulta molto praticato il commercio, se è vero
che anche dai centri viciniori coloro che vogliono comprare o vendere qualcosa vengono a
Limosano e vi trovano quanto cercano. La produzione artigianale, oltre che nelle tante
‘poteche’ concentrate davanti alla ‘casa della Terra’ ed in quella piazza, che per secoli ha
significativamente mantenuto il nome di ‘piazza de le botteghe’, viene venduta anche in
forma ambulante dai ‘caldararj’, che arrivano sino a Benevento, a Lanciano ed ai centri
della Puglia dauna. E con essi è fiorente e frenetico anche il via vai di quei “molti uomini che
conducono somari carichi di frumento e di orzo”.
Alla base della piramide la classe più consistente è formata dagli “homines laborantes terras”.
Ed essendo scarso il coltivabile nella loro Terra, la quale “ha un territorio che da quel lato
dove più si estende non si estende per oltre un miglio”, gli uomini di Limosano vanno a
lavorare le terre di S. Angelo, di Ferrara, di Castelluccio e di Cascapera.
E la mancanza di terra non è il solo problema dei limosanesi di allora. Difatti, siccome nel
territorio della loro Terra “non vi è legna sufficiente", essi sono costretti ad andare per legna
al territorio di Cascapera, di S. Angelo e di Ferrara. E, poiché spesso si recano anche ai
boschi di Montagano e, soprattutto, perché conducono gli animali nei boschi di Trivento e di
Petrella, può succedere che persone ed animali vengano “catturati (capti)” dai guardiani dei
boschi. Ed in simili circostanze non sono infrequenti gli scontri armati.
E, da ultimo, poiché “nessun pozzo o fonte sta in quella Terra o nel suo territorio, eccettuate
due fonti od una di acqua amara, ovvero salza, esistenti ai piedi del Tufo”, gli uomini e le
donne sono costretti a recarsi sino al fiume per l’approvvigionamento dell’acqua necessaria
per la sopravvivenza.
A mo’ di conclusione, si può affermare che, pur tra condizioni di mille difficoltà e di una
certa drammaticità, la società limosanese di allora è quella di un centro agricolo molto
sviluppato e preminente sul territorio. E questa sua presenza non poteva non venire che da
assai lontano ed era certamente di ‘lunga durata’236.
236
BOZZA F., Limosano: società e geografia dopo l’anno mille, in Vita Diocesana di Campobasso, 15 settembre
1998, pag. 6.
131
CAPITOLO 4°
LA ‘RELIGIONE’ CELESTINA ED IL MONASTERO DELLA ‘LIBERA’
132
133
LIMOSANO: Localizzazione del Monastero di S. Maria della Libera dell’ordine dei Celestini
134
4.1 - S. Pietro Celestino
Una nuova ipotesi di studio finalizzata alla individuazione del vero luogo di nascita di Petrus
de Murrone monachus, filius Angelerii, l'eremita, che poi, col nome di Celestino V, diventerà
papa, potrebbe venire da una seria ricostruzione critica della progressione cronologica e
bibliografica delle fonti e delle sue biografie più significative.
135
Non è il caso di prendere in considerazione la Bolla di Papa Gregorio X, del 22 marzo 1274, di
confermazione della Congregazione dei frati di Pietro del Morrone, sorta già verso il 1240 ed
alla quale il Papa Urbano IV, il 1° giugno 1263, aveva dato la Regola di S. Benedetto,
semplicemente perché in essa non si trova menzione alcuna della patria dell'eremita. E
neppure "è il caso di prendere in considerazione la Bolla del Vescovo di Isernia Matteo del
settembre 1276; in essa niente è detto, neppure sottinteso, che si riferisca alla nascita del
Religioso Fra Pietro,..."237.
Nonostante abbia trovato eccessiva fortuna tanto da rappresentare "il primo argomento a
favore di Isernia"238 e nonostante (ma forse proprio per tale motivo) sia sin troppo esplicita e
precisa nel riportare che "igitur quia ysernienses aliqui cives nec non et quidem alii forenses
in unum coniuncti glutino caritatis, opera et labore religiosi viri fratris Petre de Murrone
huius civitatis Ysernie civis, ut certo tempore eorum operibus ipsis et pauperibus convivia
preparent, ut nemini per eos lesio fiat, ut sacrificia Deo libent, ut infirmi visitentur, pauperes
ex ipsis in necessitatis tempore substententur et aliis bonis operibus insistant, Fratariam seu
Fraternitatem fecerunt;...", nemmeno la Bolla del Vescovo Roberto, del 1° ottobre 1289,
costituisce prova ed argomentazione sicura.
Prima di tutto perché vi osta tanto l'attento esame linguistico sia delle parole che della
composizione testuale quanto quello formale dell'atto. In secondo luogo perché il documento,
"conservato in pergamena in folio nell'Archivio Capitolare"239 di Isernia [ma l' isernista
"Ciarlanti, ottimo conoscitore" di tale Archivio, il quale pubblica le sue Memorie historiche
del Sannio (1644) quasi contemporaneamente e, forse, con e per gli stessi interessi del Telera
(1648) e dello Spinelli (1664), "non facendo menzione neppure ad nudam notitiam di questa
Bolla del Vescovo Roberto", mostra di non conoscerla e, pur essendogli nota "la Vita scritta
dal Marino (1630), favorevole a S. Angelo Limosano", "non ha la minima premura di
confutarne gli argomenti"], "rimonta al secolo XVI" ed è rappresentato "da una copia
semplice, non autentica"240. E, da ultimo, perché tali circostanze tutte si associano al fatto che
"il primo ad addurre tale Bolla a favore di Isernia fu Celestino Telera, nelle sue Historie sagre
degli huomini illustri per Santità della Congregatione de' Celestini"241. Ma sul Padre Telera da
Manfredonia, che "invece di curare l'edizione dell'Autobiografia totalmente conforme
all'originale, qua e là, anzi in più punti, ne alterò il testo e dimostra di non potersi rassegnare al
fatto che S. Pier Celestino fosse nato in un castello piuttosto che in una città"242, "che
affidamento possiamo fare, alla luce dei suoi falsi?"243.
Al contrario e tenendo nella dovuta considerazione: a) che l'abbreviazione Mo.E., in caratteri
gotici, potrebbe ben stare per Mosane, b) che, come aveva già indicato il De Angelis, Ausoni
potrebbe ben essere errore del copista nel trascrivere il genitivo della parola Musane e c) che
dai Registri della Cancelleria Angioina (Vol. XIV, pag. 145, n. 93), coevi a Pietro del
Morrone, e dai manoscritti della Collectoria t. 61 dell’Archivio Vaticano (v. capitolo 1°) si
assegna sempre a Limosano, come esclusivo parametro di localizzazione amministrativa,
perfettamente in linea con quanto a molte fonti della storia celestiniana, il trovarsi "in
237
DE ANGELIS E., La Patria di S. Pier Celestino, Ravenna 1958, pag. 17. "La Bolla del Vescovo Matteo,
conservata in originale autentico nell'Archivio Capitolare di Isernia, è diretta ai Religiosi Fra Pietro del Morrone,
Abbate di S. Maria di Faifoli, Diocesi di Benevento, ed ai suoi frati, dimoranti presso Isernia, nella Chiesa di S.
Spirito dell'Ordine di S. Benedetto, costruita di nuovo. Nel corpo della Bolla è detto né più e né meno che 'il
Vescovo Matteo, col consenso di tutto il Capitolo, nel IX anno del suo Episcopato, esenta dalla giurisdizione
vescovile il Monastero di S. Spirito presso Isernia'".
238
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 17.
239
FAGIOLO V., Le Confraternite, Campobasso 1996 (postfazione di BUCCI O.), pag. 122.
240
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 17.
241
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 18.
242
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 47.
243
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 54.
136
Justitiariatu Terre Laboris", il cui ‘Giustiziere’ titolare vi si reca per gestire la “Iurisdizione” e
per esercitarvi la giustizia; il contenuto dei codici e dei documenti, dai più antichi di fine
secolo XIII [per es.: il Prologo (1296) di Roberto de Sale, che recita "in castello Sancti Angeli
natus dicitur"] e del successivo [per es.: la Vita 'C' (1303-1306) riferendosi a S. Maria di
Faifoli, dice "quod erat in provincia unde ipse exiterat oriundus" e il Ms. C. I. V n. 68
Biblioteca Marciana, il cui modello della terza parte "o fu tracciato contemporaneamente al
modello della seconda, o fu elaborato prima del 1319" ed "ebbe per copista il padre celestino
Stefano Tirabuschis", riporta, in caratteri gotici del 1400, "in provincia de terra de Mo. E., in
uno castello chiamato Sancto Angelo"] a quelli del XV [per es.: la Vita Beatissimi Confessoris
Petri Angelerii (1471/1474) di Stefanus Litianus, Abbas Generalis Coelestinus, dove si legge
"Petrus de Castello Sancti Angeli, comitatus Molisij, prope Limosanum" e, riferito al luogo
della monacazione, "in quo et ipse recepit monasticum habitum, cui nomen erat Sancta Maria
in Fayfolis, prope terram Limosani et Sancti Angeli castellum, unde iam ipse oriundus fuit"] e
sino a quelli del XVI secolo [per es.: la Vita (1520) di Notturno Napolitano recita "una città
Lemusane apellata"], può ben essere riassunto nelle parole del documentato e criticamente
severo Daniele Papebrochio: sunt tamen vetusta Mss. (quorum pars prior scitur ex Prologo
scripta esse a B. Roberto Salentino) ubi in Castello S. Angeli natus dicitur, et Nocturnus Poeta
Limosinum sancti patriam facit: (quae duo loca situ coniunctissima sunt).
A questo punto, un dubbio: ma non è che debba leggersi nella storia della Religione
celestiniana, dopo il Concilio di Trento e, con determinazione ancora maggiore, a partire dai
primi anni del secolo XVII, un tentativo, tanto evidente nei fatti quanto nascosto ed occultato
dalle fonti, di spostare da S. Angelo ad Isernia la patria di Pietro del Morrone? Ad esso, pare,
faceva riferimento già Mons. De Angelis, quando scrive: "la leggenda dice che il santo nacque
in Isernia dei Sanniti. Quale è la fonte? La letteratura storica del 1600, i cui migliori esponenti
sono due: Arnoldo Wion della Congregazione Benedettina di S. Giusta in Padova col suo
Lignum Vitae (Venezia 1595), ed il Marini (Vita et Miracoli di San Pietro del Morrone già
Celestino Papa V, Milano 1630), forte del ricchissimo Archivio dell'Abbazia di S. Spirito del
Morrone"244. Lo stesso Marini, che, "come Abbate Generale della Congregazione Celestina,
ebbe a sua disposizione documenti copiosi e sicuri, lavorò con diligenza, intensità e
scrupolosità senza pari, e si recò di persona nelle varie città, sedi di Monasteri Celestini, per
raccogliere notizie e documenti"245, "aiutato nelle ricerche dall'Abbate D. Francesco Aielli"246,
ne lasciava intravedere l'esistenza, quando scriveva che "La patria del Santo secondo
l'opinione volgare fu Esernia... Altri scrittori nondimeno hanno lasciata memoria, che il luogo
dove nacque Pietro, fu un Castello chiamato S. Angelo: Così hanno alcuni Manuscritti
antichissimi, la prima parte dei quali si professa nel prologo, che fu lasciata scritta di propria
mano da un Monaco di Santa vita discepolo del Santo e si ha che fu Beato Roberto de Sale
(nota: per la localizzazione, si noti la particolarità dell’espressione)". Ma era il Marini
documentatissimo, per un verso, e, per l'altro, costretto da superiori esigenze a mettere in
evidenza, a fronte ed in contrasto con le risultanze dei Manuscritti antichissimi esaminati (ne
indica: uno che "ora vien conservato dal Molto Reverendo Padre Abbate Don Francesco
d'Aielli" ed altri "duoi manuscritti antichissimi, nei quali è descritta la vita del Santo assai
minutamente uno dei quali in carta pergamena fu trovato da me gli anni passati in occasione
di visita nell'Archivio del nostro Monastero di San Nicolò dei Celestini di Bergamo, e questo
fu scritto da un discepolo del Santo,...; l'altro... fu scritto da altri discepoli separatamente,
secondo che avevano visto"), i quali coincidono con gli stessi vetusta Mss. del Papebrochio,
244
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 35.
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 11.
246
DE ANGELIS E., op. cit., pag. 30.
245
137
che indicano, come patria di Pietro, il Castello chiamato Sancto Angelo, il formarsi, in quel
preciso momento storico, della opinione volgare, che deve favorire e privilegiare Isernia.
I 'falsi' del Telera, successivamente, rappresenteranno solo ed esclusivamente la fase terminale
di quell'intervento tipico della e da Controriforma.
Per inciso: una delle prime biografie di Pietro del Morrone "fu lasciata scritta di propria mano
da un Monaco di Santa vita discepolo del Santo e si ha che fu Beato Roberto de Sale". Questa
località di origine del Beato Roberto, Sale, è la stessa di quel "loco Sale iuxta Bifernum
fluvium" del Chronicon Volturnense del monaco Giovanni (III, 332 A e B), 'sconosciuto' per
gli storici, ma che trova la sua precisa collocazione geografica nell’omonimo corpo feudale
confinante col "Casale di Castelluccio", il cui clero nelle Rationes Decimarum del 1309 "solvit
Tar. IIII.or", ed "è di tomuli mille, e cinquecento incirca" e dove, dominato dal Monastero di
S. Pietro de Sala, che, anch'esso, nelle Rationes Decimarum del 1308-1310 "solvit Tar. III", si
era accampato col suo esercito Papa Leone IX il 10 giugno 1053 "cum... contra Apulie fines
pergens". Quel corpo feudale era, ed è, come S. Angelo, nell'area limosanese e "li Territorij
detta la Sala è terminata dell'infratto modo: Incomincia alla strada publica dello Fiume
nominato Biferno, quale strada se nomina lo passo della Covatta, e se ne vene sempre per la
strada publica suso in sino alla strada che se piglia per andare alla Fonte della Valla,
seguitando per lo Frattale traverso, che esce sotto detta Fonte, e se ne vene sempre strada in
sino à Fonte Faucione alla Confina, che è fra S. Angiolo, e Limosano, e del resto confina da
ogni banda con lo Casale di Castelluccio e Territorij di Fossacieca"247.
Più che una pura coincidenza geografica di nomi, la circostanza starebbe a dimostrare che
anche il Beato Roberto de Sale, biografo tra i primi e, sempre tra i primi, seguace filiale e
fedele, era, e non poteva non esserlo, originario degli stessi luoghi in cui era nato il suo
Maestro. E rappresenta, inoltre, un ulteriore punto a favore del Castellum Sancti Angeli come
patria di Pietro del Morrone.
Tornando all'intervento modificativo esterno ed accertatane l'esistenza, quali furono le
motivazioni, le modalità attuative e, soprattutto, le finalità?
Il privilegio, di lunga data e quasi esclusivo, di poter disporre della ricchezza, tanto
patrimoniale e fondiaria che del circolante monetario, permetteva al Clero, secolare e regolare,
sia nei singoli esponenti che nelle specifiche istituzioni, di menare, e contro ogni morale, vita
dissoluta, godereccia e scandalosamente concubina. Più che la cura delle anime, l'unica
preoccupazione sua era quella di imitare, se e quando già non vi appartenesse per nascita, i
modi di vivere degli esponenti della classe feudo-baronale. Così che parrocchie e conventi
erano diventati, pur se una siffatta situazione di disagio non va assolutamente ed in nessun
caso generalizzata, ricettacolo di amanti e di prostitute248.
Derivata da quella cultura monastica alto medievale, che in origine si era concretizzata
nell'amministrazione delle attività economico-produttive al servizio dei villaggi-curtes, la
gestione dei patrimoni ecclesiastici, via via sempre più ingenti e nel cui alveo anche le cose del
sacro erano state ricondotte, si era, col trascorrere dei secoli, mondanizzata, degenerando nello
strozzinaggio e nell'usura. Così che la concessione, ad interessi insopportabili, di prestiti, e
247
ASC, Protocolli Notarili, Not. Santoro di Fossaceca, atto 8 luglio 1596.
Significativo quanto accadde nel 'Conventino', il primo dei Frati Cappuccini fondato (1530) nel Molise ed il
sesto di tutto l'Ordine, di Castelluccio Acquaborrana (Castelmauro). Trascriviamo dalla "Cronichetta", già citata,
pag. 531: "Questo fu uno dei primi luochi pigliati in questa nostra Provincia, il quale sì per la paucità di frati
come anco per che un vicario del vescovo forzatamente introduceva in detto luogo una sua amica contro il
voler de frati, da quali quantunque avisato et pregato ad emendarsi, altramente, pigliandosi li calici,
harrebbono lasciato il luogo, persistendo nella sua occecatione et pertinacia, fu da frati lasciato il luogo per
vivere conforme la loro purità. Del che poco lui curandosi, il Guardiano d'esso luogo disse che Iddio benedetto
l'haverrà castigato per detta insolenza conforme meritava il suo peccato. Ma avvenne in successo di tempo che,
volendo il predetto prete intrare nella chiesa maggiore, un suo nemico con un colpo di ronca li spaccò la testa
et morse malamente".
248
138
monetari e di derrate, rientrava tra le normali attività di monasteri, conventi, parrocchie,
confraternite e di quant’altro era all'ombra delle Chiese.
Da ultimo, ma non per importanza, grosse e compromettenti devianze dalla ortodossia
dottrinale ed, a queste riconducibile, il diffuso traffico di increduli, ebrei e musulmani, già
schiavi o da schiavizzare, erano assai presenti nelle strutture del Clero, sia regolare che
secolare, come dimostrano i frequenti scontri che si verificavano al loro interno.
Le ragioni tutte, cioè, che portarono alla Riforma protestante, le cui radici affondavano in un
passato lungo di secoli e che, come la Controriforma, durerà, tra resistenze e difese di interessi
più o meno nascosti, ben oltre il Concilio di Trento e certamente per tutto il secolo XVII, si
vissero anche dai Celestini e pure nello specifico molisano.
Come quelli, se non in misura maggiore, di altre osservanze, i monachi della Religione dei
Celestini dovettero risultare coinvolti in sconcezze, sregolatezze e dissolutezze249 di tale
gravità da consigliare ai Superiori della Congregazione di ridare ad essa una nuova immagine,
di ridescriverne la storia e, se fosse stato necessario per ri-ottenerne la credibilità di un tempo,
di mutare le origini stesse all'Ordine e (perché no?) al suo Santo Fondatore. Era, inoltre,
necessario riportare con ogni mezzo la Congregazione nell'alveo della ortodossia, dalla quale
alcuni suoi esponenti avevano deviato.
Si principiò a por mano ad una tale operazione chirurgica, decisa a Concilio di Trento
terminato e che aveva per obiettivo mutamenti tanto radicali quanto complessi, sin dagli ultimi
decenni del XVI secolo, come dimostrerebbe la presenza (v. nota 13) nel 1571 a Limosano di
Fra' Antonio de' Diano con l’incarico di Commissario deputato per il Rev.mo Generale de'
Celestini.
249
E come a Trivento "c'era un convento maschile di Celestini in cui entravano donne, in cui non si osservavano
le regole ed in cui si commettevano mali di ogni genere" (v. DELMONACO A., Quelli della Pietra cupa... cit.,
pag. 117), così anche per il Monastero di Limosano, dove nell'anno 1571 (24 agosto) è provata la presenza di un
"commissario deputato per il Rev.mo Generale de' Celestini", mentre è Priore il Rev.mo Albano, "ordinis ac
congregationis S.ti Benedicti, monacus celestinianus", è da ipotizzare molta rilassatezza nella vita monastica.
Un ‘modus vivendi’ del genere durò per un periodo di tempo assai lungo. Lo proverebbe quel memoriale, del
quale parla il Not. DE BARDIS Giulio Cesare di Trivento in atto del 1° Ottobre 1645 (ASC, Protocolli notarili), e
di cui “tenor Memorialis est:
Ill.mo ac R.mo Sig.re
Il Procuratore Generale de Celestini dice a V.S. Ill.ma come ad istanza di Malevoli di detta
Congregat.ne fù dato a V.S. Ill.ma memoriale contro il Padre D. Pietro de Mercone (il quale almeno dal 7
Gennaio 1742 era ‘Prior Sancte Marie ad Maiellam Civitatis Triventi’) di negotij illeciti, e per V.S. Ill.ma fù
ordinato che se ne pigli informatione, e per opra di detto Malevole fù commessa ad un Prete parente suo, il
quale Comm.o senz’altra informat.ne subbito cacciò da dentro Monasterio il detto P.re, et le pigliò trentatrè
tommola di grano, doi tommola d’orgio, doi tommola di fave, alcune pezze di Cascio, un poco d’oglio, et sale, e
tutti l’utensili, biancarie, caldare, legne, candalieri, e sequestrato il Calice, le quale cose sono tanto per
servitio, et uso del detto povero Monasterio, e per tale effetto <???>, per tanto supplica V.S. Ill.ma resti servita
ordinare che subito siano restituite…”.
139
Negli anni che seguirono alla vicenda (1604-1615) di Suor Giulia de Marco250, quasi
certamente quell'operazione ebbe un'accelerazione fortissima. Tanto che Papa Paolo V, nel
gennaio del 1616 e, quindi, dopo appena sei mesi dalla conclusione di quella vicenda, approva
le nuove Constitutiones della Congregazione dei Celestini, nelle quali figura l'elenco delle
'Abadie, Priorati e Chiese' allora esistenti, tra cui il Monastero di S. Pietro a Limosano, che in
questo preciso momento storico cambia anch’esso la titolazione per diventare "di S.ta Maria
de' libera, Monasterio di S.to Pietro Celestino". Semplice coincidenza di date? Ed i vari e
quasi singolari donativi patrimoniali al monastero di quel centro da parte di alcune nobildonne
delle Terre circonvicine sono pura casualità? O non stanno a dimostrare che la vicenda di Suor
Giulia ebbe anche nella provincia un seguito maggiore di quanto dica, o le si faccia dire, la
cronaca del tempo?
Dopo aver tentato di renderne visibile un minimo di credibilità, l'intervento di rifondare la
Congregazione Celestina può dirsi del tutto esaurito con la relazione seguita all'inchiesta
voluta e ordinata dalla "santità di N. S. Innocenzo X per (mezzo di) un decreto pubblicato li 22
250
Per una prima conoscenza della vicenda di Giulia de Marco, molisana di Sepino, si veda MASCIOTTA G.B.,
II, pag. 361-366. Costituendo essa una chiave di lettura assai interessante ed originale per la comprensione della
storia e della società del '600, ne riportiamo i tratti essenziali che prendiamo, passim, dall'articolo di PALUMBO
C., Giulia De Marco una molisana tra i protagonisti del Quietismo a Napoli nella prima metà del '600, in AM
1992, I, pag. 155 e segg. Nel 1575, "Giulia De Marco nacque a Sepino, in provincia di Campobasso, da un
bracciante e da una turca convertita al Cattolicesimo. Servì, in qualità di domestica, nella casa di un negoziante di
Cava, prima in Campobasso e poi a Napoli. Uno staffiere la rese madre. Ravvedutasi, rivestì l'abito del Terzo
Ordine di S. Francesco. Ma, giovane intelligente e astuta, non ritenne di doversi rassegnare ad imitare la
Maddalena del Vangelo. All'età di trent'anni scelse come suo confessore il P. Aniello Arcieri e seppe presto
acquistarsi fama di grande santità, riuscendo così a far correre presso di sé gente di ogni sesso e condizione,
ingannata dalla sua finta santità. (...).
I seguaci di Giulia e di P. Arcieri si distinguevano in due categorie: i nuovi affiliati e gli intimi. I nuovi affiliati, o
novizi, venivano attratti e resi costanti mediante un'apparente rettitudine di vita e santità. Gli altri, ormai
assicurati al carro di Suor Giulia, venivano gradatamente istradati nella via di una degenarazione morale. (...).
Fra tutti gli affiliati si distinse l'avvocato Giuseppe De Vicariis, colto e, ancora, furbo. Fu allora che venne
fondata una Congregazione, nella quale si tenevano conferenze serotine con un numero limitato di dieci uomini e
di dieci donne per volta.
Ma l'inquisitore Mons. Adeodato Gentile, che diffidava delle voci di santità accreditate dalla folla,..., volle
procedere ad un'inchiesta. Il risultato fu quale si prevedeva: gravi disordini morali, uniti a sconcezze.
Il P. Arcieri fu chiamato a Roma e sospeso dalla confessione; Giulia fu rinchiusa nel Monastero di Sant'Antonio
da Padova in Via Costantinopoli. In seguito, Mons. Gentile,..., fece relegare Giulia in un monastero di Cerreto, e
poi in un monastero di Nocera.
Ma l'interessamento e le pressioni dei Reggenti e dei Consiglieri del Collaterale ottennero che Giulia ritornasse a
Napoli, dove fu accolta al suono delle campane e dal popolo inginocchiato a riceverne la benedizione. Presto
ricominciarono le riunioni serotine, nelle quali i congregati amavano confessarsi a Suor Giulia, chiamandola
mamma,...
Finalmente quattro Sacerdoti, stanchi della vita menata nell'assistere alle riunioni serotine, rivelarono ogni cosa al
teatino P. Benedetto Mandina. E, questi sostituito, d'accordo con altri confratelli, ma contro il parere del P.
Generale, il quale temeva l'odio e le persecuzioni dei potenti partigiani di Giulia e ignorava la gravità dei fatti,
riferirono ogni cosa anche al nuovo inquisitore; ma questi,..., ben presto finì per cedere alle pressioni del Viceré.
I Teatini allora comunicarono ogni cosa direttamente a Roma, e da Roma venne l'ordine di condurvi "Suor"
Giulia e il De Vicariis. A Roma andarono contemporaneamente alcuni figli di Giulia: persone di alta nobiltà e con
molto denaro, ma, come la loro madre, furono chiusi in carcere e vi rimasero fino all'aprile del 1615. Il 2 luglio di
quello stesso anno Giulia, il P. Arcieri e il De Vicariis fecero la loro pubblica abiura nella Chiesa di S. Maria
sopra Minerva. Ivi, per espresso volere del Papa, Paolo V, furono presenti, oltre al Tribunale Supremo
dell'inquisizione, l'intero Collegio dei Cardinali, una eletta e folta rappresentanza di Arcivescovi e Vescovi, una
moltitudine mai vista di popolo.
Subito dopo le abiure furono lette nel duomo di Napoli affinché tutti potessero riconoscere la verità".
Tra le numerose lettere scritte a Giulia si conservano quelle a firma di "Religiosi e religiose d'ogni Ordine o
Congregazione, (di) Titolati ed Autorità illustri di Napoli, Roma, Milano, Genova,..." e (di) molti Cardinali ed
Esponenti della Chiesa.
140
di dicembre 1649, (col quale si stabiliva) che tutte le Religioni debano dar relatione dello
stato de propri monasteri". Poco note le risultanze dell'inchiesta innocenziana che riguarda
l'Ordine dei Celestini. Pur tuttavia sappiamo, e senza ombra alcuna di dubbio, che alcuni
monasteri storici di quella Religione, come Limosano, vengono, intorno al 1650,
irrimediabilmente abbandonati a se stessi. E sappiamo, sempre senza ombra alcuna di dubbio,
che sulla Congregazione Celestina, a partire dalla metà del secolo XVII si abbatte quel ciclone
che ne doveva spazzare via e per sempre la presenza dalla storia.
La progressione del disegno modificativo, alla cui concretizzazione partecipano i massimi
esponenti dell’Ordine Celestino, coincide perfettamente con quella delle date delle biografie
che danno Pietro del Morrone nato ad Isernia. E' del 1595, quando appena pochi anni (una
quindicina) sono trascorsi dal periodo in cui è documentata la presenza di Commissari nei
monasteri dell'Ordine, il Lignum Vitae del Wion, che scrive "Aeserniae in Samnitibus humili
in loco natus est (è nato in un modesto luogo di Isernia nelle zone Sannite)". Sulle capacità di
falsificazione e sulle intenzioni di Arnoldo Wion, che risulta essere stato il primo ad aver fatto
il nome di Isernia, si vedano (in DI MEO, Annali …, ad annum 1058, VII, p. 372) i tentativi di
falso sulla vita di Papa Gregorio VII, già Desiderio, il quale, originario di Benevento, ‘deve’
“vestire l’abito di monaco nella Cava”, anziché a S. Sofia di Benevento, dove per molti anni
visse. E' del 1630, solo, cioè ed ancora una volta, quindici anni più tardi dalla conclusione
della vicenda di Giulia de Marco, l'opera del Priore della Congregazione dei Celestini, Lelio
Marini, che, come la riferita traduzione letterale dal Wion, lascia ancora seri dubbi. Già si è
detto del lavoro (1648) del Telera, Abate Generale dell’Ordine dei Celestini, completamente
acritico e non rispettoso dei fatti. Ed è del 1664 e, quindi, a risultati dell'inchiesta innocenziana
acquisiti, la Vita di Vincenzo Spinelli, anch’egli Abate Generale della Congregazione dei
Celestini. Dimostrato (v. De Angelis, pag. 29 e segg.) che è di "epoca susseguente al 1662"
anche il manoscritto della Bolla di Darius Aeserniensis civis, Episcopus, che ne falsifica
persino la data di nascita, va aggiunto che anche la 'lezione' del Breviario Romano, che, prova
forte per i laici, vuole Pietro del Morrone nativo di Isernia dei Sanniti, ovviamente raccoglie le
risultanze dell'inchiesta di Papa Innocenzo X, essendo "in uso dal 1668".
Ora, atteso che attualmente del Celestinianesimo poco o nulla rimane, va registrato che di
quell'intervento modificativo ordinato dall'autorità superiore, come delle tante interessate
biografie, l'unico risultato che resta consiste nell'aver spostato il luogo natale di Fra' Pietro dal
Castellum S.ti Angeli ad Isernia. Perché esso, teso solo al mutamento dell'immagine, non
poteva riuscire a sradicare il marcio che, nella realtà molto profondo, venne diagnosticato
come male appena superficiale. E, come sempre e da sempre accade quando si misconoscono e
si falsificano i fatti, "per molto contribuì a distruggere il Celestinianesimo corrotto, ma per
nulla a rifondare il nuovo".
Quanto alle tappe della vita di S. Pietro Celestino, ci si limita a dire delle essenziali.
“Pietro del Morrone, figlio di Angelerio e di Maria Leone, nasce nel 1209 in provincia
(Giustizierato) di Terra di Lavoro…”251. Prima del 1230 entra nel Monastero benedettino di
Santa Maria di Faifoli, “prope terram Limosani in quo et ipse recepit monasticum habitum
[presso la Terra di Limosano (perché non viene usato il parametro geografico della vicinanza
con Montagano?), dove egli ricevette l’abito monastico]”.
Per ottenere l’autorizzazione papale a condurre vita eremitica, si incammina, intorno al 1231,
verso Roma, ma si ferma dapprima in una grotta della località Scontrone, non distante da
Castel di Sangro, e poi sul monte Polleno (attualmente Porrara), “dove trascorre tre anni in
una caverna scavata nella roccia”252, secondo le costumanze e gli usi (che ricordano quei
251
252
GRANO A., La leggenda del chiodo assassino, Napoli 1998, pag. 11.
GRANO A., op. cit., pag. 12.
141
numerosi siti cenobitici limosanesi ricavati sulle ‘morge’) assai diffusi tra gli eremiti con la
vocazione della estrema solitudine.
Va, tra il 1233 e l’anno seguente, a Roma, dove, alloggiato presso il Laterano, dopo aver
compiuto con diligenza gli studi, viene ordinato sacerdote.
Ritiratosi, intorno al 1235, sulla montagna del Morrone, nei pressi di Sulmona, inizia a vivere
in caverne ricavate dalla roccia insieme ad alcuni suoi primi discepoli. La santità della sua vita
attira, tra il 1240 ed il 1245, molti pellegrini e seguaci; lui, per evitarli, si ritira sulla Maiella in
spelonghe sempre meno accessibili.
Il 1° Giugno del 1263 Papa Urbano IV incarica il Vescovo di Chieti, nella cui diocesi
giurisdizionalmente rientrava la Maiella, di assoggettare alla regola del monachesimo
benedettino (i timori del nuovo ed il modo antico di gestire e di essere attaccati al potere,
evidentemente, lo fanno ancora preferire al recente francescanesimo) il movimento eremitico,
formatosi spontaneamente intorno a Pietro del Morrone, che poteva contare tra l’Abruzzo ed il
Molise già su ben 16 ‘loci’ frequentati da circa 600 ‘monachi’. E tra essi è quasi certamente da
annoverare il primitivo eremo di S. Pietro, a Limosano, fondato direttamente e di persona da
Pietro.
Per ottenere la canonica approvazione della sua Congregazione e per sottometterla al Papa, nel
1273 parte, ultrasessantenne, per recarsi a Lione, dove era in corso un concilio ecumenico. Il
Papa Gregorio X, dopo aver ritenuto di poterlo escludere dall’elenco dei tanti eremiti
sovversivi rivoluzionari che si annidavano nelle numerose sette ereticali e contestatrici, tanto
invise e contrastate dalle gerarchia ecclesiastica, gli affida una Bolla pontificia, datata 22
Marzo 1274, con la quale viene riconosciuta la Congregazione, viene definitivamente
incorporata nell’Ordine benedettino e ne vengono confermati i beni.
Tra il 1276 ed il 1279 “l’arcivescovo di Benevento, Capoferro, chiede a Pietro di rimettere
ordine nel Monastero di Santa Maria a Faifoli, dove aveva iniziato la vita monastica, e ve lo
consacra abate. Nei due anni che questi guida il monastero ne risolleva le condizioni morali ed
economiche, e per la prima volta entra in rapporti con Carlo I d’Angiò, che il 27 settembre
1278 accoglie Santa Maria a Faifoli sotto la sua protezione”253. L’arroganza del feudatario di
Montagano, Simone, costringe (era l’8 Marzo 1279) l’abate Pietro ad abbandonare il
Monastero insieme con tutti i suoi monaci.
Deluso da quella amara esperienza, tornò a ritirarsi nel romitorio di S. Onofrio sul Morrone,
dove, ed era trascorso circa un quindicennio, lo colse la notizia della sua elezione a Sommo
Pontefice avvenuta il 5 Luglio 1294 a Perugia dopo una ‘vacatio sedis’ di circa 27 mesi per la
morte di Papa Niccolò IV.
Accettata l’elezione, l’eremita Pietro del Morrone si recò a L’Aquila, dove in presenza di
pochi cardinali (i più erano rimasti fortemente delusi dall’andamento delle cose), di re Carlo II
e di una folla festante venne incoronato il 29 Agosto 1294. “(All’incoronazione) il pio eremita
arrivò dal Morrone,…, cavalcando un asinello… Ma fra i presenti, espressamente convocati
dal nuovo papa, vi erano anche i capi del movimento semiclandestino dei fraticelli
‘spiritualisti’, perseguitati fino allora dai tribunali ecclesiastici per il loro fiero
anticlericalismo, che si richiamavano alla primitiva regola di San Francesco”254.
La sua eccessiva sottomissione al potere del sovrano angioino, che lo aveva imposto, fece sì
che venisse costretto a lasciare L’Aquila, dove il 18 Settembre aveva creato 12 cardinali (di
cui due del suo Ordine religioso), tutti graditi al re Carlo, e con la Bolla “Etsi cunctos” del 27
dello stesso mese aveva concesso numerosissimi privilegi ai monaci Celestini, per seguire lo
stesso re presso la sua corte di Napoli, passando per Sulmona e Montecassino, dove obbligò i
253
254
PECE F., Cronologia di S. Pietro Celestino, s.d., pag. 13.
SILONE I., L’avventura d’un povero cristiano, Milano ed. 1982, pag. 13.
142
monaci ad abbracciare l’istituto dei Celestini, comando poi abrogato, come tanti altri, dal suo
successore Bonifacio VIII.
A Napoli gli fu preparata la residenza in Castelnuovo, ma non tardò ad accorgersi di non
essere all’altezza della sublime dignità; era attediato dalle brighe dei curiali, e bramava la
solitudine della sua cella. Al principio dell’Avvento voleva affidare il governo della Chiesa a
tre cardinali e ritirarsi in una cella appartata. Opponendosi un cardinale e tormentato da
scrupoli, cominciò a pensare all’abdicazione.
Il 10 Dicembre emanò una ‘costituzione’ con la quale stabiliva che un Pontefice può
rinunziare alla sua alta dignità ed appena qualche giorno più tardi, già il 13, dinanzi ai
cardinali della Curia lesse la formula dell’abdicazione propria, libera e spontanea. Era stato
Papa per soli cinque mesi.
Gli successe sul soglio di S. Pietro Bonifacio VIII, il quale, temendo che malintenzionati si
giovassero della grande semplicità di colui che era stato Celestino V, lo fece condurre e
custodire nel castello di Fumone, presso Alatri, dove visse sino alla morte avvenuta il 19
Maggio 1296. Venne canonizzato da Clemente V il 5 Maggio 1313255.
“Quando, all’Aquila, dopo l’incoronazione di Celestino V, fu riorganizzata la Cancelleria
pontificia e si presentarono dal Papa i notai e gli scrittori del predecessore Niccolò IV, venne
notata subito tra di loro la presenza di un nuovo scrittore, Niccolò da Limosano (“N. de
Limos<ane>”). E’ un personaggio ben segnalato dai documenti pontifici che vanno dal 5
settembre 1294 al 28 gennaio 1300. Con molta probabilità fu dunque Celestino V a
portarlo nel collegio degli scrittori, dove rimase anche al tempo di Bonifacio VIII”256.
Sulla figura di questo personaggio limosanese, che certamente non dovette essere né
secondaria né di poca importanza nella ‘gerarchia’ della Chiesa, occorrerebbe ulteriormente
fare indagini, per accertarne l’opera.
4.2 - Dal Cenobio di S. Pietro al Monastero di S. Pietro Celestino
Il fatto che nelle mappe e nei disegni più antichi rappresentanti l'agro limosanese il vallone "la
Valle" venga indicato come "torrente S. Pietro" sembra essere, e con buona ragione, una
circostanza di ulteriore conferma per quella ipotesi che tende a posizionare in luogo non assai
discosto da tale corso d'acqua, alla sua sinistra e propriamente là dove attualmente situa la
'massaria' della famiglia Del Gobbo, il sito del primitivo ed originario eremo, dalla titolazione
omonima, fondato personalmente, e prima del 1263, dall'eremita Pietro del Morrone257.
255
OLIGER L., voce ‘Celestino V’ in Enciclopedia Cattolica, Firenze 1949.
PECE F., Celestino V cerca casa, in IL TEMPO Molise di Martedì 21/10/1997.
257
Poco comprensibile l’atteggiamento, fortemente acritico, del PIETRANTONIO (op. cit., pag. 426) quando
dice il sito del cenobio limosanese “non chiaramente identificato”. E, se potrebbe essere comprensibile il
dubbio per l’originario e primitivo eremo fondato non, come scrive il Pietrantonio che riprende pari pari la notizia
dal Masciotta, nel 1312 (ed è trasparente la confusione con la data di fondazione del Convento dei francescani),
bensì oltre mezzo secolo prima dallo stesso S. Pietro Celestino (che nella sua area d’origine trovò, come dimostra
il Beato Roberto de Sale, larghissimo seguito), non lo può essere in maniera assoluta ed inequivocabile, e lo si
vedrà con chiarissima evidenza, il sito del Monastero di S. Maria della Libera nelle immediate vicinanze del
centro abitato.
Altra grave inesattezza del Pietrantonio è l’indicare quello di Limosano “dipendenza del Monastero SS.
Annunziata di Guglionesi”, in quanto, se esso è stato ‘grancia’ di altro Monastero, lo è stato di quello omonimo
(S. Maria della Libera) di Campobasso e solo di esso; ma, nel tempo, siamo già ai secoli XVII (fine) e XVIII.
Ancora più confusa la ricostruzione di PECE F. (Badie, Priorati e Chiese celestine nel Molise, in Vita Diocesana
di Campobasso, n. 9 del 15 Giugno 1998, pag. 6), il quale, seguendo fedelmente le gravi inesattezze del citato
Pietrantonio, identifica (e confonde) il Monastero di S. Pietro Celestino con quello di “S. Pietro de Maccla bona”
o “de Sale”, quando scrive: “Oggi della chiesetta sono scomparsi persino i ruderi, ma da testimonianze
molteplici di contadini limosanesi mi è stato possibile individuare l’esatta ubicazione. Si trovava in contrada
256
143
Più di un motivo porta ad identificare il luogo scelto dal Santo Fondatore per organizzare un
posto solitario per i seguaci, ogni giorno più numerosi, dell’area limosanese della sua
Congregazione con quello della Chiesa, preesistente, del “Benef.o semplice senza cura sotto il
tit.o di S. Antonio Abbate”, che (v. paragrafo 3.5) era “distante dalla Terra de Limusani quasi
un miglio nel luogo dove si dice le Macchie, e (nota: si era nel 1712-13) totalmente diruta, che
non si possano ne meno giudicar le sue vestigia”. Quei motivi sono: a) prima di tutto la
distanza di “quasi un miglio” dal centro abitato, identica per entrambe le evidenze e che
entrambe riesce a ben soddisfare; b) la stessa contrada, poi, de “le Macchie” (dove,
successivamente, per S. Maria della Libera sarà documentata la proprietà di diversi cespiti
patrimoniali), che ben può essere la stessa per entrambe le emergenze religiose; ed, infine, c)
la vicinanza del sito, in zona boscosa e di macchia, alla strada che scendeva da S. Angelo
Limosano e da Cascapera, lambendo il bosco Fiorano, ed, attraversato l’antico Ponte, risaliva
l’altro lato della valle fino a S. Maria di Faifoli, dove, nel frattempo (era passato appena un
trentennio dalla monacazione del Santo) ed al momento della ri-fondazione del nuovo eremo
da parte di Pietro, il rigore e l’osservanza della disciplina monastica si erano alquanto rilassate.
Inoltre, alla credibilità di quella ipotesi, che vorrebbe posizionata una struttura cenobitica
proprio nel luogo dove attualmente situa la ‘massaria’ della famiglia Del Gobbo, oltre ad una
tradizione ancora assai radicata, assicura un notevole contributo l’atto, del 18 Ottobre 1582 del
limosanese Notaio Ramolo, di una “Conventus S.ti Francisci minorum Conventualium Terre
Limosani ab Antonio de Lione Terre Cirreti emptio Massariae”, la quale ‘massaria’ era “sita
in loco ubi dicitur Lo laco, seu (a questo punto del testo segue una parola poco leggibile, ma
che sarebbe da interpretare con ‘valle’) … S.to pietro”. E, se, come sembra assai probabile,
quel “laco” è da farsi coincidere con il “lago maiure”, all’epoca ancora pieno di acqua, della
geografia limosanese, la zona di S. Pietro sarebbe proprio da identificare con quella relativa
alla parte più ‘alta’ del vallone “la Valle”.
Le ragioni che indussero il futuro Celestino V al ‘cambio’ immediato della titolazione sono da
ricercare nella volontà di esprimere la sottomissione e la fedeltà del suo movimento al Papato
in un momento in cui nell’area riferibile a Limosano, che, con i suoi 4000 abitanti, era di gran
lunga il centro abitato più consistente ed importante, l’idea ghibellina era vincente, e nel
desiderio di testimoniare la ortodossia dottrinale della sua aspirazione ideale proprio quando
nel diffuso eremitismo idee contestatrici, quando non propriamente eterodosse, erano assai
presenti.
La famiglia dei ‘monachi’ della “Religione Celestina”, che, così come sempre accade quando
si costringe lo spontaneismo a diventare struttura organizzata e burocratizzata, col trascorrere
degli anni andava perdendo la sua esigenza di ricerca della solitudine per assumere sempre di
più la connotazione di ‘ordine’ monastico in tutto identico ai tanti già esistenti, restò appena
un settantennio nell’isolato e modesto ‘eremo’, “distante dalla Terra de Limusani quasi un
miglio nel luogo dove si dice le Macchie”.
Difatti, subito dopo che, a partire dal 1312, si ebbe dato inizio da parte della popolazione
limosanese (la ‘parte’ guelfa e filo-angioina) alla costruzione del “più magnifico che veder si
possa” Convento per i francescani, divenne per i ‘monachi’ celestini, vuoi per non essere da
meno dei ‘poveri frati’ minori e vuoi per inserirsi da attori nella vita politica e sociale di
Limosano, insopprimibile l’esigenza di stabilirsi in luogo più vicino all’abitato. Le
caratteristiche del sito, che, da un lato, permetteva di rimanere “extra moenia” e, con ciò, di
quantomeno sembrare di dare osservanza ai dettami di isolamento e di solitudine comandati
dal Santo Fondatore, e che, dall’altro, si presentava favorevole alle loro ‘nuove’ esigenze per
essere posizionato, così come il Convento francescano, vicino alla importante strada che
Lame di S. Pietro, a 2 chilometri circa dal paese, in direzione sud-ovest”. Al Pece, forse, sarebbe tornato più utile
rivolgere la seguente domanda ai più anziani di Limosano: “Dov’era S. Maria della Libera?”.
144
collegava S. Angelo a Limosano, convinsero i monaci a costruire il loro nuovo ‘Monistero’
nello spiano “a cento passi” appena dalla porta delle Fucine, vicino sia alla fonte ‘salza’ che
all’incrocio tra la menzionata arteria viaria con l’altra che menava a ‘Santo Janni’ e, più in là,
sino al bosco.
La costruzione del nuovo ‘Monistero’, la cui Chiesa, alla quale rispetto al ‘casalenum
ecclesie’ del primitivo cenobio viene cambiata la titolazione, è dedicata, anziché a Pietro,
Principe degli Apostoli, al Santo Fondatore dell’Ordine, S. Pietro Celestino, canonizzato solo
da pochi anni, molto probabilmente fu iniziata nel decennio degli anni venti del XIV secolo
ed, intorno al 1332, poteva dirsi in procinto di essere già terminata.
Era, questa del 1332, la data incisa sulla campana “appartenente alla Chiesa di Santa Maria
della Libera”, tramandataci dal seguente atto, il cui testo, tanto preciso quanto semplice e
genuino, si riporta nel suo contenuto integrale, rappresentando esso una prova assai consistente
e decisiva.
“Il dì diciotto Giugno milleottocentotrentasei. (…). Avanti di noi Giuseppantonio Lucito, fu
Francesco,… e dè qui sottoscritti Testimoni si sono presentati:
I Reverendi Padri Religiosi Conventuali di questo Monistero di San Francesco, cioè Padre
Vincenzo Carnevale Guardiano, Padre Gennaro Janigro, Collegiale, Padre Erasmo de
Angelis, Padre Giuseppe Nardi, e Padre Domenico Zingarelli, tutti sacerdoti; e Fra
Salvadore Tenaglia, Diacono, religiosi tutti stanzianti e componenti la famiglia del suddetto
Monistero, e cogniti a noi e Testimoni, da una parte.
Ed il Signor Don Domenico Robustella di Don Giovanni, Farmacista, ed attuale Sindaco di
questo Comune di Limosano, ove domicilia, a noi e Testimoni similmente noto, dall’altra
parte.
Hanno esse parti dichiarato che nel mille ottocentoventisette la Chiesa di Santa Maria
della Libera bisognosa di varie riattazioni fu con approvazione superiore destinata pel
Camposano, e per ridurla a quest’uso fu smantellata, e la sua campana deposta. Da
quell’epoca fin’oggi l’opera intrapresa è rimasta per taluni incidenti paralizzata, e così
del pari la campana è stata inoperosa ed inservibile. Al contrario la Chiesa di questo
Monistero di San Francesco trovandosi dotata di una semplice campanella, per essere state le
altre più grandi tolte sotto l’occupazione militare, perciò nello scorso anno i suddetti
Reverendi Padri richiesero la Campana suddetta per farne uso a maggior comodo di
questa popolazione nel frattempo che la Chiesa di santa Maria fosse riattata.
Questa domanda accolta, dal Sindaco e Corpo Municipale fu disposto consegnarsi la
campana in parola per situarsi nella Chiesa di S. Francesco coll’obbligo della restituzione
subito che occorreva alla Chiesa, cui si appartiene; ma perché di tale consegna non se ne
formò veruna scrittura, perciò attualmente dietro disposizione di Sua Eccellenza il Signor
Intendente di questa Provincia, si deviene alla stipula del presente atto.
In vigore di cui i sopranomati Reverendi Padri hanno dichiarato d’aver ricevuto, e di esser
stata loro consegnata la campana appartenente alla Chiesa di Santa Maria della Libera, che
attualmente trovasi sospesa sul Campanile della loro Chiesa al di sotto della campanella di
proprietà del convento. La campana in parola e dell’altezza di palmi tre ed un quarto, e
del diametro di palmi due e mezzo, in essa vi è nella parte superiore un’iscrizione
numerica in cifre Gotiche, indicante l’anno mille trecento trentadue, epoca in cui si
suppone esser stata fusa.
Quindi si è convenuto e stipulato:
1. Che i succennati Reverendi Padri, e loro Superiore pro tempore dovranno a semplice cenno
de’ rappresentanti del Comune, allorché la Chiesa di santa Maria della Libera sarà
completata, restituire la suddetta campana per esser situata al suo destino.
145
2. Che essi medesimi e i loro rappresentanti pro tempore si rendano garanti della stessa
campana restituendola sana e tal quale l’hanno ricevuta, e che nel caso di rottura per
qualsivoglia ragione non esclusi i casi fortuiti, previsti ed impedibili, saranno obbligati di
riformarla dello stesso calibro a loro proprie spese.
3. Che la ritenzione di detta campana presso di loro per qualsivoglia lunghezza di tempo non
dà luogo a prescrizione di dritti a prò del Comune, che perciò essi rinunciano espressamente
ad un tale beneficio di legge.
Per la sicurezza di una tale restituzione essi obbligano ed ipotecano i beni da loro acquistati,
all’infuori di quelli ricevuti in dotazione dall’Alta Commissione mista del Concordato, e
specialmente le loro rendite annuali.
E per l’esecuzione di quanto sopra si è trattato, hanno le parti eletto il domicilio di loro
dimora.
Di tutto ciò si è formato l’atto presente che si è letto alle parti e Testimoni a chiara ed
intelligibile voce.
Fatto e pubblicato nel Comune di Limosano in Provincia di Molise, nel Monistero di San
Francesco, sito dentro l’abitato di questo Comune, e propriamente nella stanza del Padre
Guardiano, presenti per testimoni i Signori Antonio de Angelis figlio di Francesco, Calzolaio,
e Pietro Santorelli del fu Pasquale, similmente Calzolaio, ambidue domiciliati nel suddetto
Comune,…”258.
Con la contemporanea, o quasi, costruzione del Convento francescano e del Monastero
celestiniano di S. Pietro, entrambi titolati al Santo fondatore del rispettivo movimento
religioso, nelle immediate vicinanze del centro abitato, il primo trentennio del XIV secolo fa
prendere coscienza all’insediamento del suo nuovo ruolo di catalizzatore economico in
concorrenza ed in contrapposizione con la filosofia ‘curtense’ delle antiche abbazie
benedettine e rappresenta il chiaro momento conclusivo di una (o della?) profonda svolta
nell’organizzazione sociale, economica ed urbanistica di Limosano259.
258
ASC, Protocolli notarili, Not. Lucito Giuseppantonio di Limosano, atto del 18 Giugno 1836.
Quanto avviene per Limosano è fenomeno generalizzato per diversi centri abitati ‘importanti’ del Molise. Si
veda il Cap. 2 di COLAPIETRA R., Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri,
Campobasso 1997.
259
146
147
Cosa singolare è che tale mutamento, che rappresenta il culmine di un cambiamento epocale e
decisivo nella organizzazione sociale ed economica dell’insediamento antropico limosanese,
148
sia stato originato e provocato dai movimenti religiosi dalla spiccata vocazione ad una vita
evangelica, povera e spiritualistica.
Evidentemente la loro iniziale forte carica, nel breve volgere di soli pochi anni, già andava
esaurendosi e, così come sempre accade, la sete di gestione del potere e le comodità del mondo
avevano preso subito il sopravvento sulla esigenza e sul bisogno di assoluto.
Col mutare dei tempi e delle condizioni socio-religiose cambiava il modo di essere della
collettività. Cambiavano i presupposti al divenire storico di Limosano.
4.3 - Il Monastero: da S. Pietro Celestino a “S. Maria della Libera”
Della Chiesa, che esternamente misurava all’incirca 118 per 32 palmi napoletani (pari a 31,5
per 8,5 m. circa), sappiamo essere stata, così come l’altra, coeva, annessa al Convento dei
francescani, ad una sola grande navata, con facciata in pietra viva locale e, almeno
originariamente, forse con artistiche sculture, pure in pietra, sui cornicioni. Era di una altezza
massima, al centro, di circa 50 palmi (m. 13,5 circa) ed aveva un soffitto a botte fatto di cinque
volte, delle quali quella, di forma rotonda, che ricopriva il presbiterio e, probabilmente, anche
il coro, era più grande e di dimensione quasi doppia rispetto alle rimanenti quattro, di forma
ellittica e perfettamente uguali tra di loro; tutte erano sostenute da altrettanti archi a sesto
pieno, che interrompevano la continuità delle mura, assai solide, e che erano sovrastati da
grosse finestre, le quali la dovevano rendere oltremodo luminosa. All’interno, le pareti erano
ricoperte da intonaci e, quasi certamente, da affreschi e dipinti di buon pregio artistico260.
Relativamente, poi, alla struttura del Monastero “ordinis ac congregationis s.ti benedicti
monachorum celestinorum” di Limosano, poiché risulta quasi del tutto introvabile ogni tipo di
documentazione, ne è, al contrario, assai difficoltosa una ricostruzione che ne lasci abbozzare,
anche approssimativamente, la consistenza del manufatto. Pur tuttavia, ne è da immaginare un
fabbricato a corpo unico, costruito su due piani più gli scantinati e con una quindicina di
stanzette oltre ai locali per i servizi in comune (magazzini, cucina, refettorio,…), contiguo, se
non proprio attaccato, alla Chiesa.
L’intero complesso abbaziale, edificato, come si è visto, nelle immediate vicinanze della
“Terra de li=Musani”, conservò la sua antica titolazione a “S.to Pietro à Maiella” per un
periodo di tempo assai lungo ed almeno sino ai primi anni del XVII secolo.
E’ quanto con certezza, lo si vedrà diffusamente, lasciano emergere, pur nella loro grafia di
difficile interpretazione, sbiadita ed incerta, i protocolli rimastici dei notai limosanesi e,
specialmente e prima di tutti gli altri, di quel Nicolamaria Ramolo che rogò tra il 1571 ed il
1603261. Dalla loro rilettura, infatti, è possibile, pur tra evidenti mille lacune, definire tanto un
elenco dei “Priori, ac percuraterij dicti Ven.li Monasterij S.ti Petri de Maiella” che
individuare una ‘progressio’ di episodi, talvolta anche poco chiari, nei quali pare essere stato
coinvolto.
Che nel Monastero limosanese sia accaduto qualcosa di veramente strano lo si può già vedere
da quella serie di tre protocolli del Notaio Ramolo, tutti del 24 Agosto 1571, del primo (una
“D.ni Sebastiani de Alica hispani Capitanej Limosani et Montasagani Consignatio per
clamidem persone Fratris D. Nicolai d’Ischia ordinis Celestinorum”) dei quali (gli altri due
sono: una “Cuiusdam Commissarij Regij Protestatio, et ordines contra dictum Capitaneum
Limosani pro causa dicte Consignationis, alias Carcerationis d.i Fratris D. Nicolai d’Ischia”
260
ASC, Fondo Intendenza di Molise, B. 515, f. 9. Le notizie sono ricavate da una ‘Perizia’, corredata da disegni,
del 20 Ottobre 1823.
261
Per i protocolli dei notai più antichi di Limosano, si veda, in ASC, il fondo Amoroso, dal quale non è
possibile prescindere per una conoscenza dei fatti della seconda metà del XVI e dell’intero XVII secolo.
149
ed una “Eiusdem Commissarij Regij alia protestatio, et ordines contra Actuarium d.te Terre
Limosani per eadem causa”), perché più facilmente decifrabile, se ne riporta, pur assai
incompleto e lacunoso, il testo.
Die 24 mensis Augusti XIII Ind.is 1571. Proprie in
terra lim.ni provincie com.tus molisij et proprie in domo m.ci Aloisij Rusij
Carcerari dicte terre ubi ad presens cuncta regitur
Ad preces nobis infrascriptis Judici, notario ac testibus factas pro parte m.ci
d.ni Sebastiani de Alica hispani in presenti anno cap.nej dicte terre
limosani et montisagani personaliter accessimus (ad) domum prefatam et cum ibidem
essemus per dictum m.cum d.num Sebastianum de Alica hispanum
[…] cuiusdem commissionj, ac commissionalium litterarum sibi admissarum
Rev.mi Abbatis ordinis ac congregationis s.ti benedicti et monachorum
Celestinorum dicti R.mi Abbatis m.ci cum sigillo munitarum […]
[… … …] nobis omnibus querendi [… … …]
dicto sigillo munitus vidimus et per parte dicti R.mi Abbatis
dicti ordinis s.ti benedicti per clamidem consignatus Juri dandum
frater Jon.cola de hischia monachus dicti ordinis celestinorum carceratus
ligatus et cum ferreis […] domino fratri nicolao Ant.io de diano […]
monacho dicti ordinis commissario sp.te deputato per Rev.mum Dominum
generalem congregationis monachorum ordinis p.ti S.ti benedicti
[… … … … … … …]
[…] compariret m.co ortensio de spiritu […] duci seu capere
comitive, militum […] d.ni pomponij marresi, Regij Commissarij
contra delinquentes et sumpitos […] cum omnibus militibus
legionis seu comitive dicti caporalis, in numero […]
ac viris armatis quibusquidem d.no nicolao Ant.io commissario […]
ac dicto m.co oratio capurali, ac eius militibus et militibus […].
Presentibus per eundem m.cum Alicam cap.eum ante portam ac […] et pro parte
consignatus fui per clamidem […] Jon.cola de hischia carc(eratus)
et ligatus consignando eidem carceratum in carcerum crimi(nalem)
et per vita […] in armum eundem Joannem colam tenere
diligenter ac causa custodire habetur, et debetur, ac eundem […]
[… …] Rev.mi Abbati seu generali [… …]
[… …] dicti Rev.mi Abbatis seu generalis [… …]
[… …] ne dictus Jo.nnes cola fugens [… …]
[… … …] gratiam […] ac dicti Rev.mi Abbatis seu
generalis [… … …] ac dicti Rev.mi Abbatis
seu generalis [… … …] de presente consignatione
dictus m.cus Sebastianus Alica cap.neus
notarium nicolaum mariam ramulum oppidi limosani […] personam pub(licam)
[…] conficere debere in publicum actum262.
Tutto questo accadeva in quell’anno, il 1571 (e siamo a pochi anni dalla conclusione del
Concilio di Trento), mentre pare che ‘Prior’ ed Abate del Monastero di “S.to Pietro à
Maiella” di Limosano fosse il “Rev.mus Ant.ius di diano ordinis ac congregationis s.ti
benedicti monachorum Celestinorum”.
Relativamente all’atto almeno cinque sono gli elementi da sottolineare: 1) il “Capitaneus
(capitano) terre limosani et montisagani” è, in maniera poco usuale se è vero che ‘regge’ due
terre appartenenti a titolari di feudi diversi, uno spagnolo, il “d.nus Sebastianus de Alica(nte)”;
262
ASC, Protocolli notarili del Fondo Amoroso, Not. Ramolo Nicola Maria.
150
2) ad ordinare l’arresto è (perché ne ha solo da poco preso possesso?) l’Abbate del Monastero
limosanese; 3) la consegna di Giovancola “de hischia monachus dicti ordinis celestinorum
carceratus, ligatus et cum ferreis” avviene sotto la minaccia delle armi (“per clamidem”); 4)
il monaco prigioniero viene affidato a “fratri nicolao Ant(on).io de diano monacho dicti
ordinis commissario sp(ecialmen).te deputato per Rev.mum Dominum Generalem
congregationis monachorum ordinis p(redic).ti S.ti benedicti”; 5) all’operazione partecipa il
Regio Commissario “contra delinquentes et sumpitos”.
Ma che cosa (problemi di devianza dalla ortodossia dottrinale? lassismo nei costumi? o
semplici cose d’armi?) era veramente successo? Quasi impossibile saperlo così come è
difficoltoso dare una completa ricostruzione dei fatti, i quali, tuttavia, dovettero essere
parecchio seri e gravi se è vero che la detenzione si tenne “sub pena ducatorum mille”. Ciò
anche se nell’occasione si fece di tutto “per non aggravare la riputazione del Rev.mo
generale” così da “mettere in dicta guisa (le cose) …, che isso non si veda”.
La qual cosa e, più in generale, l’intera vicenda inducono a pensare a problemi non proprio
circoscritti e né tantomeno circoscrivibili alla sola area limosanese; questi, di contro, sembra
investissero l’intera “religione celestina”. E potrebbero essere stati quelli che indurranno, poi e
fra non molti anni, le superiori autorità religiose all’intervento modificativo esterno, cui si
accennava in precedenza.
Anche l’attività patrimoniale del nostro Monastero doveva rientrare nella normalità di allora.
Così che nel 1576 ne sono menzionati “bona S.ti petri delli mosanj” sin nell’agro di
Ripalimosani e, più precisamente, “in loco ubi di(citur) li Ferri (o ‘li cerri’?)”.
Sin dal 1578 (9 Aprile) è notizia del “Rev.di Dom.ni Joannis baptiste Romani monaci
ordinis Celestinorum Prioris, ac percuraterij in dicto Ven.le Monasterio S.ti Petri de Maiella
in eadem Terra (=Limosano)”, del quale ne è documentato l’incarico anche per gli anni 1580 e
1582 (forse sino a Maggio). E ciò mentre la titolazione del “Venerabilis Monasterij” è sempre
detta “S.ti Petri de Maiella” o, più semplicemente, “de Maiella”.
Cambiamenti significativi, accaduti, sembra, tra l’aprile ed il giugno del 1582, si riescono a
cogliere da una ‘donatio’ del “25 mensis Junij” di tale anno.
Innanzi tutto e, forse, per l’avvenuta morte di Don Giambattista Romano si ha il ‘ritorno’
(cosa abbastanza infrequente nell’osservanza benedettina) del “R.di D.ni Nicolai Ant.ij de
Diano monaci ordinis Celestinorum”, che già era stato il ‘commissario deputato per Rev.mum
Dominum Generalem congregationis monachorum ordinis S.ti benedicti’ nella vicenda della
carcerazione di ‘Giovancola de hischia’, a “prioris, ac percuraterij in dicto Ven.le
Monasterijo S.ti petri de Maiella ordinis S.ti benedicti celestinorum in terra p.ta Limosani”.
E, poi, per la prima volta si ha notizia di una “Ven.lis Cappelle S.te Marie de liberj site in
ecclesia dicti Monasterij”, la quale ultima, insieme all’intero complesso abbaziale, da quella
sta iniziando a prendere gradualmente e progressivamente la ‘nuova’ titolazione, che potrà
dirsi pienamente realizzata nel successivo trentennio.
Ben si riesce a cogliere l’evidenza di tale ‘innovazione’ dalla seguente ‘progressio’ di notizie,
tutte ricavate dai protocolli notarili di quel periodo.
In un atto del 1605 si parla di una “vinea sita in loco le macchie”, la quale ancora confina
“iuxta bona venerabilis monasterij S.ti Petri Celestini seu majella”. Tuttavia, dalla
combinazione di alcuni testamenti, rogati negli anni immediatamente successivi e, cioè, tra il
1606 e l’anno seguente, il passaggio già si concretizza se vengono indicati:
- li preti et clero di S.ta Maria majore;
- lo clero di S.to Stephano;
- li frati di S.to Francesco;
- et quelli di mayella.
151
Nel 1607 c’è chi “lassa al monasterio et cappella di S.ta Maria delli liberi…” i propri “bona
ob devotione quam assidue habuit et habet Ven.li Cappelle S.te Marie de liberj”.
E che il cambiamento andava incontrando degli ostacoli lo dimostra il fatto che appena pochi
anni più tardi e precisamente “die 4° mensis Augustis 1611 (o 1610?)” si ha ancora “in Terra
limosani…, et proprie intus Monasterium S.ti Petri ad Maiella”, la stipula di una “Concessio
in emphiteusim vinee per Monasterio S.te Marie ad Maiellam Terre Limosani à Jo Paulo de
Luca ditte Terre”, il quale per ottenerla si era rivolto all’Abbate Generale dell’Ordine con la
seguente richiesta:
“Rev.mo P.re, e patrone Oss.mo
Gio:Paulo di Luca delli Musani fa intendere à Vs. Rev.ma, come si ritrova haver pigliato una
vigna dal Mon.o di s. Pietro à Maiella di d.tta terra di capacità di t.la due incirca nel loco
dove si dice li Patrisi, e d.tta vigna si l’e concessa per D. Thomasi delli Musani Priore di
detto Mon.o per anni vinti nove à carta renovandi, e perché d.tto Priore si ha riservato
l’assenso di Vs. Rev.ma per d.tta concessione et pagarni il d.tto supplicante t.la uno di grano
annuatim a d.tto Mon.o e facendo tal favore la haverà a gratia singularissima ut Deus”.
Concesse il benestare all’operazione, che prova anche l’attività patrimoniale del cenobio
limosanese, il “Ds. Archangelus Mediolani Abbas Generalis Celestinorum”. Era diventato, nel
frattempo, Abbate “Donno Thoma Petro Paulo Terre Limosani Religionis S.ti Petri
Celestini ac Priore Conventi S.ti Petri ad Maiellam ditte Terre (= Limosano)”263.
Lo stesso ‘Priore’ ed una tale situazione di doppia titolazione perduravano ancora nel 1612,
quando “in Terra Limosani…, et proprie in Ecclesia S.ti Petri à Maiella ordinis Sancti Petri
Celestini…, Ant.ius Candizzaro Civitatis Trapani Civis Neapolitanus… ex una parte, et me
Not. +++ interveniente pro parte Monasterij S.te Marie a Maiella ordinis S.ti Petri Celestini
et eius religionis constructi in Terra limosani, nec non et Rev.do P. D. Thomaso eiusdem
Terre Limosani Priore d.ti Monasterij”264.
Troviamo Abbate, nel 1615 (20 Settembre), “D. Hieronimus Quaranta ad presens Prior
Monasterij Sancte Marie de Maiella terre p.tte Limosanj” (v., in ASC, il Notaio Mazzerra
Gianberardino di Montagano), il quale probabilmente era succeduto nella carica a D.
Tommaso Pietropaolo, il quale sembra essere stato di origine limosanese.
Ed, inoltre, ben si vede dalla denominazione come la ‘nuova’ titolazione del Monastero stava
sempre di più diventando quella ‘ufficiale’ e definitiva.
Le fonti, a partire da tale data e per un trentennio, tacciono. Ed anche per il periodo successivo
dicono molto poco. La presenza di “Priore e Monachi” è, sempre però precedendo gli
esponenti del Convento francescano, documentata solo da qualche lascito testamentario. Come
quello265, del 25 Aprile 1645, con il quale “Joanne Baptista Covatta terre limosani”, dopo aver
manifestato la volontà di essere seppellito nella “Ecclesia seu Parrocchialis S.te Marie maioris
dette Terre”, chiede la partecipazione al proprio funerale del ‘Clero et Clerici’ di tale Chiesa,
della Chiesa Parrocchiale di S. Stefano, dei Priori e dei Monaci del Monastero “S.te Marie de
libera” e di tutti i frati del “Venerabilis Conventus S.ti Francisci ordinis minorum
Conventualium”. O come l’altro, del 3 Gennaio 1648, che parla di “tutti li Preti et Clerici
della Chiesa di S. Maria, et della Chiesa di S. Stefano, et anco tutti li monaci di S.ta Maria
de libera, Monasterio di S.to Pietro Celestino, et tutti li frati di S. Francesco di li minori
Conventuali”. Oppure come il ‘testamentum nuncupativum’, del 1650, col quale il “Rev.do D.
Leonardo del Gobbo, presbitero Sacerdote Terre Limosani” manifesta la volontà che al suo
funerale l’ufficio venga cantato “ab omnibus presbiteris et clericis d.te Ecclesie (= S. Stefano)
263
ASC, Protocolli notarili, Not. Loffreda Giuseppe di Lucito.
ASC, Protocolli notarili, Not. Di Bartolomeo Francesco di Ripalimosani.
265
ASC, Protocolli notarili del Fondo Amoroso, Not. D’Angelillis Donato.
264
152
ac Ecclesie maioris S.te Marie et a Priore ac Monacis Venerabili Monasterij S.te Marie
delibera et ab omnibus fratribus conventus S.ti Francisci ordinis minorum Conventualium”.
Doveva essere ancora Abbate (è documentato come tale nel 1648) il “R.do D. Joanne
Baptista Lambugnano Civitatis Bari ad presens Prior Venerabilis Monasterij S.te Marie de
Libera et S.ti Petri Celestini”, il quale molto probabilmente fu l’ultimo della serie a ricoprire
l’incarico nel complesso monastico di Limosano.
La evidente doppia titolazione del Monasterij S.te Marie de Libera et S.ti Petri Celestini
consente di ipotizzare che il processo di ‘decelestinizzazione’, durato per più di mezzo secolo,
stava arrivando alla sua fase terminale.
Con esso e perché, in seguito al fatto che “havendo la santità di N. S. Innocenzo X per un
decreto pubblicato li 22 dicembre 1649 ordinato che tutte le Religioni debano dar relatione
dello stato de propri monasteri”266, “con Bolla del 15 ottobre 1652 Papa Innocenzo X ‘dispose
per l’Italia l’abolizione di quei conventi, i quali, per il numero esiguo dei propri membri, non
potevano più corrispondere all’intenzione dei loro fondatori; i loro beni dovevano essere
devoluti per parte dei vescovi ad altri luoghi pii’ (PASTOR L., Storia dei Papi, XIV, 1, cap.
IV, pag. 137)”267, il ‘Prior e tutti li monaci di S.ta Maria de libera, Monasterio di S.to Pietro
Celestino’, abbandonarono, e per sempre, il loro Monastero, il quale, da allora e dopo aver
perso ogni riferimento con la titolazione a S. Pietro Celestino, divenne ‘grancia’ di quello
omonimo di Campobasso.
In effetti, nei primi giorni del 1652 (6 Gennaio) il “Rev.do D. Alonzo Cicala Ordinis
Celestinorum Civitatis S.ti Severij”, ma si ignora a quale titolo, stipula una interessante
convenzione sui tipi di prodotti e sulla organizzazione della produzione agricola con “Fran.co
de Stefano d’Amico Annicerio ordinario”, il quale “age per se et pro parte triginta quinque
Virium…”.
Di propria mano, nel suo ‘testamentum nuncupativum’ del 30 Luglio 1658, l’Arciprete D.
Luigi Russo scrive che:
“in primis lascio che il mio corpo sia seppellito nella mia Chiesa di S. Maria maggiore avanti
l’altare della Cappella nostra di Santo Silvestro et proprio nel tavuto della bon’anima del
quondam D. Thomaso russo mio Nepote e che intervenghino al mio funerale il Clero di Santa
Maria, et di Santo Stefano et di San Francesco…
Item lascio herede di quanto Jo possedo tanto di mobili, quanto di stabili… la Cappella di
Santo Silvestro sita nella Chiesa di S. Maria…
Item lascio all’hospidale di questa terra un letto ciò è un matarazzo di lana… e si tenga per li
sacerdoti che ivi capitarando ad alloggiare”.
La evidente mancanza di ogni riferimento al Clero di S. Maria della Libera ne prova, per la
data dell’atto, la già avvenuta partenza, tra il 1652 ed il 1658, del Prior e di tutti li monaci dal
Monastero di Limosano, al quale, però, rimase per intero la gestione di tutta l’attività
economica e patrimoniale che, in effetti, è già dimostrata dal fatto che il morente Arciprete
aveva “imprestato” 24 tomoli di grano in sostituzione di un pari quantitativo andato a male.
Ed è ancor di più provata dal fatto che, ancora nel 1716, dall’omonimo Monastero di
Campobasso veniva nel “Venerabile Convento Celestino Sante Marie dè Libera extra moenia”
di Limosano a gestirne il relativo patrimonio il “Rev.do Padre Don Vincenzo Gargioli (o
Gargiuolo), Celestino”, il quale, nativo di Vico Equense (Napoli), era ivi di famiglia (il 23
266
BORRACCINO (P.) R. e IASENZANIRO (P.) M. (a cura di), Notamenti… della Provincia di S. Angelo…,
Foggia 1987, nota 245 a pag. 69.
267
TESTA E. Campolieto… cit., pag. 120 e segg. Nonostante il forte interessamento, ci è stato impossibile
reperire il risultato dell’inchiesta innocenziana relativo ai due complessi conventuali (S. Maria della Libera e S.
Francesco) di Limosano, che, quando sarà reso disponibile e quando potrà essere fatto oggetto di uno studio
serio ed approfondito, potrebbe fornire dati molto interessanti sulla loro organizzazione e sulla loro presenzaintegrazione con l’ambiente e la società limosanese.
153
Febbraio 1717) insieme con “Ad.m R. Pr. D. Celestinus Palladino Prior” ed a “Pr. D. Petrus
PetroPaulo a Sulmona”, tutti ‘Sacerdotes’268.
Non sappiamo se, dopo la partenza dei ‘monachi’, il Monastero celestiniano di Limosano
venisse subito affidato a qualche Religioso o ‘Procuratore’ “dello stesso Ordine”, rimasto ad
abitare in loco, oppure a qualche ‘eremita laico’, che con la manutenzione dello stabile e con
l’assistenza alle sacre officiature riusciva a ricavarne di che sopravvivere
Mentre nel volume dello ‘Stato delle Anime’ della Chiesa di S. Maria maggiore269, che parte
dal 1696 (e va sino al 1702), non vi è alcuna menzione di S. Maria della Libera come luogo di
abitazione, in quello, che inizia nel 1721, risulta, almeno sino al 1724, che a “S. Maria della
libera Grancia del Monastero dè PP. Celestini di Campobasso: non vi è nessun Religioso, ne
hà ben sì Cura il loro Proc.re Nicola Russo”. Invece, a partire dal 1725, “vi è di residenza Frà
Davide di Lorenzo dello stesso Ordine Proc.re”.
Per l’anno successivo viene con più precisione indicato che a “S. Maria della libera Grancia
del Monistero dè PP. Celestini di Campobasso, Diocesi di Bojano”, è presente “Frà Davidde
di Lorenzo Converso della detta Religione Stanziante in d.a Grancia e Serviente in d.a Chiesa
di anni 60”, il quale ivi e tale rimase sino al 1735, quando, di circa 69 anni, probabilmente fu
defunto, se è vero che l’anno seguente al suo posto troviamo “Frà Nicola d’Angelillis
converso serviente a d.a Grancia e stanziante, di anni 18”.
La presenza nel Monastero di Limosano di un ‘monaco’ dell’Ordine Celestino continuò ancora
per alcuni anni. Tanto che, per il 1742, nelle processioni e nelle funzioni religiose “la Croce di
Santa Maria della Libera la portava un frate di S.ta Religione Celestina, Frà Celestino
Poison…”.
Assai probabilmente dopo di quest’ultimo, fu molto presente ed attivo, e per un periodo di
tempo discretamente lungo tra gli anni 50 e 60 del secolo XVIII, “F. Michelangelo dè
Rinaldis laico dell’ordine de Celestini”. Ciò sia per ‘curare’ le cose del Monastero di
Limosano che, quale “Procuratore Generale del Rev.do Sig. D. Domenico Albrizio Abate di S.
Caterina di Benevento, e di S. Maria Faifoli sistente nelle pertinenze di detta T.ra di
Montagano”, quelle della “Badia di S.ta Maria Faifoli”270.
La presenza di questi ‘incaricati’ a Limosano non servì, tuttavia, ad evitare le spoliazioni e gli
attacchi sferrati con violenza da interessi privati, i più diversi e diversificati. Persino le
‘reliquie’, che alcuni elementi fanno ritenere qualitativamente e quantitativamente di notevole
importanza, vennero fatte oggetto di appropriazioni, più o meno meschine, da parte di
esponenti ecclesiastici e, forse, non. Tutto questo perché non è proprio possibile non dare il
credito che merita alla presenza di “… una buona porz.ne del celizio, seu abbito di S. Pietro
Celestino”, documentata dall’Inventarium omnium bonorum Archipresbiteri Cosmatis Bussi
268
La presenza di soli tre ‘Sacerdotes’ parrebbe dimostrare che anche il Monastero di Campobasso fosse entrato
in una crisi seria e grave. Ciò, specialmente se si pensa al fatto che solo trent’anni prima (24 Settembre 1686) vi
stanziavano i: “R.di P.P. D. Placido dè Vito ad pr.ns Priore Venerabilis Monasterij Sancte Marie dè Libera
Ordinis Celestinorum d.e Terre, D. Joanne Bapta dè Martinis dà Benevento, D. Ilario Massaini, et D. Julio
Roacci Romanis Sacerdotibus, et P. Fr. Petro à Melficto oblato P.P. de familia in d.o Ven.li Monasterio…”.
269
APL, Stato delle Anime.
270
ASC, Archivio privato Janigro, B. 16, f. 25. Riportiamo, per la conoscenza di usi e costumanze, il testo di un
documento del 20 Febbraio 1748: “Alla richiesta di Caietano Galuppo della T.ra di Montagano… avendo
comprato una vigna dà Giuseppe Michele, sita e posta nelle pertinenze di d.a T.ra nel luogo dove si dice Faifoli
renditizia alla sua Badia di S.ta Maria Faifoli,… di prestare… il suo Assenzo, e beneplacito, offerendo a Vs.
Rev.ma per il laudemio se li deve carlini trenta…
‘Si concede licenza al supplicante di stipulare le dovute cautele con accettarsi il Laudemio di carlini 30 con
donargli il di più che spetterebbe alla chiesa con patto però che le spese di strumento, e copia per la chiesa
vadino a conto del supplicante.
Limosani 17 ottobre 1747
Jo D. Gennaro della Vipera vicario
Per il strumento da stipularsi per parte della Chiesa vi sia presente Fra MichelAngelo de Rinaldis, come
amministratore di detta chiesa”.
154
(nota: defunto il giorno prima) Terre liMusanorum Pro Ven.le Cappelle Sanctis.mi Rosarij ac
S. Francisci Xaverij affate Terre, del 1 Agosto 1742 per il Notaio Jamonaco Michele Silvestro
(v. ASC) della piazza di Limosano.
Era essa la stessa che, come risulta nell’Inventarium del 1712-1713, “la sudetta Chiesa (= di
S. Maria) tiene conservate in Sagrestia” e che così viene descritta: “Due cassette antiche, in
una delle quali vi è un’abito ruvido di color biancaccio con’uno cappuccio, quale per
antica tradizione e dicesi esser di S.n Pietro Celestino”? E, se sì, quale giro aveva
compiuto? E per quali interessi?
In quanto riesce a soddisfare curiosità ed interesse, riportiamo la descrizione delle ‘altre’
reliquie, allora e con quella, conservate nella Sacrestia della Chiesa di S. Maria:
“In’un’altra si conserva un Breviario antico scritto à mano in Carta pergameno con veste
di ricamo antico che parimente s’asserisce esser dello stesso Santo.
- Un Coltello con manico di legno, col quale dicono che fusse stato scorticato il glorioso
Apostolo S.n Bartolomeo”.
Ed inoltre venivano ancora custodite, con cura e forse con una certa gelosia, le seguenti
testimonianze, tenute ben distinte (lo si noti) dalle ‘reliquie’ celestiniane, della ‘antica’
diocesi ‘Musanesem S. Mariae”:
- Un manipolo Vescovile antico di velluto rosso.
- Una Stola all’antica Vescovile rossa di seta fatta in f.a fascia con molti lacci di seta.
- Una Testa di Pastorale Vescovile d’avolio.
- Due Nistre di drappo bianco antico fatte in f.a di berette colle sue infole pendenti.
Dovettero essere proprio quelle interferenze esterne le motivazioni, vere e reali, che spinsero
successivamente Campobasso a non limitarsi solo ad amministrare il patrimonio della
‘Grancia’ di Limosano, ma a privarla con decisione di tutto quanto vi rimaneva e, con calcolo
freddo e cinico, della sua memoria e dell’intero suo modo di essere.
Lo prova quanto ‘raccontato’ dall’atto, in ASC, del 30 Maggio 1789, che trascriviamo:
“Personalmente costituiti alla nostra p.nza Giorgio Marcantonio, Andrea Piciucco, Clemente
di Cristofaro, e Dom.co Donatelli attuali Governanti di questa sud.a Terra di Limosani, li
quali spontan.te non per forza mediante il loro giuramento toccata la carta hanno asserito
aver preinteso, come jeri ventinove del caminante Mese di Maggio si portò in q.sta sud.a
Terra nella Chiesa di S. Maria della Libera il Padre Vicario dè Celestini della Città di
Campobasso D. Michele Rota verso le ore dieciotto in dieciannove, tempo in cui le genti
stavano tutti occupati, e colà giunto si fece chiamare l’Eremita Giuseppe Angelilli, ed in p.nza
dello stesso si prese la corona d’argento in testa dell’imagine della Beata Vergine, e la veste
di drappo che la covriva; come pure ritagliò il panno di drappo più d’un palmo che eravi
avanti, dove la d.a Imagine si conservava, con restare l’Imagine sud.a spogliata, e sul nudo
pavimento della Chiesa, ordinando ancora al nominato Eremita, che gli avesse rimesso per il
Procacciolo di quest’anzid.a Terra tutti i candelieri d’ottone, che lui conservava, volendo
insiemamente sapere chi avesse conservato l’anello d’oro della Vergine; per cui gli fu
risposto rattrovarsi in potere del P. Maestro Fra Giacinto Corvinelli dè minori Conventuali, e
nell’atto che tutto questo stava facendo, q.lle donne villane che vi ci si portava, li mandava
via dalla Chiesa, dicendo siete curiose andate in vostra casa, forse per non far vedere le sue
male procedure. Come infatti Noi Regio Notaro, regio Giudice a Contratti e Testimoni a
rich.a di d.i Mag.ci Governanti, e colla loro assistenza essendoci sopra la faccia del luogo
conferiti, abbiam già ritrovato il tutto avverato, ed hanno essi costituti asserito volerne di tale
attentato tenere ricorso à legittimi Superiori, come pure alla Maestà del n.ro Sovrano, che
Dio sempre feliciti, e così hanno giurato in f.a.”271.
271
Sulla figura degli eremiti, assai numerosi almeno verso la fine del XVIII secolo anche se erano di antica
tradizione, rimasti a ‘mantenere’ le antiche badie registriamo la seguente dichiarazione del 28 Aprile 1784
155
E così, dopo che, se si fa salva la presenza di qualche inserviente ‘eremita’, se ne erano partiti i
‘monachi’ facendo scadere a semplice grancia il complesso monastico limosanese e dopo che,
brutalmente ed irrimediabilmente, vennero portati via i tesori religiosi del sacro, altro non
rimaneva che il considerevole patrimonio fondiario del già “Venerabilis Monasterij
Monasterij S.te Marie de Libera et S.ti Petri Celestini”, sulla cui elencazione, dopo la
soppressione dell’ordine, esistevano dubbi e perplessità consistenti. Lo dimostra quella lettera,
del 6 Marzo 1807, con la quale il “Giu.e di Ripalimosani al Sig.r Intend.e del Contado di
Molise”272 così comunicava: “… manca quello di q.sto Comuni, mentre gli Am.ri non han
ancora terminato la liquidaz.e de’ possessori de’ cap.li censi, e Terreni, che qui posseggono
d.i PP. per mancanza della Platea. Per questo motivo dalla Fede della Comune di Limusani
non si vedono individuati i possessori de’ capit.li censi, e Terreni di d.i Padri.
La ‘fede’, cui si accennava, era la seguente: “In esecuz.ne degli ordini pervenuteci Facciamo
piena, e legale fede noi qui sotto, e croce seg.ti amm.ri di questa Antica Città di Limosano in
contado di Molise, qualm.te avendo riscontrato per mezzo del nostro ord.o Cancelliere il libro
collegiale dell’anno 1755 generale in esso si è rivelato che li Padri Celestini di Campobasso,
sotto il titolo di S. Maria della Libera posseggono in questo tenimento circa 362 tomoli di
territorj coltivatorj, escluse alcune vigne che non si nominano in d.o catasto.
Come anche nel borgo di quest’antica Città esiste una Chiesa, con un romitaggio di sette
stanzioline, ed un orto contiguo appartenentino anche alli sud.i Padri Celestini.
Non possiamo attestare le confinazioni de’ terreni, e le persone che tengono d.i terreni a
coltura, ne li cap.li, perche a noi manca l’inventario, e la platea che si posseggono dal Priore
de Celestini in Campobasso che per la verità si fa fede.
Limosano 3 Marzo 1807
+ S.C. di me Saverio Bonadie Sindaco S.N.
+ S.C. di me Giorgio Piciucco eletto S.N.
+ S.C. di me Gioacchino Jamonaco eletto S.N.
+ S.C. di me Simone del Gobbo eletto S.N.
Luigi Sebastiano eletto
Daniele Fracassi cancelliere”.
“I Governanti della Comune di Santangelo Limosani” qualche giorno prima (28 Febbraio)
avevano da parte loro attestato che “la Grancia di S. Maria della Libera dè Padri Celestini
esistente nella vicina Terra di Limosani possiede li seguenti beni stabili (per complessivi 21
tomoli):
- un territorio colonico di tomoli uno, e mezzo nel luogo detto Fonte del Bove,…
- un altro territorio di tomoli due c.a nello p.to luogo di Fonte del Bove,…
- tomoli quattro e mezzo di territorio nel luogo detto Pozzonero,…
- un tomolo coltivatorio e c.a tre altri incolti nel luogo detto la Selva,…
- un terri.o di tomolo uno, e mezzo nella Fonte del Bove,…
- tom.i due e mezzo alla fonte di S. Pietro…
- nel posto del med.o posseggono altri tom.i due,…
- tomoli tre di terra alla fonte di S Pietro…”.
Qualche anno più tardi, era appena il 1809, per “la grancia sita nelle Com.i di Limosani e di S.
Angelo Limosani composta di territorj seminatorj di circa moggia quattrocento
quarantacinque e quarti tre” furono offerti 1500 ducati dal Sig.r Zurlo di Campobasso e 1550
riguardante S. Maria di Faifoli. “Francesco Jannitto alias Caruso” dichiara e dice: “Jo dapiù di venti anni
addietro a questa parte fò l’Eremito nella Chiesa di S. Maria a Faifoli,…, vicino alla contrada appellata la
vigna dell’Abbate…”.
272
ASC, Monasteri soppressi, B. 10, f. 77.
156
ducati dal Sig.r De Nigris di Campobasso, il quale, perché aveva fatto l’offerta più consistente
e vantaggiosa, ne rimase l’aggiudicatario273.
Da allora più nulla, se non il lento, quanto irrimediabile ed inesorabile, declino, rimase
dell’antico Monastero.
I tempi ‘nuovi’ della storia avevano fatto di tutto perché ciò accadesse. Ed accadde.
Difatti, nel 1859, “il costituto Signor Tata (era il ‘Signor D. Michele Tata fu Pasqualino in
qualità di Sindaco’)… ha dichiarato che dovendosi terminare la già incominciata opera di
quel Camposanto, necessita al Comune l’occupazione del suolo di una Cappella, e di due
ruderi pertinenti alla Mensa Vescovile di Bojano. E che a tal uopo avendone dimandato
all’altro costituto Monsignor Vescovo (era ‘l’illustrissimo D. Lorenzo Moffa fu D. Felice
Monsignor Vescovo di Bojano’), se voleva cedere al Comune i detti suolo, e ruderi mediante
un’annua rendita, il predetto Vescovo vi ha aderito, e si è venuto alla stipula del presente
atto, con cui si è stabilito:
1. Il suolo della Cappella e i due ruderi di pertinenza della Mensa Vescovile di Bojano (cui
erano passati al momento della soppressione) vengono ceduti al Comune di Limosano
mediante il prezzo di ducati venti.
2. La detta somma… secondo il Real rescritto de’ quattro Settembre mille ottocento
cinquantasette,…, rimane presso il Comune medesimo impiegata a costituzione di annua
rendita perpetua al cinque per cento, con l’obbligo di corrispondere al Vescovo pro tempore
un ducato l’anno”274.
La parola ‘ruderi’ e l’esiguità della somma lasciano ben trasparire sia il completo stato di
abbandono che il ridotto dimensionamento del complesso, cui si era pervenuti.
4.4 – Il patrimonio e la vita monastica
Delle attività del patrimonio fondiario, che un tempo, se sembra non certo trascurabile già
quello desumibile dalla unica descrizione disponibile, databile a circa un novantennio dopo la
partenza dei ‘monachi’, dovette essere assai considerevole, di “S. Maria della Libera
Grancia de Padri Celestini” di Limosano una puntuale elencazione è quella del ‘Catasto
Onciario’ del 1743275. Se ne riportano gli elementi essenziali.
“Jo qui sotto D. Filiberto Gorgonio Priore de V.nle Monastero di S. Maria della Libera di
q.sta Città di Campobasso della Congregazione de Celestini dell’ordine di S. Benedetto, in
esecuzione degl’ordini emanati à tenore del concordato, tra la S. Sede della M.a del Rè
Nostro Sig.re, Dio guardi con quell’esattezza, e puntualità, che si deve, rivelo tutti gl’effetti,
che possiede d.a Grancia in questa Terra di Limusani, e sono li seguenti:
- Un pezzo di Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o Valle fieno…;
- Un’altro Territorio di tt.la venti, nel luogo d.o lo Stallone…; questo Territ.o non si sa il
luogo, e non si è chiarificato;
- Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o Colleceraseto…; d.o Territ.o stà in contesa…;
- Un pezzo Territorio di tt.la quaranta nel luogo d.o serra Manginola, dentro la Sala, conf.a
beni della Terra di Fossaceca, beni del Convento di S. Franc.o e beni della Camera
Marchesale…;
- Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o Collefranco…;
- Un’altro Territorio di tt.la dodeci nel luogo d.o Peschio Martino,…;
273
ASC, Monasteri soppressi, B. 10, f. 78.
ASC, Protocolli notarili, Not. Fracassi Aquino, originario di Limosano, della piazza di S. Angelo, atto del 1
Febbraio 1859.
275
ACL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1.
274
157
- Un’altro Territorio di tt.la due, e mezzo nel luogo d.o Fonte Ciferno…;
- Item un’altro Territorio di tt.la sei nel d.o luogo, sono uniti con li tt.la due di sopra;
- Un’altro pezzo di Territorio in tre corpi di tt.la diecinove, nel luogo d.o Pagliarello, e fonte
della noce,…, con quattro querce, e trentacinque bisceglie…;
- Un’altro pezzo di Territorio di tt.la ottanta, nel luogo d.o la Vannara, conf.a con la Fiumara,
…;
- Un’altro Territorio di tt.la dodeci nel luogo d.o li Spinilli, conf.a strada publica delli
Forastieri,…, Grattavone,…;
- Un’altro Territorio di tt.la quindeci, nel luogo d.o primo colle incluse alcune vigne…;
- Un’altro Territorio di tt.la sessanta, nel luogo d.o l’Acqua Salemma, e Macchie di S.
Justa…;
- Un’altro Territorio nel luogo d.o piano del Vicario, e morge tomassiello di tt.la dieci, conf.a
col Vallone della Valle,…;
- Un altro pezzo di Territorio di tt.la cinque con querce nel luogo d.o La Valle,…;
- Un’altro Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o la Fontenova e Morge Tomassiello,…;
- Un’altro Territorio di tt.la otto, nel luogo d.o Pietra di Pillo, e Pozzo piloja,…;
- Un altro pezzo di Territorio di tt.la quindeci, nel luogo d.o Macchie dell’Amendole,…;
- Un’altro Territorio di tt.la dieci, nel luogo d.o le Macchie delle Ciaole,…;
- Un’altro Territorio di tt.la tre nel luogo d.o lo Vallone della Valle, questo Territorio si deve
chiarificare;
- Un’altro Territorio di tt.la tre, nel luogo d.o li Patrisi,…, stimato non vi è rendita.
- Un Territ.o di vigna diruta di tt.la due,…, stimato non vi è rendita.
- Un’altro Territorio di tt.la cinquanta, nel luogo d.o le Macchie delli Porrazzi,…, con piedi
d’olive, querce, e bisceglie,…;
- Un’altro Territorio di tt.la dieci con querce, et olive,, nel luogo d.o La Valle, e Terriera…;
- Un’altro Territorio di tt.la nove, con querce, nel luogo d.o li Tufilli…;
- Un’altro Territorio di tt.la trenta, nel luogo d.o S. Vettorino,…, con due querce,…;
- Un’altro Territorio di tt.la uno, e mezzo, nel luogo d.o passo di Campobasso, questo Territ.o
stà nell’Inventario senza spiegar li confini, e non si sa dove sia;
- Un’altro Territorio di tt.la sei, nel luogo d.o pozzo Piloja…;
- Possiede un’Orto nel luogo d.o S. Maria della Libera, e Fonte salsa, di tt.la uno…;
- Un’altro Orto dietro le Case, quest’Orto non li possiede, se li deve vedere con li Covatta;
- Un’altro Orto sotto le ripe di Zullo, quest’Orto deve verificarsi, che lo possiede, stante non
si sa;
- Un Territ.o di tt.la due, nel luogo d.o la Foresta, con piedi d’olive…;
- Un’Orticello nel luogo d.o S. Martino,…, questo deve chiarificarsi il luogo, e li confini;
- Un Territorio di tt.la quattro, nel luogo d.o S. Maria della Libera, e Macchia di Majella,
conf.a con la Via publica, Macchia di Majella,…;
- Una Casa nella strada publica, che và per la Terra, ad alto, qual casa non si sa quale sia
per l’antichità;
- Un’altra Casa nella piazza delli Focini, questa casa, ne tam poco si sa per l’antichità;
- Un’altra Casa nella d.a strada…;
- Uno Bottale, nel luogo d.o sotto le Botteghe…;”.
Del patrimonio edilizio è da notarsi la triste ed evidente fatiscenza, che lo faceva di molto
antico; al contrario, l’estensione complessiva di quello fondiario, ammontante a circa 470
tomoli di terreno, lo rendeva ancora discretamente cospicuo, specie laddove si considera che,
dopo la partenza dei ‘monachi’ avvenuta all’incirca novanta anni prima della compilazione del
‘Catasto’, esso veniva amministrato da ‘procuratori’ senza scrupoli e, talvolta, da ‘eremiti’
laici. In precedenza, durante i secoli XV, XVI e prima metà del XVII, perché amministrata ‘in
158
loco’ e direttamente dal ‘Prior’, portatore e rappresentante degli interessi diretti, la presenza
sul territorio, riferibile al Monastero di Limosano, non poté non essere che, quasi certamente,
di parecchio più estesa. Tuttavia, ne sfuggono, per la assoluta mancanza di ogni
documentazione specifica, gli elementi utili per disegnarne la reale ed effettiva consistenza.
La crescita delle disponibilità patrimoniali dovette risultare costante nel tempo in quanto
risultanza di ‘donazioni’ molteplici e diverse. Come quella (25 Giugno 1582) di “Berardino de
parrocco, alias cecerchia”, che dona “Venerabili Monasterio S.ti Petri de Majella” ogni suo
bene mobile e ‘stabile’.
Va qui annotata l’esistenza di una serie di atti donativi, che, a conferma dell’eco raggiunto
anche nella provincia molisana e, con essa, a Limosano dalla vicenda di ‘Suor’ Giulia De
Marco (v. paragrafo 4.1), sembrerebbe avvalorare ipotesi già esposte in precedenza e che
definire sospette è poco. Quella, che riguarda il cenobio limosanese, si ritrova nei protocolli di
notai dei centri viciniori al nostro, che interessano il decennio appena seguente all’anno, il
1605, di inizio della vicenda stessa. Proprio quando, cioè (non sfugga la coincidenza), il
Monastero prende la titolazione a S. Maria della Libera.
Quanto alla organizzazione della vita quotidiana all’interno del Monastero, a quella, classica e
consolidata, dell’ora et labora, i ‘monachi’, nel tempo ed adeguandosi ad una esigenza
diventata sempre di più consuetudine nelle organizzazioni ecclesiastiche, avevano affiancato
l’amministrazione delle crescenti disponibilità fondiarie. In tal modo l’Abbazia da luogo di
preghiera con annessa azienda di lavoro per una produzione finalizzata alla sola
autosufficienza viene sempre più assumendo il ruolo di un vero e proprio centro economicofinanziario, che riesce a regolare, quando non a condizionare, lo sviluppo della ‘Terra’, nel cui
ambito situava, oltre che di quelle limitrofe.
Fu quanto più o meno accadde, per le diverse fasi di tale processo di laicalizzazione, e, per una
datazione di massima, ci si potrebbe riferire alle epoche dei cambiamenti di titolazione, anche
per la vita dentro il Monastero limosanese “de Maiella”.
Prima che, durante la diffusione iniziale dell’Ordine nei secoli XIII e XV, la consistenza
patrimoniale assumesse una dimensione tale da richiederne una amministrazione diretta, per le
istituzioni monastiche, oltre alla immancabile agricoltura, “lo sfruttamento della pastorizia e la
lavorazione dei panni di lana divennero ancora più specifici per quelle zone nelle quali già da
secoli venivano praticate. …, data la presenza di pascoli ed acque abbondanti (si legga, per
Limosano: fiume), si dovette assistere ad un continuo proliferare di gualchiere o valcaturi
gestiti sia dalla corte comitale che dagli ordini monastici che basavano le proprie rendite quasi
esclusivamente su tali lavorazioni,…”276. In seguito ed almeno, cioè, a partire dal XV secolo la
gestione ‘parassitaria’ della rendita derivante dal disponibile patrimoniale dovette prendere il
sopravvento e diventare la principale occupazione nel monastero.
In questa seconda fase, circa la tipologia dei contratti più frequenti, con cui veniva
amministrato il patrimonio, sul quale già gravavano le decime, i censi e le prestazioni più
diverse, sono da segnalare l’enfiteusi a 29 anni, il terraggio e, diffusa oltre ogni misura, la
emptio annuum introitum (compra delle annue entrate).
I ‘monachi’ della “religione celestina”, anche se osservavano la Regola di S. Benedetto,
avevano la facoltà di confessare e di predicare. La qual cosa li avvicinava ai ‘frati’ degli ordini
mendicanti. “A capo dell’Ordine stava l’abate di S. Spirito presso Sulmona, eletto per un
triennio (nota: anche l’elezione temporanea e non vitalizia del Superiore generale era
caratteristica degli ordini mendicanti) dal Capitolo generale. Gli abati uscenti erano chiamati
cooabbates. Tutti gli altri monasteri erano retti da priori fino al 1616, quando Paolo V distinse
i monasteri in abbazie (con almeno 12 monaci ed inservienti) e in priorati (con 6 monaci e
276
MUCCILLI O., Presenza monastica nel territorio bojanese – Note Preliminari, in Conoscenze 2 (1986), pag.
12.
159
inservienti). L’abito era una tonaca bianca e cappuccio nero e, per il coro, la cocolla nera. Lo
stemma dell’Ordine era una croce sulla cui asta inferiore era una S, qualche volta,
specialmente in Francia, affiancata da due fiordalisi”277.
E’ da pensare che quello di Limosano, per il numero limitato di religiosi e perché i documenti
parlano sempre di un ‘Prior’ al vertice dei ‘monachi’ che vi stanziarono, fosse solo un
‘priorato’.
Di esso poco o nulla si riesce a cogliere dei rapporti, di ogni e diverso tipo, con le altre case
religiose (le più interessate non poterono non essere che le viciniori di Campobasso e di
Trivento) dello stesso Ordine.
Alla definizione di qualche aspetto saliente non solo degli ambienti ma anche della vita
monastica dentro e fuori della casa religiosa (ma di quella di Limosano non si hanno che scarni
elementi utili a ridisegnarne la struttura della fabbrica) si rende qui necessario analizzarne
alcuni, almeno gli essenziali, punti di riferimento.
Le stanzette, le celle, dei monaci dovevano risultare di una semplicità estrema. Possiamo
immaginarle dotate di uno studiolo formato da uno scanno in legno e da una ‘banchetta’,
anch’essa in legno; vi era presente sempre, magari accanto a qualche figurina con scritte
capaci di richiamare il religioso alle regole del buon vivere monastico, una, o anche più di una,
croce d’abete. Il letto, talvolta con lenzuola o pezze e talvolta senza, doveva essere quasi
certamente di tavole, con un capezzale ed un pagliericcio ricoperto, almeno nei mesi più
freddi, con un ‘piumazzo di lana’.
Il luogo deputato alla refezione, agli incontri ed alle riunioni per le decisioni da prendersi in
comune (i ‘consegli’, i cui verbali venivano riportati in un apposito libro) ed, in modo
particolare, quelle concernenti l’amministrazione del patrimonio era il refettorio. Vi ci si
ritrovava, di solito al suono di una campanella, al mattino, dopo il canto del ‘mattutino’, per
una prima colazione, intorno a mezzogiorno, dopo la recita di ‘sesta’ o ‘nona’, per il pranzo,
ed alla sera, dopo l’ora della preghiera che seguiva la ‘compieta’, per la cena.
Il rivestimento, almeno in parte (la metà circa inferiore delle pareti), era di tavole. Non vi
mancava, posizionato sopra il lato della testa del ‘Priore’, un dipinto, raffigurante, assai
probabilmente, l’ultima cena. Forse anche la parte alta delle altre pareti era ricoperta di
immagini e di quadri che riproducevano episodi importanti della storia dell’Ordine e della vita
del Santo Fondatore.
Le mense, con gli scanni, di legno, erano spoglie e disadorne. Il posto del superiore doveva
risultare ben definito. Nel locale, sufficientemente ampio, è da presumere vi fosse presente un
grosso leggio.
A colazione, quando dalla Chiesa si passava al refettorio, i monaci trovavano sulla nuda
mensa, già apparecchiato e coperto da un tovagliolino, un pane, bianco e nero in egual misura
e senza distinzione per il superiore e gli altri componenti la famiglia religiosa. E’ probabile che
il pane fosse accompagnato da qualche companatico (spesso un frutto) e, scarseggiando il
pane, da cose ricavate direttamente dai campi e dall’orto.
A pranzo, così come a cena, non mancava mai l’acqua; non così il vino, di produzione dei
‘monachi’, che pure doveva essere assai frequente sulle loro mense. Era predisposto sulla
mensa dal refettoriere un tovagliolino con un panino o un pezzo di pane ed, in più, una
scodella. Ordinariamente veniva servita una minestra ed, a pranzo, una pietanza. La prima
consisteva di erbe cotte oppure di legumi e/o di ortaggi, tutti di diretta produzione.
Mentre si desinava o, a turno, si leggeva oppure si osservava il silenzio. A refettorio, forse
prima delle letture, fatte da tutti i Padri, si diceva dai religiosi pubblicamente la propria colpa
al ‘Priore’, ricevendone la correzione o la punizione.
277
OLIGER L., voce “Celestini, Ordine dei”, in Enciclopedia Cattolica, Firenze 1949.
160
Dopo il pranzo e, presumibilmente, anche la mattina, venivano lavate rispettivamente le
ciotole adoperate a mezzogiorno ed alla sera. Durante questo impegno, eseguito da un paio dei
‘monachi’ della famiglia religiosa, si recitavano delle preghiere ad alta voce.
La ‘libraria’ merita un discorso a parte. Era un locale, di frequentazione comune, utilizzato
per la conservazione sia di libri e manoscritti che dei documenti riguardanti l’attività del
Monastero. Pur se, ed anche negli ambienti ecclesiastici, la poca diffusione della cultura
rendeva non certo facile l’uso generalizzato dei testi, la tradizione benedettina, cui si rifaceva
la “religione celestina”, farebbe pensare ad una biblioteca sufficientemente fornita, della quale,
però, non è dato conoscerne la consistenza. Il danno arrecato dall’abbandono, verso la metà
del XVII secolo, del Monastero di Limosano da parte dei ‘monachi’, con la conseguente
dispersione del patrimonio librario, che prese vie diverse ed ora sconosciute, fece sì che di
esso nulla ci pervenisse. E, per la conoscenza e per la ricostruzione delle cose celestiniane, le
conseguenze furono irrimediabili e gravi.
Poiché tutto ciò che occorreva ai monaci veniva, per quanto e come possibile e secondo il
dettame della regola benedettina, approntato dagli stessi entro il Monastero la casa religiosa
disponeva, oltre la cucina, di diversi servizi indispensabili. Non si poteva fare a meno di tenere
un luogo comune con camino per le giornate più fredde dell’inverno, una foresteria per
accogliere i poveri del luogo ed i pellegrini, una lavanderia per “lavar le pezze delle istesse
camere”, una sartoria-guardaroba per “rappezzar gli habiti e proveder tutta la famiglia di
mutande e faccioletti mondi e netti”, forse una calzoleria ed una falegnameria, certamente
qualche locale pluriuso (si poteva incontrare chi si impegnava a rivestire fiaschi, a realizzare
cesti di vimini oppure a confezionare scope di migliaccio e di saggina) ed occorrente per la
conservazione dei materiali e degli attrezzi di lavoro nella zona dell’orto e, più in generale, dei
lavori agricoli.
Oltre che per il ritrovo, per la distensione e per il ‘labora’ dei ‘monachi’ nell’esercizio
dell’agricoltura, l’orto, circoscritto nei periodi iniziali da una semplice siepe (la ‘fratta’) e, col
passare degli anni, forse per motivi di sicurezza, da un muro, serviva per i lavori propri del
giardinaggio (zappatura o vangatura, posa in sede delle piantine, sarchiatura, innaffiamento) e
per gli altri riguardanti la coltura delle piante da frutta e del boschetto. Ovviamente dal
giardinaggio si ricavavano le insalate, le verdure ed i legumi; dalle piante la frutta e dal
boschetto le frasche e la legna per la cucina ed il camino.
Un luogo di importanza primaria per la vita monastica era rappresentato dal coro. Doveva
essere situato al piano terra e posto, forse intorno o di fronte all’altare, ad un livello alquanto
rialzato rispetto al pavimento della Chiesa. Durante il giorno vi si accedeva “richiamati dal
tocco della campana, che intimava <pure> il silentio della notte”. Al mattino e di notte, invece,
si andava al coro dopo il risveglio procurato dal rumore, poco gradevole, della ‘troccola’. Nel
giungervi, i ‘monachi’ prendevano il posto loro assegnato “con compositione e gran silentio”
ed aspettavano i segni convenzionali per l’inizio dell’ufficio da parte dell’ebdomadario.
La notte, dopo il canto corale del ‘Mattutino’, cui forse si facevano seguire le litanie del
Signore, della Madonna e dei Santi, si procedeva al rito della auto-mortificazione della
‘disciplina’.
L’ora che apriva la giornata era quella di Prima, seguita dalla messa comune, alla quale
assistevano tutti i componenti la famiglia religiosa.
Durante il giorno, l’ufficiatura divina era, assai probabilmente, divisa dalla scansione classica
delle ore (Prima, Terza, Sesta, Nona) delle Lodi e dei Vespri. La giornata si chiudeva,
all’imbrunire, col canto della Compieta.
161
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CAPITOLO 5°
IL CONVENTO FRANCESCANO DEI FRATI MINORI CONVENTUALI
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165
5.1 - Le vicende del Convento
Le ripetute e pressanti richieste (certe quelle del 1310, documentate dalla data delle due
iscrizioni su pietra: una sul portale della Chiesa e l’altra nella sacrestia) da parte di una
‘Universitas civium’, quella di Limosano, che, come si è visto, sta vivendo dal punto di vista
demografico, ma non solo, una fase di così forte espansione da essere vista dagli occhi dei
166
contemporanei non solo come una 'bona terra', ma (e confronti specifici dai documenti
vengono fatti anche con Guardialfiera, Larino, Trivento, Termoli e Dragonara, tutte ‘civitas’
sedi di diocesi) quanto la migliore, eccettuata Bojano, di tutta la provincia (f. 154r: est bona
terra et melior totae provinciae excepto boyano) beneventana278, indussero il re di Napoli,
Roberto d’Angiò, ad avanzare richiesta dell’autorizzazione papale ad erigervi un ‘convento’
per i frati francescani.
Ciò, nel momento in cui nella ‘Terra’ di Limosano la fase della ‘angioinizzazione’ e della
guelfizzazione, cui non fu di certo estranea la figura di Papa Celestino V, può dirsi, e con
buona ragione, portata a termine.
Da Avignone venne subito concessa al Superiore della Provincia Montis Sancti Angeli dei
Frati Minori, con la bolla pontificia del 7 Luglio 1312 “Sacrae religionis vestrae merita” del
Papa francese Clemente V, l’autorizzazione per la costruzione, insieme all’altro omonimo di
Larino, del “Conventus S.ti Francisci”.
Esso, in questo preciso momento storico, rappresenta il tentativo ed il modo di spostare
“extra moenia (fuori le mura)” della Civitas non solo la sua nuova azione politica, ma,
soprattutto dal punto di vista socio-economico (era stata appena ordinata la chiusura delle
tante fucine legate alla lavorazione del ferro), gli obiettivi e le attenzioni, moderne ed in linea
con i tempi, della ‘Universitas Civium’ limosanese, che con la promessa di dotazioni
patrimoniali, munifiche ma costose quanto al sacrificio per la rinuncia, lo stava inseguendo
già da diversi anni pur di ridarsi una immagine ed una visibilità conformi all’antico, ma
necessariamente diventate diverse a motivo delle mutate condizioni.
Tra i ‘bona’ sacrificati in tale occasione dai ‘cives’ limosanesi e messi a disposizione per
l’iniziale patrimonio dell’erigendo ‘convento’, così come mostra la dicitura “iam ab anno
suae fundationis (già dall’anno della sua fondazione)” riportata da più di un documento, è da
ricomprendere sicuramente quel “pezzo di territorio di tt.a duecento ottantotto, con querce,
nel luogo d.o Monte Marconi, <che> confina <con la> strada publica, <i> beni dell’Uni.tà,
<la> Difesa di Cascapera, <ed i> beni della Terra di S. Angiolo”279.
Con identica certezza e per la stessa motivazione tra quei ‘bona’ è da includere almeno
“un’altro Territorio di tomuli quarantadue nel luogo d.o Peschio Corvo, <che> conf.a <con>
beni della Terra di Fossaceca, beni della Camera Marchesale, ed altri,…”280. E sembrerebbe
che quest’ultimo, oggetto ancora durante il secolo XIX di aspra contesa tra i frati del
Convento ed il Comune per la vicenda del ‘tantundem’ (dovevano essere pagati dai
‘coltivatori’ i pesi ad entrambe le istituzioni), facesse parte di un unico ed assai più vasto
‘territorio’, di ampia estensione, se dal ‘Catasto Onciario’ viene ricompreso tra quei
“Territorij dentro la Difenza della Sala”, indicati separatamente, e non senza significato,
da tutti gli altri del patrimonio del Convento. Essi, tra i quali quello già descritto figura al
quinto e penultimo posto281, situano tutti nella parte di tramontana della ‘difesa’ e sono:
278
ARCHIVIO VATICANO di ROMA, Collect. t. 61 cit. Al f. 175a espressamente viene riferito che “dicta terra
limosani est melior terra… quam plures civitates dicte provincie beneventane ut puta civitates Guardie alferie
dragonarie Termolense lesine Montis corbini Vulturarie et florentini”.
279
ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1.
280
ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1.
281
ASCL, Catasto Onciario, B. 1, f. 1. Con atto del 28 Agosto 1828 “i Religiosi Conventuali di questo Monistero
di San Francesco, cioè molto Reverendo Padre Maestro Filippo Fracassi, Superiore del Monistero, Reverendo
Padre Giuseppe Borsella Sacerdote, e Fra’ Venanzio Fracassi, Suddiacono, a noi ed a Testimoni ben cogniti,
hanno dichiarato: 1° Che questo Monistero prima della soppressione avvenuta durante l’occupazione militare
possedeva da secoli una tenuta dell’estensione di tomoli quarantadue nel tenimento si questo Comune in
contrada Pesco Corvo. 2° Che questo medesimo comprensorio nel milleottocentoventuno, allorché per sovrana
determinazione e munificenza fu questo Monistero ripristinato, fra gli altri beni assegnati in dotazione dall’alta
Commissione Esecutrice del Concordato vi fu anche il fondo indicato alla detta Contrada. 3° Che trovandosi
167
- un Territorio di tomuli sei, nel luogo d.o la Sala a Peschio della Volpe,…;
- un’altro Territorio di tt.a quarantadue nel luogo d.o Uomo morto, e Serra di
Castropignano, <che> confina <con> beni di S. Maria Mag.re, beni della Unità della Terra
di Fossaceca, strada publica, ed altri,…;
- un’altro Territorio di tt.a ventitre, nel luogo d.o Lame Rosse, e Morge del Gesso,…;
- un’altro Territorio di tt.a sei à Colle pizzuto, <che> confina <con> beni della Terra di
Fossaceca, e beni della Camera Marchesale,…;
- un’altro Territorio di tomuli quarantadue nel luogo d.o Peschio Corvo;
- un’altro Territorio di tt.a dodeci, nel luogo d.o Fonte Falcione, e fonte di S. Sconcio,…
E non sembra essere cosa da tenere in scarsa considerazione la ‘dotazione’ di una siffatta
notevole estensione di terreno, specialmente se riferita ad un periodo, il primo decennio del
‘300, in cui la congiuntura economico-demografica costringeva gli “homines de limosano” a
recarsi a lavorare “terras in castro sancti Angeli, ferrarii, Cascapere, …, et castellucij” e ad
andare “per lignas ad silvas montisagani, ad silvas Triventi, ad silvas petrelle”, dove anche vi
“ducebant animalia” per il pascolo.
E mentre tale sembra essere stato a Limosano il contesto politico-economico, in cui si
inseriva il Convento per i frati minori di S. Francesco, occorre considerare anche un reale
problema di natura storica.
Quali, cioè, furono allora le motivazioni che portarono ad individuare nel sito, in cui ancora
posiziona, il luogo dove costruire la ‘fabbrica’ del complesso conventuale?
Se non una ‘vera’ risposta a tale interrogativo, quantomeno utili elementi per formulare una
ipotesi di studio viene dal già citato282 brano:
"...In molti luochi fundati li centinaia d'anni prima che questa santa Religione (= dei frati
cappuccini) havesse origine, si vedeno in esse depinte le figure del nostro Padre san
Francesco,... Del che chiaro testimonio ne dà primo una figura di esso Padre nostro depinta
nell'antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias Musane, così registrata
nella porta enea dell'arcivescovado di Benevento,..., la quale chiesa hoggi è posseduta da
padri Conventuali, apparendo nel choro di essa una simile imagine di un san Francesco, con
capuccio e corda come di sopra".
Più che in un ‘convento’, la riproduzione della “figura depinta” del “Padre san Francesco”,
che, così come lascia intendere la parola “primo”, ancora (ma da quando?) anteriormente al
1615 doveva risultare la più fedele di tante altre, viene, in modo del tutto singolare, detta
trovarsi “nell'antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias Musane”. E
che, poi, tale “antico vescovado” debba farsi coincidere con la stessa chiesa del ‘convento’ o
con qualche istituzione religiosa situata in quel luogo ancor prima della costruzione del
complesso monastico francescano sembra potersi desumere dal fatto che il testo fa chiaro
riferimento a quella chiesa, “la quale chiesa hoggi è posseduta da padri Conventuali”.
aggregato all’Amministrazione Comunale, fu tentata la via di conciliazione avanti il Consiglio d’Intendenza per
la restituzione, ma invano.”.
282
IASENZANIRO M. e BORRACCINO R., CHRONICHETTA de Frati Minori Cappuccini della Provincia di
S. Angelo di Puglia... cit. (v. nota 47 del I Capitolo), pag. 100.
168
Chiesa di S. Francesco: Portale.
Insomma, per una ricostruzione quanto più possibile la più corretta, quale il significato da
attribuire a quella evidente contrapposizione, usata dal cronista, tra l’espressione “antico
vescovado” e l’avverbio ‘hoggi’? Che senso e, soprattutto, che ruoli e funzioni storiche sono
da assegnare a quell’antico vescovado, probabilmente situato proprio in quel preciso luogo
già da prima della edificazione del Convento? E, poi, come spiegare la presenza, sempre “in
detta Chiesa” ed ancora, come si sta per vedere, verso la fine del XVII secolo, della “Catedra,
ò sia la sedia dell’antico Vescovo…”, della “sepoltura delli Vescovi morti” e di alcuni
“cappelli” di vescovi appesi al suo soffitto?
Il ruolo, anche se non la progressione nei tempi, di ‘vescovado’, svolto dal Convento, emerge
con chiarezza dalla seguente “Fides publica per Mag.cum Dominicum Amoroso Terre
li=Musanorum…” del 19 Aprile 1755283, ma che documenta di situazioni e di fatti da riferire
nel tempo agli anni intorno al 1680.
283
ASC, Fondo AMOROSO, Not. Amoroso Francesco Antonio, atto del 19 Aprile 1755.
169
“In publico Testimonio costituito il Mag.co Domenico Amoroso Reg.o Giudice à contratti di
detta Terra, di sua età di anni novantatre in circa, come ha detto, e dal suo aspetto
apparisce, il q.le spontaneamente have asserito alla presenza nostra, come in tempo della
sua figliolanza, e poteva allora essere da circa sedeci anni, allora, che il Convento, ora di
San Francesco della med.a Terra non veniva abitato da Monaci, ma stava senza nessuno,
habitava in detto Convento il Sacerdote q. Lionardo Giancola della stessa sud.a Terra, il
quale teneva le Chiavi, ed aveva Cura della Chiesa, e di tutta l’abitaz.ne, ed affittava li
fundici di sotto, che erano due, à Cittadini, e detto Don Lionardo teneva molti scolari, e
faceva scuola nella Cucina, che stava come si sale la gradinata del dormitorio, e tra
l’altri scolari vi era esso Costituto, il q.m Don Giovanni Battista Sabetta, il q.m Don
Gaetano Covatta, Domenico Sabetta Fratello del detto q.m Don Giovanni Battista, il q.m
Simone, e Nunzio di Luca Figli del q.m Domenico di Luca, ed altri Cittadini, e
coll’occasione di andare mattina, e sera colà alla scuola, per ordine di detto q.m Don
Lionardo Giancola Maestro, andavano, quando venivano comandati, a sonare le campane,
che ivi stavano, ed una volta, sonando con detti suoi compagni scolari ad esso Costituto se li
rivoltò la fune nel collo, e lo alzò fino alli travi del Pesolo, e cadde in terra avanti la porta
minore della Chiesa che usciva al Chiostro, la quale oggi è rifabricata, e q.lla fune li
rovinò il collo; e con tale continuazione, sa benis.mo, ha conosciuto, e veduti in detta
Chiesa, che vi erano quantità di altari per tutte le mura, le q.li poi li fece levare la buon
Anima del Cardinale Orsini Arcivescovo di Benevento, e soli trè ce ne fece restare, come
si vedono oggi; ed in detta Chiesa, sa benissimo, ci ha conosciuto, veduto, e toccato con le
sue mani la Catedra, ò sia la sedia dell’antico Vescovo, con la sua Cupola, e Crocetta
sopra, tutta lavorata, scorniciata, intagliata, ed indorata, fatta ad otto angoli, e stava sotto
l’Arco della Sagristia sopra la Sepoltura delli Vescovi morti, avanti al q.le arco, vi era un
parapetto di pietra, alto da circa tre palmi, ed esso Costituto, con l’altri scolari suoi
compagni, quando non erano veduti dal Maestro, andavano a mettersi dentro detta sedia, e
sotto detta cupola; ma poi essendo venuti li Monaci in detto Convento, ed il primo Guardiano
fù Fra’ Francesco Mancinelli d’Agnone, e quello fece fare Religiosi dello Stesso Convento
quali qq.m Fra’ Domenico Giancola Fra’ Giovan Battista Covatta, e Fra’ Francesco
d’Amico, ed arrivati questi, posero in polito la Chiesa, e fra l’altri, la prima volta, che fù
Guardiano Fra’ Francesco d’Amico, essendo esso Costituto cresciuto in età, ed avendo
imparata l’arte del Mastro d’ascia, li fece guastare quel parapetto, che stava nell’Arco
della Sagristia avanti la Sepoltura de Vescovi morti, e ci fece fare adattatamente un
armadio, che serviva per le suppelletili della Chiesa di detto Convento, ed allora, che si fece
guastare detto parapetto, per accomodarci detto armadio, con che detto Fra’ Francesco
d’Amico li disse, che quella era la sepoltura delli Vescovi antichi, e detto Fra’ Francesco,
per potervi accomodare detto armadio, lo fece mattonare per sopra, e tutti li Vecchi del
Paese dicevano, che quella era la Sepoltura de Vescovi; ed ha soggionto che la porta, e
facciata avanti della Chiesa di detto Convento, come presentemente si vede tutta di
pietre lavorate fine, con cornicioni, colonnette, e lioncini dimostra essere porta di
Vescovato, anzi sopra la finitora di detta porta, sopra il cornicione vi era un Angiolo
grande di pietra ben fatto, che faceva cima, con un incensiero di pietra in mano, e lo
detto primo Guardiano Mancinelli lo fece levare, perché, non lo sa, et ita juravit, tactis”.
Ed il ruolo di “vescovado” risulta, se possibile, ancora più evidente dalla riportata (V. nota
51 al Cap. 1°) “Captio possessionis”, del 11 Ottobre 1753, della già Cattedrale di S. Maria,
dove si legge che “Nell’Inventario de beni dell’insigne convento de Minori Conventuali
di San Francesco di q.sta sud.a antica Città de li=Musani, formato dalla Corte locale
d’ordine Regio l’anno 1724, si fa menzione, e si rapportano in q.lla Chiesa, la Sepoltura
de Vescovi di li=Musani, ed i loro Cappelli, al numero di trè, appesi nel cielo della
170
Chiesa, come anche l’effigie del Vescovo scolpita di rilievo in marmo sopra l’Arco
dell’Altare Maggiore, che oggigiorno si vede, e vi sono ancora Cittadini di lunga età, che
l’attestano, trà quali il Regio Giudice à contratti Domenico Amoroso di anni
novantacinque in circa, e freschi ancora, come è il Mag.co Raffaele Giancola d’anni
cinquanta in circa, ed altri Cittadini, che han veduto d.i Cappelli appesi in d.a Chiesa
del sud.o Convento, quali Cappelli poi imprudentemente furono tolti da un certo Rev.do
Padre Mancinelli d’Agnone, che fù Guardiano di d.o Convento, il quale Mancinelli tolse
ancora dalla bella prospettiva di fuori di d.a Chiesa, tutta di pietre ben lavorate, e ben
connesse all’antica, un grosso e magnifico Angiolo di pietra di rilievo, magnificamente
scolpito all’antica, che faciva cima, e corona sopra al cornicione grande ultimo, alla
Magnifica, e mai veduta porta di d.a Chiesa, tutta lavorata con colonne di pietre
angolate, e colonnette intorno con certe di rilievo, cagnolini, e fogliami concavi mai
veduti”.
A questo punto alcune domande: Perché, dopo che già Fra’ Francesco Mancinelli da Agnone,
Guardiano (e, pertanto, esponente delle istituzioni), appena si riapre (dopo la chiusura seguita
all’inchiesta innocenziana) il Convento, ‘fece levare’ la scultura di “un grosso e magnifico
Angiolo grande di pietra ben fatto, magnificamente scolpito all’antica che faceva cima, con
un incensiero di pietra in mano”, pure il gruppo dei frati limosanesi suoi ‘discepoli’, “arrivati
questi, posero in polito la Chiesa”? Era quella di distruggere e di coprire (“ci fece fare
adattatamente un armadio”) le testimonianze antiche una iniziativa decisa ‘in loco’ o, per il
fatto che viene affidata a limosanesi, probabile frutto di ‘ordini’ che venivano dall’alto?
Quali e quanto gravi le cose da rimuovere, se è vero che anche “la buon Anima del Cardinale
Orsini” intervenne per far “levare” la grande “quantità di altari per tutte le mura,…, e soli
trè ce ne fece restare”? E, poi, quale il valore ‘storico’ da assegnare all’espressione “posero
in polito la Chiesa”? E, se si operò con interventi modificativi persino sulle strutture
architettoniche ed artistiche, potrebbe essere mai possibile che in quell’occasione non
vennero distrutti o falsificati i documenti cartacei e di archivio?
Certo è che ora altro non resta che la sola possibilità di avanzare delle ipotesi. O, meglio e più
precisamente, delle supposizioni e delle congetture. Sulla maggiore o minore antichità di
quel vescovado, del quale il ‘convento’, sembra, abbia occupato la ‘fabbrica’ ed il ruolo.
Sulla funzione ‘storica’ di quel “vescovado della destrutta città dell’homini sani, alias
Musane”. Ed, infine, sul perché gli stessi frati “posero in polito la Chiesa” ed il Convento,
che “in una delle prime Costituzioni dell’Ordine… viene ricordato accanto a quelli siti nelle
più importanti città d’Italia”284.
284
ASCL, B. 28, f. 188, AMOROSO Gaetano, Relazione circa le condizioni del Convento dei Minori
Conventuali e della Chiesa di S. Francesco d’Assisi esistenti in Limosano.
Trattasi di una ‘relazione’, appunto, di appena sette pagine dattiloscritte, con cui si riscontrava una richiesta,
datata 27 Ottobre 1924, da parte della Regia Soprintendenza dell’arte medioevale e moderna al Sindaco di
Limosano tesa ad ottenere un rapporto sull’importanza storico-artistica del complesso conventuale limosanese.
171
Chiesa di S. Francesco, Sagrestia: Pietra con la data MCCCX (1310), da riferire alla presumibile
richiesta di un convento di francescani da parte dei ‘particulari’ della “Terra Li=Musani”.
Ma, per essere, con più di qualche probabilità, non lontani dal vero, non bisognerebbe forse
dimenticare il fatto che a Limosano la ‘angioinizzazione’ (e, con essa, le innegabili radicali e
profonde trasformazioni del tessuto sociale, economico ed edilizio) ha inizio da quando “Die
XXVI martii XIII ind. (1270) apud Capuam. Concessum est Adenulfo filio Johannis
Comitis, Romanorum Proconsulis, et heredibus suis, etc., castrum Limosani, pro unc.
LXXX <Reg. 7, f. 49> (= nel giorno 26 del marzo 1270 da Capua. Viene concesso ad
Adenolfo, figlio di Giovanni, Conte, Proconsole dei Romani, ed ai suoi eredi, etc., il
‘castrum’ di Limosano per 80 once”285.
Cosa e, soprattutto, chi si nasconde dietro quella espressione? Un alto esponente forse della
gerarchia della Chiesa? Ed in che cosa, infine, sono consistiti nella realtà limosanese gli
interventi imposti dalla angioinizzazione?
Dopo l’immediato, quanto ovvio, ‘placet’ di Re Roberto alla bolla pontificia, “nell’anno
successivo, come le memorie ci hanno tramandato, ebbe inizio la costruzione della Chiesa e
del Convento che fa un corpo solo con questa”286. Anche i documentati ed autorevoli
‘Annales Minorum’ del P. Lucas Wadding confermano che “il Convento Francescano di
Limosano è sorto nel 1313”.
Ed oltre che dal Wadding, anche dal fondamentale studio, più recente, del Golubovich risulta
evidente che la Provincia di S. Angelo, sempre formata da quattro ‘Custodie’, mentre nella
‘Serie Spagnola’ (1263-1270), nella ‘Serie Anglicana’ (1290), nella ‘Serie Sassone’ (c.1300)
e nella ‘Serie del Capitolo Generale di Napoli’ (1316) comprendeva solo 22 luoghi (e questi
285
Registri della Cancelleria Angioina, editi (in 21 volumi) dall’Accademia Pontaniana di Napoli a partire dal
1950, Vol. II, pag. 252, N. 64. Nel Vol. VIII, pag. 12, N. 73, si legge: “Adenulfo, f(ilio). Johannis Comitis de
Urbe”. E nel Vol. XIV, pag. 145, N. 93, si riporta: “Concedit Adenulfo de Comite de Urbe… castrum
Limosani in Justitiariatu Terre Laboris in donum”.
286
AMOROSO G., Relazione… (v. nota 7).
172
non sono mai indicati e specificati) di conventi francescani maschili, “nella ‘Serie di fr.
Paolino da Venezia’ (1334-1344) detta Polichronicon o Provinciale Ordinis Fratrum
Minorum comprende : 4 Custodie e 29 luoghi (a).
In quest’ultima serie, a differenza delle altre, vengono, per la prima volta designate anche le
località dove sorgono i luoghi.
Ecco il testo della Serie di fr. Paolino da Venezia, che riportiamo dagli ‘Annales Fratrum
Minorum’ del Wadding (b):
Provincia S. Angeli habet quatuor Custodias:
Custodia Comitatus (= del Contado di Molise) habet:
1. Iserniae
Isernia
2. Venafri
Venafro
3. Boiani
Boiano
4. Campibassi
Campobasso
5. Angloni
Agnone
6. Limosani
Limosano
7. Planitii
Pianise (o Pianisi, a breve distanza da S. Elia a Pianisi).
Custodia Civitatis (= di Civitate) habet: Gulion (Guglionesi), Scialeran (Larino), Civitatem
(Civitate), Praecinae (Apricena), Termonarum (Termoli), Vasti (Vasto), Montis Odorici
(Monteodorisio).
Custodia Montis S. Angeli (= di Monte S. Angelo) habet: S. Angeli (Monte S. Angelo),
Manfredoniae (Manfredonia), S. Joannis Rotundi (S. Giovanni Rotondo), Vestarum (Vieste),
Pesquitii (Peschici), Rodi (Rodi), Caniani (Cagnano Varano), Iskitelli (Ischitella).
Custodia Capitanatae (= della Capitanata) habet: Lugeriae (Lucera), S. Severe (S. Severo),
Foggiae (Foggia), De Casali Novo (Casalnuovo), Troiae (Troia), Aesculi (Ascoli Satriano),
Corneti (Corneto)”287.
Diventa, pertanto, cosa del tutto indubitabile che il “Conventus S.ti Francisci” di Limosano
venisse costruito nel breve volgere di appena qualche anno. E, così come dimostra il riportato
testo della ‘Serie di fr. Paolino da Venezia’ (1334-1344), almeno dai primi anni trenta del
XIV secolo (ma sembra certo che lo dovette essere sin da prima) venne già abitato da una
regolare ‘famiglia’ religiosa di ‘frati’ francescani.
I pochi elementi ‘originari’288, ancora presenti e visibili nella struttura architettonica della
Chiesa (il bel portale in pietra finemente lavorato; le ‘sculture’ murate, all’esterno, nella
parte posteriore; una bella e quasi nascosta iscrizione, riportante a caratteri gotici la data del
287
FORTE D., Movimento Francescano nel Molise, Campobasso 1975, pag. 23 e segg. Il Padre Doroteo Forte
cita:
(a) GOLUBOVICH Girolamo (P.): Biblioteca biobibliografica di Terra Santa, Quaracchi 1913, tom. II, pp. 241,
244, 245, 249.
(b) WADDING: Annales Minorum, tom. IX, p. 216.
288
TROMBETTA A. (v.: Arte nel Molise attraverso il medioevo, Campobasso 1984, pag. 490) scrive: “Con la
medesima bolla del 7 luglio 1312,…, il papa Clemente V autorizzò la costruzione di un convento per i
francescani anche in Limosano, quindi è probabile che l’edificazione della chiesa di S. Francesco sia stata
iniziata in questo anno o subito dopo. Essa, a causa dei numerosi restauri, conserva dell’antico stile romanicogotico solo il portale in cui ricorrono i noti motivi di colonnine, interposte tra gli stipiti ed i pilastri esterni, con
capitelli dalle foglie accartocciate. Nei gusci, che separano le colonnine l’una dall’altra, sono simmetricamente
scolpite delle rosette. La lunetta presenta, al centro, l’agnello crocifero, fortemente sbalzato dal piano di fondo e
discretamente modellato. Lungo i muri perimetrali sono inserite delle pietre lavorate tra le quali caratteristica
quella sul lato est (nota: in realtà trattasi di quello ad ovest), riproducente la figura di un prelato morto, a braccia
incrociate sul petto, eseguito con la stessa tecnica gotica locale… Al di sopra della sua testa una mini-città turrita
occupa il campo di uno scudo capovolto”.
Di tale ‘figura’, che diversi elementi portano a ritenere la parte superiore di una tomba-sarcofago, e delle due
altre più piccole, murate poco più in basso e sullo stesso lato esposto ad ovest della Chiesa, andrebbe analizzato
il ‘senso’ allegorico e simbolico.
173
1310, ri-murata con evidente casualità nella sagrestia), oltre a quanto, ed è non poco, di
artistico e di dovizioso emerge dalla riportata “Fides publica per Mag.cum Dominicum
Amoroso Terre li=Musanorum…” del 19 Aprile 1755, fanno pensare ad una ‘costruzione’
della struttura conventuale, che, almeno nella fase iniziale, doveva presentare caratteristiche,
per l’arte e per il rigore dello stile romanico-gotico, di notevole pregio.
Una certa conferma verrebbe dal fatto che “il Convento, magnifico fabbricato dagli ampi e
luminosi corridoi, venne costruito in pietra del luogo,… […]. (E) le celle hanno l’aspetto
caratteristico di quelle del 300, come si conservano a S. Chiara a Napoli”289.
A questo punto, problemi per lo storico potrebbero rappresentarsi nell’individuare sia il
finanziatore (o i finanziatori) in loco di una struttura così imponente per bellezza e per mole
architettonica che la provenienza degli artigiani-artisti che vi lavorarono. E, specie se si
considera la quasi contemporaneità con la costruzione del Monastero ‘de Majella’, essi, il
primo in modo particolare perché dovrebbe spiegare, oltre alla provenienza, la presenza a
Limosano di ingenti risorse finanziarie, assumono una non trascurabile importanza.
Ma, ciò nonostante, sono di assai difficile soluzione; soprattutto perché “i documenti antichi
della Provincia di S. Angelo, tra i quali quelli del convento di Limosano,…, sono andati
distrutti durante i cinque anni (1809-14) nei quali le truppe napoleoniche occuparono il
convento dei Santi Apostoli (nota: di Roma) trasformandolo in caserma”290. E ciò, anche se
“dal 1200 al 1814 si sono salvati pochi documenti, dei quali alcuni riguardano proprio il
convento di Limosano”291.
Quando, nei primi decenni del ‘400, per la ricerca di una osservanza ispirata alla povertà più
totale292, nell’ordine dei frati minori di S. Francesco si consumava di fatto293 la scissione degli
‘Osservanti’ dai ‘Conventuali’, il convento di Limosano, in quanto ‘tra i più magnifici che
veder si possa’ e soprattutto perché vi stanziava una famiglia religiosa di frati composta da
quei “seguaci delle costituzioni originarie con qualche attenuazione in rapporto alla
povertà”294, rimase a questi ultimi.
289
AMOROSO G., Relazione… (v. nota 7).
Da una lettera del 20 Febbraio 1995, a firma di P. Arturo Saliba, Archivista Generale dell’Archivum
Generale Ordinis Fratrum Minorum Conventualium Romae, indirizzata all’autore, con la quale si riscontrava
una precedente richiesta, del 9 Gennaio 1995, di notizie sul Convento di Limosano.
291
Si veda la precedente nota 13.
292
Per avere un’idea della vita, improntata alla povertà più assoluta, che menavano i primi “fratres devoti”
dell’Osservanza, trascriviamo dal citato P. FORTE D. qualche brano (pag. 39). “Al tempo di fr. Tommaso (nota:
trattasi di fr. Tommaso da Firenze, morto a Rieti nel 1447) si riferisce il Wadding, quando dice che… i Frati
vivevano a modo di eremiti segregati in luoghi deserti e in mezzo a boschi, senza curarsi minimamente delle
cose dei secolari, né ascoltavano confessioni, né partecipavano a funerali o a pubbliche funzioni. Vita eremitica
segregata nei boschi, preghiere e penitenza formavano l’ideale di quei primi Osservanti del Molise. Dal volto
macilento essi raramente si mostravano in pubblico per procurarsi il nutrimento necessario con l’elemosine che
chiedevano in ginocchio. Con rozze vesti incedevano a piedi nudi, solo in caso di necessità usavano gli zoccoli,
onde il popolo li appellava ‘zoccolanti’. Quasi tutti erano fratelli laici ed era difficile trovare qualcuno che
volesse essere sacerdote; spesso avveniva che l’intera comunità non poteva ascoltare la Messa nei giorni festivi,
onde Papa Eugenio IV commutò, per loro, l’obbligo di ascoltare la Messa in un’altra ora di meditazione. Quei
‘fratres devoti’, con ostinata mentalità, guardavano la vita francescana, in maniera preminente, sub specie
paupertatis”.
293
La ‘ufficializzazione’ della divisione si avrà solo nel ‘500. A tal proposito riportiamo da P. FORTE D. (pag.
133): “… il Cinquecento, secolo di passione per la Chiesa, è il secolo di divisione e riforme per il
Francescanesimo; è del 1517 il fatto, ben doloroso, della divisione dell’Ordine dei Minori in Frati Minori
Conventuali e Frati Minori Osservanti. Dalla stessa famiglia degli Osservanti sorgono nuove correnti di riforma,
quella più forte ed autonoma dei Frati Minori Cappuccini, riconosciuti ufficialmente da Papa Clemente VII nel
1528; quelle subordinate allo stesso Ministro Generale, ma con regolamenti propri, dei Frati Minori Riformati e
Frati Minori Alcantarini”.
294
AMOROSO G., Relazione…
290
174
E che fosse un manufatto ‘notevole’ tanto per la struttura architettonica che per il pregio
artistico lo dimostrerebbe il fatto che “in una delle prime costituzioni dell’Ordine, dopo la
suddivisione innanzi ricordata, il Convento di Limosano viene ricordato accanto a quelli siti
nelle più importanti città d’Italia”295.
Assai consistente, tra l’altro, doveva esservi pure il patrimonio documentario e librario, che
(e la cosa rappresenta ulteriore elemento di prova sull’importanza culturale dell’insediamento
limosanese e sul ruolo che esso ancora svolgeva nell’ambito territoriale del medio Biferno) vi
si conservava, se è vero che “le memorie ed i documenti conservati nella sua biblioteca
ricca di opere pregevoli <furono> pubblicati a Venezia nel 1500”296.
Ma come mai e perché proprio a Venezia? La probabile risposta ad una tale domanda deve
ricercarsi nella circostanza per cui il P(adre). B(accelliere). Salvatore da Limosano “nel
1491 fu nominato Baccelliere del Collegio di S. Maria de Avanzio in Padova dal P.
M(aestro) Sansone, Ministro Generale dell’Ordine Francescano”297. E Padova, appunto e
come si sa, dista solo pochi chilometri da Venezia.
Occorre, qui ed a mo’ di annotazione, registrare il fatto che sul finire del XV secolo, quando
cioè l’Umanesimo sta sfociando nel Rinascimento, Limosano [la “Napuleucc’” (= piccola
Napoli), di cui si sente tramandare e raccontare da qualche anziano del paese] ed i limosanesi,
come era il P. Salvatore, ancora riuscivano ad ‘esportare’ quella cultura, non frutto di mera
occasionalità, ma dalle solide radici nei secoli lontani. Essa era, o, in mancanza di ogni altra
conoscenza, piace pensare che fosse, quanto rimaneva delle ‘produzioni’ di quei “multos
literatos videlicet logistas, doctoralistas…, gramaticos”, che, assai numerosi, abbiamo
trovato presenti nella Limosano dei secoli XIII e XIV.
Per trovare, e ne viene, in tal modo e già da allora, documentata anche l’attività fondiaria, la
‘prima’ notizia ‘notarile’ riguardante il Convento si deve arrivare al 18 Ottobre 1582.
Trattasi di una “Conventus S.ti Francisci minorum Conventualium Terre Limosani ab
Antonio de Lione Terre Cirreti emptio Massarie (= acquisto da parte del Convento di una
massaria da Antonio de Lione della Terra di Cerreto <Cerreto Sannita ?>)”, che era “sita in
loco ubi vulgo dicitur Lo laco, seu …<parola illegibile> S.to pietro”. L’atto298 fu stipulato “in
presentia Reverendissimi fratris Paduani Longhi (probabilmente il Padre ‘Guardiano’ del
Convento) ac fratris Bonaventure esiudem terre fratruum ordinis S.ti Francisci
Conventualium (= alla presenza del Reverendo Fra’ Paduano Longo da Limosano e di Fra’
Bonaventura della stessa Terra, frati dell’Ordine dei Conventuali di S. Francesco)”.
Per lo stesso periodo, l’ultimo trentennio del XVI secolo, è documentata, oltre, come già si
accennava, ad una consistente attività fondiaria ed economico-patrimoniale, anche una forte
presenza nel ‘sociale’ del Convento limosanese. Lo testimonia l’esistenza nella annessa
Chiesa di ben due ‘Confraternite’, entrambe “erecte in dicta Ecclesia S.ti Franc.i”: la
“Confraternitas S.me Conceptionis” e la “Confraternitas Cordonis S.ti Francisci”.
Qualche notizia sulla prima di esse, almeno relativamente alla composizione ed alla struttura
al vertice, è possibile derivarla dalla “Conventus S.ti Franc.i minor- Conventualium
Limosani, et eius Capp.e S.me Conceptionis a Jo: dè Marcho Antonio eiusdem Terre Donatio
omnium eius bonorum, domus et vinee irrevocabiliter inter vivos (Donazione irrevocabile tra
295
AMOROSO G., Relazione…
AMOROSO G., Relazione…
297
Il P. SALIBA A. (v. la precedente nota 13) ha tratto la notizia dal ‘Regestum Ordinis’, II, f. 46. Anche il
‘NECROLOGIO dei Frati Minori Conv. della Provincia Pugliese dei Santi Nicola e Angelo’ (1957?) compilato
dal M.R.P. Gabriele Guastamacchia riporta, al 26 febbraio, “1500 circa: P. Salvatore da Limosano =
appartenente alla Provincia di S. Angelo, nominato dal P. generale Sansone baccelliere del Collegio di S.
Maria de Avanzio in Padova nel 1491”.
298
ASC, Protocolli notarili del Fondo AMOROSO, Notaio RAMOLO Nicolamaria.
296
175
vivi di tutti i suoi beni, di una casa e di una vigna da parte di Giovanni Marcantonio)” 299. Da
essa, del 1589, infatti, oltre a sapere che il “R. frater Donatus de Marinaccio”,
probabilmente presente alla stipula dell’atto in quanto ‘superiore’, è nel frattempo diventato il
“Guardianus” del Convento (nel cui incarico, o come tale o anche come “Guardianus et
Prior Venerabilis Monasterij dicte Terre”, a parte una breve parentesi intorno al 1605 quando
sembra esserlo stato il limosanese “R.dus Pater Vincentius Covatta”, è documentato
almeno sino al 1615), apprendiamo dell’esistenza di “fratri paduani longi (‘Longo’ è
cognome ‘storico’ in Limosano), de eadem Terra (così come il ‘frater Donatus’)”, che era il
“Cappellani Cappelle Confraternitatis S.me Conceptionis erecte in dicta Ecclesia” e di
“Antonij del Gobbo eiusdem Terre”, il quale ricopriva la carica di “prioris <…> in presenti
anno dicte Confraternitatis S.me Conceptionis”.
La particolare titolazione di entrambe le Confraternite, specialmente della seconda, le fanno
ritenere sufficientemente antiche, pur se è difficoltoso, per la quasi totale carenza di notizie,
individuarne la fondazione, così come pure ricostruirne l’itinerario storico. Non trovandole,
comunque, più menzionate nei documenti del XVII secolo, se ne deve ipotizzare la
scomparsa sin dai primi anni di tale secolo.
A parte la caratteristica dell’annualità degli incarichi, quantomeno ai vertici della istituzione,
va registrata, per il periodo storico immediatamente successivo al Concilio di Trento, una
evidente, quanto accentuata, preminenza della componente ‘religiosa’ su quella ‘laica’.
La contemporanea presenza, poi, di ben due Confraternite “erecte in Ecclesia S.ti Francisci”,
tante, almeno nel numero, quante quelle (SS.mo Rosario e SS.mo Nome di Gesù) della
Chiesa di S. Maria e più della sola (SS.mo Sacramento), ma probabilmente assai potente, di
S. Stefano e dell’unica (S. Martino) dell’Ospedale, consente di ipotizzare, nella geografia del
sociale della Limosano cinquecentesca, un’attività molto dinamica del Convento, nonché
della relativa famiglia religiosa dei frati, i quali, spesso e nella maggioranza di essi, erano
originari, come si è già potuto notare, “de eadem Terra (di quella stessa Terra)”.
La prima famiglia di frati, quasi certamente completa (ma, se tale, abbastanza modesta), di
cui se ne conosce la composizione, è quella, del 1610, che risultava formata da:
- R.dus Pater frater Donatus Marinaccio (da Limosano), Guardianus
- R.dus Pater frater Franciscus Civitatis Vastis Doctor Theologus
- Frater Berardinus eiusdem Civitatis (forse frate ‘laico’)
- Joannes Christofanus (probabilmente neppure ‘religioso’).
Nel Convento di Limosano, probabilmente già sin dagli anni immediatamente successivi alla
sua fondazione e, quasi con certezza, durante i secoli XV e XVI (ne potrebbe rappresentare
una prova pure la ricca biblioteca, cui più sopra si accennava) era stato presente uno ‘studio’
assai fiorente per la formazione nelle materie teologiche, smantellato, come lascia intendere
la famiglia religiosa ridotta, forse subito dopo le ‘contro-riforme’ ordinate dal Concilio di
Trento. Tuttavia, è da pensare che, nella fase culminante della ricerca francescana per la
disputa sulla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione, il “Doctor Theologus
Pater Franciscus” da Vasto (città, con cui Limosano ebbe sempre ed, in modo particolare, nel
primo decennio del XVII secolo, contatti) vi tenesse ancora lezione, magari anche a ‘clerici’
non del proprio ordine monastico, secolari ed a studenti figli di benestanti del luogo.
Per il 1649, pur senza che ne sia indicato il nome, è traccia di un “Pater Guardianus” del
Venerabile Convento di S. Francesco sito “in Terra li=Musani”; e vi sembrerebbe, in tal
modo e con lui, documentata l’esistenza di solo un gruppetto assai ristretto di frati.
Così, alla fase di sensibile decadenza dal ruolo di punto di riferimento per l’intero ambito
territoriale ad essa riferibile, cui era giunta, durante la prima metà del ‘600, la ‘Terra, olim
civitas, de li=Musani”, era venuto sempre di più accompagnandosi, pur in mancanza di
299
ASC, Protocolli notarili del Fondo AMOROSO, Notaio RAMOLO Nicolamaria.
176
ulteriore e più precisa documentazione, anche un ipotizzabile numero ridotto al minimo dei
componenti la famiglia religiosa del suo Convento dei francescani. Dovette, perciò, essere la
combinazione di entrambi tali fattori, dopo che “la santità di N.S. Innocenzo X per un decreto
pubblicato li 22 dicembre 1649 <aveva> ordinato che tutte le Religioni debano dar
relatione dello Stato de propri monasteri”300, a far sì che “in virtù della bolla Ut in parvis
(1654) passò sotto la giurisdizione episcopale”301.
Ed i suoi ‘pochi’ frati, come dimostra la presenza, nel 1661 e, quindi, appena qualche anno
più tardi, del “P.F. Joannes Batta à Limosani”, insieme ad altri cinque sacerdoti ‘Patres’,
nel “Monasterio Sancti Francisci minor- Conventualium in Terra Campibassi”,
immediatamente o quasi se ne dovettero partire.
Ed, in effetti, se ne partirono. Così come evidenzia l’atto del 28 Ottobre 1655, del quale,
perché, oltre ai nomi e cognomi dei rispettivi capi famiglia, ci fa sapere anche della ‘tensione’
civile e religiosa della società limosanese di allora, se ne riporta integralmente il testo302.
“… (Si sono) costituiti alla nostra presenza Dominicus de Larenza, Franciscus de Locito,
et Franciscus de Amico, Sindici per il presente anno dell’Università della Terra predetta
di Limosani; Vincentius Greco, Donatus valla, Aloysius Marco Ant.o, Felix de gio:Cola,
Dominicus de Lisolis, Joannes d’orza, et Joannes Bapta gabriele, electi ad regimen, et
gubernium della stessa Università per il presente anno; et, inoltre, Donatus bonadio,
Aloysius Pasquale, Joannes Carolus Covatta, Donatus Donitello, Salvator minicuccio,
Thomas Covatta, Minichillus russo, Aloysius russo, Marcus Ant.o sabetta, Vincentius de
Venere, Joannes Petrus Parato, Joannes Ant.o Pirrocco, Ciannillus Corsetta, Ciprianus de
Cipriano, Franciscus de Angelillo, Joannes Bapta Corvinella, Salvator de Venere, Joannes
ricciuto, Donatus Frosolone, Lactanzius Luciano, Ber.nus Jannetta, Pompeus Capillo,
Antonius Luciano, Donatus Fracasso, Antonius marco Ant.o, Nicolaus Coccetta, Dom.cus
marrone, Franciscus de Luca, Joannes Franciscus de tata, Salvator Covatta, Cesar mariglia,
Dominicus Francioso, Joannes marinaccio, Joannes Pescolla, Franciscus Angelus russo,
Joannes Martinus de tata, Angelus Corvinella, Dom.cus de tata, Joannes de gio:Cola,
Pasqualis Covatta, Franciscus Pirrocco, Nuntius de Luca, Fabius ramolo, Carolus sabetta,
Marcus delgobbo, Berardinus Iaccetta, et Jacobus Donatello cittadini et particulari della
stessa Terra de Limosani congregati et coadunati in unum nella casa dell’Università nel
luogo detto le poteghi dove la stessa Università e i suoi cittadini sono soliti riunirsi ad
honorem et laudem di Dio, della sua Madre la Vergine Maria et fidelitatem regiam, chiamati
per il mezzo di Pietro Carrelli ordinario Giurato della Corte di detta Terra, con la licenza
di Giuseppe scacchis Capitano in detta terra e con la presenza et assistenza di Giovanni
Piciucco Coadiuvante per il presente anno con detta Università così come per perfezionare
il presente atto, et in vulgari sermone asseriscono come nella Terra predetta vi è il
convento, seù monastero di S.to Francesco, et ivi sempre ab antico lanno dimorato li
Padri di Minori Conventuali di S. Franc.o per le devozioni che lanno havuto et lanno
allabito, et frati di d.o glorioso S. Franc.o quale convento, seù monastero li anni passati
fu soppresso per ord.e di sua Beatitudine, e se ne uscirono li frati che vi erano da d.o
convento, et al presente sta’ vacuo, et acciò non perdano la devoz.ne verso li frati di d.o
S. Franc.o lanno mandata supplicarla in congregazione per ottenere grazia di fare
habitare nel monastero p.tto li frati di Minori osservanti dell’istesso S. Franc.o; et
hanno intenzione che per d.a Sacra congregazione sia rimesso a Monsig.r Arcevescovo
di Benevento, et intendono proseguire q.a loro devoz.ne, e per ottenere le spedizioni
p.tte farsi tutte le spese necessarie, che vi occorreranno, e procurarsi recuperare
300
V. la nota 30 al 4° Capitolo.
GUASTAMACCHIA (P.) G., Francescani di Puglia, Bari 1963, pag. 115.
302
ASC, Protocolli notarili, Not. DI BARTOLOMEO Francesco di Ripalimosani, atto del 28 Ottobre 1655.
301
177
l’entrate di d.o monasterio di S. Franc.o esatte (= incassate) per il passato impegarsi in
riparazione di d.o monasterio…”.
Per tutto ciò, i ‘costituiti cittadini et particulari’, i quali, però, sembra non rappresentassero
la totalità della volontà popolare, fecero procura al Notaio Donato de Angelillis,
concittadino (ma personaggio assai complesso e, probabilmente, discusso, se qualche anno
più tardi lo si trova ‘ucciso’), “per risolvere, e richiedere la reintegra del p.tto convento,
seù monasterio di San Francesco ab antico costruito nella p.tta Terra di Limosani
soppresso de ordine sanctissimi ai Frati di S. Franc.o Minori Osservanti per la loro
devozione, et provveda a comparire in qualsisia Tribunali et Foro maggiore, et minore
Ecclesiastico o Secolare, et adire ogni Giurisdizione ordinaria…”.
Ma perché era diventato necessità per i limosanesi il dover “richiedere la reintegra del p.tto
convento, seù monasterio di San Francesco ai Frati di S. Franc.o Minori Osservanti” e non
già a quei frati ‘Conventuali’, che “sempre ab antico” lo avevano dimorato? La risposta, che,
comunque e nella sua compiutezza, resta cosa assai difficile a darsi, non può prescindere dal
fatto che proprio negli stessi anni era stato abbandonato dai suoi ‘monachi della religione
celestina’ anche il Monastero limosanese di S. Maria della Libera.
Ed è certo che mai i “frati di S. Franc.o Minori Osservanti” vennero a Limosano;
nonostante tutte “le devozioni che lanno havuto et lanno allabito, et frati di d.o glorioso S.
Franc.o” i limosanesi di allora. I quali, però, di fronte alle decisioni che arrivavano dall’alto
tentarono, per come era in loro potere, di ribellarsi. Ed è, si badi bene, cosa non da poco, in
quanto segno di grande consapevolezza di vita democratica. Di quella democrazia, di sapore
antico, orizzontale e, perciò, più genuinamente vera, di cui, tuttavia, non si riesce a coglierne
appieno i valori e che, rimpiazzata con l’altra, più moderna, di tipo verticale, non si apprezza.
Appena qualche decennio più tardi, invece, a Limosano e nel suo “convento, seù monasterio
di San Francesco, ab antico costruito nella p.tta Terra di Limosani” tornarono di nuovo "li
Padri di Minori Conventuali di S. Franc.o". Ed erano, cioè, gli stessi frati che "ivi sempre
ab antico lanno dimorato".
Ma quando, seppur con una certa approssimazione, i frati Conventuali presero nuovamente
possesso del loro Convento?
Una prima, ma sommaria, ipotesi di risposta a tale domanda la suggeriscono i registri dello
‘Stato delle Anime’303. Essi al 1688, mentre per l’anno precedente, non riferendovi nessun
dimorante, lo lasciano intendere che ancora ‘stà vacuo’ di frati, riportano una famiglia
religiosa “nel Convento di S. Franc.o de Min.ri Convent.li” composta da:
- Il P.re Baccelliere Fra’ Carlo da Venafro Guardiano
- Fra’ Giovanni dà San Giovanni de Rotondi Sacerdote
- Fra’ Gio:Batta dà Limosano Sacerdote
- Fra’ Michel’Angelo da San Giovanni de Rotondi Diacono.
Ma, dopo aver annotato che, lasciando la presenza di un Padre ‘Baccelliere’ e di un
‘Diacono’ pensare ad uno ‘studio’ di formazione teologica, che, pur modesto, sarebbe stato
assai difficile organizzare ed impiantare nel tempo breve, ristretto e, comunque, minore di un
anno, quale il giusto significato da attribuire al fatto che “poi essendo venuti li Monaci in
detto Convento, ed il primo Guardiano fù Fra’ Francesco Mancinelli d’Agnone”304?
Diventa necessario, perciò e rispetto a quanto suggeriscono i registri dello ‘Stato delle
Anime’, che mai riportano come ‘Guardiano’ il Padre Mancinelli, riconsiderare la data del
ritorno dei frati a Limosano e, nel tempo, anticiparla rispetto a quanto emerge dai registri
stessi.
303
APL, Stato delle Anime dal 1687 al 1699. Tali registri, che si compilavano annualmente nei primi giorni della
quaresima, descrivono, indicandoli casa per casa, la situazione degli abitanti del luogo.
304
V. la nota 6.
178
In aggiunta a tutto questo, anche la presenza del ‘Sacerdote’ Fra’ Gio:Batta dà Limosano,
che, se è la stessa persona (e non può non essere che così) del Fra’ Giovan Battista Covatta
della riportata ‘Fides publica’ di cui alla nota 6, che, insieme ad altri giovani compaesani, il
citato Padre Mancinelli “fece fare Religioso”, in quanto nel 1688 già Sacerdote e con alle
spalle il relativo corso preparatorio di studi (da allorché il Padre Mancinelli lo “fece fare
Religioso” a quando diventa ‘Sacerdote’), consiglia di spostare più avanti di qualche anno,
almeno tra i dieci ed i sette, il ritorno dei monaci. Che sarebbe, in tal modo e con maggiore
correttezza, da collocare nel tempo, al più tardi, ai primi anni ottanta del ‘600.
Ma perché i registri tendono a ‘nascondere’ l’opera del “detto primo Guardiano
Mancinelli”, il quale lavorò (ma per quanto tempo?) con impegno ad un significativo
ridimensionamento da controriforma della consistenza architettonica ed artistica del
complesso conventuale e dalla “facciata avanti della Chiesa” fece levare, tra l’altro, “un
Angiolo grande di pietra ben fatto, che faceva cima, con un incensiero di pietra in
mano”? Era, quello del ridimensionamento, il prezzo che Limosano doveva pagare per riottenere dei frati francescani ‘Conventuali’ più osservanti? O si volle occultare uno scontro
politico-religioso in atto?
Assai difficile, se non impossibile, rispondere esaurientemente a tali domande. E’, comunque,
certo che l’intervento da controriforma, cui parteciparono anche i livelli alti della gerarchia
ecclesiastica, durò diversi anni, se è vero che “in detta Chiesa, che vi erano quantità di altari
per tutte le mura, le q.li poi li fece levare la buon Anima del Cardinale Orsini Arcivescovo di
Benevento, e soli trè ce ne fece restare”. Ed, in più, si dirigeva verso tutte le direzioni, tanto
che pure “la porta minore della Chiesa che usciva al Chiostro… oggi è rifabricata”305.
Nel Convento, così ristrutturato, probabilmente per ristabilirvi un ambiente più consono e
conforme ai dettami della regola monastica, anche se al prezzo di modifiche alla struttura del
manufatto, che in quella fase ne causarono il decadimento, assai significativo ed evidente, nel
pregio artistico, la vita dei frati riprese a scorrere con una discreta normalità e, scandita dalla
piatta quotidianità, con un certo rigore ‘francescano’.
E’, almeno per il quarantennio immediatamente successivo alla riapertura, quanto emerge con
assoluta chiarezza dalla ricostruzione306 dell’elenco (con, talvolta, l’indicazione della relativa
‘Famiglia’ religiosa) dei Padri Guardiani, Superiori del Convento di Limosano, che,
relativamente al periodo dal 1689 al 1809, si riporta in “Appendice 1” al Capitolo.
La sua lettura, nonostante, almeno all’apparenza, sembri che per un certo numero di anni ed
ancora “nel 1721 vi dimoravano pochi frati”307 solamente, evidenzia diversi elementi, che
suggeriscono qualche considerazione, da cui, per una pur sommaria ricostruzione dei ‘fatti’
relativi al Convento, non è affatto possibile prescindere.
Va, prima di tutto, annotata, pur nell’ambito di una ‘famiglia’ religiosa piccola, la presenza
costante, nel decennio dal 1692 al 1702 (anche se non nel 1701), di ‘chierici’. Dimostrerebbe
essa aver mantenuto il Monastero limosanese, subito dopo la riapertura, ancora una sede per
lo ‘studio’ propedeutico alla formazione di giovani, dei quali va registrata una età tra i 17 ed
i 24 anni, per la vita sacerdotale. Se si eccettua il 1697, anno in cui gli studenti erano due, il
‘chierico’ attendeva da solo ai suoi studi, probabilmente sotto la guida del Padre Guardiano.
Per il successivo trentennio (1703-1732), che coincide con il periodo in cui il Cardinale
Orsini regge la cattedra arcivescovile di Benevento e la sua incisiva opera di rinnovamento
305
Le citazioni sono tutte dalla ‘Fides publica” indicata alla nota 6.
Per ricostruire l’elenco dei Padri Guardiani, dove e quando possibile è stato privilegiato, per la abbondante
disponibilità ed il dettaglio dei dati, l’Archivio Parrocchiale di Limosano (APL), che con i suoi registri dello
‘Stato delle Anime’, nei quali il Convento figura tra le ‘case’ dipendenti giurisdizionalmente dalla “Parrocchia,
seù Rectoria” di S. Stefano, rappresenta una fonte inesauribile di notizie. Per gli anni non coperti da tali registri
ci si è avvalsi delle risultanze dei “Protocolli” dei Notai di Limosano e dei paesi convicini, esistenti in ASC.
307
GUASTAMACCHIA (P.) G., op. cit., pag. 115.
306
179
locale si attualizza, dopo la probabile ‘perdita’ dello studio (anche se nel 1725 vi è di
famiglia il limosanese “Subdiaconus Baccalaverius Frater Michael Angelus Fracasso”), va
registrata nel Convento, insieme ad una presenza significativa e crescente nel numero di
‘Frati laici’, che è segno dell’iniziale tentativo delle classi meno abbienti di riscattarsi
entrando a far parte del Clero, una possibile condizione di osservanza più rigorosa della
regola francescana.
Bisogna annotare pure come, eccettuato qualche raro e saltuario intervallo, per un lasso di
tempo discretamente lungo, a reggere le sorti del Convento sia il “Padre Fra’ Francesco
d’Amico di Limosano”, che nel 1722 è “Custos, Guardianus, Archimatrita et Prior”. Fu
lui probabilmente ad adoperarsi per riportare nel Monastero limosanese, se non già da prima,
almeno dal 1733 lo studio per la formazione dei ‘Clerici’. Ed, essendo coll’avanzare della
storia mutati tempi e condizioni, quest’ultimo in questa fase, diversamente da quanto era stato
nel passato, serve per la crescita morale e religiosa non più di un solo individuo, bensì di un
gruppetto di persone tra Diaconi, Suddiaconi o, in generale, ‘Clerici’.
Anche per gli anni seguenti (nel 1743 viene usata la parola ‘Studente’) è sempre documentata
l’attività formativa con la presenza nel Convento di ‘Clerici in minoribus’ e nel 1750, anno in
cui Padre Filippo Cocucci da Agnone “dava lezione a monaci, a Preti, ed a secolari”, di
‘Diaconi’. Qualche anno più tardi (1753) si registrano nella famiglia religiosa ivi stanziante
ancora diversi Padri ‘Baccellieri’.
Una ulteriore considerazione è che a partire dal 1725 la crescita di importanza del Convento
di Limosano subisce una rapida accelerazione; e non solo con la riapertura dello ‘studio’. Lo
prova, oltre alla dimora di una famiglia religiosa sempre più numerosa, il fatto che il già
menzionato “M.R.P. Maestro Fra’ Filippo Cocucci, della Città d’Agnone”, trentaduenne
appena, vi dimora nel 1744 mentre è “Maestro e Secretario della Provincia”. Così come
faceva nel 1749 il “M.R.P. Maestro e Segretario della Provincia Fra’ Michel’Angiolo
Fracassi”308, che, originario da importante famiglia di Limosano, è di questa il primo di una
lunga serie di frati che diedero per circa un secolo non poco lustro al Monastero.
Sulla considerazione in cui esso era tenuto dall’Ordine depone, e non poco, il fatto che nel
1772 “vi si celebrò un Capitolo Provinciale”309, che vide il “M.R.P. Fra’ Michel’Angiolo
Fracassi” chiamato al governo della Provincia monastica.
E fu cosa tanto ovvia quanto naturale che la accresciuta importanza portasse al formarsi nel
Convento o, che è lo stesso, intorno ad esso di un vero e proprio centro di gestione economica
nonché di decisione politica. Lo dimostra quella ‘ribellione’ rivendicativa, assai moderna
(soli due anni dopo la Rivoluzione Francese) per essere del 24 Luglio 1791, con cui “nella
solita Casa dell’Università di questa Terra di Limosani, ottenuto prima licenza oratinus del
Sig. Arpip(re).te D. Ant(oni).o Giancola per essere giorno di Dom(eni).ca, parimente del Sig.
Governatore D. Michelangelo de Bartolomeis,… congregatosi publico Parlamento per il
Mag(nifi).co Sindaco Giorgio Larenza coll’assistenza de’ Mag.ci Governanti, presenza
dell’attuale Sig.re Gover.re, come parimente dell’infrascritti cittadini chiamati casa per
casa dall’odierno Giurato di questa Corte Cosmo Colavecchio, quali adunati hanno fatto
conforme fanno publico Parlamento…” per decidere se “sarebbe convenevole, che per il
proseguimento di tutte le liti contro del Convento incominciate, come per esempio quella
del Tandundem, quelle dela rimisura de Terreni anzidetti, ed altre; non meno che la lite
308
Sulla figura del Padre Maestro Michelangelo Fracassi sappiamo che (v. nota 13) “fu collegiale nel
Convento di S. Lorenzo Maggiore a Napoli e laureato il 10 luglio 1742 (R.O.-70, f. 104). Lettore negli studi
dell’Ordine. Due volte Segretario Provinciale; eletto nel maggio 1748 (R.O.-71, 73) e nel gennaio 1750 (R.O.71, f. 149v). Nel 1772 fu eletto Ministro Provinciale e confermato il 7 giugno (cfr. R.O.-76, f. 23)” dal Capitolo
Provinciale che si tenne proprio nel Convento di Limosano. Dal citato (v. nota 20) ‘NECROLOGIO’ ricaviamo,
sotto il 1° Giugno, che nel 1773 è “morto dopo il primo anno di governo”.
309
GUASTAMACCHIA (P.) G., op. cit., pag. 115.
180
di Cascapera; fossero destinati per Deputati ad lites quegli stessi Governanti, che han
principiato ad agire, e che si trovano pienamente informati de fatti necessarj per la vincita
de esse liti”310.
E che il tentativo di rivendica toccasse assai poco il problema della sola continuità
dell’azione amministrativa, ma fosse di sostanza e soprattutto di natura politica lo dimostra
l’andamento dell’altra precedente riunione, di “oggi che sono li 2 di Gennaro 1791”, in cui
sempre “nella solita Casa dell’Università di questa Terra di Limosani ottinuta prima licenza
oratinus dal Sig. Arciprete D. Antonio Giancola per essere giorno di Domenica con la
licenza parimente del Signor Luogotinente D. Nicola Petrone di questa suddetta Terra,
congregatosi publico Parlamento per il Magnifico Sindaco Costantino Ricciuto (con l’)
assistenza dei Magnifici attuali Governanti, presenza dell’attuale sopra detto Signor
Luogotinente, come parimente dell’infrascritti Cittadini chiamati, e citati casa per casa
dall’odierna Giurato di questa Corte Cosmo Colavecchio, quali adunati hanno fatto
conforme fanno publico Parlamento, prima ad onore e Gloria del Signore Iddio, Servizio
Fedeltà alla M. del Re nostro Sovrano, che Iddio prosperi e feliciti, e poi per utile, e quiete
comune.
Primo debbano sapere le Signorie loro, che alcuni di questa nostra Cittadinanza sono
innanzi di noi Magnifici del Governo comparsi, ed’anno dimandato in scritto: Che essendesi
dal Convento di S. Francesco di questa nostra Terra voluto fare alcune novità
relativamente a’ terreni, che per pura elemosina, e per sentimenti di pietà Religiosa i
nostri antenati diedero al medesimo in ispezialità, che niuno di questa Cittadinanza
avesse più la libertà dopo la ricolta delle messi di potervi portare i proprj animali alla
Pastora, e che per i medesimi territorj niuno di questi Cittadini potesse nemmeno
transitarvi ne a cavallo, ne a piedi; effetto questo della temerità e dell’orgoglio di questi
pochi Religiosi, che barattano di presente la rendita di esso Convento: Quindi in sequela
di que’ pochi ricorrenti moltissimi, e quasi tutti sono ricorsi dagli anzidetti Magnifici del
Governo, perché si ponesse una volta alla temerità de’ Frati un valido riparo.
Consequentemente noi proponiamo alle Signorie loro alcuni risoluzioni perche ne a’
vantaggio di questo Publico:
Primo, se vogliono che si prosegua con essi Frati la lita sul tenimento del Casale, la quale
si sa che negl’anni addietro si era quasi portato al compimento, se alcune circostanze non
avessero interrotto il proseguimento di essa, e sappiamo nel tempo stesso, che tutti i lumi per
essa lite si trovano in mani di alcuni degli attuali de’ Magnifici Governanti.
Secondo se diano il consentimento perché si ritolga dalle mani di cotesti buoni Frati il
tenimento detto Monte Marconi, mentre vi è chi può dare notizie delle scritture necessarie
per conseguire il desiderato fine a vantagio dell’Università sù di questa lite.
Terzo Sebbene l’Università si trovi molto inoltrata nella pretenzione di più centinaia di tt.i
di Terreno contro de Monaci suddetti Tutta via per il compimento di tale rivinticazione si
dimanda il vostro unanimo consenso.
310
ASCL, Libro de’ publici Parlamenti dell’Università di questa Terra di Limosano principiato a di 22 Giugno
1783, B. 3, f. 3. Nella esposizione dei fatti, dopo aver esordito che “si ricordano bene le Sig.e loro, che l’anno
passato i Religiosi di questo Convento di S. Fran(ces).co ottennero, servendosi di modi e maniere non buoni,
ordini per la censuazione de lori territori”, si legge: “molti di questi coloni del Convento, i quali hanno dovuto
per forza cenzuire i Territori stessi, sono ricorso da noi dimandando la liberazione da tali vessazioni, e di
tenersi ricorso in Regia Camera, o ad altro Tribunale Superiore contro del Convento, che li ha angariati con
tali cenzuazioni… (…). Si esprima la volontà di tutti Voi radunati in publico parlamento per proseguirsi contro
de’ Religiosi oppressori il Giudizio incominciato, non solo per riventicare i territorj dell’Università occupati da
medesimi ne’ vari tempi ma ancora per l’annullazione degli Strumenti fatti fin oggi, e per il castico dovuto loro
per la forza aduprata su de coloni, che han dovuto cenzuirsi con patto illeciti quei terreni, i quali in buona parte
non sono del Convento”.
181
In seguito di tutto questo se le Signorie loro vogliano, che non solo i Monaci anzidetti:
siano nella necessità di rivocare il banno annunciato relativamente ai loro territorj dati
à medesimi dai nostri antenati per puro atto di pietà, ma ancora che questo Convento
centro di liti e di dispendioni per questa povera Unità sia convertito in uso di Scuola
Publica, basta solo che diano il loro consenzo, perche gli attuali Magnifici del Governo
prendino tutti gli espedienti necessarj per togliere da Limosani questa peste, e quindi diano
il permesso di poter fare il conseguimento di tutto quello che abbiamo loro esposto le
necessarie spese. Inoltre che il tutto si affidi a persona savia, e zelante del bene Publico, la
quale possa in nome, e con premura di questa Università trattare tutte le anzidette cose ne’
Tribunali di Napoli.
E fattosi le dette Proposte agli infradetti Cittadini vocali, alli quali si sono dati una
cecerchia, e un granodindia, la cecerchia designando l’esclusivo, e il granodindia
l’inclusivo, dopo destribuiti in detta guisa a ciascuno de’ suddetti Cittadini, si sono raccolti
i voti, e si sono trovati settantasette granodindia, e cinque cecerchie. Che perciò la
risoluzione è inclusiva, per maggioranza di voti. E così si è concluso”311.
Oltre ad un senso spiccato di schietta ed assai genuina democrazia ‘partecipata’, ne è venuta
fuori, insospettabilmente intensa, una ribellione finalizzata: a che “si ritolga dalle mani di
cotesti buoni Frati” un ingente quantitativo di terreno da coltivare; a “che questo Convento
centro di liti e di dispendioni per questa povera Unità sia convertito in uso di Scuola
Publica” per soddisfare il bisogno di cultura; e, più in generale ed in modo moderno, a che si
“prendino tutti gli espedienti necessarj per togliere da Limosani questa peste” oppressiva del
Clero.
Fu quella, cioè, la ribellione che, con cause remote e pur tra mille contrasti, stava per portare
alla breve stagione della Repubblica Partenopea del 1799, capeggiata a Limosano, oltre che
dall’Abate Don Luigi Amoroso, dal cinquantottenne frate Conventuale “M. R.ndo Padre
Maestro Fra’ Giacinto Maria Corvinelli”312, il quale aveva fatto, e forse già da tempo, la
coraggiosa scelta di rompere con le antiche ed oppressive logiche del passato per schierarsi
con il nuovo, orgiasticamente liberatorio, concretizzatosi, in quella occasione, negli assalti ai
centri del potere costituito e la distruzione delle ‘scritture’, nell’incendio del bosco Fiorano e
nell’innalzamento dell’albero della libertà da parte dei Rateni.
E’ facile presumere che egli fu chiamato a reggere le sorti del Convento come ‘Guardiano’ e
Superiore per alcuni anni prima della sua soppressione. Non risulta, difatti, tale (anche se era
il Sacerdote più anziano della famiglia) dallo “Stato de’ Religiosi del Convento de’ Minori
311
V. nota 33. Il ‘verbale’ è stato riportato con integrità e fedeltà sia per la conoscenza delle problematiche
connesse alle non semplici vicende del Convento come anche per riproporre uno spaccato genuino della vita
democratica di allora.
312
Sulla figura del “P.M. Giacinto Corvinelli” da Limosano, sappiamo (v. nota 13): “Nell’aprile 1768 fu
ammesso nel Collegio dell’Immacolata a Napoli con residenza a Maddaloni. Dopo il triennio 1768-71, il
collegiale Corvinelli fu laureato nel 1771 (R.O.-75, f. 53v).
Il 24 luglio 1781 fu istituito Reggente nel ginnasio di Campobasso (R.O.-77, f. 144). Nel giugno 1782, per i suoi
meriti, fu nominato Definitore Perpetuo (D.P. = benemerito per governo o insegnamento, che acquistavano il
diritto di partecipare ai capitoli provinciali)”.
E’ il caso qui di ricordare anche la figura del “P.M. Francesco Corvinelli”, il quale (v. sempre nota 13) “venne
a Roma nel 1748 (è da supporre che all’epoca avesse almeno 25 anni) come collegiale del S. Bonaventura. Il
Collegio di S. Bonaventura era stato fondato nel convento dei Santi Apostoli da Papa Sisto V, anch’egli dei Frati
Minori Conventuali, il 18 dicembre 1587. Vi si studiava, a livello universitario, e si usciva dal Collegio col titolo
di Dottore in S. Teologia (= Padre Maestro). Il 3 ottobre 1601 Clemente VIII aveva concesso il diritto di
precedenza ai laureati a Roma su tutti gli altri laureati in altri Collegi dell’Ordine.
Il 20 maggio 1751 fu laureato in S. Teologia (R.O.-72, f. 74). Nel 1756, su richiesta di Mons. (Beato) Antonio
Lucci OFMConv. Vescovo di Bovino, partì per la Lettura in Larino.
Nel 1778 fu eletto Ministro Provinciale della Provincia di S. Angelo. L’elezione fu confermata a Roma dal
Ministro Generale, il 19 maggio (R.O.-77, f. 37)”.
182
Conventuali di Limosani”(v. Appendice 1), compilato il 27 Settembre 1809313, dal quale,
invece, apprendiamo esserne, nel frattempo e forse per segno di restaurazione e continuità
con il passato, diventato “Guardiano e Maestro” il P. Filippo Fracassi di Limosani, d’anni
41, che aveva fatto la sua ‘professione’ religiosa nel 1784.
E quando, poi, diventarono esecutive le disposizioni dei XXXIII articoli del “Regio
Decreto” del 7 Agosto 1809 firmato da “Gioacchino Napoleone, Re delle due Sicilie”, che
stabilivano la soppressione, insieme ad altri, anche “del Convento de’ Minori Conventuali di
Limosani”, questi sembra vi trovassero una situazione di probabili contrasti sulla linea
politica da seguire in una fase in cui il cambiamento era particolarmente rapido e
sull’atteggiamento da assumere circa l’amministrazione di un patrimonio, nel tempo divenuto
assai ingente, tra i ‘monachi’ dei Corvinelli e quelli dei Fracassi.
Ognuno degli otto frati componenti la famiglia religiosa del Convento (ma ben cinque erano
originari “di Limosani”) ebbe a dichiarare al momento della chiusura di voler stabilire la
propria dimora, per il prosieguo di sua vita, nel ‘luogo’ dove era nato. Ed, in effetti, nel 1817
il “Signor Don Filippo Fracassi figlio del fu Diego, ex monaco francescano”, il quale era
stato l’ultimo ‘Guardiano’, abitava “nella Comune di Limosani”.
A seguito della soppressione, per le operazioni di verifica e di inventariazione di quanto
pertinente al “Convento de’ Minori Conventuali di Limosani” furono designati i: “S.r Nicola
Petrone di Montagano Cons.e Distrettuale; S.r Durand Verificatore de’ Demanj; S.r
Cannavina Giud.e di Pace”314. Ma a causa di una situazione ambientale tesa quelle non
dovettero risultare molto agevoli. Ne è prova il fatto che il “Giudice di pace”, il 13 Settembre
1809, da Montagano era costretto a segnalare “al S.r Cav.le Intendente di Molise” che “… i
briganti furono ieri sera in Santangelo, luogo distante appena un miglio da Limosani, e che
domina questo Comune. Essi sono in buon numero, essendo la Compagnia riunita di Fulvio
Quici, e di Vincenzo Cipriani”315, il quale peraltro era proprio di Limosano.
La circostanza però servì solo a ritardare di qualche giorno le operazioni. Perché, come di
frequente accade, anche in tale occasione il dissenso di chi subiva le decisioni, prese lontano
e senza la conoscenza delle esigenze locali, non ne impedì il loro pratico concretizzarsi.
Erano, difatti, appena “li ventisette Settembre mille ottocento, e nove”, quando fu
compilato il ‘verbale’ di affido316, che qui si riporta:
In Limosani “Si sono personalmente avanti di noi Incaricati per la soppressione del
Convento de’ Minori Conventuali costituiti i Sig.ri Giuseppe Fracassi Sindaco, ed Ambrosio
d’Addario della medesima, i quali con giuramento dichiarano aver ricevuto in consegna
gl’infrascritti beni: Una custodia di marmo col portellino d’ottone inargentato; Una statua
dell’Immacolata Concezione, di S. Fran.co d’Assisi, di S. Antonio; Un Crocifisso grande;
313
ASC, Fondo Monasteri soppressi, B. 9. Il documento è riportato in Appendice 1.
Dell’attività dei frati limosanesi, dell’attaccamento all’abito e del loro interessamento per la riapertura non solo
del Convento di Limonano, ma anche degli altri Conventi soppressi, sappiamo dal seguente brano (p. 26 e seg.)
del citato Padre Doroteo Forte: “Da un esposto di p. Ferdinando D’Amico dei Minori Conventuali (nota: forse
rimasto ad abitare ad Isernia) del 24 marzo 1827 (ASC, Monasteri soppressi, B. 7, f. 46), risulta che i
rappresentanti del Comune (nota: di Isernia) chiesero il ritorno dei Frati,… Le trattative si avviavano al successo,
tanto che il 19 aprile 1826, con atto pubblico, il Comune cedeva al p. Maestro Filippo Fracassi il convento. Si
attendeva il ‘Regio exequatur’, quando, cambiato il sindaco, si fecero sorgere tali e tante difficoltà che
l’approvazione sovrana non venne. Invano il p. Fracassi tempestò di lettere l’Intendente del Molise mostrando le
sue buone ragioni. Tutto fu inutile”.
E, risultando il Padre Filippo Fracassi essere il ‘Guardiano’ anche dopo la riapertura del 1821 del Convento di
Limonano, non è difficile ipotizzarne un suo fattivo interessamento.
314
ASC, Monasteri soppressi, B. 3, f. 6.
315
ASC, Monasteri soppressi, B. 3, f. 6.
316
ASC, Monasteri soppressi. E’ inutile dire che da tale ‘fondo’ sono state attinte, e, più di una volta, anche
senza citarlo, moltissime notizie.
183
un’organo a nove registri con cassa indorata; Due confessionali di noce intagliati; Cinque
quadri grandi, uno di S. Paolo, l’altro del rispetto del tempio, il terzo del cieco nato, il
quarto la moltiplicazione dei pani, ed il quinto l’apparizione di Cristo alla Maddalena; Due
altri quadri uno di S. Ludovico, e S. Rocco, e l’altro della Porziuncola; Due cornocopj di
ferro con lampadi d’ottone; Un lettorino di legno con due libri di canto; Un campanello
sopra la porta della Sacristia di circa rotola due; Gli altari con tovaglie di tela galante con
pezzillo numero cinque; Un guardaroba mobile di legno con un vaso di rame cipro, e
aspersorio per l’acqua benedetta; Una croce antica di rame indorato per le processioni;
Una cassetta di legno per l’ostia; Due orciuoli di cristalla; Un parato di drappo molto usato
di fondo bianco di lama d’argento, cioè un piviale, una pianeta due Tonicelle con borse, e
velo uniforme; Una pianeta con borsa, e velo giallo; Una pianeta verde di calamo con borsa,
e velo; Una pianeta nuova di tomasco verde borsa, e velo con trene gialle; Una pianeta di
tomasco bianco, borsa e velo con trene gialle; Un piviale nero di tomasco con trene gialle;
Una pianeta consimile con borsa, e velo; Un piviale di tomaschetto bianco con trene gialle;
Un velo umerale bianco fiorato con trene gialle; Un altro di drappetto violaceo, e verde con
trene gialle; Due pianete di tomasco una rossa, e l’altra bianca con trene gialle con borse, e
veli; Tre camici di tela sottile; Due messali usati; tre cotte usate con pezzillo; Uno stipone
con dodeci candelieri grandi di legno usati, e indorati e ventotto piccoli con frasche di tela, e
carta per gli altari; Un ombrella di tomasco rosso usato, Una bara di legno per le Statue;
Sei ostensorij di rame cipro per le reliquie; Un tumulo di legno indorato pel S. Sepolcro;
Una custodietta di legno indorata colorata; Una campana grande di circa cantaja otto col
suo battaglio, e due altre campane una di circa un cantajo, e mezzo, e l’altra di circa rotola
venti sistenti sul campanile imperfetto; Sette botti di legno due più grandi con quattro cerchi
di ferro per ciascuna, in una delle quali ci sono circa ventiquattro barili di vino, e cinque
con cerchi di legno; Un tinaccio di legno per lavellare il mosto di circa barili trenta; Trè
secchioni per travasar vino; Una scala lunga di legno ad uso di fabrica; Una cassa grande
per conservar farina, o grano, sistenti nel fundaco, ed un altro per conservar legumi, o altri
generi; Diciassette travi di pioppo, cioè due di circa palmi venti l’uno, e quindici di trenta, o
quaranta palmi; Tredici pecore di corpo, tre montoni, due agnelle, un’agnello, quattro
capre, tre caprette, e tre capretti date a Sisto Covatta in società nel dì 21 agosto corrente
anno 1809; Sei quadri, due cioè mezzani, e quattro grandi, e sedici ovali, e tondi piccioli con
diverse imagini; Il Rifettorio guarnito di legno con undeci panche, e sedili; Tre pile di pietra
ad uso d’oglio sistenti nel fundaco dentro al Rifettorio, e infine tutto il locale del Convento.
Quali effetti stabili, e mobili essi costituiti si obbligano di conservare, ed esibire ad ogni
richiesta dello Stato, ad eccezione del grano, vino legna, ed undeci travi venduti, e il prezzo
introitato, come da’ processi verbali formati dagl’Incaricati a norma delle istruzioni, e così
con giuramento si sono obbligati. Fatto, e chiuso oggi sud.o giorno, et anno; Sindaco
Giuseppe Fracassi si obliga come sopra; + Segno di croce di Ambrosio d’Addario, che si
obliga come sopra, e non ha firmato per non sapere scrivere; Durand Verif.re; Petrone
Consigliere Distrettuale Incaricato”.
E lo stesso giorno, oltre allo “Stato de’ Religiosi”, venne redatto anche l’“Inventario di
Tutt’i Titoli, Scritture, Libri di Conti, ed altre carte relative alla proprietà, e rendita, e agli
obblighi, e pesi del Monistero de’ Minori Conventuali di Limosani, suppresso in
esecuzione del Reale Decreto de’ 7 Agosto 1809”. Di esso e di tutti gli altri, che nel dettaglio
vennero compilati il giorno dopo, si dirà quando si riferirà del patrimonio.
Quanto alla struttura del Convento sappiamo che, all’epoca, “è fissato nel borgo dell’abitato
di Limosani. Fu danneggiato alquanto dal tremuoto del 1805: Le sue fabbriche menocché
184
quelle che han sofferto sono in buono stato. Il Chiostro contiene 13 stanze servibili a diversi
usi. Il piano superiore ne contiene circa 20”317.
Chiesa di S. Francesco: Confessionale in legno.
E, così com’era nello spirito illuministico e francese della legge e dei ‘nuovi’ tempi, presto,
molto presto, iniziarono le inevitabili spoliazioni. Nonostante i tentativi, tanto timidi quanto
accorati, di contrastarle da parte delle autorità locali.
Come apprendiamo da quella segnalazione del “Parroco Emiliano Corvinelli della Comune
di Limosano”, il quale, già “li vinti ottobre 1809”, dopo aver precisato “… come essendo
stato soppresso con Sovrano Decreto questo Monistero de’ PP. Conventuali, nella di cui
Sacristia, e Chiesa sono diversi arredi sacri, e parati, benché usati; e trovandosi allincontro
la Chiesa Parrocchiale (nota: già era avvenuta la unificazione delle Parrocchie) di questa
Popolazione totalmente sprovveduta di sacri arredi, e suppellettili; supplica… per farli
317
ASC, Monasteri soppressi, B. 1, f. 1.
185
passare alla Chiesa bisognosa, onde far più glorioso, e decente il Culto di Dio”. Ad essa non
tardarono di accodarsi anche “il Sindaco, e Decurionato del soprad.o Comune”, i quali, il 2
Maggio 1810, “con supplica espongono, come avendo la Maestà del Sovrano D.G.
commessa a V.E. la distribuzione degli arredi sacri addetti al culto di questo soppresso
Monistero de’ PP. Conventuali, l’E.V. con regolar misura, e zelo delegò il Vicario Generale
della Curia viciniore di Bojano per informarsi, e riferire. Il Vicario Generale nulla
attendendo alle sovrane disposizioni dell’articolo 51 del Real Decreto; cioè che gli arredi
Sacri de’ Soppressi Monisteri spettassero primieramente alle Chiese bisognose del luogo, in
cui esistevano gli Monisteri, ed indi alle Chiese viciniori, senza veruno informo del Sindaco,
Decurionato, e Vicario Foraneo del Comune anzidetto di Limosano sulla necessità, e
bisogno sì della Chiesa Arcipretale locale, e della Chiesa coadiutrice, come pure della
Chiesa del soppresso Monistero, la quale per sovrana determinazione si tiene aperta per la
pubblica venerazione, e dove giornalmente si celebrano quattro e cinque messi sente di aver
fatta la distribuzione degli arredi sacri per Chiese estranee, e perloppiù della sua Diocesi, à
quali per niun titolo possono spettare. Per tal pregiudizio, e svantaggio, che si arreca alle
Chiese locali del detto Comune, ricorrono a V.E., e supplicano di commettere un informo ad
un soggetto imparziale per ottenere il positivo, ed assoluto bisogno delle Chiese di detto
Comune sprovviste affatto di sacri arredi, per essere del tutto povere, per dare quelle
provvidenze di giustizia, che stiman propriamente a norma delle Reali determinazioni. E
l’avrà.
Nicolangelo Gabriele Sindaco
Angiolo Zingarelli Decurione
Marcellino Corvinelli Decurione
+ S. di C. di Ambrosio d’Addario Decurione
+ S. di C. di Domenico Fiorucci Decurione
Francesco Lucito Decurione
Luigi Longo Decurione
Luigi Sebastiano Decurione
Saverio Covatta Decurione
Donato MarcAntonio Decurione
Quirino Fracassi Decurione e Segretario”318.
Ed in certo qual modo la stessa cosa successe anche per le campane [e solo 4 ex Monasteri
molisani (Limosano, Isernia, i Domenicani di Cercemaggiore e gli Osservanti di S. Croce)
avevano ben tre campane]. Difatti, dallo “Stato indicante i Luoghi, ne’ quali le Comuni della
Prov.a di Molise uniranno le campane”, compilato in Napoli il 14 8bre 1812, risulta che le
tre dei “Conventuali di Limosani” venissero portate a “Isernia per Venafro”. Dopo soli pochi
giorni, il 26 dello stesso mese, l’allora Sindaco Giuseppantonio Lucito così scriveva:
“Al Sig.r Intendente di Molise
Eccellenza,
in data de’ 17 dello spirante ho ricevuto un vostro d’officio, con cui m’incaricate di far
trasportare ad Isernia, e da colà a Venafro le campane di questo Soppresso Monistero per
consignarsi ad un Incaricato d’Artiglieria, che le riceve. Cerco sapere da V.E. se la
campana grande, qual è di circa cinque in sei cantaja, debbo trasportare intiera, o pure
spezzata, mentre credo, attese le cattive strade, e monti, che sia impossibile poterla condurre
intatta; per cui dovendosi spezzare vi compiacerete autorizzarmi a cambiarla con altra di
maggior peso, ma che ha un suono disgustevole in paragone di quella degli ex-Conventuali,
anzi il Popolo per sua divozione da più mesi la sospese nel Campanile di S. Stefano, dove
vien posta benanche la campana da cambiarsi.
318
ASC, Monasteri soppressi, B. 3, f. 8.
186
Mi lusingo, che V.E. non sarete aliena da questa divozione del Popolo, mentre credo, che
non si viene a ledere gl’interessi del Sovrano. Aspetto vostro riscontro (nota: già il 7
novembre il “Ministro della Guerra e Marina” autorizzava il cambio) per eseguirsi da me
ciecam.e i Vostri ordini, e col solito rispetto, e stima vi saluto”319.
Assai diversamente, invece, sembra che andarono le cose per quanto riguardava i locali del
Convento. Dopo alcuni anni dalla soppressione, era il 27 Agosto 1813, l’allora Sindaco
Vincenzo Tata comunicava all’Intendente di Molise che, “riscontrando il vostro venerato
foglio de’ 17 dell’andante Agosto relativo alla prossima concessione de’ locali demaniali
derivati dalla soppressione delle Case religiose, debbo riferirvi, che questo locale, proposto
da V.E. alle LL.EE. Ministri dell’Interno, e delle Finanze per Caserma di Gendarmeria, e
di Truppe di passaggio, è ottimo per quest’uso; vi è attaccato un giardino di piccola
estensione, ed un territorio di circa tomoli quattro, quali sarebbero necessarj concedersi col
locale, perche devesi per essi passare, per portarsi in varj punti di esso, dapoiche dalla
parte dell’Occidente non vi è affatto altra strada, ove potersi introdurre dalla porta, che
chiamano del giardino”320.
Ma, nonostante questo, nonostante il decreto 29 Dicembre 1814, con cui Gioacchino
Napoleone ordinava che il Convento di Limosani fosse adibito a “Caserma della
Gendarmeria Reale, e di truppe di passaggio”, e nonostante il successivo decreto 6 Novembre
1816, che, pur a firma di “Ferdinando IV, Re delle due Sicilie”, confermava totalmente il
contenuto del primo, la proprietà dei locali restò “alla Comune”.
Il ritorno dei Borboni e quello, dopo le diverse esperienze rivoluzionarie, che, lo si è visto,
non sono da circoscrivere al solo ‘decennio’ francese, di una nuova atmosfera politica
restauratrice favorì la richiesta, dal basso, della riapertura del Convento.
In tal modo e dopo poco più di appena quattro anni, era il 7 Aprile 1818321, da Limosano così
(e nella richiesta si coglie tutta la nuova atmosfera politica che si respirava, favorita dal
recente ‘Concordato’) si scriveva “al Signor Intendente di Molise”:
“Il Sindaco, Eletti, e Decurioni del Comune di Limonano umilmente l’espongono qualmente
esiste in d.o Comune un locale appartenente ai Padri Conventuali di S. Francesco già
soppressi nella passata occupazione militare del Regno.
I supplicanti per esperienza sanno, che questi Padri apportavano del grande vantaggio
spirituale, e temporale a questa Popolazione. E siccome fra’ d.i Padri vi sono sempre stati
dei Soggetti graduati, e di talento; così questa sud.a Popolazione sempre ne ha ricevuto quei
utili, che sperar si potevano da uomini letterati, e di buon costume; e nelle annate penuriose
dalla Comunità di d.i Religiosi riceveva la gente bisognosa il necessario soccorso.
Dietro l’art. 14 del Concordato felicemente conchiuso tra S.M., D.G., e il Santo Padre,
questa Comune, Eccellenza, si lusinga di poter riacquistare quei grandi vantaggi, che per la
soppressione di d.i Padri aveva perduti. Dapoiché il locale sud.o è uno de’ migliori della
Provincia, ed ottimo nella sua totalità. Esso non trovasi addetto ad alcuno de’ pubblici usi.
La rendita inoltre appartenente a d.a Religiosa Comunità esiste invenduta nella maggior
parte. Siccome poi il d.o locale è situato nel centro del Borgo Maggiore di d.o Comune, e nel
miglior sito di esso; così la grandiosa, e magnifica di lui Chiesa non solo è necessaria,
perché d.a popolazione vi possa esercitare gli atti doverosi di religione; ma resta ancora a
lei molto comoda pel facile accesso alla medesima.
Essendo li supplicanti l’organo dei pubblici voti di questa Popolazione ricorrono a V.E.,
acciò si compiaccia riferire al Re, N.S., perché si benignasse esaudire le suppliche di questo
319
ASC, Monasteri soppressi, B. 4, f. 20.
ASC, Monasteri soppressi, B. 4, f. 21. Il documento ha notevole importanza per localizzare con discreta
precisione il sito della recente ‘porta giardino’, che, contrariamente a quanto si possa credere e normalmente si
ritiene, situava ai margini meridionali della proprietà del Convento.
321
ASC, Monasteri soppressi, B. 7, f. 49.
320
187
Comune col ridonarle la Famiglia Religiosa de’ sud.i Padri Conventuali, che fin dal
secolo 14. sono stati senza interruzione di spirituale, e temporale vantaggio al Comune
sud.o. Nell’atto che tutta la Provincia ammira in V.E. una sollecitudine indefessa, con cui
cerca la di lei felicità, non possono credere, che questa Popolazione non sia per ottenere dal
Re, N.S., mercé la possente cooperazione dell’E.V., la grazia, ch’ ella domanda, che anzi
sicurissima di esser esaudita nelle preghiere, che per di loro mezzo le umilia, preventivam.e
ne le ringrazia, porgendo a Dio fervorose orazioni per la conservazione di V.E., e Sovrano”.
L’Intendente di Molise, probabilmente solo dopo che si convinse, e per farlo impiegò circa
due anni (il tempo, cioè, necessario alla restaurazione di stabilizzarsi diffusamente anche
nella provincia), del radicamento delle mutate condizioni socio-politiche generali, fece sua la
pressante richiesta dei limosanesi e, presa carta, penna e calamaio, così accoratamente scrisse
“a Sua Eccellenza il Segretario di Stato Ministro degli affari Ecclesiastici”:
“Fra le case religiose, che questa Provincia pianse soppresse nella passata Militar
Occupazione annoverar devesi particolarmente quella de’ PP. Minori Conventuali di S.
Francesco del Comune di Limosani.
Era questo Monastero l’ornamento e il decoro, non dirò solo del Comune, ma
dell’intera Provincia. Istruzione e pietà pubblica trovavano in esso un grande alimento.
Circa venti individui ognor vi si trovavano, dedicati alcuni ad insegnare le Umane
lettere, altri le teologiche scienze; non solo agli Studenti iniziati nel Sacerdozio, ma
eziandio ai Giovani del Comune in generale, del circondario, e del Distretto. Altri
finalmente consegnati alla spiegazione del catechismo, ed alla predicazione dell’Evangelo.
Essendo poi il suddetto Comune assai sprovveduto di Chiese, di Parrocchie, ed assai
bisognevole d’istruzione, e di freno morale, suppliva bastentemente al bisogno locale la
chiesa del detto Monastero, Chiesa vastissima, e maestosa, dove quei Padri dotti, e
pietosi insieme con esemplare devozione celebravano frequentemente delle solenni sacre
funzioni, che richiamavano sin da lontani Comuni il pubblico concorso.
In quanto al locale del Monastero è uno de’ più magnifici che veder si possa, non
bisognevole d’altronde che di piccolissime riattazioni.
Eccellenza, quanto io soglio essere alieno dall’appoggiar domande per ripristinare de’
Monasteri de’ Mendicanti, altrettanto mi credo in dovere di farlo con propensione, quando si
tratta di veder riaperti Monasteri, da’ quali possa la Provincia sperare non dubbj vantaggi
in oggetto e di religione, e di pubblica istruzione.
La casa religiosa, di cui ho l’onore parlarle, può offrire questi vantaggi, ed è perciò che mi
fo coraggio di umiliarle i fervidi voti della popolazione del rispettivo comune accompagnati
colle mie calde preghiere”322.
Era il mese di marzo 1820.
Ed anche se le lungaggini burocratiche (ma, forse, di più le informative) fecero trascorrere
ancora diversi mesi, la grande costanza della cittadinanza ed il forte interessamento (v. nota
36) del limosanese Padre Maestro Filippo Fracassi (che molto si adoperò anche per la
riapertura del Convento di Isernia) l’anno seguente si videro premiati con la riapertura del
Convento ed il ritorno dei ‘Conventuali’. Oltre ai tempi ed all’atmosfera che si respirava
prima del ritorno dei frati, apprendiamo alcune usanze di allora dalla seguente lettera, del “20
Agosto 1821”, inviata “Al Signor Intendente della Provincia di Molise” da
“Massimiano Giannantonio del Comune di Limosano <il quale> con devote suppliche
l’espone, che mediante pubbliche subaste (nota: le subaste, cui partecipò anche il Notaio
Sig.r Lucito Giuseppantonio, per l’affitto dei locali si erano tenute nei primi giorni del mese
di Luglio, quando con tutta evidenza ancora nulla si sapeva della riapertura), approvate
dall’E.V. con suo venerato foglio in data de’ 14. del corrente mese di Agosto, I° Uffizio, N.
322
ASC, Monasteri soppressi, B. 7, f. 49.
188
del Protocollo 170, della spedizione 303., gli restò l’affitto del Locale dell’ex-Convento di S.
Francesco per la somma di docati quaranta, e carlini cinque, D. 40:50, pagabili
annualmente a questa Cassa Comunale pe’ il corso continuato di anni cinque.
Di presente il Supplicante umilia all’E.V., come per mezzo di lettere dirette a questo
Padre Regente Fracassi venute da Napoli, si è risaputo, che S.M./D.G./ si è benignata nel
giorno 26 Luglio p.p., segnare il Decreto per la ripristinazione di questo Convento,
essendo il Decreto suddetto nelle mani del Commissario Generale de’ Minori Conventuali,
che si attende a momenti.
Per tale notizia tutti gl’Inquilini, a’ quali ne aveva fatto il nuovo affitto, sono già usciti dal
Convento sopradetto, per cui il Supplicante non può servirsene in modo alcuno. Stabte
dunque tale ragione, supplica l’E.V. ad esonerarlo da tale impegno, onde non sia in avvenire
molestato dal Cassiere Comunale, anche per quella rata di tempo, che si dovesse pretendere
sino alla restituzione del locale suindicato, e l’avrà come da Dio”323.
In data 19 settembre 1821 “il Direttore della Reale Segreteria di Stato degli Affari Interni”
già scriveva al “Sig.r Intendente di Molise” che, “Essendosi S.M. degnata di approvare
l’assegnazione de’ fondi fatta dalla Commissione esecutrice del Concordato per la
ripristinazione de’ Conventuali del Comune di Limosano, ella disporrà che dal Sindaco del
d.o Comune ne sia subito eseguita la consegna del locale al procuratore del cennato
Ordine”.
E così i frati finalmente tornarono. Anche se questa volta, stando almeno a quanto sembra,
non appartenevano alla Provincia Monastica di Puglia, bensì a quella abruzzese di S.
Bernardino.
Lo stesso Padre Maestro Filippo Fracassi, che all’epoca, essendo nato nel 1768, contava tra
i 53 ed i 54 anni, ne fu il ‘Guardiano’ della prima ‘famiglia’, che poté ristabilirsi nel
Convento di Limosano. L’elenco (con indicata, quando è stato possibile ricavarne la
composizione, la ‘famiglia’ religiosa) dei Padri Guardiani, Superiori del Convento di
Limosano, relativamente al periodo dal 1821 al 1866, anno, come si vedrà, della definitiva
soppressione lo si riporta nell’ “Appendice 2” al Capitolo.
Sia la presenza di un ‘Noviziato’ che quella di un gruppo, talvolta consistente e formato da
individui non della stessa età (cosa che proverebbe l’esistenza di più corsi), di frati, che, dopo
la ‘professione’religiosa dei voti, si preparano al Sacerdozio come ‘Studenti’ (più di uno,
poi, verrà ritrovato a stanziarvi anche dopo l’ordinazione sacerdotale, cosa che, amministrata
da un Vescovo, si faceva molto probabilmente nella stessa Limosano), dimostrano la
notevole considerazione, in cui, sin dall’immediato periodo che seguì alla riapertura, il
Convento limosanese era tenuto.
323
ASC, Monasteri soppressi, B. 7, f. 49.
189
Chiostro del Convento di S. Francesco: Pozzo.
Alla crescita, per il ‘nostro’ complesso monastico, nel prestigio, tanto grande quanto rapida e
concretizzatasi nel breve volgere di soli pochi anni, ed allo splendore, rinnovato e che almeno
per alcuni aspetti risulta essere stato per nulla inferiore a quello antico, partecipò assai
fattivamente e per circa un ventennio l’opera di un gruppo di ‘Padri’ nativi della stessa
Limosano e della vicina Montagano. Se ne toccò il punto più alto nel triennio (1844-’46), in
cui il “M. R. Padre Maestro Fra’ Gennaro Janigro” nato nel 1809, il quale era stato
‘Reggente (o Guardiano)’ sin dal 1835, da ‘Ministro Provinciale’ dell’Ordine ed insieme al
suo ‘Segretario’ Padre Maestro F. Antonio di Capoa, stanziò nel Convento di Limosano324.
Ma quella stessa sorte che regola le cose degli uomini, a seconda dei casi, con furbizia o con
raziocinio, così come fu rapida nel favorirne la fortuna, fu altrettanto rapida a provocarne la
decadenza. Sembra che fosse la stessa presenza del ‘Provinciale’ all’origine della decisione
di ‘spostare’ in altra sede lo ‘Studentato’. E, con esso, probabilmente venne tolto anche il
324
La notizia, oltre che dallo ‘Stato delle Anime’ (in APL) cui per le ricostruzioni degli ‘elenchi’ dei Padri
Superiori è stato attinto a piene mani, ci viene anche da Agostino Tagliaferri, Sacerdote di Montagano, il quale
ne “I miei ricordi” scrive: “Non così il 1845,… Un bel dì della precedente estate io mi veggo onorato d’una
visita inaspettata del P. Gennaro Janigro de’ Minori Conventuali residente in Limosano, il quale tornava da
Roma, dove erasi recato per assistere ad un Capitolo generale del suo ordine”.
190
‘Noviziato’, anche se, ancora nel 1849, è “Novizio Converso” Fra’ Michele de Ruberti di San
Giovanni in Galdo. Perché quest’ultima pare essere stata cosa del tutto episodica.
Già era successo che l’antico “soffitto fatto con mattoni, verso il 1840 crollò, ed allora fu
coperto con tre volte a schifo impostate nel senso trasversale sul muro frontale con due archi
che interrompono la continuità dei muri, d’ambito longitudinale e di quello tergale. Una di
esse copre il Coro, l’altra il Presbiterio e l’altra, che è più grande delle altre due riunite
assieme, lo spazio riservato ai fedeli”325. Vale a dire, la copertura così come ancora si vede.
A partire, poi, dal 1850 le notizie si fanno sempre più rade e diventano molto lacunose. E
l’esservi stata lasciata dal superiori dell’Ordine, in così breve tempo, solo una ‘famiglia’ di
pochi frati, in ogni caso, dimostra che la crisi si era fatta irreversibile.
“Il Convento di S. Francesco viene soppresso con il d. lgt. Di Eugenio di Savoia del 7 luglio
1866 che richiamava le disposizioni contenute nel d. lgt. Del 17 febbraio 1861 per le
provincie napoletane.
Da allora i Frati di S. Francesco, i Minori Conventuali, ubbidienti come loro si addiceva, se
ne partirono. Per non tornare più. E Limosano aveva così definitivamente perduto un altro
importante punto di riferimento della sua storia”326.
Dell’enorme patrimonio, specie di quello culturale, non si trova traccia e “le memorie ed i
documenti conservati nella sua biblioteca ricca di opere pregevoli, pubblicati a Venezia nel
1500, furono sperperati e venduti con i libri in questa contenuti nell’ultima soppressione”327.
Della Chiesa (v. ASCL, B. 23, f. 122) “nel marzo del 1931 cadde la facciata prospiciente la
piazza Vittorio Emanuele nonché parte del muro opposto. Per volontà del popolo fu riattato e
nel 1932 fu riaperta al culto”.
5.2 - L’organizzazione e la vita dei frati
Le decisioni più importanti per il buon andamento della vita monastica e comunitaria e, tra di
esse non certo ultime per importanza, quelle relative alla amministrazione del patrimonio
conventuale venivano prese in riunioni o, come erano chiamate nel gergo dei frati, ‘consegli’
o anche ‘capitoli’, che si tenevano nel refettorio, dove si arrivava “chiamati dal suono della
campanella”. Il relativo verbale era registrato in un apposito “Libro de Consegli di questo
Convento di S. Francesco di Limosani”. Da una sua pagina, compilata appena il giorno
precedente, il Notaio Amoroso Francescantonio, perché ne formasse documento da allegare
ad un suo atto del 4 Dicembre 1751328, estrasse la seguente ‘copia’, che, in quanto fornisce
325
AMOROSO G., Relazione cit.
BOZZA F., Limosano nella storia, Ripalimosani 1999, pag. 275.
327
AMOROSO G., Relazione cit.
328
ASC, Notaio AMOROSO F.A., atto del 4 Dicembre 1751. Di esso, per la conoscenza delle costumanze di
allora, ne riportiamo la parte più importante: “Fra’ Giovanni Covatta,…, entrò nella Religione sud.a de minori
Conventuali, in cui fece la professione, senza fare alcuna renonza delli beni…: Sendo oggi già passato all’altra
vita il d.o Mercurio Padre, pretendeva d.o Fra’ Giovanni da d.i suoi Fratelli Pietro, e Giuseppe Covatta la sua
porzione… à die mortis del d.o Mercurio Padre; ma considerando d.o Fra’ Giovanni la grossa miseria in cui
sono ridotti li d.i suoi fratelli Pietro, e Giuseppe, pensò supplicarne la Sacra Congregaz.ne de Sig.ri Cardinali
sop.a i negozi, e consulta de Vescovi, e Regolari; e da questa, e dall’eminenza del Sig.r Cardinale
Cavalchino Prefetto della med.ma sotto il dì quattro Dicembre millesettecentocinquanta, ne ottenne
rescritto, con cui si fe la commessa al Ministro Provinciale, che essendo vero l’esposto, ed ottenuto il
consenso del Capitolo del Convento, se li compartiva la facoltà, à suo arbitrio,…; Ed avendo presentato d.o
Rescritto al Capitolo del Convento sud.o; quello congregatosi jeri tré del corrente Dicembre, e proposto
l’affare in pleno Capitolo, tutti, riguardo alla povertà di d.i Pietro e Giuseppe…, concorrerono a potersi
concordare…”.
326
191
preziosi elementi di conoscenza sulle usanze, sulle procedure gerarchiche e sulla vita dei
frati, viene integralmente riportata.
“A’ dì 3 Xbre 1751 = Si propone in publico Refettorio dal Padre Michele Cimino Guardiano
di q.to V.n.le Convento di S. Franc.o della Terra di Limusani a PP. E F.lli stanzianti in esso,
come il Laico Professo Fra’ Gio: Covatta, Figlio di q.sto Convento, perche nell’ingresso
alla Religione, e sua Professione non fece alcuna renonza à beneficio del Padre, e F.lli de’
beni, che potevano spettarli, sopra l’eredità Materna, e Paterna, conoscendo ora lo stato
miserabile, in cui li F.lli, dopo la morte del Padre, sono ridotti; Considerando per la Carità
Cristiana privarli incioche può stendersi, anche perche la Religione sua è pietosa, stimò
supplicarne la Sacra Congregazione, e q.lla, con suo rescritto in data di quattro Xbre 1750
(nota: esattamente un anno prima; la circostanza farebbe pensare a disposizione che dettava
tempi ben precisi), concorrendo ha benegnam.te commessa al P. Ministro Gen.le, perche
essendo vero l’esposto, et ottenuto il Consenso del capitolo del Convento, dia il permesso;
intanto detto Fra’ Gio: si contenta ricevere da suoi F.lli, docati venti, e non avendo questi
danaro pronto, che ne facessero strum.to censuale, à beneficio del Convento, à sol fine di
non vederli astretti in altre miserie maggiori, ma che obligassero à beneficio del Convento,
tutti li beni Paterni e Materni, e che l’annuo frutto vita sua durante resti, per comodo di
detto Fra Gio:, per suoi Religiosi bisogni, e dopò la morte sua resti in proprietà del
Convento, ed altresì, che detti suoi F.lli devono cedere anche un piede d’oliva, che stà sito
nel territorio, che oggi possiede Cosmo Piciucco nel luogo la Foresta, e che questo piede
d’oliva dovesse vendersi, e cedere anche per uso Religioso di esso Fra’ Gio: diano il
consenso, e parere per doverne passare la decisione al P. Ministro Gen.le, à chi dalla
Congregaz.ne di Roma sta commessa la cosa, per poterne accappare il suo permesso, e come
che = Fra’ Michel’angelo Fracassi si contenta = Fra’ Filippo Cocucci si contenta = Fra’
Giuseppe Paolantonio si contenta = Fra’ Ferdinando Fracassi si contenta = Fra’
Caramuele Farina si contenta =
Ita est P.r Guard. Cimini”.
Ci sarebbe da discutere non poco sulla necessità “che detti suoi F.lli devono cedere anche un
piede d’oliva, che stà sito nel territorio, che oggi possiede Cosmo Piciucco nel luogo la
Foresta, e che questo piede d’oliva dovesse vendersi, e cedere anche per uso Religioso di esso
Fra’ Gio:”. Come pure sarebbero da analizzare bene quali fossero i veri motivi per cui Fra’
Giovanni “nell’ingresso alla Religione, e sua Professione non fece alcuna renonza à beneficio
del Padre, e F.lli de’ beni, che potevano spettarli, sopra l’eredità Materna, e Paterna”. Fu,
cioè, quella omessa ‘renonza’ frutto di episodio occasionale e di mera dimenticanza? Oppure
non era derivazione da un costume imposto, magari dalla amministrazione del Convento, per
accrescerne la disponibilità dei ‘beni’ da gestire? Si ritiene che, per non discostarsi troppo dal
vero, ci si debba orientare verso questa seconda ipotesi.
Sulle modalità e, soprattutto, sulle condizioni ‘imposte’ (e non va dimenticato che, nel tempo,
siamo già a periodo di molto più recente) a chi volesse entrare nella ‘religione’ dei frati
Conventuali e, più nello specifico, nel ‘Noviziato’ da essi tenuto a Limosano gettano uno
squarcio di luce assai significativa sia l’atto, per il Notaio limosanese Giuseppantonio Lucito
fu Francesco, del 17 Maggio 1834, che quello, per il Notaio, pure lui limosanese, ma rogante
nella piazza della limitrofa S. Angelo, Fracassi Aquino (ne è evidente il ricordo nella zona di
‘Don Aquino’, ancora esistente nella geografia del paese), del 16 Giugno 1843329.
329
ASC, Fondo Protocolli notarili. Come quelli che si riportano nel testo sono diversi gli ‘atti’ che riguardano un
individuo “risoluto di farsi Religioso de’ Minori Conventuali”. Con atto del 5 Aprile 1825 il “Chierico D. Luigi
Spina del Comune di Spinete, figlio del fu D. Federico, e D.a Prassede Doganiero…, Novizio non ancora
Professo in questo Monistero di San Francesco dell’ordine de’ minori Conventuali… coll’espresso consenso…
del Reverendo Superiore Padre Maestro F. Francesco Cocucci, attuale Maestro de’ Novizi,… avendo già
terminato l’anno del suo noviziato, ha risoluto di fare professione, che perciò ne ha giusta i stabilimenti del
192
Nelle parti più significative si riportano entrambi sia perché, nei patti che con essi vengono
stipulati, ognuno è assai differente dall’altro e, soprattutto, sia perché a fare il loro ingresso
nell’Ordine si incontrano due persone di estrazione sociale molto diversa.
Col primo ‘istrumento’, cui, a parte l’interessato, il solo “molto reverendo Padre Maestro
Filippo Fracassi, religioso Conventuale, e Guardiano di questo Monistero di San Francesco,
…” è presente e partecipa di persona, “… Francesco del Grosso (nota: fu Gregorio,
‘Contadino nato e dimorante nel Comune di Castelpagano’) ha dichiarato che avendo
risoluto di farsi Religioso ha manifestato questa sua determinazione al cennato Padre
Maestro, pregandolo a volerlo ricevere nel suo Monistero in qualità di Converso, per quindi
professare dopo il tempo stabilito dalle regole dell’ordine.
D’altronde il lodato Padre Maestro pria di annuire alle richieste del riferito del Grosso,
avendo esaminato lo Stato del Monistero, che trovasi in bisogno di un altro Laico per
assistere ai travagli giornalieri, ed al servizio degli altri Padri, si è col consiglio de’
medesimi condisceso a riceverlo, ma sotto i seguenti patti, e condizioni.
1. Che esso del Grosso andando, pria di fare la solenne professione, a mutare di volontà, e
spogliando l’abito se ne ritornasse al secolo, se ciò avverrà nel corso del primo anno a
contare da questo giorno, non sarà tenuto ad alcuna corrisponsione verso del Monistero, se
poi ciò si verificherà dopo il decorso del primo anno, sarà obbligato di pagare al Monistero
pel suo mantenimento ducati diciotto all’anno, escluso sempre il primo.
2. Che non ritrovandosi abile ai servizi del Monistero, o pure sperimentandosi di una
condotta riprensibile, e non propria per un Religioso, per cui venisse espulso dal Monistero
dai legittimi superiori, in qualunque tempo ciò avverrà, non sarà tenuto ad alcun pagamento
verso del Monistero, né potrà ripetere dal medesimo alcuna somma.
3. Che siccome egli possiede nella sua padria taluni fondi, cioè una casa di due membri
superiori…; ed un orto dell’estensione di una misura circa…, così questi medesimi fondi
rimangono assegnati al Monistero sotto la seguente condizione e riserva = Ch’esso del
Grosso dovrà godere e percepire le rendite di detti fondi al tempo della sua professione per
uso di vestiario, e che due mesi prima di farla, egli dovrà vendere tali fondi ed il prezzo
depositarlo nella Cassa del Monistero per impiegarsi in compra d’annue rendite, onde
supplire al suo vestiario, che gli dovrà somministrare il Monistero in prosieguo.
Finalmente nel caso ch’egli abbandonasse volontariamente la Religione prima di professare,
i fondi medesimi restano vincolati, e specialmente ipotecati a favore del Monistero pel
conseguimento de’ ducati diciotto annui da pagarsi pel suo mantenimento, come sopra si è
stabilito. (…).”.
Col secondo dei due indicati atti “Noi qui sottoscritti P.re Maestro Giuseppe Borsella
Guardiano del Convento de’ Minori Conventuali di S. Francesco di questo Comune di
Limosani, non che P.re M.ro Gennaro Janigro, e P.re Venanzio Fracassi tutti sacerdoti
componenti, e rappresentanti l’attuale famiglia del detto Convento, precedentemente
consiglio conventuale tenuto a norma delle regole monastiche, col presente mandato…
nominiamo nostro speciale Procuratore il Sig.r D. Giuseppe Janigro di D. Nicola Avvocato
domiciliato in Campobasso, affinché lo stesso ci rappresenti nell’Istrumento, che andrà a
stipolarsi tra questa Comunità, ed il Signor Giudice della G.C. Criminale di Molise D.
Raffaele Bracale del fu D. Gaetano domiciliato in Campobasso relativamente alla ricezione
Sacro Concilio Tridentino ottenuto dal prelodato Monsignor Generale di questa Diocesi di Benevento la
formale licenza in data de’ tre del caduto Marzo… (…). E perché uno de’ principali istituti della medesima
Religione è il voto della povertà, così prima di professare intende rimanere orbo di qualunque possidenza, e
perciò pel fine suddetto ha risoluto di voler da ora per quando seguita sarà la sua solenne professione,…,
rinunciare e donare a pro della sua madre D.a Prassede Doganiero, e de’ suoi germani D. Francesco, e D.
Raffaele Spina tutti i suoi beni,…”.
193
di figliolanza di D. Federigo figlio del detto Sig.r Giudice Bracale. Quale stipola verrà fatta
sotto i seguenti patti.
1°: Il Signor Giudice Bracale assegna al convento di S. Francesco de’ Minori Conventuali di
Limosani per metterlo al caso di dare la figliolanza a suo figlio docati trecento cinquanta.
350:00. con gl’interessi in ragione del sei -6- per cento a contare dal giorno della stipola
sino all’adempimento. Questa somma dovrà pagarsi unita agl’interessi corrispondenti nel
giorno in cui il figlio di lui D. Federigo ammesso alla figliolanza di detto Convento
professerà i voti monastici. (…).
2°: Somministrerà il Sig.r Bracale al figlio D. Federigo un letto competente, un candeliere di
ottone ad olio, un tavolino. Un competente numero di lenzuola, facce di cuscini, ferrajolo,
camice, ed abito monacale per una sol volta; al che già adempiuto giusta l’assicurazione di
D. Federigo che fin dal dì 1.° Giugno corrente entrò in Monastero ed ha fatto conoscere di
aver recati detti oggetti.
3°: Si obbliga inoltre il Sig.r Bracale di pagare annui docati quindeci -15:00- al figlio dal
giorno in cui entrerà formalmente fino al giorno in cui diverrà sacerdote, onde potersi
provvedere di abiti, e fare i viaggi di studio qualora esce dal Convento nativo, ed i viaggi
delle ordinazioni a suo proprio conto,…
4°: Qualora terminato l’anno del Noviziato il detto D. Federigo non voglia più abbracciare
lo stato monastico, ed abbandonasse il Convento suddetto il Padre di lui D. Raffaele Bracale
sarà obbligato di pagare a questo medesimo Convento di Limosani docati settantadue
-72:00- per gli alimenti somministrateli per tutto l’anno.
5°: Le spese dell’Istromento e copia da rilasciarsi al Convento di Limosani a carico del Sig.r
Bracale.
(…).”.
Avendo già accennato in precedenza alla diversità di trattamento da parte della 'famiglia
monastica' a seconda della estrazione sociale di chi era “risoluto di farsi Religioso”, non è
possibile a questo punto non aggiungere qualche essenziale considerazione.
La prima, relativamente ai documenti riguardanti il Convento di Limosano, porta ad
evidenziare la consuetudine, molto antica (ma allora quasi certamente era una prassi
‘normale’), avendone trovato traccia tra gli atti del Notaio Ramolo Nicolamaria, limosanese,
sin nell'ultimo trentennio del '500, e che si conservava, ma solo per gli 'affari' più importanti,
ancora nel secolo XIX, di nominare, per i rapporti verso l'esterno e che, almeno per il periodo
più antico, concernevano passaggi di moneta da fissarsi con atto notarile, uno “speciale
Procuratore”. Anche se sembra essere stato un espediente studiato per aggirare in qualche
modo il voto di povertà, di esso, tuttavia, in epoca recente spesso non si teneva più conto.
La seconda permette di rilevare come, nell’ultimo atto riportato, mentre da parte del
Convento (si noti che con tale termine si viene rimpiazzando quello di ‘Monistero’) non
viene in pratica assunta obbligazione alcuna, i cinque ‘patti’ che avrebbero dovuto
concordarsi in realtà altro non sono che delle vere condizioni “relativamente alla ricezione di
figliolanza di D. Federigo figlio del detto Sig.r Giudice Bracale”. Queste, che, come risulta
chiaro da altro analogo atto del “nove del mese di Novembre dell’anno
194
milleottocentotrentaquattro”330, potevano variare e variavano da caso a caso, altro non erano
che delle vere imposizioni.
La terza e, per non essere pesanti, ultima considerazione riguarda il rilevante arricchimento
che ne veniva al Convento da un ‘ingresso’ nell’Ordine (e traspare più che evidente
l’interesse a farlo, per il prestigio che ne derivava, per gli esponenti della borghesia, che in
cambio ricevevano anche la contropartita di poter amministrare patrimoni ingenti).
Altro non rimane, a margine di tutto quanto annotato, che rilevare (si veda il ‘patto’ 2°) la
composizione delle cose dotali e delle attrezzature necessarie al vivere quotidiano richieste al
monacando, il quale risulta, nel nostro caso specifico, che già da alcuni giorni “entrò in
Monastero”, portandosi dietro tutte le masserizie “somministrategli” dal padre. A questo
330
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio LUCITO Giueseppantonio della piazza di Limosano. Si trascrive
interamente l’atto dal quale è possibile ricavare ulteriori notizie sulle abitudini di vita dei frati.
“Il dì nove del mese di Novembre dell’anno milleottocentotrentaquattro. Regnando Ferdinando II° per la grazia
di Dio Re del Regno delle due Sicilie, di Gerusalemme.
Avanti di noi Giuseppantonio Lucito fu Francesco, Notaio di residenza nel Comune di Limosani in Provincia di
Molise, e de qui sottosegnati Testimoni sono comparsi
Il Signor Prospero Quaranta fu Salvadore, Ferraro, nato e domiciliato nel Comune di Agnone, ora qui venuto
di persona, da una parte
Et i Religiosi Minori Conventuali di San Francesco regenti e transeunti in questo Monistero di Limosano, cioè
Padre Vincenzo Carnevale, Guardiano, Padre Collegiale (nota: è probabilmente da intendersi come
‘Specializzando’) Gennaro Ianigro, Padre Erasmo de Angelis, Sacerdoti, Fra Eduardo Iammarino, Diacono, e
Fra Domenico Zingarelli, Suddiacono, dall’altra parte
Tutti a noi ed a Testimoni ben cogniti.
Il detto Signor Prospero Quaranta ha dichiarato, che avendo il suo figlio Don Gennaro di condizione Studente
risoluto di farsi Religioso de’ Minori Conventuali, ha manifestato questa sua risoluzione ai precennati religiosi,
pregando loro a volerlo ricevere in questo Monistero di Limosano in qualità di figlio del medesimo Convento, e
spedirlo al luogo proprio del Noviziato, per quindi professare nel tempo stabilito dalle regole dell’ordine,
obbligandosi esso Signor Prospero di equipaggiare il suo figlio in tutto l’occorrente, di pagare tutto lo spesato
necessario per tutto il corso del Noviziato, e di anticipare al Monistero di Limosano la somma di ducati
duecento per tutte le altre spese bisogneranno allo stesso suo figlio dal giorno della sua solenne professione fino
a che giunto sarà al Sacerdozio.
I lodati religiosi Conventuali, come rappresentanti questo Monistero di San Francesco, previo consiglio
tra loro tenuto, essendosi congregati a suono di campanella giusta il loro rito, avendo esaminata la
proposizione del Quaranta, e trovatala confacente, hanno deliberato di accogliere nel seno della loro
famiglia, e per confratello religioso il nominato suo figlio Don Gennaro, e gli hanno concesso la figliolanza
nel medesimo Convento.
All’effetto dunque di quanto trovasi preposto e risoluto, si è fissato, e stipulato quanto siegue.
1. Il Signor Don Gennaro Quaranta figlio del detto Don Prospero, semprecché persiste nella sua vocazione di
farsi Religioso de’ Minori Conventuali, rimane annoverato da questo giorno nella famiglia di questo
Venerabile Monistero di San Francesco in Limosano, e perciò gli vengono rilasciate le lettere credenziali
per recarsi al destinato luogo del Noviziato.
2. Rimane a carico di esso Signor Prospero sì la spesa necessaria per l’equipaggio proprio di un Religioso
giusta le costituzioni, e destinazioni dell’Ordine, che tutte le altre spese occorrenti in tutto il tempo, che
l’enunciato suo figlio Don Gennaro sarà ritenuto nella Casa Religiosa del Noviziato.
3. Il ridetto Signor Prospero in adempimento di sua promessa ha numerato a vista di noi Notaro, e Testimoni in
potere de’ prementovati Religiosi la somma di ducati duecento in tanta moneta di argento effettivo, che sono
stati presi, e verificati dal Padre Guardiano del Convento.
4. Non professando il riferito Don Gennaro la religione de’ Minori Conventuali, o professandola sotto altra
figliolanza, o passando all’altra vita pria di professare, questo Convento, e per esso i suoi rappresentanti sono
tenuti all’intera restituzione de’ ducati duecento senza verun interesse, quale restituzione avrà luogo nel solo
caso, e subito che si verificherà qualcuna dell’anzidette condizioni. E se il Monistero non potrà per qualche
circostanza prontamente restituire l’indicata somma sarà obbligato a pagarne l’interesse dal giorno della
domanda fino all’effettiva restituzione alla ragione del dieci per cento.
5. Nel caso di morte del detto Don Gennaro, che siano lontani gli augurj, dopo la professione fatta colla
figliolanza di Limosano, questo Convento avrà il diritto di reintegrarsi di tutte le spese erogate pel suo
mantenimento in ragione del tempo, che sarà scorso dopo la professione sulla somma di ducati duecento, ed il
195
punto, con quella elencazione non sarebbe affatto difficile una ricostruzione della ‘stanzetta’,
nella quale il giovane si preparava alla vita sacerdotale dapprima come ‘novizio’ e, poi, dopo
un anno di apprendistato (dal Notaio Marone Costanzo di S. Angelo sappiamo che, con atto
del 6 Febbraio 1838, D. Pietro Covatta, Accolito, veniva “ammesso alla figliolanza di questo
Convento, per accedere alla professione nella Religione de Minori Conventuali”, nell’atto del
8 Marzo 1839 risulta “Novizio” col nome di Fra’ Salvatore e fa la professione il 10 seguente),
terminato il quale ‘professava’ i tre voti di povertà, obbedienza e castità, in qualità di
‘studente’ o, meglio, di ‘chierico’. Chi alla bontà dei costumi univa sufficienti capacità
intellettuali era promosso a sostenere un corso di Filosofia, di tre anni, in cui si approfondiva
lo studio della Logica e delle Lettere, ed uno di Teologia, di quattro anni, prima di essere
ordinato Sacerdote (momento dal quale veniva chiamato ‘Padre’), dove si arrivava passando
per gli ordini ‘minori’ del Suddiaconato e del Diaconato.
Assai frequente era la presenza nel Convento di Frati ‘Laici’ o ‘Conversi’, che, da
‘illetterati’, non potevano essere sacerdoti e nella organizzazione di un ‘Monistero’
svolgevano i servizi più umili (cuciniere, questuante, sagrestano, ecc.). Tali si facevano per
sfuggire al rigore, alla maggiore durezza ed alla povertà della normale vita civile.
Del Convento almeno sette i punti di riferimento essenziali cui occorre dare un cenno, seppur
veloce, per una pur sommaria ricostruzione dello svolgersi quotidiano della vita religiosa: il
coro, la stanza, il refettorio, le officine, il chiostro, l’orto con la ‘selva’ e la biblioteca.
Il coro del Convento di Limosano, così com’è ancora al presente, essendocene pervenuta ben
conservata la struttura lignea, di notevole fattura, nel rifacimento (e non v’è motivo per non
credere che tale intervento, forse ad opera di maestranze interne al ‘Monistero’, tendesse solo
a migliorare la funzionalità di quello originario, assai più povero ma situato nella stessa
posizione, dotandolo esclusivamente di pregio artistico maggiore) tra la fine del ‘500 ed i
primi anni del secolo successivo, era posto dietro l’altare maggiore. Oltre ad una
consuetudine assai diffusa nei conventi del francescanesimo più antico, porterebbe ad una
tale conclusione anche il tentativo di identificare la possibile collocazione della “figura di
esso Padre nostro depinta nell’antico vescovado della destrutta città dell'homini sani, alias
Musane,..., la quale chiesa hoggi è posseduta da padri Conventuali, apparendo nel choro
di essa una simile imagine di un san Francesco, con capuccio e corda come di sopra”.
Il tentativo in parola porta a posizionare tale “figura” (v. nota 5), non più esistente ma che,
ancora nel 1615, rappresentava, a riprova dell’importanza del Convento di Limosano, la
principale testimonianza (“del che chiaro testimonio ne dà primo una figura di esso Padre
nostro depinta”) sulla foggia dell’autentico vestire del Santo di Assisi, all’interno, ora
dippiù dovrà restituire similmente senza interessi, e se una tale restituzione non sarà anche pronta, sarà dal
Monistero similmente corrisposto l’interesse come sopra.
Le suddette parti hanno accettato quanto si è trattato, e stipulato, e ne hanno promesso l’esatto adempimento.
E per l’esecuzione hanno eletto il domicilio nel luogo di loro rispettive dimore.
Di tutto ciò si è redatto il presente atto, che si è letto alle parti, e Testimoni a chiara, ed intellegibile voce.
Fatto, e pubblicato nel Comune di Limosano in Provincia di Molise nel Monistero di san Francesco, e
propriamente nella stanza del Padre Guardiano, presenti per Testimoni li Signori Nicola Maria Gravina fu
Luigi, Sartore, e Casimiro Fracassi fu Vincenzo, Musicante, domiciliati nel suddetto Comune, di nostra
conoscenza, conoscentino le parti, e rivestiti delle qualità dalla legge prescritte, i quali sottoscrivono con noi,
coll’indicati religiosi Minori Conventuali cioè Reverendi Padri Vincenzo Carnevale, Gennaro Ianigro, Erasmo
de Angelis, Fra Eduardo Iammarino, e Fra Domenico Zingarelli, mentre il sopracennato Prospero Quaranta
crocesegna per essere illetterato, siccome ha dichiarato.
+ Segno di Croce di Prospero Quaranta
Pria di sottoscrivere il presente atto hanno le parti soggiunto, che per il corso di tre anni dal giorno della
professione il Monistero dovrà somministrare a detto Don Gennaro solamente ducati sei all’anno pel vestiario,
ed il dippiù gli sarà somministrato dal Padre Signor Prospero Quaranta, decorsi i tre anni l’intero vestiario
sarà a carico del solo Monistero.
Padre Vincenzo Carnevale Guardiano (seguono le altre firme)”.
196
ricoperto da orribile smalto, di una delle due cornici visibili ai lati più esterni del coro stesso.
Alla data della “figura di esso Padre nostro depinta”, senza dubbio e per ovvi motivi assai
antica e di cui sarebbe da ipotizzarne una collocazione tra il XIV ed il XV secolo, più di una
sono le ragioni che portano ad associare o, almeno, ad avvicinare anche quella del quadro,
questo ancora esistente, dell’“ingenua Immacolata Concezione…,<che è una> tavola di vaste
proporzioni, di una pittura sciolta e di modi gradevoli nella freschezza narrativa con cui
vengono singolarmente presentati i vari attributi della Vergine”331.
Tornando al coro, vi si accedeva, di giorno, al suono di una ‘campanella’. Al mattino e di
notte, invece, i frati vi andavano dopo essere stati svegliati dal rumore, più sfumato, della
‘canna’ oppure, più assordante, della ‘troccola’, strumenti tipici del francescanesimo.
Nel giungere in coro sia per la preghiera privata che per le ufficiature e per le orazioni
prescritte dalle ‘Costituzioni’ e dalle regole dell’Ordine, i frati, dopo aver baciato in terra,
prendevano il posto assegnato ad ognuno “con compositione e silentio” ed aspettavano i
segni convenzionali impartiti dal Padre Guardiano o da chi per lui.
La notte, dopo la recita di ‘Mattutino’, si praticava, forse tre volte la settimana, la ‘disciplina’
“conforme al prescritto delle Costituzioni”.
Durante il giorno, l’ufficiatura divina proseguiva con le ‘Lodi’, le ‘Ore’ (Prima, Terza, Sesta
e Nona), il ‘Vespro’ e la ‘Compieta’.
Al mattino, dopo la recita di ‘Prima’ e, forse, delle litanie dei Santi, vi era la messa, alla quale
assistevano comunitariamente tutti i religiosi del Convento. Non è da escludere che, dopo di
essa, i frati partecipassero ad altre messe di devozione.
Le stanzette, che, al dire del più volte citato Amoroso “hanno l’aspetto caratteristico di quelle
del ‘300 come si conservano a S. Chiara a Napoli”, almeno nel periodo più antico e fino alla
soppressione innocenziana, dovevano risultare assai povere e di semplicità ed essenzialità
estreme. La dotazione di ognuna di esse, dove il frate trascorreva gran parte della giornata, vi
vedeva presente un tavolino di legno, alquanto rozzo, o ‘banchetta’, da servire o per la lettura,
per chi ne era capace, o per lo studio oppure, specie in tempo di malattia o di indisponibilità,
per comodo di poggiarvi gli utensili e gli attrezzi con i quali il frate era tenuto ad operare per
allontanare i pericoli dell'ozio. Ad un angolo della ‘cella’ era sistemato un letto con trespoli,
tavole e “piumazzo” (= materasso) di paglia, o di saggina o, ma ciò solo nei tempi più recenti,
di lana. A quest'ultimo, lo si è già visto, non mancavano le lenzuola ed il ‘cossino’. Al capo
del letto era posta una croce in legno, semplice ed essenziale. Ma, stando al contenuto degli
inventari del 1809, già nel corso del XVIII secolo le stanze presentavano maggior comodo ed
erano dotate di qualche quadro.
Il refettorio, nell’economia del Convento, costituiva il luogo per le riunioni del ‘conseglio’ e
delle decisioni comuni, degli incontri fraterni ed, ovviamente, della quotidiana refezione. I
religiosi vi convenivano al mattino, dopo la messa comunitaria, per la colazione; appena
trascorso il mezzogiorno, dopo il canto di ‘Nona’, per il pranzo; ed, alla sera, dopo l’ora della
preghiera e della meditazione che seguiva alla recita di ‘Compieta’, per la cena.
Vi doveva risultare ben definito, pur se non accentuato e molto visibile eccetto che, forse, per
un piccolo campanello necessario ad impartire i segni convenzionali, il posto del Padre
“Custos, sive Guardianus”.
Per colazione, dopo che dalla chiesa passavano al refettorio, i frati, senza alcuna distinzione
tra superiore e sudditi, trovavano sulla nuda mensa il pezzo di pane apparecchiato e coperto
da un tovagliolino. Sembra probabile che il pane venisse accompagnato da qualche cosa
ricavata dall’orto e, nella fattispecie, da un frutto.
331
MORTARI L. Molise, Appunti per una storia dell’arte, Roma 1984, pag. 110. Alla nota 96 la Mortari
aggiunge. “L’Immacolata giaceva sul pavimento in sacrestia. (…). Dopo il restauro (Sergio Donnini, 1973), è
stata appesa in chiesa”.
197
A pranzo non mancava mai l’acqua e forse, stando almeno alla rilevante produzione che se ne
faceva nel Convento di Limosano, neppure il vino. Sulla mensa ogni frate, predisposto dal
‘refettorario’, trovava al proprio posto, oltre al pezzo di pane, una ciotola. Di solito venivano
servite una minestra ed una pietanza, a meno che non fosse giorno di digiuno. La minestra è
probabile consistesse di erbe e verdure cotte oppure di legumi.
Anche per cena veniva servita una minestra.
Durante la refezione, o si ascoltavano delle letture oppure si osservava silenzio. Inoltre una
volta al giorno, forse prima delle letture, dai religiosi veniva pubblicamente accusata la
propria colpa al superiore e se ne riceveva la correzione o la punizione.
Per il dopo pranzo ed il dopo cena, veniva concessa ai frati la possibilità di scambiare tra di
loro qualche parola. A questi tempi di ricreazione, che è probabile durassero circa una
mezzora, seguiva, dopo che ognuno era rientrato nella propria stanza, il silenzio più rigoroso,
con la possibilità durante il giorno di “riposarsi alquanto per potersi poi all’hora debita
attender a lodare Iddio”.
Quanto alle ‘officine’ del Convento limosanese, mentre non si è trovata traccia del ‘lanificio’
(ma è probabile che vi si rappezzassero gli abiti e vi si lavassero i panni), è più che certa la
presenza di una falegnameria, dove frati, conoscitori ed esperti del mestiere, vi lavoravano e
preparavano manufatti di pregio. Forse ad essi si deve la realizzazione, oltre che del coro,
anche dei due confessionali, di notevole fattura artistica, tuttora presenti nella Chiesa.
Come in tutti i conventi francescani, anche in quello di Limosano era presente il chiostro
interno con al centro la cisterna. Non è azzardato ipotizzare che sulle pareti vi fossero quadri.
Dal momento che, ancora nel 1813, al Convento risultava “attaccato un giardino di piccola
estensione, ed un territorio di circa tomoli quattro”332, coltivato, nel 1809, “a vigna”, è da
ritenersi più che certo che tale terreno, almeno nei tempi più antichi, fosse utilizzato per “il
commune lavoro dell’horto”, al quale, come era costume per i conventi francescani, nella
parte più lontana era unito un piccolo boschetto, detto ‘la selva’. Delimitato, almeno
inizialmente, dalla ‘fratta’, solo col passare degli anni e forse per motivi di sicurezza, l’orto
venne circoscritto da un muretto. Vi venivano svolti, non solo dai fratelli laici o conversi e
dai chierici, ma un po’ da tutti i religiosi, i lavori propri del giardinaggio (zappatura e
vangatura, pose a dimora di piantine, sarchiatura, innaffiamento, etc.) e quelli riguardanti le
piante da frutta ed il bosco del convento.
Un discorso a parte merita la ‘libraria’, ossia quel locale in comune adibito a biblioteca,
dove, oltre ai libri di più impellente necessità utilizzati sia per la formazione scolastica che
per la preparazione e l’aggiornamento dei ‘Padri’, si conservavano i documenti, il materiale
cartaceo e gli atti riguardanti l’attività, anche patrimoniale, del ‘Monistero’. Se è vero che
“molte notizie circa la storia del Convento non si hanno perché le memorie ed i documenti
conservati nella sua biblioteca ricca di opere pregevoli, pubblicati a Venezia nel 1500,
furono sperperati e venduti con i libri in questa contenuti nell’ultima soppressione”333, allora
non è difficile immaginarne sia la ricchezza, per qualità e per quantità, della documentazione
e dei testi che vi si conservavano sin dalla fondazione quanto i danni irreparabili arrecati a
tale patrimonio, anche in riferimento alla possibilità di ricostruire la vita dei frati e la storia
del Convento, dalle due soppressioni col saccheggio e le dispersioni enormi, che ne
seguirono.
Ma perché ci si possa fare un’idea, pur sommaria e che deve, comunque, essere riferita ai
tempi lunghi e che affondavano le radici in un passato lontano, di alcuni aspetti degli
ambienti e della vita di tutti i giorni condotta all'interno del Convento, si riportano le
descrizioni, scarne e burocratiche, dell’arredamento e dell’oggettistica, ancora esistenti, dagli
332
333
ASC, Monasteri soppressi, B. 4, f. 21.
AMOROSO G., Relazione…
198
‘inventari’ di ciò che fu trovato “nel Monistero de’ Minori Conventuali di Limosani,
soppresso in esecuzione del Real Decreto de’ 7 Agosto 1809”334.
La struttura del complesso “del Convento” era costituita da “Una Chiesa ad una nave con
cinque altari; coro nuovo di legno noce; l’organo con orchesta di pietra; Sacrestia vestita di
legno. Nel chiostro nell'entrata di essa a sinistra uno stanzolino di niuno uso, presso di esso
due stanze ad uso di fondaco per affitto; procedendo avanti a destra un fondaco a due
stanze, attaccato alle quali è la chiesa picciola antica. Entrando dal chiostro, a sinistra un
Refettorio grande vestito di legno con pittura, e due stiponi con porte colorite; dietro al
refettorio uno stanzino ad uso di dispensa, all’altro lato un altro stanzino con stipone
per conservar gli utensili del refettorio; da detto stanzino si scende alla cantina divisa in
due vuoti, in uno de’ quali è uno stanzino per conservare formaggio, e carrafoni. A
destra dello stesso Chiostro è la cucina grande, o sia sca(l)datojo con tre finestre; dietro
questa è la cucina piccola con fornelli; dietro alla cucina grande è un chiostro piccolo, a
destra del quale è l'antica cantina grande per conservar legna, e carboni; attaccato ad
essa è la stalla colla pagliaruola di sopra; attaccato alla stalla è un fondaco per conservare
generi. Salendo dal chiostro al quarto superiore, a destra vi sono i luoghi comuni con sei
sedie coperte con portellini; dietro di esso è un fondaco anche per generi; avanti la porta di
detto luogo è un balcone grande di ferro con porta. Proseguendo all’istesso lato sono
quattro stanze grandi, tra esse divise, con quattro balconi di ferro, porte, e vitrate; dietro
l’ultima stanza, propriamente nel dormitojo del campanile è un balcone di ferro con porta, e
vitrata; appresso di esso a sinistra sono tre stanze, due abitabili, ed una diruta, e vicino a
questa propriamente sotto del campanile è un balcone grande di ferro con porta, e vitrata.
Tornando da detto dormitojo a destra sono quattro stanze, tre abitabili, ed una per uso di
deposito. Proseguendo al dormitojo grande a destra sono tre stanze abitabili, e presso
l'ultima è un appartamento con un salone, stanza, e alcoa grande, dentro della quale sono
due stiponi con bussole indorate, e colorite; nella stanza è un balcone con pettorale grande
di ferro a petto di palumbo (?), ed una bussola indorata, e colorita; nel salone sono due
consimili balconi con porte, e vitrate, e la porta dello stanzone bene lavorata di legno di
noce; avanti di essa un balcone del dormitojo grande con porta, vitrata, e ferro. Vicino a
detto balcone a sinistra del detto dormitojo è un altro appartamento con una sala grande,
due stiponi di legno di noce, e due finestre con porte, e vitrate; presso il salone è una stanza
con un stipo con porta, ed una finestra con porta, e vitrata; presso detta stanza un arcovo
grande con due stipi uniti, e porte di legno d’abete, ed una finestrina con porta, e vitrata.
Dietro a detto appartamento, e propriamente nel dormitojo grande è una cappellina con
altare per gl’infermi. Sopra del portone del Convento è alzato per metà un campanile
nuovo di pezzi lavorati. In tutte le stanze esistono porte, e vitrate, colle loro rispettive
chiave”.
La composizione dell’arredamento, ossia dei “mobili, ed effetti, che servono all’uso de’
Religiosi, e che debbono esser loro lasciati in proprietà”, vedeva al “Quarto Superiore, nel
quartino del Pr. M. Filippo Fracassi esistono: nella saletta due tavolini di legno di noce, e
due cantoniere di pioppo, otto sedie a paglia antica colorate verdi; nell'anticamera due
comò all’antica con iscansie sopra ad uso di libri, quattro sedie a paglia, un tavolino, o sia
scrivania di legno noce, una sedia di appoggio, ed un candeliere d’ottone a quattro lumi;
nello stanzino da letto, o sia alcoa, un lettino composto di piedistallo di ferro, e lettiera di
legno, un paglione, due matarazzi di tela con lana lunga, due cossini dell’istessa lana
ripiena, due lenzuola, un covertino di portanova, una coverta imbottita, due sopravveste di
cossini, e due portieri anche di portanova.
334
ASC, Fondo Monasteri soppressi. Buste e fasci diversi.
199
Nel quartino del P. M. Giacinto Corvinelli, un lettino coi piedistalli di ferro, e lettiera di
legno, un paglione, due matarazzi ripieni di lana lunga, due cossini, due lenzuola, un
covertino biancho di bombace, una coverta cardata, un candeliere d’ottone; nell’anticamera
un cantarano all’antica, un tavolino di legno per uso di studietto di libri, due altri tavolini;
nella sala, un tavolino di legno, un sofà vecchio all'antica, dodeci sedie a paglia colorate
verde, due tavolini all’antica con cornice indorata, uno scavabotto col bambino di cera, ed
un orologio d’ottone con cassa di legno.
Nelle tre stanze sotto il divisato quarto ad uso di Laici, in ciascuna di esse vi esistono: un
letto composto di piedi e lettiera di legno, un paglione, un matarazzino ripieno di lana lunga,
due lenzuola, una coverta imbottita, e due cossini, tre sedie, una boffetta rustica, un bacile
con un piede di legno.
Nelle stanze del dormitorio corrispondenti al giardino esiste in ciascuna: un letto composto
di piedi, e lettiera di legno, un materazzino con due cossini pieni di lana lunga, un paglione,
due lenzuola, un covertino bianco, e una imbottita, quattro sedie di paglia, un cantarano di
legno d’abete, un tavolino alla rustica, un candeliere d’ottone, un bacile con piede di legno
per lavar mani.
Nelle due stanze abitabili dirimpetto alle sudette, esiste in ciascuna il letto con materazzino,
paglione, due lenzuola, una coverta imbottita, una coverta cardata, due cossini con piedi, e
lettiera di legno, un tavolino alla rustica, con bacile, e piede da lavar mani.
Nella stanza del dormitorio verso il campanile esiste in ciascuna un letto con semplice
paglione, manta cardata, e mante vecchie di lana, con tavolini vecchi alla rustica.
Nella cucina grande esistono: un uncino, pala, e catena di ferro per il fuocolajo, e caldaja.
Nella cucina segreta esistono: un caldajo, e marmitta di rame, e due altri caldaj piccioli
usati, quattro tielle con coverchi di rame, due sartaggini grandi di ferro, uno scolatojo, e una
stufarola di rame, una grattarola di cacio, tre spiedoni di ferro, sei treppiedi di ferro per uso
di cucina, una bilancia con coppa di rame, e statera di ferro, due graticole di ferro, una
liccarda con cinque tianelle di rame, e due pignatte anche di rame”.
Relativamente al quantitativo “del denaro contante, degli utensilj d’argento, di altri
oggetti preziosi, e di tutti i mobili riserbati allo Stato", vi furono inventariati “docati
quindeci moneta di rame, ed argento appartenenti alla Comunità provenuti dall’esazione
dell’anno corrente 1809. Una sfera d’argento col piede di ramo cipro indorato. Due calici,
uno tutto d’argento con patena, e l’altro con la coppa d’argento, e piede di rame indorato.
Un incensiere colla navetta, e cucchiarino d’argento. Una piside con coppa d’argento, e
piede di rame indorato. Un stellario per l'Immacolata Concezione di metallo indorato. Una
croce di foglia di ottone antico indorata. Nel refettorio tutto vestito di legno con sedili tinti
a marmo, vi sono undici banche, o siano mense di legno. Nella stanzina dietro refettorio
vi sono tre pile, o siano vasi di pietra per uso di oglio. Nella cantina sottoposta alla
Chiesa dietro il refettorio vi sono botti di legno N. 7, due di esse le più grandi con cerchi
di ferro, e le altre con cerchi di legno. Un tinaccio grande di legno per navellar mosto di
circa barili trenta. Tre sicchioni per tramutar vino. Una scala lunga di legno ad uso di
fabbrica. Una cassa grande per conservar farina, o grano sistente nel fondaco. Un altro
cassone per conservar legumi, ed altri generi.
Vi sono bestiami di pecore, e capre in società principiata a 21 Agosto 1809 con Sisto
Covatta, e sono: pecore di corpo N. 13, Montoni N. 3, agnelle N. 2, agnelli N. 1; Capre di
corpo N. 4, Caprette N. 3, Capretti N. 3.
Vi sono di più diciassette travi di pioppo da 30 a 40 palmi, meno che due, che sono della
lunghezza di circa 20 palmi. Nel chiostro esistono circa duecento pietre lavorate, e
sbozzate di diverse grandezze per uso del Campanile”, evidentemente in costruzione.
200
Inoltre, gli “incaricati della soppressione del Monistero de’ Minori Conventuali di Limosani”
certificarono “di aver ritrovato nel sud.o Convento tomoli sedici di grano, quattro canne di
legno da foco e Ventiquattro Barili di Vino”.
Sopra una essenzialità, che è poco definire ermetica ed oscura, dell’“inventario de’ libri,
quadri ed oggetti di scienze ed arti”, che con sintesi estrema riferisce del rinvenimento di
soli “quattro grandi quadri, due mezzani e sedici ovali e tondi piccoli con diverse jmagini, i
quali sono stati trovati nel quartino del Padre Giacinto Corvinelli”; su tale essenzialità, sulla
cui volontarietà non pochi sono i dubbi, mena un pizzico di chiarezza la ‘protesta’ indirizzata
“A sua Ecc.za il Cav.r Galdi Intendente di Molise” dallo stesso “Giacinto Corvinelli ex
maestro, ed individuo del Soppresso Monist.o de’ Minori Conventuali di Limosani (il quale)
divotamente espone come nella soppressione del sud.o Monistero furono estratti, ed
inventariati dagli aggenti della soppressione sedici quadretti di un palmo meno diametrale
con effigie, e figure di alcuni Santi, e di Campagnole, e quattro altri di due palmi, e circa
mezzo diametrali con figura di S. Francesco uno, l’altro con figura del Ven.le Vescovo
Lucci, il terzo col ritratto del Papa Garganelli, e ‘l quarto col ritratto del Cardinale
Sciarra Colonna, quali erano ad uso ed ornamento della sua stanza. Ciò si fece dagli
aggenti per loro cautela, e per fedel osservanza dell’artic. 6 della Real decretazione, nel
quale si ordinava di doversi inventariare li quadri. Ma facendosi attenzione alla Sovrana
decretazione nell’art. 6, si conosce ad evidenza, che si parla di quadri preziosi, di antichità,
di stima, e di valuta, siccome non sono li dinotati quadri, i quali, in fuori della cornicetta di
verniggia indorata, nel Testo sono di bassissimo conto, e di tozza ordinaria mano, non
significanti, come si può far ispezzionare per la verità. Quindi supplica V.E. di dare gli
ordini opportuni alli consignatarj, o a chi per Regola si deve, di ripassare al Supp.nte li
denotati quadretti, e quadri, come quelli, che colla Real decretazione nell’art. 6 li vengono
accordati, perché di uso, ed ornamento della propria stanza; e perché non compresi nella
Real decretazione dell’artic. 6, non essendo li sunnotati quadretti, e quadri preziosi, e di
stima, e valuta, intesa dal Sovrano D.G.
E l’avrà a grazia ut Deus”.
La assoluta mancanza di un pur minimo accenno alla consistenza del materiale librario porta
ad ipotizzarne le razzie e gli scempi già compiuti. Con i danni facilmente immaginabili.
Per la maggiore compiutezza delle notizie si riporta, infine, la descrizione “degli arredi, ed
oggetti del servizio del Culto”. Da essa ricaviamo la seguente organizzazione della Chiesa:
“Altare Maggiore. Una custodia di marmo, e porcellina di ottone inargentata; ne quattro
altarini della Chiesa vi sono la Statua dell’Immacolata concezione, di S. Francesco d’Assisi,
di S. Antonio, ed un Crocifisso grande di legno col Cristo di Cartapesta. Un organo a nove
registri con cassa indorata d’intaglio, Due confessionili di noce lavorati ad intaglio. Nel
corpo della crociera della Chiesa, e del coro cinque quadri grandi: uno rappresentante la
conversione di S. Paolo; il secondo il rispetto, o santificazione del Tempio; il terzo la
guarigione del cieco nato; il quarto la moltiplicazione dei pani; e il quinto l’apparizione di
Cristo alla Maddalena sotto figura d’ortolano. Due altri quadri, uno rappresentante S.
Ludovico, e S. Rocco, e l’altro l’indulgenza della Porziuncula. Ai lati dell’altare maggiore
due cornocopj di ferro con lampade d’ottone. Nel coro un lettorino di noce con due libri
corali di canto. Un campanello sulla porta della Sacristia per uso delle messe di circa rotoli
due. Gli altari sono forniti con tovaglie di tela galante con pezzillo.
Sacristia. Uno stipone, osia guardaroba mobile di legno con dentro un vaso di ramo cipro, e
aspersorio per uso d’acqua benedetta. Una croce antica di ottone indorata per uso di
processione. Una cassettina di legno per conservar ostia. Due ampolline di cristallo. Un
parato di drappo di seta molto usato di fondo bianco, o sia lama d’argento fiorato,
consistente in un piviale, una pianeta, due tonacelle con borsa, e velo da calice uniformi;
201
un'altra pianeta gialla per uso del bianco trenata bianca, borsa, e velo uniformi. Una
pianeta verde violacea di calamo, e seta con borsa, e velo uniformi. Una pianeta nuova di
tomasco verde violaceo guarnita di trene gialle con borsa, e vello uniformi. Una pianeta di
tomasco bianco guarnita di trene gialle con borsa, e velo uniformi. Un piviale negro di
tomasco con trene gialle, ed una pianeta consimile con borsa, e velo. Un piviale di
tomaschetto color bianco con trene gialle. Un velo umerale di drappeto color bianco fiorato
con trene gialle. Un altro piviale di tappeto verde violaceo con trene gialle. Due pianete di
tomasco una rossa, e l’altra bianca con trene gialle di seta, colle borse, e veli. Tre camici di
tela sottila per la celebrazione della Messa. Cinque tovaglie di seta sottile con pezzullo per
gli altari. Due messali usati. Tre cotte usate di tela sottile con pezzulli. Nella sacrestia
sudetta uno stipone con dodici candelieri grandi di legno indorato, e ventotto piccioli con
frasche di tela, e carta per paramento degli altari. Un ombrello di drappeto fornito di trene
gialle. Una borsa di legno per le statue. Sei ostensorj di ramo cipro per uso di reliquie. Un
tumulo di legno colorato indorato per lo S. sepolcro. Una custodietta di legno colorata
indorata. Nel dormitorio esistente un campana di circa cantaja otto col suo martello. Sul
campanile imperfetto due campane piccole una di circa un cantajo e mezzo, e l’altra di circa
rotoli venti”335.
335
La situazione degli “arredi ed oggetti del servizio del Culto”, è quasi in tutto confermata dallo “Stato degli
arredi sacri, per li quali si son fatte le domande per parte delle Chiese più bisognose della provincia”. Da
quest’ultimo piace riprendere, oltre che la descrizione di “Un Organo a nove registri con cassa indorata
d’intaglio”, che, pertanto, doveva essere assai ben tenuto, anche quella dei “Cinque quadri grandi,
rappresentanti uno la Conversione di S. Paolo; l’altro il rispetto, e Santificazione del Tempio; il terzo la
guarigione del Cieco nato; il quarto la moltiplicazione dei pani; e l’ultimo l’apparizione di Cristo alla
Maddalena in figura di Ortolano”.
Tutti gli “arredi ed oggetti” rimasero, tuttavia alla Chiesa di S. Francesco in quanto “Il Sindaco di quella
Comune a nome dell’intiera popolazione fece la domanda in questa ind.za a’ 10 Dec. 1809 di dover la Chiesa
rimanere aperta come coadiutrice delle anime di due borghi situati fuori le mura, che colà hanno sempre
esercitato il loro culto specialmente in tempo d’inverno, e perché il popolo vi venera Santuari di moltissima
devozione”. E l’Intendente “con suo rapporto de’ 26 Gen.io 1810 la propose tra le Chiese che devono
conservarsi aperte ed ora propone gli arredi che devono rimanergli per l’esercizio del culto,…”.
Per scrupolo burocratico e perché così si costumava, riguardo alla consegna in custodia dei vari arredi e
dell’oggettistica, sia sacra che non, venne redatto il seguente verbale. “Limosani, li ventisette settembre mille
ottocento, e nove. Si sono personalmente avanti di noi Incaricati per la soppressione del Convento de’ Minori
Conventuali costituiti i Sigg. Giuseppe Fracassi Sindaco, ed Ambrosio d’Addario della medesima, i quali con
giuramento dichiarano aver ricevuto in consegna gl’infrascritti beni = Una custodia di marmo col portellino
d’ottone inargentato; una statua dell’Immacolata Concezione, di S. Francesco d’Assisi, di S. Antonio; un
Crocifisso grande; Un’organo a nove registri, con cassa indorata; due confessionali di noce intagliati; cinque
quadri grandi, uno di S. Paolo, l’altro del rispetto del tempio, il terzo del cieco nato, il quarto la
moltiplicazione dei pani, ed il quinto l’apparizione del Cristo alla Maddalena; due altri quadri uno di S.
Ludovico, e S. Rocco, e l’altro della Porziuncula; due cornocopj di ferro con lampada d’ottone; un lettorino di
legno con due libri di canto; un campanello sopra la porta della Sacristia di circa rotola due; gli altari con
tovaglie di tela galante con pezzillo numero cinque; un guardaroba mobile di legno con un vaso di rame cipro, e
aspersorio per l’acqua benedetta; una croce antica di rame indorato per le processioni; una cassetta di legno
per l’ostia; due orciuoli di cristalla; un parato di drappo molto usato di fondo bianco di lama d’argento, cioè un
piviale, una pianeta, due tonicelli con borse, e velo uniforme; una pianeta con borsa, e velo giallo; una pianeta
verde di Calamo con borsa, e velo; una pianeta nuova di tomasco verde borsa, e velo con trene gialle; una
pianeta di tomasco bianco, borsa, e velo con trene gialle; un piviale nero di tomasco con trene gialle; una
pianeta consimile con borsa, e velo ; un piviale di tomaschetto bianco con trene gialle; un velo umerale bianco
fiorato con trene gialle; Un altro di drappetto violaceo, e verde con trene gialle; due pianete di tomasco una
rossa, e l’altra bianca con trene gialle con borsa, e veli; tre camici di tela sottile; due messali usati; tre cotte
usate con pezzillo; uno stipone con dodeci candelieri grandi di legno usati, e indorati, e ventotto piccoli con
frasche di tela, e carta per gli altari; un ombrello di tomasco rosso usato; una bara di legno per le statue; sei
ostensori di rame cipro per le reliquie, un tumulo di legno indorato pel S. Sepolcro; una custodietta di legno
indorata colorata; una campana grande di circa cantaja otto col suo battaglio, e due altre campane una di circa
un cantajo, e mezzo, e l’altra di circa rotola venti sistenti sul campanile imperfetto; sette botti di legno due più
202
Una “nota degli oggetti preziosi dei Monisteri soppressi”, che andrebbero aggiunti a quelli
indicati, evidenzia come, mentre i due di ‘niun pregio’ (gli ultimi) restarono “per uso della
chiesa”, dal Convento di Limosano furono portati via e sparirono definitivamente i tre, i
primi dell’elenco, di maggior valore.
- Una sfera d’argento col piede di rame cipro dorato, di libre tre di peso e dal valore di 20:40
ducati;
- Un’incensiere d’arg.to con navetta e cocchiarino anche d’argento, di libre due ed otto once
di peso e dal valore di 18:51 ducati;
- Un calice interamente d’argento con patena, di libra una e quattro once di peso e dal valore
di 34:00 ducati;
- Un’altro calice con coppa, e patena d’argento, piede di rame cipro dorato, di libra una e
nove once di peso e dal valore di 6:80 ducati, che “resta per uso della chiesa”;
- Una pisside d’arg.to con piede di rame cipro dorato, di libra una e due once di peso e dal
valore di 6:23 ducati, che “resta per uso della chiesa”.
Alla luce dei documenti riportati, la vita monastica, specie di quella condotta dai frati dentro
del ‘Monistero’, è ora meno difficile da immaginare e, soprattutto, più facile la ricostruzione.
Anche se, e lo si vedrà molto chiaramente nel prosieguo, perché quest’ultima possa risultare
più completa, non si può, in nessun caso ed in nessun modo, prescindere dal dare uno sguardo
all’amministrazione dell’ingente patrimonio monastico.
5.3 - Il patrimonio del Convento
Tanto il ruolo che la specificità della funzione amministrativa, da sempre svolti dal Convento
nell’ambito territoriale dell’intera area riconducibile al corso mediano del Biferno, risultano
più che evidenti dall’elenco, o ‘inventario’, “di tutt’i Titoli, Scritture, Libri di Conti, ed
altre carte relative alla proprietà, e rendita, e agli obblighi, e pesi del Monistero de’
Minori Conventuali di Limosani”, compilato “li 27 Settembre 1809”. Ed emergono da esso,
inoltre, la consistenza della massa relativa all’aggregazione patrimoniale, sia monetaria che
fondiaria, nonché la tipologia dei vari ‘contratti’ posti in essere e, probabilmente, rinnovati
con una periodicità da ritenersi, per la maggior parte dei casi, annuale. Furono rinvenuti:
“1°. Un libro generale di Tutti i Capitali in danaro di fogli scritti N°. 78.
2°. Una platea pubblica di tutti li Beni Stabili, che ha sempre posseduto, e possiede il
detto Monistero, con fogli scritti, ed indice di piante N°. 7, le piante poi sono n. 62.
3°. Un'altra platea anche di piante non autentica, e legate di fogli scritti N°. 82.
grandi con quattro cerchi di ferro per ciascuna, in una delle quali esistono circa ventiquattro barili di vino, e
cinque con cerchi di legno; un tinaccio di legno per lavellare il mosto di circa barili trenta; tre secchioni per
travasar vino; una scala lunga di legno ad uso di fabrica; una cassa grande per conservar farina, e grano,
sistenti nel fundaco, ed un altro per conservar legumi, o altri generi; diciassette travi di pioppo, cioè due di
circa palmi venti l’uno, e quindeci di trenta, o quaranta palmi; tredici pecore di corpo, tre montoni, due agnelle,
un’agnello, quattro capre, tre caprette, e tre capretti date a Sisto Covatta in società nel dì 21. Agosto corrente
anno 1809; sei quadri, due cioè mezzani, e quattro grandi, e sedici ovali, e tondi piccioli con diverse imagini; il
Rifettorio guarnito di legno con undeci panche, e sedili; tre pile di pietra ad uso d’oglio sistenti nel fondaco
dentro al Rifettorio, e in fine tutto il locale del Convento.
Quali effetti stabili, e mobili essi costituiti si obbligano di conservare, ed esibire ad ogni richiesta dello Stato, ad
eccezione del grano, vino legna, ed undeci travi venduti, e il prezzo introitato, come da’ processi verbali formati
dagl’Incaricati a norma delle istruzioni, e essi congiuntamente si sono obbligati.
Fatto, e chiuso oggi sud.o giorno, e anno.
Sindaco Giuseppe Fracassi si obbliga come sopra
+ Segno di croce di Ambrosio d’addario, che si obbliga come sopra, e non ha firmato per non sapere scrivere
Durand, Verificatore
Petrone, Consigliere Distrettuale Incaricato.”.
203
4°. Copia di platea di Beni, e Rendite di detto Convento di fogli scritti N°. 48.
5°. Varie carte volanti relative alle sudette piante, e platee, di carte scritte N. 22.
6°. Un libro di Censi Bollari del detto Convento della Terra di Limosani, e di quella di
S. Angelo, e Fossaceca di fogli scritti N°. 19.
7°. Un libro di Censi Bollari del Convento sudetto in detta Terra di Limosani per l’anno
1809, di carte scritte N. 39.
8°. Un libro di Censi bollari nella Terra di Montagano, e della Terra di Matrice pel 1809
di fogli scritti N°. 20.
9°. Un libro di Censi Bollari del Convento di Limosani nella Terra di Petrella pel 1809
di fogli scritti N°. 3.
10°. Un libro di Censi, ed affitti de’ Territorj del Convento di Limosani con un
notamento de’ Bestiami pecore, e capre di fogli scritti N°. 19.
11°. Diverse scritture, o sieno obblighi de’ particolari Coloni de’ Terreni dal 1790, non
rinnovati, N. 57.”336.
Oltre alla evidente e puntuale precisione usata nella gestione, le cui decisioni erano prese nei
‘consegli’ che si tenevano nel refettorio dai religiosi “congregati al suono di campanello”, va
sottolineata la diffusione del disponibile fondiario non solo nella ‘Terra’ di Limosani, ma
anche in quelle di S. Angelo, di Fossaceca (Fossalto), di Montagano, di Matrice e di Petrella.
E, lo si desume da altra fonte337, di Castropignano ed addirittura di Larino. Questo a riprova
del fatto che il Convento limosanese rappresentava un punto di riferimento notevole per
l’economia dell’intero ambito territoriale dell’area del medio Biferno. E non solo, in quanto
con atto del 22 Agosto 1860 (v. ASC) “i Reverendi Padri Conventuali di Limosano Padre
Maestro Giuseppe Borsella fu Luigi, e Padre Venanzio Fracassi fu Pasquale, componenti
l’attuale famiglia del Convento de’ Minori Conventuali di Limosano… dichiarano che la
Religiosa Comunità da loro rappresentata ha delle rendite ne’ Comuni di Apice, Bonito,
Montefusco, Mirabella e Grottaminarda, in Provincia di Principato Ultra… (e, per
tutelare i loro interessi) istituiscono Procuratore ad lites…”. Anche se (v. nota 4) sembra che
assegnazioni, in tal senso e con una ricostituzione del patrimonio diversa da quello posseduto
prima della soppressione, avvennero al momento della riapertura del 1821.
Riguardo alla tipologia dei contratti, l’ “introito” del corrispettivo, oltre che per canoni di
‘censo bollare’ o di ‘affitto’, era relativo a: ‘spese di metenda’, ‘capitale’, ‘prezzo residuale
di lana’, ‘dichiarazione d’affitto’, ‘polizza bancale (o anche ‘bancala’)’ e ‘albarano’.
Il quantitativo da incassare, ma il documento, essendo del 1810338, probabilmente riporta una
situazione in cui è possibile si fossero già verificate delle sensibili variazioni rispetto alla
reale consistenza degli anni precedenti, dai 376 debitori (dal n. 317 al n. 692 dello “Stato
generale di tutte le reste dei Monasteri soppressi… giusta i bastarduoli di ciascun
Monistero”) era così ripartito:
Montante (anno corrente)
Arretrato
TOTALE
DERRATE DI PRODOTTI CONTANTE
Tomoli - quarti - misure
Ducati - grani
148 - 2 - 2 e 1/2
230 - 49.3
20 - 2 - 2 e 1/2
272 - 06.3
169 - 1 - 1
502 - 55.5
La tabella evidenzia come la gestione amministrativa del circolante monetario fosse diventata
preponderante, e non poco, rispetto a quella del patrimonio fondiario. Risulta ciò ancor più
336
V. nota 57.
ASC, Fondo Monasteri soppressi. B. 3, f. 11.
338
ASC, Fondo Monasteri soppressi. B. 3, f. 11.
337
204
evidente laddove si fa un’analisi, pur affrettata e necessariamente veloce, de “gli stati n.i 1 e
2 de’ beni stabili, mutui, capitali del Monistero soppresso de’ Minori Conventuali di
Limosani”, che “li 2 Decembre 1809” il “Direttore della Registratura, e de’ Demani”,
insieme “colle seguenti carte, cioè sette inventarj separati, una dichiarazione de’ Religiosi
collo stato di essi, e finalm.e uno stato di consegna” (che sono state già riportate),
trasmetteva (‘complicava’) “al Sig.r Intendente della Provincia (di Molise)”339.
Dallo “stato n. 1°”, o “Stato de’ beni stabili…”, risultavano 76 partite, di cui, oltre alla n. 1
(Locale del Monistero), alla n. 74 (fondaco e Casa a Limosani) ed alla n. 75 (Casa a
Limosani), ben 73 riguardavano ‘pezzi’ di “Territorio” e di alcune vigne, tutte nell’agro di
Limosano, per una estensione complessiva di ‘tomoli’ 315:00:00. Di esse, eccettuata una
“Vigna alle Macchie” estesa ‘tomoli’ 3:1:2, che ancora “si coltiva da’ Monaci”, le restanti
72 partite, delle quali tutte il Convento era “padrone assoluto”, si tenevano in fitto; e la
scadenza del pagamento del relativo canone, che ammontava a ‘tomoli’ 104:3:1 di grano, era
fissata per tutte ad agosto.
Una considerazione a parte andrebbe fatta sulla estensione complessiva dell’intero
patrimonio terriero. Difatti, contrariamente al dato già riportato, le operazioni di ‘verifica’ e
di ‘misura’, svolte “li quattro del mese di Xbre dell’anno mille ottocento tredeci in Limosani”
e, pertanto, dopo ben quattro anni, determinarono una superficie totale di ‘tomoli’ 536:2:0 e
2/3, di cui nell’agro di S. Angelo ‘tomoli’ 20:0:0340.
339
ASC, Fondo Monasteri soppressi. B. 9, f. 67.
ASC, Fondo Monasteri soppressi. B. 12. Il documento, interessante per le descrizioni sul posizionamento
delle diverse ‘proprietà’ e per possibili confronti con le risultanze del Catasto Onciario, riporta che:
“Oggi che sono li quattro del mese di Xbre dell’anno 1813, mille ottocento tredeci in Limosani.
In esecuzione dell’invito fattomi in data de’ 25 dello scorso prossimo 9bre dal Sig. Michelangelo Cancellario
Notajo Certificatore del Distretto di Campobasso, io Fabrizio Fazio Agrimensore residente in d.a centrale,…,
mi sono recato sopra luogo di varie proprietà demaniali, provenienti dagl’ex Conventuali di Limosani, site
in diverse contrade nel tenimento del med.o Comune; e con l’assitenza, presenza, e intervento del nominato
Sig.r Notajo Certificatore, e degl’indicatori Mattia Colavecchia, e Roberto Gravina proprietarj
campagnuoli dell’anzidetto Comune di Limosani, ho proceduto con tutta esattezza secondo le regole dell’arte
alla misura delle suddette proprietà col passo di palmi sette 7, e col divisore di passi settecento ottanta
quattro 784, giusta il costume del paese. Quale misura è risultata nel modo che siegue.
1) La proprietà a Montemarcone posta rimpetto al mezzo giorno parte seminatoria, parte incolta, pietrosa, e
parte lamosa dell’estensione di tomoli duecento trenta, e misure due giusta la pianta al n. 1
230.0.2
Si noti che della sopra indicata proprietà vi sono circa tomoli cinquanta lamoso, e circa venti d’incolto, e
petroso.
2) Il territorio nel luogo detto Tufilli, e Colle del Fico posto al mezzo giorno di superficie scoscesa parte
seminatorio, parte lamoso, e parte incolto con circa mezzo tomolo di vigna, e circa tomoli due di territorio
boscoso consistente in querce di mezzana grossezza, dell’estensione tutta l’indicata proprietà di tomoli
trentaquattro due quarti, e una misura, de’ quali circa tomoli dodeci sono lamosi, e tomoli cinque sono incolti, …
34.2.1
Nella sud.a proprietà ci è una masseria a fabbrica.
3) Il territorio a Coste Valletta che guarda al mezzo giorno di superficie falso piano di natura seminabile sparso
di alquante querciuole, dell’estensione di tomoli quattro, e due misure, de’ quali tomolo uno circa è incolto,
4.0.2
4) La proprietà alla contrada detta Macchia Porrazzi consistente in una vigna con nove piedi di peri, e meli, e
con altri cinque piedi di ulive di mezzana grandezza, dell’estensione di tomoli due quarti due, e misure due, con
ispiega che la sudetta proprietà è posta al mezzo giorno, di superficie piano inclinato, e manca molto di coltura,
2.2.2
5) Il territorio seminatorio nel luogo detto la Foresta, che guarda al mezzo dì, di superficie piano inclinato
dell’estensione di tomoli…
4.1.0
6) La proprietà nella contrada chiamata li Monti, che guarda al mezzo dì, di superficie piano inclinato,
dell’estensione di tomoli…
14.0.3
7) Il territorio seminativo alla contrada detta Pozzo Martino guardando il mezzo giorno di superficie falso
piano di natura poco fertile, e dell’estensione di tomoli…
340
205
Dallo “stato n. 2°”, o “Stato de’ capitali quandocumque, mutui, canoni, censi, ed altre
annualità di spettanza del Monistero soppresso de’ Minori Conventuali di Limosani…”,
invece, ne viene che il numero totale dei ‘partitari’ ammonta a 418, dei quali 108 sono per
“Censito” e ben 310 per “Capitale”. Mentre i “Censi” si pagavano, fatta salva qualche
rarissima eccezione, sempre ad agosto, la restituzione del “Capitale” poteva avvenire in ogni
periodo dell’anno, anche se si deve registrare una certa preponderanza per il mese di agosto e,
cioè, all’epoca del ‘ricolto’. Occorre aggiungere che il ‘censo’ era, sempre ed in ogni caso,
riferito a beni fondiari (terreni e case).
Ma la notizia più importante, potendo consentire confronti quanto mai utili, riguarda il fatto
che il “Capitale” dato a mutuo, ad un tasso mai inferiore al 5%, ammonta a 5872,25 ducati.
1.3.2
8) Il territorio a S. Perillo, o sia Peschio Mastrantuono, il quale guarda il Levante di superficie scoscesa
dell’estensione di tomoli sei, un quarto, e tre misure, de’ quali un tomolo e mezzo è incolto, e lamoso. Nel detto
fondo vi è un albero di ulivo, e quattro piedi di frutta. Si vegga la pianta numero 8
6.1.3
9) Il territorio alla contrada chiamata Casa Paradiso, o Pagliaro Paradiso, o sia Ischia Majura di superficie
scoscesa dirimpetto al mezzo giorno di natura arenacea, e cretosa dell’estensione di tomoli
7.0.0
10) La proprietà al luogo detto Fonte Falcione, o sia Sconcio che riguarda il Ponente di superficie scoscesa, e
ripida dell’estensione di tomoli tredeci, tre quarti, e tre misure, de’ quali ve ne ha tomoli circa sei d’incolto, e ‘l
resto seminatorio poco fertile, come si osserva dalla pianta num. 10
13.3.3
11) Il territorio al luogo detto Colle Lorenzo rimpetto il levante, di superficie scoscesa, dell’estensione di
tomoli tre e misure due, de’ quali la metà è vigna con diciotto piedi d’olivo, e il resto seminatorio,…
3.0.2
12) La proprietà al luogo detto Uomo morto, serra di Castropignano, o pure il Carpine che guarda il
ponente, di superficie scoscesa, di tomoli quarantadue, e due quarti, de’ quali circa tomoli dodeci sono lamosi,
incolti, petrosi, ed arenacei e ‘l resto è coltivabile, ma di poca feracità…
42.2.0
13) Il territorio posto al luogo detto Coste del Lago che guarda il mezzo dì, di superficie scoscesa,
dell’estensione di tomoli due, e due terzi di misura, li quali sono tutti lamosi,…
2.0.2/3
14) La proprietà al Peschio della Volpe la quale guarda il mezzo giorno di superficie erta, dell’estensione di
tomoli sei, e tre quarti, de quali la maggior parte è inculta e pietrosa, essendovi nel mezzo di detto fondo un gran
masso di pietra viva, come si vede dalla pianta num. 14
6.3.0
15) Il territorio al luogo detto Lame rosse, o morge del gesso, che guarda il mezzo dì, di superficie scoscesa ed
erta, dell’estensione di tomoli ventidue, due quarti, e una misura, de’ quali circa tomoli cinque, e mezzo sono
lamosi, e incolti; il resto è seminatorio poco fertile,…
22.2.1
16) La proprietà al luogo detto Colle del ruojo rimpetto al Levante, di superficie falso piano, dell’estensione di
tomoli…, di territorio seminabile alquanto fertile, con quattro querciuole,…
5.2.0
17) La proprietà al luogo detto il Monistero, perché contigua al medesimo, di superficie inclinata, che guarda il
mezzo dì, dell’estensione di tomoli…, di territorio tutto seminabile, e molto fertile, contenente quarantasei piedi
di olivi di giusta grandezza,…
3.1.1 e 1/3
18) La proprietà al luogo detto Fonte dell’olmo rimpetto al mezzo dì, di superficie falso piano, dell’estensione
di tomoli…, di natura seminabile, e fertile, contenente dieci piedi grandi di querce: …
2.3.1 e 1/3
19) La proprietà al luogo detto Colle franco, che guarda al levante di superficie piana, dell’estensione di
tomoli…, con quattro querciuole, di natura alquanto fertile, e seminabile
2.2.2 e 1/3
20) Il territorio alle Lame di S. Pietro, che guarda il mezzo dì, di superficie scoscesa, ed erta, dell’estensione di
tomoli…, de’ quali tomoli circa venti sono lamosi, incolti, e pietrosi, e ‘l resto seminatorio, con circa un tomolo
di vigna nuova…
75.2.1
21) Il territorio al luogo detto sotto al Peschio Martino, che guarda il mezzo dì, di superficie scoscesa,
dell’estensione di tomoli…, de’ quali tomoli due sono lamosi, incolti, e pietrosi…
10.3.3
22) La proprietà posta al luogo detto Colle S. Andrea, o sia termine, guardante il levante, di superficie
inclinata, dell’estensione di tomoli…, alquanto fertile…
4.2.0
206
Il raffronto tra i dati aggregati complessivi (quello riguardante il solo fondiario di S. Angelo,
che, in netta controtendenza, passando nel valore assoluto dai ‘tomoli’ 12:0:0 del 1743 ai
‘tomoli’ 20:0:0 della ‘verifica’ del 1813, fa registrare un incremento del +66,67 in termini di
%, deve essere ritenuto, in quanto modesto, di scarsa significatività) sia del fondiario che del
disponibile monetario riferibili all’agro di Limosano, mostra, rispetto alle risultanze del
“Catasto Onciario” del 1743, quel mutamento di direzione di rilevanza enorme nella gestione
del patrimonio conventuale, cui più sopra si dava cenno.
Nel dettaglio si ha che, mentre per la disponibilità fondiaria, passando dai ‘tomoli’ 921:2:0
del 1743 ai ‘tomoli’ 516:2:0 del 1813, deve registrarsi un decremento di –43,98 in termini
percentuali, per quella monetaria, che a sua volta passa dai ‘ducati’ 2507,50 del 1743 ai
‘ducati’ 5872,25 del 1813, la variazione da registrare evidenzia una crescita, significativa, di
+134,19 nel valore percentuale.
Altro, poi, non resta da aggiungere se non che, relativamente ai valori assoluti, essi risultano
di certo elevati e, perciò, assai indicativi della funzione fortemente condizionante sull’intera
economia della zona esercitata dal ‘Monistero’ limosanese. E non solo da esso, ma anche
dalla “Grancia” dei Celestini, se è vero che dallo “stato de’ Beni demaniali da mettersi in
affitto conforme al R.D. del 9 ottobre 1809”341, che reca la data 20 febbraio 1810, risulta,
sempre relativamente all’agro di Limosano, per il primo una disponibilità di numerose partite
di terreni per ‘tomoli’ 283:1:2 e per la seconda di ‘tomoli’ 225:0:0, dato che, ed è facilmente
intuibile, non la discosta molto da quello.
Si aggiunge solo che, circa i sistemi di ‘incasso’, intorno al 1750 “insieme ad altri ‘esattori
dell’altri Luoghi Pij’, anche Fra’ Donato di Tata, limosanese, ‘nel tempo della scogna va per
le loro (= dei fittuari e dei censuari) Aie esigendo li detti terratici’”342.
A questo punto, ad ognuno la sua conclusione. Pure se sembrano proprio fuori da ogni
discussione tanto il ruolo di ‘banca’ svolto dal Convento di Limosano che quello di soggetto
economico esercitato da sempre, direttamente o, una volta soppresso, indirettamente, anche
dal Monastero dei Celestini. Magari, secondo i più puri principi della concorrenza.
23) Il territorio alla contrada di Colle Pizzuto o S. Croce posto rimpetto al Ponente di superficie scoscesa,
dell’estensione di tomoli…, parte seminatorio, e parte incolto, pietroso, ed arenaceo,…
6.3.3
24) Il territorio al luogo detto Lago majuro, che guarda il levante, di superficie erta, e scoscesa, della estens.e di
tomoli…, tutto incolto, e arenacea…
5.1.0
25) La proprietà al luogo detto Crocevecchia, che guarda il mezzo dì, di superficie inclinata, dell’estensione di
tomoli…, di terreno seminabile, e di buona qualità,…
2.2.2 e 1/3
Sieguono le proprietà nel tenim.o di S. Angelo Limosani, apparteneti agli ex Conventuali di Limosani (nota:
trattasi di 4 ‘territori’, eccettuata una ‘proprietà’, estesi rispettivamente tomoli 7.2.0, 3.0.2, 4.3.2 e
4.3.0 e
2/3).
TOTALE sono tomoli
536.2.0 e 2/3
Terminata l’operazione della misura, mi sono in seguito occupato della formazione delle piante delle rispettive
proprietà, come qui appresso vengono delineate. Fatto, e scritto in Limosani il presente verbale di perizia il
giorno, mese, ed anno di sopra enunciati, sottoscritto da me sud.o agrimensore, e da' su riferiti indicatori
F.to:
Fabrizio Fazio, Agrimensore
Ruberto Gravina, Indicatore
+ S. di C. di Mattia Colavecchia, Indicatore.
Ben vero, dalle tomola sud.e 536.2.0 e 2/3 detrattene tomoli ottantanove di lamoso, e settantacinque, e tre quarti
circa d’incolto, e sterile, resterebbero netti tomoli
371.3.0 e 2/3
F.to:
Fabrizio Fazio”
Il numero, che precede la descrizione delle singole partite, corrisponde a quello della rispettive piante,
conservate in ASC. Risulta ovvio che alle 4 “nel tenim.o di S. Angelo” corrispondono i disegni contrassegnati
dal numero 26 al 29.
341
ASC, Fondo Monasteri soppressi. B. 3, f. 10.
342
BOZZA F., op. cit., pag. 271.
207
Ma se i dati, che si sono potuti registrare, debbono essere letti ed interpretati (e perché non
farlo?) come profondamente indicativi di un cambiamento di direzione sia nel metodo della
conduzione amministrativa che nell’attenzione verso l’oggetto della gestione patrimoniale, è
qui opportuna qualche essenziale considerazione ed alcune domande.
Va innanzitutto annotato che, in certo qual modo, il Convento, fatti salvi gli opportuni
aggiustamenti derivanti dalle mutate condizioni storico-sociali, ha mantenuto nel tempo
lungo di secoli e, se possibile, ampliato, relativamente allo spazio, i compiti che appartennero
allo specifico del monachesimo benedettino. Quasi che il concetto di ‘curtis’ si sia evoluto e
sia stato fatto proprio anche dagli ordini ‘mendicanti’.
Si accennava al fatto che la gestione amministrativa del circolante monetario era diventata
preminente rispetto a quella del patrimonio fondiario. Ma, tale inversione di rotta, di tanto
evidente di quanto fortemente condizionante della società limosanese, quando era iniziata? A
quali fattori storici era dovuta? E, soprattutto, vi parteciparono anche le gerarchie più elevate
dell’Ordine o era frutto di decisioni prese ‘in loco’?
Sembra probabile che essa non debba essere affatto circoscritta al solo sessantacinquennio
che va dalla data del ‘Catasto Onciario’ (1743) a quella della soppressione del 1809, che
sono le date per le quali esistono situazioni di una certa completezza.
Il dettaglio, da ritenersi sufficientemente attendibile per le eventuali ricostruzioni ed analisi,
della reale ed effettiva consistenza del patrimonio del Convento di Limosano è possibile
proporlo, con l’inserimento di qualche nota, dalle descrizioni, essenziali ma interessanti per la
toponomastica delle località e delle contrade, del ‘Catasto Onciario’ del 1743.
“Il Convento di S. Francesco de minori Conventuali di questa Terra, sito nel luogo d.o lo
Piano di S. Francesco di stanze sedeci nel dormitorio, stanze otto nel Chiostro, oltre la
cucina, e Reffettorio, e la Chiesa fuora le mura della Terra conf(in).a avanti e da due lati
(con) strada publica, dietro la Vigna, e Giardino di d.o Convento343.
Sono in d.o Convento di Famiglia344:
- Fra’ Francesco d’Amico, Sacerdote
an(ni) 65
- Fra’ Filippo Cocucci Maestro e Guardiano della Città d’Agnone
an(ni) 31
- Fra’ Carlo de Angelis Sacerdote della Serra Capriola
an(ni) 41
- Fra’ Celestino Griffi Baccelliere Sacerdote di Goglionisi
an(ni) 26
- Fra’ Giuseppe Filacchione Baccelliere Sacerdote di Salcito
an(ni) 25
- Fra’ Serafino Cerio Suddiacono Studente di Campobasso
an(ni) 21
- Fra’ Antonio Pertosa Clerico in minoribus Studente di S. Nicandro
an(ni) 24
- Fra’ Antonio di Tata Laico Professo di questa Terra
an(ni) 53
- Fra’ Pietro Ferraro Laico Professo di questa Terra
an(ni) 42
- Fra’ Giovanni Covatta Laico Professo di questa Terra
an(ni) 41
Possiede il d.o Convento li seguenti beni:
- Il Fondo d’una Casa di membri due soprano, e sottano nella piazza di D. Andrea, conf.a
con li beni di Francesco Gio:cola, Donato Bonadie, strada publica, ed altri, e ne paga d.o
Donato Bonadie ogn’anno grana diece.
343
Alquanto diversa, quanto alla consistenza, è la descrizione dello “Stato generale de’ Locali appartenenti ai
Luoghi pii soppressi, oggi al Regio Demanio, che si propongono agli usi designati col Regolamento approvato
da S.M. ai 16 luglio dello scorso anno 1812” (v. ASC, Monasteri soppressi, B. 1, f. 1), che, con la data del 20
Febbraio 1813, riporta “Limosano, Mon.o de’ Conventuali soppressi sotto il titolo di S. Francesco. E’ fissato nel
borgo dell’abitato di Limosani. Fu danneggiato alquanto dal tremuoto del 1805. Le sue fabbriche, menocché
quelle che han sofferto sono in buono stato. Il Chiostro contiene 13 stanze servibili a diversi usi. Il piano
superiore ne contiene circa 20. (…).”.
344
La presenza di un “Suddiacono Studente” e di un “Clerico in minoribus Studente” nella ‘famiglia’
religiosa dimostra l’esistenza di uno ‘studentato’ di Teologia nel Convento di Limosano.
208
- Un’altro fondo d’una Casa di membri tré alla piazza delle Botteghe, conf.a con li beni di
Franc.o Perrocco, d’Ant.o d’Alesio Marc’Antonio, piazza publica, ed altri, si tiene dà Cosimo
Frangiosa, e ne corrisponde ogn’anno grana venticinque.
- La metà d’una Casa di membri sei indivisi, nella piazza delle Lisci, conf.a col fundico
della Cap.a del SS.mo Sagramento, con Niccolò, e Donato Ricciuto, ed altri, si tiene
dall’Eredi di Domenico Sabetta, e ne paga ogn’anno carlini quindeci.
- Un’altra Casa di membri tré nel luogo la piazza di D. Andrea, conf.a con l’Erede del
q.m Felice Gio:cola con Cosimo Francesco Gravino, piazza publica, ed altri, si tiene da
Filippo, e Niccolò Minicuccio, e ne pagano ogn’anno carlini diecinove.
- Tré fundici attaccati a d.a Chiesa del Convento, si tendono affittati per uso de
Magazzini dal Mag.co Erario della Camera Marchesale, da Cosimo Pasciarella, ed altri
Cittadini per carlini trenta.
- Un’altra Casa d’una stanza nel piano di d.o Convento, conf.a con l’Erede di Libero, e
Gio: Amoruso, ed altri; fu Chiesa di S. Rocco. Discusso è dell’Unità come apparisce dal
decreto di S. Visita à fol. 25 à quattro di Luglio 1693.
- Un’altro fondo di Casa alla piazza delli Focini, conf.a beni del q.m Bartolomeo
Corvinelli, ed altri, si tiene da N(ota).r Carlo Corvinelli, e ne paga annui carlini tré.
- Una Grotta sotto le Ripe della Casa di Raffaele Gio:Cola, in faccia occidente, non
s’affitta, sta in demanio.
- Un Casalino sotto la Casa di Cosimo di Venere, conf.a con il Casalino di Carlo Fattorino,
ed altri, è stato, e stà in demanio.
- La metà d’una Casa di membri due, nel luogo d.o Li Tufi, confina con Giuseppe d’Orzo,
ed altri, si tiene dà Michele Amoruso, e ne paga carlini dieciotto.
- Un’Orto di misure una allo Codacchio, conf.a con la Chiesa di S. Maria Maggiore, ed
altri, stava, e stà in demanio.
- Un’altro Orto di misure quattro, sotto le ripe, conf.a con beni dell’Eredi del q.m D.
Gaetano Covatta, ed altri, affittato à Bartolomeo Frosolone, ne paga carlini due.
- Un’altro Orto di una misura, e passi sette, nel luogo sotto lo Baglio, confina con
Giacomo Sabetta, ed altri, e n’ha fatto casa nuova Innocenzio Angelilli, ne paga annui
grana venticinque.
- Una vigna di trantali diecessette, con un’altro tt.o di Territorio per uso d’orto, con
tredeci piedi, e dieci piantoni d’olive, appoggiato a d.o Convento, conf.a d.o Convento,
Strade publiche, ed altri.
- Un’altra Vigna di trentali tré, con tomula cinque, e quarti tré di Territorio intorno,
con ventitré querce, cinque bisceglie, e tré piedi d’olive, nel luogo d.o S. Illuminata, e Colle
Capogrosso, conf.a strada publica, beni di Gio: Batta Longo, ed altri.
- Un’altra Vigna diruta di tt.a uno, e misure sei, nel luogo d.o Fonte Vernavera, conf.a
beni dell'’nità, Donato Gio:Cola, ed altri.
- Una Vigna di trentali quattro, ed un quarto, con tt.a due e mezzo di Territorio intorno,
con otto piedi d’olive, e Querce sei piedi, nel luogo d.o Li Patrisi, conf.a beni di S. Maria
della Libera, beni dell’Unità, ed altri.
- Un’altra Vigna di trantali tré, e mezzo con quindeci piedi e trenta pranzoni d’olive, nel
luogo d’o Vallone Bruno, conf.to da Benedetto Marchetta dopo il Concordato, conf.a beni
di Donato Marchetta, beni dell’Unità, ed altri.
- Un Territorio di tomula quattro, nel luogo d.o Colle Capogrosso, dato a cenzo à
Giuseppe d’Orzo, conf.a beni di d.o Convento, strada vicinale, ed altri, e ne paga annui a d.o
Convento carlini sette, e mezzo.
209
- Un’altro Territorio di tomuli sei, e mezzo cenzuato per uso di Vigna à Domenico
Sebastiano, Martino di Tata, e F.lli, nel luogo d.o pozzo del Chiajo, e fonte dell’olmo,
conf.a con li beni del fù D. Gaetano Covatta, ed altri, e ne pagano di canone annui carlini 16.
- Un’altro Territorio di tomuli due, nel luogo d.o lo passo della Pincera, seù Pagliarone,
cenzuato à Donato Frangiosa, conf.a beni dell’Unità, ed altri, e ne corrisponde di canone
annui carlini nove.
- Un’altro Territorio di tomuli quindeci in d.o luogo cenzuato per vigna à Pietro Covatta,
Gennaro Bagnoli, Clemente Donatelli, Domenico Matteo, Tomaso Santone, ed altri, conf.a
strada publica, beni dell’Unità, ed altri, e ne corrispondono il canone annui carlini 38.
- Un’altro Territorio di tomula cinque in d.o luogo con cinque piedi d’olive, cenzuato à
Donato Frangiosa, conf.a beni di S. Maria Mag.re, beni di d.o Convento, ed altri, e ne
corrisponde di canone annui carlini sei.
- Un’altro Territorio di tt.a due cenzuato per vigna à Domenico di Stefano Fracasso, nel
luogo d.o Colle Lorenzo con cinque piedi d’olive, conf.a beni d’esso Convento, Niccolò
Piciucco, strada publica, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli sei, nel luogo d.o primo Colle, cenzuato per Vigna à
Donato ed Ant.o Luciano, e Silvestro Marcantonio, conf.a beni di S. Maria Maggiore, strada
publica, ed altri, ne corrispondono di canone annui carlini dodeci.
- Un’altro Territorio di tomula due nel luogo d.o S. Silvestro, ed alle castagne cenzuato
per Vigna à Gio: Batta, ed Angelo Granitto, conf.a con Cosimo Corvinelli, beni delli
Granitti, ed altri, ne corrispondono di canone annui carlini cinque.
- Un Territorio di tomula trentadue, nel luogo d.o Li Tufilli, ciò è tomula sei cenzuate per
vigna à Niccolò di Paolo Fracasso, Pietro Santone ed altri, conf.a beni di d.o Convento, beni
dell’Unità, beni di S. Maria della Libera, ed altri, ne corrispondono di canone carlini sedeci.
L’altri tomuli ventisei stanno a Terraggio, si porta nella sua rubrica.
- Un Terriotrio di tomuli ventitré, nel luogo d.o La Foresta, ciò è tomuli sette cenzuati per
Vigna a Franc.o Ricciuto a q,m Dom.co di Tata, e tt.a sedeci stanno a Terratico, e si portano
nella sua rubrica, conf.a beni dell’Unità, ed altri, ne pagano di canone annui carlini sedeci.
- Un’altro Territorio di tomuli tré nel sud.o luogo cenzuato per vigna a Carlo Fattorino,
conf.a strada publica, beni dell’Unità, ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini cinque.
- Un’altro Territorio di tt.a quattro, e mezzo nel sud.o luogo cenzuato per Vigna à
Donato di Gio: Ricciuto, conf.a beni della Chiesa di S. Stefano, beni dell’Unità, strada
publica, ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini otto.
Che in tutto questi trè corpi sommano tt.a trenta, e mezzo, e l’Inventario antico chiama
tomula ventinove, essendo à discapito dell’Unità tt.a uno, e mezzo.
- Un’altro Territorio di tt.a uno, e misure tré nel luogo d.o S. Janno, e Casa delli porci,
cenzuato per Vigna à Nicolò di Dom.co Busso, conf.a con li beni della Chiesa di S. Stefano,
beni di donato Russo, beni dell’Unità, ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini quattro.
- Un’altro Territorio di tomuli due, e mezzo, nel sud.o luogo, cenzuato per Vigna à
Giuseppe d’Annibale Corvinelli, conf.a beni di d.o Corvinelli, beni di Cosimo Piciucco,
strada publica. Ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini sei.
- Un’altro Territorio di tt.a due, nel luogo d.o S. Janni e Vallone bruno cenzuato per
vigne dalli q.m Pietro Piciucco e Libero, a Gio: Amoroso li loro Eredi, conf.a con li beni
della cappella del SS.mo, beni di S. Stefano, ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini
5.
- Un’altro Territorio di tt-a quattro, nel luogo d.o Oliveri, e piana del Vicario cenzuato
la metà per Vigna à Donato d’Addario, e l’altra metà à Terratico, che si addurrà nella sua
rubrica, conf.a con Diego Longo, strada publica, ed altri, ne corrisponde di canone annui
carlini otto.
210
- Un’altro Territorio di tomula due nel luogo d.o S. Maria della Libera, ed avanti il
Convento, cenzuato a Dom.co di Francesco del Gobbo, conf.a strada publica, beni di D.
Domenico di Tata, ed altri, ne corrisponde di canone annui carlini ventiquattro.
- Un’altro Territorio di tomula diecisette, de quali l’Inventario345 li porta in tré corpi nel
luogo d.o Colle Lorenzo, conf.a beni della Chiesa di S. Maria Maggiore, ed altri, de quali
tomula quattro cenzuati per vigna à Niccolò Piciucco, e ne corrisponde di canone annui
carlini sette. L’altri tomula tredeci stanno à Terratico, e si porta nella sua rubrica.
Territorij dati a terratico
- Un Territorio di tomuli tré, nel luogo d.o S. Maria della libera, e di la della croce
Vecchia, conf.a beni della Cap.a di S. Gio:, beni dell’Unità, strada publica, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli cinque, nel sud.o Luogo, che si dice anco Casa Paradiso,
conf.a strada publica, Vallone, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli otto, nel luogo d.o Vallefieno, conf.a con li beni della
Chiesa di S. stefano, strada publica e beni dell’Unità, con dieci querce e dieci bisceglie.
- Un’altro Territorio di tt.a ventuno, nel luogo d.o Colle franco con settantadue querce,
però l’Inventario di d.o Convento porta tt.a dodeci, conf.a strada publica, beni di S. Maria
Maggiore, beni della Chiesa di S. Stefano, e beni della Commenda di Malta.
- Un’altro Territ.o di tt.a quattro con una quercia ed otto bisceglie, nel luogo d.o La
piana di S. Janno, e fonte della Chiusa, conf.a con beni d’Ant.o Greco, strada publica, e
beni di D. Dom.co Covatta.
- Un’altro Territorio di tt.a sette, nel luogo d.o Lo pozzo del Chiajo, e fonte della
Chiusa, conf.a con beni della Cap.a del SS.mo Sagramento, beni di S. Stefano, Grattavone ed
altri.
- Un’altro Territorio di tomuli otto, nel luogo d.o La Colagna con una querce, conf.a beni
della Chiesa di S. Stefano, beni dell’Unità, beni della Cap.a del SS.mo Sagramento, strada
publica.
- Un’altro Territ.o di tt.a otto nel luogo d.o li Spinilli, conf.a beni di S. Maria Mag.re, beni
dell’Unità, ed altri.
- Un’altro Territ.o di tt.a quattro nel luogo d.o S. Ant(oni).o, conf.a beni di S. Maria
Mag.re, beni dell’Unità, ed altri.
- Un’altro Territ.o di tomuli otto, nel luogo d.o Aqua salemme e S. Lonardo, con dieci
querce, conf.a strada publica, strada vicinale, vallone, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a sei nel luogo d.o L’Amandole delle Macchie, conf.a beni della
Chiesa di S. Stefano, beni di S. Maria Mag.re, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli cinque, e mezzo nel luogo d.o Li Patrisi, e Coste vailette,
conf.a Strada publica, beni della camera Marchesale, ed altri.
- Un’altro Territ.o di tt.a ventisei, restati dalli tomuli trentadue, nel luogo d.o Li tufilli,
come dalla rubrica delli Territorij a cenzo…, conf.a con La Selvitella dell’Unità, strada
publica, beni di S. Maria della Libera, ed altri,…, con venti querce e molte bisceglie.
- Un’altro Territorio di tomuli cinque nel luogo d.o Laco Majuro, conf.a beni della Terra
di S. Angelo, beni dell’Unità, beni di S. Maria della Libera, ed altri con due querce e trenta
bisceglie, che ancora non producono frutti.
- Un’altro Territorio di tomuli dieci nel luogo d.o Colle della Fica conf.a beni dell’Unità
della Terra di S. Angelo, beni della Chiesa di S. Stefano, e beni di q.sta Unità.
345
Difficile individuare a quale ‘Inventario’ ci si riferisce. Sembra, tuttavia, assai probabile trattarsi di
quell’“Inventario de beni dell’insigne convento de Minori Conventuali di San Francesco di q.sta sud.a
antica Città de li=Musani, formato dalla Corte locale d’ordine Regio l’anno 1724”, al quale fa riferimento il
Notaio Amoroso Francescantonio nella citata “Captio possessionis” dell’11 Ottobre 1753.
211
- Un’altro Territorio di tt.a quattro nel luogo d.o Lo Spiracolo e S. Andrea, conf.a strada
publica, beni della Cap.a del SS.mo ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli sedeci, restati dalli tt.a ventitré nel luogo d.o La Foresta
cenzuato per vigne come dalla rubrica delli Territorij a cenzo…, conf.a con… beni di
Ascanio Longo, beni dell’Unità, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a tre nella Contrada di S. Maria della Libera, e Colle Ursino,
conf.a strada publica, beni dell’Unità. Non stà all’Inventario.
- Un’altro Territorio di tt.a due restati dal Territ.o di tt.a quattro, nel luogo La piana del
Vicario, e rugheri, che tiene a cenzo per Vigna Donato d’Addario, conf.a con d.a Vigna, d.o
(d)’Addario, strada publica, beni dell’Unità, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a tredeci resta delli tt.a diecisette di Territorio a Colle Lorenzo,
come dalla rubrica del Territorio a cenzo, che si tiene da Niccolò Piciucco, conf.a beni di S.
Maria Mag.re, beni dell’Ospedale, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli sei, e mezzo con quaranta querce nel luogo d.o La Foresta,
conf.a beni di S. Stefano, beni di S. Maria della Libera, beni dell’Unità, strada publica, ed
altri. Nel Catasto di Catarino di Luca, che lo lasciò dopo il Concordato sono tt.a sei.
- Un’altro Territ.o di tomula uno, nel luogo d.o La Casa delli porci, conf.a strada publica,
beni di S. Maria Mag.re, ed altri con due piedi d’olive. Nel Catasto di Catarina di Luca. Si ha
lasciato dopo il Concordato. Sta mezzo tt.o.
- Un’altro Territ.o di tt.a uno nel luogo d.o S. Maria della Libera, e sotto La Vignuccia,
conf.a con Giuseppe d’Annibale Corvinelli, strada publica. Lasciato da Catarina di Luca
dopo il Concordato.
- Un Territorio di tomuli trentaquattro, nel luogo detto La Contrada della Vannara, ed
Ischia Majura, e Tufi, confina strada delli Forastieri, strada publica, ed altri. In Inventario
in tré pezzi sono tt.a ventuno.
- Un’altro Territorio di tomuli novanta, e mezzo nel luogo Contrada della Vannara,
Valle Goglielmo, Pagliaro Paradiso, e Morge delle Cese, con ventitré querce, confina beni
dell’Unità, beni di Diego Longo, strada publica, ed altri. Porta l’Inventario in più partite tt.a
ottantasei, e mezzo.
- Un’altro Territorio di tomuli quattro in d.a Contrada, che dice anche Peschio
Tomasso, appoggiato al sudetto Territorio, confina beni dell’Università, ed altri.
- Un’altro Territ.o di tomuli quindeci, nel luogo d.o La Contrada della Vannara, e
Peschio Martino, confina intorno beni dell’Unità. L’Inventario porta in due partite tt.a
undeci.
- Un’altro Territorio di tomuli sessantadue nella sud.a Contrada, e prorpio alle Lame di
S. Pietro, confina beni dell’Università, strade publiche, ed altri. L’Inventario porta tt.a venti
in due partite.
Territorij dentro la Difenza della Sala.
- Un Terriotrio di tomuli sei, nel luogo d.o La sala, e Peschio della Volpe confina beni
della Chiesa di S. Stefano, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a quarantadue nel luogo d.o Uomo morto, e serra di
Castropignano, confina beni di S. Maria Mag.re, beni dell’Unità della Terra di Fossaceca,
strada publica, ed altri.
- Un’altro Territ.o di tt.a ventitré, nel luogo d.o Lame Rosse, e Morge del Gesso, conf.a
beni della chiesa di S. Stefano, e beni della Camera Marchesale.
- Un’altro Territ.o di tt.a sei à Colle pizzuto, conf.a beni della Terra di Fossaceca, e beni
della Cam.a Marchesale.
- Un’altro Territorio di tomuli quarantadue nel luogo d.o Peschio Corvo, conf.a beni
della Terra di Fossaceca, beni della Camera Marchesale ed altri.
212
- Un’altro Territorio di tt.a dodeci, nel luog d.o Fonte Falcione, e fonte di S. Sconcio,
confina beni dell’Ospedale, beni della Camera Marchesale.
Altri Territorij Demaniali dell’Unità
- Possiede un pezzo di Territorio di tt.a duecento ottantotto con querce, nel luogo d.o
Monte Marconi, conf.a strada publica, beni dell’Unità, Difesa di Cascapera, beni della
Terra di S. Angiolo, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a cinque nel luogo d.o Colle del Rojo, conf.a strada publica,
beni dell’Abbadia di S. Michele, beni dell’Unità, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli quattro con querce, nel luogo d.o Colle di Dio, conf.a
strada publica, beni dell’Unità ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a dodeci, e misure due sterpareto con querce, nel luogo d.o
Dirriporri, conf.a strada publica, beni dell’Abbadia di S. Michele, Grattavone, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.i dieci nel luogo d.o Coste Izzuni e piano delle canne, conf.a
beni della Chiesa di S. Stefano, ed altri.
Altri Territorij nel Tenimento di S. Angiolo Limusani à Terratico
- Un Territorio di tt.i quattro, nel luogo d.o Fonte Falungo, confina con beni di S.
Martino, ed altri.
- Un’altro Territorio di tomuli quattro nel luogo d.o la Fonte di S. Pietro, conf.a con li
beni dell’Unità di Limusani, ed altri.
- Un’altro Territorio di tt.a quattro, nel luogo d.o La cerqua della Difenza, conf.a con
Donato Caserio, ed altri, stà in demanio.
Capitali, animali e varie
Per rendita di più capitali ascendenti in somma di docati due mila cinquecento, e sette, e
carlini cinque, stabilita la rendita docati duecento venticinque, carlini cinque, e grana
due, e mezzo.
Per frutto di capre, e staglio di bovi, stabilita la rendita docati nove, e carlini sette.
Per una vigna diruta dimenticata, nel luogo d.o La Valle, di tomula uno, ed un quarto,
cenzuata à Pietro Greco, conf.a con Donato d’Angelo Greco, Cosimo Frangiosa, ed altri, e
ne corrisponde di canone annui carlini due.
Pesi
- Per riparo, e mantenimento delli Tetti della Chiesa, e del Convento tutto ogn’anno, che
vengono danneggiati da venti impetuosi, ed altro riparo che ricerca tutto il Convento, docati
dieci.
- Per mantenimento, e riparo de Tetti de Fundici e case, come dalla rubrica di quello, carlini
venti.
- Per due cavalli, che servono per la carita di legna, e desazione de Terratici, per orgio, ed
altro bisognevole, ducati trenta.
- Al Garzone, che va con d.i Cavalli trà spese, e salario, docati cinquanta.
- Al Barbiere, docati quattro.
- Al Medico, docati quattro.
- All’Avvocato per le caose del Convento, docati dieci.
- Oglio per la lampada avanti il Santissimo sacramento, docati otto.
- Per cera in tutto l’anno, per la Celebrazione delle Messe basse, e solenne, officij, docati
diciotto.
- Per suppellettili Sagre, e mantenimento d’essi, docati sei.
- Per vestiario à dieci Frati come dalla rubrica d’essi, docati cento.
- Per vitto à med.mi à ragione di un carlino il giorno per ciascheduno, docati
trecentosessanta.
- Oglio per candele à s.i Frati, docati sedeci.
213
- Mantenimento de letti de Frati, docati dieci.
- Per la lavannara, docati sei.
- Al Padre Generale, ed Padre Provinciale per visita Tunica, e mantenimento, docati trenta.
- Messe basse seù piane, numero seicento cinquantanove, secondo la Tassa Beneventana
Sinodale.
- Messe cantate con Anniversarij numero sessantasette.”.
APPENDICE 1
ELENCO DEI PADRI GUARDIANI, SUPERIORI DEL CONVENTO DI LIMOSANO
(con, talvolta, la indicazione della ‘FAMIGLIA’ religiosa) dell’ORDINE DEI FRATI
MINORI CONVENTUALI FINO AL 1809
1582 Frater Paduanus Longhi de Limosano
Frater Bonaventura eiusdem terre
1589 Frater Donatus de Marinaccio, Guardianus
Frater Paduanus Longi, de eadem Terra
1605 R.dus P. Vincentius Covatta Terre Limosani (? Guardiano)
1609 R.dus P. frater Donatus … Guardianus et Prior Venerabilis Monasterij dicte
Terre
1610 R.dus Pater frater Donatus Marinaccio, Guardiano
214
R.dus Pater frater Franciscus Civitatis Vastis Doctor Theologus
Frater Berardinus eiusdem Civitatis
Joannes Christofanus
1615 Rev.do P. Fr. Donato Marinaccio, Guardiano
…
1688 P.re Baccelliere Frà Carlo da Veneafro, Guardiano
Frà Giovanni dà San Giovanni de Rotondi, Sacerdote
Frà Gio:Batta da Limonano, Sacerdote
Frà Miche’Angelo da San Giovanni de Rotondi, Diacono
1689 P.re Frà Bonaventura da Castiglione, Guardiano
P.re Frà Dom(enic).o di Limosano, Sacerdote
Frà Marc’Antonio del Vasto, Laico Professo
1690 P.re Frà Dom(enic).o di Limosano, Guardiano
P.re Frà Gio:Batta di Limosano, Sacerdote
Frà Carlo di Limosano, Terziario
1691 P.re Frà Dom(enic).o di Limosano, Guardiano
P.re Frà Gio:Batta di Limosano, Sacerdote
P.re Frà Donato dà Manfredonia, Sacerdote
Frà Donato di Limosano, Laico Professo
1692 P.re Frà Dom(enic).o dà Limosano, Guardiano
P.re Frà Gio:Batta dà Limosano, Sacerdote
Frà Donato dà Limosano, Laico Professo
Frà Gio:B.a da Castropignano, Chierico Professo
!693
P.re Gios.e del Vasto, Guardiano
P.re Frà Gio:Batta da Limosano, Sacerdote
Frà Donato dà Limosani, Laico Professo
Frat’Adamo dà Guglionise, Chierico Professo
1694 P.re Frà Gios.e del Vasto, Guardiano
P.re Frà Sisto da Civitanova, Sacerdote
Frà Donato dà Limosani, Laico Professo
Frà Franc.o da Lim.o, Professo (è Francesco D’Amico, che ha 17 anni)
1695 Padre frà Carlo dal Castiglione, Guardiano
Padre frà Giovanni da Cerza Piccola, Sacerdote
Frat’Antonio da Frosolone, Diacono
Frà Domenico della Terra di Cantalupo, Laico Professo
1696
Padre Frà Giovanni dà Cerza piccola, Presidente, d’anni 47
Patre Frà Lucio dà Macchia, Sacerdote, d’anni 31
P. Frà Michele dà Morrone, Sacerdote, d’anni 54
Chierico Frà Francisco dà Limosano, Professo, d’anni 19
Frà Donato dà Limosano, Laico Professo, d’anni 27
1697
Padre Frà Domenico di Limosani, Guardiano, d’anni 33
Padre Frà Gio: da Cerza Piccola, Sacerdote, d’anni 48
Padre Frà Dom.o del Castiglione, Sacerdote, d’anni 37
Chierico Frà Gio: di Frosolone, Professo d’anni 21
Chierico Frà Franc.o de Limosano, Subdiacono, d’anni 20
Frà Donato dà Limosani, Laico Professo, d’anni 28
1698
Padre Frà Giovanni di Santo Giovanni Rotondo, Guardiano, d’anni 40
Padre Frà Giovanni da Cerzo Piccola, Sacerdote, d’anni 49
Padre Frà Domenico del Castiglione, Sacerdote, d’anni 38
Chierico Frà Domenico del Vasto, Professo, d’anni 19
Frà Donato dà Limosani, Laico Professo, d’anni 29
Frà Antonio di Limosani, Terziario, d’anni 20
1699
P.re frà Giovanni Campanile di S. Gio: Rotondo, Guardiano, d’anni 41
P.re frà Michel’Angelo di Civitanova, Sacerdote, d’anni 56
P.re frà Gio:Batta d’Afflitto di Foggia, Sacerdote, d’anni 30
P.re frà Franc.o d’Amico di Limosani, Diacono, d’anni 23
215
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico Professo, d’anni 30
Frà Nicola di Napoli, Terziario, d’anni 32
1700 P.re Frà Gio: Campanile di S. Gio: Rotondo, Guardiano, d’anni 42
P. Frà Angelo Pestillo di Mirabiello, Sacerdote, d’anni 56
P. Frà Gio:Batta d’Afflitto di Foggia, Sacerdote, d’anni 31
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosani, Diacono, d’anni 24
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 31
Frà Nicola di Napoli, Terziario, d’anni 33
1701 P. Frà Gio:Battista d’Afflitto di Foggia, Guardianus ac Prior, seù Custos Conventi
S. Francisci ordinis minorum Conventualium, d’anni 32
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosani, Sacerdote, d’anni 25
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 32
Frà Nicola di Napoli, Terziario, d’anni 34
1702
P. Frà Gio:Batta di Afflitto di Foggia, Guardiano, d’anni 33
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosani, Sacerdote, d’anni 26
P. Frat’Antonio di San Sovero, Sacerdote, d’anni 26
Frà Michel’Angelo di San Soviero, Chierico Professo, d’anni 19
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 33
Frat’Andrea di Lucito, Laico, e Professo, d’anni 30
1703
P. frà Carlo Romaniello dà Agnone, Guardiano, d’anni 44
P. frà Gio:Battista Covatta dà Limosani, Sacerdote, d’anni 39
P. frà Michele dà Frosolone, Sacerdote, d’anni 28
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 34
1704
P. frà Carlo Romaniello d’Agnone, Guardiano, d’anni 45
Pater Andreas Rotelli
P. frà Gio:Battista Covatta dà Limosani, Sacerdote, d’anni 40
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 35
Oblatus Paulus de Amico
1705
P. Frà Gioseppe del Vasto, Guardiano, d’anni 43
P. frà Gio:Battista Covatta dà Limosani, Sacerdote, d’anni 41
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 36
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 40
1706
P. Frà Geremia di Bovino, Guardiano, d’anni 43
Frà Paolo d’Amico di Limosano, Laico, d’anni 41
1707
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 31
P. Frà Luiggi Alfar.no di Castellone, Sacerdote, d’anni 36
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 38
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 42
1708
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 32
P. Frà Luiggi Alfar.no di Castellone, Sacerdote, d’anni 37
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 38
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 43
1709
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 33
P. Frà Luiggi Alferano di Castell., Sacerdote, d’anni 38
Frà Donato di Tata di Limosano, Laico Professo, d’anni 40
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 44
Frà Pasquo Antonio di Tata di Limosano, Laico, d’anni 24
Frà Nicolò Fracasso di Limosano, Laico, d’anni 24
1710
P. Frà Franc.o di Limosano, Presidente, d’anni 34
Frà Ant.o di lacivita, Laico, d’anni 60
Frà Paolo di Limosani, d’anni 45
1711
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 35
P. Frà Dom.o Gio:cola di Limosano, Sacerdote, d’anni 48
Frà Ant.o dè la Civita, Laico Professo, d’anni 61
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 46
1712
P. Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 36
216
P. Frà Adamo di Goglionesi, Sacerdote, d’anni 40
Frà Ant.o dè la Civita, Laico Professo, d’anni 62
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 47
1713
P.re Frà Franc.o d’Amico di Limosano, Guardiano, d’anni 37
P.re Frà Gio:Batta Covatta di Limosano, Sacerdote, d’anni 47
P.re Frà Dom.co Gio:cola di Limosano, Sacerdote, d’anni 46
Frà Ant.o Ferretti dè la Civita(campomarani), Laico Professo, d’anni 63
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 45
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 48
1714
P.re Frà Gio: di Luca, Guardiano, d’anni 40
P.re Frà Franc.o d’Amico, Sacerdote, d’anni 38
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 48
Frà Ant.o dè la Civita, Laico Professo, d’anni 64
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 46
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 49
1715
P.re Frà Franc.o d’Amico, “Custos sive Guardianus”, d’anni 39
P.re Frà Cosmo di Civita Vecchia, Sacerdote, d’anni 34
Frà Ant.o dè la Civita, Laico Professo, d’anni 65
Frà Donato di Tata di Limosani, Laico, e Professo, d’anni 47
Frà Paolo d’Amico da Limosano, Laico, d’anni 50
1716
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 40
Pad.e Frà Gio: di Luca di Frosolone, d’anni 40
Frà Pasquo di Tata, laico professo, d’anni 28
Frà Paolo d’Amico, laico, d’anni 51
Frà Donato Gio:cola, laico, d’anni 43
1717
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 41
Pad.e Frà Gio: di Luca di Frosolone, d’anni 41
Frà Paolo d’Amico, laico, d’anni 52
Frà Donato Gio:cola, laico, d’anni 44
1717 Pater Joseph Finy, Baccalaverius, Discretus perpetuus et Guardianus
1718
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 42
Pad.e Frà Gio: di Luca di Frosolone, d’anni 42
Frà Donato di Tata, laico, d’anni 53
Frà Paolo d’Amico, laico, d’anni 53
1719
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 43
Pad.e Frà Gio: di Luca di Frosolone, d’anni 43
Frà Donato di Tata, laico, d’anni 54
Frà Gio: di S. Angelo Limosani, laico, d’anni 30
Frà Paolo d’Amico, laico, d’anni 54
1720
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 44
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 60
P.re Frà Venanzio d’Orsi da Latino, Sacerdote
Frà Gio: di S. Angelo, laico, d’anni 31
Frà Paolo d’Amico, laico, d’anni 55
1721
1722
1723
1724
1725
Pater Franciscus de Amico, Guardiano
Pater Franciscus de Amico, Custos, Guardianus Archimatrita et Prior
Pater Franciscus de Amico, Guardiano
Pater Franciscus de Amico, Guardiano
Pater Venantius Orsi, Guardiano
Pater Franciscus de Amico
Pater Vincentius Maria del Vecchio
Pater Joannes Baptista Covatta
Frater Donatus de Tata
Frater Joannes Ciavarro
1725 Pater Franciscus de Amico, Guardiano
Pater Venantius Miordi a Civitate Vasti
217
Pater Joannes Baptista Covatta
Pater Felix Javicola
Frater Michael Angelus Fracasso Subdiaconus Baccalaverius
Frater Donatus de Tata, laico professo
Frater Joannes Ciavarro, laico professo
1726
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 50
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 66
P.re Frà Felice Javicolo del Castiglione, sacerdote, d’anni 30
P.re Frà Dom.co Piuq.ro d’Agnone, Sacerdote, d’anni –
Frà Donato di Tata, d’anni 61
Frà Giov. Ciavarro, d’anni 37
Frà Paolo d’Amico, d’anni 61
Frà Gio: Covatta, Terziario, d’anni 25
1727
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 51
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 67
P.re Frà Venanzio d’Orzo, Sacerdote
P.re Frà Carlo d’Angiolis, Sacerdote, d’anni 30
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 62
Frà Gio: Ciavarro di S. Angelo, Laico, d’anni 38
Frà Donato Ciavarro di S. Angelo, Laico, d’anni 33 (è fratello del precedente)
Frà Paolo d’Amico, d’anni 62
1728
P.re Frà Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 52
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 68
P.re Frà Venanzio d’Orzo, Sacerdote, d’anni 33
P.re Frà Carlo d’Angiolis, Sacerdote, d’anni 31
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 63
Frà Gio: Ciavarro di S. Angelo, Laico, d’anni 39
Frà Donato Ciavarro fratello di d.o di S. Angelo, Laico, d’anni 34
Frà Paolo d’Amico oblato, d’anni 63
1729
P.re Frà Lorenzo Muccio, Guardiano, d’anni 65
P. Frà Francesco d’Amico, Sacerdote, d’anni 53
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 69
P.re Frà Angelico Tosto, d’anni 27
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 64
Frà Gio: Ciavarro, Laico, d’anni 40
Frà Paolo d’Amico oblato, d’anni 64
Frà Gio: Covatta, Laico, d’anni 24
1730
P.re Frà __________ (non indicato) – Tuttavia: Pater Johannes Baptista Covatta,
Presidens in defectu Patris Guardiani, che era il Padre Francesco Janigro
P. Frà Francesco d’Amico, Sacerdote, d’anni 54
P.re Frà Gio:Batta Covatta, Sacerdote, d’anni 70
P.re Frà Carlo d’Angiolis, Sacerdote, d’anni 33
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 65
Frà Pietro Gio:Cola, Laico, di Limosano, d’anni 30
1731
P.re Epifanio Vitullo del Castiglione, Guardiano, d’anni 37
Pater Magister Ferdinandus Ranallo
Pater Antonius Jurilli
Pater Baccalaverius Michelangeus Fracasso
P.re Frà Lorenzo Mucci, del Vasto, Sacerdote, d’anni 67
P. Frà Francesco d’Amico, Sacerdote, d’anni 55
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 66, “che nel tempo della scogna va per le loro (= dei
Contadini) Aje esigendo li Terratici”
Frà Gio: Ciavarro, Laico, d’anni 41
Frà Pietro del Ferraro, Laico, d’anni 31
1732
P.re Frà Lorenzo Mucci del Vasto, Guardiano, d’anni 68
P. Frà Francesco d’Amico, Sacerdote, d’anni 56
P. Frà Domenico Liberatore di Frosolone, Sacerdote, d’anni 42
218
Frà Michel’Angelo Rog.ro di Matrice, Cl.co Professo, d’anni 20
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 67
Frà Gio: Ciavarro, Laico, d’anni 42
Frà Pietro del Ferraro, Laico, di Limosani, d’anni 32
Frà Francesco Bagnoli, Laico, di Limosani, d’anni 29
1733
P.re Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 57
P.re Frà Gabriele Brunetti del Ratino, Sacerdote, d’anni 35
P.re Frà Giuseppe Torniero di Venafra, Sacerdote, d’anni 38
Frà Bonaventura, Diacono di Cantalupa, d’anni 22
Frater Nicolaus de Cosmo, Clericus, à Celenza, Professus
Frater Joachim Cerio, a Campobasso, Clericus Professus
Frà Donato di Tata, Laico, d’anni 68
Frà Gio: Ciavarro di S. Angelo, Laico, d’anni 43
Frà Ant.o di Tata di Limosani, Laico, d’anni 42
1734
La presenza, ininterrotta e già da diversi anni, di “Clerici Professi” farebbe pensare
alla esistenza di uno ‘Studio’ di Teologia nel Convento di Limosano
P.re Franc.o d’Amico, Guardiano, d’anni 58
P.re Frà Giuseppe Torniero di Venafra, Sacerdote, d’anni 39
Frà Gio: Ciavarro, Laico, d’anni 44
Frà Gio: Covatta di Limosano, Laico, d’anni 29
Frà Pietro del Ferraro, d’anni 33
1735 Pater Gabriel Brunetti, Guardiano
1738 Pater Carolus dè Angelis da Serracapriola, Guardiano
1739 Pater Franciscus d’Amico, Guardiano
M.R.P. Maestro Frà Filippo Cocucci
P. Frà Michel’Angelo Ruggiero
P.Frà Eugenio Maria Salvatorelli
P. Girolamo Lago
Frà Francesco Antonio Giordani, Clericus
Frater Antonius de Tata
Frater Petrus Ferraro
Frater Johannes Covatta
1740 Pater Franciscus d’Amico, Guardiano
1741 M.R.P. Maestro Frà Filippo Cocucci, Guardiano
1742
Pater Franciscus d’Amico, Guardiano, che muore nel 1743
1743
P. Frà Filippo Cocucci, Maestro e Guardiano, della Città d’Agnone, d’anni 31
P. Frà Francesco d’Amico, Sacerdote, d’anni 65
P. Frà Carlo de Angelis, Sacerdote, della Serra Capriola, d’anni 41
P. Frà Celestino Griffi, Baccelliere Sacerdote, di Goglionisi, d’anni 26
P. Frà Giuseppe Macchione, Baccelliere Sacerdote, di Salcito, d’anni 25
Frà Serafino Cerio, Suddiacono Studente, d’anni 21
Frà Antonio Pertosa, Clerico in minoribus, Studente, di S. Nicandro, d’anni 24
Frà Antonio di Tata, laico Professo, di questa Terra, d’anni 53
Frà Pietro Ferraro, laico Professo, di questa Terra, d’anni 42
Frà Giovanni Covatta, laico Professo, di questa Terra, d’anni 41
1744
1745
1746
1747
1748
1749
Rev. P. Frà Antonio Torilli, Guardiano
M.R.P. Frà Michel’Angel Lalli, Guardiano
M.R.P. Maestro Frà Filippo Cocucci, Guardiano
Padre Frà Carlo de Angelis, Guardiano
Padre Frà Carlo de Angelis, Guardiano
Padre Frà Carlo de Angelis, Guardiano
M.R.P. Frà Filippo Cocucci
Frà Eugenio Zaccagnino, Studente (?)
Frà Giuseppe Paulantonio, Studente (?)
M.R.P. Maestro e Segretario della Provincia Frà Miche’Angiolo Fracasso
219
1750 R.P. Frà Benedetto Mezzanotte, Guardiano
1750 R.P. Giuseppe Manzo, Presidente
R.P. Baccelliere Giuseppe PaoloAnt.o
Diacono Frà Caramuele Farina
Diacono Frà Crescenzo di S. Martino
Padre Filippo Cocucci “dava lezione a monaci, a Preti, ed a secolari …”
1751 P. Filippo Cocucci è “Regente e Presidente”, in assenza del M.R.P. Frà Michele
Cimino, Guardiano
1753 Padre Baccelliere Frà Angelico Tosti, Guardiano
M.R.P. Frà Filippo Cocucci
M.R.P. Maestro Frà Michel’Angelo Fracassi
P. Baccelliere Frà Giuseppe Paulantonio
P. Baccelliere Frà Isidoro Gamberale
P. Frà Carlo de Angelis
1755 R.P. Frà Saverio Ruggieri, Guardiano
1758 R.P. Baccelliere Frà Caramuele Farina, Guardiano
1762 Frà Ferdinando Fracassi, Guardiano
P. Frà Giuseppe Manzi, Sacerdote
P. Frà Antonio Filacchione, Sacerdote
1763 R.P. Maestro Frà Michel’Angelo Fracasso, Presidente
P. Frà Ferdinando Fracassi
P. Frà Gennaro Pilla
P. Frà Vincenzo Cappella
1764 R.P. Maestro Frà Michel’Angelo Fracasso, Presidente
1765 R.P. Maestro Frà Michel’Angelo Fracasso, Presidente
1765
P. Frà Michelangelo Fracassi
…
1774 P. Frà Caramuele Farina, Guardiano
1775 R.P. Vincenzo Cappella, Guardiano (?) e Procuratore
1777 M.R.P. Ermete Zappone, Guardiano
1778 P. Frà Saverio Carusella, Guardiano
1780 M.R.P. Michelangelo Barile, Guardiano
1781 P. Frà Francesco dè Valeriis, Guardiano
1784 M.R.P. Michele Jammarino, Guardiano
1785 R.do Padre Frà Michelangelo Sammartino, Guardiano
M.R.P. Maestro Frà Giacinto Corvinelli
R.P. Frà Michelangelo Barile
R.P. Frà Gius.e d’Attellis
R.P. Frà Franc.o Muccino, Procuratore
1786
1787
1789
1790
1793
1795
1797
1799
1800
1801
M.R.P. Luiggi di Venere, Guardiano
M.R.P. Luiggi Maria di Venere, Guardiano
M.R.P. Ermenegildo Fracassi, Guardiano
M.R.P. Giuseppe de Attellis, Guardiano (?)
M.R.P. Maestro Giuseppe Fracassi, Guardiano
M.R.P. Giacinto Maria Corvinelli, Guardiano
M.R.P. Giuseppe de Attellis, Guardiano (?)
M.R.P. Frà Giuseppe Maria Fracassi, Guardiano
M.R.P. Frà Giacinto Maestro Corvinelli
M. R.ndo Frà Giacinto Maestro Corvinelli
…
220
1809
Dallo “Stato de’ Religiosi del Convento de’ Minori Conventuali di Limosani, soppresso
in esecuzione del Real Decreto de’ 7 Agosto Anno 1809”, compilato il 27 Settembre
dello stesso anno, risulta:
P. Filippo Fracassi di Limosani, Guardiano e Maestro, d’anni 41 (Professione nel
1784)
P. Giacinto Corvinelli di Limosani, Maestro, d’anni 68 (Professione nel 1781)
P. Michelangelo Giancola di Limosani, Sacerdote, d’anni 31 (Professione nel 1796)
P. Massimiliano Corvinelli di Limosani, Sacerdote, d’anni 30 (Professione nel 1799)
Frà Donato Del Monaco di San Giovanni delli Piani (Chieti), Laico Converso, d’anni 61
(Professione nel 1778)
Frà Tomaso Bucci di Campochiaro, Laico Converso, d’anni 60 (Professione nel 1780)
Frà Antonio Colavecchia di Limosani, Laico Converso, d’anni 38 (Professione nel 1795)
Frà Vincenzo D’Addario, di Limosani, Laico Converso, d’anni 36 (professione nel 1797)
“Tomaso Bucci s’appartiene al Convento di Guglionesi – Provincia di Capitanata –
dell’Istess’ordine inviato in penitenza in questo (= di Limosano) Monistero”.
APPENDICE 2
ELENCO DEI PADRI GUARDIANI, SUPERIORI DEL CONVENTO DI LIMOSANO
(con, quando è stato possibile, la indicazione della ‘FAMIGLIA’ religiosa) dell’ORDINE
DEI FRATI MINORI CONVENTUALI PER IL PERODO DAL 1821 AL 1866
1821 Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano
1822 Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano
1823
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, d’anni 56 (Casa 376)
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, d’anni 54
Padre Maestro Francesco Cocucci, d’anni 58
Fra Luigi Maria Spina, Studente, d’anni 22
Fra Giuseppe Borsella, Studente, d’anni 19
Fra Antonio Colavecchia, Laico, d’anni 53
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, d’anno 50
Fra Luigi Bussi, Laico, d’anni 55
1824
Risulta presente nel Convento di Limosano il ‘Noviziato’
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, d’anni 57 (Casa 379)
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, d’anni 55
Padre Maestro Francesco Cocucci, d’anni 59
Fra Luigi Maria Spina, Studente, d’anni 23
Fra Giuseppe Borsella, Studente, d’anni 20
Fra Venanzio Fracassi, Studente, d’anni 19
Fra Antonio Colavecchia, Laico, d’anni 54
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, d’anni 51
Fra Luigi Bussi, Laico, d’anni 56
1825
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, nato nel 1768 (Casa 376)
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, nato nel 1770
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 51
Fra Luigi Maria Spina, Studente, nato nel 1802
Fra Giuseppe Borsella, Studente, nato nel 1805
Fra Venanzio Fracassi, Studente, nato nel 1806
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
Gennarino Carnevale, d’anni 17
1826
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, Guardiano, nato nel 1770 (Casa 380)
Padre Maestro Filippo Fracassi, nato nel 1768
221
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 52
Padre Luigi Maria Spina, nato nel 1802
Fra Giuseppe Borsella, Studente, nato nel 1805
Fra Venanzio Fracassi, Studente, nato nel 1806
Fra Gennaro Janigro, Studente, nato nel 1809
Fra Giovanni Petrone, Studente, nato nel 1810
Fra Silvano Chiancone, Studente, nato nel 1810
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
1827
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, Guardiano, nato nel 1770 (Casa 380)
Padre Maestro Filippo Fracassi, nato nel 1768
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 52
Padre Luigi Maria Spina, nato nel 1802
Padre Giuseppe Borsella, nato nel 1805
Fra Venanzio Fracassi, Studente, nato nel 1806
Fra Gennaro Janigro, Studente, nato nel 1809
Fra Giovanni Petrone, Studente, nato nel 1810
Fra Silvano Chiancone, Studente, nato nel 1810
Fra Erasmo de Angelis, Studente, nato nel 1807
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
1828
1829
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, Guardiano, nato nel 1770
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, Guardiano, nato nel 1770 (Casa 400)
Padre Maestro Filippo Fracassi, nato nel 1768
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 54
Padre Giuseppe Borsella, nato nel 1805
Padre Venanzio Fracassi, nato nel 1806
Fra Gennaro Janigro, Studente, nato nel 1809
Fra Erasmo de Angelis, Studente, nato nel 1807
Fra Eduardo Jammarino, Studente, nato nel 1810
Fra Domenico Zingarelli, Studente, nato nel 1813
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
Fra Ludovico Giancola, Laico, nato nel 1801
1830
Padre Maestro Ferdinando d’Amico, Guardiano, nato nel 1770 (Casa 416)
Padre Maestro Filippo Fracassi, nato nel 1768
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 55
Padre Giuseppe Borsella, nato nel 1805
Padre Venanzio Fracassi, nato nel 1806
Fra Gennaro Janigro, Studente, nato nel 1809
Fra Erasmo de Angelis, Studente, nato nel 1807
Fra Eduardo Jammarino, Studente, nato nel 1810
Fra Domenico Zingarelli, Studente, nato nel 1813
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
Fra Ludovico Giancola, Laico, nato nel 1801
1831
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, nato nel 1768 ( Casa 410)
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 56
Padre Giuseppe Borsella, nato nel 1805
Padre Venanzio Fracassi, nato nel 1806
Padre Giuseppe ________
Padre Gennaro Janigro, nato nel 1809
Padre Erasmo de Angelis, nato nel 1807
Fra Eduardo Jammarino, Studente, nato nel 1810
222
Fra Domenico Zingarelli, Studente, nato nel 1813
Fra Antonio Colavecchia, Laico, nato nel 1771
Fra Vincenzo d’Addario, Laico, nato nel 1774
Fra Luigi Bussi, Laico, nato nel 1769
Fra Ludovico Giancola, Laico, nato nel 1801
1832
1833
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, nato nel 1768
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, nato nel 1768 (Casa 413)
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 58
Padre Giuseppe Borsella, nato nel 1805
Padre Venanzio Fracassi, nato nel 1806
Padre Gennaro Janigro, nato nel 1809
Padre Erasmo de Angelis, nato nel 1807
Fra Eduardo Jammarino, Studente, nato nel 1810
Fra Domenico Zingarelli, Studente, nato nel 1813
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Luigi Bussi, Laico
Fra Ludovico Giancola, Laico
Fra Francesco del Gobbo
1834
1835
Padre Maestro Filippo Fracassi, Guardiano, nato nel 1768
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 418)
Padre Vincenzo Carnevale
Padre Giuseppe Nardo
Padre Erasmo de Angelis
Padre Domenico Zingarelli
Fra Salvadore Tenaglia di Orsogna, Studente, d’anni 22
Fra Luigi Morante di Apice, Studente, d’anni 16
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Ludovico Giancola, Laico
Fra Luigi Marrone, Laico, d’anni 21
1836
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 418)
Padre Venanzio Fracassi
Padre Vincenzo Carnevale, d’anni 60
Padre Erasmo de Angelis
Padre Domenico Zingarelli
Fra Gaetano Marinelli, Studente, d’anni 23
Fra Giuseppe Nicola Ciafardini, Studente, d’anni 20
Fra Attanasio di Paolo, Studente, d’anni 20
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Ludovico Giancola, Laico
Fra Luigi Marrone, Laico
1837
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 414)
Padre Venanzio Fracassi
Padre Erasmo de Angelis
Padre Domenico Zingarelli
Fra Bonaventura di Paolo, Studente, d’anni 21
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Ludovico Giancola, Laico
1838
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 415)
Padre _____________ (non indicato)
Padre Venanzio Fracassi
Padre Erasmo de Angelis
Fra Bonaventura di Paolo, Studente
Fra Pietrantonio Covatta, Studente, d’anni 24
Fra Luigi Chiancone, Studente
223
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Ludovico Giancola, Laico
Fra Francesco Gagliardone
Fra Giuseppe
1839
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 413)
R.P. Regente Giuseppe Borsella
Padre Venanzio Fracassi
Padre Bonaventura di Paolo
Padre Salvadore Covatta, d’anni 25
Fra _________ Quaranta, Studente (?)
Fra Luigi Chiancone, Studente (?)
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra _____________________
Fra _____________________
Fra _____________________
1840
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 420)
R.P. Regente Giuseppe Borsella
Padre Venanzio Fracassi
Padre Erasmo de Angelis
Fra Paolo Conti, Studente (?)
Fra Luigi Chiancone, Studente (?)
Fra Antonio Grimaldi, Studente (?)
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Luigi
Fra Benedetto Materno
1841 Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente
1842 Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente
1843
Rev. Padre Gennaro Janigro, Reggente (Casa 407)
R.P. Regente Giuseppe Borsella
Padre Venanzio Fracassi
Fra Luigi Chiancone, Studente (?)
Fra ________________, Studente (?)
Fra ________________, Studente (?)
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Lodovico Giancola
Fra Camillo
1844
Padre Maestro, e Provinciale F. Gennaro Janigro (Casa 411)
R.P. F. Regente Giuseppe Borsella
R.P. F. Regente Gennaro Quaranta
Padre F. Venanzio Fracassi
Padre F. Luigi Chiancone
F. ______ Ficchi…
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Lodovico Giancola
Fra Marcellino Marcantonio, nato nel 1827
1845
M.R.P. Maestro F. Gennaro Janigro, Provinciale (Casa 405)
Padre Maestro F. Antonio di Capoa, Segretario del Provinciale
R.P. F. Regente Giuseppe Borsella
R.P. F. Regente Gennaro Quaranta
Padre F. Venanzio Fracassi
Padre F. Luigi Chiancone
Fra Antonio Colavecchia, Laico
224
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Lodovico Giancola
Fra Donato
Fra Marcellino Marcantonio
1846
M.R.P. Maestro F. Gennaro Janigro, Provinciale (Casa 387)
R.P. F. Giuseppe Borsella
R.P. F. Gennaro Quaranta
Padre F. Venanzio Fracassi
Padre F. Luigi Chiancone
Fra Luigi Pece, Studente (?)
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Lodovico Giancola
1847
R.P. F. Giuseppe Borsella, Reggente (Casa 371)
R.P. F. Regente Gennaro Quaranta
R.P. F. Venanzio Fracassi
R.P. F. Antonio Grimaldi (che era nato a Roccavivara)
P. Bonaventura Pece
Fra Antonio Colavecchia, Laico
Fra Vincenzo d’Addario, Laico
Fra Lodovico Giancola
Fra Michele de Robertis
1848 Padre Venanzio Fracassi, Guardiano
1849 Padre Maestro Gennaro Quaranta, Guardiano
Padre Maestro Giuseppe Borsella
Padre Venanzio Fracassi
Padre Antonio Grimaldi, che abiterà a Limosano anche dopo la soppressione del 1866
Padre Bonaventura Pece
!851
Padre Maestro Giuseppe Borsella, Guardiano
Padre Venanzio Fracassi
Padre Bonaventura di Paola
Michele del Gobbo, fu Domenico, stipula una ‘convenzione’ per “convivere durante il
corso di sua vita tra i Monaci del Convento di San Francesco di Limosano in qualità di
garzone…”.
…
1860 Molto Rev.do Padre Maestro Giuseppe Borsella, Superiore
Il 22 Agosto “i Reverendi Padre Conventuali di Limosano: Padre Maestro Giuseppe
Borsella fu Luigi, e Padre Venanzio Fracassi fu Pasquale, componenti l’attuale
religiosa famiglia del Convento de’ Minori Conventuali di Limosani… dichiarano che
la Religiosa Comunità da loro rappresentata ha delle rendite ne’ Comuni di Apice,
Bonito, Montefusco, Mirabella e Grottaminarda, in Provincia di Principato Ultra…”
ed istituiscono un “Procuratore ad lites”.
1866 Soppressione definitiva
225
CAPITOLO 6°
IL MARCHESE, ‘UTILE SIGNORE’
226
227
LIMOSANO: Posizionamento sul territorio dei corpi feudali e localizzazione delle evidenze
religiose
228
6.1 – Storia della titolarità del feudo
Anche se probabilmente la ‘Terra’ di ‘li=Musane’ diventò feudo vero ed autonomo (nella
accezione più comune e più ‘nostra’ del termine) solo nel periodo tra il XI ed il XII secolo
con la famiglia dei ‘de Molisio’, una ricostruzione della titolarità dell’unità amministrativa
‘civile’ riferibile alla sua emergenza insediativa di maggiore evidenza e che, tra l’altro (e la
229
circostanza è troppo significativa perché non la si debba tenere nella dovuta considerazione),
era stata “olim (= già) civitas” (formatasi tale e nell’attuale sito per la confluenza nel tempo e
da più direzioni di ‘gentes’ diverse) non può non farsi iniziare che dai capi famiglia di quel
‘convoglio’ di cortisani e di baccari concessi “in gastaldato Biffernensi” da Arechi lo
stesso anno, il 774 (era il mese di Novembre), in cui “appellatus est Princeps gentis
Langobardorum (viene chiamato Principe della gente dei Longobardi)” del beneventano e, più
in generale, dell’intero meridione. I nomi dei primi, i lavoratori delle ‘curtes’ (o anche
‘cortes’), erano “Johannem et Walterium cum uxoribus et filiis suis, et omnibus sibi
pertinentibus: seu et unam sororem Judari”; e dei pastori-allevatori erano “Grauso cum uxore
et filiis; sed et norae et nepotes eius, et omnia eius pertinentia: nec non et Sindonem cum
uxore et filiis suis”346.
Ma, forse e, meglio, senza forse, l’entità politico-territoriale, che, tenuta separata e sempre
distinta da quella ‘Bovianensis’, dalle carte viene detta “gastaldato Biffernensi”, esisteva
come ed in quanto tale già prima di quella data e pure di parecchio. Sembra possibile
ipotizzare che ne dovettero essere a capo gli esponenti di quella “nobile famiglia de’
Pantasij”, dalla quale (e perché) “a relazion del Vipera riconosce Limosano i suoi principj” e
che per diversi secoli si trova a controllare (e la cosa appare di non poca singolarità) vasti ed
importanti territori a cavallo della parte centrale del corso medio del fiume Biferno (con
Musane ed il relativo ‘gastaldato Biffernensi’) come anche di quell’altra riferibile al corso
mediano del fiume Fortore (con le città, tutte sedi di diocesi, di Dragonara, di Civitate e di
Ferentino, oltre che con il ‘ducato di Pantasia’).
E’ solo un caso che quel ‘convoglio’ viene inviato proprio “in gastaldato Biffernensi”, la cui
emergenza insediamentale di maggior significato va riferita a quel centro abitato, che, nella
logica di “quell’interessante fenomeno, noto e studiato, che si verificò in Italia durante il
periodo alto medievale, specie a partire dal VII secolo, (costituito) dal ritorno, per esclusivi
motivi di difesa, ad insediamenti collinari preromani” 347, è la sede dell'antico vescovado della
destrutta città dell'homini sani, alias Musane, e che dal sito di Cascapera o, meglio, di ‘Tiphernum’ si viene ora spostando la dove tuttora situa Limosano?
La risposta a tale interrogativo non può che essere negativa. Perché, in generale, i fatti della
Storia sono sempre frutto di scelte e mai il risultato di pura occasionalità. E, nello specifico, è
ciò ancor più vero specialmente se si tiene conto del fatto che al ‘nuovo’ insediamento
partecipano, oltre che tale ‘spostamento’, anche gli sbandati delle numerose strutture
cenobitico-abbaziali in fuga dalle razzie di barbari, di bizantini e di saraceni (già ci si vide
costretti a registrare per questo periodo una contrazione dei centri monastici), che stanno
depredando il territorio. Sui reali effetti nell’ambito territoriale del medio Biferno della
presenza di questi ultimi ed, in particolar modo, dei greco-bizantini (non vanno dimenticate le
diverse e numerose testimonianze della presenza del rito greco sia nel Monastero di Faifoli
che nella stessa Chiesa ‘Cattedrale’ di Limosano) mancano del tutto studi e ricostruzioni.
Ciò, tuttavia, non li deve far escludere ed, anzi, sono da ipotizzarne di grande influenza.
E, se è vero che proprio a partire da questa fase storica “il moltiplicarsi di fondazioni
ecclesiastiche (si realizza) entro il patrimonio delle famiglie potenti”348, trova ancor più
adeguata spiegazione la ‘scelta’ strategica operata dalla “nobile famiglia de’ Pantasij”, la
quale, partecipando a questa emergente struttura insediamentale, che riesce bene a coniugare
346
UGHELLI, op. cit., X, col. 438. Per il testo completo del brano vedasi al paragrafo 1.3 del 1° Capitolo e la
relativa nota 37.
347
D’ANDREA F., Morcone e le sue porte, Morcone 1984, pag. 8. Il D’Andrea cita da SANFILIPPO M., Le
città medioevali, Milano 1973, pag. 9.
348
TABACCO G., La storia politica e sociale, in Storia d’Italia: Dalla caduta dell’Impero Romano al secolo
XVIII, Torino 1978, pag. 128.
230
il civile con il religioso, intende affermare il controllo di interessi rilevanti sull’intera area del
corso mediano del Biferno.
E così, in quanto verosimile, diventa assai credibile la ricostruzione dello scenario in cui
quella si concretizza.
La contiguità, del tutto particolare, che porta ad associare quasi in un ‘unicum’ architettonico
ben definito tanto il ‘Palazzo’, l’edificio da cui emanava il potere civile, che quella ‘Chiesa’ di
S. Stefano, la quale, con le sue testimonianze, tra l’altro già documentate e riportate, sulla
presenza, da riferire pure ad essa, di ‘episcopi’, consente di ipotizzarne una stessa datazione
originaria per entrambe le evidenze.
La contemporaneità nella costruzione del ‘palatium’ e dell’annessa ‘ecclesia’, proprio nella
posizione più elevata e di dominio dell’abitato, permette alla “nobile famiglia de’ Pantasij”,
oltre che la netta contrapposizione ai poteri, forse solo religiosi, già storicamente presenti, di
affermare in “Musane” una maggiore visibilità del ‘nuovo’ modo di amministrare il potere
stesso, riuscendo a concentrare nella medesima persona sia il religioso che il civile. Tale
reciprocità del ‘modus dominandi’, che viene concretizzandosi ora ed è tipica dell’alto
medioevo, entrerà in crisi con l’arrivo dei Normanni ed, in certo qual modo, con l’affermarsi
del concetto di ‘feudalità’. E scomparirà del tutto con gli Angioini.
Di quella “nobile famiglia”, al presente, nessuna traccia rimane a Limosano, se non di quel
Pantasia Abdenago, che, “di nobile famiglia originaria di Limosani (Molise)”, fondava in
Benevento “... nel 1177 una chiesa e una collegiata, quella di S. Spirito, e, accanto ad essa,
una confraternita laicale”349. Ma, anche se si è, nel tempo, ad oltre un secolo da quando, con
l’arrivo dei Normanni, si è concretizzato, nel medio Molise, il ‘cambio’ con i ‘de Molisio’
nell’esercizio del potere ‘diffuso’ e circa un secolo prima dalla ‘frataria’ fondata da Pietro del
Morrone, è quanto basta per provarne l’esistenza, l’operatività e la grande influenza da quella
esercitata nel territorio riferibile a “Musane”.
In precedenza, si accennava alla radicale trasformazione, nella gestione politica del ‘modus
dominandi’, che occorre registrare con il passaggio del potere nelle mani delle ‘famiglie’
normanne ai vertici della gerarchia ‘civile’. Uno degli aspetti da tenere maggiormente in
considerazione è che con gli esponenti di queste, i quali, per parte loro, pure ‘utilizzeranno’ le
gerarchie religiose e se ne serviranno non poco nei loro gioghi di potere e delle alleanze, si
concretizza una reale e netta distinzione tra il potere ‘civile’ e quello ‘religioso’, ognuno dei
quali, fatta opportunamente salva qualche rara eccezione, è gestito da distinta persona.
Una siffatta frattura ed una tale dualità, lo si è già visto nel Capitolo I, provocarono, nello
specifico limosanese, non pochi contrasti tra l’ “episcopus” della ‘Cattedrale’ di S. Maria ed il
‘dominus’ “castri Limessani”.
Sicuramente è da ricomprendersi nella contropartita politica, che la sconfitta di Civitate del 17
Giugno 1053 (ed anche qui sembra opportuno riflettere sulla nient’affatto casuale circostanza,
per cui lo scontro tra il Papato ed i ‘conquistatores’ normanni si consuma lungo il corso
mediano di un fiume, il Fortore, il cui ambito territoriale è ‘dominato’ da quegli stessi
Pantasij, che, con un ramo collaterale, detengono anche l’area del medio Biferno con
“Musane”, dalla quale dipende il “locus Sale iuxta Bifernum fluvium”, dove una settimana
prima della battaglia viene tenuto il ‘placito’ preparativo delle strategie di guerra) costringe il
vinto Papa Leone IX ed i suoi successori a riconoscere alla nobiltà normanna, anche il
passaggio del potere a Limosano, dove un ramo della ‘casata’ dei ‘de Molisio’ rimpiazza la
storica “nobile famiglia de’ Pantasij”350.
349
Vedi la nota 34 al Capito II. Comunque, ZAZO A., Dizionario Bio-Bibliografico del Sannio, Napoli 1973;
voce 'PANTASIA Abdenago'.
350
Le conseguenze di tale contropartita, così come anche quelle derivanti dal coevo ‘scisma’ d’Oriente (o grecoortodosso) sulle vicende politiche delle zone molisane, dove, come si diceva, i bizantini ebbero ampia diffusione
ed influenze, sono di tanto logiche di quanto risultano scarsamente indagate e, nel migliore dei casi, sottovalutate
231
A parte la “grave lacuna nel testo del ‘Catalogus Baronum’, documento indispensabile per la
corretta ricostruzione e per la migliore comprensione del primo periodo normanno, (che) ci
priva di molti elementi per l’approfondimento nello studio della Limosano di allora”351, “la
documentazione superstite ci consente (appena) di ritenere che Isernia, Venafro, Boiano,
Sepino, Trivento, Limosano, Campobasso, Molise, Rocca Mandolfi e Carpinone facessero
parte del demanio del Conte di Molise”352.
“La contea normanna di Molise che, come tale, ‘nacque nel 1142’(a), è la continuazione,
quando ha raggiunto la sua massima estensione, di quella di Bojano che, ‘fondata da Rodolfo
de Molisio (ne è testimoniato quale titolare per la prima volta nel 1053), vide accresciuta la
sua consistenza territoriale, che includeva i sei vescovadi di Isernia, Venafro, Boiano,
Trivento, Guardialfiera, Limosano, e parte di quelli di Larino e di Termoli’(b).
I suoi titolari dimostrano sempre la consapevolezza di essere titolari della maggiore e più
importante contea del Regno. (…).
Del ‘Comitatus Molisij’ fanno parte ‘le ex contee di Boiano, Isernia, Limosano, Sepino,
Trivento e Venafro, oltre a numerosi feudi minori, per i quali era tenuto a fornire ben 486
cavalieri e 603 fanti all’esercito regio’”353.
Deve essere annotato che, se bisogna, come è anche qui opportuno fare, escludere la pura
casualità nei fatti della Storia, ci si trova, sempre ed in ogni caso, davanti ad insediamenti di
origine sannitica, ognuno dei quali diventa, prima, ‘municipium’ romano e, poi in epoca alto
medioevale, ‘civitas’ sede di diocesi religiosa e di giurisdizione civile. Non potette, perciò,
non progredire che secondo tale ‘ratio historica’ anche il divenire di Limosano e dell’intero
ambito territoriale riferibile ad un centro abitato, del quale quello, nella continuità storica,
rappresenta l’ultimo anello.
Con “la cancellazione dei piccoli potentati di origine longobarda” la nuova nobiltà, di origine
franco-normanna, nella fase di spartizione del potere, procede ad accorpamenti. Così e come
si è già potuto vedere, Limosano, da ‘sede’ del “gastaldato Biffernensi” amministrato dalla
“nobile famiglia de’ Pantasij”, si ritrova a far parte del “Comitatus Bojanensis”, del quale,
dallo stesso anno, il 1053, in cui è avvenuto lo scontro di Civitate, è documentato titolare
Rodulphus (Rodolfo) de Moulins o “de Molisio”, che dominò sino alla morte, avvenuta nel
1059, quando gli successe il figlio Guimundus (Guimondo).
Dopo la morte di quest’ultimo (se ne ignora la data ed il motivo), mentre la contea di Bojano
si ritrova nelle mani del figlio Rodolphus, il secondo con tale nome, titolare di Limosano è
Tristaynus (Tristano, ma nei documenti è detto anche Trostayno, Tristapno o Frostaino), il
quale pure lui è figlio di Guimondo e, quindi, fratello a Rodolfo II.
A Tristano (o Tristaino) succede, come “Limessani castri dominus (signore-padrone del
‘castrum’ di Limosano)”, il figlio Robbertus (Roberto), che, personaggio assai attivo nello
scacchiere politico dell’area limosanese, almeno nei tentativi di ricerca dell’autonomia da
Benevento, merita qualche considerazione più attenta.
dalla storiografia nostrana.
351
BOZZA F., op. cit., pag. 88.
352
CUOZZO E., Il formarsi della feudalità normanna nel Molise, in ASPN 1981, pag. 114.
353
BOZZA F., op. cit., pag. 88 e seg. Dall’A. si riportano anche le note e le citazioni::
(a) CUOZZO E., art. cit., pag. 118.
(b) CUOZZO E., art. cit., pag. 119. Combinando questo brano con quello di cui alla nota 7 ed escludendo
Guardialfiera, diocesi solo dal 1068, emerge ancora una volta la conferma dell’ipotesi di Limosano come
‘civitas’ medioevale, capitale di un proprio gastaldato e sede di diocesi. Ciò, se possibile, ha maggior forza
di prova laddove si consideri la assoluta neutralità e la mancanza di interesse di campanile da parte del
Cuozzo, studioso autorevolissimo.
(c) MORRA G., Introduzione al millecento nel Molise, in A.M. 1980, pag. 76.
232
Il Cronista del Chronicon Cassinense riporta354, a margine della donazione (Giugno 1109) cui
partecipò “Johannes, Triventinae sedis episcopus, una cum Robberto filio Tristayni
Limessani castri domino” con la quale “optulit huic loco (nota: a Monte Cassino) ecclesiam
sanctae Illuminatae infra fines praedicti castri Limessani, loco ubi dicitur Petra majore,
cum omnibus ecclesiis et pertinentiis suis, pena indicta centum librarum auri id
removere quaerentibus”, fatti ivi accaduti anteriormente al 1084 (probabilmente mentre
‘dominus’ era il padre Tristano), anno a partire dal quale l’autore diventa ‘episcopus’ di
Trivento, ed appresi direttamente “ex ore Alberti huius nostri Cenobi monachi ultimam fere
jam aetatem agentis (dalla bocca di Alberto anziano monaco di tale nostro Cenobio)”.
Quali i ‘fatti’ accaduti? Li si trascrive direttamente in una traduzione ‘italiana’, assai più
comprensibile del testo nell’oscuro latino medioevale, perché molto indicativi di quel che
accadde, dal punto di vista politico, con l’arrivo dei normanni nell’area limosanese.
“Va annotato con pacatezza che di questo Luogo (= il Cenobio di S. Illuminata) sembra
essersene appropriato la cattiveria e la fraudolenza di Alferio vescovo di Trivento. Infatti
ivi, mentre era il Preposito (= l’Abate) nella stessa Chiesa della Beata Illuminata, sapendo
che la suddetta Chiesa era assoggettata al Monastero di S. Eustasio (nota: o anche ‘S.
Eustachio’, nel ‘ducato di Pantasia’) sin dall’inizio della sua (= di quest’ultimo)
costruzione e che era stata assegnata a questo stesso Luogo dai Principi Beneventani, e
desiderando di sottrarla dalla giurisdizione di questo Monastero, si presentò al Preposito che
lo aveva preceduto al Monastero, iniziò a supplicarlo acché gli mostrasse i documenti di quel
luogo, dicendo che vi erano custodite anche le carte della sua eredità: lo pregò di
consentirgli di prenderle affinché non si perdessero per la forte vecchiaia del tempo.
Ritenendo il Preposito non esservi dolo nelle sue parole, gli concede il permesso di cercarle e
di portarle via.
Quindi tra i documenti trova l’atto di autorizzazione da parte dei Principi Beneventani per
mezzo del quale la Chiesa di S. Illuminata fu assegnata al Monastero di S. Eustasio, il quale
atto con bastante chiarezza ed apertamente conteneva che detta Chiesa era stata concessa
al Monastero del Beato Eustasio dai Principi Beneventani dal principio della sua
costruzione. Egli, furente d’invidia ed ubriaco di iniqua follia, rapì il documento, se lo
nascose e, tornato a casa propria, minutamente lo strappò”.
Si ritiene di non dover aggiungere, in quanto il cortese e buon lettore può facilmente trarla di
persona355, alcun’altra annotazione, se non che il ‘fattaccio’ serve a preparare il campo, se ne
riferì già nel III Capitolo, all’ingresso, civile e religioso, di Monte Cassino nell’ambito
territoriale riferibile a Limosano.
E' da tenere nella dovuta considerazione la circostanza per cui “nel 1096 ‘Robbertus, filius
Trosteni, qui dicitur de Principatu’, partecipa, come riferisce il Chronicon Cassinense, alla
prima Crociata”356. E ciò perché una tale parentesi nella vita del giovane Roberto, del quale è
forse ancora in vita il padre, rende non impossibile l’ipotesi che egli sia appartenuto a
quell’ordine cavalleresco, tanto importante quanto poco o nulla considerato, di ‘guerrieri’
sorto all’ombra dei Monasteri, che furono i ‘Templari’. A quest’ultimo, che proprio adesso
sta iniziando a formarsi ed a strutturarsi sul territorio, faranno, in seguito, capo ingentissime
ricchezze tanto che regolerà (sia il concetto di ‘banca’ che quello della ‘lettera di cambio’
partono dal suo interno) per circa due secoli l’intera circolazione monetaria ed eserciterà con
minuziosità il controllo delle strade e la connessa esazione dei pedaggi.
Pur se, relativamente alla possibilità di collegare le due cose, la mancanza di un nesso
‘documentale’ rende quasi del tutto casuale la coincidenza, un minimo di credibilità a siffatta
354
Chronicon Cassinense, IV, 34. Si veda BOZZA F., op. cit. pag. 76 e seg.
BOZZA F., op. cit. Si veda l’intero Capitolo dedicato al periodo normanno.
356
BOZZA F., op. cit., pag. 85.
355
233
ipotesi potrebbe farsi derivare dalla presenza, ancora all’epoca (1743) del ‘Catasto Onciario’,
di diversi ‘beni’ fondiari, significativamente e non senza motivo quasi tutti confinanti con
‘strada publica’ e nelle immediate vicinanze delle istituzioni monastiche, appartenenti alla
“Commenda di Malta, di S. Gio: Gierosolimitano, sistentino nel ristretto, e tenimento di
questa sud.a Terra” di Limosano, per i quali il ‘Procuratore’, che allora era “Ascanio
Longo”, “ne corrisponde al Sig.r Commendatore in Bujano… docati sei, e mezzo, ed una
forma di Cascio”357.
Il ‘dominus’ di Limosano, “Robbertus, filius Trosteni”, dopo che, e risultano così evidenti
sia la sua attività politica che l’importanza del ramo ‘limosanese’ dei “de Molisio”, nel 1109
ha offerto (‘oblatus’) il Cenobio di S. Illuminata a Monte Cassino e, similmente, dopo che
l’anno seguente, il 1110, Gregorio, monaco cassinense, “come si ha nel Catalogo degli uomini
illustri di quel Monastero”358, diventa l’‘episcopus’ della stessa Limosano, alla morte “sotto le
macerie del terremoto del 1117” del fratello Simone, conte di Bojano (v. il Capitolo I), gli
succede e riunifica in un’unica persona l’alta e la media valle del Biferno.
Quando muore Roberto (il quale aveva avuto per moglie una tal “<Si>kelgata”), cosa che
avviene nel 1128, gli succede il “dominus noster Hugo Comes molisianus”, il quale, figlio
di Simone, mentre è il secondo per la ‘contea’ di Bojano, per la “Terra li=Musanorum” è il
primo con tale nome. Il conte Ugo “molisianus” (v., anche per le note, sempre il Capitolo I),
“sedens pro tribunali in civitate limosane cum baronibus magnatibus iudicibus aliisque
suis bonis hominibus”, nel 1148 (ottobre) è presente alla ‘concordia’, stipulata a Limosano,
357
La “Commenda di Malta S. Giovanni Gerosolimitano possiede i seguenti beni
- Un’Orto d’una misura, nel luogo d.o La Contrada di S. Maria della Libera, e Giardinello, conf.a strada
publica, ed altri, cenzuato ad Antonio Greco, e ne corrisponde annui di canone grana cinque.
- Un Territ.o di tt.a dieci nel luogo d.o Colle Franco, conf.a strada publica, beni del Convento di S.
Francesco, ed altri col canone di Francesco, e Pietro Gio:Cola, e Cosimo Cipriano, e ne corrispondono annui
carlini tredeci.
- Delli sud.i tt.a dieci, ne tiene à Terratico Domenico, e Cosimo di Matteo tomuli tré, e mezzo.
- Un Territorio di tt.a sei con quattro mozzoni d’olive ed una quercia, nella contrada delli Patrisi, e
macchie delli Porrazzi, conf.a strada publica, beni d’Innocenzio d’Angelilli, ed altri à Terratico.
- Un Territorio di tt.a quattro, e mezzo nel luogo d.o S. Silvestro, e Valle, confina strada pubblica, beni di
S. Maria della Libera ed altri, cenzuato à Donato Greco, col canone annui carlini cinque.
- Un Territorio di tomuli due, e mezzo, nel sud.o luogo, sta unito con li sudetti tomuli quattro, e mezzo, e stà
a Terratico.
- Un’altro Territorio di tt.a tré, e misure diece, nel luogo d.o Pagliarello, e Frainini, conf.a beni della Cap.a
del SS.mo Rosario, beni del D.r Fisico Niccolò Ramolo, ed altri, cenzuato per vigna al D.r Francesco Covatta,
Saverio Gio:Cola, ed altri, col canone di carlini due annui.
- Un Territorio di tt.a due, nel luogo d.o S. Illuminata, conf.a beni della Chiesa di S. Stefano, strada
vicinale, ed altri à Terratico, con quattro bisceglie.
- Un’Orto di misure due nella Contrada di S. Maria della Libera, e d.o anco S. Jacovo, conf.a due lati
strade publiche, beni della Chiesa di S. Maria Mag.re, ed altri cenzuato à Niccolò Marcantonio col canone
annui grana dieci.
- Un Vignale di tt.a tré, con otto piedi d’olive, sette querce e ventiquattro bisceglie, nel luogo d.o Colle
Capogrosso, confina strada publica, beni della Cap.a del SS.mo ed altri, cenzuato ad Antonio del Ferraro, col
canone di quarti tré di grano annui, che sono carlini quattro, e mezzo.
- Un Vignale di tt.a uno, nel luogo d.o La Selvitella, e pozzo dello Chiajo, con sei piedi d’olive, conf.a beni
di S. Maria della Libera, beni di S. Maria Mag.re, ed altri, cenzuato per vigna à Raffaele Covatta, col canone
annui carlini otto.
- Un Vignale di tt.a uno, e mezzo, nel luogo d.o Fonte Vernavera, stà unito con li tt.a dieci à colle Franco,
che si tiene dà Pietro Gio:Cola, e ne paga annui di canone grana dieci”.
358
CIARLANTI G.V., Memorie historiche…, III, pag. 222.
234
con Johannes, l’Abbate di S. Sofia di Benevento, riguardante il pagamento di tributi da parte
degli uomini del Monastero di S. Angelo in Altissimo359.
Del resto, e le due cose si confermano a vicenda e rendono più coerente la ricostruzione,
anche “nell’anno 1147 Limosano col suo Castellum appartenevano al dominio dei conti di
Molise e che qui Ugo II teneva corte”360. La continua presenza del “molisianus” Hugo in quel
centro la dice lunga sulla importanza che ad esso annetteva e sulla considerazione in cui
all’epoca, in quanto “bona terra et melior totae provinciae (beneventanae) excepto
boyano”, era tenuto. Del resto, a parte il fatto che, e la cosa ne dimostra l’importanza anche
quale centro commerciale, tutti quelli che vogliono “aliquid emere aut vendere accedunt ad
terram ipsam et ibi inveniunt quod querunt”, “sunt in dicto castro focularia nongenta et
sunt homines habentes incolatum in illo mille quingenti” o, altrove, anche “duomilia”
‘armigeri’. E, sviluppando tali dati, che sono della più volte citata ‘Collect. 61 dell’Archivio
Vaticano’, si riesce bene ad ottenere una stima della popolazione tra i quattro ed i cinquemila
abitanti, di cui fanno parte “multi boni litterati et nobiles… et triginta logiste et doctoraliste et
medici sex tam phisici quam…” , oltre a chi “regit scolas in gramaticalibus”.
Il conte Ugo, che nel 1138, forse per ingraziarselo dopo che aveva partecipato ad alcune di
quelle ribellioni, di cui è costellata la sua vita, aveva sposato una figlia naturale del re
Ruggero II, morì nel 1160 e gran parte, quella centro occidentale con l’alta valle del Biferno,
del suo vasto dominio, forse per contenere i tentativi autonomistici della famiglia dei ‘de
Molisio’, restò al regio demanio, dal quale l’ebbe a rilevare, nel 1166, Riccardo di Mandra.
Di contro, ma da questo momento le ‘carte’ si fanno assai carenti, sembrerebbe probabile che
i feudi delle ‘Terre’ e dei ‘castri’ posti ad oriente e nella media valle del fiume e, quindi,
anche di Limosano restassero nelle mani dei “molisiani”. Al conte Ugo(ne), nel dominio di
questa parte del territorio, “gli succede… il figlio Roberto (a). Non si conosce la data della
morte di Roberto, ma dal 1216 egli è ricordato unitamente al figlio Ugone (nota: che
dovrebbe essere il secondo per Limosano) quale Connestabile di Sicilia (b). In una
concessione dell’aprile del 1225 si dice chiaramente che Ugo(ne) è figlio di Roberto (nos
Robbertus et Ugo de Molisii domini… qui sumus pater et filius) (c). Un anno dopo si ricorda
solo Ugo(ne) e di Roberto non si parla più”361, probabilmente perché defunto.
“Fino a quando Ugo(ne) è titolare del feudo di Limosano? Chi gli successe? Ebbe egli eredi?
Vendette volontariamente il feudo o ne fu spogliato”362 durante il periodo degli Svevi, assai
oscuro per le ricostruzioni delle vicende e la titolarità dei feudi, quando, specie nella fase
terminale, le fortune, sull’andamento delle quali le carte tacciono, furono così rapide a
crescere di quanto lo fossero nello scemare?
Sappiamo solo che, subito dopo l’arrivo degli Angioini, Limosano venne assegnato ad un
certo “Adenulfo”. Di costui altro non sappiamo se non che era figlio di (riportiamo il
genitivo) “Johannis Comitis, Romanorum Proconsulis” e che “die XXVI martii XIII ind.
(1270) [apud Capuam]” gli era stato concesso “castrum Limosani, pro unc. LXXX”(Vol.
359
Per il testo del documento in questione si veda BOZZA F., op. cit., pag. 90 e seg.
JAMISON E., I conti di Molise e di Marsia nel secoli XII e XIII, Casalbordino (CH) 1932, App. doc. 1. La
ricostruzione proposta contrasta con l’altra del PIEDIMONTE (La Provincia di Campobasso, Aversa 1905, pag.
47), seguita anche dal MASCIOTTA, che, originata da una evidente confusione tra il titolo nobiliare (Markese)
con il cognomen, vorrebbe Limosano dipendere nel 1132 da Marchisio.
361
NOBILE P.L., Campobasso medioevale: le dinastie feudali e le fortificazioni, in ASM (Archivio Storico
Molisano) 1980-81, pag. 76.
Del testo del Nobile si riportano anche le citazioni:
(a) JAMISON E., I conti…, pag. 22.
(b) PARROCCHIA di S. Cristina, SEPINO. Raccolta di Pergamene, 1216, n. 43-46. Roberto, già dal maggio
1185, si firma con tale titolo; in JAMISON, op. cit., Appendice doc. n. 5, pag. 89.
PARROCCHIA di S. Cristina, SEPINO. Raccolta…, 1225, n. 48.
362
BOZZA F., op. cit., pag. 117.
360
235
II, p. 252, n. 64), somma questa, 80 once d’oro, molto rilevante. Ciò, anche se al Vol. XIV, p.
145, n. 93, viene riportato che era stato concesso ad “Adenulfo de Comite de Urbe mil. et
familiari castrum Limosani in Justitiariatu Terre Laboris in donum”363, con una
contraddizione, che, per chi conosce le espressioni di quel periodo, è solo apparente.
Una testimonianza resa da “Andreas petri de limosano” al tempo, come indica la posteriore
annotazione a margine del f. 180, “Monaldi Arch.pi Beneventani qui sedit ab A. 1303 ad
1333” riporta che in precedenza un certo “dom.nus Joh<anne>s comes grau<.>us fecit
petitionem d.no pape quam vidit dom.us papa non concessisset nisi facissent omnia quae
continebantur in petizione ipsa”364.
A parte una certa lacunosità del testo, che lo rende in qualche sua parte poco interpretabile, la
diffusa costumanza di ripetere al proprio figliolo il nome del diretto genitore, combinata con
la compatibilità temporale delle date, permette di ipotizzare in questo “Johannes comes” il
diretto discendente di quell’Adenulfo, che, a sua volta e come si è già visto, era figlio di un
“Johannis Comitis, Romanorum Proconsulis”.
Ma chi era questo “Comes (et) Romanorum Proconsul”, il quale, “de Urbe”, si adoperò a che,
nel contrastato passaggio del potere dagli Svevi agli Angioini, il “castrum Limosani” fosse
concesso, previo pagamento della ragguardevole somma, per allora, di 80 once d’oro, al figlio
Adenulfo? Era egli esponente della nobiltà ‘civile’ di Roma? O, come sembrerebbe con più di
una ragione ipotizzabile, apparteneva alle più elevate gerarchie religiose della Chiesa? Del
tutto ovvio che non è agevole rispondere a tali domande; è, però, certo che la discesa a Napoli
di Carlo d’Angiò (che autorizzò la concessione) si ebbe per sollecitazione del Papa di Roma,
o, appunto, “de Urbe”, e dopo che entrambi avevano stipulati patti reciproci e che
prevedevano impegni precisi da rispettare.
Quanto, poi, alla lettura da dare del testo della menzionata testimonianza, va aggiunto solo
che la ‘petizione’, sottoposta in quell’occasione direttamente al Papa (“d.no pape”), che con
buona ragione può essere identificato nel francese Clemente V (trattasi di colui che sposta la
sede pontificia da Roma ad Avignone), e che lo stesso “dom.us papa” vede ed approva alla
sola condizione che venissero rispettate tutte le promesse in essa contenute, probabilmente è
la stessa con cui sia il giovane “Johannes comes” che tutta la popolazione di Limosano
avanzarono la richiesta, nel primo decennio del XIV secolo, per la costruzione del Convento
da destinare ai frati di S. Francesco.
“Quanto allo schieramento politico per il quale dovettero parteggiare i ‘de Molisio’ titolari del
feudo di Limosano, nella impossibilità di ricavarlo dalle fonti, che irrimediabilmente tacciono,
si azzarda l’ipotesi, di una loro probabile partecipazione a favore degli Svevi e della parte
contraria al Papato,… Una tale ipotesi giustificherebbe il loro sicuro interesse a riprendersi la
titolarità del ‘Comitatus Molisij’, specialmente laddove si pensi alla forte instabilità, che ad
essi, politici ricchi di esperienza, non poteva certamente sfuggire, del potere dei ‘da Celano’,
ambigui ed opportunisti.
Tutto questo ovviamente in una fase storica, che a caratterizzarla è la ‘infidelitas’ facile oltre
che una mancanza di visione politica coerente nel tempo lungo asservita, più che al
ragionamento, all’istinto.
E sopra ogni altra cosa proverebbe quella scelta di campo la concessione del feudo di
Limosano ad Adenulfo, da inquadrarsi nell’opera di restaurazione, assai feroce, a cui venne
sottoposto anche il territorio molisano dal regime degli Angioini.
E ben si comprende così, e solo così, quella fiorente e fervente produzione di armi che
nell’abitato limosanese si dovette praticare più o meno di nascosto, ma attivissimamente. Le
caratteristiche del luogo, le ‘fucine’, dove si era diffusa e sviluppata, ne lasciano ben
363
364
Registri della Cancelleria Angioina.
ARCHIVIO VATICANO, Collect. T. 61 più volte citata (v. Capitolo I).
236
immaginare la notevole consistenza economica e la buona importanza militare per l’epoca.
Essa, in quanto probabile frutto di una ‘riconversione’ di quei laboratori dei ‘caldararj’, di
cui ai citati documenti dell’Archivio Vaticano, aveva radici lontane.
Del resto, solo lo spostamento, in seguito a decisione politica, di quell’attività da Limosano a
Campobasso, cosa ben documentabile ed assai nota, riesce a spiegare la conseguente e
contemporanea ‘crescita’, in danno del primo centro, che progressivamente declina, di questa
seconda città. Che si è ritrovata ‘ingrandita’ avendo preso sia da Limosano, come da Bojano e
dalle altre ‘civitas’ di essa più antiche e cariche di storia.
E ben si riesce in questo modo a spiegare, da ultimo, pure l’ostinato silenzio delle carte”365.
“Il feudo di Limosano, ‘se il silenzio delle istorie deve attribuirsi a difetto di mutamenti
feudali e di cambiamento (ma è più probabile che dipenda dalla volontaria e deliberata
distruzione delle cose del soccombente operata dai ‘vincitori’)’, fu degli Acquaviva e, dopo
qualche mese del 1417 in cui appartenne a Riccardo Aldomoresco, passò nello stesso anno al
ramo dei Gambatesa, che tenevano anche Campobasso.
Questa casata lo cedette a Francesco da Montagano, il quale ‘era Signore di Montagano e
tenne Limosano nel 1443’”366, “anteriormente e di non poco al 1443”367.
Che un ramo collaterale dei Gambatesa fissò dimora a Limosano e vi abitò a lungo lo prova il
fatto che, intorno al 1615, della famiglia di “Missere ioanp.ta Coccetta…” faceva ancora
parte “Madama (Ip)polita…, madre, (che era) figlia del mag.co m. Joafranc.o monforte
de’ gambatesa de anni 40”368.
“La più attendibile ricostruzione per l’epoca aragonese delle vicende del feudo di Limosano,
nonostante le differenti proposte (a) avanzate, è quella suggerita dal ‘Repertorium Provinciae
Comitatus Molisij’, che riportiamo nella sua prosa prolissa e confusa:
‘Nell’anno 1450 Re Alfonso per la morte di Francesco da Montagano, il quale ex
haereditate paterna pro communi et indiviso con Giacomo, suo fratello, aveva posseduto le
infradette Terre e castelli: Montagano, Frosolone, Guardialfiera, Castelluccio Acquaborrana
(Castelmauro), Limosano, Casacalenda, Provvidenti, Lupara, S. Angelo Limosano,
Campolieto, Ripabottoni, Matrice, Civitavecchia (Duronia), Chiauci e Molise, Luoghi
abitati, Montecilfone, Serramala (tra Montenero di Bisaccia e Guglionesi), Olivola (presso
Casacalenda), Collecanale (presso Guardialfiera), Collerotondo (in agro di Montagano),
Cascapera (tra Limosano e S. Angelo Limosano), Fontasaina (tra Guardialfiera e Lupara),
Cancellaria (?), Rocca Sassoni (in agro di Civitacampomarano), luoghi disabitati della
Provincia di Comitatus Molisij, oltre a S. Giuliano (di Puglia) e Rotello, luoghi della
Capitanata, investì don Giacomo, fratello dello stesso Francesco, pro se et suis Haeredibus,
mero mistoque imperio et gladio protestate, che così come detto Francesco ed esso Giacomo
ed il predetto (de) loro padre le hanno possedute come risulta in Q(uinternione). primo, fol.
139.
Quelle Terre e Feudi, essendone per la morte di don Giacomo devoluti alla Regia Corte, Re
Ferrante, l’ultimo di ottobre del 1477, vendette all’Illustre Gherardo di Appiano, figlio
terzogenito di Appiano di Aragona, Signore di Piombino, affine ed amico suo carissimo, e
precisamente Montagano, Casacalenda, Chiauci e Limosano, con i pagamenti fiscali dovuti,
e Provvidenti, Guardialfiera, Castelluccio, Lupara, Frosolone, Ripabottoni, Matrice,
Campolieto e S. Giuliano senza i pagamenti fiscali ‘cum omnibus eorum Castris, Fortellitiis,
365
BOZZA F., op. cit., pag. 118 e seg.
BOZZA F., op. cit., pag. 144. Si veda anche PIEDIMONTE G., op. cit., pag. 48. E della stessa opinione è
anche CIARLANTI G.V., Memorie…, V, pag. 159, quando afferma: “Limosano circa l’anno 1417 si possedeva
da Rizardo Aldomoresco Maresciallo del Regno, e la vendé poscia a Guglielmo di Gambatesa Conte di
Campobasso”.
367
MASCIOTTA G.B., II, pag. 201.
368
APL, Stato delle anime dall’anno 1579 all’anno 1635.
366
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venationibus, passagiis, Baiulationibus, Furnis, Molendinis, Baptinderiis platheis, Casalibus
abitatis et inabitatis Collerotondo, Fontesaina, sita in tenimento di Guardia, Lupara, Olivola,
Collecanale, Gerione, Rocca Sassoni, Avellana, S. Martinello e metà di Cascapera cum titulo
comitatus di Montagano, et cum integro eorum Statu per il prezzo di ducati ventiduemila et
cum promissione evictionis et integro eorum Statu’, come risulta dal Q. nono, fol. 88.
Nell’anno 1495 Re Ferrante II affermando di avere e di legittimamente possedere come cosa
recuperata da suoi incaricati stipendiati dalle mani dei suoi nemici, e precisamente la detta
Terra di Montagano, la città di Guardialfiera, ed i Castelli di Casacalenda, Castelluccio
Acquaborrana, Provvidenti, Ripabottoni, Campolieto, Frosolone, Chiauci, Matrice, e
Limosano, Salcito e Pietravalle inabitato del Contado di Molise, avendo riguardo agli ottimi
servizi di don Andrea di Capua, Conte di Campobasso e suo primo Camerario, il quale in
ogni tempo e fortuna gli si ritrovò sempre prontissimo e per mantenerselo fedelissimo, donò
quelle (Terre e Castelli) al detto Andrea per se e per i suoi eredi.
Per compensarlo di tali suoi servizi, ‘cum dicto titulo comitatus, cum castris, casalibus,
Feudis collectis utili dominio, debitis, censibus, Angariis, Perangariis et Herbagiis, siluis et
venationibus et piscariis, Ferreriis et Furnis, passagiis, Scannagiis bonis vacantibus, et
comictentium crimen lesa majestatis, portielania, Mercaneva, ponderum et mensurarum,
mero e primis et 2/dis causis et etiam contra commectentes crimen lesa majestatis’ con il
potere di esigere le tasse dei focolari e del sale in quei Castelli e sino alla somma che
riusciva a percepire il predetto Gherardo di Appiano, dal quale promette di liberarlo
immediatamente, con il potere di riconoscere (e di privare) i feudi quaternari ed i possessi
feudatari, come risultano descritti nei quadernoni della Regia Camera, da ora e per
l’avvenire allo stesso Andrea e suoi eredi con la facoltà che se fosse morto senza figli gli era
concesso che potesse trasmette tutto ciò a qualcuno dei suoi fratelli, per la presente
disposizione che sin da ora si munisce di assenso, così come appare in Q. primo, fol. 123.
Nell’anno 1496 Re Federico confermò al don Andrea tutte le Terre predette ed in più gli
concesse il Contado di Campobasso con anche annui 500 (ducati?) di pagamenti fiscali di
detto Montagano, ed anche la città di Termoli ‘cum jure exiture fractarum frumenti’ fino alla
somma annua di Lire (= ducati?) mille, ma non di più, e che se un anno non si potesse
esigere, la si incassi (extrahat) nel seguente. Inoltre Serracapriola, Ripalimosano (O)ratino,
Rocchetta disabitata che furono di Sforza Gambacorta, ed eredi del q:mo Fataguro. Inoltre
Gambatesa, con i suoi pagamenti fiscali e con tutti i diritti come anche i suoi privilegi. ‘Item
ad suae vitae decursum la Castellania di Manfredonia, iuxta dictorum quorum privilegiorum
formam criminibus, tamen lesae majestatis, Heresis, et falsae monetae et earum cognizione
pro publicatione bonorum, quae ratione dictorum criminum veniret imponenda vel faccenda
excaeptis’. come in Q. XIII, fol. 154’”369.
Del feudo di Limosano “la concessione e la conferma fattane ad Andrea di Capua, fedelissimo
degli Aragonesi, con tutta probabilità avvenne in quanto il precedente barone e, con lui, assai
verosimilmente tutta la popolazione avevano parteggiato per Carlo VIII, in occasione del
tentativo di costui di impadronirsi del Regno napoletano (a).
E che quello di Limosano fosse feudo molto appetibile, perché ricco, ed effettivamente
appetito dal di Capua, lo confermerebbe il fatto che “donno (o ‘dondo’) Andrea”, che pure
disponeva di diversi feudi tra le Terre ed i castella del Comitatus, in esso venne subito a fissar
dimora ed, almeno per periodi limitati dell’anno, vi risiedeva, se per lunghi secoli nella
369
BOZZA F., op. cit., pag. 160 e segg. Il testo riportato dall’A. è tratto dal REPERTORIUM PROVINCIAE
COMITATUS MOLISIJ, dattiloscritto anonimo presso la Biblioteca Provinciale di CAMPOBASSO, al
M945.719, pag. 9 e segg. A proposito del quale, in nota, l’A. aggiunge che “molti elementi fanno ipotizzare la
copia esistente essere una trascrizione di un manoscritto del XVI (o XVII) secolo, del cui originale si sono perse
le tracce”.
(a) Per una sintesi delle ‘differenti proposte’ si veda la nota 20 della pag. 160 dal testo dell’A.
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toponomastica delle vie di Limosano vi era il ‘loco ubi vulgariter dicitur a’ la platea de
donno Andrea’, così come riferiscono gli atti notarili almeno sino a tutta la prima metà del
‘700 (b). Situava quella davanti al palazzo baronale e non discosto da esso. (…).
Probabilmente sollecitato dallo stesso ‘donno Andrea’ di Capua, che, mosso da grande
ambizione e da mal celati interessi, mirava ad ottenere nella fase del passaggio al governo
vicereale quanto più possibile dal suo essere stato fedele agli Aragonesi, il nuovo re,
Ferdinando il Cattolico, gli fece ‘medesima confermazione nell’anno 1504, come appare in
Q. VIII, fol. 179’ (c).
‘Nell’anno 1512 al detto Andrea successe il di lui figlio Ferrante (o Ferdinando), il quale di
tutti i predetti possedimenti ebbe l’investitura nella forma ‘cum nonnullis declarationibus, et
depositionibus’, come è nel Q. XII, fol. 84.
Nell’anno 1516 Joanna et Cardus Peges confermarono quanto sopra al detto Ferrante in F.a,
come risulta nel Q. XIX, fol. 15.
Nel 1521, Ferrante essendo Governatore Generale della Provincia dell’Abruzzo e Capitano
d’armi vendette Montagano, Frosolone, Limosano, Lupara, Casale di Fontesaina,
Cascapera, Castelluccio Acquaborrana, Fossaceca con i Casali di Castelluccio, Colle Alto,
Tirella ossia Torella e Torre Francolise, Guardialfiera ed annue Lire (ducati?) 300 di
pagamenti fiscali di Fossaceca ad Annibale di Capua, suo zio, per un certo prezzo tra essi e
col patto ‘de retrovendendo’, come risulta dal Q. XX, fol. 136.
Ad Annibale di Capua, che possedette quelle terre, successe il figlio Vincenzo di Capua,
Duca di Termoli, il quale nel 1534 denunciò la morte del padre offrendo il ‘relevio’ delle
cose predette, come da richiesta Rel. 3°.
Nell’anno 1559 al detto Vincenzo successe nei predetti Feudi, ed anche in Termoli con annui
ducati 1080 di diritti portuali ed in Campomarino, Ferdinando di Capua, di lui figlio, il
quale ne denunciò la morte ed offrì il ‘relevio’, come da richiesta Relev(io) Settimo, fol. II.
Il quale Ferrante (o Ferdinando) al presente (all’epoca, cioè, della compilazione del
‘Repertorium’) possiede quanto sopra specificato’ (d).
A Ferdinando di Capua successe, ma se ne ignora la data, il figlio Ottavio, che fu l’ultimo dei
di Capua ad essere titolare di Limosano”370.
Se non per il feudo (ma, in certo qual modo, anche per esso), la crisi della “Terra, olim
civitas, li=Musanorum” tocca, durante la seconda metà del XVI secolo, il punto più acuto
della sua gravità. Iniziò con le ‘prohibitioni’ degli Angioini e le loro pretese di pagamento ad
Adenulfo non solo della “collectam S. Mariae”, ma anche di una ‘colta’ per i “pannorum pro
vestimentis eius et familiarum”. E’ da reputarsi essere di molto cresciuta nel non breve
periodo in cui il deliberato, ed affatto casuale, “silenzio delle istorie” si è fatto più ostinato. Si
era aggravata con i Monforte-Gambatesa, più interessati alla emergente Campobasso. Ed è,
con l’arrivo di Annibale di Capua, diventata ormai irrimediabilmente irreversibile.
Relativamente alla prima fase, quella iniziale e ‘socio-religiosa’, di tale crisi, quale il senso da
dare, se non di costituirne la sola parte visibile, a quel prepotente attacco, che ad essa fu
370
BOZZA F., op. cit., pag. 178 e seg. Si riportano, perché di qualche interesse, anche le relative note:
(a) ALLEGAZ. FORENSE “per la Università di Limosani contro dell’Illustre Marchese utile Padrone di detta
Terra”, Napoli 20 Marzo 1760, in Biblioteca Provinciale di Campobasso. “Dicono, che Ferdinando II di Aragona
nel 1495 in ricompensa delli serviggi prestati da Andrea di Capua conte di Campobasso, per la difesa, che fe
contro delli ribelli, nel fatto, restò privo di vita Gio: di Capua, che salvò la vita al Monarca. E liberò il Regno
dall’invasione di Carlo VIII Re di Francia, li donò perciò molte Terre, e Città per la fellonia di molti Baroni nel
contado di Molise, tra le quali vi fu Limosani”.
(b) La ‘Platea de’ donno Andrea’, negli atti notarili del ‘600, diventa talvolta la ‘Piazza di Santo Andrea’; pur
tuttavia negli atti del Notaio AMOROSO F.A., che iniziò a rogare nel 1712, la si indica assai frequentemente
ancora come ‘la Piazza di Don Andrea’.
(c) REPERTORIUM PROVINCIAE… cit., pag. 12.
(d) REPERTORIUM PROVINCIAE… cit., pag. 12 e seg.
239
contemporaneo, sferrato dagli “homines Terre Triventi qui diabolico spiritu instigati,
hominibus casalis Sancti Agnelli… vassallis Monasteriis, plura animalia abstulerunt nec
non commiserunt ignem, arbores inciderunt et terminos per quos distinguitur territorium
casalis a territorio dicte Terre Triventi, contra Deum et iustitiam evulserunt”371? Certamente
“le ‘indebite e continue turbative’ dovettero essere numerose, se si fu costretti a ricorrere
alla regia autorità, alla quale ‘exposuit in nostra presentia Guilielmus de Limosano clericus
devotus noster quod nonnulli laici, clericum ipsum in possessione ecclesiarum Sancte Crucis
prope Roccam Episcopi, Sancti Felicis de Petrafinda et Sancti Petri de Malamerenda… (nota:
tutte in prossimità della linea di confine e non lontane da ‘Cascapera’) ex collatione facta
sibi a Monasterio S. Sophiae de Benevento in Rectoriam rationabiliter tenit et possedit…
turbant indebite ac multipliciter inquietant…’”372.
A quell’attacco, tanto ruvido quanto deciso, certamente già si univano gli effetti tanto
dell’inserimento dei Francescani nel rapporto, tutto nuovo, con l’insediamento abitativo, che
da adesso prende ad assumere un ruolo diverso rispetto al passato, quanto “dell’abbandono
dell’antica ‘filosofia’ benedettina abbaziale che ai primi del Trecento avrebbe coinvolto
Celestini e Clareni”373 o ‘Fraticelli’, tutti movimenti religiosi che, chi più e chi meno
‘contestatore’, larga diffusione ebbero, condizionandone sviluppi ed economie di ognuno,
nelle immediate vicinanze dei centri più grandi. E Limosano ha visto allora stabilirvisi, se non
delle frange ereticali vere e proprie, sia i seguaci di Pietro Celestino che i Francescani, i quali,
però e quando inizia ad essere manifesta la sua crisi, nel 1340 si ‘spostano’, con la costruzione
del Convento di S. Francesco ‘della Scarpa’, anche a Campobasso.
Sui fattori che agirono nella seconda fase del decadimento della “Terra, olim civitas,
li=Musanorum”, quella ‘fisico-politica’, in cui il “silenzio delle istorie” diventa totale e, nel
contempo, si ha il concretizzarsi dell’emergere di Campobasso, è possibile proporre solo
ipotesi di alcune, ma diverse, concause che si combinarono insieme e tra loro interagirono..
La prima. Semplici raffronti tra i dati delle ‘Rationes decimarum Ecclesiae’ fanno registrare,
a partire già dal secondo decennio del XIV secolo, l’inizio di un significativo ed assai
profondo calo demografico, che, nel momento di maggiore acutezza, porterà la popolazione a
contrarsi di oltre il 60 per cento. A Limosano il numero degli abitanti, nel giro di un
cinquantennio, arriva probabilmente a scendere sino alle 1500 unità.
La seconda. Chi fa delle ricostruzioni storiche sul trecento molisano riferisce dell’andamento
climatico in maniera, nel migliore dei casi, generica ed approssimativa. Eppure ebbero a
verificarsi mutamenti tali che portarono a profondi sconvolgimenti sia nel socio-politico che
nelle economie dei ‘Luoghi’. “Le alluvioni del Biferno”374 diventate assai frequenti, oltre che
sui tracciati viari e sulle direzioni dei percorsi commerciali, sicuramente dovettero incidere, e
non poco, con modifiche radicali anche sui mezzi di produzione. Tanto che, per un certo
periodo e fino all’epoca degli Aragonesi, quando, con la ricostruzione delle ‘rocche’
finalizzate al controllo dei rinnovati sistemi viari ed economici, si correggeranno gli effetti
della politica angioina, il Biferno smette di avere un ruolo centrale e di traino nell’economia
degli insediamenti che situavano nelle sue immediate vicinanze.
La terza. E’ indubitabile che, con il rimanere esclusivamente città ‘pontificia’, Benevento, cui
Limosano era stata legata indissolubilmente per secoli, ha perso, e definitivamente, quel suo
specifico ruolo politico che aveva per lunghissimo tempo esercitato. Ed è altrettanto
indubitabile che la Napoli degli Angioini, diventando essa il centro della decisione politica,
371
ZAZO A., Chiese, feudi e possessi della Badia di S. Sofia, in SAMNIUM 1964, pag. 26.
BOZZA F., op. cit., pag. 97.
373
COLAPIETRA R., Profilo storico-critico del Molise da Federico II ai giorni nostri, Ripalimosani (CB) 1997,
pag. 10.
374
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 10.
372
240
inizia a rappresentare quella ‘capitale’ (in senso moderno) che sempre di più attira forze
sociali e beni economici da consumare. Conseguenza dei due eventi è, relativamente al
Territorio del ‘Comitatus Molisij’, lo spostamento dell’asse di interesse economico-politico
più verso la montagna, “integrandosi in un disegno essenzialmente pastorale ”375. Con la
conseguente perdita di importanza della fascia di media collina.
Del tutto naturale che le risultanze del combinarsi di tutti questi fattori spingessero verso
obiettivi diversi da quelli perseguiti in passato anche gli interessi militari.
In tale “chiave restauratrice della feudalità armentaria”, per rimanere negli ambiti territoriali
limitrofi a quello che era stato di Limosano, gli Evoli, conti di Trivento e di Castropignano, si
avvalgono di tale “vocazione feudale, pastorale e militare” dei due centri per esercitare, “con
sfumature in prevalenza ancora tardo medioevali, il controllo strategico delle grandi vie di
comunicazione, (ma) senza una intrinseca finalità di valorizzazione e potenziamento delle
risorse del territorio medesimo.
Non a caso Trivento funge da insostituibile cerniera tra i feudi del Caldora, appoggiandosi da
un lato a Vasto e dall’altro ad Agnone, lungo tutta la valle del Trigno”. E, da parte sua
Campobasso, “città non a caso al centro del disegno strategico dei Monforte, si orienta verso
la pianura non soltanto controllata e dominata dall’alto delle rocche, di una visione ancora
essenzialmente militare, feudale e tardo medioevale, bensì interpretata e valorizzata grazie
alla preminenza delle fiere e dei mercati connessi con la rete delle comunicazioni, e cioè dei
tratturi”376.
Emarginata, a motivo di fattori agenti tanto di natura fisica che politico-commerciale, dai
‘nuovi’ interessi e dai ‘nuovi’ dominatori, tutti (ma non quelli del nostro insediamento)
‘condottieri’ ed “uomini d’armi”, Limosano, che, per parte sua, non compie nessuna scelta
verso il ‘nuovo’, degrada, abbandonata al suo destino.
Pur se, nella riduzione schematica, esse non vanno lette nella stretta sequenza temporale, la
terza e, quando la decadenza si è fatta irreversibile, ultima fase della crisi, quella ‘delle
alleanze e tardo-feudale’, è caratterizzata, appunto, proprio dalle alleanze a favore degli
schieramenti ‘perdenti’ e, perciò, sbagliate da parte dei ‘domini’ titolari e “utili signori della
Terra” di Limosano. A differenza dei Pandone, filo Aragonesi, che con Francesco, “dopo un
primo nucleo costituitosi nell’alto Volturno tra il 1413 e il 1422, si era impadronito nel 1437
di Venafro, formalmente in nome di Alfonso d’Aragona, e quindi, contrapponendosi alla fede
angioina del Caldora, ma obiettivamente integrandosi con lui in un disegno essenzialmente
pastorale che, ritraendosi da(lla) Terra di Lavoro, si espande fino a Boiano ed al Matese
attraverso Carpinone (1440)”377, le famiglie ‘comitali’ che tennero Limosano, tutte, si
trovarono schierate dalla parte degli Angioini.
A questi (ma, se ancora nel primo decennio del ‘300 la situazione era assai florida, fu allora
scelta, pur non voluta, positiva) indubbiamente furono legati gli eredi di Adenulfo. E, così
come (senza avvedersi delle mutate condizioni politiche) lo dovettero essere gli Acquaviva
durante quel contrastato periodo relativamente lungo che si inizia dalla morte di Re Roberto
(1443), più che probabilmente furono di fede lealista verso chi veniva momentaneamente
impadronendosi del potere sia Riccardo Aldomoresco che i Monforte-Gambatesa, i quali
tennero Limosano in quel convulso 1417, anno in cui si registra più di un passaggio.
Il fatto, poi, che “quelle Terre e Feudi (tra cui Limosano), essendone per la morte di don
Giacomo (da Montagano) devoluti alla Regia Corte, Re Ferrante, l’ultimo di ottobre del
1477, vendette all’Illustre Gherardo di Appiano, figlio terzogenito di Appiano di Aragona,
Signore di Piombino, affine ed amico suo carissimo”, starebbe a dimostrare che pure i ‘da
375
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 16. Ci si scusa per l’adattamento del testo.
COLAPIETRA R., op. cit., passim.
377
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 16.
376
241
Montagano’, che, con Francesco, avevano ottenuto Limosano “anteriormente al 1443”, non
nascondessero le loro simpatie per i pretendenti angioini.
Gherardo di Appiano, il quale diventa “utile Signore” quando il destino della “Terra, olim
civitas, li=Musanorum” è irrimediabilmente segnato, dimora lontano, assai lontano, dal ‘suo’
feudo e, se non sulla carta e per ‘spremerne’ quanta più ricchezza possibile, non ne conosce
neppure la vera identità. Quella ‘Terra’ è, per dirla tutta, ridotta a meno di una pura e
semplice espressione geografica in una realtà, in cui “disagio economico e trasformazioni
sociali si congiungono ad articolare una prospettiva molto complessa, allorché la morte di
Alfonso vi ha aggiunto, a partire dal 1458, l’elemento sovvertitore dell’insurrezione baronale
e della guerra civile”378.
Ed, al riguardo, la dice assai lunga sulla figura e sull’atteggiamento politico di Gherardo, il
quale da “affine ed amico suo carissimo”, dovette trovarsi schierato (e fu cosa inopportuna)
contro gli Aragonesi nelle ‘congiure’ che, frequenti, si susseguirono in quel periodo,
l’espressione che anche Limosano fu “cosa recuperata dai suoi incaricati stipendiati dalle
mani dei suoi nemici”, Ed il passaggio ai ‘di Capua’ fu perché “li donò molte Terre e Città
per la fellonia di molti Baroni nel Contado di Molise, tra le quali Limosani”. Tanto che, ed
anche qui non è certo un caso, questa “Terra” venne privata della presenza del ‘Giustiziere’
di Terra di Lavoro, il quale, a partire dallo stesso anno (1495) della concessione del relativo
feudo a “donno Andrea”, il primo dei ‘di Capua’, non vi arrivò più per amministrarvi ed
esercitavi la giustizia per i fatti del relativo ambito territoriale. E, poiché era, al momento,
tutto quanto le rimaneva del passato splendore, tale privazione, vissuta dai contemporanei con
rassegnazione e quasi ‘nascosta’, dovette essere cosa non di poco conto.
Evidenti i riflessi ed i condizionamenti allo sviluppo delle singole realtà ‘feudali’ esercitati
dallo schieramento ‘politico’ del relativo “utile Signore”.
La scelta dei ‘di Capua’, i quali da tempo hanno preso coscienza delle mutate situazioni
politiche ed ambientali e di queste sono ‘espressione’ assai significativa e caratteristica, non
poteva non tenere conto ed essere condizionata dal fatto che “il congiunto Annibale (nota: il
quale, fratello di ‘Andrea’ e zio di ‘Ferrante’, che, a sua volta, era “Governatore Generale
della Provincia dell’Abruzzo e Capitano d’armi”, nel 1521 diventa titolare di Limosano) è
doganiere a Foggia”379. Il privilegiare il territorio alla destra del Biferno (basta considerare
quelle “ambizioni progettuali tutt’altro che trascurabili, che tra il 1500 e il 1515 avevano
attualizzato a Riccia un colloquio assai raffinato per il castello residenziale”) e le realtà ad
esso riconducibili altro non fu che conseguenza di tanto logica di quanto ineluttabile.
Ma “l’attrazione pastorale tanto favorita dalla grande feudalità dei Di Sangro e dei Di Capua
può minacciare di stravolgere l’identità della regione (e delle realtà insediamentali) ove ad
essa non ponga qualche argine e rimedio il ‘buon governo’” 380 e, con questo, una sana e
corretta gestione finanziaria dei patrimoni. Che non dovette sicuramente essere caratteristica
del “domino Ferdinando de Capua”, se è vero che “Ferrante de Capua de Termole… per
alcune sue occorrenze, et presertim per pagare, et sadisfare diversi suoi creditori”, il 20
Febbraio 1576, si vede costretto ad iniziare a vendere “senza patto de retrovendendo al
mag.co Dominico de blasijs de la Città de Trivento, la Città de la guardia alfieri…, con suo
castello…”. E meno di un anno dopo, il 16 Gennaio 1577, sempre per gli stessi motivi vende a
“Donno Nicolao guido Confalone de civi.te ravellj, ducatus Amalfie” i quattro feudi di
“goglionisij, s.ti Martinj, sancti Julianj et Montorij”381.
378
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 18.
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 25.
380
COLAPIETRA R., op. cit., pag. 30.
381
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE RUBERTIS Giovanni della piazza di Trivento, atti delle rispettive
date.
379
242
Ottavio di Capua, l’ultimo della famiglia ad essere titolare di Limosano, “rileviò”, quindi,
una eredità compromessa sia patrimonialmente che finanziariamente ed, insieme ad essa, un
destino irrimediabilmente ed irreversibilmente già segnato. Ed a lui, che pure volle vivere
lontano e senza ‘amministrare’ il suo feudo, a nulla valse il solo pretendere di “extrahere” da
esso il maggior quantitativo possibile di ricchezza finanziaria.
Se a tale ‘voracità feudale’ si somma quella ‘fiscale’ e le frequenti congiunture climatiche
sfavorevoli che fecero registrare al Notaio Ramolo Nicolamaria diversi anni di “nefasta
fame” tra il 1571 e gli inizi del XVII secolo382, altro non si ha per la Limosano di quel periodo
che un quadro, in cui sopravvive solo un feudo ‘immiserito’ e chiuso in se stesso accanto ad
una situazione divenuta drammatica per quanto attiene a tutti gli altri aspetti (sociali, culturali,
economici, di edilizia pubblica, finanziari, eccetera) caratterizzanti di quella ‘Terra’.
Già vi si dovette registrare, mentre era in atto l’ascesa ‘sociale’ della Chiesa di S. Stefano,
che, nel suo ‘essere’ blocco unico col ‘palazzo’ baronale, era stata fatta oggetto di maggiori
attenzioni ed, a lavori ultimati, subito riconsacrata dallo “episcopo de trittivero, nomine io:
bap.ta nellanno 1510, a li quattro de aprile”, una fase lunga, a motivo della pesante
situazione finanziaria in cui si dibatteva la “Universitas civium” limosanese, per la
“rifatione” di quella di S. Maria e difficoltosa per le altre opere pubbliche.
Ed i problemi di natura finanziaria si erano ancor più aggravati durante l’ultimo ventennio del
secolo. Tanto che per debiti di natura ‘fiscale’ la “Universitas civium” si vide costretta, il 19
Gennaio 1596, a vendere “in solutum e pro soluto a D. Ottavio di Capoa la parte del Casale
di Cascapera, la Selva delli Monti collo Vallo di Cicco, lo quarto della Sala, lo quarto delle
Cese e lo quarto della Foresta”, mentre, per parte sua, l’ultimo erede dei ‘di Capua’, già
intenzionato a vendere, comprava sia per rientrare da una esposizione creditizia fattasi poco
sostenibile che, di più, per far lievitare il prezzo del suo ‘feudo’ di Limosano. Infatti, dalla
‘ratifica’, avvenuta “die quarto decimo mensis Julij none ind.is 1596 in Terra limosani”
sempre per mano notarile383, dell’atto di vendita “rogato nella Città di Napoli per mano del
Notaio Ottavio Severino ‘esistente nella Camera’ del Notaio Domenico Castaldo” si ha che il
debito complessivo ammontava a ben 7164 ducati, tarì 1 e grana 13, parte dei quali, per ducati
2813, tarì 3 e grana 9, era stata (o doveva essere) corrisposta “corporibus introituum
victualibus bonis mobilibus et animalibus ut infra describendis et eidem donno Octavio in
solutum datis, et assignatis in satisfactione (vettovaglie, beni mobili ed animali)”. Che tali
somme fossero ingenti lo dimostra il fatto che i restanti 4350 ducati costituivano il valore del
corrispettivo totale dei cinque ‘corpi’ feudali venduti “cum pacto de retrovendendo”384.
382
Durante la seconda metà del XVI secolo si assiste (v. in ASC, Protocolli Notarili del Notaio DE CICCO della
piazza di Trivento) ad un generalizzato fortissimo indebitamento, dovuto al tipo di amministrazione ‘vicereale’
del Regno, sia dei baroni (a motivo della vita assai dispendiosa che conducevano) che delle ‘Universitas’, le
quali si vedono costrette ad indebitarsi “per le Carestie et penurie delli anni passati et per li passati fiscali et
per lo peso delli soldati de presidio contra forastieri”.
383
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio SANTORO Francesco Antonio (nativo di Limosano) della piazza di
Fossalto.
384
Notevole, per le indicazioni topo-geografiche e sulle strade, nonché sulle costumanze dell’epoca, l’atto di
terminazione stipulato, sempre per mano del Notaio Santoro, alcuni giorni prima e precisamente “nel giorno 8.°
del mese di Luglio 1596 nella Terra di Limosano e propriamente dentro il Convento di S. Francesco.
Nel predetto giorno si sono costituiti alla nostra presenza: Ferdinando de Capoa (forse figlio di Ottavio), da
Napoli, che agisce nel seguente atto in nome e conto di Ottavio de Capoa del Balso, da Napoli, suoi eredi e
successori, da una parte; Giovan Battista Ramolo ed Antonio del Gobbo, sindici della Terra di Limosani per il
presente anno, che ugualmente agiscono nel seguente atto in nome di tale carica e per parte di detta Università
ed uomini della suddetta Terra di Limosani, loro posteri e chicchessia in perpetuo, dall’altra parte.
Le parti suddette, come indicate, con il di loro ‘vulgari sermone’ affermano davanti a noi e dicono come nei mesi
passati per essa Università ed in suo nome a mezzo di: Gio:Batta Ramolo, Gio:Batta Ursino, Pietro Ranallo e
Aloisio Marinaccio, Procuratori di essa Università ed uomini di detta ‘Terra delli mosano’, diedero e
consegnarono ‘in solutum et tro soluto’ al detto Ottavio de Capoa per docati 4350, (somma) che detta Università
243
Il distaccato Notaio, per il ruolo svolto, racconta che “nel predetto giorno, per le preghiere a
noi fatte per conto dell’Università e degli uomini della Terra di Limosano della Provincia di
Contado di Molise, ci siamo recati alla Casa della predetta Università sita e posta dentro la
predetta Terra di Limosano…, dove l’Università stessa per le decisioni da prendersi è solita
riunirsi ed, appena ivi arrivati, vi abbiamo trovato e si sono costituiti alla nostra presenza:
Gio:Batta Ramolo, sindico per il corrente anno della Terra suddetta, Giacomo de Addario,
Aloisio Marinaccio, Gio:Batta Orsino, eletti al governo ed all’assistenza dell’Università
predetta per il corrente anno ed i seguenti cittadini ed Uomini di detta Terra: Giovanni
Antonio de Paolo, Fabio Ramolo, Giovanni de Anselmis, Aloisio MarcoAntonio, Antino
Perrocco, Angelillo Perrocco, Alfano de Germano, Giuseppe (figlio) di Franc.o de
ed i ‘particulari’ (= singoli cittadini) di essa dovevano al detto Ottavio in parte di una maggiore somma, e gli
vendettero i sottoindicati ‘Corpi de Territorij’, e sono: ‘la parte dello feudo di cascapera’, ‘lo quarto’ detto ‘li
monti et lo vallo di cicco’, ‘lo quarto detto la foresta’, ‘lo quarto detto le cese’, e ‘lo quarto detto la sala’,
come risulta da pubblico istrumento di detta vendita e ‘in solutum datione fatta seu fieri’ rogato nella Città di
Napoli al 19 del mese di gennaio del presente anno 1596 per mano del Notaio Ottavio Severino ‘esistente nella
Camera’ del Notaio Domenico Castaldo, al quale si faccia pieno riferimento.
E siccome che ‘a detti Corpi de territorij’ non furono assegnati né bene indicati i confini e né fissati i termini, ed
al tempo che furono stipulate le surriferite scritture ‘de detta vendita et in solutum datione’ per parte di detta
Università fu promesso in esse che tali confini e termini fossero assegnati e messi per il tramite di Gio: Formica,
barone di S.to Angelo Limosano e (del) Notaio Ant.o Santoro, come è indicato e risulta da detto istrumento, e
poiché detta Università ‘et homini de essa’ intendono rispettare quanto per mezzo di tale istrumento dai suoi
procuratori è (stato) promesso e per adempiere a tale patto e fare assegnare e porre tali termini ed il confine,
oggi, predetto giorno, senza forza o costrizione, ma in piena libertà, le nominate parti come indicate si sono
recate dal predetto Gio: Formica, come sopra Barone, ed insieme a detto Notaio Antonio accompagnati dai
seguenti altri cittadini, da essa Università a tale scopo designati, che sono: Pietro (figlio) di Gregorio
Ranallo, Santuccio de Angnelillo, Francesco Corvinella ciamberlengo nella detta Terra, Donato Antonio
de Alena, ‘Iando’ Covatta, Antino (figlio) di Antonio Buccero ed Aloisio de Angnelillo ‘molinaro’ (si sono
recati) sopra alli prenominati Feudi e terreni, che unanimemente e di comune accordo hanno ‘terminato et
confinato’ detti terreni nel modo seguente.
‘In primis (il) confine delli monti fiorani et vallo de cicco con (i) territorij attorno’ segue questo percorso:
incomincia ‘dallo lemito’ che è termine al confine del territorio e ‘Casale de Ferrare’ con Limosano, passa ‘per
la strada puplica traverso che và allo Lucito’, esce ‘vicino lo peschio della Battaglia’ al lato di sopra ed
arriva, sempre per la strada, ‘allo mezzone de cerqua’, che sta nella strada pubblica sopra al terreno del tal
Francesco Ritio; su tale ‘mezzone’ a vero segno di termine e di confine è stata fatta da essi sindici ed uomini
‘deputati’ una Croce. (Il confine) ‘seguita per detta strada traverso insino ad un altro mezzone’ vicino alla strada;
accanto ‘ a detto mezzone vi stà una preta grossa ferma’ ed entrambe, ‘preta et mezzone’, servono da confine.
Anche ad esso ‘mezzone’ è stata fatta ugualmente un’altra Croce. ‘Dalli detti preta et mezzoni’ (il confine) ‘tira
traverso subiungendo capo suso’ per il terreno che fu del tale Antonio Perrocco, esce per un’altra ‘cerqua grossa’
ed arriva ad un’altra ‘cerqua’, cui ugualmente è stata fatta la Croce e ‘la quale serve per l’altri termini et
confine’. ‘Da detta cerqua seguitando per detto corpo capo suso’ (il confine) esce ‘ad un’altra cerqua grossa’,
che ‘stà incoppa de detto territorio’ del detto tale Antonio Buccero, in confine col terreno del Sig.r Marchese ‘de
goglionisi’. Anche a tale ‘cerqua’ è stata fatta ugualmente la Croce, (ad indicare) che serve da confine. ‘Da detta
cerqua tirando capo suso’, (il confine), passando per lo territorio del Signor Marchese, giunge alla strada
pubblica ‘foro de detto territorio’, ‘dalla strada publica reincomincia’ vicino ad essa ‘alla fratta di coppo della
vigna de Gio:batta Coccetta’, passa ‘per lo territorio della Corte suso et esce allo mezzone sicco che stà in
confine fra lo territorio della Corte et de Franc.o Corvinella’, al quale ‘mezzone’ si è fatta la Croce che serve da
confine. ‘Da detto mezzone tira capo suso et esce ad un altra cerqua grossa che stà vicino alla fratta de coppo’
della vigna, che fu di Antonio de Marco; anche ad essa si è fatta similmente la croce (ad indicare) che serve da
confine. ‘Da detta cerqua camina traverso (la) fratta di detta vigna et esce (alla) fratta sopra lo vignale con olivi’,
che fu del tale Gregorio de Biasio. (Il confine) ‘da detto frattale seguita per direttura vicino alla fratta de coppo
de Gio:batta de Lisolis sotto la vigna de Bonadie’, che resta ‘franca alla Università’, tira poi ‘suso et esce allo
pizzo de coppa della vigna’ di Pietro (figlio) di Gregorio Ranallo, (ancora) ‘tira capo suso et esce alla cerqua
ditto lo collo (di) S.to Antonio che sta nella strada puplica’, cui si è fatta una Croce; ‘tira per la strada puplica
suso detta delli lancianesi’ ed arriva ‘allo laco maiuro’, che è comune, ‘et da loco tira capo suso per la
strada insino allo territorio che confina con S.to Angelo allo titulo dove è la Crocella’. (Il confine) passa
‘per detta confina de S.to Angelo’, ‘tira allo vallone della fonte del tufo et camina sempre vallone abascio
244
Angnelillo, Martino de Luca, Benedetto Buongiorno, Giuseppe de Angnelillo, Giovanni
Giacomo de Rubeis, Bartolomeo Paganello, Angelo de Rubeo, Antonio Bonadia, Giuseppe de
Rosalia, Rocco de Pardo, Annibale de Ricciuto, Giovanni Molinario, Ferdinando de Ricciuto,
Antonio de Laurenzio, Pietro Marrone, Antonio Perrocco, i fratelli di Bartolomeo de Cicco:
Troiano, Giacomo e Martino, Francesco Corvinella, Donato Antonio de Alena, Pasquale de
Minicuccio, (?) Angnelillo, Antonio de Grego, Giuseppe (?), Libero Corso, Giovanni
‘magister’ Lodovico, Pietro de Lisoli, Livio Rubeo, Marco Antonio de Bonadia, Marino
Fracasso, Aloisio del maestro Angelo, Giovanni Antonio de (O)nofrio e moltissimi altri in
gran numero della parte più anziana dei Cittadini e degli uomini di detta Terra, rappresentanti,
a quanto dissero, di tutta la suddetta Università, riuniti e radunati insieme in detto luogo, ivi
richiamati da Pietro de Amico, messo e giurato della detta Terra ugualmente presente”.
E tutti, forse per ripartire da zero, ‘ratificarono’ la vendita. Ma è del tutto evidente che il
ruolo della “Terra, olim civitas, li=Musanorum” è, rispetto al passato, radicalmente e
strutturalmente mutato.
Assai difficoltose dovettero risultare le operazioni di incasso se, era il 27 Febbraio 1599385,
“… io, Ottavio de Capua del Balso, da Napoli, non volendo mancare alle cose infradette,
ma, non potendo essere presente per la distanza del luogo e per (poter seguire) l’interesse di
altri miei affari, anche se assente, ma come se fossi presente, con atto fiduciario del Notaio
Donato Antonio Santoro della Terra di Limosano faccio e costituisco lo stesso Notaio Donato
Antonio Santoro mio procuratore a chè in tale veste ed in mia vece riceva quel tal prezzo del
pezzo di terra o ‘quarto di territorio detto la Sala’, che gli si deve consegnare per la vendita
‘in solutum’ dalla Università e dagli uomini della Terra di Limosano per il prezzo di ducati
insino alla confina del casale de Ferraro’. ‘Seguitando per detta confina frà firraro et limosani insino
abascio alla strada che và allo lucito detto la strada de S.to Andrea et se tira a detto lemitone vicino (a)
detto peschio (del)la battaglia’.
‘Item la foresta della banda di sopra cam(m)inano le confine come stà(nno) li termini con la Università de S.to
Angelo et poi seguita(no) per lo vallone abascio insino alla strada detti delli lancianesi, tira(no) sempre,
esco(no) vicino a detta strada insino alle vigne et dall’altra… la strada puplica che sé va a S.to Angelo’.
‘Item la defensa detta le cese’ è terminata nel seguente modo. (Il confine) ‘incomincia dallo vallone colle
russo abascio seguitando sempre (per lo) vallone insino alla strada puplica detta la strada de Campobasso et
poi traverso sempre per detta strada seguitando insino (a) faccia fronte (fino ai luoghi) detti peschij. (Esso)
camina sempre per la serra suso’ fino alla strada pubblica ‘detta la Crocella’; da questa ‘torna per traverso
sempre per (la) strada’ ed esce sotto alla vigna di Bar.o Cammerario. Seguitando sempre per tale strada pubblica,
ritorna nuovamente a ‘detto vallone de colle russo’.
‘Item li territorij’ del luogo detto la Sala sono terminati nel modo seguente. (Il confine) incomincia alla ‘strada
puplica dello fiume nominato Biferno’, che si chiama ‘lo passo della Cuvatta’, passa sempre per la strada
pubblica ‘suso insino alla strada che se piglia per andare alla fonte della valla seguitando per lo frattale
traverso che esce sotto a detta fonte et se ne vè(ne) sempre (per la) strada insino a fonte faucione alla confina
che è fra S.to Angelo e Limosano’. Per il resto confina da ogni lato ‘con lo casale de Castelluccio et territorij
de Fossaceca (= Fossalto)’.
Quanto sopra, dichiarando che le predette ‘cerque cruciate’ sono tutte in beneficio del detto Signor Ottavio (e
che) i prenominati confini e termini, così come sopra fissati ed attestati, sono stati posti ed assegnati dal detto
Gio: Formica, come sopra Barone, (e) con la presenza, l’intervento, il beneplacito, l’assenso ed il consenso del
predetto Not.e Antonio e del detto Ferrante di Capua, come sopra nominato, e di essi prenominati Sindici et
particulari di detta Terra, come sopra indicati e menzionati.
Et promiserunt et convenerunt ambe partes… (seguitano le formule di rito).
Praesentibus:
Valerio Caserio di S. Angelo Limosano, Regio Giudice ai contratti
Gerolamo Cannavino di Montagano Cap.o ‘nelli mosano’
Pompeo Capillo della Terra di Limosano, ‘litterato’
Marco Antonio Lucchese di S. Martino, ‘litterato’
Lucio Gravina Mastrodatti ‘nelli mosano’
Pietro Antonio de Giacomo della Terra di S. Angelo Limosano, ‘litterato’”.
385
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio SANTORO Francesco Antonio.
245
2300, che a me fu dato ‘in solutum’ dall’Università ed uomini di essa in parte dei 4350 ducati
col patto di ricompra in virtù del pubblico istrumento ‘fatto seu fieri rogato’ per mano del
Notaio Ottavio Severino nella Città di Napoli”. Nel frattempo cede i predetti ducati 2300 da
ricevere o da raccogliere in ricezione presso la stessa predetta Università ed uomini al fine di
quelli (= i 2300 ducati) impiegare in acquisti di entrate di (beni) burghensatici in ragione
dell’otto per cento, dettando tutte le clausole, i patti, gli impegni e le rinunce necessarie ed
opportune da farsi secondo le sue precise indicazioni.
Svuotato il suo feudo di ogni ruolo ‘politico’ e ridottolo a puro ‘oggetto’ amministrativo e
finanziario, quello stesso anno (se non già in precedenza) “volgendo al termine il secolo XVI,
Limosano venne alienata – non si sa bene se dai di Capua (nota: come sembrerebbe più
verosimile) o dalla Regia Corte – a tal Giambattista Sedeolis”386, il quale era una delle tante
espressioni di quella classe ‘borghese’allora emergente, assai ‘arrivista’, che, usando della
‘burocrazia’ esattoriale, veniva accumulando ingenti fortune, di frequente impiegate, poi, più
per allinearsi ed entrare a far parte della casta dei ‘nobili’ e mai negli investimenti legati alle
attività di produzione. A quest’ultimo vennero ‘girati’ anche i diritti delle “entrate delli
Territorij, e difese” che il Barone aveva comprato “dalla Terra di Limosano con patto de’
retrovendendo per prezzo di ducati 4350, come appare cautela Mag.ci Sig.r Not.
Gio:Vincenzo Cavaliero, le quali sono precisamente la metà della Difesa di Cascapera, li
Boschi delli Monti, le Difese di Cesa, e della foresta, e della Sala, Territorij tutti bene per
seminar vettovaglie, e pascoli”.
“Era nel 1613 Barone di Limosani Giambattista Sedeolis”. Ma, “esercitando egli la carica
di Percettore di Terra di Lavoro, risultò Debitore in molte migliaia di ducati, per cui la
Regia Corte procedé al sequestro, e vendita del Feudo di Limosani”, le cui operazioni ‘sub
hasta’ rapidamente si conclusero lo stesso anno, rimanendo quello a beneficio di D. Fabio
Campanile. Ma, come allora si costumava, appena dopo il ‘sequestro’ subito “fu ad istanza
della Regia Corte destinato l’Ingegniere Dionisio di Bartolomeo a far l’apprezzo di quel
Feudo che fecesi d’ordine del Regio Fisco nel 1613”387. Terminate le sue operazioni di
verifica e di ‘apprezzo’, che, a causa del periodo estivo, furono assai solerti e vennero
concluse rapidamente, l’Ingegnere Camerario incaricato ne presentava la relativa ‘relazione’
finale già in data “de’ 10 Luglio 1613”.
E’ di pochi mesi più tardi, precisamente del 29 Novembre 1613, la “Captio Possessionis
Terre Limosani pro V.J.D. Fabio Campanile de Neapoli Barone Terre p.tte”, acquistata per
16.000 ducati. Il nuovo ‘barone’ venuto di persona da Napoli, attorniato da un gran numero di
persone, che “volevano dimenticare la cattiva ed esosa gestione del Sedeolis”, alla ‘porta del
baglio’ veniva immesso “in veram, realem, corporalem, pacificam et expeditam
possessionem Terre Limosani civium et altris et alterorumcumque creditibus, mero mixtoque
imperio, gladii potestate… per ianuam ipsius entrando, exeundo, eamdem aperiendo,
claudendo, ambulando, movendo, entrando, ascendendo, circumspiciendo integrum
territorium dicte Terre, mensura, defensas plura, prata, casalia, et loca habitata, et
inhabitata,… claves ipsius Janue recipiendo a manibus Angeli Russi, Sindici”388.
Nonostante la evidente fretta del nuovo ‘barone’, i limosanesi di allora, rimasti delusi già altre
volte, attesero l’assenso, del 30 Aprile 1615, da parte del Viceré Conte di Lesmo, prima di
stipulare l’atto, era il 19 Novembre di quello stesso anno, del giuramento di fedeltà e del ‘ligio
homagio’, da presentarsi “con patto che il d.o Signor Barone l’habbia da firmare, et
386
MASCIOTTA G.B., II, pag. 201. Sembrando lacunosa assai e molto confusionaria la ricostruzione
successoria sul feudo di Limosano fatta dal PIEDIMONTE nell’opera più volte citata, si stima di non essere il
caso di neppure riportarla.
387
ALLEGAZ. FORENSE, Per la Università di Limosani contro dell’Illustre Marchese utile Padrone di detta
Terra, Napoli 1760, in Biblioteca Provinciale di Campobasso.
388
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DI BARTOLOMEO Francesco della piazza di Ripalimosani.
246
osservare Tutti i Capituli, consuetudini dell’Uni.tà scritte et non scritte, come sono stati
osservati dall’altri Antiqui Sig.i di questa Terra”389.
I diversi atti di “Emptio et insolutum datio Introitum”390 da moltissimi ‘capi famiglia’ di
Limosano a favore del “Dottore Fabio Campanile de Neapoli” sembrerebbero documentare
un’amministrazione ‘paternalistica’, almeno per la fase iniziale, da parte del nuovo ‘barone’.
Al “Dominus Januarius Campanile”,”filius Jacobi” e nipote di Fabio, che già nel mese di
Maggio 1652 è ‘barone’ con, probabilmente, la residenza, almeno estiva, nella ‘sua’ “Terra
limosani”, si deve sin dai primi anni in cui ha ereditato il feudo il rifacimento, nella struttura
così come di massima è al presente, del “Palazzo Baronale”, risultando questo, intorno al
1670, “nuovamente fatto per d.o D. Gennaro” e completato.
Contrariamente alla opinione del Masciotta (che vorrebbe solo due titolari), quindi, almeno tre
furono le generazioni dei ‘Campanile’ che tennero il feudo di Limosano, così come, del
resto, risulta da una “fides, seù intercetera instrumenti Emptionis Limosani”, dalla quale si
apprende che “à diece di Giugno mille seicento settanta il D. Gennaro Campanile Barone
della Terra di Limosano della Provincia del Contado de’ Molise figlio primogenito, et herede
in feudalibus del fu D. Giacomo Campanile similmente figlio, et herede in feudalibus del fu
D. Fabio Campanile Seniore… ha fatto vendita liberamente, e senza patto alcuno di
ricomprare al I. D. Domenico Rubostella della sopradetta Terra di Limosano…, con il suo
Palazzo, seu Fortezza, Case, huomini Vassalli, servizi di Vassalli,…”391; anche se ad una tale
scrittura si deve assegnare valore di semplice ‘compromesso’, essendo che solo “con
istrumento del 18 novembre 1670”392, “stipulato in Curte Neapoli manu Mag.ci Notarij
Caroli Gratiani”, si formalizzò concretamente la vendita, il cui corrispettivo, fissato in 17.000
ducati complessivi, fu pagato ratealmente con un’ultima parte (probabilmente 1000 ducati)
saldata definitivamente “à primo di Giugno 1674”393.
Nonostante le congiunture demografiche sfavorevoli, la più grave delle quali tra il 1656,
quando inizia a manifestarsi il timore del “conthaggio”, ed il 1658, il ‘buon’ governo dei
Campanile sembra aver portato, oltre alle attenzioni per il loro feudo manifestatesi nel
‘rifacimento’ del Palazzo, ad un certo risanamento finanziario delle casse dell’Università. Le
cresciute disponibilità monetarie, accompagnate all’atmosfera rivoluzionaria che i fatti del
1647 con Masaniello avevano portato anche lontano da Napoli, avevano spinto già nel 1655,
probabilmente per ‘legalizzare’ l’operato del 1652394 che si era concretizzato in sequestri se
non in veri e propri saccheggi, la stessa “Università e li particulari a vertere lites,
differentias… cum m.co Januario Campanile super petitionibus factis (= richieste)… et
signanter su quella della ricompra dei corpi alienati et sunt la selva detta di fiorani, Casal
di Cascapera, la defensa della foresta, la defensa delle Cese, la defensa della Sala; per il
pagamento della bonatenenza del territorio alli Puzzillo, et Collo di S.to Antonio. Per li
animali pecorini et bovini per spatio di vent’anni; per il pagamento della bonatenenza
reservata per spatio di anni trentasei a ragione di ducati 50 l’anno, per la bonatenenza del
389
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio D’ATTILIO Giulio Cesare della piazza di Lucito. Relativamente ai
‘Capitoli’ (dei quali, però, non è stato rinvenuto alcun testo), va detto che per aggiornarli (ma più perché erano
assai spesso disattesi), dopo che il Mastro di Campo D. Domenico Robustella sarà diventato il nuovo “Utile
Padrone” di Limosano, “è risoluta questa Università formare li capitoli nuovi, acciò detto Signore, quelli
riconosciuti, si degni confirmarli…”(v. atto del 24 Maggio 1673 del Notatio CARRELLI Giandonato della
piazza di Fossato). Tali “Capitula municipalia” ascendevano, nel testo aggiornato, “ad numerum sexaginta
novem (= 69)”.
390
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio LOFFREDA Giuseppe della piazza di Lucito.
391
ASC, Fondo AMOROSO, Memoriale ovvero Repertorio di antiche scritture, Zibaldone IV, pag. 188.
392
ALLEGAZ. FORENSE, Per l’Università… cit., pag. A2r.
393
ASC, Fondo AMOROSO, Memoriale ovvero Repertorio di antiche scritture, Zibaldone IV, pag. 189.
394
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani. Atto del 7
Luglio 1652.
247
palazzo novo fatto con laverci incorporato sei case di particolari, per le vigne, forna,
trappeti,…”395.
La lotta per riottenere la ‘ricompra’, almeno parziale, della terra aveva iniziato a portare i suoi
frutti se l’8 Dicembre 1670, riunitisi per ratificare l’atto del 18 Novembre, i “costituiti
Dominicus Lucito Sindicus pro presenti anno Universitatis Terre Limosani, nec non Carolus
Sabetta, Aloisius Pasquale, Jo.es Batta Corvinella, et Fabius Ramolo eletti ad regimen et
gubernium Universitatis et homines d.e Terre asseruerunt… diebus elapsis V.J.D. Joannem
Antonium del Gobbo d.e Terre Limosani uti Procuratorem specialem constitutum ab
eadem Universitate divenisse ad quamdam Conventionem cum Ill.mo D. Dom.co Robustella
Tribuno militium et hodierno Barone et D.no eidem Terre… perché l’Università si è
convenuta di buon accordio, et per quiete, et sollevatione de suoi Cittadini con l’Ill.re M.ro di
Campo Robustella nostro nuovo Padrone, che Dio guardi, ottenere la ricompra delle defense
dette La foresta e Cascapera in prezzo di docati seicento, per la quale con altro Conseglio
Generale se ne fece Procura in persona del mag.co Dott.re Gio: Ant.o del Gobbo nostro
Concittadino per la stipulazione del contratto da farsi, il quale Dottore con l’assistenza di
Carlo Sabetta et Gio:Batta Corvinella persone del Governo, et di Aloise Gio:Cola Cittadino
che vi assisteva in Napoli nella lite dell’Università, ne ha stipulato con detto Mastro di
Campo in d.a Città di Napoli publico contratto con quelli patti et condizioni che in quello si
contiene à beneficio dell’Università” presero atto della ottenuta ‘ricompra’ stipulata lo stesso
giorno in cui era avvenuto il passaggio di proprietà del feudo.
Ma, a riprova del grande interesse che rivestiva la zona di Cascapera, tale ‘ricompra’ veniva
messa in discussione ancora intorno alla metà del XVIII secolo (ma allora lo scontro
rivendicativo era nella fase terminale, per cui si ricorreva anche ai colpi propibiti), quando
“Die prima mensis Februari Millesimo septincentesimo quinquagesimo primo (1° Febbraio
1751) Neapoli, et in domo propria Infrap.ti Dom.ni Marchionis Limosani sita retro Ecclesiam
Spiritus Sancti, l’Illustre Signor Don Francesco de Grazia Marchese di Limosani… spon.te
ave asserito…, come nell’anno 1670 possedendo la sud.a Terra di Limosano il fù M.ro di
Campo D. Dom.co Robustella, e con essa tutti i Casali, e Feudi Disabitati, trà quali il Feudo
quaternato chiamato Cascapera disabitato in Capite à Reg.a Curia de jure Francorum,
quale S. M.ro dè Campo D. Dom.co , Barone di d.a Terra, coma sop.a quanto prattico, e
prode nell’Armi, altretanto inesperto nelle leggi, à 18 del Mese di Novembre di d.o anno
1670, mediante Istr.nto stipulato per mano del q.m Not.r Carlo Graziano di Napoli, vendé,
e cedé all’Università di d.a Terra di Limosano frà l’altre la mettà di d.o Feudo quaternato
di Cascapera per lo vil prezzo di docati trecento,… (…). … fù il sud.o contratto riguardo il
sud.o Feudo, ipso jure nullo. (…). … ma per ogni miglior modo, e via, ne ha rivocato,
irritato, ed annullato, siccome rivoca, cassa, irrita, ed annulla il sud.o Istrumento in
quanto all’alienazione, e dismembrazione della mettà di d.o Feudo di Cascapera come
sop.a fatto dal d.o fù M.ro di Campo D. Dom.co Robustella in beneficio della d.a Università
della Terra di Limosano in virtù del sud.o Istrum.to de 18 Novembre 1670…”. Una copia
estratta dell’atto, per mano del Notaio de' Falco ‘de Neapoli’, arrivò dopo pochi giorni a
Limosano. Tanto che il Notaio Amoroso, prima del 15 dello stesso mese, “a’ fine di doverveli
notificare… ve ( = al Sindico ed eletti) lo notifichiamo, e ne rilasciamo nelle vostre proprie
mani altra consimile copia con essa confrontata, e comprobata, affinche non possiate
allegare scusa d’ignoranza,…”396.
Il ‘Mastro di Campo’, o ‘Tribunus militum’, Don Domenico Robustella, che, già anziano, lo
avrebbe comprato probabilmente per i suoi discendenti, tenne il feudo di Limosano, dove nel
frattempo si è fatta più visibile la contrapposizione tra i ‘demanialisti’ sostenitori di una certa
395
396
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DI BARTOLOMEO Francesco della piazza di Ripalimosani.
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio AMOROSO Francescoantonio della piazza di Limosano.
248
autonomia degli ‘homines ad gubernium et regimentum’ ed i ‘feudalisti’ schierati dalla parte
del ‘barone’, emersa nel periodo dell’ultima generazione dei Campanile, appena sette anni. E’
quanto può leggersi in quella circostanza, per cui, nell’assenza, cosa assai singolare, di ogni
partecipazione da parte degli ‘homines ad gubernum’ dell’Universitas civium di Limosano,
“Don D. Scipione Robustella filio primogenito Do.ni Tribuni Militum D. Dom.ci Robustella
Do.ni et p.ni Terre Limosani” insieme ai soli ‘eletti’ di S. Angelo “in Territorio inter Uni.tem
terre S. Angeli Limosani, et Uni.tem terre Limosani… in loco vulgariter dicto, Fonte
falcione, prope d.m fontem,… asseruerunt et dixerunt come per la vicinanza et confinanza…
vi sono nate alcune differenze di confine alla parte nominata e chiamata Colle Vaccaro, et
ancorche vi sia Istrumento corroborato et asservito in publica forma rogato per mano del
q.m Not.r Paduano di Luca della Terra di Gambatesa sotto li sei del mese di giugno
dell’anno mille cinquecento quarantasette”, per risolvere le quali “le parti dicono essere
venute in convenzione et concordia di fare venire un Compassatore per fare compassare et
squadrare d.e confine”, nella persona di “Loffredo Dardinello della Terra di S.to Elia
Compassatore ordinario et Architetto”397.
E non può non ricondursi che a quella contrapposizione anche la ‘risposta’, di qualche mese
più tardi (v. nota 44), con la quale si confermava che “è risoluta questa Università formare
li Capitoli nuovi, acciò detto Signore, quelli riconosciuti, si degni confirmarli”, i quali
“Capitola municipalia”, così riformulati, ascendevano “ad numerum sexaginta novem”.
Difficile dire se fu la presa di coscienza di una tale situazione di ‘scontro’ tra l’Università ed il
proprio ‘utile Padrone’ o il presumibile accordo prematrimoniale, con cui Don Francesco di
Grazia impegnava uno dei suoi eredi, Giuseppe, allora quattordicenne, a sposare la figlia di
Don Domenico, Paola (troveremo entrambi, lui 29 e lei 17 anni, sposati e con il primo figlio,
Emanuele, di soli tre mesi a risiedere nel marzo del 1692 a Limosano) di circa due anni, a più
condizionare la decisione di quest’ultimo di vendere il suo feudo.
Il passaggio di proprietà dal ‘Tribunus militum’ Domenico Robustella, il quale lo vendette
“libere et absque ullo pacto rehemendi ipso Domino Francisco de Grazia”, si ha per gli
effetti del “publico instrumento rogato manu Notarij Caroli Gratiano die tertia decembris
anni millesimi sexcentesimi septuagesimi septimi (= 3 Dicembre 1677)”.
Stranamente (o, forse, deliberatamente?) il nuovo ‘barone’ non dimostrò nessuna fretta di
prendere il possesso del ‘suo’ feudo della Terra di Limosano, che, questa volta, non fece
neppure di persona, ed aspettò il 26 Febbraio dell’anno seguente, “non volens ipse D.nus
Franciscus ad infrascripta vacare, aliis de causis impeditus”, a nominare come “suum
Procuratorem” il “magnificum Joannem Carolum Luongo in dicta Terra Limusani
commorantem, absentem uti presentem, ad procuratorio nomine, et prò parte ipsius Domini
397
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio CARRELLI Giandonato della piazza di Fossaceca. Dall’atto, del 25
Settembre 1672, risulta la seguente ‘terminazione’: “In primis si è posto il primo termine… vicino lo Vallone di
Colle Vaccaro con le lettere alla parte di S.to Angelo di una S. et una A. et alla parte di Limosano di una L. et
una M. con una Croce fatta sop.a d.o termine, quale stà all’Incontro d’una Pietra grossa che stà in mezzo d.o
Vallone, et all’Incontro, alla parte di là di d.o Vallone stando due morgetelle fitte.
Et da d.o primo termine tira à direttura capo ad alto dove sta una Pietra fitta, et q.lla stà assignata per secondo
termine, sopra la quale ci si è fatta una Croce.
Et da d.a Pietra assignata per secondo ter.ne tira à direttura ad alto, si è posto il terzo termine con li testimonj
signati con le med.me lettere…, quale termine stà da circa una canna e mezza darusso da una certa Morgitella
alla parte destra di q.lla.
(il 4° termine <sempre diritto> e con le stesse lettere; il 5° termine <sempre diritto> e con le stesse lettere; il 6°
termine <sempre diritto> e con le stesse lettere).
Et da d.o sesto termine dira à direttura capo ad alto, et dà allo termine antico che sta vicino la fonte falcione,
et si è fatto sopra la Croce, quale termine resta in d.o luogo conforme ab antico è stato, et da d.o termine antico
sito alla fonte falcione tira à direttura capo ad alto, et conforme con l’altri termini antichi siti nelli luoghi
menzionati in d.o Istrumento rogato per mano del d.o q.m Not.o Paduano, quali termini restano conforme ab
antico”.
249
Francisci constitutis, et prò eo capiendum, et apprehendendum, veram, realem, liberam, et
expeditam possessionem, et tenutam supradicte Terre Limusani, esiusque Vassallorum, ac
meri, et misti Imperij, et Jurisditionis Civilis, Criminalis, et miste…”398.
Probabilmente per disposizioni ricevute in tal senso, anche il ‘magnificus Joannes Carolus
Luongo’, “Procurator Utriusque Juris Dottoris Domini Francisci de Grazia de Neapoli”, se
la prese comoda. Così, fu solo il 22 Maggio 1678 che, “ante ianuam majorem d.te Terre
limosani ditto vulgariter La porta del Baglio prope Palatio Baronale”, venne fatta la ‘captio
possessionis’. Vi parteciparono “Dominicus de Venera, Donatus Sabetta, et Carolus
Fattorinus, Sindeci hodierni Universitatis d.e terre Limosani pro p.ti anno; nec non Joannes
Carolus Covatta, Franciscus Ant.us Corvinella, Jacobus Antonius Romano, Carolus del
Gobbo, Joannes Lauretius Luciano, et Joseph Gio:Cola hodierni homines eletti ad
Regimen, et Gubernium… similiter pro p.ti anno, et nonnulli alij particulares Cives terre
p.tte Maiorem, et Seniorem partem Civium eiusdem Terre, totam Universitatem
rappresentantes, congregati et coadunati in unum in p.tto loco vocati… per Joannem
Petrum Parato Juratum, et Servientem Curie terre”.
Davanti ad essi ed all’immancabile Notaio, chiamato per redigerne la ‘publica’ scrittura399, il
“Mag.cus Joannes Carolus Longo sponte asseruit mensibus elapsis Dominum tribunum
militum D. Dominicum Robustella vendidisse, (et) alienasse Utriusque Juri Dottori Domino
francisco de grazia de Neapoli d.m terram limosani, sitam, et positam in Provincia Comitatus
Molisij cum eius Castro seu fortellitio, hominibus, Vassallis, Vassallorum reditibus, Angarijs,
Perangarijs, bonis membris Corporibus, et introitibus, et cum banco iustitie, et Cognitione
primarum, et Secundarum Causarum Civilium Criminalium et mistarum, mero mistoque
Imperio, et gladii potestate inter homines, et per homines terre pred.e quatuor litteris
Arbitrarijs, et potestate componendi delicta penes de corporali in Pecuniarias commutandi,
illas remittendi in toto, vel in parte satisfatto prius parti lese, et cum omnibus, et singulis alijs
iuris dittionibus, actionibus, pertinentijs, membris Corporibus introitibus redditibus, acquis
fluminis, herbagijs, et iuribus quibuscumque et integro stare vigore instrumenti d.e
Venditionis fieri rogato manu Notarij pred.i Caroli Graziano de Neapoli, cui relatio
habeatur.
Et facta assertiva p.tta d.s Mag.cus Joannes Carolus Longo volens quo supra nomine ad
capturam d.e possessionis procedere,…, cepit, et apprehendit, ac realiter, et corporaliter
adeptus fecit veram, realem, corporalem, vacuam pacificam et expeditam possessionem, ac
tenutam d.e terre limosani, recipiendo Claves ianuarum d.e terre…, aperiendo, claudendo
Januam p.ttam vulgariter nuncupatam la Porta del Baglio per eam introeundo, exeundo,
ambulando, stando, et camminando per d.m terram, aliaque faciendo, quae actum vere,
realis, et Corporalis possessionis denotat… (…).
… Accessimus ad Castro, seu fortellicio d.e terre, et dum essemus ibidem… cepit, et
apprehendit et corpolariter adeptus fecit corporalem, vacuam, et expeditam possessionem d.i
Castri seu fortellitij, recipiendo Claves ipsius a Camerario Donato Donatello, aperiendo,
et claudendo ianuas d.i castri… (…).
… Accessimus ad aliam ianuam vulgariter ditta la Porta del Borgo ibi denotando attum vere
possessionis d.e Terre limosani, illam claudendo, et aperiendo… (…).
… Accessimus ad aliam ianuam d.e terre ditta la porta delle fucine illam similiter
claudendo, et aperiendo, intrando, exeundo… (…).
398
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani. Procura allegata
all’atto di ‘Captio possessionis’ del 22 Maggio 1678.
399
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani. ‘Captio
possessionis’ del 22 Maggio 1678.
250
… Devenimus ad quandam Domum d.e Universitatis ubi officiales Curtis d.e terre solent
iustitiam ministrare, sedendo pro tribunali cepit, et apprehendit possessionem, et tenutam
p.tte Domus cum omnia de Juris dict.ne, et meri, et misti imperij, nec non Civilis Criminalis,
et miste recipiendo Virgam, quam d.s Camerarius pro regimine Justitie in manu tenere
solebat…
… Et… deveniendo exeundo a d.a terra limosani…, devenimus ad locum ditto vulgariter li
feudi di Cascapera, et ducti singulatium per alios feudos nuncupatos, et videlicet Fiorano,
La foresta, la Sala, et le Cese, feudorum annexorum ad d.m terram limosani, cum omnibus
eorum iuribus, reditibus, iuris dittionales, et decime quam de consuetudine per eos
ambulando, deambulando herbas per terrenum accipiendo, flores, et ramos arborum
incidendo et colligendo, et omnia alia, et singula faciendo que attum vere, realis, et
corporalis possessionis signum denotat,… (…)”.
La risposta dei ‘demanialisti’ all’atteggiamento di sfida da parte del nuovo ‘utile Signore e
Padrone’, che, con fare proditorio, di fatto si era riappropriato anche dei ‘corpi’ feudali, per i
quali era già avvenuta la ‘ricompra’ da parte dell’Università, fu immediata. Pur di non
sottostare a quello che era più che un semplice tentativo di sopruso, nello stesso giorno e, per
non perdere tempo, davanti allo stesso Notaio, che era venuto da ‘loco’ terzo, da quelli si
preferì contrapporre, nel loro “vulgariter loquendo”, una ricostruzione dei fatti dettagliata ed
assai documentata al dotto, ma ingarbugliato, latino degli ‘aderenti’ del barone.
A tal riguardo, intervennero “pro parte Universitatis terre limosani, et pro ea Dominicus de
Venera eius Sindicus in pr.nti anno, nec non Joannes Carolus Covatta, Jacobus Antonius
Romano, Joseph Gio:Cola, Franciscus Antonius Corvinella, Laurentius Luciano, et
Carolus del Gobbo hodierni homines de regimine eius d.e Universitatis similiter prò pr.nti
anno, ac etiam Valerius Caserio, Dottor Phisicus Dominicus Covatta, Utriusque Juris
Dottor Joannes Antonius del Gobbo, Thomas Covatta, Joannes Bapta Corvinellus,
Franciscus de Petro Longo, Pompeus Capillo, Dominicus de Angelillis, Gaetanus
Corvinella, Joseph Ciprianus, Alexander Covatta, Joannes d’orza, Micahelis de Adario,
Angelus de Avertentio, Nuntius de tata, Aloisius Pasquale, Carolus Fattorinus, Salvator
Minicuccio, Donatus Carrello, Franciscus Minicuccio, Franciscus Marinaccio, Vincentius
del Ferraro, Nicolaus Maria Ramola, Joannes Antonius Perrocco, Pontius Marchetta,
Aloisius de Ambrosio, Silvester Sabetta, Joannes de tata, Franciscus Longo, Dominicus
Fracasso, Franciscus MarcoAnt.o, Paulus Fracasso, Donatus Sabetta, Thomas del Gobbo,
Aloisius Corvinella, Dominicus de Lucito, Marinus Fracasso, Stefanus de Angelillis,
Dominicus Gabrino, Bartolomeus Gio:Cola, Petrus Coccetta, Angelus Ricciuto, Joannes
Ant.o de Amico, Thomas de Amico, Berardinus Larenza, Joannes Angelus Mattheo,
Joannes Bapta Colasurdo, Aloisius MarcoAntonio, et Joannes Petrus Parato, Cives et
particulares d.e terre asserendo vulgariter loquendo, come hando avuto da dire adverso
detto Atto di possessione, non con animo di repugnare, ma dire, et opporre le raggioni, et
azioni, che have d.a Università, e suoi Cittadini, non solo per la confermazione delle
Capitolazioni, prerogative, Consuetudini, Pannetta, e stili della Corte, mà anco perche
hando inteso, che il Sig. Mastro di Campo D. Domenico Robustella habia venduto li
cinque Corpi di feudi, cioè fiorano, Sala, Cascapera, (Cese) et foresta per liberi, e
franchi, che però richiedono in nome di d.a Università et tutti suoi Cittadini, presenti, assenti
à fare questo Atto publico protestativo, il quale è del tenor seguente.
Asseriscono come dovendo il Mag.co Gio:Carlo Longo, come Procuratore del Dott.re Sig.
Franc.o di Grazia di Napoli prennere la possessione di questa terra p.tta, e sue Jurisdizioni,
come venduteli dal Sig. Mastro di Campo D. Domenico Robustella predecessore Barone di
d.a Terra una con il ligio homaggio, però per intendità di d.a Università, et Cittadini,
prima di consegnarseli la possessione, et farsi l’atto di d.o ligio homaggio, richiedono…,
251
et con d.a protestazione s’intenna repetita nel principio, mezzo, e fine di d.a possessione a
confirmarli... in nome di d.o Sig.re franc.o di grazia… tutte le Capitolazioni che essa
Università tiene, tutti li Privilegij, le Concessioni di gratie di comunità, et tutte le
Consuetudini, antichità, soliti, et Consueti di d.a terra, La pannetta, et tutti li stili soliti
osservarsi nella Corte di d.a terra, così delle prime, et seconde Cause, et non facenno la
Confirmazione predetta, anco si protestano, che non s’intenna data di loro spontanea
volontà la d.a possessione, et fatto d.o ligio homaggio…
Suggiungono nell’asserzione predetta, come essi Constituti siano anco preintesi, che fra
l’altri Corpi venduti dal d.o Mastro di Campo, e compresi nella vennita fatta di d.a terra à
d.o Sig.r Francesco per liberi e franchi il bosco di Fiorano di tomola mille incirca, trè parti
di Cascapera di tomola seicento in circa, le Cese streppareto di tt.a cinquecento incirca, la
defenza della Sala di tt.a quattrocento incirca, li quali cinque Corpi di sopra descritti non
possono né si devono vendere per liberi, e franchi, mentre quelli sono beni proprij d’essa
Università, et quelli nella veste alienati con il patto de retrovendendo all’antichi Baroni,
et da essi surrettivamente retrovenduti all’altri successori Baroni con detto patto de
retrovendendo, conforme successe molti anni sono à tempo del Mag.co Gennaro Campanile
olim Barone per la recuperazione di d.i cinque corpi per il d.o jus luendi, che competeva ad
essa Università per più provisioni della Regia Camera in conformità della Regia Pragmatica
fù essa Università reintegrata nella possessione di essi Corpi, et havesse Consignato al d.o
mag.co olim Barone l’interesse alla ragione di cinque per cento, conforme per publico
instrumento di possessione stipulato per mano di Not.r Thomaso Capocefalo di
Campobasso… Dimodo che tutti li Sig.ri Baroni non ponno pretennere altro di d.i cinque
Corpi (che) il cinque per cento per il prezzo d’essi imprestate d.ti quattro milia trecento
cinquanta che l’interesse di d.o prezzo alla raggione del cinque per cento importano d.ti
duecento e diecessette e mezzo, et da quelli dedursi la bunatenenza in virtù di Regia prag.ca è
provisioni della Regia Corte, et consequentemente non si possono alienare per liberi, e
franchi, stannono soggetti al patto de retrovennendo, come chiaramente si vede
nell’istrumento della Vendita di essi fatta all’olim Antichi Baroni di Capua rogato l’anno
mille cinquecento novantasei,…
Et come che per le dette pretenzioni, et jus che d.a Università haveva sopra delli cinque
Corpi à tempo che il Mag.co olim Barone Gennaro Campanile… era vertita lite…, in virtù di
più Provisioni, et decreti della Regia Camera, auditis partibus, fù reintegrata essa
Università nella possessione di d.i Corpi, con corrisponnerne il cinque per cento, et per il
referito appartato dal detto Magnifico Gennaro Campanile adverso detto decreto, fù detto
decreto ricomposto a favore di essa Università confirmato, mà che li frutti, et entrate
perveniendo dalli Corpi fossero esatti da essa Università…, tutta volta poi trasferendosi il
Dominio d’essa per la vendita fatta al Signor Mastro di Campo D. Domenico rubostella, et
vedendo questa Università la benevolenza et affetto che d.o Sig.r Mastro di Campo nuovo
Padrone dimostrò ad essa Università et suoi Cittadini di quietarsi et cassare la lite, però à
rispetto del d.o Sig.r mastro di Campo,… et non à rispetto del d.o Mag.co Campanile, per il
che precedente conseglio publico et procura fatta in persona del Mag.co Dott.re Gio: Ant.o
del Gobbo Cittadino di questa terra p.tta fu fatta Convenzione, et accordo con detto Sig.r
Mastro di Campo, conf.e per istrumento pubblico stipulato… sotto li dieced’otto di 9m.bre
mille seicento sittanta, continente che il d.o Mastro di Campo retrovendesse, et restituisse
alla detta Università due Defese delle cinque mentionate, cioè due parti di Cascapera, et
foresta, et vedendo d.o Sig.r Mastro di Campo la dimanda essere giusta, essendosi
riconosciuto l’instrumento delli olim Baroni di Capua il ius luendi competente
all’Università restituì, et retrovendé alla d.a Università le soprad.e due defenze
Cascapera, e foresta per il prezzo di d.ti seicento, et benche il prezzo di esse fossero d.ti
252
cinquecento per l’affetto, et beneficij ricevuti dal d.o Sig.r Mastro di Campo amplierno il
d.o prezzo in d.ti cento di più, con Corrisponnere l’interesse di essi alla ragione del cinque
per cento, con l’evittione in forma promessa dal d.o Mastro di Campo a favore d.essa
Università con promissione inclusa di poter pagare d.o prezzo principale in una, o due
paghe a sua elettione, et dall’hora, à questa parte in virtù di d.o Instrumento di
Convenzione, et ritrovendita fatta la d.a Università, è stata, et sta in pacifica possessione.
Et versa vice la d.a Università promise di non proseguire la lite che vertiva …, et quietare
d.o Sig.re nelle possessione dell’altre trè defenze restantino, cioè fiorano, Sala, et Cese
reserbandosi anco la facoltà à beneficio di essa Università per il ius luendi di ricomprarsi
le d.e altre trè defenze di fiorano, Cese, et Sala.
Dunque in preiudicio di essa Università il d.o Sig.r Mastro di Campo non può vendere,
et alienare liberi, et franchi li d.i cinque Corpi standone soggetti al d.o ius luendi, che ci
have d.a Università in virtù di detti menzionati Instrumenti...
Per tanto essa Università e suoi Cittadini richiedono d.o Mag.co Procuratore per
modum ut supra à non perturbare essa Università nella possessione p.tta di d.i beni, e
raggioni che hando da ricomprarsi l’altri trè Corpi fiorano, Sala, e Cese, mà in quelli
Conservarsi, et mantenersi, acciò non siano gravati, et però distetuiscono ad ogni atto,
che forsi d.o Mag.co Procuratore volesse fare nella possessione p.tta, et si protestano
della nullità, et invalidità d’ogni atto contrario che d.o Mag.co Procuratore volesse fare
nella possessione p.tta, et facesse ò pretendesse fare adverso la d.a possessione di essa
Università, et raggioni, che have sopra d.i beni. (…).”.
La risposta, contestuale, del Procuratore fu: “Signori miei il Protesto, che loro Sig.ri hando
Consignato in mano del Sig.r Not.r Carlo Ant.o di luca qua presente è stato da quello in
mia presenza publicamente letto, et per letto, et da me mi lo bene inteso, però la mia
Potestà, non è altro che di pigliare il possesso di tutti li Corpi Baronali contenuti nella
Procura inviatami, et favoritami dall’Ill.re Sig.r Barone di q.ta Terra conforme si è letta,
bensì di quanto loro Sig.ri hando preteso, et pretengono in questo atto protestativo, ne
avisarò il D.re Sig.r francisco di grazia Padrone, et speramo che non solo habia da
concedere quanto loro Sig.ri pretengono, ma cose più maggiori per utile di tutto questo
Publico.”400.
Chiarito il problema ed ottenute le assicurazioni del caso, i ‘particulari’ di Limosano, come,
del resto, avevano fatto in tante occasioni, l’ultima volta era stato appena l’8 Dicembre 1670,
decisero che si presentasse il ‘ligio homaggio’. E, per farlo, in questa occasione, anche essi
ricorsero ad un ‘procuratore’. Tanto che, il giorno dopo, 23 di Marzo, il ‘Sindicus’, gli ‘eletti
ad Regimen et Gubernium’ ed i “particulares, et Cives eiusdem terre…, coadunati in Domo
solita eiusdem Universitatis, ubi sepius pro negotiis Universitatis predicte congregari solent
cum presentia, et interventu Mag.ci Donati Donatelli Locum tenentis Curie eiusdem Terre
Limosani in unum congregati, et coadunati ad Consilium Generalem ostiatim vocati per
Joannem Petrum Parato hodiernum ordinarium Camerarium, et servientem predicte Terre
Limosani” nominarono “Procuratorem”, in quanto “esperto de fide, prudentia, et virtute, ac
integritate”, il “Mag.cum Joannem Baptistam Corvinella”, perché si recasse “ad
prestandum ligium homagium coram Utriusque Jure Dottore Domino franc.o de gratia
Utili Domino”, ma a condizione che facesse “omnia iusta minutas assignatas per V.I.
Dottorem Philippum benincasa de Neapoli”401.
400
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani. Atto del 22
Maggio 1678.
401
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani. Atto del 23
Maggio 1678. Dello stesso giorno è un atto di giuramento, per procura, di fedeltà alla Corona da parte del nuovo
Barone, Don Francesco di Grazia, e di accettazione del ‘ligio homaggio’, così come autorizzato dalle autorità
preposte.
253
Pur se l’azione rivendicatrice non risultò utile, allora, a risolvere definitivamente la questione
demaniale (è stato già riferito della ‘rivoca e cassazione’ del 1° Febbraio 1751), essa tuttavia
era servita assai più alla presa di coscienza ed all’affermazione, per il dopo, di uno spirito
nuovo tra i ‘particulari’ limosanesi.
Una volta che la ‘Terra’ di Limosano è stata svuotata di ogni significato politico e non
rappresenta più un punto di riferimento territoriale, la funzione del suo feudo è ridotta ad
essere per il suo ‘utile Padrone’, che abita lontano, solo una riserva, da cui attingere il
maggior quantitativo possibile della ricchezza necessaria al suo stile di vita, mentre per i
“particulares, et Cives Universitatis”, inizia a costituire il momento aggregante per ogni
rivalsa ‘politica’ ed il terreno dello scontro per la loro azione rivendicativa.
All’avvocato (tale era un “utriusque iuris doctor”) Don Francesco di Grazia, il quale, di
anni 75 nei primi mesi del 1699, tenne il feudo per oltre un ventennio, era succeduto, già
prima della compilazione, che annualmente avveniva nei primi giorni della quaresima, dello
‘stato delle anime’ del 1700, il “Sig.re Gioseppe Casimiro di Grazia Napolitano”, che fu
“Marchese di questa Terra di Limosani, <ma> commorante in Napoli con tutta la sua
famiglia”. Nel ‘palazzo’ di Limosano, posto “nella Contrada detta di D. Andrea” e che
risultava essere ‘sua’ “Casa propria”, abitavano:
- D. Nicolò Sacerdote, figlio di Franc.o di Grazia
di anni 45
- D. Domenico, fratello di stato libero
37
- Il Sig.r D. Tomaso fratello Sacerdote
32
- Il Sig.r D. Giuseppe fratello ammogliato
38
- D. Paola Robustella, Moglie (di Giuseppe)
25
- Emanuele di 8 anni, Fran.co Maria Eduardo Bonaventura di 5 ed Antonio di 4, tutti e tre
figli di Giuseppe e di Paola402.
Oltre al grado di parentela, risulta difficile individuare le motivazioni che portarono alla
successione, nella titolarità del feudo, da Francesco a Giuseppe Casimiro, che erano, forse,
fratelli, non per linea diretta, ma per quella collaterale. Va, comunque, detto che è, per quanto
riguarda la famiglia di Grazia, particolarità che si deve registrare più di una volta.
La circostanza per cui il 15 Aprile 1701 molti ‘particulari’ della Terra di Limosano, e tra essi
diverse donne (forse vedove), attestarono di aver ricevuto ognuno un diverso quantitativo di
denaro, ammontante complessivamente a cento ducati, “in nome e parte delli SS.mi D.
Nicolò, D. Domenico, e D. Thomaso di Grazia, esequutori delli testamento del q.m D.
Giuseppe Casmiro di Gratia Marchese di d.a Terra di Limosani”, oltre ad un atteggiamento
di maggiore disponibilità di quest’ultimo, ne dimostra, a tale data, l’avvenuta morte403 e che
egli tenne il feudo solo per circa due anni.
Molto probabilmente (e nonostante che il registro dello ‘Stato delle anime’ del 1708 riporti
essere D. Giuseppe ‘Marchese’, che deve intendersi solo titolo nobiliare) gli successe, e così
la titolarità torna alla diretta discendenza di quel D. Francesco che aveva comprato il feudo,
“il Sig.r Domenico di Grazia figlio di Franc.o”, appunto, che nel 1709 ha 46 anni e che, in
quanto “commorante in Napoli”, ha delegato (vi è atto di procura in data 22 Luglio 1713) il
nipote D. Emanuele a rappresentarlo ed a curarne gli interessi nei suoi possedimenti.
Alla morte di costui, avvenuta quasi certamente nel 1728 quando aveva 65 anni, gli succede
D. Fran.co Maria Eduardo di Grazia, trentatreenne figlio di “Donna Paola Robustella”, il
quale, sposato con “la Sig.ra D. Anna Police” di anni 28, dimorava a Limosano. Ed insieme a
lui abitavano nel ‘Palazzo’:
- D. Giuseppe, figlio di detti
di anni 7
- d. Maddalena, figlia di detti
6
402
403
APL, Registri dello ‘Stato delle anime’.
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio VENTRESCA Gregorio della piazza di Lucito.
254
- d. Annamaria, figlia di detti
5
- “Il Sig. D. Antonio Sacerdote, fratello di D. Franc.o”
33
Nel frattempo e per più anni (almeno dal 1726 al 1729, periodo per il quale sono disponibili i
dati dello ‘Stato delle anime’; ma, mancando in quello del 1730, a tale data doveva essere
morto) dimorò a Limosano “l’Ill.mo Monsignor Vescovo D. Tomaso di Grazia”, che, di
anni 61 nel 1729, era figlio di Francesco, primo titolare del feudo.
Va annotato lo strettissimo collegamento tra gli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche e
quelli della nobiltà, i quali ultimi ‘in massa’ (diversi i di Grazia ‘Sacerdoti’) partecipano ad
ingrossare le fila dei primi, certamente per godere dei molti benefici riservati al Clero.
D. Fran.co Maria Eduardo di Grazia tenne il feudo almeno un ventennio. Alla sua morte,
avvenuta dopo il 1749, anno in cui è ancora documentato essere “Marchese”, il feudo passò,
anche questa volta per via collaterale, al “Marchese et utile Padrone D. Pietro di Grazia”, il
quale tale risulta almeno dal 1757.
Morto costui, gli succede D. Francesco di Grazia, che è “Marchese” almeno dal 1775. Ed è
tale ancora nel 1780. Dopo tale anno il feudo passa, ma solamente per pochissimi anni, a D.
Giuseppe di Grazia, del quale però, morto assai giovane, già il 4 Novembre 1783 “ad ore
quattordici dentro il suo prop<ri>.o palazzo e presente cadavere” si ha “l’apertura del
Testam<ent>.o Chiuso (nota: che porta la data del 2 dello stesso mese) dell’Ill.mo Sig.r
Marchese di Limosano D. Giuseppe di Grazia”404.
A quest’ultimo successe “l’Illustre Sig.r Marchese Barone Don Nicola di Grazia”, che,
figlio del “q.m D. Francesco”, risulta essere “utile Padrone” fino al 1803, quando, per
l’avvenuta sua morte, il feudo passa a “D. Aniello di Grazia”, il quale ne fa redigere l’atto,
del 28 Dicembre, della “captio possessionis”405, che, venendo abolita qualche anno dopo la
404
ASC, Protocolli Notarili del Fondo Amoroso, Notaio AMOROSO Gaetano di Limosano. “Io pred.o D.
Giuseppe fò, ed istituisco miei eredi universali, e particolari tanto la mia dilettisima Moglie D. Giuditta
Ramignani, che il postumo, che nascerà dal ventre pregnante di mia Moglie…”. All’apertura del testamento
partecipò “il Sig.r D. Ferdinando Giudice della Città di Chieti, cognato cugino del defunto”.
E’ di tutta evidenza che la morte colse D. Giuseppe quando era ancora assai giovane.
405
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio PADULA Giuliano della piazza di Macchiagodena. “A richiesta
fattaci per parte del D.r Fis.co D. Angiolo Zingarelli di questa Terra di Limosani Pro.re speciale dell’E.mo
Sig.r Marchese di Limosani D. Aniello di Grazia…, ci siamo conferiti… nel luogo denominato La Casa
dell’Università, laddove essa Università, e Cittadini della med.ma sogliono congregarsi per li pubblici affari ed
ivi abbiamo rattrovato il Sig.r D. Vitale Larenza Luog.te attuale della Corte di questa sud.ta Terra, e li Mag.ci
Cosmantonio Amoruso, Saverio d’Addario, Costantino Ricciuto, Francesco Greco, Gregorio di Jorio, e
Domenico Bussi esercenti Sindaco, ed Eletti rispettivamente al buon Governo, e regolam.to di questa sud.ta
Università, come di essa rappresentanti la d.a Università, e suoi Cittadini, ed uomini particolari, ed
intervenienti al presente atto in nome de medesimi, dal quale sud.o Sig.r D. Angiolo… si è asserito, chè per la
morte del fù Sig.r Marchese di Limosani D. Nicola di Grazia, questa Terra, e tutt’altro compreso a questo
Marchesato si è devoluto a d.o E.mo Sig.r Marchese D. Aniello, come apparisce dal decreto di preambolo de
ventinove del prossimo passato mese di Ottobre…, per cui il sud.o è succeduto tanto nelli beni Feudali, che
nelli Burgensatici, e con essi il palazzo sito in questa Terra, uomini, e vassalli angarj, Perangarj, servizi reali,
e personali, Feudi, suffeudi, Feudatarj, suffeudatarj, quaternati, e non quaternati, rustici, piani, et de tabula,
censi, entrade, e rendite, e specialmente col Banco della Giustizia, e colla Giurisdizione, e cognizione delle
prime, e seconde cause civili, criminali, e miste, il mero, e misto impero, potestà del Gladio, quattro lettere
arbitrarie, e colla facoltà di comporre li delitti, e commutare le pene da corporali in pecuniarie, e quelle
rimettere in parte, o in tutto, soddisfatta però, e quietata la Parte offesa, e con tutti li proventi, ed emolumenti
a d.a Giurisdizione spettanti, e soliti a spettare, ed altresì la Mastrodattia, la Baliva, la Portolania, la Zecca di
pesi, e misure, Forni, Taverne Trappeto, e parimenti altri corpi, e beni Feudali, e Burgensatici compresi in
d.o Marchesato… (…).
E volendo il sud.o Sig.r D. Angiolo Zingarelli… prendere il possesso di questa sud.a Terra… è che d.o Luog.te,
Sindaco, ed Eletti in nome di questa Università, e de Cittadini tutti, ed uomini particolari della med.a han dato
al sud.o D. Angiolo… il vero, effettivo, corporale, pacifico, e spedito possesso di questa sud.a Terra, e suoi beni,
membri, corpi burgensatici, e Feudali, dritti, giurisdizioni, e loro intiero stato, nel modo, e maniera, che gli
antichi Marchesi di questa Terra l’han posseduti…, e per l’effetto sud.o l’accennato D. Angiolo in d.o nome
255
feudalità con il Regio Decreto del 12 Agosto 1806 di Re Gioacchino, risulta essere stato
l’ultimo della serie. Anche questa volta il ‘possesso’ del feudo, a riprova che ben poche cose
erano cambiate nell’atteggiamento del barone “utile Padrone”, venne fatto dal “Procuratore
speciale dell’E.mo Sig.r Marchese di Limosani D. Aniello di Grazia”, che, per l’occasione fu
il “Dottor Fisico D. Angiolo Zingarelli”, il quale, nonostante dall’atto risulta essere
originario “di questa Terra di Limosani”, era, al contrario, uno dei tanti ‘forastieri’ venuti, nel
suo caso da Bagnoli del Trigno (da atto del 15 Agosto 1800, difatti, risulta essere il “D.r
Fisico D. Angiolo Zingarelli del q.m D. Geremia della Terra di Bagnoli”), in seguito alla
censuazione, dopo il definitivo riscatto, di tutti i corpi feudali.
L’ultima “captio possessionis” del feudo, mentre è del tutto scomparsa, insieme alla mancata
indicazione dei nomi dei ‘particulari’ cittadini, ogni loro azione rivendicatrice e, per così dire,
la loro passione civica, mostra il tentativo, tanto formalistico quanto patetico, da parte del
introdotto in d.o possesso, quello nel med.o nome ha pigliato, e corporalmente si è posto in d.o vero… possesso
di questa Terra, e di tutti li suoi beni, membri, corpi, entrade, ragioni, dritti, e giurisdizioni qualsivogliono in
questa Terra per Feudo compresi, e loro intiero stato…, nella maniera che siegue.
In primo luogo essendosi… portato avanti la porta di questa Terra sull’ingresso della med.a è stato
incontrato da d.o Luog.te, Sindaco, ed Eletti, e da molti, e diversi Cittadini di ogni ceto della stessa, e da
med.mi è stato ricevuto dandolo il dovuto omaggio, facendo tuttocciò, che dinota, ed induce l’atto del vero…
possesso.
Pigliatosi il possesso sudd.o rinovando l’istessi atti… ci siamo conferiti nella casa della Corte, in cui vi è una
Banca, con sopra alcuni processi, e scritture nella quale è solito amministrarsi la giustizia, e reggersi la
Corte, ed indi passati nel carcere di d.a Corte…, ha egli preso il vero… possesso di d.a Corte, del mero, e
misto impero, dell’onnimoda potestà, e giurisdizione, civile, criminale, e mista di questa Terra sud.a, e dal
pred.o carcere è ritornato di bel nuovo nella sud.a Casa di Corte…, pigliando il bastone, che è solito portarsi
da Gov.re e Luog.te di d.a Terra, e con esso pro Tribunali sedente somministrando giustizia, ha preso il
vero… possesso di questa pigliando gl’atti, scritture, e processi di d.a Corte, facendo gridare dal Giurato, che
se mai ci fosse stata qualche persona, che avesse voluto giustizia fosse comparso avanti di lui a proponere le
sue ragioni, perche egli in nome di d.o Sig.r Marchese D. Aniello si asseriva prontamente fargliela, e facendo
altre cose, che dinotano il vero… possesso…
In oltre siamo andati nella Chiea madre di d.a Terra sotto il titolo di S. Maria Maggiore, ed a suono di
campane, nell’ingresso della med.ma colla presenza, ed assistenza del R.do D. Antonio Giancola Arciprete…,
e degl’altri Sacerdoti, e Monaci stanzianti in questo Convento il pred.o D. Angiolo… unitamente cogli altri
genuflessi avante l’Altare maggiore ha adorato il SS.mo Sagramento dell’Eucarestia, ed indi cantato il Te
Deum Laudamus ne siamo usciti da quella portandoci nel palazzo marchesale, dove esso D. Angiolo… ha
preso il vero… possesso di quello, passeggiando per il med.mo, ed esercitando tutti quegli atti, che dinotano il
vero… possesso, e quindi ci siamo trasferiti nell’altra Arcipretale Chiesa contigua a d.o palazzo sotto il titolo
di S. Stefano Protomartire, ed in pr.nza, e coll’assistenza del Rev.ndo Arciprete D. Emiliano Corvinelli, e tutti
l’altri sacerdoti e monaci sudd.ti il surriferito D. Angiolo parimenti avanti l’Altare maggiore… cogl’altri tutti
genuflesso ha adorato il SS.mo Sagram.to dell’Eucarestia e quindi siamo usciti dalla Chiesa sudd.ta.
E finalmente seguitando gl’atti… ci siamo conferiti in un luogo eminente di d.a Terra, e propriamente
avanti d.a Chiesa, e da ivi il d.o Luog.te, Sindaco, Eletti, e Cittadini, ed uomini particolari di essa a magior
cautela han dimostrato al d.o D. Angiolo tutta la Terra pred.ta, ed il med.o da ivi per aspectum ha preso il
vero… possesso di tutti gl’altri Corpi, beni, e membri di d.a Terra col di loro intiero stato…, e collo sparo
di molti archibuci, e suono di Campane.
Indi pigliando dalle mani di detti Sindaco, ed Eletti le chiavi della Casa dell’Università di questa Terra
esibitegli, e presentategli in un bacile, in nome del sudd.to Sig.r Marchese D. Aniello ha preso il possesso di
questa Terra…; anzi li med.mi Sig.r Luog.te, Sindaco, Eletti, e Cittadini, ed uomini particolari… hanno dato, e
prestato il loro consenso, ed han promesso da ora in poi riconoscere il d.o Sig.r Marchese D. Aniello, e li suoi
Eredi, e successori per veri, e legittimi Sig.ri e Padroni di questa Terra, e suoi beni,… Con espressa
dichiarazione, che questa sud.ta Terra, e suoi Cittadini, ed uomini particolari, s’intendano, e sieno riserbati
tutti, e qualsivogliono privilegj, immunità, grazie, esenzioni, franchizie, e capitoli concessili, firmati, e fatti dalli
predecessori Padroni di questa Terra in vigore delle cautele, e scritture, che ne asseriscono…
Di poi continuando l’istesso atto uniti insieme col d.o D. Angiolo…, li pred.ti Luog.te, Sindaco, Eletti, Cittadini,
ed uomini particolari avanti di noi hanno introdotto il d.o D. Angiolo… nel precitato palazzo, e gli hanno dato,
siccome ne ha egli preso il vero… possesso aprendo, e chiudendo le porte, e le finestre di quello, salendo, e
calando per la grada, e passeggiando per le stanze, in esse fermandosi,…”.
256
feudatario di collegarsi e di allearsi alle istituzioni della chiesa ed al Clero, sul ruolo del quale,
strettamente collegato alle famiglie ‘nobili’, durante i secoli XVII e XVIII sarebbe da
indagare non poco. Non fu, cioè, affatto un caso che il ‘Procuratore’ sia ricorso, quasi fosse
per D. Aniello l’ultima spiaggia per salvare il salvabile, a genuflettersi nelle due Chiese.
E così anche del ‘marchesato’ di Limosano (come di tutti gli altri feudi, perché considerati
solo come strumento per estorcere la ricchezza prodotta in essi e non come struttura
finalizzata ad organizzarne le attività del e sul territorio), interamente svuotato di quel
significato istituzionale che il ‘radicale’ Abbate Longano, più concreto nelle analisi storiche
dei tanti ‘riformatori’, pure gli riconosceva e che avrebbe potuto e dovuto rivestire, non
restava, ed in questo senso, ma solo questo, fu giusto farlo, che cancellarne la presenza.
Del resto, il possesso, l’ultimo della serie, “di tutti gli altri corpi, beni e membri” fuori della
‘terra’ era stato preso dal punto più alto di Limosano semplicemente “per aspectum”. Quasi a
volerne salutare definitivamente l’addio.
Dal ‘testamento’ del Sacerdote Donato di Venere, il quale nel 1832 (20 Agosto) si diceva
“compratore di tutti i cespiti di rendita ex=Marchesale”406, si ha che, tra gli altri beni,
aveva “comprato la quarta parte dell’ex Feudo di Cascapera da D. Vincenzo de Grazia
(nota: forse figlio di D. Aniello), e per questo dal suo erede D. Michele Grimaldi nel dì otto
novembre mille ottocento diciotto in tomoli duecento ottanta circa per Notar Antonio
Amoroso di Napoli” e “tutto il Palazzo ex-Marchesale comprato da me a diciassette
Febbraro mille ottocento ventitre”407.
Lo smembramento del feudo fu solo, e perché, come più spesso di quanto si creda accade, mai
lo si seppe cogliere come opportunità storica, non poteva non esserlo, il necessario atto
conclusivo di un’epoca, che deve farsi partire da quando si iniziò a considerare quello non
come lo strumento del progresso per tutti ed al quale ognuno, per la sua parte, avrebbe dovuto
concorrere, ma come l’oggetto esclusivo degli interessi personali per l’utile Padrone e per i
suoi inservienti.
6.2 - I rapporti con la Universitas Civium e con i particulari
Con una netta inversione di tendenza nella concezione sia della struttura che degli elementi
amministrativi del Regno, di certo in senso più verticistica, rispetto ai normanno-svevi, i quali
“si erano preoccupati di controllare la feudalità e di sottometterla al potere regio attraverso
l’azione cittadina dei ministeriales” ed, ancor di più, con la istituzionalizzazione della
“Universitas civium Terre” ed il favorirne la crescita sino a farla diventare strumento di
‘controllo’ e di contro-bilanciamento dei poteri sul territorio, Carlo I d’Angiò “si appoggiò
interamente sulla feudalità, che anzi irrobustì con l’immigrazione della nobiltà franco
provenzale (nota: perché non dire di quella proveniente dalle gerarchie ecclesiastiche?), a cui
andarono le terre dei traditori408.
Il vivace dinamismo della “Universitas civium” della ‘Terra’ di Limosano, assai probabile
(pur se solo ipotizzabile in nome della continuità storica) per l’epoca normanna e ben
documentata per quella staufica (quando, nonostante la distruzione delle ‘carte’ ad opera della
violenta ‘angioinizzazione’ di matrice guelfa e clericale, deve registrarsi un forte sviluppo di
socialità civile), la fece, lo si è già visto, centro commerciale, culturale ed economico-politico
di notevole importanza così che: a) gli abitanti delle ‘terre’ vicine che volessero “aliquid
406
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio LUCITO Giuseppantonio di Limosano, dichiarazione del 20 Agosto
1832 in atti del 1837, pag. 8.
407
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio LUCITO Giuseppantonio di Limosano, testamento del 20 Novembre
1839 in atti del 1844, pag. 255.
408
DE ROSA G., Storia medioevale, Roma 1971, pag. 219.
257
emere aut vendere accedunt ad terram ipsam et ibi inveniunt quod querunt (= qualcosa
comprare o vendere vengono a Limosano ed ivi trovano quel che cercano)”; b) “terra ipsa
reputari debet insignis quia habet multos homines sapientes literatos, logistas,
doctoralistas, medicos, gramaticos, Judices et artistas… (= quella terra deve ritenersi
‘insignis’ perché ha molti uomini sapienti letterati, dottori, medici, grammatici, Giudici ed
artisti)”; e c) riusciva ancora ad esprimere nelle immediate vicinanze dell’abitato ben due
complessi conventuali (dei francescani e dei celestini), assai importanti per pregio e per
fattura. A quella vivacità, che non poteva non essere che espressione della “Universitas
civium” intesa come organizzazione civile attiva e partecipata di quei ‘multos homines
sapientes literatos, logistas, doctoralistas, medicos, gramaticos, Judices et artistas’
contrapposta ad un titolare del relativo feudo ben tenuto a freno specie dal ‘ghibellino’
Federico II di Svevia, si contrappone la netta figura di quell’Adenulfo del primo periodo
angioino, di origine romana e, se non proprio di estrazione ecclesiastica, ‘guelfa’, a favore del
quale il Re Carlo I interviene per la “subventionem” dovutagli dai suoi ‘vassalli’ del
‘castrum Limosani’409, che, non senza causalità, è ora diventato tale mentre in precedenza era
una ‘civitas’. E, per maggiormente favorirne le pretese ed il radicamento nel territorio, il Re
dispone che gli “homines castri Limosani” pagassero allo stesso Adenulfo, loro Signore, sia la
“collectam S. Marie”410 che, più odiosa, una colletta “pannorum pro vestimentis eius et
familiarium (= di panni per i vestimenti suoi e dei familiari)”411. E, perché si erano verificati
probabilmente dei contrasti, a cavallo degli ultimi mesi del 1275 ed i primi dell’anno
successivo Re Carlo diede incarico al Giudice Johannes de Amicis di effettuare accertamenti
circa l’annuo reddito del castello di Limosano412.
Da questo preciso momento storico, in cui i ‘francesi’ angioini prendono il potere nel
Mezzogiorno e, per gestirlo, lo ‘centralizzano’, togliendolo dalle mani dei ‘cives’ ed
affidandolo ad una folta schiera di feudatari, e sino all’abolizione della feudalità, avvenuta
pur’essa per mano dei ‘francesi’, i quali, ancora una volta, non procedono nel senso di un
riequilibrio delle forze in campo a favore dei ‘particulari’, ma riaffidano la decisione
amministrativa agli ‘intendenti’, quasi che fossero dei feudatari ‘moderni’, il rapporto tra il
titolare di un feudo e la sua “Universitas civium Terre” sarà caratterizzato sempre da una
forte conflittualità e da scontri violenti.
Una volta che il punto dell’equilibrio tra le forze risulta essere stato nettamente spostato a
favore del ‘dominus loci’, lo sbandamento politico (e, per la concomitanza dello scisma
d’occidente, anche religioso) durante il lungo periodo che va dalla morte di Re Roberto
(1343) e l’arrivo degli Aragonesi (1442) contribuirà non poco a rendere, pure per il futuro,
più faticoso lo sforzo della “Universitas” di riappropriarsi del suo ruolo e di recuperare la sua
funzione di punto di riferimento e di difesa degli interessi dei ‘particulari’.
Alfonso d’Aragona (1442-1458) e, maggiormente, il suo successore Ferrante I (1458-1494),
per porre un certo freno all’esagerato potere dei feudatari, tentarono di favorire l’azione di
rivendica dell’ “Universitas”. Fu, con molta probabilità, proprio allora che venne formulata
dai ‘capifochi’ della ‘Terra’ di Limosano, “cohadunati in publico Parlamento”, la prima
stesura de “li loro Capitoli e Privilegi”, che serviranno per porre un certo argine allo
409
Registri della Cancelleria Angioina (in seguito solo RCA), Vol. XII, pag. 225, n. 188; Vol. XIV, pag. 148, n.
112.
410
RCA, Vol. XII, pag. 46, n. 96.
411
RCA, Vol. VIII, pag. 12, n. 73.
412
RCA, Vol. XIII, pag. 95, n. 220.
258
strapotere del loro “utile Signore e Padrone”413. Dei loro miglioramenti, nelle edizioni del
1613 e del 1670, è stato già accennato nel precedente paragrafo.
Ma, dal momento che quella dei sovrani Aragonesi, più che una vera riforma di sistema, fu
solo il tentativo egoista fatto per limitare il forte potere (e le congiure) di una classe baronale
scalpitante e non per rimettere la decisione amministrativa alla “Universitas civium”, essa fu
di assai scarsa efficacia e quasi di nessun vantaggio per quest’ultima. Ed, inoltre, si dimostrò
cosa di stagione assai breve, in quanto il ‘panfeudalesimo’ del periodo vicereale riportò
nettamente a favore del feudatario la condizione di una ‘Terra’.
La lettura dei documenti notarili fa in genere registrare per la seconda metà del XVI secolo un
fortissimo indebitamento sia dei ‘baroni’ (e, per questi, la spiegazione potrebbe ricondursi alla
vita dispendiosa condotta nella Capitale) che delle “Universitas”, le quali, per parte loro, si
vedono ridotte a ricorrere annualmente a ‘prestiti’ “per le Carestie et penurie delli anni
passati et per li passati fiscali et per lo peso delli soldati de presidio contra forasciti”.
La situazione della “Universitas civium” di Limosano era diventata, lo si è già visto, così
drammatica da risultare, il 19 Gennaio 1596, indebitata per 7164 ducati circa. Tanto che
dovette “assegnare in pagamento a Don Ottavio vettovaglie (nota: grano, orzo e legumi), beni
mobili ed animali” per oltre 2800 ducati e, per 4350 ducati, vendere “cum pacto de
retrovendendo” la sua “parte di Cascapera, la Selva delli Monti collo Vallo di Cicco, lo
quarto della Sala, lo quarto delle Cese e lo quarto della Foresta”.
Si era pervenuti ad un punto tale che essa non riusciva più a difendersi dagli attacchi, che le
venivano mossi da tutte le parti, se è vero che in una “Protestatio pro Universitate limosanj
contra M.cum Jo(ann).em Thomam de Stefano, Reg.m Perceptorem… extraordinarium
Reg.e Cam.e Summ.e pro parte J(oan).nis de paschale dicte terre limosanj sind(ic).i pro
presenti anno”, del “17 7bris 1615”, quest’ultimo “… vulgari sermone dicit come avendo
lo detto Com.rio et Compagno asportato et pigliato molti Animali somarini, Matarazzi,
lenzole, piumacci coperte sacconi rame, bronzo, piatti vocali, quartari, et altre robbe in
quantità che non se ne sape il numero”414.
Il quadro della pesantezza della situazione risulta assai evidente da una “Fede del Stato, in
chè vive la Terra di Limosano”415, con la quale “Si fa piena, ed indubitabile fede per Noi
sottoscritti odierni Sindico, et eletti della Terra di Limosano in Provincia di Contado di
Molise obbedire all’ord.e del Sig.re Percettore, precedente altro di S.E., come questa Unità
non ha altro Corpo d’entrata, se non che alcuni pochi terraggi di grano, et altre vettovaglie
ascend.ti alla summa di tt. 80 (nota: poi corretto a 100) dà fertile in fertile, il prezzo dè quali
serve per spese estraordinarie, cioè Prov.ne di Cancelliere, di Predicatori, franchigie di
Soldati, Orologio, Corrieri Reggij, spese di squadre di Campagna, che al spesso ci
ricapitano, et altri esiti, che possono occorrere; Di maniera che questa Unità pred.a per non
havere altro corpo d’entrata, tutti li seguenti debiti soddisfa e paga con l’imposizione che
anno per anno si fa inter Cives per aes, et libram ratione bonorum iuxta Catastum, che
si forma ogn’anno, e sono:
- Alla R.a Corte, et Reggij Assegnatari per li 42 carlini a fuoco per cento
trent’otto fuochi, et mezzo anno
581.3.10
- Per li grana cinque (nota: corretto a 6) a fuoco il Mese per la Cavalleria
413
Con una ‘Protestatio’ del 31 Agosto 1703 (ASC, Protocolli notarili, Notaio VENTRESCA Gennaro della
piazza di Lucito) “plures cives” di Limosano reclamavano ancora che il Governatore non presenziasse ai loro
consigli e pubblici parlamenti, tanto da invalidare l’elezione di venti giorni prima degli “homines ad reggimento”
della Terra.
414
ASC, Fondo AMOROSO, Protocolli Notarili del Notaio COVATTA Domenico di Limosano.
415
ASC, Fondo AMOROSO, Memoriale ovvero Repertorio di antiche scritture, Zibaldone secondo, pag. 74.
Evidente l’andamento recessivo del numero degli abitanti che fa registrare solo 138 fuochi. Con atto notarile del
22 Febbraio 1617 si dichiarava “che d.a Un.tà è di fuochi cento cinquanta in circa”.
259
anno
82.4. -- Per li cavalli dodici a fuoco il mese per le squadre di Campagna anno
16.2.16
- Per li cavalli otto a fuoco per la squadra supranumeraria il Mese, che
anno sommano
14.0.14
- Alla R.a Corte per li carlini 25 per soldo del Batt.e a piede agiudicatosi la
med.a mese per mese anno
17.2.10
- Provisione di santario, che affitta detta esigenza anno
100.-. -- Provisione dell’esattore, che esigge d.a imposizione
40.-. -- Al Sig.r Francesco di Grazia Patrone di questa Terra pred.a per antica
vendita di Zecca, Portulania, et colta di S. Maria
60.0.00
Che sommano in tutto
912.3.10
Per la qual summa per soddisfare detti Creditori si butta l’imposizione inter Cives per
aes, et per libram ratione bonorum iuxta Catastum, e questo è il Stato, in che vive questa
Unità, e per chiarezza di ciò n’habbiamo fatta scrivere la presente per mano del sottoscritto
nostro ordinario C.allio signata, et formata di nostre proprie mani, e roborata con il solito
sigillo dell’Unità.
In Limosano li di Marzo 1683
Da inserirsi più le sud.e altre partite
- Alla d.a R.a Corte per la metà delle franchigie dè Soldati da pagarsi tanna
tanna
16.1.05
Che in tutto fanno docati
928.4.15”
Nel rapporto con il proprio “Utile Signore e Padrone”, da tale condizione di sofferenza, che
costringeva la “Universitas Civium”, che “per soddisfare detti Creditori butta l’imposizione
inter Cives per aes, et per libram ratione bonorum iuxta Catastum”, a subire supinamente ogni
tipo di vessazioni ed ingiustizie, il XVII secolo fa registrare, con il riappropriarsi da parte dei
‘particulari’ di un minimo di consapevolezza civica, il passaggio, quando non ad una
ribellione vera e propria, quantomeno ad una reazione di forte litigiosità.
E’ quanto sembra evidenziare il documento del 7 Luglio 1652 416, che, facendo di certo seguito
ad un’azione di forza da parte dell’Università di Limosano ed a più che probabili moti
rivoltosi da parte dei ‘cives’, riportava le cose a favore del ‘dominus’. Con esso “Achillis
Rumone Campiclari, volens exequi servata forma infratte Commissionis de ordine mag.ci
Pirri Vincentij Lebboffo Regio Percettore et omni miliori via, posuit et Induxit Joannem
Battam Corvinellum Terre Limosani Procuratorem Mag.ci Dottoris Jacobi Campanile
Baronis eiusdem Terre Limosani,…, in veram,…, et expeditam possessionem infrattorum
feudorum, scilicet il Bosco Fiorano, Cascapera, La Sala, Le Cese et Foresta, ac etiam
reintegratione q.rum centum et vigenti debitorum ab Universitate Terre p.tte Limosani,
scilicet La Colta de Santa Maria, Zecca, Portulania Camera riservata, et altre”.
Il testo, non sempre comprensibile, ed il “tenor p.tte Commissionis est” che “Pirro Vincentio
Lebboffo Regius Percettor Provincie Comitatus Molisij, et ad infratta per Regiam Cameram
Sommarie specialiter deputatus Mag.co Achille Rumone nostro Commissario, in significare
qualmente per il Mag.co Dottor Jacovo Campanile Barone di questa Terra dellimosani
adversum le pretendenze dell’Unità di detta Terra per li Corpi d.entrate, come Boschi,
Herbaggi, Feudi, Cese, et altro che per d.o Barone si possede in d.a Terra, et teritorij
d’essa come anco per l’annui d.ti cento vinti che dall’istessa Unità se li rende per la
Colta di Santa Maria, Zecca, Portolania, Camera riservata, et altri, et per la
Bonatenenza che dall’Unità si pretende, manisole parti si ottenne decreto, quod prestita
obbligatione per essersene fatta d.a Camera pro parte dicti Baroni de solvendo quiquid
fuorio Iudicatum pro causa p.tta tollatur Sequestrum, et spedite le debite provvisioni à noi
416
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani.
260
dirette, alle quali si diede eseq.ni. Al presente ciò non ostante essendosi di nuovo
impossessata l’Unità di d.i Beni, et contro la forma di d.a Provvis.ne et ordini nostri, di
nuovo si è comparso in d.a Reg.a Camera per parte di d.o Mag.co Barone, et fatta istanza
ordinaria à d.a Unità che per osservanza di d.e provvisioni spedite a beneficio di d.o
Comparente, che con effetto non lo molestino, ne faccino molestare, et che non lo turbono
dalla Possessione di percepire d.i annui entrate et frutto di d.i Corpi et cossì l’osservino et
altrimenti in caso contrario si commette à noi medesimo, acciò così lo faccia osservare
sumptibus contravenihientibus, et pigliarne del tutto diligente informatione, acciò costito di
d.a Contraventione siano castigati per lo che per d.a Regia Camera sotto li quindici di
giugno del corrente anno in Banca di Donato Scognamiglio in virtù di Provvisioni di essa, à
noi diretta, ne stà ordinato l’osservanza di d.a promanata provisione à Beneficio di d.o
Mag.co Barone spedita, in virtù della quale debbia subbito fare levare ogni sequestro
stante l’obbligo fatto, et dovessimo pigliare informat.ne contro li contravenienti per la d.a
inosservanza à spese de Contravenienti, quale presa dovessimo mandare in essa Regia
Camera, ut decet in potere di d.o Mag.co Ill.mo ad finem providendi. Et perche da noi è
stata presa d.a Inf.e dalla quale costa la Contravvenzione di d.a Regia Provis.ne
pertanto citra pregiudicio delle pene incorse per essa Unità, e suoi del Governo vi
dicemo, et commettemo che debbiate reintegrare a Beneficio del d.o Mag.co Barone non
solo li d.i anni cento vinti per le sud.e Cause, che se li devono dalla Unità, ma anco li
sotto scritti Beni, et frutti di essi, ponendoli in possesso come vero, et legittimo Patrone,
come per sempre prima è stato, il tutto in eseq.ne delle d.e Regie Provisioni con stipularne
seu farne stipulato atto Publico, et così…
Dato nelli Mosano li sei di luglio mille sei cento cinquantadoi…
li dicti anni duc.ti cento vinti; Il Bosco Fiorano, la Sala, le Cese, et Foreste (et Cascapera)…
Id est rettus Joannes Batta Corvinella d.e Terre limosani Procurator d.i Mag.ci Baronis ut
supra in dictam possessionem et reintegrationem inducto… et apprehendit Corporale,
Pacifica, quieta et expedita possessione ut supra in di.s feudis di.s Procurator nomine d.i
Mag.ci Baronis singulatim deambulando, ramo collidendo, et multa alia facienda, que aliter
Corporalis Possessionis p.tte denotat…”.
L’Università e li ‘particulari’ in quell’occasione non si fecero affatto intimorire e non si
arresero. Ed, anzi, con la ‘procura’ del 28 Ottobre 1655417, intesero far capire che totale
doveva diventare lo scontro per “vertere lites, differentias… cum m.co Jacobo Campanile,
Barone p.tte Terre, et Januario Campanile eius filio super petitionibus fattis contra eos… et
signanter” su quella della ricompra dei corpi feudali alienati “et sunt la selva detta di
fiorano, Casal di Cascapera, la defensa della foresta, la defensa delle Cese, la defensa della
Sala. Per il pag.to della bonateneza del territorio alli Pozzillo, et Collo di S. Antonio. Per li
animali pecorini et bovini per spatio di vent’anni. Per il pag.to della Camera reservata per
spatio di anni trentisei a rag.e di duc.ti 50 l’ano. Per la bonat.a del palazzo novo fatto con
laverci incorporato sei case di part.i; per la vigna, forna, tappeto, Taverna, et Massaria...,
et per le altre caose…”.
Lo scontro durò diversi anni senza esclusione di colpi.
A parte la posizione, si era già all’11 Febbraio 1669, dei “costituiti Lattanzio Luciano,
Salvator Minicuccio, Nicolaus Covatta, Aloisius Marc’Antonio, Cianne de Tata, Thomas
de Amico, Berardinus Bagnolo, Jacobus Gravino, Donatus Frosolone, Dom.cus Bagnolo,
Dom.cus de Thomaso, Franciscus Marinaccio, Joseph Gio:Cola, Dom.cus Santone, Io.es
Piciucco, Fran.cus de Vendera, Angelus de Vendera, Jo.es Angelus Matteo, Dom.cus de
Angelillo, Silvester Sabetta, Fran.cus Angeli Russo, Jo.es Ant.us Fattorino, Dom.cus de
Tata, Jo.es Ant.us de Orlando, Annibal Corvinella, Jo.es Pascariello, Vincentius de
417
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio DI BARTOLOMEO Francesco della piazza di Ripalimosani
261
Vendera, Jo.es Berardinus Romano, Jo.es Carolus Covatta, Carolus Longo, Micarius
Mottola, Vincentius de Alena, Alesanter Covatta, Pompeus Capillo, Carolus Sabetta, Jo.es
Minicuccio, Tomas Marc’Antonio, Dom.cus de Abramo, Jonnes Luciano, Jo.es Petrus
Parato, Pascus Antonius Gravino, Fran.cus Marc’Antonio Dom.cus Greco, Berardinus
Fracasso, Jonne Carrello et Fran.cus de Amico, omnes cives particolari, et habitatores
Terre Limosani”, i quali, visibilmente contrari al “Governo di detta Terra in questo
present’anno per mala volontà particolare che have con il Sig.r Barone” ed ancor di più
all’ascesa di Gio:Ant.o del Gobbo, “erano convenuti con d.o Sig.re che ogni volta che se li
restituivano duecento cinquanta docati per il prezzo d’una defensa detta la foresta, che d.o
Sig.re ci la restituiva senza lite alcuna”. Sono nella risposta del giorno dopo, 12 Febbraio
1669, il dramma e le condizioni dell’Università, quando “ad preces factas per franciscum
Antonium Greco Sindicum hodiernum p.tte terre Limosani, per Jo.em Carolum Longo,
Petrum del ferraro, et Jacobum de Luca electos ad Consilium, et Gubernum p.tte terre pro
p.nti anno, personaliter accessimus… in platea publica ante domum Rev.di D.i Donati
Covatta Archipresbiteri Sante Marie d.e terre ubi invenimus Ill.rem Dominum Januarium
Campanile Baronem terre p.tte, et dum ibi essemus requisivimus pro inf.to actu conficiendo
p.ttum Ill.em Dominum Januarium, et p.tti predominati Sindicus et electi nos requisiverunt
quia p.ntem actum exequi deberemus in vulgari sermone descriptum pro maiori facti
intelligentia et est tenoris seguentis. La Università della Terra di Limosano, et per essa
l’hodierno Sindico fran.co Ant.o Greco, et Gio:Carlo Longo, Pietro del ferraro, et Giacomo
di Luca eletti, presentiscono che il Sig.r Gennaro Campanile Barone di essa habbia fatto
ragunare una quantità di gente di d.a terra nel suo Palazzo, et ragunati si è lasciato
intendere si d.o Sig.re Barone, come anco altri suoi familiari che have una quantità di grano
d’India, et altro grano buono, et tutto volerlo distribuire alle d.e genti ragunati purche le d.e
genti si sottoscrivessero ad un memoriale del tenor seguente. In primis che d.e gente
dichiarino per la lite vertita per il passato fra d.a Unità, et d.o Sig.r Barone non s’habbia da
innovare, ne disperderci cosa nulla, ma che s’habbia d’attendere alla lite della foresta solo,
et non ad altre defense et pretent.ni che può havere la d.a Unità, il tutto in grandissimo
preiud.io di d.a Unità, come anco per la Cerqua tagliata da M.ro Pietro, che non s’habbia da
spendere un Cavallo, et anco per il sindicato d’Alesandro Covatta olim M.rod’atti, et Donato
fracasso olim Luogot.te similmente che non ci s’habbia da spendere cosa nulla similmente in
grand.mo preiud.o di d.a Unità, et contro le Reg.e Parag.che, et perche non è stato per vero
zelo di soccorrere alli d.i poveri Cittad.ni lo d.o grano tralasciando l’alterazione di prezzo
del d.o grano d’Indio più di quello vale et l’ha comprato ma perche hoggi conosca che la
d.a povertà si ritrova in grand.me necessità nel vivere, è andato sudducendoli con d.o grano
non solo per farsi fare d.a dichiarazione et altre particolarità che si contiene in d.o
memoriale fatto da Gio:Carlo Covatta, Pompeo Capillo, con altri, quali sono andati
sudducendo gran quantità di d.ti Cittadini non solo fuora delle loro Case, mà anco dentro le
proprie loro Case con prometterli del d.o grano, acciò si fossero firmati in d.o memoriale, et
ciò sia vero non essere stato vero amore verso d.ti poveri Cittadini in somministrarli di d.o
grano per il loro vitto, si conosce, che essendoci andati alcuni part.ri Cittadini con
supplichevole parole, acciò l’havesse distribuito un poco del d.o grano, et obbligatione alla
restitut.ne di esso a suo tempo, li furono risposti dal d.o Sig.r Barone, che si sottoscrivessero
in d.o Memoriale, et s’havessero pigliato il grano, et come che d.i part.ri Cittad.ni conobbero
che d.o Memoriale non era cosa giusta, et in grand.mo pregiud.o di d.a Unità, non si volsero
sottoscrivere, furono dal d.o Sig.r Barone con viliss.me parole ingiuriati, et di più
ritrovandosi alcuni part.ri Cittad.ni di d.a terra inquisiti à d.o Sig.r Barone, et essendoli
andati ad impetrare gratia per d.a loro inquisit.ne, li furono risposti, si dal d.o Sig.r Barone,
come anco da Gio:Carlo Covatta suo familiare, che si fussero sottoscritti al detto Memoriale,
262
che volentieri li faceva la gratia di d.a loro Inquisit.ne, similmente molte di d.e persone
stimulate dalla necessità del vivere andorno al luoco dove si distribuiva d.o grano, et essendo
richiesti se volevano grano che avessero fatto conf.e all’altri, et perche la maggior parte di
esse sono persone Idiote che non conducevano, ne tam poco quello che facevano si sono
firmati in d.o Memoriale con un segno di Croce solo, et non altro senza esserli specificato il
contenuto di d.o Memoriale, e perche d.e persone che hanno fatto d.o segno di Croce
s’immaginavano che d.o segno era per l’obbliganza di d.o grano conf.e si vede da alcuni di
d.ti part.ri che hanno avuto del d.o grano con patto che si fussero firmati conf.e all’altri et
essendo stati chiamati alla dirma di d.o Memoriale, non ci sono andati perche hanno inteso
che d.a firma consistente in un segno di Croce non sia per l’obbliganza di d.o grano, ma
serv.ne di grand.mo preiud.o di d.a Unità, et vedendo questo d.o Sig.r Barone subito l’ha
mandato ripigliarlo d.o grano, similmente essendoci andate alcune povere Donne acciò
l’havesse distribuito un poco di grano per il loro Vitto li sono state risposte si da d.o Sig.r
Barone come anco da quelli che havevano la cura di distribuire d.o grano che ci fussero
andati li lor mariti, et quelle che non havevano mariti, che ci fussero andati li loro
primogeniti che ci l’havrebbe dato affinché d.ti huomini si fussero firmati in d.o Memoriale,
similmente come Alesandro di Sebastiano tiene docati trenta del d.o Sig.r Barone da
restituirsi in fine anni conf.e appare per obbliganza et essendo richiesto il d.o Alesando à
firmare in d.o Memoriale, non ci s’ha voluto passare et hora viene forzato alla restituz.ne di
d.ti denari, il tutto per non haver voluto firmare in d.o Memoriale, del quale si conosce non
essere vera compass.ne della povertà conf.e hanno rappresentato alli d.i Cittadini ma più
presto per arrivare a qualche suo buon fine, et il tutto in grand.mo preiud.io di d.a Unità, del
quale d.a Unità se ne protesta si contro chi è andato sudducendo d.i Cittadini à favore di d.o
Sig.re come anco contro d.o Sig.r Barone, et contro tutti d.i Cittadini sottoscritti à simile et
altre cause che siano in pregiud.io di d.a Unità…”. Al che, parodiando in certo qual modo il
Pilato del Vangelo, il Campanile si limitò a rispondere “che quanto s’è detto et esposto da d.i
del Governo, non è punto di verità, ma quello che d.o Barone ha fatto, ha fatto per vero zelo
et per agiutare la povertà, et vuole dare quanto have per agiutare li poveri conf.e have fatto
per il passato”418.
I documenti non riportano come si concluse la vicenda. Ma è certo che la famiglia dei
Campanile in meno di due anni vendette (o fu costretta a vendere?) il feudo.
Sulla considerazione, in cui si tenne la “Universitas civium” di Limosano dal ‘Mastro di
Campo’ Don Domenico Robustella e dai suoi familiari, la dice lunga la singolare esclusione,
di cui già si riferì, degli “homines ad gubernum” dalla “censuazione et concordia” per la
terminazione, che si tenne il 25 Settembre 1672, del confine con S. Angelo.
Il XVIII secolo, oltre che dai tentativi da parte della “Universitas” per la ‘ricompra’ dei
‘corpi’ feudali, che si concluse con quella loro ‘censuazione’, di cui si riferirà altrove, con gli
atti, assai significativi per lo spirito che li improntava circa la pratica attuazione di esigenze di
un certo ‘socialismo’ diffuso, fortemente innovativo e di gran lunga anticipatore rispetto ai
tempi, del 31 Dicembre 1796 e del 30 Aprile 1797, che, tra l’altro, fece sì che arrivassero a
Limosano per abitarvi numerosi ‘forastieri’ con le rispettive famiglie, è caratterizzato dagli
scontri relativi alle pretese, tanto assurde quanto per nulla lungimiranti, da parte del ‘Padrone
ed Utile Signore’ di esercitare, quando non di imporre, gli “jus prohibitivi” sia sulla
“libertate Civium in moliendis oliviis (= libertà dei cittadini di macinare le olive)” che su
quella di cuocere nei ‘Forni’, che non fossero ‘marchesali’.
Circa lo ‘jus prohibitivo’ della “libertà di macinare le olive” il punto più alto dello scontro lo
si toccò nel Gennaio del 1729. E’, difatti, del 3 di tale mese la “Fides publica pro Unitate
418
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio CARRELLI Gian Donato della piazza di Fossaceca.
263
Terre li=Musanorum”419, assai importante, oltre che per il fatto che vi presero parte alcune
donne, per conoscere usi e costumanze dell’epoca, con la quale “si sono personalmente
costituiti nella presenza nostra Giuseppe di Giovan Martino di Tata di anni ottantatrè,
Silvestro Franciosa di anni settantadue, Lionardo d’Amico di anni settanta, Domenico
Luciano di anni settantuno, Angelo Greco di anni ottantatrè, Orazia Covatta di anni
cinquanta et Orazia Antonia d’Amico di anni sessanta…, li quali spontaneamente hanno
asserito…, come se bene, in d.a Terra de li=Musani vi sia stato e vi sia il Trappeto per
macinar olive, e far oglio, che ogn’anno si è affittato, e si affitta dalla Camera Marchesale
à Cittadini, che applicano à d.o affitto; Mai però li Cittadini di d.a Terra, hanno potuto
essere forzati, e costretti dall’Affittatori di d.o Trappeto, né da altri à portare le loro olive à
macinarli in d.o Trappeto, per non esservi mai stato jus prohibendi, essendo sempre stato
lecito ad ogni Cittadino, à loro disposizione, e libera volontà di andare a macinare in d.o
Trappeto, e in altro luogo che li è piaciuto, senza poter essere impedito dà alcuno; e per la
libertà, in che sempre hanno vissuto i Cittadini per tutto lo passato, chi è andato in d.o
Trappeto, chi se li hà fatto in casa, e chi è andato altrove, tanto che il fù Mastro Alessandro
Sebastiano sempre andava à macinare le sue olive nella Terra di Lucito…; come sempre
anche ci andava Domenico Sebastiano suo Fratello…, come anche il q.m Medico Lucatelli di
questa Terra sempre mandava le sue olive, in d.a Terra di Lucito; la Moglie del q.m Angelo
Romano se li faceva in casa; li q.m Tomaso Covatta, e Giovan Carlo Covatta hanno sempre
tenuto la mesa di legno in lor casa, et ancora la tengono li suoi eredi, dove facevano l’oglio a
pede, e veniva ogn’anno à farli un certo Ciannone di Montagano, il quale anche lavorava in
casa di Domenico Carrozzo, vicino la Porta del Borgo, e faceva oglio à tutti quelli Cittadini
di questa Terra, che volevano servirsi di lui, non ostante che macinava d.o Trappeto, e
sempre in tutto il tempo di lor vita, i Cittadini han vissuto in d.a libertà; anzi un anno, il
fù Don Scipione Robustelli Padrone di questa Terra dè li=Musani volle costringere il d.o
q.m Mastro Alessandro Sebastiano à portare le sue olive à macinare nel Trappeto di questa
Terra, e impedirli di portarli in Lucito, essendosi risentiti l’Università, e suoi Cittadini di tal
proibizione, non poté d.o Sig.re restringere la libertà nella quale si ritrovava l’Unità, e suoi
Cittadini, li quali sempre sono andati à far oglio dove li è piaciuto, e così fin oggi li
Cittadini hanno sempre continuato nella loro libertà antica; et in tutti gl’anni à dietro, varij
Cittadini, perche conoscevano, in andar fuora, l’utile, e l’avanzo loro, che non ritrovavano, e
non ritrovano in d.o Trappeto, dove ci hanno sperimentato molta perdenza, perche
l’Affittatori, in macinare l’olive, tengono la macina alzata, che non troppo macina, danno
pochi miscoli, e la varra corta, che non puo torcersi l’oglio, perche lasciandosi per essi loro
la Noccia, la tornano à macinare, e ne cacciano tanto più oglio, che non ne cacciano i
Cittadini nella prima molitura della olive; sono andati liberamente à far l’oglio nella Terra
della Petrella fin l’anno passato, mille settecento ventotto, senza che fossero stati impediti, né
ostacolati da alcuno, per essere detti Cittadini nell’antica libertà; ed han soggiunto detti
Constituti, che han sempre inteso dire dà loro Antenati, e quelli dall’Antenati loro che li
Cittadini di d.a Terra de li=Musani sempre sono stati in libertà di poter andare a far
l’oglio dove li pareva, e piaceva, senza poter essere astretti à portare l’olive in d.o
Trappeto, et ita iuraverunt”.
Ci si stava preparando allo scontro. E bisognava farlo per bene. E, così, qualche giorno più
tardi, era il 7 Gennaio, “si sono personalmente costituiti… Antonio Angelilli di anni settanta,
Mastro Pietro Piciucco di anni sessantaquattro, Gasparo Covatta di anni sessanta,
Laur’Antonia Covatta di anni cinquantatré, Catarina Covatta di anni quarantacinque, e
Vincenzo d’Amico di anni cinquantacinque,…, li quali spontaneamente hanno asserito, che
419
ASC, Fondo AMOROSO, Protocolli Notarili del Notaio AMOROSO Francesco Antonio di Limosano. Dello
stesso Notaio sono tutti gli atti che riguardano la vicenda e che, per non appesantire il lavoro, si eviterà di citare.
264
in d.a Terra de li=Musani non vi sia mai stato Jus prohibendi sin oggi pred.o giorno, di
poter essere i Cittadini costretti a portare à macinare le loro olive, e far oglio nel Trappeto
di questa sud.a Terra, essendo sempre stati li Cittadini, quantunque macinasse il Trappeto,
à loro libera volontà, di andare à macinare l’olive, e far l’oglio dove li è piaciuto,…”. Ed
ancora il 12 Gennaio, sempre del 1729, “si sono personalmente costituiti… Lionardo
Marchetta di anni sessantatré, Pietro Santone di anni sessanta, Francesco Ricciuto di anni
cinquantatré, Giovan Battista d’Orzo di anni cinquantacinque, Donato Franciosa di anni
cinquanta, Francesco Corsetta di anni sessanta, ed Anna Cornacchione di anni
cinquantanove,..., li quali spontaneamente hanno asserito… come, se bene in q.sta Terra
sud.a vi sia il Trappeto dà macinar l’olive, e far oglio, mai li Cittadini, per la libertà, in che
sempre hanno vissuti, hanno potuto esser forzati, è costretti andare a macinare le loro olive
in d.o Trappeto,…”.
A parte il cenno, assai importante, ad un precedente tentativo fatto già da Don Scipione
Robustella di limitare la libertà “in moliendis olivis”, come erano andate esattamente le cose
lo si apprende dalla “Protestatio prò Unitate Terre li=Musanorum” del 18 Gennaio,
quando “ad istanza, e richiesta fattaci dalla Mag.ca Università di d.a Terra, e per essa
dalli suoi Mag.ci Sindico, ed eletti, Domenico del Gobbo Sindico, Francesco Gravino,
Cosmo Minicuccio, Benedetto Pasciarella, Libero Amoroso, Donato del Gobbo, e Nicola
Cipriano, persone del Governo della sud.a Unità,…, ci siamo personalmente conferiti avanti
di V.S. Mag.co Diego Longo Attuario della Corte Marchesale della d.a Terra, li quali
Sindico ed eletti,…, dicono, come essendosi preteso dall’Affittatori del Trappeto di d.a
Terra, Donato Marchetta, Giuseppe Russo, Domenico Russo e compagni, introdurre un
Jus prohibendi à Cittadini, li quali sempre, et ab antiquo, fin oggi hanno vissuti in
libertà, di poter andare à macinare le loro olive, ove li è piaciuto, ò di far l’oglio à pede
nelle proprie case: fecero sin dalli primi di Novembre prossimo caduto, emanare un bando
penale, proibendo con esso i Cittadini, di non servirsi più della solita libertà, costringendoli
senza ragione ad andare forzosamente à macinare in d.o Trappeto, il q.le ogni Cittadino
l’hà fuggito, e lo fugge, per ragione che l’olive, in esso, poco, anzi nulla si macinano, e
pochissimo oglio se ne ricava, à ragione, che li d.i Affittatori si lasciano le d.e olive meze
macinate, che chiamano la noccia, e poi la tornano a macinare per essi loro, e ne cavano
tanto più oglio, che non ne cacciano i Cittadini nella prima molitura, et altro di danno, che
se ne conosce; al q.le bando si risentì l’Unità sud.a con sua istanza presentata in essa Corte
alli otto di Novembre mille settecento ventotto, e lo rivocò, doppo di che, Luzio Fracasso
Erario della Camera Marchesale pretese comparire in Reg.a Camera, et ivi esponere cose
lontanissime dal vero, dalla quale ne ottenne provisioni, con cui si ordinò alla Corte di d.a
Terra, che ritrovandosi l’Ill.mo Marchese nel possesso del Jus prohibendi, in tale caso avesse
fatto mantenere il med.mo nel possesso; in pié delle quali provisioni, la Vostra Corte citò
l’Unità protestante a vedere il giuramento de Testimoni dà esaminarsi sopra il tenore delle
provisioni, chiamando per testimoni Domenico di Luca persona da campagna non saputa
del fatto, Mercurio Covatta Inimico dell’Unità per la lite che passa con esso, Giovan
Battista Granitto parziale della parte, e Silvestro Franciosa, cognato dell’Erario; al che
essendosi opposta l’Unità med.ma, dichiarò sospetti i Testimoni, e sospetta la Corte sud.a,
con sua istanza presentata nella med.ma nello stesso giorno quattordici di Gennaro corrente
mille settecento ventinove, nel qual giorno dà V.S., e Vostra Corte li furono fatte notificare
d.e provisioni; ciò non ostante pure procedestino all’essame di d.i Testimoni, ributtando
Silvestro Franciosa, il quale deponendo il vero, fu licenziato, et in sequela, con insanabili
nullità, à precipizio, il giorno seguente, alli cinque (nota: ma dovrebbe essere il 15) del
corrente Gennaro, mille settecento ventinove, senza voto di Consultore, senza far procedere
di munizione, ò almeno citazione ad dicendum causam quare non dovessero i Cittadini essere
265
sottoposti ad un tale Jus prohibendi, che mai hanno patito; se li spiccica decreto, col quale si
ordina, che l’eletti non turbino l’Ill.re Possessore dal possesso di d.o Jus prohibendi, in che
mai è stato, togliendo à Cittadini quell’antica libertà, che sempre han goduto; sotto la pena
di onze venticinque d’oro, del qual decreto l’Unità protestante, nello stesso giorno quindici
Gennaro mille settecento ventinove ne propose la nullità per capita, à riserba dell’altre da
proporsi in Reg.a Cam.a, ove reclamava, e rivocò con d.a istanza il nuovo bando
ingiustamente fatto emanare, demandando parimente in esse gl’atti su tal cassa fabricati fin
dal mese di Novembre Mille settecentoventotto; dopo di che essa Unità protestante alli sedici
del corrente Gennaro, con sua istanza presentata ad essa Corte, domandò gl’atti tutti
originali à percontare, e gli furono allora denegati, à caosa che correva giorno di festa, ed
essendo tornati questa mattina diciotto del corrente in d.a Corte, e richiedendo a V.S. Sig.r
affittuario, e Corte in solidum, detti atti tutti, gli sono stati all’in tutto denegati, sotto colore
di haverne fatta la rimessa in Reg.a Cam.a, facendoli sentire di vantaggio, in presenza di
Pietro Santone, e Cosmo Greco, ivi ritrovati à caso, di non aver inserito in d.o processo
l’istanza della Protestante, presentata fin dalli otto di Novembre mille settecento ventotto, ne
quelle presentate alli quattordici, e quindici, e sedeci del corrente, anzi ha preteso restituirli
alli detti eletti protestanti, in pregiudizio delle ragioni dell’Unità, e suoi Cittadini; che però
dicendo di nullità di tutti gl’atti dà voi fabricati, come allegati sospetti, cum iuramento, per li
Testimoni invalidamente esaminati, e per l’altre nullità proposte in dette loro istanze, alle
quali ineriscono, e per altre da proporsi in Reg.a Cam.a, come altresì, si protestano citra
quos per non essersi inseriti in processo le rag.ni dell’Unità, del che dà hora ne fan ricorso, e
reclamano à d.a Reg.a Cam.a, e si protestano di tutti danni, spese, ed interessi, patiti, et
pathienti, et acciocché non possiate allegare scusa d’ignoranza, costituendovi in mala fede,
dolo, ò lata culpa, his sumptis, ne lo notificano”420.
Non poco sarebbe da dire sulla collusione tra il potere economico degli ‘Affittatori’ (e pure la
Camera, o Corte, Marchesale si gestiva in ‘affitto’) e quello dei ‘dipendenti’ dall’ “Utile
Signore”; sui ‘mezzi’ a disposizione dell’Università per difendersi dagli attacchi, quando non
veri e propri soprusi, sferrati dal feudatario; e sulla considerazione che quest’ultimo teneva
per l’organizzazione sociale ed economica dei suoi ‘vassalli’. Ma, se qui si facesse ciò, si
correrebbe il rischio di andare fuori dal campo in cui si sta seminando.
Registrato il tentativo (ed anche in questo caso veniva fatto dal ‘figlio’ del Mastro di Campo)
anticipatore e premonitore di Don Scipione Robustella, è durante i primi anni del XVIII
secolo che, dopo la parentesi di un venticinquennio circa di gestione più ‘illuminata’ e
tranquilla da parte di Don Francesco prima e, poi, di Don Giuseppe Casimiro, con quel Don
Domenico, che, terzo titolare del feudo, rappresenta la ‘seconda’ generazione della famiglia di
Grazia, inizia a riacutizzarsi la virulenza dello scontro, in cui però da adesso il Marchese è da
una parte sempre più solo e, dall’altra, il numero dei ‘cives’ si fa numeroso.
E’ del 30 Agosto 1703 la “Protestatio” di circa cento cittadini (dei quali sono indicati tutti i
nomi), che “dichiarano, che mai da immemorabile tempo si è costumato, né usato, che il
Mag.o Gub(ernator).e debia intervenire ne’ consegli publici, ma solo il Mag.co
420
A proposito della moralità o, meglio, della scarsa moralità degli ‘Affittatori’ del Trappeto, va detto che
Donato Marchetta, qualche anno prima, era stato ‘carcerato’. Da un atto del 7 Ottobre 1725 (Not. Amoroso) si
sa di un “processo formato da quella Corte de li=Musani per la caosa del furto del grano del Palazzo, si ritrova
deposizione sopra la fuga di Donato Marchetta carcerato, a limatura di ferri, che quello teneva… Fù chiamato
dal Mag.co Gov.re Gaetano li Partiti, dal quale li furono consegnati le chiavi della Cucina di d.o Palazzo, dove
stava carcerato Donato Marchetta, e li ordinò, che fosse andato a vedere se d.o Donato si avesse cacciato li
ferri, ed essendo andato… in d.a Cucina, et aperta quella colle sud.e chiavi,…, ivi entrarono, ed avendo
osservato molto i ferri, che teneva alli piedi d.o Marchetta, ritrovarono, che se bene la zeppa di ferro andava
meno della metà del palo di ferro, per essere d.a zeppa alquanto lasca, però d.a zeppa non poteva mai uscire di
q.lla maniera che stava, ne conobbero, che fosse stata limata d.a zeppa, e visto tutto ciò se ne uscirono da d.a
Cucina, con lasciare d.o Marchetta ivi dentro carcerato, e ferrato come prima,…”.
266
Camerario dell’Ill.mo S.r M.se Padrone di d.a Terra, della qual cosa si protestano con
tutti termini di dovere, et d’ogni danno, et interesse, che forsi per d.o fatto potesse sortire,
non pregiudicandosi li loro Capitoli, e Privilegij, ma che il Sig.r Governatore esci da d.a
Casa di d.a Mag.ca Unità acciò li Cittadini… per loro servizij, et utile del publico
possono proponere tutto quello li sarà necessario à loro favore con l’intervento del p.tto
Mag.co Camerario”421.
Nella “Replica di d.o Mag.co Governa.re” egli “dice, che non impediscie à publici Cittadini
di ricorrere per la giustizia l’assiste à piedi di S.E., e suo Regio Collaterale Consiglio, che ivj
portino le loro raggioni, e frà tanto fa istanza che in virtù dell’Ordine di S.E. P.ne, e suo R.o
C.le Consiglio, che si debia mandare in esequuz.ne il d.o Ordine,…, che debiano fare nuova
elettione, stante così è sua volontà,…, et a Contravenienti di loro si debiano confiscare tutti
li loro beni secondo nelle pene incorse, e che si adnotino tutti li Cittadini intervenienti in
d.o publico parlamento, et che ad uno, ad uno dichino, et dichiarano il lor parere, e se
vogliano mandare in esequz.ne l’ordine predetto,…”.
Qualcuno, forse per timore, tentò allora anche la via del compromesso, se è vero che “intesa
la protesta p.tta da tutti i Cittadini si è soggiunto unico actu dal Mag.co D.r Fisico Giacinto
Corvinella, il quale è d’opinione, che per la quiete Universale di tutti i Cittadini, che in virtù
dell’Ordine del Principe esibitosi, il quale ordina che si faccia nuova elettione delle persone
del Governo di d.a Terra di Limusano à causa che il parlamento fatto alli Dieci Agosto
presente Anno, Mille Settecento, e Tre per d.o effetto s’adnulla, à causa, che non vi ci fusse
intervenuto il Mag.co S.r Go.re, Dico, come s.a ho detto, son d’opinione, Che li Mag.ci del
Governo passato continuassero l’Officio per dieci, quindici, o venti giorni, et sino a tanto,
che il publico porta le sue ragioni, Capitolazioni, antichità, et consuetudine, et quelle
liquidarsi con quello giusto ordine, che sarà di giustizia”.
Ma, “intesa la proposta da tutti Cittadini”, questi imposero “unica voce, et nemine
discrepante, Che vogliono il Governo nuovo nuovamente eletto, come per il precisato
Consiglio appare sotto la data delli dieci del presente mese d’agosto con osservarsi tutti
loro Capitoli, et ogni altra Consuetudine antica, et non altrimenti, stante l’esposta fatta
in Sacro Consiglio appresso di S.E. si è conosciuto evidente esser surrettizia per le cause
notorie che d.i Citadini rappresenterando appresso Sua E.za”.
I cento è più ‘cives’ limosanesi si erano, dunque, resi conto che lo scontro stava per rivestirsi
dei connotati della globalità e che, se volevano mantenere, almeno in parte, quei diritti e quei
‘privilegi’, di cui avevano “ab antiquo”422 sempre goduto, dovevano prepararsi a “vertere
lites” ed anticipare, se possibile, le mosse del loro ‘Marchese’.
421
ASC, Fondo Protocolli Notarili, Notaio VENTRESCA Gregorio della piazza di Lucito.
Che Limosano abbia goduto di antichi diritti e questi abbia sempre reclamati lo prova il fatto che “nella seduta
consiliare del 28 maggio 1636, il Comune di Benevento accoglieva la seguente istanza del sindaco e degli eletti
di Limosani: ^Ill.mo et Rev.mo Monsignor Vice-Governatore di Benevento et molto illustri et molto eccellenti
Consoli et Consilieri di detta Città, l’Università et particulari della Terra delli Musani, umilmente fando
intendere alle SS.VV. in questo pieno e spettabile Consiglio, come detta Università e successivamente li suoi
cittadini sono da tempo immemorabile stati franchi et immuni nella città di Benevento da qualsiasi pagamento
di datio, doghana et ogni altra imposizione ordinaria che pagano i forestieri, così come li medesimi cittadini et
oriundi della città di Benevento et è noto a bona parte delle SS.VV. acciò che per l’avvenire non vi sia
novazione alcuna et che dalli officiali doghanieri et altre persone non informate di tali privilegi et immunità,
detta Università et suoi particulari non siano molestati, presentano davanti le SS.VV. le fedi di dette loro
franchitie, le quali fando istantia si conservino con le altre scritture di detta Città ad futuram rei memoriam et
supplicano anche le SS.VV. che senza alcun pregiuditio dei primi privilegi, decreti et scritture qualsiasi a favore
di detta Università e particolarmente per detta causa, si degnano confirmare per decreto tutte le sopra dette
franchitie, immunità et esentioni che altre volte le sono state concesse et confirmate et il tutto l’haverà a gratia
ut Deus^. Firmarono l’istanza ‘Vincenzo da Lena’ Sinico e ‘Joseppe Lenguecitto’ eletto; gli altri quattro eletti
col solito segno di croce. Poi, ‘facto verbo, inter consiliarios’ sulla validità dei documenti esibiti, venne decretato
che ‘dicta Terra Musanorum’ fosse esente e libera da ogni contributo fiscale” (v. BOZZA F., op. cit., pag. 177).
422
267
E’ quanto avvenne circa la pretesa “se abbia l’Illustre Marchese jus proibitivo delli Forni , e
se possa a’ Cittadini impedirne la costruzione di quelli per cuocere il pane per proprio uso,
e delle di loro case, Famiglie, ed Operarj: e se la Università, che gode la Gabella sul pane,
che si fa a vendere, possa aprir Forni per la Cottura di quello”423.
Al riguardo “non abbiamo rastro di documento che prima del 1704 i Marchesi di Limosani
avessero a’ loro Vassalli fatta la proibizione di tener nelle proprie Case i Forni”. Ed, anzi,
“solo rilevasi che nell’anno 1704 comparve nel S.C. la Università di Limosani, e propose varj
gravami. Nel primo disse il seguente: ^Quia cogit, et compellit Cives, et Vassallos, ut
accedano ad coquendum panem in suo Furno tantum eum et nullum competat jus prohibendi,
et sit libertate dictorum Civium coquere ipsum panem ubi maluerint, sicuti a immemorabili
dictam facultatem habuerunt, et postmodum dicti Barones vi, et metu praedictam libertatem
adimere quaesiverunt, prohibenda ne alia Furna construerentur…^, e speditasi la
controsupplicata fu notificato al Procuratore dell’Illustre Marchese, il quale oppose varie
eccezioni, e particolarmente oppose di non potere gli Amministratori dell’Università intentare
tal lite…”.
Il solo anticiparlo, evidentemente, non bastò. Tanto è vero che “nell’anno 1708 comparve
nell’istesso S.C. il Marchese di Limosani, e con sua istanza disse, di ritrovarsi nel legittimo
possesso del jus proibitivo delli Forni, dimandò che niente si fusse innovato, e che
pretendendo qualche cosa la Università l’avesse formalmente dedotto nel S.C.”; ma senza
“che niun atto proibitivo dal Marchese di Limosani si dimostra, che ha preceduto alla lite
introdotta”; ed, inoltre, gli atti proposti non erano “valevoli a dimostrare l’acquiescenza de’
Vassalli col lasso del tempo di 30 anni”.
Di nuovo “nell’anno 1728 comparve nella R. Camera il Marchese di Limosani, disse che tra i
corpi feudali possedeva il jus prohibendi i Forni, ed i Trappeti ad uso di macinar olive, che i
Cittadini volevano interrompergli quel possesso, quando con bandi penali aveva proibito a’
Cittadini di macinar l’olive in altri Trappeti, che alli suoi… Si spedirono le provvisioni colla
clausola verum habens, le quali furono presentate alla stessa Corte di Limosani a’ 15 Gennaro
1729, notificate agli Eletti di quel tempo. La quale Corte nell’istesso giorno esaminò tre
Testimonj Cittadini (nota: della vicenda già si è riferito), i quali deposero il possesso del jus
proibitivo del Forno, e del Trappeto. In vista delle quali deposizioni la Corte locale pubblicò li
bandi, acciò nessuno Cittadino andasse a macinar le Olive in altri Trappeti dell’estere Terre”.
Ma “non ostante questo bando, e non ostante questo preteso jus proibitivo nell’anno 1754 il
S.C…., a ricorso dell’Università di Limosani esimé da questo preteso jus prohibendi
delli Trappeti l’uso proprio delli Cittadini, ed ordinò che fosse lecito a’ medesimi di servirsi
di lor ragione,… Ma se il bando, che parlò della sola proibizione di portare l’olive a triturarle
negli esteri Trappeti, parlato ancor avesse del jus proibitivo delli Forni; Come il bando
apparisce pubblicato nel 1729. Così i trenta anni a die prohibitionis per tirarne l’acquiescenza
de’ Vassalli, non sarebbero elassi, perché a’ 14 Giugno 1749 s’istituì dalla Università di
Limosani il giudizio nel S.C. per lo permesso di tener i Forni nelle proprie Case, non
ostante il vantato jus proibitivo”.
In quest’ultima occasione il Barone fece ricorso anche all’inquinamento delle prove, così che
“a’ 25 Giugno 1749 (nota: erano trascorsi appena undici giorni dall’azione della Università)
comparvero nella Regia Camera alcuni pochi Cittadini (promossi, ed istigati dall’istesso
Tali ‘privilegi’, che “i Limosanesi, come originari, godevano in Benevento” (SARNELLI P., op. cit., pag. 224), e
probabilmente anche altri ‘diritti’ risultavano “per l’insegnia et iscrittioni che stanno sopra la porta del Borgo di
essa città” (CIARLANTI G.V., op. cit., pag. 222).
423
ALLEGAZIONE FORENSE, Per la Università di Limosani contro dell’Illustre Marchese utile Padrone di
detta Terra, Napoli 20 Marzo 1760; in Biblioteca Provinciale di Campobasso al n. 2339. Il documento, utile per
la ricostruzione della vicenda, contiene anche notizie sulla storia della titolarità del feudo. Come sempre, se ne
omette il facile ricorso alla citazione.
268
Signor Marchese), i quali lagnandosi della gabella chiamata della panatica, che la
Università esige dalli Venditori del pane, credendo, che detta Gabella si fosse imposta senza
regio assenso, e nell’istanza dissero che non erano tenuti ad altro jus proibitivo, se non di
portar ad infornar il pane nelli forni feudali, senza esser permesso di tenere, o edificare forni,
siccome ab immemorabili si era praticato… In vista della quale istanza furono spedite
provvisioni, che si dovessero monire le Parti, e frattanto essendo vero, che la detta gabella si
sia imposta senza regio assenso, si dovesse far quella dimettere”. Ed anche se “i Testimoni
che si esaminarono non avevano la necessità di deponere del jus prohibendi vantato dal
Marchese di Limosani, questi perché erano Cittadini, e Vassalli del Marchese, deposero
secondo il medesimo aver già premeditato, per eludere il giudizio istituito nel S.C. giorni 15
prima di proponersi il giudizio nella Regia Camera”. E, siccome “che questa gabella non si è
tolta, né più quel promosso giudizio si è proseguito”, risultava evidente, in quel frangente, che
“premeva solo al Marchese di far conoscere di essere in questo possesso”.
Ma, nonostante “il S.R.C. a 11 Agosto 1750 ordinò, quod facta declaratione in publico
parlamento, et per segreta suffragia, an Universitas velit, nec ne litem prosegui cum Illustri
Marchione dictae Universitatis, providebitur, et committatur Regiae Audientiae, quod
destinet unum ex Regiis Auditoribus pro parlamento praedicto…”, era chiaro che “un tal
decreto fu proferito ad oggetto che dall’Illustre Marchese fu opposto, che non potevano gli
Amministratori della Università proseguire la lite intentata, senza far precedere il publico
parlamento”. Trattavasi, perciò, di un vantaggio appena illusorio poiché la reale situazione era
che “dopo varj atti seguì il parlamento al 1 Novembre 1752 col quale con pienezza di voti di
151 Cittadini fu stabilito il proseguimento di detta lite, e sette soli Cittadini furono di
sentimento di non doversi la detta lite proseguire”.
E neppure della ‘informazione’ “del 1758, avvenuta in occasione della verificazione del
solito, se nella Taverna del Marchese si poteva vender pane”, quando, ancora una volta, “egli
fè deponere da’ suoi Vassalli di possedere il corpo feudale delli Forni col jus prohibendi”, in
quanto “una informazione presa a stenti, ed in frode del giudizio promosso nel S.C. non deve
fare specie alcuna, perche è in tempo che il processo era istrutto per proponersi la causa”.
Risolta nel 1754 la ‘lite’ sulla “libertate in moliendis oliviis” a proprio favore, le vicende di
quella sullo jus proibitivo di costruire i forni si protrassero ancora per alcuni decenni. Era,
difatti, essa ancora in piedi il “23 9bre 1788”, quando, “convocatosi publico parlamento”, per
2° argomento doveva discutersi “come pure essendosi dal Sig.r Marchese con provisione del
S.R.C. ordinato a Cittadini, che dovessero cuocere il pane nel forno della Camera Marchesale,
e non nelli forni che i Cittadini si anno fatto per di loro uso, e comodo, dopo che questa Unità
per tale lite avesse disperse più migliara, et oggi per una connivenza delli passati Governanti
si vedano i dritti dell’Unità, e Cittadini lesi; per ciò sta bene la lite, che quasi stà a buono
termine si prosiegua per rendersi una volta per sempre se competa ò nò a Cittadini di questa
Unità il dritto di tenere i forni”. E nel “publico parlamento” del 30 Maggio 1791 al “3° punto”
è ancora riproposta la materia della discussione nei seguenti termini: “crediamo anche bene
per vantaggio di questa Unità proporre nuovamente alle Sigg.e loro per la conveniente
risoluzione, la transazione proposta altra volta trà questa Nostra Unità, e dell’Ill.re Possessore
di essa il Sig.r Marchese D. Nicola di Grazia, il quale come sapete, è pronto di cedere
intieramente qualunque dritto egli possa avere sopra i Forni, la fabbrica de’ forni medesimi a
disposizione, ed in proprietà di questo Publico. Contendandosi egli di avere annualmente in
denaro ò in grano una annuale contribuzione in compensa della sua cessione: il perche
dicendo di formarsene Istrumento; e si vorrebbe sapere dalle Sig.rie loro qual summa siate
pronto a dare, o qual quantità di grano si penza annualmente di dare, dicano ogn’uno il loro
sentimento, come meglio pareranno”. E “su d.a proposta è stata ben intesa da tutti i Cittadini
congregati ed in unica voce, et nemine descripante hanno riferito, che nel parlamento passato
269
si disse che si fosse formato il piano della pretenzione dal sud.o Sig.e Marchese, come che
hora non si e presentato detto piano, niente si è conchiuso lo detto Parlamento del sud.o Terzo
punto”424.
Si trattava, però, di una concessione dopo che “i tre mentuati luoghi Bosco Fiorano, Cese, una
col Casale, sono stati ricomprati da Cittadini assoluti per mezzo delle imposizioni sofferte per
formare il pieno di ducati quattro mila cinquecento cinquanta oltre delle spese erogate per il
corso di anni 30 per mantenere la lite con l’utile Padrone: tale ricompra fu fatta nell’anno
1778. Dopo tale ricompra de luoghi suddetti sono venuti ad abitare in questa Terra diversi
Forestieri”425. E la si faceva con l’obbiettivo di ottenere l’appoggio del proprio “utile
Padrone” nella ‘lite’ contro il Barone di S. Angelo, che, per parte sua, reclamava la divisione
ed il distacco della sua quarta parte del feudo di Cascapera 426. Cosa, che, nonostante tutti gli
sforzi, nel 1796, dal de Attellis si ottenne.
Per la conoscenza del patrimonio della “Camera Marchesale di questa Terra olim Città de
Limusani” si riportano le risultanze del più volte citato ‘Catasto Onciario’427.
424
ASCL, Libro de’ Publici Parlamenti dell’Università di questa Terra di Limosano principiato a dì 22 Giug:
1783, B. 3, f. 3.
425
BOZZA F., op. cit., pag. 226.
426
BOZZA F., op. cit., pag. 249 e seg.
427
ASCL, B. 1, f. 1. Pur se fatto con grafia di difficile interpretazione, si trascrive per la conoscenza delle cose di
quel periodo, da uno 'stralcio' del 1670, che "Nell'apprezzo della Terra di Limusani fatto da Dionisio di
Bartolomeo (eletto per d.a Regia Camera sotto li 10 di Luglio 1613) fra l'altre è Nota dell'Intrate feudali, che il
Barone riceve dalla d.a Terra", e sono:
- In primis dalla d.a Terra riceve ducati Settanta l'anno li quali si pagano per la Colta di S. Maria, per la
Zecca, e portulania, e per la Cassa dell'Erario, e per una pena incorsa per havere alli Tempi passati dato
ricetto al Forascito Angelillo.
- La Mastrod'attia, quale quest'anno si è venduta insieme con il trappeto dell'oglio, ducati 60, prima era solito
vendersi separata, e si vendeva ducati 90.
- La bagliva si è venduta ducati 30, prima si vendeva ducati 60.
- La Taverna, e Chianca con due pezzi di Vignali venduti ducati 35, e prima si vendevano ducati 50.
- Li proventi, che prima rendevano ducati 50, al presente rendono poco, ò vero niente.
- Allo fonte S.ta Maria vi è una Vigna, la quale per l'Assenza del Barone si vende la vendemia ogn'anno, e
quando si è venduta venti, e quando 15 ducati; quest'anno si è venduto ducati 8; per coltivare d.a vigna vi è
spesa di ducati 4 Inc.a, e si paga di censo ducati 2 alla Chiesa di S.ta M.a Magg.re.
- Le rendite di censi per lo solo tenimento di certi Casalini, e territorij, e Vigne d'oliveti, li quali rendono in
tutto ducati 6 e tt.a 10 di certo apprezzo per la difesa, e territorio di Cascapera; l'entrate di essi se divide in tre
parti, la metà è della Terra delli Mosani, l'altra mettà spetta mezzo al Barone d'essa, l'altra mettà al Barone di
S. Angelo, questa quarta parte del Barone de limosano e feudale, e haverà reso quest'anno tt.i venti.
- Vi sono molti pezzi di territorij seminatorij, quali stanno in diversi luoghi, quali quest'anno hanno reso tt.a
30 frà orgio, e grano; tutte queste Intrade soprad.e sono feudali, le quali il Barone riceve dalla soprad.a Terra
de limosani.
E' nota dell'Intrate burgensatiche delli Territorij, e defese, che il Barone Sadeolis comprò dalla Terra di
Limusano con patto de retrovendendo per prezzo di ducati 4350, come appare cautela stipulata per Notar
Gio:Vincenzo Cavaliero. I quali sono queste: La mettà della Difesa di cascapera, ch'e soprannominata li
Boschi delli Monti, la difesa di Cesa, e della foresta, e della Sala; Territorij tutti bene per seminar
vittovaglie, e pascolo d'animali, e li Boschi per esca di Porchi, e per taglio di legname morto; con tutto che
questi beni sieno così buoni, quest'anno vi è seminato poco, ò niente; la causa di questo è, che tanti altri
Cittadini sono soliti tenere una quantità d'Animali, che bisognano per coltivare detti Territorij, e per
consumare li pascoli, come sono bovi per arare la terra, vacche per fave, e pecore, e capre per sonsumare li
pascoli, e porci per esca delli boschi; A ora per non vi essere il Barone, e li Cittadini di d.a Terra sono poveri,
non vi è chi possa fare la compra di questi animali, e questa e la causa, che la povera Terra non rende le
gabelle, ne li pascoli; e detti non rendono l'Intrade, e sim.le la Bagliva, et ogni cosa và mancando, e
diminuendo la Terra e li Vassalli ne andrà male in peggio, e questo è quanto dell'entrade burgensatiche.
Et seguita con l'infratti Corpi d'entrade:
La Giurisdizione de prime, e seconde cause civili, criminali e miste, Item anno ducati sessanta, quali si
pagano ogni anno per l'Unità per la Colta di S. Maria, Zecca, e Portulania, et altro; Item il Jus Scannagij,
seù rotolaggio; Item la Mastrod'attia; Item il Trappeto; Item la bagliva; Item due forna; Item la taverna, e
270
“L’Ecc.a del Sig.r Marchese Sig.r D. Franc.o di Grazia, utile Padrone d’essa, habitante in
Napoli, come Cittadino di q.lla Capitale, Possiede in questa sud.a Terra olim Città de
Limusani l’infratti beni allodiali, e Feudali, come in appresso si descrivono, e rivelati dal suo
Mag.co Erario, come dalla sua rivela, discussa nell’atto della discussione, alla quale stà
tralasciata. Le preventive sue proteste sono.
Non di meno costretto a dovere fare d.a rivela, ed essere inteso io sotto in d.o apprezzo, e
discussione in ossequio di d.i Regali ordini,…, non con animo di pregiudicare punto alle
rag.ni di dett’Immunità di titoli, decreti,, privilegij, e natura feudale, che appartengono ad
esso Ill.re Sig.r Marchese, per qualsisia titolo, e causa, e speditamente, come Privilegiato
Napoletano, Padre Onusto, e con espressa riserba delle rag.ni, e privilegij sud.i
d’avvalersene, e giovarsene così nel petitorio, come nel possessorio, anche sommarissimo
nella Liquidaz.ne dell’onciario, e tassa dà farsi come sopra, e non altrimenti, ne d’altro
muodo rivela possedere d.o Ill.re Sig.r Marchese nel Territorio, e tenimento di questa sua
Terra di Limusano l’infratti beni, ciò è:
- Il Bosco Fiorano (nota: a margine è indicato “Si è protestata l’Unità come dal suo foglio,
s’acclude”), seù li Monti di tt.a mille in circa, che confina col Feudo di Ferrara, con li beni
de Minori Conventuali di S. Franc.o di questa Terra, li Territorij di S. Angelo ed altri
Territorij Padronali di questa Terra, vie publiche, ed altri confini, che contiene molta parte
del suo Territorio senza alberi, e non atto à semina, per essere valli, e colli infruttiferi, ed
inculti, trà fertile in fertile di Ghiande, fida di Erbaggi, e fida à legne morte, levatane la
spesa de Guardiani, che devono di continuo giorno, e notte custodirlo, per evitare da danni
de tagli di alberi fruttiferi di Ghiande, vigilare che non entrino à pascolare animali non
fidati…
- La Difesa della Sala (nota: a margine è indicato “Si è protestata l’Unità come dal suo
foglio, s’acclude”), seù Casale di tt.a mille, e cinquecento incirca di territorio senza alberi,
parte lavorandino per seminarsi, e parte per erbaggi, confina con Territorio di S. Angelo,
con Fossaceca, lo fiume biferno, ed altri,…
- La Difesa delle Cese (nota: a margine è indicato “Si è protestata l’Unità come dal suo
foglio, che s’acclude”) di tt.a duecento sessanta in circa sterparo quasi tutto, per non
essere il Territorio atto à semine, serve per erbaggio, confina colla via publica dà due lati,
con li beni dell’Arcipretura di S. Maria Mag.re di questa Terra, vallone corrente, ed altri,…
- Lo Territorio à Colle Sant’Antuono di tt.a tre in circa,…
- Lo Territorio alle Coste della Selva di tt.a otto in circa,…
- Lo Territorio à Colle della noce di tt.a quindeci (nota: a margine è indicato “Dicono
essere tt.a dieciotto”) in circa,…
- Lo Territorio al Colle della Corte alias Taverna di tt.a dieci, in circa,…
- Lo Territorio alla Piana delli Spinilli di tt.a dodici in circa,…
- L’Ischia Majura, seù piana della Grotta di tt.a dieci in circa,…
chianche, con due pezzi di Vignale; Item alcuni censi proprij; Item la parte della Difessa, e Territorio di
Cascapera; Item molti pezzi di Territorij siti in diversi luochi convicini di d.a Terra, e li sottoscritti altri Corpi
d'Entrade burgensatiche comprati per detto q.m Gio:Batta in tempo viveva dall'Unità di d.a Terra; In primis
la mettà della difesa del d.o territorio di Cascapera, Item li boschi delli Monti, e le difese di Cesa, della
foresta, e della Sala, e si dichiarò, che per l'espressione delli sudetti Corpi particolari non si fusse fatto
pagamento a qualsisiano altri beni, et Intrade, Corpi, giurisdizioni, e come che per il sud.o Regio Tribunale
furono venduti in genere con detta Terra, et anche con tutti l'altri beni, Corpi, Intrade, e Giurisdizioni tutte
burgensatiche, come feudali descritti, et annotati nell'infratto apprezzo fatto di detta Terra per il q.m Dionisio
Di Bartolomeo…
De più in d.a Terra il Barone have uno Censo enfiteutico detto il Censo dell'animali, che sono ducati novanta
sette, che si ricevono dà 45 particolari debitori, delli quali doi ne sono morti, che pagavano docati sette, e
questi sono persi in tutto, quali restano docati 90, che si esigono dà 43 debitori, ò vero Censuali.
Tutte queste entrade ho ritrovato…".
271
Delle due Difese della Sala, seù Casale, e Cese, e delli restanti pezzi de Territorij descritti,
non si può portare di ciascuno d’essi la rendita particolare, poiche essendo parte di
seminatori, e parte inculti, che servono solo per erbaggi, il frutto si ricava inconfuso, ed
ingenerale del Teratico, che s’esigge, dà quelli, che ci seminano à rag.ne di tt.a uno, per ogni
tumula dieci di grano, ed altre vettovaglie, e biade, che si raccogliono, ed il frutto si ricava
dall’erba di d.e due Difese, si esigge non per ragione di Territorio particolare, che si
affittassero, e vendessero le sue erbe, mà ingenerale si fidano gl’animali à tanto per cento,
restano à libertà de Fidatarij di pascolare in esse due Difese, mentre l’herba degli altri sud.i
Territorij, non si vende, per essere demaniali, ma solo sop.a d.i pezzi di Territorij si ricava il
sud.o Terratico.
- Il Territorio à S. Janno di tt.a cinque in circa,…
- Il Territorio del Palazzo sotto la vigna Marchesale, di tt.a trè in circa,…
- La Stalla alla porta del Borgo, e la Torre del Baglio, dedotte le spese, per riparo del
Tetto, trà imbrici, e Mastria, quando s’affittano,…
- Le Grotti sotto le ripe del Palazzo…
- Il Palazzo Marchesale non rende cosa alcuna, anzi porta molto dispendio, per
l’accomodazione, e ripari annui, che richiede.
- Una Nevera, alias Fossa murata per uso di nevera attaccata alle mura di S. Franc.o de
minori conventuali, vicino la strada che si dice della Croce Vecchia, di questa non se ne fà
uso, si per avere sempre abitato, e per abitare il Sig.r Marchese in Napoli sua Padria, come
per non essere fornita di Travi, e Tetto, con che non se ne ricava cosa alcuna.
- La vigna Marchesale di trantali dieciotto, non solo non porta alcuna rendita, mà porta di
spesa accidente quel poco di vino, che si ricava, il quale si dà in conto delle fatiche
all’Uomini, e Donne, nel tempo, che si coltiva d.a Vigna,…
- Per cenzi redimibili dà diversi Cittadini annui docati trentuno, grana quarantaquattro, e
cavalli quattro,…
- Dall’Unità di questa Terra annui redimibili docati trenta,…
- Pesi - Deducendosi il Patrimonio dell’Ill.re Sig.r D. Antonio di Grazia F.llo utrinque del d.o
Ill.re Sig.r Marchese, il quale Sig.r D. Antonio si è ordinato Sacerdote dall’Arcivescovo di
Benevento, alla di cui Diocesi questa Terra appartiene, come primo Cittadino, qual
Patrimonio, che si trova assegnato, e situato sopra questa Terra importa annui ducati
quaranta,…
- Allo Scirvano, e Razionale della Camera, per lo registro, e conti docati dieci,…
- Carta per d.i Conti, Lettere, libri d’esigenza, ed altri bisogni della Camera carlini
vinti,…
- Oglio per affare della med.ma carlini quindeci,…
- Al Camerlengo che và ogni Lunedi in Campobasso à portare lettere al Procaccio, e
pigliare quelle che vengono, e per li servizij, che fa al Palazzo, pane un rotolo al giorno à
grana due il rotolo, annui ducati sette, e grana trentadue,…
- Al med.mo Camerlengo vino una Carafa il giorno, à tornesi trè la Carrafa annui ducati
cinque, e grana quarantanove,…
- Al med.mo Camerlengo una canna di legno annui carlini dodeci,…
- Al med.mo Camerlengo un pajo di scarpe annui carlini dieci,…
- Al med.mo Camerlengo carrafe sei d’oglio à grana quindeci la carrafa, annui carlini
nove,…
- Al med.mo Camerlengo, un letto per uso di d.o, che stanzia al Palazzo per la cura
d’esso annui ducati dodeci,…
- Per lettere al Procaccio annui carlini venti,…
272
Resta il frutto de beni allodiali, che annui riceve il d.o Ill.re Mio Sig.r Principale, indi.
- Beni Feudali, con Giurisdizione - La Mastrod’attia, la quale stà in demanio, per non esservi chi l’affitta.
- La Bagliva delli danni dati.
- La Zecca, e Portulania, e Colletta di S. Maria concordata ab antiquo, con l’Unità, la q.le
per d.a concordazione, ne corrisponde ogn’anno alla Cam.a Marchesale docati sessanta.
- Beni Feudali senza Giurisdizione - Piazza, e Trappeto, qual trappeto ogn’anno vuole molta spesa di vite, strofine, delfino,
chianconi, accomodi di Lettere, tetto, ed altro, oltre il canone di carlini due l’anno alla
Chiesa di S. Maria Mag.re.
- La Taverna, scannaggio, la quale Taverna ricerca molti ripari di fabbrica, imbrici per lo
tetto, che in ciascun anno devono comprarsi per li venti impetuosi, che li trasportano, e
fracassano li legnami, che s’infracidano per le piogge, e nevi, e Mastria.
- Le due forna, queste ricercano anche le spese di fabbriche, ed accomodazioni, che
ogn’anno si ricercano ne tetti, nelle mura, e nel forno stesso, che consumato dal fuoco,
ricercano anno per anno riparo, nella lamia, nel suolo, di nuovi mattoni, lisce morte, calce,
Mastria, pale consumate dal fuoco, ed altro bisogno per il mantenimento delle proprie cose
de forni, e forni sud.i, essendo due situati in due quartieri divisi, Tavole d’Abete per
trasportare il pane, che si fanno venire dà paesi lontani, non essendovene in questa Terra,
duplicate persone per trasporto di legne, con vitture per cuocere il pane, orzo per d.e Vitture,
ed altro, che occorre.
- La Pesca del Fiume
- La quarta parte dell’affitto della Difesa di Cascapera (nota: risulta annotato al margine
“Si è protestata l’Unità, come dal suo foglio s’acclude, onde si rimette alla Reg.a Cam.a per
la sua discussione”).
- Sopporta d.o mio Principale pur anche i seguenti pesi - Per adua alla Reg.a Corte in trè terzi à dieci Gennaio, à diece Maggio, à dieci Settembre,
in unum carlini trentaquattro, e grana cinque,…
- Al Mag.co Governatore, per provisione, letto, et vettuagli docati quaranta,…
- Allo Scrivano della Corte, per sua provisione, oglio, e carta, docati quattordeci,…
- Alla Ven.le Chiesa di S. Maria Mag.re per canone allo trappeto, carlini due,…
- Al Ven.le Convento di S. Franc.o per fitto della Pagliarola, per uso della Taverna,
carlini quindici,…
E ciò oltre il donativo per rag.ne di fascia e dono gratuito fatto dalla Fedelissima Città
Baronaggio, e Regno à S.M., che Dio guardi, come ordine Regio notificatomi per il Corriere
del Sig.r Percettore Sinibaldi di questa Provincia à due del Mese di Maggio di questo
corrente anno 1741”.
273
CAPITOLO 7°
LA ‘UNIVERSITAS CIVIUM’
274
275
LIMOSANO: l’antico centro storico ovvero la “Terra”
276
7.1 - I rapporti con le Terre confinanti e con l’esterno
La più fedele ricostruzione della condizione, riferibile al XIII secolo e che, lo si vedrà, di
certo partiva da molto lontano, della “Terra” di Limosano evidenzia, non solo che essa è una
“bona terra <et> est melior totae provinciae <beneventanae> excepto bojano”, ma,
soprattutto, che di una tale condizione di preminenza “a maiore parte hominum dicitur et
tenetur”. Se non il primo, almeno uno dei motivi è che “terra ipsa reputari debet insignis
277
per eo quia habet multos homines sapientes literatos, videlicet logistas, doctoralistas,
medicos, gramaticos, peritos in Jure, notarios, judices et artistas et alios probos et divotes
homines”. Quanto, poi, alla consistenza del numero degli abitanti, la stima più attendibile
pare essere del Notaio Leonardo, limosanese, il quale, desumendo i dati da un “quadernum
Collecte”, riferisce di “focularia nongenta”, di “quatuor milia” persone e di uno scontro
armato contro gli “homines montis agani”, cui partecipano “mille quingenti homines
armigeri de terra ipsa (= Limosano)”. La testimonianza, infine, del “presbiter primianus de
sancto angelo de limosano”, riportando che gli abitanti delle ‘terre’ circonvicine che vogliono
“aliquid emere aut vendere accedunt ad terram ipsam et ibi inveniunt quod querunt”,
permette di individuare in essa un centro, notevole oltre che per la cultura, assai vivace dal
punto di vista commerciale ed economico428.
Una tale situazione di floridezza, eccezionale e, ad un tempo, sorprendente (ma che mai può
essere spiegato solo con una congiuntura episodica e momentanea) specie se riferita al solo
periodo di transizione, confuso ed oscuro, come quello svevo, per la cui ricostruzione i
documenti sembrano essere assai carenti, creava non pochi problemi.
Per quello relativo all’approvvigionamento idrico “homines et mulieres eunt ad dictum
fluvium (= Biferno) ad auriendam aquam per eo quod nullus putheus aut fons est in terra
ipsa aut in territorio suo exceptas duas fontes aut unam aque amare seu salite existentes in
pede Tufi dicti loci”. Una tale soluzione, di certo non definitiva, poteva bastare?
Siccome “in territorio dicti castri non sunt ligna sufficentia per usu hominum dicte terre”,
per provvedersene “homines dicte terre eunt ad territorium cascapere, sancti angeli,
ferrarij, ad silvas montisagani, Triventi, petrelle”, così che “homines limosani”, insieme
agli animali stessi, venivano “capti per eo quod ducebant animalia in silvis seù territorio
Triventi et petrelle”. Poteva essere sufficiente una soluzione tanto provvisoria?
E potevano bastare, per risolvere il problema alimentare di una “moltitudine copiosa” di
abitanti, solo i “plures homines ducentes somarios oneratos frumento et ordeo”, che “in
uno die” arrivavano, provenienti dalla ‘civitas’ di Ferentino, “ad ipsam terram limosani”?
Il riferimento a decisioni, riguardanti la richiesta ed il proseguimento del “negotium unionis”
della diocesi “Musanense” con quella di Ferentino (nell’alta Capitanata e sul medio Fortore),
prese “in parlamento facto in ecclesia Sancte marie” (la giurisdizione ecclesiastica, forse,
dipendeva dal fatto che il problema era di natura religiosa) al tempo e “pro parte populi
Tristayni”, il quale fu “Limessani castri dominus” nell’ultimo trentennio del secolo XI,
sicuramente prova la lunga durata (da allora, almeno, e sino al primo decennio del ‘300,
quando, rispetto a Campobasso che paga solo “unc. I”, pari a 30 tareni, il clero limosanese
pagava di ‘rationes decimarum ecclesiae’ ancora “unc. III tar. XXIIII”, pari a 114 tareni)
della condizione di “terra insignis” per Limosano, che “est de Justitiariatus Terrelaboris
et Comitatus Molisii” e dove “Justitiarios Terrelaboris exercent Jurisditionem eorum in
dicto castro”. E quel “parlamento” dimostra ancor di più l’esistenza, già istituzionalizzata e
nel lungo periodo, di tale forma di democrazia diretta e partecipata, che, in modo autonomo
rispetto al ‘dominus’, amministra gli affari degli “homines” di una “Terra”.
Tanto che una delle motivazioni, che poteva del tutto invalidare o, nel caso di una ‘lite’ con le
altre istituzioni tanto pubbliche che private, portare a decisioni sfavorevoli, era la omessa
discussione del relativo argomento nel ‘publico parlamento’. In un regime di democrazia
‘vera’, una tale pubblica assise rappresentava, perciò, il momento della mediazione degli
interessi nel quale si impartivano le linee guida, dentro le quali, per il bene di tutti, doveva
muoversi l’operato dei “Sindici, et eletti ad gubernum et regimentum Universitatis”, il cui
incarico era annuale e che, per risolvere il problema della continuità dell’azione
428
ARCH. SEGRETO VATICANO, Fondo Avignonese, Collect. t. 61, Benevent(anae) Civit.is & Ducatus Varia
1132-1312.
278
amministrativa, venivano, al momento della elezione che si faceva intorno al 10 Agosto,
scelti in una rosa di nomi proposta dagli uscenti.
Non è da escludere che il “congregarsi publico parlamento dei Cittadini chiamati casa
per casa dal Giurato della Corte” abbia tratto origine, seguendo il percorso che aveva
determinato il formarsi degli stessi insediamenti dalla loro crisi, dalla organizzazione delle
istituzioni monastiche
La geografia dei centri abitati di quel lungo periodo, assai più complessa, perché fatta di
numerosi villaggi pur se di ridotta dimensione, di quella, più a maglia larga, che si venne
formando dalla seconda metà del XV secolo e che uscì fuori dalla ricostruzione seguita al
“terremotus magnus” del 1456, mostra una “Terra limosani”, la quale “habet proprium
territorium quod ab illo latere unde plus extenditur non extenditur ultra unum miliare”. Ai
margini di tale ‘territorio’, di molto limitato ma che pure doveva produrre tanto da soddisfare
i bisogni di “quatuor milia” individui, sono da collocare il ‘Casale’ di Ferrara (confinante
con l’agro di Limosano, quello di Lucito e con il fiume Biferno), il ‘Casale’ di Cascapera
(racchiuso nei ‘territori’ di Limosano, di Lucito, di Trivento, o, più precisamente, di ‘Rocca
del Vescovo’, e di S. Angelo), il ‘Casale’ di Castelluccio di Limosano (delimitato dalle
‘Terre’ di Limosano e, più prossima ad essa, di Fossaceca) ed il ‘Casale’ di Sala, del quale i
confini sono stati già descritti altrove. Quasi per più riempirlo ed ancora con il modo di essere
‘vicatim’ dei Sanniti, sparsi sul territorio di Limosano (che, rispetto alle altre ‘Terre’, doveva
risultare di scarsa boscosità e poco cespuglioso), ci si poteva imbattere in alcuni gruppi con
meno di dieci abitazioni; di essi, però, se non dello Spiracolo e di quelli, come “Colle de le
Càsere” da collegare alla “Ecclesia S. Martini”, legati alle strutture monastiche non restano
tracce e, nella più parte dei casi, neppure il nome.
Tra i primi problemi da risolvere, che si presentarono alla “Universitas Civium Terre
limosani”, probabilmente dovette essere quello, legato al venir meno del ruolo economico
svolto durante l’alto medioevo dalle abbazie e dai cenobi e, con esso, alla scomparsa degli
agglomerati curtensi, della confinazione e della terminazione con le ‘Terre’ convicine.
La ‘nuova’ situazione geografica degli insediamenti, che, col venir meno delle piccole entità,
sta formandosi, impose alle ‘Terre’ più grandi che si organizzavano, “congregatosi publico
parlamento per il Sindico pro presente anno, et con l’assistenza dell’attuali Governanti,
<con la> presenza delli Cittadini chiamati casa per casa, quali adunati hanno fatto conforme
fanno publico parlamento… per l’utile e vantaggio di questo publico”, di determinare i
confini del rispettivo ‘territorio’.
Non è difficile immaginare che la definizione, documentata, di questi, che si avrà nel periodo
tra il XVI ed il XVIII secolo, ricalcherà quelli fissati allora.
Dalla “fides publica” del 23 Giugno 1712, con la quale “si è personalmente costituito
Giovanni Battista Amoroso…, il quale, à richiesta del Mag.co Antonio Busso Erario
dell’Ill.mo Sig.r Marchese della detta Terra de’ Limosani, Domni Dominici dè Gratia, ave
asserito qualm.te sa gli termini dividentino gli Territori di detta Terra di Limosano dà quelli
della Terra di Fossaceca”, sappiamo che il confine tra le due “Terre” limitrofe “principia dà
un termine di pietra fissa, seu Morgia al Grattavone delle macchie di Sant’Angelo,
chiamato Collevaccaro, et Peschio corvo, et dà quello và ad un’altro termine anco di pietra,
detto lo termine di Peschio Corvo, et dà là se ne tira ad un altro termine vicino la via, che và
alla detta Terra di Fossaceca, et dà quello và ad un’altro termine à Fonte Vitelli, et dà
Fontevitelli alla Morgia del Gesso, et dalla Morgia del Gesso all’homo morto, confinante
con selva di Bruscia, et dà selva di Bruscia và al termine del carpeno, et dal Carpeno al
Lago Madalena, et dal Laco Maddalena all’altro termine sotto lo Lago Maddalena, et dal
detto termine sotto detto lago Maddalena alla cornice del muro del Molino di Fossaceca
alla parte di dietro di detto Molino, tutti termini di pietra.
279
Più ave asserito, che nelli sudetti Termini di Peschio Corvo, et Collevaccaro, dà
cinquant’anni à questa parte à Richiesta di Don Leonardo… in quel tempo Arciprete della
Terra delli Casali, et compassatore, seù Agrimensore concordemente eletto sì dall’huomini
del Governo della Terra di San’Angelo, come dall’huomini del Governo di quel tempo della
Terra di Fossaceca, et quelli del Governo di quel tempo della Terra de’ Limosani, per farne
riconoscere et osservare gli sudetti termini,… furono da esso asserente, richiesto come
sopra, fatte lettere con scalpello, et puntillo ne lati et fianchi di detti Termini di pietra, cioè
dalla parte di Fossaceca la lettera -F- et dalla parte di Limosano la lettera -L-. Et per aver
inteso da suo zio, et suo Padre defunti, che erano in lor tempo Affittatori di detto molino,
che gli Cittadini di Limosano avevano unita, seù precedenza nel macinare, à causa, che
detto Molino stava situato dentro il Terr.o di Limosano”429.
La linea sulla quale erano sistemati i termini, che dividevano i territori delle “Terre” di
Limosano e di S. Angelo, nasceva dall’incrocio con il riferito confine con Fossaceca e, molto
probabilmente in seguito a contrasti e ad “alcune differenze” già sorte sin da allora, fu fissata
con “istrumento corroborato et assensu in publica forma rogato per mano del q.m Not.ro
Paduano di Luca della Terra di Gambatesa sotto li sei del mese di giugno dell’anno mille
cinquecento quarantasette”. La sistemazione del 1672 era la seguente:
“In primis si è posto il primo termine… vicino lo Vallone di Colle Vaccaro con le lettere alla
parte di S.to Angelo di una S. et una A. et alla parte di Limosano di una L. et una M. con
una Croce fatta sop.a d.o termine, quale stà all’Incontro d’una Pietra grossa che stà in
mezzo d.o Vallone, et all’Incontro, alla parte di là di d.o Vallone stando due morgetelle
fitte.
Et da d.o primo termine tira à direttura capo ad alto dove sta una Pietra fitta, et q.lla stà
assignata per secondo termine, sopra la quale ci si è fatta una Croce.
Et da d.a Pietra assignata per secondo ter.ne tira à direttura ad alto, si è posto il terzo
termine con li testimonj signati con le med.me lettere…, quale termine stà da circa una
canna e mezza darusso da una certa Morgitella alla parte destra di q.lla.
(il 4° termine <sempre diritto> e con le stesse lettere; il 5° termine <sempre diritto> e con le
stesse lettere; il 6° termine <sempre diritto> e con le stesse lettere).
Et da d.o sesto termine dira à direttura capo ad alto, et dà allo termine antico che sta vicino
la fonte falcione, et si è fatto sopra la Croce, quale termine resta in d.o luogo conforme ab
antico è stato, et da d.o termine antico sito alla fonte falcione tira à direttura capo ad alto, et
conforme con l’altri termini antichi siti nelli luoghi menzionati in d.o Istrumento rogato per
mano del d.o q.m Not.o Paduano, quali termini restano conforme ab antico”430.
Così come era accaduto nei già riportati casi con Fossaceca e con S. Angelo, fu dopo uno di
quei contrasti, aspri e violenti, che, di origini assai lontane, caratterizzarono, finalizzati al
possesso della terra, di forte litigiosità il corso dei secoli XVII e XVIII, che si ebbe la
risistemazione, che anche questa volta ricalcava fedelmente e sempre il tracciato “ab antiquo
sistente”, dei termini “nelle confini de’ Territorij della Difesa di Cascapera della Terra di
Limosani, e Territorij della Terra di Lucito”. Correva il giorno “undeci del mese di 8bre
1723”431, quando “col presente valituro come publico instrumento giurato,…, dichiariamo
429
ASC, Fondo Amoroso, Notaio AMOROSO Francesco Antonio della piazza di Limosano.
ASC, Fondo Protocolli notarili, Notaio CARRELLI Giandonato della piazza di Fossaceca, atto del 25
Settembre 1672. Si veda la nota 52 del Capitolo VI.
431
Il documento, assai prezioso soprattutto per la ‘piantina’ allegata (ma che facilmente si riferisce al
documento, di cui alla seguente nota 5), è stato rinvenuto del tutto casualmente ed in una posizione affatto
logica. Del resto, da una ‘scrittura’ del “10 Gennaro milleottocentodiciotto 1818”, che l’accompagna, risulta
che “a richiesta dell’ecc. Notajo Sig.r D. Gaetano Amoroso residente in questo Comune di Limosano, io qui
sottoscritto Notar Giuseppantonio Lucito di Francesco, di residenza nell’istessa Comune, mi son portato nella
sua casa di abitazione, sita nella strada de’ Tofi, dove il medesimo parlandomi ha dichiarato, che… avendo egli
430
280
noi sottoscritti, e Croce signati Sindico, huomini del regimento, e persone anziane, e vecchie
della Terra di Lucito, unitamente, ed amicabilmente venuti, e concordati colli Mag.ci
Sindico, eletti, e persone sottoscritte anziane della Terra sud.a di Li:Musani, come essendo
insorte differenze ne sud.i confini, e per evitare le liti, che partoriscono discordie, spese
considerabili, e rangori siamo vinuti all’infratta Convenzione, Concordia, ed accordio,
havendo fatto elezione di due Agrimensori, che dividono la differenza,…, colli quali uniti
siamo portati in d.e confini, e principiando la misura, e recognizione delli med.i dalla
Quercia di Furcoli detta La Quercia delle trè Confini, così chiamata, perche divide li
Terreni di d.a Difesa di Cascapera di Limosani, Terreni di Lucito, e Terreni della Città
di Triventi. Situata d.a Quercia à mezzo giorno, cinque passi sopra la strada publica, che
porta a S. Angelo limosani, e Civita Campomarani tirando per linea retta à basso in faccia à
mezzo giorno, passi due cento ventisei in mezzo una macchia coltivatoria, ivi si è posto, e
piantato un Termine de’ communi consensu di pietra viva rustica…, e dà là caminando per
l’istessa linea di mezzo giorno, anche per basso, passi cento quaranta quattro, si è gionto
sopra un Colle, chiamato il Colle delle lami della Rocchia di Ciacio, ivi si è piantato
un’altro Termine di pietra viva piana rustica…, e d.o Termine dà una parte, cioè dà Levante,
ove stanno situati i Terreni di Lucito, tiene impressa, fatta à colpi di scalpello la lettera L.,
che denota, e dice Lucito, e dalla parte di Ponente e parte di mezzo giorno tiene impressa la
lettera M. dico M., che significa Li=Musani, perche ivi stanno situati i Terreni di d.a Difesa
di Cascapera della sud.a Terra di Limosani, e dà d.o Termine così piantato, continuando la
misura, caminando, e calando per d.o colle à basso per certe lami in faccia a mezzo giorno,
tira per una serrina in mezzo à d.e lami passi cento ottanta e dà là tira compassando fuore di
d.e lame ad un cerro, dove si sono fatte due Croci, e dà d.o Cerro tira per linea retta passi
cento sessanta per l’istessa linea di mezzo giorno sotto l’incotte di M.ro Pietro Piciucchi di
limosani, sopra una collina in mezzo ad una sepe Cento sessanta, ivi si è piantato
communemente un’altra Termine di pietra morta piana con Testimoni, e Lettere sud.e, dà la
continuando il compasso per l’istessa linea à traverso per lame, e coltivatorij passi cento se
passa in un basso di una collina, e prop.o sotto l’aja di Ant.o Donatelli sotto Colle
Alesandro in un fossetto, che ambi noi, e nostri Cittadini hanno confessato essere luogo di
Termine antico frà d.i Territorij, e che per filios Iniquitatis sin dal Mese di Maggio 1723
sia stato ammosso, ivi nel med.o luogo communemente si è piantato un altro Termine di
Pietra viva alla parte di Lucito con lettere stese LUCITO, e dalla parte di Limosani la sola
lettera M., che denota come sopra li:Musani, e dà là caminando per l’istessa linea di mezzo
giorno à traverso sotto collina passi due cento trenta due in una collina detta li Cirratti, ivi
si è piantato un altro Termine di pietra viva piana rustica alla parte di Lucito colle lettere
stese LUCI, e dalla parte di limosani la sola lettera M., e dà la calando per l’istessa linea di
mezzo giorno s’incontra con un vallone con passi cento quaranta, e dà d.o Vallone tornando
indietro passi trenta sopra un Colletto, seù greppe in faccia à ponente all’istessa linea
indietro si è piantato communemente un’altro Termine di pietra con lettere sud.e, e dal sud.o
Vallone salendo per linea di mezzo giorno passi ottanta incirca per essere luogo
impratticabile in una ammerza, così chiamata all’uso paesano in faccia à Levante si è
piantato un altro Termine di pietra con le sud.e lettere, e Testimonij della med.a pietra / e
qui facendo parintesi si dichiara che il Termine dopra il Colletto li Cirratti è stato
comfessato communemente, come è stato confessato l’altro sotto Colle Alesandro / e dà d.o
Termine all’Ammersa tirando anche per traverso passi cento venti due, si è gionto sopra una
ora rinvenuta a caso nel suo Archivio fra talune carte inservibili, e inette, una Scrittura antica portando la data
de’ undeci, 11, Ottobre millesettecento ventitre 1723, che tratta di una convenzione, ed accordo tenuto
dagl’allora Agenti dell’Università di questo Comune con quelli del Comune di Lucito per la fissazione de’
termini nella difesa di Cascapera appartenente a Limosano, e terreni del Comune di Lucito…”.
281
mezza Serrina anche in faccia à Levante, à latere, e sotto del Colle ginestro, ivi si sono
piantati due Termini uniti per linea uguale, uno congionto coll’altro, uno di pietra più
grossa con lettere dalla parte di Lucito stese LUCI, e dalla parte di limosani con la sola
lettera M. di pietra piana rustica con poche botte di punta di Martello sopra, e l’altro di
pietra rustica colle med.e lettere, q.li termini stanno piantati sotto un Ciglione, ed
appoggiati al med.o, e dà là caminado per l’istessa linea traversa poco sopra mezzo giorno
passi cento trenta, s’incontra colla via, che esce anche per traverso alla Fonte delle
Crugnali, ed indi continuando strada strada con fratte, seù siepe sopra, e sotto passi
settanta, si è gionto in mezzo alla med.a via in una quercia con una Croce fatta à colpi
d’accetta e dà la caminando per l’istessa strada, quasi à mezza Luna passi cento, e dieci, si è
gionto dentro la med.a strada al Ciglione di sotto ad un Cerro, à piedi del quale vi è una
pietra piantata rustica in piedi del d.o Ciglione, che si dice dà esse parti Termine, che divide
il Terreno della Ven.le Chiesa di S. Stefano di Limosani sotto d.a Fonte delle Crugnali, che
confina colli Terreni di Lucito;
Dichiarando che il Termine divisorio del Terreno di S. Stefano, cioè continuando il camino
per sopra d.o Territorio via via è lontano dalla Fonte de' Crugnali, che stà in mezzo alla
med.a via, la quale porta alla Terra di limosani passi trenta cinque,…, volendo onninamente
stare coll'accordo, e concordia sud.a de’ Communi consensu fatta coll’Intervento di d.i
Mag.i Agrimensori, e persone del Governo, ed anziane di entrambe esse Terre;
Protestandoci però ambi noi parti, che colla presente Concordia non s’intenda à
ciasciduna di noi indotto pregiudizio alcuno coll’Interessi, che passano col Terzo, ciò è
colli Terreni di Ferrara Feudo antico dell’Università di Lucito, per il quale d.a Unità di
Lucito ne stà in Corrente di pagare l’Adoho al Reg.o Fisco, benche si possiede dal
Mag.co Barone D. Orazio d'Attellis di S. Angelo Limosani, sotto colore d’Impegno, come
l’anni passati si osservò dà un Instrumento in bergamano rogato per mano di Notar
d’Ambrosio di Limosani, letto…; com’anche d.a Concordia non pregiudichi in conto
alcuno la d.a Unità di Limosani, né suoi Cittadini per la Causa, che tiene con d.o Mag.o
Barone d'Attellis ne’ Confini di d.o Feudo di Ferrara, perche sé bene vi sia di differenza
frà noi per basso, ed altro dalla via sud.a sia d.o Feudo per la Confina à basso di d.o
Territorio di S. Stefano, dal di cui Ciglione di sotto dovrebbe come si pretende, e si è
preteso dalla d.a Unità di Limosani pigliar la linea, come duce in alto verso Limosani con
d.o Feudo di Ferrara, non potendosi controvertire per essere dà Tempo immemorabile
posseduto da d.a Chiesa di Limosani, ed attualmente si possiede anche in virtù di Platea
pubblicamente fatta, e rogata per mano di Notar Nicola Maria Ramoli dà più di cento
anni, come costa dalla d.a Platea, che si conserva nell’Archivo di d.a Chiesa, mentre
quanto si è concordato fra noi è stato de’ Communi consensu, senza pregiudicare le raggioni
tanto dell’una, quanto dell’altra parte, che competono contro il d.o Feudo di Ferrara,…,
mà dovendosi videre le raggioni con d.o Feudo, debba vedersi secondo il possesso antico
de' Terreni,…”.
Dovette essere più generalizzato di quanto si possa solo pensare l’intervento, come quello,
tanto evidente quanto rilevante, del de Attellis per il feudo di Ferrara, da parte dei feudatari, i
quali nel lungo periodo intervennero, e non poco, a condizionare gli equilibri, per loro natura
già assai precari, che “ab antiquo” si erano formati nei rapporti tra ‘Terre’ circonvicine.
Sulla precarietà dei confini, sulla toponomastica dei luoghi, nonché sui percorsi delle strade,
e sui sistemi (come il continuo ricorso alle terminazioni più antiche), vecchi di secoli, per
risolvere i contrasti e le lotte tra ‘Terre’ limitrofe ben riferisce la “transactio, conventio, et
concordatio super finibus territorium Defensae nominatae Cascapera Universitatis
Terrae Li=Musanorum, et demanialium Terrae Sancti Angeli Li=Musanorum”, che,
282
preceduta il 14 dello stesso mese da ‘publico parlamento’, si stipulò il 19 Ottobre 1744 432
“nelli Territorij, fini, e confini de Demaniali della Terra di Sant’Angelo li=Musani, e della
Difesa di Cascapera della Terra, olim Città de li=Musani, in Provincia, e Contado di
Molise, e proprio ne luoghi de medesimi confini, sopra la faccia de med.mi luoghi, come in
appresso, chiaramente, con le loro nomenclature, si spiega, si dichiara, e si nomina”. Vi
presero parte “li Mag.ci Francesco Bonadie Sindico, Nodar Carl’Antonio Corvinelli,
Cirusico Domenico Longo, Antonio Larenza, Giuseppe Russo, Cosmo d’Addario, et
Antonio Mariglia, Persone del Governo dell’Unità della Terra, olim Città de li=Musani,…
et li Mag.ci Cosmo Girardi Sindico, Pietro Caserio, Francesco Ciarallo, e Francesco
Marrone, Persone del Governo dell’Unità della Terra di Sant’Angelo li=Musani”.
Con tale atto, notevole per struttura e per contenuti, "entrambe esse Parti, spontaneamente
hanno asserito… come essendosi preteso da Cittadini di Sant'Angelo, fin dall'anno mille
settecento trentanove, sboscare, e cedere la Difesa di Cascapera della d.a Unità de
li=Musani, con occupare strade, e terreni, mutare i confini, e togliere termini, se ne fè
dall'Unità di d.a Terra de li=Musani ricorso in Reg.a Camera della Summaria, e da quella,
…, se ne diè la commessa, e se ne delegò l'informo criminale, alla Corte Marchesale della
Terra della Ripa li=Musani, la quale, fatto l'accesso sop.a la faccia de luoghi, con esperti,
Prattici, e Periti forastieri, e con due Agrimensori,…, costatò l'occupazione non men de
432
ASC, Fondo Amoroso, Notaio AMOROSO Francesco Antonio della piazza di Limosano. All’atto, del quale
manca la ‘pianta’ più volte ivi richiamata, è allegata una copia “estratta dal suo prop.o originale Publico
parlamento esistente nel libro Magistrale de’ Publici Consegli di questa Terra olim Città di li=Musani,
nell’Archivo della sua Università”, dalla quale risulta che:
“Oggi quattordici del Mese di Ottobre dell’anno 1744, li=Musani.
nella solita Casa dell’Università, con l’Assistenza del Mag.co Gaetano Zingarelli, Gov.re di d.a Terra.
Congregato Publico parlamento, nella solita Casa dell’Università, par il Mag.co Franc.o Bonadie Sindico
Attuale, coll’Intervento dell’infratti Mag.ci del Governo, e coll’Assistenza del sud.o Mag.co Gov.re, come anche
dell’Infratti Cittadini, chiamati, e citati, Casa per Casa dall’Ord.o Giurato di questa Corte Marchesale, Libero
Bagnolo, quali tutti uniti, e Congregati, hanno fatto parlam.to di molte cose;… Et tra l’altre cose si propone alle
Sig.rie Vostre, come li è noto, la Causa delli Confini della Nostra Difesa di Cascapera, quali Confini sono stati
dimessi dà Cittadini di S. Angelo, con occupare, non solo le Strade Publiche, togliere Termini, è carpire molte
quantità di Terreni, in più parti di d.a Difesa, con molta devastaz.ne d’Arbori fruttiferi, per la qual Causa sé né
fè ricorso in Rega Cam.a, fin dall’anno 1739,…, la quale avendovi fatto accesso, e pigliata Informaz.ne, né
risultarono criminalmente inquisiti, è fatti contumaci diciotto persone di d.a Terra di S. Angelo, con tuttociò non
avendo cessato di devastare, ed occupare, se né son fatti altri ricorsi in d.a Reg.a Cam.a,…, ed ultimamente a
nuovi ricorsi, perche li d.i Cittadini non cessavano di occupare, e devastare, dalla stessa Reg.a Cam.a, e stato
spedito, il suo Att.rio Sig.r D. Ant.o Orsini, col ord.e di dovere accedere in d.i Confini, fare la ricogniz.ne,
pigliarne Informaz.ne e ridurre ogni cosa ad pristinum, citra prejudicio delle pene Fiscali, nelle quali sono
ricorsi li d.i inquisiti di S. Angelo, et facendo d.o Sig.r Att.rio residenza, nella Terra di Lucito, luogo terzo, dà
ivi hà spedita citaz.ne alle due Unità, Testimoni, ed Agrimensori, che si fossero conferiti, in d.i Confini, come
già d.o Sig.r Att.rio, le due Unità, Testimoni, ed Agrimensori, alli 12 e 13 di questo Mese, si son portati sop.a
la faccia del luogo, à fare la Visita di quelli, per divenire poi all’esame de’ Testimoni, ed al di più che
richiedono le sue incombenze; Et stantino le cose sud.e, ci ha fatto sentire l’Unità di S. Angelo, che per evitare
maggiori dispendij, vuole che amichevolmente si riconoscano detti Confinj, volendo dipendere totalmente dal
saggio del Sig.r Barone di S. Biase, il quale, come persona savia, e di tutta la cognizione, non saprà far torto à
nessuno, non ostante, che egli avesse laudato, in tal Causa, e questa Unità, se né fosse gravata, per li giusti
motivi, che ben sapete; mentre fatta meglior consideraz.ne, ed osservati migliorm.te detti confini, le linee, li
Termini Antichi, e le scritture, che parlano di quelli,…; Pertanto si propone alle Sig.rie Vostre, affinché
ogn’uno dia il suo Voto, e parere.
Quale proposta dà tutti ben intesa hanno, una voce, et nemine discrepante, concluso, e determinato, che…
concorrono nella domanda fatta dall’Unità di S. Angelo, mà che debbano rimettersi l’Antichj Confinj, si
debbano osservare l’Antichj Terminj, e le scritture,…, e rimettendosi d.i confinj, nell’Antico loro sito altre sì
la Strada Publica chiamata del Procaccio, che entra al Termine della Crocella, passa, per Fonte Murato, ed
escie alla Strada Langianese, e piantati i Termini, per d.i Antichi Confini, stipularsene publico strumento, per
futura cautela,…, e la cosa si riduchi all’Antico sito, che à tutti è noto.
E cossi, una voce, et nemine discrepante, hanno concluso, e determinato.”. (Seguono i nomi).
283
termini, e quantità de terreni della med.a Difesa di Cascapera, che delle publiche strade
antiche, tra quali di quella chiamata del Procaccio, e grosse devastazioni d'arbori fruttiferi
di d.a Difesa di Cascapera, ne restorono criminalmente inquisiti, e contumaci dieciotto
Cittadini occupatori, e Devastatori della med.a sud.a Terra di Sant'Angelo; e non ostante
detta criminale inquisiszione e contumacia, non cessorono le genti di Sant'Angelo di
viappiù devastare, sboscare, ed occupare d.a Difesa in maniera eccedente, e togliere
all'intutto d.e Publiche Strade. Perche la d.a Reg.a Camera,…, trattava avanzare gl'atti
devorosi di giustizia contro d.i Cittadini di Sant'Angelo occupatori, e Devastatori, si stimò…
rimettere la decisione di tanti eccessi,…, al savio arbitramento del Dottore dell'una, e l'altra
legge, Ill.mo Sig.r Don Prosdocimo de Blasijs, Barone della Terra di San Biase, il quale,
accappato il consenso dell'una, e l'altra Parte, usò tutte le diligenze, e fatti gl'atti
concernentino all'affare, alla fine devenne all'arbitramento, e laudo, del quale, perche se ne
conobbe l'Unità de li=Musani molto gravata,…, se ne reclamò alla stessa Reg.a Camera…
Dal qual reclamo ne nacquero varij ricorsi, e se ne spedirono ex utraque parte, più
provisioni, e delegazioni, con interesse notabile di amendue le Unità,… Lo che assodato,
ultimamente, à nuovi ricorsi della d.a Unità de li=Musani, la stessa Reg.a Camera,…,
spedì il suo Mag.co Attuario in capite, Sig.r Don Antonio Orsini, con la facoltà di accedere
sop.a la faccia de luoghi, e ridurre ad pristinum il tutto, stantino le molte prove portate
dall'Unità de li=Musani, e de Testimoni forastieri annosi, e di scritture, e scritture proprie
della stessa Unità di Sant'Angelo, trà quali quella della Commenda di Malta, sotto il titolo,
e vocabolo di San Vennitto, celebrata dalla stessa… fin dall'anno mille settecento, e
quattro. (…). Ed essendo già venuto d.o Sig.r Don Attuario Orsini, si è ritirato nella Terra di
Lucito, luogo terzo, con dar principio alle sue incumbenze, avendo spedita citazione alle
Parti, Testimoni, ed Agrimensori, con eligere pur anche un terzo Agrimensore Regio
Privilegiato, Mag.co Agatangelo della Croce, della Terra del Vasto Girardi, e già lunedì
dodeci, e Martedì tredici del corrente Ottobre, con le Parti, Testimoni, ed Agrimensori
sud.i, fè l'accesso su la faccia de luoghi di d.i confini, visitando quelli, ne formò itinerario,
per indi devenire al di più, che richiedevano le sue incumbenze.
Stando dunque le cose in questo stato,…, per conchiudere una tale concordia, ne han
congregati publici parlamenti, con li quali si da la potestà, e facoltà all'Amministratori di
ambe esse Unità, di devenire ad un tal atto christiano,…
… consideratosi da esse Parti l'esito incerto delle liti, non men il grave dispendio, rancore,
odij, e trapazzi, che sogliono queste partorire, che l'utile di amendue esse Unità, ed avutasi
etiandio considerazione alle prove di d.a Università de li=Musani, tanto de Testimoni
vecchi forastieri, publici attestati, e scritture, tra quali quella della Commenda di San
Vennitto confinante con d.a Difesa di Cascapera, ambe esse Parti sono venuti alla presente
convenzione, ed accordo,… (…).
Per locché, avendo, in virtù di d.i publici parlamenti, ambe esse Parti data ampla, e libera
facoltà al sud.o Sig.r Barone Mediatore, ed alli pred.i due Agrimensori (nota: il secondo era
il "Mag.co Giuseppe Giovannitto della Terra dell'Oratino") presenti, di potere buonamente
concordare amichevolmente, essi pred.i Sig.r Barone Mediatore, ed Agrimensori,…, con la
presenza, assistenza, ed intervento di ambe esse Parti, e coll'intervento ancora di più, e molti
Cittadini dell'una, e l'altra Unità,…, le Parti pred.e, portandosi… sopra la faccia de luoghi,
han cominciato, e dato principio alla misura, linea, e compasso, dal luogo chiamato
comunemente, La Serra del Lago, e Crocella, alla Via di sopra, e proprio alla Via Croce,
dove principia l'antico confine di d.a Difesa di Cascapera, e Demaniali di Sant'Angelo,
qual luogo si è dato, et accettato da ambe esse Parti, per primo termine, e confine, essendo
all'orlo superiore della Strada, il fosso evidente dell'antico termine. Quivi, sebbene havesse
dovuto piantarsi il nuovo termine nello stesso antico fosso, come si era determinato, per
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non variare il confine antico; Perche tanto d.o Sig.r Barone Mediatore, quanto d.i Mag.ci
Agrimensori han determinato doversi rimettere in esse, l'antica Strada, che si chiamava del
Procaccio, ed oggi tolta, e coltivata da Cittadini di Sant'Angelo, quale caminava per tutto
d.o confine, entrando nel d.o luogo chiamato la Crocella, passava dietro li Pagliarini di
Caserio, per Fonte Murato, ed usciva alla Strada Maestra Lancianese; e che d.a Strada
debba essere larga di palmi quattordeci, dandone sette Sant'Angelo sopra i suoi terreni
demaniali, e sette Li=Musani sopra la Difesa di Cascapera, per tutto il tratto del confine
sud.o, appunto, come anticamente era,… Hà voluto d.o Sig.r Barone, che si compiacesse
l'Unità de li=Musani, à cedere al fosso dell'antico termine, con dare, da questo, un
compasso di sette palmi di terreno, per poter piantare il termine più basso, e far che con la
cessione di questi sette palmi di terreno, venisse il termine piantato in mezzo la Strada,
alla vista de Cittadini, e Forastieri, che per colà passano, mentre il termine antico stava
piantato all'orlo superiore di d.a Strada, e non con tanta faciltà si vedeva; e compiaciutisi
l'Amministratori de li=Musani, quivi… si è piantato un Termine di pietra viva, con lettere
scolpite, cioè, dalla parte di Cascapera L.C., che denota Li=Musani Cascapera, e dalla
parte di Sant'Angelo S.A., che denota Sant'Angelo; Qual termine si è piantato, come sopra,
un passo distante dal fosso del termine antico, che vi era, verso levante; Distante dal qual
Termine, anche verso levante, un passo, in mezzo d.a Strada, si è ripiantata la Croce di
legno, nello stesso antico fosso, in cui era situata la Croce antica, come si vede nella
Pianta (nota: non rinvenuta), che si forma in questa Concordia, e presente atto, lit: A.; e da
questo Termine così piantato, tirando la linea retta verso tramontana, e compassando con
passi cento, e uno, si giugne sopra una collina, in questo luogo si è piantato altro Termine di
pietra viva, con le stesse lettere scolpite di sopra denotate, e sopra d.o Termine si è scolpita
à scalpello una linea retta, ut in Planta lit: B.; Da questo Termine caminandosi per l'istessa
linea retta, in faccia à Tramontana, compassi duecento, e nove, si giugne allo Vallone
chiamato della Fonte dell'Oppio, che viene dalla parte superiore, ut in Planta lit: C.; Per
tutto questo tratto, cioè dal Termine della Crocella, e Serra del Lago, fin questo luogo
chiamato, come sopra, Vallone della Fonte dell'Oppio, han dovuto rilasciare, ed han
rilasciati i Cittadini Coloni di Sant'Angelo, tomuli ventidue di terreno, à beneficio dell'Unità
de li=Musani, per avere i sud.i Cittadini di Sant'Angelo, colla coltura, oltrepassati il confine
sud.o. Ed alla d.a Unità di Sant'Angelo, per caosa d'essersi piantato il primo termine sette
palmi più à basso del fosso del termine antico alla Crocella, sono rimasti per tutto questo
stesso sud.o tratto, dalla Crocella al Vallone dell'Oppio, tomuli cinque di terreno. Ed
oltrepassando d.o Vallone, per la stessa linea, si passa di sotto il luogo detto li Pagliarini
delli Caserij, passi trenta, ut in planta lit: T., e caminando dal d.o Vallone della Fonte
dell'Oppio, passi cento, e trè, si giugne sopra un'altra Collina, chiamata della Valle di
Luccaro, e proprio un passo distante da una grossa, ed antica quercia, alla parte superiore,
in mezzo la strada, ut in Planta lit: D., quivi si è piantato un'altro Termine di pietra viva, con
le stesse lettere scolpite, e nel corpo di d.a quercia, che riguarda d.o termine, à maggior
cautela si è impresso, ed inciso un segno a muodo di Croce. Sebbene dal d.o Vallone
chiamato della Fonte dell'Oppio, il confine antico,…, caminava per la d.a publica Strada
antica, quale venendo dal detto antico termine della Crocella all'orlo superiore della Via, ed
intersecando d.o Vallone, passava, come in atto si vede, che passa dietro li d.i Pagliarini
vecchi di Caserio, per non essere in questa parte guasta, dietro alli quali Pagliarini, in
mezzo d.a Strada, sotto un antica e grossa quercia, vi era un termine, ed in atto si conosce, e
vede il suo fosso, e continuando la d.a Strada antica, giugneva al termine di pietra fissa con
segno di Croce antica al canto superiore della med.a Strada, che ocularmente ora si vede.
Detto Sig.r Barone mediatore ha voluto per rendere concorde, e retta la linea pigliata nel
nuovo termine piantato alla Crocella un passo sotto al fosso dell'antico termine, che stava
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all'orlo superiore della Via Croce, che si lasciasse la Strada antica, che passava, e si vede,
che passa, per non essere in questo luogo guasta, dietro d.i Pagliarini di Caserio, e si
facesse passare sotto di quelli; e compiacendo l'eletti dell'Unità de li=Musani al d.o Sig.r
Barone, si è fatto passare il d.o confine, e linea, come sopra, passi trenta, sotto d.i
Pagliarini, per dove si giugne, come si è detto, alla d.a Collina chiamata della Valle di
Luccaro, ove rincontra la Strada antica, e si è piantato in mezzo d.a Strada, come sop.a, il
sud.o termine a pie' della d.a antica quercia, ut in planta lit: D.; Per tutto questo tratto dal
Vallone dell'Oppio, fino al nuovo termine piantato à pie' d'una grossa, ed antica quercia
nella Collina della Valle di Luccaro, in mezzo l'antica Strada, con la variazione di d.a
antica Strada, da dietro li Pagliarini di Caserio, fin passi trenta avanti quelli,…, si son
rilasciati à beneficio dell'Unità di Sant'Angelo, tomuli trè di terreno. Da questo termine così
piantato, continuando la stessa linea retta di tramontana passi sessantacinque per mezzo la
med.a Strada antica, che in atto vi è non guasta, si giugne, scendendo alquanto, all'antico
Termine di pietra fissa viva naturale, con segno di Croce antica fiorita, all'appendino della
Valle di Luccaro, alla siepe superiore di d.a Strada; l'asta del qual segno di Croce antica in
d.o Termine di Pietra fissa,… tirava per linea retta à Fonte Murato, essendo questo l'antico
confine confessato anche dà gente di Sant'Angelo. Hà voluto d.o Sig.r Barone, che si
togliesse da detto Termine di pietra fissa, il d.o Segno di Croce antica, che indica per linea
retta à Fonte Murato, e che si lasciasse d.a linea, che indica d.a Croce, e si caminasse
alquanto a man sinistra passi cento ottantacinque verso basso, per giugnere al mezzo della
Valle di Luccaro; e compiacendo li Mag.ci eletti dell'Unità de li=Musani al d.o Sig.r Barone
mediatore, si è fatto togliere dal d.o Termine di pietra fissa naturale, la d.a Croce antica, che
vi era impressa, dal Scalpellino della d.a Terra di Sant'Angelo, nomine Domenico
Baldassarro, e vi si sono fatte scolpire dal med.mo, verso levante, dove stà situata la Difesa
di Cascapera, le lettere L.C.,… e dalla parte di Ponente, dove stan situati li Demanij di
Sant'Angelo, S.A.,…, ut in Planta lit: E.; e sopra d.a pietra fissa, si è scolpita una lunga
linea; la metà della q.le, dalla parte di dietro verso Mezzogiorno, è correlativa alli
retroscritti piantati termini, e l'altra metà avanti verso tramontana, è corrispondente, e
correlativa al termine seguente, che in appresso si descrive. Dietro alla qual pietra fissa,
distante un passo, nella stessa siepe superiore di d.a Strada, dove è detta pietra fissa, vi è
una quercia, in faccia al corpo della quale, vi è un Segno di Croce antica rincarnata, che
indicava, ed indica la d.a pietra fissa, termine antico; e da questa pietra fissa, così
nuovamente segnata, caminando alquanto à man sinistra in faccia à borea, passi cento
ottantacinque, calando alquanto, si giugne in un luogo mezo appendino, nel mezzo della
Valle di Luccaro, vicino al luogo chiamato il Carbone, trè passi distante dal principio
d'una corrente d'acqua piovana, seù di raccolta, ut in planta lit: F. Quivi si è piantato
un'altro termine di pietra viva con le lettere S.A. dalla parte di Ponente,…, e dalla parte di
Levante, ove stà la Difesa di Cascapera, L.C.; Sopra del qual Termine, vi si è scolpita à
scalpello, una linea curva, ò sia angolo ottuso, metà della quale è relativa alla precitata
pietra viva fissa naturale, ut in planta lit: E., e l'altra metà indica verso Tramontana, e
Ponente, il Termine, che deve in appresso piantarsi,… Da questo Termine così piantato,
voltando a man sinistra, in faccia à Ponente, e Tramontana, calando alquanto, e poi salendo
passi cento settantuno, si è gionto ad un Montetto, ove è un complesso di pietre, in cui,
dalla parte di Ponente, dove sono li Demanij di Sant'Angelo, si sono scolpite le lettere S.A.,
e dalla parte di sotto, verso Levante, ut in Planta lit: G., ove è la Difesa di Cascapera, si
sono scolpite le solite lettere L.C.; Dalla parte di sopra al qual complesso di pietre, verso
ponente, si è determinato dover correre la strada designata, lontana da un altro complesso
di pietre, che stà più sopra, nel tenimento di Sant'Angelo, passi dodeci. Dal qual complesso
di pietre così segnato, caminando per linea retta a Fonte Murato, trà Ponente, e
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Tramontana, passi sessantanove, ut in planta lit: H., si è piantato un'altro termine di pietra
viva, con le stesse lettere scolpite, lontano da d.o Fonte Murato, e proprio prima di
giugnere in quello, passi tredeci. Da questo Termine caminando per la stessa linea retta li
sud.i passi tredeci, si giugne al d.o Fonte Murato, che sempre è stato, ed è Termine, qual
Fonte stà sito in pie' d'un grosso Masso di Morge in faccia à Tramontana, ut in planta lit:
S., lontano dal Vallone chiamato di Fonte Murato, passi quindeci. (…). Intorno al qual
Fonte Murato, ambe esse Parti, per commodo commune, tanto per essi, che per loro
animali, e de Fidatarij di d.a Difesa di Cascapera, han voluto doversi rilasciare
communemente, un tomolo, ed un quarto di terreno inculto; trà qual giro, à fine di evitare
anche liti, si è assodato, pattuito, e concordato doversi anche porre quattro termini, in
questo modo, cioè, due nelle pietre fisse, uno verso Ponente, l'altro verso Levante, e due altri
affiggersi verso Tramontana con segni di Croce, come si vedono designati nella Pianta, nel
giro di d.o Fonte Murato lit: S., e sua diceria + + + +., e nella pietra fissa più adiacente, più
prossima, ed in faccia à d.o Fonte, scolpirsi,…, le parole = Communis Fons, et aqua =
denotando essere il Fonte comune, e termine, qual sempre è stato, se bene il Territorio
avanti, lasciato per comodo, sia, ed è dell’Unità de li=Musani. Dal qual Fonte camminado
per linea retta, li detti passi quindeci per l’antica Strada, e trapassando il d.o Vallone, si
sale dal Vallone altri passi quindeci. In mezzo dell’imboccatura dell’antica Strada, che
chiaramente si conosce, mentre tutta l’altra, che camina avanti, guasta, e coltivata si vede da
Coloni di Sant’Angelo; quivi in d.a imboccatura di Strada, si è piantato un altro termine di
pietra viva, con le stesse lettere scolpite, ut in planta lit: I..Se bene da questo termine
caminava il confine antico più alto ad un Montetto, dove è un antico Sorbo, in cui vi erano
segni di Croce antica, ed ora di fresco guasti con istrumento di ferro,… ha voluto d.o Sig.r
Barone Mediatore, che l’Unità de li=Musani, per equità facesse passare d.o confine tredeci
passi, e mezzo sotto d.o Sorbo; quindi compiacendo li Mag.ci eletti dell’Unità de li=Musani,
compassando d.i Mag.ci Agrimensori dal d.o termine piantato nell’imboccatura di d.a
Strada antica guasta, ut in Planta lit: I., e caminando per la stessa linea retta in alto in
faccia à Tramontana, passi settantatrè, si giugne all’appendino del Colle sotto d.o Sorbo,
come sopra, passi tredeci, e mezzo, trà la Commenda di San Vennitto, e Cascapera; quisi
si è piantato un altro termine di pietra viva, con le solite lettere impresse, ut in Planta lit: K..
Da questo luogo, caminando per la stessa linea alquanto à man sinistra passi cento sessanta
sei trà Cascapera, e demanij di Sant’Angelo, ò sia Commenda di San Vennitto, lasciando il
Confine antico, per compiacere a d.o Sig.r Barone, stante tirava sopr’al Sorbo, si giugne ad
una grossissima, ed antica quercia incendiata, e caduta à terra per l’incendio, à coste di
un Valloncino, volgarmente chiamato Grattavone, in faccia a Tramontana. Alle radici del
tronco incendiato di d.a quercia, si è piantato un altro termine rustico di pietra viva, con le
pred.e lettere scolpite, ed una linea curva, ò sia angolo ottuso, scolpita sop.a, ut in planta lit:
L., la metà della quale linea, dalla parte di dietro in faccia à mezzo giorno, è correlativa, e
richiama il termine posto, passi tredeci, e mezzo sotto il Sorbo, e l’altra metà di d.a linea in
faccia a Tramontana corrisponde, ed è correlativa ad una Quercia antica borgnosa, con
una coacervazione, e mucchio di pietre attorno, ut in planta lit: M., lontana da d.o termine
passi cento sessantotto; qual Quercia antica borgnosa con mucchio, e coacervazione di
pietre attorno, ut in planta lit: M., si è destinata anco per termine, con esservi impresse, ed
incise… due Croci à colpi d’accetta, da uno de Cittadini di Sant’Angelo, che è intervenuto
trà gl’altri, nomine Pietr’Antonio di Paolo, alias di Lella. (…). E da questa Quercia
borgnosa antica, con mucchio di pietre attorno, ut in planta lit: M., caminando per la stessa
linea à dirittura, compassi ventotto, si giugne alla Strada publica Maestra Langianese
(nota: sulla sua antichità si veda la nota 39 al Capitolo VI), che pur anche si vede ristretta
colla coltura dà Coloni di sant’Angelo; quivi si è piantato l’ultimo termine di pietra viva con
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le solite stesse lettere scolpite, cioè verso Levante, dove è Cascapera, con le lettere L.C., alla
parte di Ponente verso li demanij di Sant’Angelo, ò sia Commenda di San Vennitto, S.A., e
dalla parte di Tramontana, con lettere stese scolpite VIA LANG., che denota, e dice Via
Langianese, ut in planta lit: N.. Et ancor che il confine di d.o tratto, à tenore della Scrittura
della Commenda di san Vennitto, che chiama per confine Cascapera, e Strada Langianese,
avesse dovuto caminare molta pezza più sopra, che assorbiva le morge di Colle Ceraso, di
muodo, che l’Unità di Sant’Angelo, secondo d.a Scrittura… non passa con suoi Demanij di
là delli territorij di San Vennitto, con cui confina Cascapera. Pure cedendo l’eletti de
li=Musani à detto confine designato da d.a Scrittura propria dell’Unità di Sant’Angelo,…,
han dovuto rilasciare, ed han rilasciato li Cittadini di sant’Angelo, dalla detta quercia
incendiata, fino alla Strada Langianese, à beneficio dell’Unità de li=Musani, tomuli
cinquanta di terreno, per avere i Cittadini di quella ecceduti con la coltura, e sboscazione,
ed oltrappassati il confine sud.o.
E dal d.o Termine piantato, come sop.a alla Strada Langianese, ut in planta lit: N.,
caminando, e calando strada strada Langianese passi centotrentaquattro trà Cascapera, e
colle delle Fosse, così nominato da Santangiolesi, si giugne in una viocciola, che dalla d.a
Strada Langianese entra, e fa confine trà lo d.o Colle delle Fosse, e Bosco di Triventi,
chiamato la Rocca del Vescovo, ut in planta lit: O., e continuando il camino per d.a Strada
Maestra Langianese passi duecento venti trà lo d.o Bosco di Triventi, chiamato Rocca del
Vescovo, e Cascapera, si giugne alla Cerqua antica, chiamata dà ogn’uno delli trè
Confini,…, ut in planta lit: P., perche fa termine, e confine frà il territorio di Lucito, della
Difesa di Cascapera de li=Musani, e Bosco di Triventi, e qui da questa banda, ha sempre
terminato, e termina il confine di Cascapera, senza alcuna contesa, verificandosi anche da
una scrittura di confinazione trà la Unità di Lucito, e quella de li=Musani, celebrata nel dì
undeci di Ottobre, mille settecento ventitré, che d.a Quercia si chiama delli trè confini, per
essere termine trà li Territorij di Cascapera, Lucito, e Triventi; nel corpo della qual
Quercia, per segno di vero termine, vi è una pietra incarnata, né altra quercia vi è, che si
chiamasse di trè confini.
E terminato questo confine,…, che comincia dal luogo chiamato la Serra del Lago, e
Crocella, e termina… alla Quercia delli trè Confini,…, si è pur anche,…, devenuto alla
terminazione, da quest’altra banda di d.a Difesa di Cascapera, incominciato pur anche dal
d.o termine piantato nella Serra del Lago, e Crocella, e caminado verso basso, Serra Serra,
e Strada Strada passi cento ottantatrè in faccia alla Petrella, in mezzo d.a Strada, che è
strada publica, e viene da San Biase, e camina serra serra, e va à Lucito, Ferrara, ed alla
Petrella, in mezzo d.a Strada si è piantato un altro termine di pietra viva; dalla parte di
Tramontana, dove sta situato Cascapera, con le solite lettere L.C., e dalla parte di mezzo
giorno, dove sono siti li Demanij di sant’Angelo, S.A., ut in Planta lit: Q., e caminado più
avanti Strada Strada passi cento sessantasei, si è gionto nel luogo comunemente chiamato la
Serra della Palomba, nel qual luogo, in mezzo la Strada publica, un passo lontano da un
mozzone di quercia, che stà in faccia a mezo giorno, si è piantato un altro termine di pietra
viva, con le lettere scolpite, dalla parte di mezo giorno,…, S.A., e dalla parte di Tramontana
dove sta Cascapera, L.C., dalla parte di Levante, dove sta la Difesa di Monte Marconi de
li=Musani, le lettere LI.M., denotantino li=Musani Monte Marconi, ut in planta lit: R.,
sopra del qual termine, vi sono anche scolpite trè linee concatenate l’una con l’altra: una
tira, ed indica la via à traverso in faccia a Levante, qual via fa confine trà Cascapera, e
Monte Marconi, e la stessa linea caminando in dietro, in faccia a ponente, anche per via, fa
confine trà Monte Marconi de li=Musani, e li Demanij di sant’Angelo, chiamati dalli
Santangiolesi solamente la capanna di Beneditto, e camina questo confine sempre trà li
demanij di sant’Angelo, e Demanij de li=Musani, sino li confini di Fossaceca, come si hà
288
da un’antico strumento di convenzione, celebrato tra d.e due Unità, fin dall’anno mille
cinquecentoquarantasette, sotto il dì sei di Giugno, per mano del q.m Nodar Paduano di
Luca della Terra di Gambatesa. Qual confine de demaniali sud.i, dal d.o termine piantato
alla Serra delli Peschi della Palomba fino li d.i confini di Fossaceca…; e l’altra linea
scolpita in d.o Termine alla Serra delli Peschi della Palomba, che nasce dall’altra linea ivi
scolpita, e forma quasi un < Greco, tira in faccia a Ponente per la via ad alto della Serra del
Lago, e va à rincontrare il termine antecedentemente detto, e piantato, ut in Planta lit: Q. in
mezzo la Strada, e Serra trà Cascapera, e Demanij di sant’Angelo. Dichiarando, che Serra
Serra, acqua pendente in faccia à Tramontana, sono terreni di Cascapera, e Serra Serra,
acqua pendente in faccia à mezo giorno, sono terreni de Demaniali di sant’Angelo.
(…). … e reintegrata prima, restituita, e rimpossessata l’Unità sud.a de li=Musani, in tutti
d.i luoghi rilasciati,…, secondo l’antichi confini, che cominciano dall’antico Termine
della Crocella all’orlo Superiore della Strada Via Croce, passa per dietro li Pagliarini
Vecchi di Caserio, và alla pietra fissa, come sopra descritta con segno di Croce antica, à
Fonte Murato, e dà là al Sorbo, e confina con tutti li territorij di san Vennitto, alla
Strada Langianese.
(…). Si è convenuto in oltre trà esse Parti, specialmente per futura, e perpetua cautela di
ambe esse loro, e per convalidazione del presente strumento di concordia, impetrare, ed
ottenere, del tutto, Regio assenzo, come così esse Parti, spontaneamente… han promesso, e
con giuramento si sono obbligate, trà lo spazio di sei mesi, vèl quam citius per impetrare, ed
ottenere il d.o Regio assenzo, e quello impetrato, ed ottenuto, esibirli, e presentarli à me
infratto Notajo, à fine d’inserirli, per futura, e commun cautela, nel presente strumento, e
farne di quello notamento,…”.
A margine di tale importantissimo atto molto ci sarebbe da dire sia sull’importanza del
‘nodo’ di strade “antiche”, che passavano per Cascapera, il cui etimo non è difficile da
collegare alla ‘statio’ di “Ad PYR(um)” della ‘Tabula Peutingeriana’ (v. Cap. I), e sia sulla
rilevanza dell’insediamento antropico, la “Tiphernum” sannita, che, come documentano i
numerosi reperti rinvenuti e che continuamente si rinvengono nella zona, deve essere ivi
posizionato. La tirannia del tempo e dello spazio costringe ad annotare solamente la maggiore
estensione, con l’accorpamento, cui Limosano ha sempre ispirato la propria azione
amministrativa, in un ‘unicum’ dei terreni della Difesa di Cascapera, che, e la cosa non è
certo priva di un suo significato in quanto ben si può associare all’antico vescovado della
destrutta città dell'homini sani, alias Musane, confinava con la “Rocca Episcopi (= Rocca
del Vescovo)”, del territorio di quella “Universitas civium”.
La situazione dei rapporti con le Università limitrofe, fatta di contrasti frequenti e di non
sempre facili ‘ricomposizioni’, emerge tutta dal “publico parlamento” del “19 8bre 1788”,
nel quale ancora “si propone a loro Sig.ri qualmente tenendo usurpato li Cittadini di
Triventi, una buona porzione di Territorio della Terra di Cascapera, e conoscendosi il
grande pregiudizio che si recarebbe all’Unità, ed insieme l’interesse, il danno, si è pensato
amichevolmente con l’Unità di Triventi di rimettersi i Termini antichi, e riporsi questa
Unità nel primo stato, per mezzo de’ Regij Compassatori, ed Agrimensori, che colà
dovranno condursi per l’espediente, e tutto farsi mediante la intelligenza di loro Sig.ri,
…”433. Ed, ancor di più, specie per quanto concerne la globalizzazione degli scontri e
l’accerchiamento che la “Terra di Limosano” stava subendo, vien fuori dal “parlamento”
del “23 9bre” di quello stesso anno, dal cui ‘verbale’ risulta che “avendo usurpati i Cittadini
433
ASCL, Libro de’ Publici Parlamenti dell’Unità di questa Terra di Limosano principiato a dì 22 Giugno 1783,
B. 1, f. 1. Tale ‘registro’, discretamente conservato, è il solo pervenuto che riguarda i ‘verbali’ delle riunioni del
‘publico parlamento’ di Limosano. Ciò, nonostante che un “libro de’ Consegli”, nel quale si verbalizzavano le
decisioni prese, veniva tenuto, e se ne è trovata traccia, anche nei periodi di tempo più antichi.
289
di Lucito, di Triventi, e di Santangelo quantità di Terreno nella Tenuta di Cascapera, e quelli
Cittadini di Fossaceca parimente nel luogo del Casale, Demaniali di questa Unità, si pensò
buonamente trattare la misura per ridursi all’antico stato; ma come essi con gabbo le anno
differiti venire ad una amichevole misura, e si sono permessi i terreni usurpati seminarli,
anco con permettersi ammuovere i Termini. Perciò si è penzato tenere parlamento se
debbiasi procurare la misura delli nominati Corpi, per essere l’Unità reintegrata, e rifatta
delli Terreni, delli quali ne è stata spogliata, e fare quanto mai sarà espediente per lo
riacquisto di essi”434.
L’interesse comune, però, poteva talvolta consigliare ‘accordi’ tra Università confinanti.
Come quando, era il 29 Maggio 1791, pur di contrastare in qualche modo il de Attellis,
“l’Unità di Lucito ha ricercate più volte noi, perche volesse unirci coll’Unità medesima per
ritogliere dal medesimo Sig.r Marchese di S. Angelo, il feudo di Ferraro, il quale secondo si
rileva da scritture antiche non meno da quelle che sono state riunite dall’Unità di Lucito, che
dalle altre che si conserva dal Sig.e Nodar Amoroso, porzione del feudo sud.o di Ferraro
apparterebbe a Luceto e porzione a questa Unità”435.
Sulla linea del confine, tuttavia, che divideva i territori, da riferire al ‘Casale di Ferrara’ che
fu ‘feudo’, posti tra Limosano e Lucito più a valle della Difesa di Cascapera e sino al Biferno,
la cui conoscenza avrebbe potuto di certo portare ad utili e preziose notizie sulla
localizzazione e sulla consistenza dell’insediamento antropico ivi situato, che dovette essere
assai antico, nulla è stato trovato. Se non una 'comunicazione' del Sindaco Vincenzo Tata "al
Sig.r Intendente", del 14 Dicembre 1814, con cui si precisava che: "con vostro venerato
foglio del 1 Ottobre mi ordinaste, che unitamente a due Periti di questo Comune avessi
assistito alla nuova terminazione del Feudo di Ferrara di spettanza al Comune di
Lucito, in confine coi territorj del mio Comune,… Per mio dovere debbo rassegnarvi, che la
nuova terminazione del Feudo di Ferrara fu eseguito nel dì 11, e 12 del corrente Mese,
fatta esattamente colla mia assistenza, di due Periti di qui, del Sindaco ed Eletti di Lucito,
nonché de' Periti, e dell'Agrimensore d'Andrea".
Ma le carte, pur se di epoca assai recente, non si trovano. Molto probabilmente perché le
relative ‘scritture’ furono usate in occasione di ‘lite’ con il relativo feudatario, che, come si è
potuto vedere, solo nel XVIII secolo pare essere stato il de Attellis, il quale era pure titolare
di S. Angelo.
7.2 - I rapporti con i particulari e con l’interno
Apparteneva ad una società, nella quale, a dispetto di un forte senso di quella ‘democrazia’
orizzontale che, con la sua “unica voce, et nemine discrepante”, voleva tutti i ‘capifuoco’
partecipi delle decisioni per “utile, vantaggio e quiete comune”, il limosanese “Joseph rossi”,
che, ancora il 25 Luglio 1687, riferisce, “come esso Giuseppe rossi fu fatto libero in virtù
d’instrumento rogato per mano di Pubblico notaro…”436.
A caratterizzare quella società era una condizione della donna, di cui ancora durante il XVII
secolo è documentato, nel triventino assai più che nel limosanese, l’assoggettamento al
mundio, istituto giuridico di origine longobarda, con cui la si affidava al mundualdo, molto
spesso un esponente del Clero, il quale, cui quella doveva essere sottomessa in ogni cosa ed
anche nei capricci più bassi del sesso, ne amministrava e ne gestiva a proprio arbitrio e
piacimento la capacità di agire e di volere. Va detto, però, che la caratterizzava anche una
434
V. nota n. 6.
V. nota n. 6.
436
ASC, Fondo Protocolli notarili, Not. DE LUCA Carlantonio della piazza di Ripalimosani.
435
290
‘cultura’, in certo qual modo diffusa, come dimostra quel “Carlo di Carlo Fracasso Vaticale
<che possiede> un’altra casa di membri trè…, dato in affitto à Niccolò di Venere, et à
scolari della Terra di Montagano, nel luogo detto lo Sopportico di Natale,…, e ne riceve
per d.o affitto carlini trentadue”437.
Erano frutti, frequenti assai più di quanto si possa immaginare e sempre di quella rude ed
essenziale società e sono essi ben documentati, gli omicidi, anche di matrice ‘politica’, come
di certo fu quello del Notaio Donato De Angelillis, che il 28 Ottobre 1658 era stato nominato
dal “publico parlamento” procuratore dell’Università nelle vertenze contro il Barone e, dopo
che “al tempo de suo Sindacato et officii Capitanatus” era stato fatto già oggetto di
attentati, di ingiurie, di offese e di maltrattamenti, risulta il 23 Marzo del 1659 essere stato
ucciso l’anno prima438.
Poteva esercitarsi, in quella società che pretendeva il “nemine discrepante” per la decisione
da far valere presso il terzo, una vera ‘opposizione’? Come poteva questa essere esercitata?
Quale il ruolo, che essa poteva svolgere, all’interno della istituzione “Universitas civium”?
Una risposta, pur non esaustiva, a tali domande, viene dal seguente atto ‘protestativo’, del 13
Febbraio 1705439, col quale “Franciscus Colasurdo, Joseph de Tata, Dom.cus de Pascale
Gravina, Antonius Donatelli, Liberus Ant.s Romano, Cosimus Fracasso, et Cosimus
Gravina, qui cum Juram.to, sponte non vi… asseruerunt… come essendosi li giorni passati,
e proprie sotto li ventotto del passato mese di Dicembre dell’anno scorso 1704 convocato
Parlamento dal Sindico, et eletti del Governo di d.a loro Terra di Limosani, in esequizione
ancora per quello che fù dalli medesimi rappresentato, dell’ordini del P. Consigliero
Commissario in Napoli della Caosa ultimamente introdotta nel S. R. C. ad istanza di d.o
Governo, in nome e parte della sud.a loro Uni.tà di Limosani, contro l’Ill.mo Sig.r Marchese
di quella, per determinarsi se devesi fare la lite…
Perche dal Sindico, ed eletti di d.a Unità si dubitava, che convocati tutti li Cittadini, si
come è stato solito pratticarsi nelli Parlamenti, che si sono fatti per le cose trovarsi
l’Interesse utile di d.a Terra, e per l’altre occorrenze, si sarebbe fatta qualche opposizione
dalla maggior parte di essi, è Come che essendosi così dal Governo presente, come da altri
due precedenti promosse, così nella Reg.a Aud.a Pro.le, come nella Reg.a Camera, nel
Reg.o Colla., et avanti di S. C. ancora, di menar liti, et Cause sotto diversi titoli, e
pretenzioni à loro arbitrio, e volontà contro dell’Ill.mo Sig.r Marchese loro Pat.ne, altro
non si è fatto, che spendere molte Centenara di docati, senza ottenere né pure una minima
cosa in beneficio di d.a Unità, per il qual’effetto si sono da trè anni a q.sta parte attassate
le Terre de Cittadini in assai mag.r Summa di q.lle erano solite stabilirni, e tassare
negl’anni precedenti, in gravissimo danno così loro, come di tutto il publico di d.a lor
Patria, vedendosi giornalmente crescere i pesi, e le Tasse senza niun profitto da d.o tempo
in qua di d.a Unità, ma solam.te di q.lli pochi, che hanno mano in q.sti negozi…
… perciò non solamente lasciarono di fare citare, secondo il solito, dal Giurato della Terra
i Cittadini di q.lla per d.o Parlamento, mà non fecero ne meno chiamarli tutti, per il
sospetto che havevano se li fusse fatta contradditione, e si fusse conchiuso di vedere prima
le spese fatte per d.e liti, e Cause,…
… e per potersi più cautelam.te approfittare à spese, e danno del publico, fecero
Intervenire nel Parlamento sud.o la maggior parte di q.lli Cittadini, che pareva loro, che
potevano aderire, e condescendere à quel tanto essi proponevano, e q.llo che fù peggio
fecero nel med.mo Parlamento dare la voce non ad’uno per Casa, conforme è stato, et è
solito pratticarsi nella d.a Unità, quando si son fatti li Parlamenti, ma à più d’uno,
437
ASCL, Catasto Onciario, citato, pag. 41.
ASC, Fondo Protocolli notarili, Not. CARRELLI Giandonato della piazza di Fossaceca.
439
ASC, Fondo Protocolli notarili, Not. CARRELLI Giandonato della piazza di Fossaceca.
438
291
ammettere in esso Parlamento à dare la voce due, e tre per Casa, quanti vi ne fussero stati,
et intervenuti, anzi che non diedero né meno tempo, che si fusse saputa la convocazione
del d.o Parlamento, perche la matina istessa, che q.llo si congregò fecero, non dal Giurato,
ma da altre persone chiamare q.lli pochi Cittadini, che loro piacque, e si trovarono à
tempo, che la maggior parte di essi era fuori della Terra per proprij negozij, quando lo
stile, e costume di d.a Unità, conforme si è sempre praticato di convocarsi, e citare tutti dal
Giurato il giorno, al più tardi la sera innanzi dell’appuntato Parlamento, affinché possano
tutti Intervenirci…”.
A parte le informazioni, di grande interesse, sulle ‘procedure’ per lo svolgimento di un
“publico parlamento”, le quali tutte vengono riproposte dall’analogo atto del 28 Febbraio
seguente, cui furono presenti (e così diventa chiaro il formarsi nel tempo di una opposizione)
“Cosimus Gravina, Didacus Longo, Benedictus del Gobbo, et Antonius de Angelilli”, è
difficile (o non lo è?) capire se a questi ‘conservatori’ interessasse più mantenere il rapporto
privilegiato, di cui evidentemente già godevano, con l’ “Ill.mo Sig.r Marchese loro Pat.ne” o
più la semplice questione della ‘forma’ nella convocazione.
Altra risposta a quelle domande e, di non trascurabile interesse, altre notizie sulla formazione
di una opposizione ‘conservatrice’ (e, si noti, trattasi più o meno delle stesse persone), non
più ‘aventina’, vengono dalla “fides publica”, del 19 Aprile 1705, di “Antonij Donatelli,
Josephi de Tata, Francisci Fracasso, Francisci Colasurdo, Lutij Fracasso, Liberi
Antonij Romano, Cosimi Fracasso, et Dom.ci Gravina, Hominum, et Civium Terre
Limosani…, <i quali> asseruerunt… Come questa matina diecinove del Corr.te essendosi
congregato nella Terra di Limosano loro Patria publico conseglio ad Insta(nza) delli
Sindico, ed eletti di d.a Terra per alcuni affari di quell’Unità, e precise per le liti, che d.a
Unità tiene coll’Ill.mo Sig.r Marchese, nel qual Consiglio (nota: perché non ‘Parlamento’?)
essendono Intervenuti essi Constituti, non hanno voluto acconsentire à q.llo è stato proposto
da d.i Sindico, ed eletti, che perciò si protestano in virtù del quale atto publico d.o Consiglio
essere nullo, et invalido, e li quattro Deputati eletti in d.o Conseglio non si devono accettare,
perché devono stare tutti li Cittadini intesi di q.llo, che si fa, e non quattro persone sole
(nota: è cosa assai curiosa come i conservatori riescano a nascondere spesso i propri obiettivi
ed i propri interessi nel voler maggiori garanzie di democraticità orizzontale, mentre i
progressisti celano i loro nel perseguire una organizzazione verticale), secondo l’uso, et
antica Consuet.ne di d.a Terra; e per l’esclusiva, che hanno proposto nel med.mo Conseglio
di voce ostile, e pessima di q.lli che sono concorsi in fare l’Instanza, che si costringessero
l’Amministratori dell’Unità alla redditione de Conti, con essendone quelle persone discole,
e di qualche mala Indole, non devono essere escluse, quando dicono di loro pareri secondo
è di giustizia, e secondo riguarda l’utile, e beneficio del publico; e per quello hanno
proposto per l’herbaggio à Cosimo del Gobbo.
Si protestano essi Costituti, che d.o erbaggio di nessuna maniera deve concedersi a d.o del
Gobbo, per essere l’Animali di d.o Cosimo Animali indohanati, quali non possono
pascolarsi, in virtù di Decreti ottenuti l’anni passati,… (nota: le ragioni portate per la
richiesta di ‘nullità’ dipendevano dal fatto che, in contrasto con quanto preteso dalle autorità
della ‘Terra’, non si era avuta la unanimità nella decisione),…
E li d.i quattro Deputati, che s’asseriscono essere eletti in d.o Conseglio ne meno devono
essere ammessi, perché quelli che sono stati eletti hanno dato il voto à se medesimi, e si
sono sottoscritti in d.o Conseglio, quando che essi non dovevano esserci presenti, come
anche perche uno delli sud.ti quattro è il d.o Cosimo del Gobbo, che per essere del Governo
non può essercitare tale Officio;
e si dà anche per Nullo il d.o Conseglio, perche in q.llo non si potevano dire le loro
raggioni, e pareri quietamente, anzi per haver voluto il Sig.r Gov.re di d.a Terra di Limosani
292
far’ordine, che tutti si fussero stati quieti, e che ogn’uno avesse dette le sue raggioni e pareri
quietam.te, e senza disturbo, e rumore, che altrim.te ne sarebbero stati puniti, tutti l’aderenti
di d.o Dottor Cosimo del Gobbo, e di Giacinto Corvinelli hanno gridato con alzare le mani,
in maniera che se d.o Gover.re non aveva a starsi uno quieto, avrebbe passato qualche
pericolo, e di tutto q.lo rumore, e contraditione al d.o Mag.co Gov.re ne sono stati Capi li
sud.i del Gobbo, e Corvinelli, quali prima di tutto hanno controvenuto, e tutti l’hanno
aderiti, anzi il d.o del Gobbo hà cominciato à commandare in d.o Conseglio, che si fusse
fatto non tè che contro il Gover.re, che per le troppe gride non s’è Inteso il che habbia detto,
onde il sud.o Gover.re have avuto à caso starsi quiete, che perciò più tosto si può chiamare
un’atto disordinato che Conseglio, e li detti Costituti si sono partiti dal Conseglio sudetto,
seù atto impertinente contro la giustizia, e contro la libertà de Cittadini…
Anzi li Cittadini, che sono Intervenuti in d.o Conseglio sono stati prima sedotti, et
abbonati, con esserli stato dato un poco di grano per imprestito, e quelli per la loro
miseria, e povertà sono concorsi ad aderire al alcuni pochi…
Di più si protestano, e dicono di nullità di detto Conseglio nel quale anche hanno proposto
di voler imponere nuove Imposizioni, e gravare li Cittadini di d.a Terra per Causa di spese,
che si fanno, e si vogliono fare da detti del Gobbo, e Corvinelli per Causa dell’imprese liti,
quale proposizione risultando in grandissimo danno, e pregiudizio de poveri Cittadini,
quali per tante spese inutili, ed esorbitanti, e fatte à loro mero Capriccio… e vogliono essi
Costituti, che d.a proposizione, e conclusione fatta, non se ne debba havere nessuno conto,
mà che si debbia stare sempre al solito, senza angariare, e gravare li poveri Cittadini con
d.e Imposizioni…”.
Troppo evidente lo scontro, che è di origine lontana ed ha caratterizzato già la seconda metà
del XVII secolo, tra i borghesi emergenti, che, favorito, in questa fase, dai contemporanei
sconvolgimenti politici più generali, si nascondevano dietro gli interessi contrapposti tra i
feudalisti, più 'conservatori', ed i demanialisti, più 'progressisti', per parlarne.
Il '700 limosanese fu, nell'aspetto di maggiore importanza, caratterizzato dalla 'retrovendita'
e dalla riacquisizione alla disponibilità del demanio della "Universitas civium Terre" dei tre
'corpi feudali' (il Bosco Fiorano, le Cese e la Sala), che ancora mancavano. Tra e dopo mille
vicissitudini440 la 'ricompra' fu cosa fatta solo nel 1778, anno (precedente alla rivoluzione
francese, a riprova del fatto che già si respirava un certo clima anche da noi) a partire dal
quale l'evento favorì la formazione di tante aspettative, nella società non solo di Limosano ma
anche delle 'Terre' limitrofe, da portare una 'immigrazione' di massa di molti 'forastieri'.
L'avvenuto riscatto di quei corpi feudali, inoltre, fece sì che gli amministratori, per parte loro,
si trovarono improvvisamente a dover affrontare, con la disponibilità di un patrimonio
fondiario così ingente, il problema di come renderne partecipe, "nemine discrepante", il
maggior numero possibile di 'Cittadini'. E che, pure per la 'discussione' politica, di certo
accesa e vivace, che si era creata nell'ambiente e si faceva dalle diverse componenti sociali
della "Universitas civium Terre Limosani", fosse cosa affatto trascurabile lo dimostra il
fatto che, in modo assai innovativo rispetto ai sistemi amministrativi tradizionali, sarà
adottata, dopo un periodo di una quindicina di anni, una soluzione 'socialista', che, di
parecchio precorritrice del formarsi di quella idea, verrà democraticamente posta in essere in
una realtà insediamentale locale, quella limosanese, che, pur ridimensionata, così dimostrava
di essere ancora punto di riferimento 'culturale' importante.
Di certo si dimostra 'moderna' rispetto alla decisione amministrativa del 2 Dicembre 1658,
quando, forse a causa di una probabile congiuntura demografica sfavorevole, il "Sindicus et
eletti Terre Limosani (nota: Berardino Fracasso, Sindico Terre Limosani in hoc p.nti anno,
Valerio Caserio, Jacobo Lucatelli Medico, Salvatore Covatta, Aloisio Pasquale et Jo:Batta
440
Si veda la essenziale ricostruzione della vicenda in BOZZA F., op. cit., pag. 225 e seg.
293
Colasurdo, eletti ad gubernum et Consilium d.te Terre pro p.nti anno)… ad conventionem
devenerunt cum Sindico et elettis Terre S. Angeli (nota: Francisco Carosiello, Sindico
Terre Sant'Angeli in hoc p.nti anno, Angelo d'Imbuccio et Nicolao d'Elia, eletti ad
consilium et Gubernum d.te Terre pro p.nti anno)… et ex nunc liberi affittaverunt et
arrendaverunt ac in affictum et arrendamentum dederunt… quaddam territorium
tumulorum quattuorcentum in circa quod vulgariter nuncupant le stirpara di
Montemarconi, situm et positum in pertinentiis d.te Terre Limosani iusta feudum Ferrari,
Torrente Fiorana, iusta territorium Luceti Casale Cascapera, iusta Terram S.ti Angeli
et alios si qui sunt fines… pro ducati decem de Carl.o argenti pro quilibet anno" ed alle
seguenti condizioni:
"In primis la d.ta Università di Limosani et per essa li suoi sindico et eletti promettono
assignare… le solite confine di d.to territorio acciò si possa sapere per coltivarlo.
Item che d.ta Università di S.to Angelo possano coltivare et scodere dette stirpara, e lo
terraggio (nota: che si pagava solo quanto il relativo terreno veniva coltivato) di d.to
territorio sia di d.ta Uni.tà di S.to Angelo alla q.le sia lecito pascolare in d.to t.rio con tutte
et qualsisia sorta d'animali etiam per li territorij di Chiese et particolari conforme d.ta
Università di Limosani ci have il pascepascolo et attione, ma che d.ta Università di S.to
Angelo nello scodere delle stirpara siano tenuti lasciare cinq.o arbori per tomolo per
relevare arbori, et per d.o tempo di anni sei la d.a Uni.tà di Limosani possano pascolare con
li loro animali et legnare legna morta in d.o territorio ut supra affittato conforme l'antico
solito senza impedimento alcuno"441.
E che quella soluzione 'socialista', fuor di ogni dubbio anticipatrice di tempi nuovi, fosse il
frutto di un serio dibattito ‘politico’, al quale tutti parteciparono con passione e che nasceva
da una riflessione lunga di almeno un decennio, lo provano le proposte e le discussioni, che
ne seguirono, del “publico parlamento” del “19 8bre 1788”442. Quando, e si era prima della
441
ASC, Fondo Protocolli notarili, Not. CARRELLI Giandonato della piazza di Fossaceca.
ASCL, Libro de’ Publici Parlamenti… cit.
Per una migliore comprensione, oltre che della squisita sensibilità civica, delle 'cose' della Limosano di quel
periodo, si propone una ricostruzione essenziale, da tale 'registro', delle notizie concernenti sia la gestione dei
'corpi' feudali' che quelle di particolare interesse e particolarità.
6 Marzo 1785: "(…). Quarto; si propone a loro Sig.ri, qualmente vedendosi il bosco Fiorano quasi ridotto
all'esterminio e come dentro, e fuori d'esso vi sono quantità di Viscieglie, le quali coll'industria potrebbero col
tempo formare un altro bosco per vantaggio, ed uso de Cittadini, si è pensato esse riallevare, coll'opera di una
giornata à fuoco per non caricarsi questa Unità d'interesse; Si propone per ciò a loro Sig.ri acciò stimano quel
che li pare di vantaggio. Intesa da tutti i Cittadini Congreati la su divisata proposta, è concluso, e determinato
che si riallevino le Viscieglie e dentro, e fuora dello Bosco Fiorano non solo coll'opra di una giornata à
fuoco, ma di trè, e quattro".
24 Aprlile 1785: "(…). 2. Essendosi dal Marchese di Santangelo fatta la petizione sopra l'attrasso de frutti di
Montemarcone nella summa di doc.ti 2764 contro questa Unità e si è pretesa la divisione di Cascapera; Non ci
è Avvocado in Napoli, che facesse petto a tale petizione, mentre D. Luigi di Girolamo Avvocado di questa Unità
è passato a miglior vita…. Letta, e ben intesa da Cittadini votanti è stato conchiuso di eligersi l'avvocado in
Napoli col Solito Onorario, e per magioranza de voti è restato conchiuso di mandarsi in Napoli D. Amadeo
Corvinelli tanto per assistere alle due interessanti Cause mosse dal Sig.r Barone de attellis contro questa
Unità, quanto per destinare un novello Avvocado in Napoli per la difesa di questa Unità,… 3. Si è proposto se
si devono esitare docati diecie secondo il solito per la Festa di S. Ant.o; Si è concluso di commun consenso,
che si facci tale esito per il Santo, per aver veduti negl'anni passati miracoli potenti".
23 Aprile 1786: "(…). 2. Si propone alle Sig.e vostre, qualmente trovandosi da molto tempo introdotta lite da
questa Unità con il Venle Convento di S. Fran.co per rapporto alla Casa vecchia di S. Rocco,…; giacche si vede
da tutti, che una tale Casa et stanza di S. Rocco è un Mucchio di pietre,… 3. Si propone a loro Sig.i qualm.e
essendosi dato mano al Campanile senza speranza di terminarsi per mancanza di danaro; Si è pensato farsi una
Cedoletta di cinque Carlini a fuoco per le persone non tanto Commode, e per le persone commode dieci Carlini,
o più o meno, acciò con il ritratto si potesse terminare con il tempo una opera, che serve…".
24 Febraio 1788: "1°: Si propone alle Sig.rie loro qualmente Vi sono molti Forastieri, che in questa Terra
442
294
rivoluzione francese, “… vedendosi una grande estensione di Territorio nella med.a Tenuta
di Cascapera atto alla Colonia, e pochi Cittadini se ne sono fatti li Padroni col scodersi a
poco a poco, e molti altri Cittadini parte devono andare nelli Paesi Forastieri, e parte
vivono senza Colonia, per cui si vede crescere la miseria; Si è dalli Amministratori risoluto
di rendere esso intieram.te Seminatorio, e ridursi a Coltura; ma come vi è l’impedimento
recato a questa Unità dal Sig.r Barone di Santangelo, il quale per mezzo di alcuni
Provisioni hà impedito la Colonia; perciò gli esercenti Governanti pensano di far togliere
l’impedimento e ridurre esso a Colonia, per indi dividersi à fuoco trà Cittadini; per non
stare sempre suggettata questa Unità, e Cittadini, ad interesse, e spese, e Carcerazioni,
ed altre violenze.
possegono beni, senza che si fossero fatte per l'addietro le imposizioni per le bone tenenze; quindi vedendosi
l'aggravio che si è recato, e tutta via si reca alla Unità si è stimato eligere due deputati in publico Parlamento
acciò questi facessero le imposizioni sopra delli sud.i beni che Forastieri anno in questa sud.a Terra… 2°: Si
propone similmente alloro Sig.ri qualmente tenedosi da Cittadini animali Forastieri, senza che essi pagassero
l'erbaggio, o fida, e recono alli Cittadini del pregiudizio, si perche ci sono le pecore, che pagano la doganella,
si ancora Capre, e Bovi che pregiudicano per il pascolo; si è penzato che volendosi tenere animali de forastieri,
in ogni cento pecore, e capre, debbano corrispondere docati sei à beneficio di questa Unità e li Bovi in ogni uno
Carlini tredici,…".
Tra il 1788 ed il 1791 e quando gli attacchi venivano da tutte le 'Terre' confinanti, per far fronte alle pretese del
Barone de Attellis, che intendeva separare la sua quarta parte del feudo di Cascapera, l'Universitas civium di
Limosano, pur di difendersi in qualche modo, arriva persino a riconoscere (si veda il 'Parlamento' del 10
Gennaio 1790) al Marchese D. Nicola di Grazia lo 'jus proibitivo' sui forni.
Dal 'Parlamento' del 24 Luglio 1791 si ha notizia di molte "liti contro del Convento incominciate, come per
esempio quella del Tandundem, quella della rimisura de Terreni anzidetti, ed altre".
E se dal 'Parlamento' de "li nove di 8bre 1791" risulta ancora una situazione controllabile che "dovendosi
proseguire la lite di Cascapera contro il Sig.r Marchese d'Attellis, e avendo le Sig.e loro in altro antecedente
Parlamento fissato a questo riguardo un degno Avvocato in Napoli per l'interesse della nostra Unità…", da
quello "congregatesi" appena tre mesi dopo, "li 22 Gen.o 1792", ne viene fuori una, che dire drammatica è
poco. In esso "Si propone alle Sig.e vostre, come abbiamo in tempo una lettera del Sig.re Patrone Marchese
di questa Terra ricevuto in questa settimana, che esso s'è unito col Barone di S. Angelo pretendendo, che la
Contrada di Cascapera sia feudale, e ne vogliono spogliare questa Unità dal possesso e Dominio, che da
tanti secoli vi rappresentano; similmente si è saputo, che gli atti siansi portati in espedizione per decidersi la
Causa… Propostasi tutto ciò il Popolo radunato nel presente parlamento, si è concluso di un animo
Consenzo, che si facesse tutte le spese necessarie e tutto quello occorrerando per difendere le raggioni
dell'Unità con i due Patroni di questa Terra di Limosani, e di S. Angelo".
Il 2 Gennaio 1791 si era tenuto un 'Parlamento' assai importante per l'argomento che venne proposto e che
lascia immaginare forti tensioni anche religiose. "Primo debbano sapere le Sig.e loro, che alcuni di questa
nostra Cittadinanza sono innanzi di noi Mag.ci del Governo comparsi, ed'anno dimandato in scritto: Che
essendosi dal Convento di S. Fran.co di questa nostra Terra voluto fare alcune novità relativamente à terreni,
che per pura elemosina, e per sentimenti di pietà Religiosa i nostri antenati diedero al medemo in ispezialità,
che niuno di questa Cittadinanza avesse più la libertà dopo la ricolta delle messi di portare i proprj animali alla
Pastora, e che per i medemi territorj niuno di questi Cittadini potesse nemmeno transitarvi ne a Cavallo, ne a
piedi; effetto questo della temerità e dell'orgoglio di quei pochi Religiosi, che barattano di presente le rendite di
esso Convento. Quindi in sequela di que' pochi ricorrenti moltissimi, e quasi tutti sono ricorsi dagli anzidetti
Mag.ci del Governo, perché si ponesse una volta alla Temerità de' Frati un valido riparo. Consequentemente
noi proponiamo alle Sig.e loro alcuni risoluzioni per che ne è vantaggio di questo Publico.
Primo, se vogliono che si prosequa con essi Frati la lite sul tenimento del Casale, la quale…;
Secondo, se diano il loro concedimento perché si ritolga dalle mani di cotesti buoni Frati il tenimento detto
Monte Marconi, mentre vi è chi può dare notizie delle Scritture necessarie per consequire il desiderato fine
avantagio dell'Unità su di questa lite;
Terzo, sebbene l'Unità si trovi molto inoltrata nella pretenziona di più Centinaia di tt.i di Terreno contro de
Monaci sud.i, Tutta via per il compimento di tale rivinticazione si dimanda il vostro unanimo consenzo.
In seguito di tutto questo se le Sig.e loro vogliano, che non solo i Monaci anzidetti: siano nella necessità di
rivocare il banno anunciato relativamente ai loro territorj dati à med.mi dai nostri antenati per puro atto di
pietà, ma ancora che questo Convento centro di liti e di dispenzioni per questa povera Unità sia convertito in
uso di Scuola Publica, basto solo che diano il loro consenzo, perche gli attuali Mag.ci del Governo prendino
295
Si propone alle Sig.e loro qualmente come pure per togliere una volta per sempre le continue
liti, e dispendij per la novità delle Cesa, si è penzato di far scodere tutta la piana persino
l’incolta di Diego Longhi, che oggi si possiede dalli Figli di Nicola d’Amico, lasciandosi
intatto il Corpo intiero delle visceglie e delle quercie, e si tira dal Vallone, dove tiene il
territorio Saverio Battilana, e cossi si deve stendere la Colonia per sino il Vallone delle
Cese, con dividersi parim.te à fuoco, acciò cessino le liti, gli odij, e gl’interessi, e l’Unità
non ne venghi interessata. (…).
Si è conchiuso unica voce, et nemine discrepante, che si ricorresse nella Reg.a Cam.a
per togliersi l’impedimenti tanto in Cascapera, quanto nelle Cesa, acciò si evitino tanti
interessi, che soffrono questa Unità, e Cittadini, e gli poveri potessero con la Coltura
procacciarsi del pane, per non andare fuora, ne vedersi tante miserie. Cossi si è risoluto,
e conchiuso, e che si spenda quel danaro necessario per tali Cause”.
Una volta individuato l'obiettivo da perseguire, occorreva far convergere il consenso, il più
generale possibile, dei 'Cittadini' sopra il metodo da applicarsi sulla divisione "à fuoco", che,
ufficialmente, "fu risoluta in Parlamento fin dal dì 29 Luglio 1792".
Fu necessario, perciò, arrivare al "30 9mbre 1794" perché, preso atto dei risultati raggiunti a
quel momento dalla 'Commissione' dei 'Deputati', che, per essere alquanto restia (succede
sempre nelle realtà piccole), impiegò più di due anni a portare a compimento il mandato
assegnatole, ne venisse formalizzato il dibattito ed al successivo "7 Xmbre" (non risulta mai
tenuto altro 'parlamento' in così breve lasso di tempo) per fissare concretamente e
definitivamente le condizioni da applicare.
Nella prima di quelle discussioni "si propone alle Sig.e loro qualm.te essendosi… fatta la
elez.ne a scielta de Deputati per la divisione, e cenzuazione del Demanio, e Luoghi
Boscosi di questa Unità, tutto per il vantaggio de Cittadini acciò ogn'uno si potesse
godere, coltivare, e migliorare la rispettiva quota, e porzione uguale fra tutti Cittadini
con pagarsi a beneficio di questa Unità quello verrà giudicato da periti in forma di canone. I
Sig.ri Deputati… sono nel voto dimandare tanto in effetto anco per discarico del di loro
impiego; perciò da noi di unita colli Sop.a Mag.ci Deputati si è stimato convocarne
parlamento publico per la mentuata cenzuazione, e divisione; e perche porta dell'interesse,
che non deve soffrire l'Università ma i Cittadini rispettivi, conviene perciò farsi sapere
alloro Sig.ri affine ne siano pienamente informato. Quindi dovendosi dar principio, si è
penzato, che anticipatamente si dassero carlini cinque a fuoco, stando poj al calcolo di
quello ricaderà da pagarsi nel tempo, che ognuno si prenderà la porzione uguale, e di
annualmente il canone, che si assegnerà; e perche vi sono molti Cittadini, che non hanno
pronto il danaro, si è stimato di pagarsi alla fina di Luglio con quello interesse caderà, è
quelli Cittadini benestanti dovrando pagarli subito e in mano del Sindaco, o di una
persona che si destinerà per le spese, che ocorrono,…
tutti gli espedienti necessarj per togliere da Limosani questa peste, e quindi diano il permesso di poter fare per
il conseguimento di tutto quello che abbiamo loro esposto. (…).
E fattasi la quale Proposta agl'infratti Cittadini vocali, alli quali si sono dati una cecerchia, ed un
granodindia, la cecerchia designante l'esclusivo, el granodindia l'inclusivo, dopo distribuiti in d.a guisa a
ciascuno de' sud.i Cittadini, si sono raccolti i voti, e si sono trovati settantasette granod.a, e cinque
cecerchie. Che perciò la risoluzione è inclusiva, per maggioranza di voti. E così si è concluso”.
10 Gennaio 1796. “Si propone alle Sig.e loro, qualmente non solamente dal Barone di S. Angelo si continua ad
inquietare questa Unità per la divisione della quarta parte di Cascapera, ma ancora fin dall’anno passato è stata
mossa lite dalla Unità della stessa Terra di S. Angelo contro di questa Unità, ed ave domandata, che apartinesse a
quel Publico di S. Angelo, non solo la quarta parte di Cascapera, ma anche altri tt.a 100 di territorio, è
specialmente, quelli che sono nello Spiracolo, e nella Foresta, asserendosi tenersi da questa Unità per pegno li
tt.a 100 sud.i per Ducati 160, e per che le sud.e liti sono interessanti si è perciò dalli Sig.r Avvocadi in Napoli, e
specialmente dal Sig.e Marchese di questa Terra, si è penzato, che fosse necessario una persona di Cognizione, e
Puntuale, per assistere alle sud.e liti, che tencano inquietata questa Unità. (…)”.
296
Tale cenzuazione, e divisione specialmente in questo luogo, è di sommo utile, vantaggio,
e quiete, poiche oggi i luoghi Boscosi sono di pochi Cittadini; colla divisione sarebbe di
tutti. I detti luoghi Boscosi come si trovano, non possono fruttare in ogni anno da fertile
in fertile ducati settanta col peso di mantenere due guardiani, a quali si pagano ducati
settanta due, oltre del notabile danno, che si reca, tagliandosi, incidendosi, e rovinandosi
senza rispetto da poche famiglie. Cenzuandosi, e dividendosi recarebbe ad ogni individuo
dell'utile, e ne sarebbe Patrone utile di quelle robe, e lo costuderebbe come popille
dell'occhi proprj, averebbe l'uso delle ghiande, e di legnare, benche dovesse migliorare la
rispettiva rata, con rilevare le bisceglie…; la Unità poi per detta censuazione almeno
introiterebbe ducati 350 in ogni anno, con sparambio delli ducati 72 che si dà oggi per la
custodia alli Guardiani.
Cosi ancora cenzuandosi i terreni demaniali, dove da fertile infertile renderebbero
docati mille, colla cenzuazione, e divisione darebbero da circa ducati 1800, la quale
rendita metterebbero insicuro la Reg.a Cassa e sarebbero i Cittadini lontano dalle Reg.e
Collette.
Per provedere al pascolo dell'animali si è penzato di lasciarsi tutto lo stirparo del Bosco
Fiorano, e porzione delle Cese, acciò sia di comodo alli rispettivi pastori.
Pendende la divisione, si penza togliere i Guardiani, li quali recano più danno, che utile
all'Unità; e si è riflettuto per la custodia mandarsi li stessi Cittadini à fuoco, trè ò quattro il
giorno, e meglio si risolverà.
Per evitare qualunque frode defferenza, e suspetto si deve la divisione far sequire per
contrada, e con bussola. Quindi sopra le dette proposte diano i loro pareri accioche si
possa eseguire con sollecitudine la distribuzione, e cenzuazione del demanio di questa
Unità, tanto de Luoghi Boscosi, che seminatorij, e che sii il fine della quiete, della pace de'
Cittadini, non meno che fruttuosa e di utile a questa Unità".
La discussione certamente dovette risultare assai coinvolgente; e fece subito emergere dubbi,
perplessità e non pochi problemi. Tanto che "congregatosi publico Parlamento" appena
sette giorni più tardi, "si propone alle Sig.e loro qualmente à Mag.ci deputati si sono fatti i
seguenti dubj accio loro Sig.ri risolvino, e sono:
1° I tre mentuati luoghi Bosco Fiorano, Cese una col Casale, sono stati ricomprati da
Cittadini assoluti per mezzo delle imposizioni sofferte per formare il pieno di ducati quattro
mila cinquecento cinquanta, oltre delle spese erogate per il corso di anni 30 per mantenere
la lite con l'utile Patrone: tale ricompra fu fatta nell'anno 1778. Dopo tale ricompra de
luoghi sud.i sono venuti ad abitare in questa Terra diversi Forastieri. I Cittadini anno
domandato, che essi venissero giustamente esclusi dalla partecipazione de Corpi
ricomprati, con il sangue de' mede.mi Cittadini.
2° Vi sono taluni Padri di famiglia, parti doppo la ricompra, e parti sono circa due anni ai
diloro figli anno assignati le porzioni, e vivano separati. Oggi vi è il dubio se si debbono
considerare nella divisione, ed i Padri viventi, ed i Figli.
3° Vi sono delle Vedove, che non formano alcun fuoco: Vi è nato il dubio se debbano
entrare nella partecipazione, o loro si debba ante divisionem assignare pochi alberi atto
alla Cessione, per il proprio di loro uso, senza peso.
4° Da diverse Famiglie dopo la morte de respettivi Padri, molto tempo dopo la ricompra,
che trovasi non sono dieci anni tra di essi si è fatta la divisione, e da certe altri sono due
anni, che si sono divise: Vi è il dubbio, se tutti debbano entrare nella eguale
partecipazione, specialmente ne luoghi Boscosi, poco importarebbe, se si considerarebbe
ne luoghi Demaniali Seminatorj.
297
5° Se in quelle Case dove vivono soli ecclesiastici, che non formono fuoghi, si debba fare
entrare nella divisione, e partecipazione, o pure assignarsi ante divisionem questo di
alberi per l'uso, senza peso.
6° Se l'utile P.ne, che ha fatto sempre, ed attualmente fa dimora nella Capitale deve
entrare nel ripartimento: essendovi il dubbio, che i Corpi cennati sono stati ricomprati
dai soli cittadini con il proprio sudore, e detti Corpi si tenevano dal medesimo in pegno.
7° Finalmente dovendosi devenire alla partizione de Luoghi mentuati ed elezzione delle
rispettive rate: Si domanda la maniera per il proprio regolamento, se ogn'un per bussola
deve eliggersi, e prendersi la rata, e facendosi la tavolata, ed ogn'una di esse forse costerà
di quaranta cosette, o siano porzioni, o più o meno. Si metteranno nella bussola tutti i
nomi di quelli che entrano nella partecipazione, quello che sarà il primo di una strada del
paese, ad uscire dalla bussola prenderà una delle tavolate, con tutti gli altri della Strada
uno dopo l'altro, sino a che sarà compiuta la tavolata, e così bussolandosi la detta volta, si
farà lo stesso fin tanto che saranno compiute le tavolate, e le strade, accio non ci fosse
menome inganno, e frode, si domanda per ciò il regolamento.
Esposti i sud.i dubij, e letto uno per uno a Cittadini congregati si è risoluto nemine
discrepante, che si sciogliessero dalla Reg.a Cam.a, e per essa dal Sig.e Comis.o, come
Illuminato per potersi subito eseguire quanto si risolverà per la sollecita Divisione, e così si
è conchiuso, e determinato"443.
Sciolti i 'dubbi' con la comunicazione del "18 Aprile 1795" che venne " dalla Reg.a Cam.a, e
per essa dal Sig.e Comis.o, come Illuminato", la Commissione impiegò circa un altro anno di
lavoro, per portarlo completamente a termine; e solo dopo "il ripartimento fù perfezionato, e
fù pur anche fissato il canone di cadauno de Cittadini".
Tutti gli atti e la 'relazione' finale dei "Mag.ci Deputati", così come era solito farsi, furono
sottoposti "per l'approvazione de Cittadini in parlamento; cosi una tale approvazione seguì
a di 26 Luglio" 1796.
Ne era trascorso di tempo; ma era stato raggiunto, pur tra non pochi intoppi e con qualche
fatica, un risultato 'storico', concreto, di grandissima importanza.
Bisognava solo formalizzarlo. Cosa che si fece il "trent'uno decembre 17novantasei in
questa Terra di Limosano in Provincia di Contado di molise". E con un atto, stracolmo di
genuina passione civica, del quale, perché rappresenta il ‘coro’ dei suoi partecipanti come
formato da degli autentici giganti, se ne trascrivono i nomi, i patti e le condizioni.
Si costituirono "li Mag.ci Domenico di Nicola d'Amico, Rotilio Fracassi, Francesco
Puglia, e Saverio di Antonio del Gobbo attuali Amm.ri dell'Unità di questa Terra di
Limosano,… da una parte;
e l'infratti Cittadini Capifuochi di questa anzid.ta Terra di Limosano Michelangelo
Luciano, Gennaro Covatta, Cosmo di donato Ricciuto, M.ro Nicola Gravina, Antonio
d'Addario, M.ro Giuseppe Jammarino, M.o domenico Gravina, Pietro di Gio:
Marcantonio, Francesco di Gio: Minicucci, Gio:Batta Donatelli, Pardo Corvinelli, Giorgio
Marinelli, Francesco di Gius.e Giancola, Giorgio di Antonio Marcantonio, Francesco
Marchetta, Giacomo d'Addario, Francesco Ramolo, Carlo Greco, Francesco di Cosmo
Gravina, Crescenzo Valentini, Domenico Minicucci, Pardo Greco, Saverio e Gennaro
d'Addario, Giosafatto Fracassi, Antonio di Venere, Costantino Marcantonio, Saverio
Fiorucci, Carmine Jamonaco, M.o Vincenzo Pasciarella, Francesco di Nicola Greco,
Libero Ricapito, Francesco d'Orza, Nicola Cipriano, Giorgio Matteo, Adamo d'Eliseo,
M.ro Domenico Covatta, Costantino Ricciuto, Eliseo Giancola, Saverio Minotta, Eliggio
Donatelli, Giovanni Greco, Michelangelo Romano, Michelangelo di Gioacchino Fiorucci,
Cosmo di Lib.o del Gobbo, Domenico Gabriele, Vincenzo di michele Ricciuto, Saverio
443
ASCL, Libro de’ Publici Parlamenti… cit.
298
Mariglia, Domenico di Iorio, Francesco di donato Marcantonio, Michelangelo di Nicola
Romano, Libero Frosolone, Sebastiano di Gregorio, M.o Vincenzo Bussi, Vincenzo di
Cosmo Luciano, Francescant.o Gabriele, Domenico di Costanzo Russo, Nicola di
Gregorio, Simone del Gobbo, Nicola di Paola, Vincenzo Covatta, Domenico Fiorilli, M.o
Cosmo Ant.o Bussi, Pietro Cipriano, Domenico Bonadie, Vincenzo Romano, Mattia
Colavecchio per nome di suo marito Gius.e Zillo assente, Francesco Angelilli, Donato
Minicucci, Modestino Minicucci tanto per se quanto nel nome e parte di suo nipote Pupillo
Pasquale Minicucci, Basso Falciglia tanto per se quanto per parte di suo nipote Pupillo
Domenico d'Orza, Pietro di Pasquo Ricciuto, M.o Gius.e Pasciarella, Giacomo Paradiso,
Santillo Ricciuto, Angelo Granitto, Bartolomeo Piciucco, Francesco di Tata, Nicola di
Costantino d'Amico, Michelangelo di donato Giancola, Bernardo Larenza, Mag.co Iggino
Giancola, la vedova Costanza Bagnoli per suo figlio Pupillo Nicola Covatta, la vedova
Domenica Fratre per suo figlio Pupillo Luiggi Longo, Gio:Berardino Romano,
Michelangelo di Venere, Saverio d'Amico, Domenico Marchetta, Cosmo di Nicola
d'Amico, Francesco Fattorino, M.o Carmine e Nicolant.o Bagnoli, Saverio di Cosmo
Covatta, Giorgio di Donato Marcantonio, Vincenzo di donato Marcantonio, la vedova
Mariantonia Ricciuto per suo figlio Pupillo Domenicangelo Perrocco, Pasquale Fiorucci,
Domenica Germano per suo marito Domenico Fiorucci assente, Nicola di Gio:Batta
Amoroso, Mag.co Francesco Fracassi, Francesco di Gio: Giancola, Gius.e e Antonio di
Andrea Venere, Donato Fiorucci, Crescenzo Donatelli, Pasquale Jamonaco, Mag.co
Federico de Sanctis, Francesco di Nicola di Biase d'Amico, Vincenzo di Venere, M.o
Libero Lucito, Antonio Fracassi, Domenico di Donato Covatta, Saverio Bonadie, Giorgio
Bonadie, Domenico Vitullo, Michele d'Amico, Domenico di Cosmo Luciano, Francesco
Jamonaco, Alesio d'Amico, Cosmo di Michele del Gobbo, Eggidio Piciucco, Michele
d'Aloise Busso, Francesco di Saverio Minicucci, Francesco di Michele Marcantonio,
Domenico Ricapito, Tomasino Minicucci, Nicodemo del Gobbo, Antonio Romano,
Michelangelo Amoroso, Costantino e Fran.co Amoroso, Donato Ruta, Lionardo
Marcantonio, Cosmo Jamonaco, Nicola Donatelli, Vincenzo di Michele Minicucci,
Nicolantonio Gravina, Andrea Romano, Andrea di Cosmo Ricciuto, Carmine e Gius.e
Covatta, Paolo Covatta, M.o Nicolantonio Pasciarella, Carmine Gabriele, Saverio
Marcantonio, Diego di Venere, Vincenzo d'Orza, Costanzo Russo, Giorgio Perrocco,
Michele Fracassi, Luiggi Piciucco, Domenico di Michele Piciucco, Domenico del Monaco,
Saverio di Antonio del Gobbo, Donato Luciano, Michele di Gregorio, Pompilio Fracassi,
Saverio Ramolo, Antonio di Clemente Piciucco, Gius.e:Antonio Ricciuto, M.o Raimondo
di Gregorio, Luiggi di Venere, Antonio di Angelo Jamonaco, Vincenzo d'Ambrosio,
Francesco di donato Greco, Martino d'Addario, M.o Gius.e Minicucci, Andrea Donatelli,
Francesco Sav.rio Bonadie, Nicola di Eggidio Longo, Berardino Fratijanni per se e per
suo nipote Pupillo Antonio di Baldassarre Gravina, Gaetano Russo, e M.ro Michelangelo
Pasciarella, ed erede di Donato Germano, Pietro di Fran.co Ricciuto,… dall'altra parte.
Le summentovate Parti… hanno spontaneamente asserito… come… già si elessero in
publico parlamento gli Deputati, che furono gli Preti D. Amadeo Corvinelli, D. Francesco
d’Addario, D.r Fisico D. Daniele Fracassi, Mag.co Vitale Larenza, Pietro di Pasquo
Ricciuto, e