polizia e cittadini nella resistenza i martiri dimenticati

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polizia e cittadini nella resistenza i martiri dimenticati
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I edizione
© 2014 - Vincenzo MARANGIONE, Tarcisio TRANI
COPYRIGHT BY LUNA EDITORE
Via Serra,7 - 19020 Rio di Sesta Godano (SP)
Telefono: 3405429289
Ideazione: Vincenzo MARANGIONE - Tarcisio TRANI
Impaginazione e grafica: Vincenzo MARANGIONE
Coordinamento Editoriale: Paolo DE NEVI
Copertina: Andrea SPAGNOLO
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Vincenzo Marangione
Tarcisio Trani
POLIZIA E CITTADINI
NELLA RESISTENZA
I MARTIRI DIMENTICATI
Bello è il sacrificio che si compie
nella luce fra un mormorio di consenso
e un incoraggiamento,
ma più bello è il sacrificio
che si compie nel segreto sacrario
dell’anima nostra martire d’un dovere
(Anonimo)
LUNA EDITORE
Società Editrice Ligure Apuana
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A Carlotta e Filippo
I vostri sogni camminino sui passi della Libertà.
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PRESENTAZIONE
Non sono uno storico, ma un letterato nativo della Spezia oltre mezzo secolo fa, quando le lancette
della storia per molti dei protagonisti di questo libro si erano già fermate. Devo anche premettere,
doverosamente, che il mio incontro con il libro e con i suoi autori, i valorosi Trani e Marangione, è
stato del tutto casuale, favorito da un ex-allievo del corso serale, l’amico Lucio Lecci, il quale mi ha
per primo parlato di quest’opera richiedendomi un parere e magari qualche consiglio per rivedere la
forma finale dell’elaborato. Man mano che procedevo nella lettura, però, trovavo ben poco da
correggere, parendomi simpatico anche il tono a volte un pò burocratico, da verbale, messo in
campo dai due autori poliziotti: simpatico perché non freddo e distaccato come appunto nei verbali,
ma sostenuto sempre da una evidente e contagiosa passione che è un pò il filo conduttore di tutto
questo importante e non lieve lavoro: la passione per la verità che anima un lavoro d’indagine, di
ricostruzione e di commemorazione di eventi che a poco a poco emergono dal passato che li aveva
ormai ricoperti con la polvere tenace dell’oblio, ma un oblio un pò strano, stavolta, e come
innaturale.
Ho così imparato molte cose da questo libro, o meglio persone, luoghi fatti e personaggi più o meno
noti prendevano un aspetto differente rispetto a quelli sino allora conosciuti: la lapide vicino a casa
mia, alla Chiappa, ora mi parlava più chiaramente della barbarie perpetrata nei confronti di un
gruppo di giovani inermi per rappresaglia, luoghi cari alla mia infanzia e adolescenza, in cui un
tempo mi aggiravo ignaro e giocoso, come Forte Macè e soprattutto Forte Bastia, si tingevano del
tragico contenuto dei fatti che vi si erano consumati…
Persino la casa presa in affitto dai miei genitori, la casa in cui mia madre Ines mi ha messo al
mondo, in via delle Cave a Fabiano, si rivelava nel libro come appartenente a uno dei peggiori
protagonisti delle vicende qui narrate, e mio padre Finau mi ha allora ricordato che su quel tale
girava una voce spaventosa, che dà bene l’idea del personaggio: pare infatti che avesse l’abitudine
di girare in carrozza e di terrorizzare i passanti sui marciapiedi colpendoli con un lungo scudiscio…
ecco che allora in quei luoghi per me innocenti si raggrumava il sangue doloroso della storia, ecco
che quella storia, che per sommi capi conoscevo, mi veniva più vicino per parlarmi delle cose di
sempre: dell’ingiustizia e dell’arroganza dominanti che a volte diventano crudeltà senza freno, e
dell’orgoglioso coraggio di pochi uomini che hanno la forza di opporsi, dapprima forse solo per una
questione di principi e di coscienza, ma poi mettendo in gioco tutto, fino alla posta finale, fino a
mettere in gioco anche la propria vita.
Non è giusto, allora, che questi uomini vengano dimenticati, così come non è giusto che ad altri
uomini che magari furono fra i biechi delatori che inviarono molti innocenti ai campi di
concentramento siano stati riservati, dopo il necessario ma frettoloso cambio di regime del 1945,
onori e ruoli importanti nell’amministrazione dello Stato e, come nel caso ricordato dagli autori del
presente volume, sia stato addirittura dedicato un parco dove magari giocano oggi bambini, ignari
anch’essi del portato tragico di quello che per loro è solo un nome.
Quali parchi e quali medaglie, invece, per Lodovico Vigilante e Nicola Amodio, quali onori per
Annibale Tonelli, Alfonso Filardi, Biagio Sullo, Giuseppe Cavallo, Domenico Mazzola e Francesco
Caruso? Per loro, allora, ci fu solo un campo di concentramento che divenne la loro tomba, e ora li
avvolge un oblio un pò strano e innaturale, dicevo, perché sembra quasi, se non proprio forzato,
almeno indotto: un oblio che oggi si accompagna ad una progressiva diluizione delle verità storiche
che è necessario fermare, se non vogliamo tornare a rivivere molto da vicino momenti terribili come
quelli narrati in questo libro.
Ecco perché Vigilante e Amodio e tutti gli altri servitori dello stato che ebbero la forza e il coraggio
di vivere e agire controcorrente devono tornare ad essere, nelle nostre coscienze, quello che sono
stati per se stessi e per la società in cui si trovarono a vivere: non solo eroi, o “fulgidi esempi”,
come si diceva un tempo, cui attribuire tardive medaglie o intitolare piazze e vie, ma soprattutto
uomini veri a cui si dovrebbero ispirare i nostri comportamenti collettivi e la nostra stessa maniera
di pensare.
Prof. Antonio Zollino, docente presso l’Università Cattolica di Milano
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PREFAZIONE
Alla fine, dopo quattro lunghi anni, il nostro lavoro è giunto al termine.
Scrivere un libro come questo non è stato semplice, soprattutto per chi, come noi, non è né storico
né letterato, ma semplice cittadino e Poliziotto innamorato del proprio lavoro.
La ricerca sulle storie individuali dei Caduti della Polizia italiana dal 1852 a oggi, condotta da un
gruppo di appassionati appartenenti alla Polizia di Stato, aveva infatti portato alla luce anche alcuni
uomini della Pubblica Sicurezza della Spezia che si erano resi protagonisti nella lotta al
nazifascismo.
A indurci a scrivere questo libro è stata la convinzione che era finalmente arrivato il momento di far
uscire dall’oblio i nomi di alcuni funzionari e agenti della P.S. che in un periodo drammatico della
storia italiana, quello del fascismo, non esitarono a sacrificare la propria libertà e la propria vita per
dare al nostro Paese un nuovo respiro: quello della Libertà. Sono il commissario capo Nicola
Amodio, il commissario capo Lodovico Vigilante, la guardia Annibale Tonelli, la guardia
Domenico Tosetti, il brigadiere Alfonso Filardi, il vice brigadiere Biagio Sullo, la guardia Giuseppe
Cavallo, le guardie ausiliarie Domenico Mazzola e Francesco Caruso.
Questi nove eroi furono deportati, alcuni in Austria, nel campo di Mauthausen, altri presso il campo
di lavoro di Bassano del Grappa. Di altri ancora se ne sono perse le tracce. Solo Domenico Tosetti
riuscì a sopravvivere e tornare presso i propri cari. Gli altri otto divennero dei martiri, morti in
conseguenza degli stenti e dei maltrattamenti subiti.
Ci furono poi altri agenti che, per le loro idee politiche, furono arrestati e consegnati ai tedeschi che
li spedirono, anch’essi, nel campo di Bassano del Grappa: Alfio Nicotra, Lino Corvi e Bartolomeo
Ceraulo. Questi ultimi, per fortuna, riuscirono a tornare.
Né va dimenticata, in questa vicenda di contrapposizione al fascismo, l’opera di un altro valoroso
funzionario in servizio presso l’Ufficio Politico della Questura: Lorenzo Lancellotti.
Questi eroi e questi martiri, dopo la Liberazione, non furono commemorati come meritavano. Le
loro vicende rimasero ingiustamente dimenticate negli archivi polverosi di molti uffici pubblici di
differenti istituzioni, come se appartenessero a un passato scomodo e fastidioso di cui non tenere
memoria.
Per questo abbiamo voluto scrivere questo libro, la cui stesura ha richiesto un lungo e faticoso - a
tratti snervante - lavoro di ricerca tra vecchi fascicoli, giornali, appunti, storie e racconti di fatti
conosciuti e inediti. Ma anche ore e ore passate al telefono e al computer, per rintracciare testimoni
ancora viventi, discendenti a cui chiedere foto e ricordi dei loro cari, esperti che potessero
confermare o smentire certe nostre intuizioni o conclusioni.
No, non è stato facile scriverlo, questo libro, né comodo. Non è stato semplice scoprire, accertare,
documentare fatti in un periodo così difficile e controverso come questo, soprattutto per il rischio poi puntualmente avveratosi - di venire a conoscenza di verità e di risvolti molto spesso dolorosi e
laceranti.
E, tuttavia, l’angoscia, la preoccupazione e la paura, per quanto comprensibili, sono passate in
secondo piano quando abbiamo iniziato a raccogliere dati e testimonianze. È con questo spirito che
ci siamo mossi, andando in giro per l’Italia e visitando un numero infinito di biblioteche, anagrafi
comunali, archivi di questure e di prefetture, centri di documentazione militari (all’Accademia
Militare della Nunziatella, a Roma Foggia, Bari e in altre città), fino all’Ufficio Storico della Polizia
di Stato.
Ma non ci siamo limitati a questo. Abbiamo anche ricostruito fatti e vicende, biografie e azioni
attraverso le testimonianze toccanti, intrise di dolore e di sofferenza, di tanti familiari che non
hanno più potuto riabbracciare i loro cari, arrestati, torturati e deportati nei campi di sterminio.
Questi funzionari e agenti di Pubblica Sicurezza, sotto la divisa, avvertirono il dovere morale di
compiere scelte etiche coraggiose, restando fedeli alla loro coscienza di uomini delle istituzioni...
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Battisti gli chiese chi fossero i suoi complici. Vigilante gli rispose:
«Tutti erano miei complici, dal Prefetto all'ultimo usciere della questura».
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APPARTENENTI ALLA P.S. DELLA SPEZIA
PROTAGONISTI DELLA LOTTA AL NAZIFASCISMO
Commissario Nicola Amodio (deportato a Mauthausen, †);
commissario Lodovico Vigilante (deportato a Mauthausen, †);
guardia Annibale Tonelli (deportato a Mauthausen, †);
guardia Domenico Tosetti (deportato a Mauthausen, unico sopravvissuto);
brigadiere ausiliare Alfonso Filardi (disperso);
vice brigadiere Biagio Sullo (disperso);
guardia scelta Giuseppe Cavallo (disperso);
guardia ausiliaria Domenico Mazzola (disperso);
guardia ausiliaria Francesco Caruso (disperso).
Agente Alfio Nicotra (internato in campo di lavoro di Bassano del Grappa, sopravvissuto);
agente Lino Corvi (internato in campo di lavoro di Bassano del Grappa, sopravvissuto);
agente Bartolomeo Ceraulo (internato in campo di lavoro di Bassano del Grappa, sopravvissuto).
Vice commissario Eraldo Curti (notevole attività antifascista).
Lorenzo Lancellotti, funzionario dell’Ufficio Politico della Questura (notevole attività antifascista).
Oltre ai sopra elencati appartenenti alla Pubblica Sicurezza della Spezia, si è deciso di considerare
anche l’ispettore generale di P.S. Vincenzo Trani, protagonista delle indagini sull’episodio noto
come “I fatti di Sarzana del 21 luglio 1921” e considerato uno dei pochi casi di resistenza armata
all’ascesa del fascismo in Italia.
Per motivi cronologici, la vicenda di Vincenzo Trani occupa il primo capitolo del libro.
Da sinistra: Lodovico Vigilante, Nicola Amodio, Annibale Tonelli, Biagio Sullo e Domenico Tosetti
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Sinossi dei personaggi e degli avvenimenti
Nicola Amodio (cenni biografici precedenti al 1943)
Nicola Amodio, nasce a Pizzo Calabro, in provincia di Reggio Calabria,
il 26 novembre 1898. Appassionato agli studi, consegue la maturità
liceale. La sua corsa verso l'Università subisce una brusca frenata,
perché è chiamato alle armi per il servizio militare. Arruolato in fanteria
con il grado di Tenente, come Ufficiale di complemento, viene mandato
sul fronte austriaco e francese negli ultimi anni della 1ª guerra
mondiale: 1917-1918. Terminato il conflitto, rientra nel reparto di
appartenenza, di stanza a Roma, dove viene congedato nel 1920.
Il suo percorso nella fanteria con il grado di tenente, gli vale direttamente
il passaggio nel ruolo dei sottufficiali con il grado di maresciallo di 3ˆ
classe nel Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza ed
inviato (1921) a prestare servizio presso la Delegazione “Questura”
della Spezia, come sottufficiale del Corpo degli Agenti Investigativi.
La preparazione, la cultura, la serietà, la precisione, le capacità di
comando e di gestione del personale del maresciallo Amodio lo fanno risaltare agli occhi del
Prefetto e del Questore, che lo propongono di lì a qualche anno al Ministero dell'Interno perché
possa partecipare al concorso per Allievi Ufficiali di P.S.. Nel 1924 viene bandito il concorso ed il
maresciallo Amodio viene inviato a Roma presso la Scuola Tecnica di Polizia, dove sostiene gli
esami per essere nominato Ufficiale di P. S. Con decorrenza 15 settembre 1926 Amodio viene
nominato Comandante di 3° classe nel Corpo degli Agenti di P.S. risultando 6° in graduatoria. Dal 1
febbraio 1928 viene promosso vice Commissario aggiunto, secondo l’ordine di anzianità in cui si
trovava nel ruolo del soppresso Corpo degli Ufficiali degli Agenti di P.S. Successivi provvedimenti
vedono promossi al grado superiore quasi tutti i Vice Commissari Aggiunti, provenienti dagli
ufficiali del Corpo degli Agenti, compresi molti di quelli che conseguirono gli esami per
Comandante ed inseriti in graduatoria dopo la sua posizione.
Il Questore Argentieri conferisce al vice commissario Amodio l'incarico di responsabile della
Squadra Mobile. In questo periodo, Amodio si distingue, insieme al tenente Olinto Chiaffarella dei
RR. CC., nell'individuare ed arrestare i responsabili della c. d. “strage di Biassa”, frazione di Spezia,
dove tre banditi hanno sparato su di un gruppo di contadini per rancori personali.
Amodio partecipa attivamente alle indagini per l'arresto di Cesare Serviatti, squartatore di donne.
Dopo qualche anno, il 15 luglio 1941, Amodio viene premiato per la sagacia e lo zelo dimostrato
nelle difficili indagini, che gli hanno permesso di identificare, trarre in arresto e far condannare il
minore Vizzardelli William Giorgio, responsabile di una serie di gravi delitti.
Le capacità di comando e di gestione del personale gli valgono, da parte della dirigenza, la proposta
al Prefetto perché venga promosso al grado superiore.
Gli viene intanto comunicato che risulta vincitore del concorso per Ufficiali di P.S. con Regio
Decreto dell'11.12.1927 nr. 2380, ed è nominato Commissario aggiunto. Con tali funzioni, Amodio
acquisisce anche quella di responsabile dell’Ufficio di Gabinetto e della gestione dell'Ufficio
Automezzi.
L’anno precedente, il 30 novembre 1926, Amodio si è sposato, a Pizzo Calabro con la signorina
Ester Pacenza. Il 31 marzo 1928 diventa padre di un bimbo a cui viene dato il suo stesso nome,
Nicola. Nel 1931 nasce Giuseppina e, nel 1935, Alessandro.
Il servizio svolto sul territorio della città della Spezia dal commissario Amodio non passa
inosservato e dimostra le sua capacità nella gestione delle risorse della Polizia, mentre varie
indagini di polizia giudiziaria sono coronate da successo.
Amodio dimostra grande benevolenza nei confronti del personale dipendente e, nello stesso tempo,
le sue doti umane conquistano la stima della popolazione. Tutto questo induce il Questore ad inviare
un elogio del funzionario al Ministero dell'Interno: Amodio viene gratificato col conferimento della
nomina, nel 1935, a Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia.
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Lodovico Vigilante (cenni biografici precedenti al 1943)
Il commissario Lodovico Vigilante nasce a Verona il 13 giugno 1882. Dopo aver conseguito la
laurea in giurisprudenza, il 21 aprile 1909 entra a far parte del Corpo delle Guardie di Città e,
essendo risultato tra i primi nella graduatoria del concorso, viene nominato delegato di P.S.
Nel 1910 sposa la signora Silvia Luzzi: dalla loro unione, il 13 giugno 1911, nasce un figlio,
chiamato Giuseppe.
Sempre nel 1910, superato un altro esame, Vigilante è promosso a
vice commissario di P. S. In seguito ottiene tre promozioni di
classe, per merito, e nel 1923 è promosso a Commissario aggiunto,
superando di quaranta posti nella graduatoria gli altri pari grado.
Vigilante è un ottimo funzionario, di grandi capacità, e gode di
notevole considerazione a livello ministeriale ma, nel corso della
sua carriera, va incontro a giudizi fortemente contradditori sul suo
operato: vediamo così, in una poco decifrabile alternanza,
riconoscimenti e attestati contrapposti a provvedimenti di sapore
punitivo.
Dal 1911 al 1914 Vigilante è trasferito alla Questura di Livorno,
dove gli viene assegnato l’incarico di dirigente della Squadra
Mobile.
In questa sede ottiene brillanti risultati contro la malavita,
scontrandosi però durante la sua attività con due direttori di
quotidiani locali, “Il Corriere di Livorno” e “La Verità”.
Dopo questi avvenimenti, forse per motivi di opportunità, Vigilante viene trasferito in Campania.
In questa Regione dirige alcuni uffici di polizia in varie località tra cui Giuliano, Aversa, Pianura e
Pozzuoli, conseguendo numerosi successi contro la criminalità, tanto da meritare dai superiori
attestati di stima: risulta idoneo al grado di commissario ed è promosso a questo grado, il 1° giugno
1925.
Durante questo periodo della sua carriera si verifica anche un episodio a tutt’oggi oscuro: viene
“allontanato da Aversa per Speciali motivi”, del tutto sconosciuti, con nota ministeriale del 23
ottobre 1921, n. 2570.
Nel 1923, al termine di una missione nel territorio di Pianura, dove imperversava la criminalità, è
gratificato con un encomio dal commissario prefettizio che regge il comune di Pianura.
Questa appare come la prima occasione in cui si evidenziano una discordanza tra l’attività di
contrasto alla criminalità, sicuramente espletata da Vigilante in modo lodevole, ed una sua difficoltà
ad adeguarsi di volta in volta alle particolari situazioni della politica e delle amministrazioni dei vari
comuni dove opera.
Dopo il trasferito a Napoli, avvenuto nei primi giorni del dicembre 1923, a Vigilante viene
assegnata la direzione dell’importante commissariato di Vasto-Arenaccia: si impegna nella lotta
contro la criminalità di quel luogo.
Il giorno 13 dicembre 1929, mentre è ancora a capo del Commissariato di Vasto-Arenaccia,
Vigilante riceve l’ordine di recarsi in missione nell’isola di Lipari, per assumere la direzione della
Colonia dei Confinati di Polizia per motivi politici. Giunto a Lipari, Vigilante si accorge
immediatamente dello stato di abbandono e di disordine nel quale versa l’Ufficio di P. S., che ha
assunto importanza in conseguenza dei numerosi confinati politici presenti sull’isola. Così, in poco
più di un mese, riesce a riorganizzare tutti i servizi e ripristina il prestigio che l’Ufficio aveva
perduto. La sua opera viene premiata con un attestato di compiacimento da parte del vice Questore
Cav. S. Polito, inviato nell'isola dal Ministero, con funzione d’Ispettore Generale.
Ma a questo punto, Vigilante è raggiunto da un provvedimento inaspettato e che lui considera
punitivo: il 18 febbraio 1930 viene convocato dal Questore di Messina, dal quale dipende l’isola di
Lipari, che gli comunica la disposizione del Ministero per il suo trasferimento dalla Questura di
Napoli, dove era ancora in forza, alla Questura di Avellino, dove dovrà prendere servizio il 28
febbraio. I motivi di questo trasferimento sono difficili da decifrare.
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Merita, il 27 ottobre 1930, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Vigilante dalla fine di febbraio 1930 ha preso servizio ad Avellino e, nel settembre dello stesso
anno, è inviato alla questura di Potenza.
In Basilicata, Vigilante ci fornisce altre prove della sua rettitudine: si prodiga per il mantenimento
della legalità, senza apparire sottomesso ai capi locali del regime fascista, evita atteggiamenti
spavaldi e violenti nei confronti dei dimostranti, scongiura incidenti dolorosi.
Nel dicembre 1931 viene ancora una volta trasferito d’ufficio in un’altra sede: la Questura di
Sassari, dove arriva nel gennaio 1932 .
Nel mese di luglio 1932, per Vigilante inizia un doloroso percorso di sofferenze familiari: la
moglie, Silvia Luzzi, colpita da inesorabile infermità va sempre più progredendo e, nonostante le
numerose cure, muore il 6 aprile 1933.
Durante la malattia, durata nove lunghi mesi, Vigilante deve sostenere notevoli spese per assistere e
curare la propria compagna. In una lettera inviata al Ministero chiede di poter avere una somma di
denaro per far fronte alle ingenti spese per affrontare i servizi cimiteriali e per sostenere le spese del
proprio figlio Giuseppe presso l’Università.
Nonostante queste tristi vicissitudini famigliari, Vigilante riceve dal Questore di Sassari Ferrari,
ottimi giudizi sul suo operato.
Il 2 aprile 1937, Vigilante presenta una precisa richiesta di essere trasferito “in continente” come si
usa dire in Sardegna, cioè nell’Italia peninsulare. È destinato a La Spezia, dove il Questore gli
assegna la direzione dell’Ufficio di P. S. di Migliarina - Scalo Marittimo, posto di Polizia molto
importante e di notevole prestigio anche perché ha competenza su tutta l'area portuale. In questa
incarico, grazie al suo modo di rapportarsi con la popolazione, sempre pronto a dare un consiglio o
un aiuto a chi ne ha bisogno, Vigilante acquista ben presto la stima e la simpatia della gente del
rione.
Vigilante è apprezzato anche dai superiori: il Questore Adolfo Carusi, nelle note caratteristiche
dell’anno 1938, del 1939 e del 1940, conferma i precedenti giudizi definendolo funzionario
volenteroso; lo dichiara rispettoso e disciplinato, dotato di capacità intellettuali, cultura generale e
amministrativa tale da tale essere promosso al grado superiore.
Nel 1942 Vigilante viene incaricato di effettuare un corso istruttivo di polizia giudiziaria ai Vigili
del Fuoco.
La “rete” democratica organizzata dai commissari Amodio e Vigilante
Del periodo che intercorre tra il 1937, anno dell’arrivo a La Spezia di Lodovico Vigilante, e il
fatidico 8 settembre 1943 possiamo dire assai poco di documentato riguardo all’attività svolta dai
due commissari.
Si possono ipotizzare, sulla base delle scelte successive, alcuni loro orientamenti e scelte operative.
Si è già detto della ritrosia da parte di molti poliziotti ad applicare le leggi razziali, promulgate nel
1938, nonché della maturazione di un sentimento di opposizione al fascismo.
Con i tragici fatti del settembre 1943, in particolare con la proclamazione della Repubblica Sociale
Italiana il 23 settembre, si presume, da alcune letture di verbali e relazioni sul loro conto, che i
Commissari Amodio e Vigilante, promuovano ed organizzino una squadra di poliziotti all'interno
della Questura spezzina e dei vari uffici periferici di P.S., allo scopo di aiutare i cittadini
perseguitati dal regime fascista; persone che, solo perché di origine ebrea o oppositori al fascismo,
sono poste sotto controllo attraverso uno stillicidio di continue minacce e di persecuzioni che
sfoceranno di lì a poco in arresti, torture e deportazioni.
Giorno dopo giorno, concorrono a tessere una tela senza atti clamorosi, ma con quell’azione
silenziosa e discreta dettata dalla propria coscienza e da un autentico senso del dovere nei confronti
della dignità umana e delle istituzioni.
È verosimile ipotizzare che l’opera dei due funzionari, non sarebbe andata a buon fine senza la
“complicità” di altri dipendenti della Questura, loro fidati collaboratori ed antifascisti.
Si crea tra il personale della Questura una sorta di solidarietà umana, consapevole della grave
situazione in cui versa buona parte della popolazione spezzina.
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Il servizio svolto dai due commissari, Amodio e Vigilante, per lo più in mezzo alla gente più
semplice, ottiene stima e fiducia per la loro capacità professionale che appare unita ad una grande
umanità. Tutto ciò non sfugge a chi, per dovere e per servizio cristiano, ha nel proprio operato la
sua missione quotidiana. Non occorre molto perché proprio col clero si instauri un rapporto di
solidale collaborazione. I parroci della provincia spezzina diventeranno il trait-d'union tra il
sentimento antifascista presente nella P. S. e la popolazione stanca del fascismo di La Spezia.
L’opera di collaborazione con il C.L.N. del dottor Vigilante è confermata da varie testimonianze: il
parroco don Mario Scarpato (componente con alcuni giovani parrocchiani, del C.L.N.) la racconta a
Giulio Negroni, autore del libro “Il borgo di Fossamastra”.
A conferma l’opera del dottor Vigilante il racconto fornito dall'ing. Adriano Guglielmi, allora
membro dell’organizzazione “Franchi” e dell’organizzazione “Stella” con il nome di battaglia
“Pietro Sirte I° ”, che all’epoca dei fatti aveva 23 anni ed era studente in Ingegneria, compagno di
cella dei sacerdoti arrestati.
La lettura del diario di Don Mario Devoto su quanto scritto da Padre Pio Rosso e da Don Bruno
Duchini, ci offre la visione del tempo e degli accadimenti che vedono coinvolti tanti sacerdoti,
uomini delle istituzioni. Don Scarpato e Don Mori svolgevano azione di protezione in difesa di
Ebrei spezzini.
Il Commissario di P.S. del Canaletto Vigilante conduceva una delicata
opera cospirativa di avvertimenti e protezione nei confronti di coloro
che tenevano in mano le fila delle varie forme di resistenza, e in
particolare dei membri del CLN a cui Don Scarpato apparteneva.
(Sacerdoti cattolici nella resistenza pag. 14.. ).”
Un’attività molto importante del commissari Vigilante e Amodio
consiste nel fornire lasciapassare e documenti legali con false identità
per cercare di aiutare cittadini politicamente e socialmente in difficoltà
e farli espatriare verso la Svizzera. Una probabile conferma del
rischioso lavoro che i due funzionari svolgono insieme, è tratta da un
racconto di Ferruccio Battolini detto il “Poeta” partigiano, nel libro,
“Migliarina ricorda”.
Per quanto riguardo l’aiuto fornito agli Ebrei, riportiamo, in sintesi,
l’incontro di Aharon Adolfo Croccolo, oggi responsabile della
Don Scarpato
Comunità à Ebraica della Spezia, col commissario Vigilante. L’intera
vicenda, narrata, il 17 luglio 2012, in prima persona dallo stesso Aharon Adolfo Croccolo, unico
testimone vivente che ha incontrato il dottor Vigilante.
Oltre al Commissario Nicola Amodio e Lodovico Vigilante, altri appartenenti alla Questura della
Spezia mettono in atto un comportamento costante di non collaborazione con i nazifascisti, quando
ritardano o trascurano l’esecuzione di arresti oppure avvertono le persone di cui era segnalata come
imminente la cattura e la deportazione.
Sono il Vice Brigadiere Biagio Sullo, la Guardie Annibale Tonelli e la guardia Ausiliaria Domenico
Tosetti.
In seguito, nell’attività antifascista, si aggiungono il
Brigadiere Ausiliario Vito Alfonso Filardi, la guardia
scelta
Giuseppe Cavallo, le Guardie Ausiliarie
Domenico Mazzola, Francesco Caruso, Alfio Nicotra,
Lino Corvi e Bartolomeo Ceraulo.
Con loro collabora anche l'impiegato di P. S. Ubaldo
Maineri.
Alcune riunioni riguardanti le persone da aiutare
avvenivano nei locali della sacrestia della chiesa di San
Giovanni Battista a Migliarina. Lo racconta Alberto Tonelli, nipote della Guardia Annibale, che
vide il dottor Vigilante. La testimonianza di Alberto Tonelli è suffragata anche da quanto narra
Giancarlo Elia Valori nel suo libro “Un albero per la vita - Rizzoli Editore Milano 2001” .
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Il questore ausiliario Emilio Battisti e la “banda Gallo”
Il dottor Vigilante interviene in favore di alcuni arrestati contro i quali si era scatenata una
particolare e gratuita violenza: decide di inviare una lettera personale a Mussolini segnalandogli gli
inutili, eccessivi soprusi dei suoi miliziani, affinché volesse indurli a più ragionevole e umano
trattamento verso i prigionieri. La sua iniziativa insospettisce coloro che leggono la missiva, un
documento del tutto «anomalo» rispetto al comportamento di tanti altri funzionari di polizia
apertamente collaboranti. Così, da quel momento, il dottor Vigilante è sottoposto a particolare
sorveglianza (Giancarlo Elia Valori, “Un albero per la vita - Rizzoli Editore aprile 2001”).
Viene emesso il provvedimento del trasferimento di Vigilante a Reggio Emilia, ma rimane a La
Spezia perché alcuni giorni dopo viene colpito da un ictus che gli comporta una parziale zoppia alla
gamba sinistra.
Alla Questura di La Spezia, dopo il mancato trasferimento di Vigilante per problemi di salute, il
clima di sospetto nei suoi confronti innesca una serie di indagini da parte dei nazifascisti che porterà
all’arresto suo e del suo collaboratore commissario Nicola Amodio.
L'attività crescente per preparare documenti e lasciapassare, conduce spesso il commissario Nicola
Amodio ad assentarsi dal servizio. Questo gli vale la perdita di credibilità nei confronti del Capo
della Provincia che, infuriato e sospettoso, rivolge al Questore continue sollecitazioni perché
infligga punizioni disciplinari nei confronti del funzionario che in agosto si ammala.
Alla fine di agosto 1944, a seguito del trasferimento a Torino del Questore Emanuele Protani, la
Questura di La Spezia è diretta ad interim dal Commissario Capo Luigi Amadasi che, avverso al
fascismo, viene sostituito col capitano della G.N.R. Emilio Battisti, nominato Questore ausiliario
dal capo della Provincia. Emilio Battisti arriva in questura nei giorni di novembre 1944 e rimane in
carica fino all’aprile del 1945. Ufficialmente è nominato questore ausiliario il 24 gennaio 1945.
Nella sua attività investigativa, prevalentemente diretta contro gli appartenenti alla Resistenza, il
questore Battisti si appoggia alla “banda Gallo”, una formazione piuttosto eterogenea che agisce
come servizio Investigativo autonomo alle dirette dipendenze dei tedeschi.
Aurelio Gallo, già autista del Vescovo di Luni e di altre personalità è stato spesso licenziato perche
pederasta. Smanioso di una rivincita personale, crudele e sadico, per farsi credere abile nella caccia
agli antifascisti dal comando tedesco delle S.S. cui aveva dato la sua disponibilità a collaborare, non
esitava a ricorrere a falsi accusatori, il più delle volte inventate, per arrestare ed in seguito torturare
anche persone innocenti.
In poco tempo Gallo riesce ad ottenere il comando e il coordinamento di un servizio Investigativo
autonomo con sede presso il Comando Provinciale della G.N.R. - SP-628°, e delle Brigate Nere,
site presso la caserma del 21° Reggimento Fanteria “adibita a comando – carcere e luogo di
torture”, nonché sua dimora. Ai primi di novembre 1944, furono istituite le carceri al 21°
Reggimento Fanteria, perché poco affidamento veniva dato dalla Brigata Almers e dalle S.S. al
personale delle locali carceri “Villa Andreino” site in via Fontevivo.
Gallo collabora con il personale tedesco della Polizia di Sicurezza - SD Posten (Sicherheitdienst),
Servizio di Informazione super-segreto delle S.S. di Heinrich Himmler, e con la Feldgendarmerie di
Via Genova, in particolar modo con i tenenti Kremes e Nef della 135 Festung Brigade (Brigata
Almers con sede a Carozzo - La Spezia). Ha a sua completa disposizione una decina di tedeschi, dei
quali si avvale per effettuare ogni tipo di operazione e rastrellamenti.
La “banda Gallo” opera con sistematica ferocia. Comprende personaggi di varia estrazione, persino
un sacerdote. Uno dei componenti, Guerra, che abita nel quartiere di Migliarina mette in piedi
un’organizzazione che ha come centro l’abitazione della propria madre, Rosaria Di Matteo, e che
coinvolge anche la sorella Anna. Quest’organizzazione opera come centro di spionaggio, delazione
e sequestro sia delle persone sia delle cose: la maggior parte degli arrestati di Migliarina, che
saranno poi deportati, sono stati denunciati dai Guerra, in alcuni casi solo per rancori personali.
La ferocia del Gallo era inaudita. Al servizio delle «S.S.» tedesche, prendeva parte a tutti i
rastrellamenti in zona partigiana ed in città. Bastava il minimo sospetto per essere arrestati e
14
seviziati da questo criminale. A colpi di bastone estorceva confessioni di delitti o colpe mai
commesse; col fuoco ed altri sistemi di sevizie strappava ai disgraziati che erano caduti nelle sue
mani, i nomi di altre persone che venivano in seguito arrestate e sottoposte allo stesso trattamento.
I rapporti tra Gallo e Battisti non sono basati su relazioni gerarchiche, ma di alleanze reciproche
volte all’individuazione e repressione, nonché di una dimostrazione personale di capacità
investigativa nella cattura degli antifascisti.
L’arresto dei commissari Amodio e Vigilante e della guardia Tonelli
Del nutrito gruppo di poliziotti della questura di Spezia che collabora
con il C.L.N., il primo a cadere nelle mani dei nazifascisti è la guardia
Ausiliaria di P.S. Domenico Tosetti il 18 ottobre 1944. L'8 dicembre
dello stesso anno, assieme ad altri 400 detenuti, è portato al campo di
concentramento di Bolzano, dove rimane fino al 4 febbraio 1945
(racconto inedito delle figlie di Tosetti).
Dopo una prima retata nel quartiere di Migliarina eseguita il 19
novembre, tra il 21 e il 23 novembre 1944, viene ordinata una seconda
retata, che portando così a 361 il numero delle persone arrestate.
Nella città e nella popolazione si produce una vivissima impressione per
gli arresti di molte personalità della Pubblica Amministrazione, un
Annibale Tonelli
giudice istruttore, due impiegati dell’Intendenza di Finanza, uno Poste e Telegrafi, Direttore
Consiglio Provinciale Economia, il Comandante provinciale dei Vigili del Fuoco, 4 medici e un
infermiere dell’Ospedale Civile, il Cappellano del Consorzio provinciale antitubercolare, un
geometra dell’Ufficio del Genio Civile, 6 Agenti di custodia delle Carceri Giudiziarie, 2 Impiegati
dell’Ufficio Provinciale per i servizi dell'Agricoltura, il Commissario prefettizio e segretario per i
comuni di Beverino e di Pignone.
Tre arrestati del 23 novembre 1944 appartengono alla Questura: il dott. Lodovico Vigilante,
Commissario capo P.S., il dott. Nicola Amodio, Commissario capo P.S. e Annibale Tonelli,
Guardia di P.S.
Il dottor Vigilante da alcuni mesi è in malattia perché colpito da una lieve paralisi. Si trova presso la
sua abitazione di La Spezia, sita in via Aurelio Saffi n.27 al quarto piano. Due ufficiali delle S.S. al
comando di alcuni soldati tedeschi, seguiti da militi della G.N.R. salgono le scale e, dopo aver
sfondato la porta d’ingresso, irrompono nell’appartamento, scagliandosi inopinatamente con
violenza addosso al povero Vigilante, nonostante lo stesso fosse menomato fisicamente. Poco dopo
viene condotto presso la caserma del 21° Reggimento Fanteria.
Anche per il commissario Amodio, arriva il momento dell’arresto, raccontato direttamente dal
figlio Nicola che all’epoca dei fatti aveva 16 anni:
Annibale Tonelli, Guardia di P.S. di trentuno anni è arrestato dalle S.S. la mattina, all’uscita di casa.
La Guardia di P.S. Annibale Tonelli, era nato a La Spezia il 18 febbraio 1913.
Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, i due funzionari, insieme al Tonelli e ad altri fermati,
vengono caricati su una motozattera, mezzo di trasporto via mare viene usato dai tedeschi per
trasportare tutti i detenuti alle carceri di Marassi di Genova. Il racconto di questo trasporto alle
carceri di Marassi di Genova emerge, drammatico e ricco di commozione, dai ricordi di alcuni
deportati. Il giovane Sergio Rossetti1 descrive i maltrattamenti subiti dal dottor Vigilante.
Del periodo trascorso nelle carceri di Marassi dai commissari Amodio e Vigilante e dalla guardia
Tonelli, si hanno soltanto notizie indirette.
1
Sergio Rossetti nato a La Spezia il 23.11.1928, Mauthausen - matricola 126404, Sino alla liberazione. Da RAI
Education in Testimonianze dal Lager
15
Nelle carceri di Marassi vengono tutti interrogati; il primo ad essere portato nella stanza della
tortura fu il dottor Vigilante il quale, a causa della caduta dentro la motozattera, aveva riportato la
frattura del femore; si trovava nella totale prostrazione fisica e morale.
Quando Battisti gli chiede chi siano i suoi complici, Vigilante gli risponde: «Tutti erano miei
complici, dal Prefetto all'ultimo usciere della questura».
Anche sotto le grandi sofferenze provocate dalle torture, il dottor Vigilante ha il modo di fare del
sarcasmo nei confronti di Battisti, il quale si sente preso in giro e lo sottopone ad una immane
tortura, che riduce il funzionario in condizioni strazianti (Testimonianza al processo).
La conduzione delle “indagini” condotte da Battisti nel carcere di Marassi - “indagini” cui partecipa
anche il sacerdote, don Rinaldo Stretti, a fianco di fascisti e nazisti - ci sono meglio descritte da una
lettera di Renato Luisi, arrestato il 24 novembre 1944, e da una lunga testimonianza di don Mario
Devoto, parroco di S. Terenzo, che descrive il suo arresto e le vicissitudini subite a partire dalla sua
prigionia nel 21° fanteria, fino alle carceri di Marassi a Genova2.
Il ragioniere Renato Luisi, Capo dei servizi amministrativi della società Tranvie Elettriche della
Spezia, è arrestato il 24 novembre 1944, ed in seguito viene deportato in Germania. La moglie,
signora Lina Luisi, dopo aver ricevuto da lui una lettera del 17 dicembre 1944, che le perviene
clandestinamente dalle carceri di Marassi dove il marito era allora detenuto, non ha più saputo nulla
della sua sorte. Renato Luisi nella lettera afferma che in seguito alle feroci torture aveva confessato
tutto quello che loro volevano e definisce la condotta del questore Battisti e della banda Gallo come
una “diabolica macchinazione infernale”.
L’affermazione trova conferma nel racconto di don Mario Devoto che abbraccia il periodo trascorso
dal 21 novembre, giorno del suo arresto, fino al 19 dicembre, quando fin dal giorno 8, il
commissario Amodio (secondo le dichiarazioni del figlio) era già stato inviato a Bolzano.
Quando Emilio Battisti arriva a La Spezia è ormai convinto del ruolo che dovrà svolgere
nell'ambiente fascista: non esistono luoghi, persone, fatti che una volta etichettati o pensati “come
ambiente ostile” o solo come probabili nemici, non passi dal suo “esame” personale.
L'organizzazione della tela dei delatori messa in atto dal Battisti, dà i suoi frutti, poco importa se a
carico di qualcuno non vi sono prove del suo essere antifascista.
Deportazione a Mauthausen
Dopo un periodo di permanenza nel campo di concentramento di Bolzano, nei primi giorni del
febbraio 1945, Lodovico Vigilante, Nicola Amodio, Annibale Tonelli e Domenico Tosetti vengono
trasportati su un carro bestiame deportati al campo di sterminio di Mauthausen in Austria.
A Mauthausen viene assegnato ad ognuno
di loro un numero di matricola:
Annibale Tonelli
nr. 126460
Domenico Tosetti
“ 126448
Lodovico Vigilante
“ 126535
Nicola Amodio
“ 126010
Qualche notizia relativa al periodo
trascorso a Mauthausen dal dottor
Lodovico Vigilante proviene dal notaio
Graffito di Renato Guttuso nel Museo al deportato di Carpi
Aldo Pantozzi di Bolzano, autore del libro “Sotto gli occhi della Morte - Da Bolzano a
Mauthausen”. Lodovico Vigilante, dopo indicibili sofferenze, anche a causa della gamba non curata
e di ulteriori torture, muore il 6 febbraio 1945, secondo Ado Pantozzi. Da notare che l’Ufficio
Storico della polizia di Stato, sulla base di fonti ministeriali, riferisce come data di morte il 28
febbraio 1945.
2
Sacerdoti cattolici nella Resistenza. La Spezia, Sarzana, Brugnato. Presentazione di Franco Franchini, La Spezia,
Associazione partigiani cristiani, stampa 1979.
16
Annibale Tonelli, dopo essere stato trasferito al campo di Gusen, scompare senza lasciare traccia
del suo passaggio. Il 9 settembre 1951 il Tribunale della Spezia dichiara la sua irreperibilità e la sua
morte presunta come avvenuta a Mauthausen in data 31 Marzo 1945.
Nicola, figlio del commissario Amodio, racconta la fine del padre: “Dal
documento del Comitato Internazionale della Croce Rossa in mio
possesso risulta deceduto il 4 febbraio 1945, in contrasto con quanto
certificato da una autorità tedesca che porta la data del 4 marzo 1945”.
Domenico Tosetti, l'unico dei nove deportati a Mauthausen che riesce a
sopravvivere, a guerra finita, in un verbale di denuncia presentato agli
uffici della questura, nei primi di luglio del ‘45 dichiara: “Il 5 maggio,
in seguito ai noti avvenimenti bellici noi superstiti, circa una
quarantina di italiani fummo liberati dalle truppe Americane. Io mi
recai all'Ospedale di Linz ove rimasi ricoverato per circa 45 giorni ed
in seguito alle opportune cure, riacquistai al quanto le forze e così potei
essere rimpatriato.
Domenico Tosetti
Le ultime vittime: Vito Alfonso Filardi, Biagio Sullo, Giuseppe Cavallo, Domenico Mazzola,
Francesco Caruso
Nella prima decade del mese di marzo del 1945, il questore Battisti, su
richiesta del Ministero dell’Interno, redige un elenco di persone tra
quelle meno affidabili per le loro idee politiche, per essere avviati nei
campi di lavoro: otto, tra guardie e sottufficiali, l’11 marzo vengono
consegnati ai tedeschi.
Vice Brigadiere di Pubblica Sicurezza Biagio Sullo, nato il 24 agosto
1912 a Caivano (Napoli);
Il Brigadiere Ausiliario Vito Alfonso Filardi, nato il 10 ottobre 1917 a
Soriano Calabro – celibe;
Guardia scelta Giuseppe Cavallo, nato il 19 marzo 1925 ad Arcola (La
Spezia), celibe.;
Guardie ausiliarie: Domenico Mazzola, nato il 02 aprile 1915 a
Castelnuovo (Salerno) coniugato;
Biagio Sullo
Francesco Caruso, nato il 25 novembre1921 a Cosenza;
Alfio Nicotra, nato a Messina il 5 febbraio 1913;
Lino Corvi, nato a Bagnone (Massa Carrara) il 4 aprile 1915;
Bartolomeo Ceraulo, nato a Palermo il 9 giugno 1918.
Vice Brigadiere Biagio Sullo, dopo il suo arresto, in un primo momento viene trasferito alle carceri
di Marassi a Genova; durante il suo trasferimento al campo di concentramento di Bolzano, il treno
dove si trova rinchiuso viene bombardato. Attraverso uno squarcio praticato nel vagone da una
bomba, Sullo riesce a fuggire insieme ad altri detenuti. Molti di questi vengono ripresi, duramente
malmenati e, molto probabilmente, finiti sul posto. Non si conoscono né il luogo né le modalità
della morte, soltanto la data, 22 marzo 1945, secondo il racconto del nipote Antonio Sullo.
Il Brigadiere Vito Alfonso Filardi, la Guardia Scelta Giuseppe Cavallo, le Guardia Ausiliaria
Domenico Mazzola, Francesco Caruso non fecero più ritorno. Ufficialmente risultano dispersi.
Lino Corvi, Bartolomeo Ceraulo e Alfio Nicotra riuscirono a ritornare nelle loro famiglie.
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Arresto di Aurelio Gallo e processo alla “banda Gallo”
Il libro si conclude con il racconto dell’arresto di Aurelio Gallo eseguito dal vice commissario
Eraldo Curti.
Gli accusati sono condotti a La Spezia e rinchiusi nel carcere di Villa Andreino in attesa del
processo che avverrà dal 6 al 14 maggio 1946. Il processo verrà discusso nella Palestra della scuola
di via Napoli, adibita per l’occasione a Corte d’Assise Speciale. È comunemente indicato come il
“Processo Gallo”. Compariranno, imputati di collaborazionismo col tedesco invasore, di sevizie, di
torture e di uccisioni:
Emilio Battisti, ex questore della Spezia;
Aurelio Gallo, agente delle SS;
Achille Morelli, brigadiere della G.N.R.;
Aldo Capitani, nato a La Spezia il 29 ottobre 1924 “di anni 22” ;
Matteo Guerra, nato ad Altavilla in provincia di Salerno il 28 ottobre 1924 “di anni 22”, residente a
La Spezia (Migliarina) in via Mozzachiodi, di professione autista;
don Rinaldo Stretti, di Nicola e di Luigia Cozzani, nato a La Spezia il 2 gennaio 1900, ivi residente
in via Falconi, ordinato sacerdote a Sarzana il 26 maggio 1923;
Pasquale Rucco, di 34 anni, guardia carceraria;
Rosaria Di Matteo, madre di Matteo Guerra, nata negli Stati Uniti d’America il 25 maggio 1907,
residente a Spezia in via del Canaletto;
Anna Guerra, sorella di Matteo, nata ad Altavilla Silentina (Salerno) il 1° gennaio 1927, nubile.
Per queste ultime le accuse sono di solo collaborazionismo.
Battisti, Gallo, Morelli, Capitani e Guerra Matteo sono condannato alla pena di morte, Don Stretti a
30 anni, Rucco a 10 anni, Guerra Rosaria, a 10 anni, Guerra Anna a 4 anni.
I condannati a morte ricorrono contro la sentenza che, per difetto di motivazione, è annullata dalla
Suprema Corte di Cassazione e rinviata a nuovo esame presso l'Alta Corte di Assise di Genova.
Riesaminati gli atti processuali, il 9 dicembre 1946, viene confermata la condanna a morte per
Battisti, Gallo e Morelli, mentre Capitani e Guerra per collaborazionismo vengono condannati
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a trent’anni di reclusione, di cui dieci
condonati. Capitani e Guerra, nel febbraio
del 1952, vengono scarcerati per liberazione
condizionale.
Emilio Battisti, Aurelio Gallo e Achille
Morelli sono fucilati il 5 marzo 1947 nel
Forte Bastia di Vezzano Ligure (SP).
Don Rinaldo Stretti viene rinchiuso nelle
carceri di Portoferraio. Il 12 settembre 1947
per ordine della Corte di Appello di Genova,
che ha dichiarato estinta la condanna per
amnistia viene scarcerato.
Fucilazione di Battisti, Gallo e Morelli "fotomontaggio"
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