Bollettino 1-2013 pubblicato (1)

Transcript

Bollettino 1-2013 pubblicato (1)
Bollettino Diocesano
S. Maria de Finibus Terrae
Atti ufficiali e attività pastorali della
Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca
Anno LXXVI n. 1 gennaio - giugno 2013
Direzione, redazione e amministrazione
Curia Vescovile Ugento - S. M. di Leuca
Piazza S. Vincenzo, 21 - 73059 Ugento
Tel. 0833-555049 Fax 0833-955801
www. diocesiugento.org
e-mail: [email protected]
Direttore responsabile
mons. Salvatore Palese
Redazione ed editing
Gigi Lecci
EDIZIONI VIVEREIN - 70043 Monopoli (BA) - C.da Piangevino, 224/A - Tel. 0806907030 - Fax 0806907026
www.edizioniviverein.it - E–mail: [email protected]
INDICE
DOCUMENTI PONTIFICI
Rinuncia di Benedetto XVI al Ministero petrino
Elezione di Papa Francesco
Benedizione apostolica “Urbi et Orbi”
Biografia del Santo Padre
Custodire
Mi ami tu?
Una decisione libera e personale
Gli episcopati d’Europa: entusiasmo e appoggio a Papa Francesco
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
Conferenza Episcopale Italiana - 65a Assemblea Generale
pag.
”
”
”
”
”
”
”
11
13
14
15
18
22
26
28
” 33
DOCUMENTI DELLA CHIESA PUGLIESE
Regione Ecclesiastica Puglia – Norme statutarie
Messaggio alle Chiese di Puglia per la canonizzazione
dei Martiri d’Otranto 12 maggio 2013
” 66
VISITA AD LIMINA
Sintesi della Relazione quinquennale
gennaio 2006-dicembre 2012
” 73
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
Gli occhi della fede
Per la gloria di Dio e la vita del mondo
Pastore, architriclinio e sentinella
Fides victoria nostra
Profondità, stabilità, eternità
Ascolto, preghiera, carità
La gioia del Signore sia la vostra forza
I sentimenti di Cristo: fiducia, preghiera, mansuetudine
”
”
”
”
”
”
”
”
” 53
85
88
93
96
101
106
110
116
5
Tenere gli occhi fissi su Gesù
La Veglia pasquale, paradigma della vita cristiana
I doni del Risorto fondamenta del nuovo mondo
Le opere del Padre
L’apostolicità della fede
Servo per amore
La Parrocchia secondo don Tonino Bello
Scelto tra gli uomini, inviato agli uomini
Questo è il mio corpo
Respice stellam
Lavoro: sogno o realtà
Ho parlato con Papa Francesco
pag.
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
120
127
132
139
142
146
149
153
156
161
166
170
ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI
Ordinazioni, Nomine, Ministeri, Disposizioni
” 175
CONSIGLIO PRESBITERALE
Verbale della riunione dell’8 febbraio 2013
” 183
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
Tu sei la mia vita - Orientamenti pastorali per celebrare
degnamente il mistero della fede
Consiglio di Curia
Ufficio Liturgico
Ufficio Missionario
Ufficio Famiglia
Ufficio Caritas, Ufficio Pastorale del lavoro,
Servizio di Pastorale giovanile
Ufficio diocesano per l’Ecumenismo
”
”
”
”
”
191
201
203
211
216
” 219
” 226
CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE
* Mons. Gerardo Antonazzo, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo
– Benedetto vescovo, Servo dei Servi di Dio
– Stemma episcopale e Motto
– Biografia
– Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca
6
”
”
”
”
”
233
234
235
235
237
– Obbedienza, gratitudine e preghiera
– Otium et Negotium
– Coraggioso pastore e autentico apostolo del Vangelo
– La mia “Casa dell’Annunciazione”
– Preghiera per don Gerardo vescovo
* XX anniversario della morte del Servo di Dio don Tonino Bello
– Il servo di Dio Tonino Bello (1935-1993)
– Don Tonino Bello, operatore di pace
– Il Servo di Dio don Tonino Bello, indimenticato e amato pastore
– Il decalogo della fede secondo don Tonino
– La porta della “mia” fede – Lettera aperta di don Tonino
– La scia luminosa della santità di don Tonino
– “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,5)
* Convegni Diocesani
– “I giorni della Speranza”
– “Concilio Vaticano II e Chiesa ugentina”
pag.
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
”
242
244
247
252
256
257
258
264
271
277
282
288
291
295
295
298
PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO-S.MARIA DI LEUCA
L’evangelizzazione del mondo contemporaneo
Contributo ugentino al Sinodo
” 307
” 308
AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO
” 317
7
DOCUMENTI PONTIFICI
RINUNCIA DI BENEDETTO XVI AL MINISTERO PETRINO*
Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni,
ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita
della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a
Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non
sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi
mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede,
per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario
*
Dichiarazione letta dal Santo Padre alla fine del Concistoro.
11
anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in
me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.
Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San
Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che,
dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro,
sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave
per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro
con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono
per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre
Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa
Chiesa di Dio.
Dal Vaticano, 10 febbraio 2013.
12
FRANCISCUS
13 MARZO 2013
ANNUNTIO VOBIS GAUDIUM MAGNUM,
HABEMUS PAPAM:
EMINENTISSIMUM AC REVERENDISSIMUM DOMINUM,
DOMINUM GEORGIUM MARIUM,
SANCTAE ROMANAE ECCLESIAE CARDINALEM BERGOGLIO
QUI SIBI NOMEN IMPOSUIT
FRANCISCUM
13
BENEDIZIONE APOSTOLICA “URBI ET ORBI”
Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma.
Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine
del mondo… ma siamo qui… Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti
insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.
[Recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre]
E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo
cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le
Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo
sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia
una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi
incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente,
sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!
E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la
Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi
su di me.
[…]
Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le
donne di buona volontà.
[Benedizione]
Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e
a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna,
perché custodisca tutta Roma.
Buona notte e buon riposo!
14
BIOGRAFIA DEL SANTO PADRE*
Il primo Papa giunto dalle Americhe è il gesuita argentino Jorge Mario
Bergoglio, 76 anni, arcivescovo di Buenos Aires dal 1998. È una figura di
spicco dell’intero continente e un pastore semplice e molto amato nella sua
diocesi, che ha girato in lungo e in largo, anche in metropolitana e con gli autobus.
«La mia gente è povera e io sono uno di loro», ha detto una volta per
spiegare la scelta di abitare in un appartamento e di prepararsi la cena da
solo. Ai suoi preti ha sempre raccomandato misericordia, coraggio e porte
aperte. La cosa peggiore che possa accadere nella Chiesa, ha spiegato in alcune circostanze, «è quella che de Lubac chiama mondanità spirituale», che
significa «mettere al centro se stessi». E quando cita la giustizia sociale, invita a riprendere in mano il catechismo, i dieci comandamenti e le beatitudini.
Nonostante il carattere schivo è divenuto un punto di riferimento per le sue
prese di posizione durante la crisi economica che ha sconvolto il Paese nel
2001.
Nella capitale argentina nasce il 17 dicembre 1936, figlio di emigranti
piemontesi: suo padre Mario fa il ragioniere, impiegato nelle ferrovie, mentre sua madre, Regina Sivori, si occupa della casa e dell’educazione dei cinque figli.
Diplomatosi come tecnico chimico, sceglie poi la strada del sacerdozio
entrando nel seminario diocesano. L’11 marzo 1958 passa al noviziato della
Compagnia di Gesù. Completa gli studi umanistici in Cile e nel 1963, tornato
in Argentina, si laurea in filosofia al collegio San Giuseppe a San Miguel. Fra
il 1964 e il 1965 è professore di letteratura e psicologia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé e nel 1966 insegna le stesse materie nel collegio del
Salvatore a Buenos Aires. Dal 1967 al 1970 studia teologia laureandosi sempre al collegio San Giuseppe.
*
L’Osservatore Romano, Anno LXIII, numero 12.
15
Il 13 dicembre 1969 è ordinato sacerdote dall’arcivescovo Ramón José
Castellano. Prosegue quindi la preparazione tra il 1970 e il 1971 in Spagna, e
il 22 aprile 1973 emette la professione perpetua nei gesuiti. Di nuovo in Argentina, è maestro di novizi a Villa Barilari a San Miguel, professore presso la
facoltà di teologia, consultore della provincia della Compagnia di Gesù e rettore del Collegio.
Il 31 luglio 1973 viene eletto provinciale dei gesuiti dell’Argentina. Sei anni dopo riprende il lavoro nel campo universitario e, tra il 1980 e il 1986, è di
nuovo rettore del collegio di San Giuseppe, oltre che parroco ancora a San
Miguel. Nel marzo 1986 va in Germania per ultimare la tesi dottorale; quindi
i superiori lo inviano nel collegio del Salvatore a Buenos Aires e poi nella
chiesa della Compagnia nella città di Cordoba, come direttore spirituale e
confessore.
È il cardinale Quarracino a volerlo come suo stretto collaboratore a Buenos Aires. Così il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno riceve nella cattedrale
l’ordinazione episcopale proprio dal cardinale. Come motto sceglie Miserando atque eligendo e nello stemma inserisce il cristogramma ihs, simbolo della Compagnia di Gesù. È subito nominato vicario episcopale della zona Flores
e il 21 dicembre 1993 diviene vicario generale. Nessuna sorpresa dunque
quando, il 3 giugno 1997, è promosso arcivescovo coadiutore di Buenos
Aires. Passati neppure nove mesi, alla morte del cardinale Quarracino gli
succede, il 28 febbraio 1998, come arcivescovo, primate di Argentina, ordinario per i fedeli di rito orientale residenti nel Paese, gran cancelliere
dell’Università Cattolica.
Nel Concistoro del 21 febbraio 2001, Giovanni Paolo II lo crea cardinale,
del titolo di san Roberto Bellarmino. Nell’ottobre 2001 è nominato relatore
generale aggiunto alla decima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
vescovi, dedicata al ministero episcopale. Intanto in America latina la sua figura diventa sempre più popolare. Nel 2002 declina la nomina a presidente
della Conferenza episcopale argentina, ma tre anni dopo viene eletto e poi
riconfermato per un altro triennio nel 2008. Intanto, nell’aprile 2005, partecipa al conclave in cui è eletto Benedetto XVI.
16
Come arcivescovo di Buenos Aires — tre milioni di abitanti — pensa a un
progetto missionario incentrato sulla comunione e sull’evangelizzazione.
Quattro gli obiettivi principali: comunità aperte e fraterne; protagonismo di
un laicato consapevole; evangelizzazione rivolta a ogni abitante della città;
assistenza ai poveri e ai malati. Invita preti e laici a lavorare insieme. Nel settembre 2009 lancia a livello nazionale la campagna di solidarietà per il bicentenario dell’indipendenza del Paese: duecento opere di carità da realizzare entro il 2016. E, in chiave continentale, nutre forti speranze sull’onda del
messaggio della Conferenza di Aparecida nel 2007, fino a definirlo «l’Evangelii nuntiandi dell’America Latina». Viene eletto Sommo Pontefice il 13 marzo 2013.
17
CUSTODIRE*
Cari fratelli e sorelle!
Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del
ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria
e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini
con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.
Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio
cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti
Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste
parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere
custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si
estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II:
«San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso
impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap.
Redemptoris Custos, 1).
Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà,
nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche
quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù
dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con tutto l’amore ogni momento. È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e
*
Omelia di Papa Francesco all’inizio del Ministero petrino, Piazza San Pietro, 19 marzo 2013,
Solennità di San Giuseppe.
18
in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle
ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in
Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità
della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.
Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della
Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al
suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è
Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E
Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono
affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui, cari amici, vediamo come
si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo
Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!
La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha
una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È
il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire
la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei
bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi
si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli,
e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una
responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!
E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono
19
degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto
dell’uomo e della donna.
Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne
di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto
nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma
per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che
l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono
le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!
E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli,
san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel
suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi,
al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!
Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche
un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere
si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice
invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai
che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla
Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più
deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità:
chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr. Mt 25,3146). Solo chi serve con amore sa custodire!
Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, sal20
do nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza,
contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza.
Custodire il creato, ogni uomo e ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e
amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in
mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per
noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo
ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che
è Dio.
Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni
persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far
risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha
donato!
Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.
21
MI AMI TU?*
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Le Letture bibliche che abbiamo sentito ci fanno riflettere. A me hanno
fatto riflettere tanto. Ho fatto come una meditazione per noi Vescovi, prima
per me, Vescovo come voi, e la condivido con voi.
È significativo – e ne sono particolarmente contento – che il nostro primo incontro avvenga proprio qui, sul luogo che custodisce non solo la tomba
di Pietro, ma la memoria viva della sua testimonianza di fede, del suo servizio alla verità, del suo donarsi fino al martirio per il Vangelo e per la Chiesa.
Questa sera questo altare della Confessione diventa così il nostro lago di
Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e Pietro,
con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve risuonare anche nel
nostro cuore di Vescovi.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?» (cfr. Gv 21,15ss).
La domanda è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si
era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
La domanda è rivolta a me e a ciascuno di noi, a tutti noi: se evitiamo di
rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
Colui che scruta i cuori (cfr. Rm 8,27) si fa mendicante d’amore e ci interroga sull’unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per
pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa. Ogni ministero si fonda su
questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all'obbedienza, all'abbassamento,
*
Omelia di Papa Francesco durante la Professione di fede dei Vescovi italiani, Basilica S.
Pietro, 23 maggio 2013.
22
come abbiamo sentito nella Lettera ai Flippesi, e alla donazione totale (cfr.
2,6-11).
Del resto, la conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto – proprio tutto, fino alla stessa vita – per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro
ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità
abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e
quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa:
anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità
nella carità fraterna.
Non che questo sia scontato: anche l’amore più grande, infatti, quando
non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne. Non per nulla
l'Apostolo Paolo ammonisce: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in
mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio»
(At 20,28).
La mancata vigilanza – lo sappiamo – rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della
carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo
impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il
Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda.
Chi siamo, Fratelli, davanti a Dio? Quali sono le nostre prove? Ne abbiamo tante; ognuno di noi sa le sue. Che cosa ci sta dicendo Dio attraverso di
esse? Su che cosa ci stiamo appoggiando per superarle?
Come per Pietro, la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci
addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà,
insidiata com’è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità.
Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signo23
re intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento.
Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la
tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione
della vergogna – perché davvero la vergogna ci disgrega – al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione.
Pietro, che purificato al fuoco del perdono può dire umilmente «Signore,
tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). nella sua prima Lettera ci esorta a pascere «il gregge di Dio [...], sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri [...], non per vergognoso interesse, ma con animo
generoso, non come padroni delle persone a noi affidate, ma facendoci modelli del gregge» (1Pt 5,2-3).
Sì, essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza
che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in
fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per
rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede,
sia da coloro che ancora «non sono di questo ovile» (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia nella Prima Lettura
(cfr. Is 2,2-5).
Per questo, essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo
e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di
sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare
e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce
sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza,
per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare, ben particolare, riserviamolo ai nostri sacerdoti:
soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino
aperte in ogni circostanza. Loro sono i primi fedeli che abbiamo noi Vescovi:
i nostri sacerdoti. Amiamoli! Amiamoli di cuore! Sono i nostri figli e i nostri
fratelli!
Cari fratelli, la professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un
24
atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al “Seguimi” con cui si conclude il Vangelo di Giovanni (21,19): porta a dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù. Da qui
sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo.
Con questo spirito, ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro servizio, per il vostro amore alla Chiesa.
E la Madre è qui! Vi pongo, e anche io mi pongo, sotto il manto di Maria,
Nostra Signora.
Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio,
liberaci dall’idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria:
torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente.
Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,
destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra:
scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.
Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia,
aiutaci a bruciare tristezze, impazienze
e rigidità di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani,
i nostri piedi e i nostri cuori:
edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
Madre, saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno.
Amen.
25
UNA DECISIONE LIBERA E PERSONALE*
«Una decisione assolutamente personale. Nessuno glielo ha suggerito o
lo ha spinto a questo. Una decisione libera, verso Dio e la Chiesa, che merita
rispetto». Così il direttore Federico Lombardi ha commentato stamane a caldo, nella Sala Stampa della Santa Sede, l’annuncio della rinuncia di Benedetto XVI al pontificato. Nel corso di un affollatissimo briefing con i giornalisti
accreditati, il gesuita ha evidenziato che la scelta «è stata maturata, come
lui stesso ha spiegato, nella consapevolezza della grande responsabilità che
aveva». Per questo la decisione, presa in conformità al canone 332 paragrafo 2 del Codice di diritto canonico, «merita il massimo rispetto e ammirazione» e non ha neanche bisogno di un’accettazione formale dal punto di vista
giuridico.
Nonostante la notizia sia giunta inaspettata, per Lombardi è da considerarsi «coerente con quanto detto in precedenza» da Joseph Ratzinger.
L’ipotesi delle dimissioni, infatti, era stata ventilata nel libro-intervista con
Peter Seewald Luce del mondo. «In quella occasione – ha ricordato il direttore della Sala Stampa – il Papa aveva affermato che è possibile dimettersi in
un momento di serenità o quando non ce la si fa più». Per cui, «anche se Benedetto XVI può essere stato toccato come tutti dalle vicende difficili vissute
dalla Chiesa negli ultimi tempi, non si può dire che questo sia ciò che lo ha
indotto alla decisione di rinunciare». Né tantomeno risulta che possa aver influito una malattia in corso. «Negli ultimi mesi – ha riferito Lombardi – come
egli stesso ha affermato è diminuito in lui il vigore del corpo e dell’anima e
per questo ha ritenuto di non essere più adeguato a svolgere il suo ministero.
Sappiamo tutti quale sia l’età del Papa ed è normale per una persona in età
avanzata vivere una fase di declino delle proprie forze. Egli lo ha riconosciuto
con coraggio e sincerità assolutamente ammirevoli».
*
Briefing nella sala stampa della Santa Sede di P. Federico Lombardi in L’Osservatore
Romano, del 11-12 Febbraio 2013.
26
Dalle risposte alle domande dei giornalisti è anche emerso che Benedetto
XVI non parteciperà al prossimo Conclave e che dopo il 28 febbraio, quando
inizierà la sede vacante, si trasferirà a Castel Gandolfo, in attesa che vengano ultimati i lavori di ristrutturazione del monastero Mater Ecclesiae, nei
Giardini Vaticani, dove intende dedicarsi alla preghiera e alla riflessione, libero dagli impegni di governo. Anche per questo è da escludere qualsiasi rischio di interferenze del Papa dimissionario nella scelta e nell’attività del suo
successore. «Sarà quanto mai attento e capace di evitarlo in ogni modo», ha
sottolineato Lombardi. Del resto siamo di fronte a una situazione inedita, ma
«assolutamente non vincolante per il futuro, perché – ha concluso – ogni situazione è personale e ha la sua irripetibilità».
27
GLI EPISCOPATI D’EUROPA:
ENTUSIASMO E APPOGGIO A PAPA FRANCESCO
“Per la prima volta nella storia, è stato eletto un Papa originario del continente americano, dell’Argentina, il che sottolinea l’universalità della Chiesa”.
Il Consiglio permanente dell’Episcopato portoghese ha manifestato il suo
affetto e il suo appoggio “incondizionato” al Santo Padre e “tutta la disponibilità a collaborare con il successore dell’Apostolo Pietro, nel necessario rinnovamento della Chiesa e nel servizio evangelico, nella grande missione di
dialogo e di fratellanza, della giustizia e della pace nel mondo”.
Il Consiglio si dice certo che Papa Francesco saprà dare un seguito al proprio titolo di “Sommo Pontefice”, “costruendo ponti di unità e pace tra le diverse religioni, culture e popoli” e di “Servo dei servi di Dio”, “servendo tutti e
difendendo specialmente i più poveri e gli emarginati”.
L’elezione arriva in un momento di grande incertezza per l’Europa e “potrebbe essere un’occasione opportuna per il nuovo Pontefice di iniettare fresco entusiasmo nella ricerca di una visione” per il continente. “Questa visione
sancisce quei valori cristiani che hanno ispirato così tanto i padri fondatori
del progetto europeo”. Questo l’invito del reverendo Patrick h. Daly, segretario generale del Comece, la Commissione della Conferenza dei vescovi
dell’Unione europea.
Il progetto dell’Unione Europea ha potuto beneficiare del supporto attivo
e dell’interesse dei predecessori del nuovo Pontefice, secondo il reverendo
Daly, che hanno seguito da vicino gli sviluppi della costellazione di nazioni
che formano l’Europa. “Siamo sicuri che il successore di Pietro riconoscerà
con orgoglio i risultati raggiunti collettivamente dalle nazioni europee e incoraggerà i leader politici e, incidentalmente, tutti gli appartenenti al Comece,
a continuare, con solidarietà e rispetto per la sussidiarietà, sul cammino verso l’unità nella diversità per tutti coloro che si trovano all’interno della famiglia europea”.
28
Per i vescovi svizzeri, la Chiesa si trova di fronte a grandi sfide: al nuovo
vescovo di Roma, dunque, “occorrerà il dono della percezione e lettura dei
segni dei tempi, un’acuta sensibilità per le legittime diversità delle Chiese locali per farle crescere, con carisma, nella comunione della Chiesa universale”. Confidando nella promessa divina di Pietro, s’impegnano, con il Papa
Francesco, a “consolidare la fede in seno alla Chiesa che è in Svizzera”.
«Riviviamo un momento trascendente per la Chiesa come questo, che articola il nostro carisma di fondazione: “il nostro servizio alla Chiesa sarà veramente cristiano solo se sarà veramente ancorato nella fede a Colui che fa
nuove tutte le cose; e solo sarà gesuita se sarà unito con il successore di
Pietro (Norme complementari, 252 &1)”». Con queste parole, la Compagnia
di Gesù in Spagna accoglie l’elezione di un fratello gesuita a Papa. “Siamo
convinti che lo Spirito lo incoraggerà per continuare, con semplicità e audacia, il compito di evangelizzazione che iniziarono Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI”.
Da Madrid, arriva anche l’entusiasmo della ong della Chiesa spagnola
Manos Unidas, secondo quanto riporta l’agenzia Fides. L’organizzazione
auspica che il nuovo Papa continui a sostenere la difesa e il sostegno alle
persone più svantaggiate e il rispetto dei diritti umani e che rivolga un appello alla comunità internazionale, affinché s’impegni realmente nello
sradicamento della povertà e della fame e promuova il dialogo tra le culture
e le religioni, per alimentare la pace e creare la vera fratellanza universale.
In Russia, i cattolici vedono nell’elezione di un Papa argentino la dimostrazione della forza della Chiesa nel Paese. “La nomina del cardinal Bergoglio al soglio pontificio ci dà un altro motivo per essere orgogliosi. La
nostra Chiesa, infatti, è universale. Questo è testimoniato dall’elezione del
nuovo Papa”, ha sottolineato il segretario generale della Confederazione
russa dei vescovi cattolici, Igor Kovalevski.
29
DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
65AASSEMBLEA GENERALE*
Venerati e Cari Confratelli.
La Chiesa e il mondo guardano a Roma
1. Nell’eco viva della Pentecoste, ci troviamo per il consueto e mai scontato compito di collegiale discernimento che riguarda la Chiesa in Italia. Viviamo questo momento con la responsabilità dei Successori degli Apostoli,
con il pastorale affetto per le nostre Comunità, e con amore convinto e rispettoso per il nostro Paese. Il nostro sguardo – come sempre – incrocia lo
sguardo del Successore di San Pietro che, Vescovo di Roma, è partecipe di
questa Assise a titolo speciale e unico, e che già attendiamo per la solenne
“professio fidei” da lui presieduta sulla tomba del Principe degli Apostoli. Il
nostro cuore desidera pulsare con il cuore di Papa Francesco al quale, scelto
dal “confine del mondo”, Cristo ha affidato la Chiesa universale, e che ha affidato al popolo di Dio, a quel popolo a cui il nuovo Pontefice chiese di invocare su di lui la benedizione del Signore. Vediamo che è subito entrato
nell’anima della nostra gente, la quale sempre più numerosa affolla il cenacolo di Piazza san Pietro.
Avvolti dal vento dello Spirito che sospinge la barca della Chiesa, il nostro
primo pensiero va dunque al Santo Padre Francesco. Da questa storica aula
vorremmo fargli arrivare la nostra voce, in attesa di ascoltare la sua per la
prima volta indirizzata a noi, Vescovi d’Italia. E che cosa vorremmo dirgli in
questo iniziale momento del comune cammino? Vorremmo dirgli il nostro
grazie per aver accolto con fiducia la parola che Gesù disse a Pietro sulla riva
del mare: “Pasci le mie pecorelle”. Parola dolce e terribile insieme, che ha
spalancato davanti agli occhi attoniti dell’Apostolo il mondo intero, fino ai
suoi confini, fino alle periferie più lontane. Ovunque c’è un’anima, lì c’è Pie*
Prolusione del cardinale presidente, mons. Angelo Bagnasco, Roma, 20-24 maggio 2013.
33
tro che ha il mandato di “pascere” con la misericordia della verità e
dell’amore.
In questo straordinario compito, vorremmo aggiungere che non sarà mai
solo, perché accompagnato e sorretto dalla preghiera nostra e del popolo,
affinché l’olio della forza e il vino della gioia non vengano mai meno alla sua
mensa. Vogliamo assicurargli il sostegno della nostra leale e generosa obbedienza, per seguirlo sui sentieri che indicherà verso i pascoli alti della santità
nostra per il bene dei nostri sacerdoti e delle comunità.
2. Il pensiero, all’inizio di questa Assemblea Generale, corre rapidamente
agli eventi che abbiamo vissuto con il popolo cristiano e non solo. Il ricordo
va anzitutto all’improvvisa e storica rinuncia di Papa Benedetto XVI, l’undici
febbraio scorso: il mondo intero rimase col fiato sospeso, mentre sembrava
aprirsi a un progressivo, universale abbraccio di affetto e di ammirazione per
la sua persona, che appariva tanto più grande nella sua coraggiosa e umile
decisione.
A lui rinnoviamo, insieme a tutti i Vescovi dell’Orbe, la nostra filiale gratitudine per i suoi otto anni di luminoso pontificato e, mentre ci affidiamo alla
sua intensa preghiera, gli assicuriamo la nostra. La Chiesa da subito si è posta in fiduciosa attesa di un nuovo Pastore secondo il cuore di Cristo e, come
un’onda crescente e visibile, da ogni punto della terra, la preghiera ha cominciato a salire verso Roma, verso il cuore della Cristianità, sempre più abbracciando i Cardinali sui quali gravava il compito della scelta.
Così in Conclave – avvolti dal silenzio della Cappella Sistina e separati dal
mondo – ogni Cardinale elettore, davanti alla maestà del giudizio finale, doveva individuare in coscienza colui che lo Spirito Santo aveva scelto come
Vescovo di Roma e universale Pastore. E così è stato. Momento grave, carico
di responsabilità, ma anche esperienza straordinaria di fede nella certezza che
Cristo, Pastore dei Pastori, guida la Chiesa: nelle sue mani è salda e serena.
Avviando i lavori assembleari salutiamo con viva cordialità il Nunzio apostolico in Italia, l’Arcivescovo Adriano Bernardini, che amabilmente è già qui
tra noi e la cui parola ascolteremo mercoledì prossimo nella concelebrazione
eucaristica nella Basilica di San Pietro.
Onoriamo con gioia il dovere dell’ospitalità dando il benvenuto ai confra34
telli Vescovi che qui rappresentano le Conferenze Episcopali di numerosi Paesi, ringraziandoli fin d’ora per il dono della loro presenza e della loro parola.
Accogliere fraternamente i Presuli che nell’ultimo periodo sono entrati a
far parte della nostra Conferenza. Confidiamo sul loro impegno e chiediamo
al Signore abbondanza di grazie per il loro ministero.
Mi riferisco a:
– s. e. mons. Edoardo Aldo Cerrato Vescovo di Ivrea
– s. e. mons. Massimo Camisasca Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
– s. e. mons. Guido Gallese
Vescovo di Alessandria
– s. e. mons. Pasquale Cascio
Arcivescovo di Sant’Angelo dei
Lombardi-Conza-Nusco- Bisaccia
– s. e. mons. Tommaso Caputo
Arcivescovo-Prelato di Pompei
– s. e. mons. Gerardo Antonazzo
Vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo
– s. e. mons. Pietro Lagnese
Vescovo di Ischia.
Un particolare saluto di riconoscenza e affettuosa vicinanza rivolgiamo ai
Confratelli che di recente hanno lasciato il governo pastorale, e che in altro
modo ora continuano a lavorare con noi per il bene delle nostre Chiese, o
sono stati chiamati a nuovo incarico.
Si tratta di:
– s. e. mons. Luciano Bux
Vescovo emerito di Oppido
Mamertina-Palmi
– s. e. mons. Dino De Antoni
Arcivescovo emerito di Gorizia
– s. e. mons. Filippo Strofaldi
Vescovo emerito di Ischia
– s. e. mons. Vincenzo Di Mauro
Arcivescovo-Vescovo emerito di
Vigevano
– s. e. mons. Adriano Caprioli
Vescovo emerito di Reggio EmiliaGuastalla
– s. e. mons. Gastone Simoni
Vescovo emerito di Prato
– s. e. mons. Rocco Talucci
Arcivescovo emerito di Brindisi-Ostuni
– s. e. mons. Carlo Liberati
Arcivescovo-Prelato emerito di Pompei
– s. e. mons. Giuseppe Verucchi
Arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia
– s. e. mons. Paolo Rabitti
Arcivescovo emerito di FerraraComacchio
35
– s. e. mons. Sergio Pintor
– s. e. mons. Salvatore Di Cristina
– s. e. mons. Sotir Ferrara
– s. e. card. Giuseppe Versaldi
Vescovo emerito di Ozieri
Arcivescovo emerito di Monreale
Vescovo emerito di Piana degli Albanesi
Arcivescovo-Vescovo emerito di
Alessandria, nominato Presidente della
Prefettura Affari Economici della Santa
Sede
– s. e. mons. Vincenzo Paglia
Arcivescovo-Vescovo emerito di TerniNarni-Amelia, nominato Presidente del
Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Grata memoria desideriamo fare dei fratelli Vescovi che in questo anno
hanno concluso la loro esistenza terrena. Domandiamo al Padre di ogni misericordia, che fedelmente hanno servito, di accoglierli nella pienezza della
vita.
Ecco i loro nomi:
– s. e. mons. Sergio Goretti
Vescovo emerito di Assisi-Nocera
Umbra-Gualdo Tadino
– s. e. mons. Pier Luigi Mazzoni
Arcivescovo emerito di Gaeta
– s. e. mons. Ottorino Pietro Alberti Arcivescovo emerito di Cagliari
– s. e. mons. Riccardo Ruotolo
Vescovo già ausiliare di Manfr.-ViesteSan Giov. Rotondo
– s. e. mons. Maffeo Giovanni Ducoli Vescovo emerito di Belluno-Feltre
– s. em. card. Carlo Maria Martini Arcivescovo emerito di Milano
– s. e. mons. Bruno Schettino
Arcivescovo di Capua
– s. e. mons. Massimo Giustetti
Vescovo emerito di Biella
– s. e. mons. Giovanni D’Ascenzi
Vescovo emerito di Arezzo-Cortona-San
Sepolcro
– s. e. mons. Cleto Bellucci
Arcivescovo emerito di Fermo
– s. e. mons. Pietro Garlato
Vescovo emerito di Tivoli.
La Chiesa è una storia d’amore
3. Fuori dallo sguardo di fede, non è possibile comprendere nulla del mistero della Chiesa, e ogni lettura distorce perché mondana. Ciò non deriva
36
da qualche strategia oscura, non esiste nessun arcano: si tratta della straordinaria semplicità di Dio che sfugge alle complicazioni divisive degli uomini,
e che fa della Chiesa il luogo dove Dio e l’uomo s’incontrano e insieme scrivono il cammino. Ecco perché – come da subito ha affermato Papa Francesco – la “Chiesa non è una ONG.
È una storia d’amore” (Omelia a Santa Marta, 24.4.2013). Una storia
d’amore tra Dio e gli uomini! È proprio questo sguardo soprannaturale sulla
Chiesa-mistero – già affermato dal Concilio Vaticano II – che il Santo Padre ha
richiamato con insistenza a tutti, quasi volesse tradurre con parole attuali la
suggestiva immagine di Sant’Ambrogio sulla Chiesa come “misterium lunae”.
Essa rimanda non a se stessa, né tanto meno in prima istanza alla capacità organizzativa degli uomini, ma a Cristo, il vero sole che illumina e si riflette sul volto della luna, la Chiesa. In altri termini, non si capisce la Chiesa se
non si guarda a Cristo: qui sta il cuore pulsante e luminoso del suo essere
“mistero”, cioè “sacramento”, luogo d’incontro tra Dio e l’uomo: “Ma cos’è
questa Chiesa? – insiste il Santo Padre – Questa nostra Chiesa, perché sembra che non sia un’impresa umana (…).
La Chiesa incomincia là, nel cuore del Padre (…). Il Padre ha avuto amore,
e ha cominciato questa storia d’amore, questa storia d’amore tanto lunga
nei tempi e che non è ancora finita (…). Noi, donne e uomini di Chiesa, siamo
in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello in questa catena
d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di che cosa sia la
Chiesa (…). E quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua
principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ONG. Ma la
Chiesa non è una ONG. È una storia d’amore (…). La Chiesa è Madre, e noi
siamo in mezzo a una storia d’amore che va avanti con la forza dello Spirito
Santo. E noi, tutti insieme, siamo una famiglia nella Chiesa che è nostra Madre” (ib). Viene in mente quanto Benedetto XVI disse in Germania parlando
delle strutture della Chiesa: “Ma dietro le strutture vi si trova anche la relativa forza spirituale?
Sinceramente dobbiamo dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito” (Incontro con il Consiglio del Comitato Centrale, Germania,
37
24.9.2011). Con umiltà e gratitudine dobbiamo costatare che, nonostante
limiti e ombre, anche gli uomini contemporanei guardano alla Chiesa con
rinnovato interesse e fiducia; ne è segno concreto anche la crescente partecipazione al sacramento della riconciliazione. Sempre a proposito della Chiesa, Papa Francesco si chiede: “Come cresce la Chiesa? (…) La Chiesa non
cresce con la forza umana (…). Gesù l’ha detto semplicemente: come il seme
della senape, cresce come il lievito nella farina, senza rumore” (Omelia cit.,
24.3.2013).
4. Cari Confratelli, l’inizio del Pontificato ci invita a ritornare sulla bellezza
e sul mistero della Chiesa nella luce della grande contemplazione del Concilio Vaticano II, e con la stessa passione che scaldava il cuore dei Padri conciliari: “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del
Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni
umani (…) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo.
Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari della
trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo cultori dell’uomo” (Paolo VI, Discorso
di chiusura del Concilio Vaticano II, 7.12.1965). È una contemplazione grata e
gioiosa, ma anche motivo per rinnovare la fiducia, rinvigorire il coraggio,
confermare la nostra responsabilità di Pastori per prendere il largo, per uscire dai piccoli porti e “osare il Vangelo” sospinti dallo zelo missionario.
Vengono alla mente alcune parole di E. Mounier. Parlando del cristiano,
lo esorta affinché “metta la vela grande dell’albero di maestra, e (…) salpi
verso la stella più lontana senza badare alla notte che l’avvolge” (L’avventura cristiana).
Queste parole le sentiamo nostre, consapevoli che la primissima forma di
questo prendere il largo è la nostra santità. È questo il volto decisivo di quella “carità pastorale” che caratterizza la nostra vocazione e missione: a questa “misura alta della vita cristiana ordinaria” (Giovanni Paolo II, Novo
millennio ineunte, 31) il popolo di Dio non deve rinunciare mai, tanto meno
noi Pastori.
38
Una Chiesa che fa vedere la fede
5. Nel decennio scorso, gli Orientamenti pastorali ci hanno sospinti ad
“Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia”. Oggi, il Papa conferma
questa nostra attenzione missionaria che ora stiamo vivendo in ottica educativa: “Tra i compiti affidati dal Maestro alla Chiesa c’è la cura del bene delle persone, nella prospettiva di un umanesimo integrale e trascendente (…).
Anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. La sua sorgente è Cristo risuscitato da morte” (CEI, Educare
alla vita buona del Vangelo, n. 5). È l’annuncio di Gesù il perno e lo scopo
della vita e della missione della Chiesa, come ha riaffermato anche il recente
Sinodo Generale Ordinario sulla nuova evangelizzazione.
Ed è sempre Lui il centro attorno a cui stiamo costruendo il prossimo
Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana a Firenze nel 2015; Lui, il suo mistero con le implicazioni umanistiche ed educative che vorremmo offrire alle
comunità ecclesiali, ma anche alla società intera. Il primato di Dio nella vita
dei cristiani deve risplendere nella sua bellezza, consapevoli che il Maestro ci
ha inviati nel mondo per condividere “ciò che abbiamo di più prezioso: non
sono le nostre opere o le nostre organizzazioni, no!
Quello che abbiamo di più prezioso è Cristo e il suo Vangelo” (Papa Francesco, Omelia, 12.5.2013).
6. Ma perché questo accada, perché la nostra fede possa essere “vista”
da tanti il cui cuore attende di vedere uno squarcio di cielo, è necessario innanzitutto arrendersi all’Amore di Dio che si è rivelato e donato in Gesù, e in
secondo luogo continuare a lottare per “vincere indifferenza e individualismo che corrodono le comunità cristiane e corrodono il nostro cuore (…)
Quanto danno arreca la vita comoda, il benessere; l’imborghesimento del
cuore paralizza” (Papa Francesco, Omelia, 12.5.2013).
In questa ottica missionaria ed educativa, il Papa incalza con la domanda:
“Come sono io fedele a Cristo? (…) Sono capace di far vedere la mia fede con
rispetto, ma anche con coraggio?” (ib). Sono domande semplici e dirette,
che vanno a scavare l’anima di ciascuno e delle comunità.
Una terza condizione, perché la fede diventi visibile, ci viene indicata parlando della nuova Santa Laura Montoya: “Questa prima Santa nata nella bel39
la terra colombiana ci insegna ad essere generosi con Dio, a non vivere la fede da soli – come se fosse possibile vivere la fede in modo isolato – ma a
comunicarla, a portare la gioia del Vangelo con le parole e la testimonianza
di vita in ogni ambiente in cui ci troviamo (…). Ci invita ad amare come Gesù
ci ha amato, e questo comporta non chiudersi in se stessi, nei propri problemi, nelle proprie idee, nei propri interessi, in questo piccolo mondo che ci
arreca tanto danno” (ib).
Si tratta, dunque, non solo di vivere la fede della Chiesa, ma anche di vivere la fede con la Chiesa, cioè in compagnia dei fratelli e della sorelle, nel
grembo della comunità cristiana. Solo così è possibile seminare il seme prezioso della fede a larghe mani come il seminatore del Vangelo, senza paura
di sprecare la semente sulle pietre o tra i rovi. Il credente sa che il dovere di
annunciare a tutti la fede è un compito ma anche una grazia per lui stesso,
poiché la fede si rafforza donandola, cioè guardando fuori di noi stessi, e ricordando che “quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità
del diavolo, la mondanità del demonio” (Papa Francesco, Omelia, 14.3.
2013), e “quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diventa
autoreferenziale e allora si ammala” (Card. J.M. Bergoglio, Discorso ai Cardinali prima del Conclave).
Nel cuore dell’Anno della fede, siamo così confermati a crescere nella fede, tenendo conto anche degli appuntamenti internazionali previsti a Roma
con il Santo Padre. La stessa Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, la prima di Papa Francesco proprio nel suo continente, sarà un’occasione
di confessione e di annuncio della fede dei giovani ai giovani del mondo. Come nelle altre Giornate, anche questa volta apparirà il volto giovane della
Chiesa, e noi Pastori saremo incoraggiati, quasi rigenerati dalla giovinezza dei
nostri ragazzi. Anche a Madrid, nel 2011, l’esperienza della gioia sostanziosa di
moltissimi giovani e del loro affetto per la Chiesa, il Papa e i Vescovi, è stata
una grazia che ci ha contagiati e di cui siamo loro profondamente grati.
Le opere della fede
7. Se, come scrive Benedetto XVI, “un Cristianesimo di carità senza verità
può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili
40
per la convivenza sociale, ma marginali” (Caritas in veritate, 4), sappiamo
che un Cristianesimo senza carità può venire scambiato per una ideologia,
una astrazione (cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas est).
Noi conosciamo la storia della Chiesa italiana, e bene la conoscono le nostre comunità, il popolo della nostra terra. È una storia di capillare diffusione
e di radicamento che – al di là delle circostanze storiche che si sono succedute nei millenni – è ispirata al mandato di Gesù di raggiungere tutte le genti fino ai confini della terra: città, borghi e villaggi, mari, monti e colline. Ma
anche fino ai confini dell’esistenza umana nei diversi ambiti di vita – dalla
casa al lavoro, dal tempo libero alla vita pubblica – come nelle situazioni esistenziali dell’amore, della gioia e del dolore. Ovunque, si è cercato di offrire
una presenza amica che rendesse visibile la mano provvidente di Dio nel
mondo, in particolare per i deboli e i poveri; che fosse annuncio credibile di
Cristo – nonostante limiti e fragilità umane – e segno della maternità della
Chiesa. Che suonasse profezia di quella umanità nuova che il Redentore aveva iniziato con la sua Croce. Che, infine, diventasse pungolo fraterno per la
città degli uomini affinché edifichi una società accogliente e giusta. Specialmente in certi tornanti della storia del nostro Paese, la Chiesa è stata una risposta pronta e certa – a volte l’unica – ai bisogni più diversi e urgenti che
chiedevano non solo tutte le risorse possibili del momento, ma la fantasia
della carità e capacità organizzativa, non di rado avanzando i tempi e intuendo bisogni.
In modo incisivo Paolo VI, a conclusione del Concilio, diceva: “Per conoscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio (…). Che
se, venerati Fratelli e figli qui presenti, noi ricordiamo come nel volto di ogni
uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori,
possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (…), e se nel volto di Cristo
possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste (…), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico: tanto
che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere
l’uomo” (Discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, 7.12.1965).
8. È questa la nostra storia, e se qui ne ho appena evocato i tratti e le ragioni, è solo per confermare quell’attenzione operosa e quotidiana cha mai
41
ha abbandonato l’annuncio della Parola e la vita liturgica delle nostre comunità cristiane, memori delle parole dell’Apostolo Giacomo: “Mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,18).
In questa prolungata crisi economica, non è mistero per nessuno che le
richieste di aiuto si moltiplicano a dismisura e approdano alle porte delle
parrocchie, dei centri di ascolto, dei molteplici gruppi, mense, centri di recupero, di integrazione, dispensari e ambulatori. Già nel 2007 avevamo lanciato l’allarme della povertà che avanzava strisciante. E ora siamo nel vortice
dell’emergenza che, come un’onda irriducibile e crescente, assedia. Ragion
per cui non solo le provvidenze pubbliche, ma anche la continua, generosa
raccolta nelle nostre comunità, sono benedette e meritorie seppur mai adeguate ai bisogni, come risulta anche da una recente indagine dal significativo
titolo “L’impegno” (Giuseppe Rusconi, L’impegno, come la Chiesa italiana
accompagna la società nella vita di ogni giorno, Rubettino, 2013).
È la nostra missione e, mentre siamo grati al Signore che ci dà la grazia di
poterlo servire nelle sue membra più bisognose, vogliamo ringraziare lo
stuolo dei nostri Sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi e delle consacrate, e la
moltitudine di volontari che si prodigano con fede e ammirevole generosità.
La società al bivio
9. Come sempre, non possiamo non pensare anche al nostro amato Paese. Tanto più perdurando la gravissima crisi che investe l’Europa e il mondo,
e dopo un periodo di non piccoli passaggi istituzionali. A noi Pastori sta a
cuore non una formula specifica, ma i princìpi che devono ispirare la vita politica e, più in generale, il vivere sociale. In questo senso, la nostra riflessione
tocca i livelli antropologico, etico e culturale, poiché questi sono i fili decisivi
che costituiscono il tessuto della società e ne misurano verità e consistenza.
Possiamo dire che ne pesano il grado di umanità e di giustizia.
Una prima considerazione, che si va sempre più imponendo, è la necessità di uscire dai luoghi comuni del pensare e dell’agire. Il conformismo diffuso
non aiuta a giudicare le cose con la propria testa. L’anticonformismo auspicato non è smania di apparire originali, fuori dal coro, ma è essere rispettosi
della realtà, liberi dal “così fan tutti”. L’andare contro corrente non è facile!
42
Richiede un’ascesi intellettuale fatta di disciplina interiore, fatica per vincere la pigrizia del lasciar andare; ma esige anche un’ascesi morale fatta di
coraggio per resistere alle pressioni del pensiero unico che non accetta di
essere contraddetto, disponibili a cambiare le proprie abitudini, ad andare
contro il proprio tornaconto se la verità lo richiede. Il bene comune, che la
buona politica deve avere come valore superiore, pretende la capacità di anteporre all’interesse personale o di parte il bene generale, cioè il bene del
Paese. Con la sua missione educativa, la Chiesa offre il proprio contributo affinché, nella contesa ormai universale tra “utilitas” e “veritas”, la verità non
soccomba.
La categoria dell’utilità, in sé, non è male; ma se diventa un valore assoluto – staccata cioè dalla verità delle cose – allora si snatura e, alla fine, nega
se stessa. Parimenti, per la categoria del “potere”: se esso sguscia dal valore
del servizio, allora diventa fine a se stesso e si deforma nei suoi volti peggiori. È dunque necessario coltivare il senso e il gusto del vero, specialmente
nelle giovani generazioni, che di solito sono più libere rispetto a ideologie,
schemi ingessati e interessi individuali.
10. Una seconda considerazione riguarda il clima di ostinata contrapposizione che, a momenti alterni, si deve registrare tanto a livello privato che
pubblico: quando la naturale logica del confronto e della dialettica sale nei
toni e nelle parole, quando non arriva mai a conclusioni condivise ma si impunta avvolgendosi su se stessa, quando si cristallizza diventando costume,
allora si rischia la patologia che paralizza il vivere sociale. È il segno triste e
sconfortante di un modo di pensare vecchio e ripiegato, autoreferenziale e
senza futuro. Non è questione di anagrafe, ma di giovinezza dell’anima. Ci si
chiede a volte se contano di più la verità e il bene, oppure il pretendere di
avere ragione, o meglio l’affermazione del proprio “io” e della propria immagine. Se così fosse, ci sarebbe da interrogarsi sulla propria consistenza interiore.
Le vicende che hanno segnato il nostro Paese sul piano politico e istituzionale devono far riflettere e innescare un serio esame di coscienza: tutti
abbiamo bisogno di convertire il cuore e la vita, ma questa generalizzazione
non può essere intesa come una sorta di “male comune” assolutorio, spe43
cialmente se si portano responsabilità pubbliche. In questi tempi abbiamo
visto, ad alti livelli, gesti e disponibilità esemplari che devono ispirare tutti;
ma anche situazioni intricate e personalismi che hanno assorbito energie e
tempo degni di ben altro impiego, vista la mole e la complessità dei problemi che assillano famiglie, giovani e anziani. Dopo il responso delle urne, i cittadini hanno il diritto che quanti sono stati investiti di responsabilità e onore
per servire il Paese, pensino al Paese senza distrazioni, tattiche o strategiche
che siano. Pensare alla gente: questa è l’unica cosa seria. Pensarci con grandissimo senso di responsabilità, senza populismi inconcludenti e dannosi,
mettendo sul tavolo ognuno le migliori risorse di intelletto, di competenza e
di cuore.
Allora insieme è possibile. Non bisogna perdere l’opportunità, né disperdere il duro cammino fatto dagli italiani. L’ora è talmente urgente che qualunque intoppo o impuntatura, da qualunque parte provenga, resteranno
scritti nella storia.
11. Noi Vescovi, a contatto con la gente, abbiamo il dovere di dare voce
alle preoccupazioni crescenti e al disagio sociale diffuso, alla moltitudine di
giovani che non trovano lavoro, a quanti – anche avanti negli anni ma senza
possibilità di pensione – l’hanno perso, a quanti sono in ambascia per
l’incertezza del domani, a coloro che oggi sono scesi al livello della povertà e
a volte dell’angoscia.
Sicuramente, diverse sono le cose importanti da fare per il bene comune,
e nessuna di queste è contro le altre, anzi, tutte si richiamano e si sostengono più o meno direttamente. Ma c’è da chiedersi: qual è la lama più dolorosa nella carne della gente? Quella che chiede interventi immediati ed efficaci
perché ogni giorno è in gioco il giorno dopo? “Il lavoro – diceva recentemente il Santo Padre – è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci ‘unge’ di dignità, ci riempie di
dignità; ci rende simili a Dio che ha lavorato e lavora, agisce sempre; dà la
capacità di mantenere se stessi, la propria famiglia, di contribuire alla crescita della Nazione. (…)
Desidero rivolgere (…) ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo si44
gnifica preoccuparsi della dignità della persona” (Udienza Generale 1.5.
2013). In questa prospettiva, il Papa parla anche di “lavoro schiavo, il lavoro
che schiavizza” le persone perché le sottomette a se stesso fino ad alimentare una vera e propria “tratta delle persone” anche ai giorni nostri (cfr. ib.).
Affinché il lavoro veramente “unga” di dignità ogni lavoratore, non deve
diventare – quando c’è – talmente invasivo da impedire sia il necessario riposo fisico e spirituale, sia la possibilità di coltivare i rapporti con gli altri, tenendo conto che i primi rapporti sono quelli della famiglia. È del tutto
evidente che il lavoro domenicale impedisce che la famiglia si ritrovi unita in
un tempo disteso e comune da dedicare a se stessa, agli altri e, se credente,
a Dio e alla comunità cristiana.
Considerare ciò di poco conto, magari con la giustificazione di lasciare il
lavoro festivo come un’opzione, significa sottomettere la persona all’economia – senza peraltro evidenti vantaggi – con danni incalcolabili per la tenuta della società intera.
Le statistiche pubbliche sul lavoro e l’occupazione sono eloquenti e non
ammettono repliche. È vero che continuano ad esserci settori produttivi che
tengono o sono addirittura fiorenti, ma sono delle nicchie rispetto all’insieme. Come emerge nel recente Rapporto-proposta sul lavoro – elaborato dal
Progetto Culturale della CEI – siamo convinti che è possibile superare la
crisi con un forte e deciso piano industriale che, tenendo in casa il patrimonio e la professionalità italiana, rilanci con tenacia la produzione nazionale insieme alla necessaria attenzione finanziaria. Così che, dicono gli
esperti, la macchina si metta nuovamente in moto. Circa le pesanti politiche fiscali ci chiediamo: fino a quando potranno raccogliere risorse se tutto
rallenta?
12. Così la famiglia – patrimonio incomparabile dell’umanità – che ancora una volta ha dato prova di sé rivelandosi il primo e principale presidio non
solo della vita, ma anche di energie morali e di tenuta sociale ed economica:
fino a quando potrà resistere senza politiche consistenti, incisive e immediate? Essa è un bene universale e demolirla è un crimine; affonda le sue radici
nell’essere dell’uomo e della donna, e i figli sono soggetto di diritto da cui
nessuno può prescindere.
45
La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità, e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in
larga misura già garantiti dall’ordinamento. Il grave problema demografico
– che in alcuni Paesi europei è stato affrontato con buoni risultati – quando
sarà preso in seria considerazione senza rimandi o depistaggi che nulla hanno a che fare con le urgenze reali?
Viene da chiedersi se la possibilità di futuro valga ancora nella sensibilità
pubblica: la capacità di affrontare il presente con gli occhi del futuro disegna
il volto dei veri statisti. La prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani,
che si celebrerà a Torino dal 12 al 15 settembre prossimo, avrà come tema
la famiglia. Confidiamo – e questa è l’intenzione della Chiesa in Italia – che
possa essere un ulteriore contributo per l’intera società e le sue prospettive
culturali, politiche, educative e sociali.
13. Dobbiamo riconoscere che, per guardare a un futuro migliore, è necessaria anche una sorta di bonifica culturale al fine di discernere le categorie concettuali e morali che descrivono o deformano l’alfabeto dell’umano,
con i suoi fondamentali come la persona, la vita e l’amore, la coppia e la famiglia, il matrimonio e la libertà educativa, la giustizia.
È da questa attenzione di tipo antropologico che dipende la possibilità di
una società umana o, al contrario, di un coacervo che sarà disumano e spietato. Quando il pensiero unico, con la complicità di risorse e strumenti, non
riconosce la sacralità della persona – di ogni persona comunque – allora si è
entrati nella fase della decadenza. Al fondo di una certa cultura individualistica non vi è il rispetto della persona, ma la volontà di distruggere l’uomo
nella sua dignità, di delegittimarlo nelle sue manifestazioni personali e sociali, per farne un soggetto smarrito e incerto, prigioniero di se stesso, facile
preda di chi è più forte e scaltro. Snaturato della sua dignità sacra, l’uomo
viene sottomesso all’economia. È forse utile ricordare che la parola “sacralità” non rimanda esclusivamente a Dio. Essa mantiene la sua legittimità in
quanto indica qualcosa che ci precede, che è indisponibile, e che l’esperienza personale attesta.
Quando qualcuno, infatti, sente rivolte a sé queste parole – “tu non mi
46
interessi” – avverte, senza necessità di argomenti, che è stato commesso un
crimine morale contro di lui, che la giustizia è stata violata e l’universo è più
buio. La voce della Chiesa non potrà mai tacere quando ci si pone sul piano
dell’uomo. Incisivo, al riguardo, è quanto scrisse l’allora Card. Bergoglio parlando del rapporto della Chiesa con la politica: “L’importante è non mettersi
nella politica di parte, ma nella grande politica che nasce dai Comandamenti
e dal Vangelo. Denunciare le violazioni dei diritti umani, le situazioni di sfruttamento o esclusione, le carenze educative e alimentari non significa essere
di parte (…). Quando parliamo, alcuni ci accusano di fare politica. Io gli rispondo: sì, facciamo politica nel senso evangelico della parola, ma non siamo di parte” (Il nuovo Papa si racconta, Salani, 2013, p. 79).
14. In questa prospettiva, la società nel suo insieme non deve mai assuefarsi alle diverse forme di evasione che degradano e distruggono i suoi figli a
vantaggio di pochi profittatori senza scrupoli.
Il nostro pensiero ritorna sul gioco d’azzardo che divora giovani, anziani e
famiglie; come sulla smania mortale di sfide e di brivido estremo, che manifesta non coraggio, ma il devastante vuoto interiore che genera spregio della
vita propria e altrui. E la ricorrente violenza sulle donne a cui assistiamo con
raccapriccio, non indica a sua volta il deserto di quei valori spirituali e morali
così spesso denigrati o derisi come merce vecchia da buttare in soffitta? È
anche questo il frutto della conclamata libertà individuale senza limiti e regole, sufficiente a se stessa, trasformata in libertarismo etico?
Il fantasma del nichilismo, del quale Nietzsche fu profeta, continuerà a
materializzarsi fino a quando la società intera non avrà una scossa positiva.
Sì, la società contemporanea è al bivio! Non solo le singole coscienze sono
chiamate a un risveglio, ma anche la coscienza collettiva deve scuotersi dal
torpore etico-spirituale che genera un modo di pensare talmente fluido che
le emozioni individuali diventano l’unica realtà, fino a sovrastare la vita degli
altri in forme violente, come purtroppo si assiste anche nelle strade delle
nostre città: “È il primato dell’individuo e dei suoi diritti sulla dimensione
che vede l’uomo come un essere in relazione. È l’individualizzazione autoreferenziale; è il dominio dell’‘io penso, io ritengo, io credo’ al di sopra della
stessa realtà, dei parametri morali, dei riferimenti normativi, per non parlare
47
dei precetti di ordine religioso” (J.M. Bergoglio, Noi come cittadini, noi come
popolo, Jaca Book, 2013, p. 35).
È l’ora di una grande alleanza educativa che proponga, come ho già detto, il gusto della verità e del bene, la capacità di conoscere se stessi, la bellezza delle relazioni. Nell’orizzonte di tale sfida, ancora una volta chiediamo
che si riconosca concretamente il diritto dei genitori a educare i figli secondo
le proprie convinzioni. Sempre di più, invece, sono costretti a rinunciare sotto la pressione della crisi e la persistente latitanza dello Stato. Il Laboratorio
nazionale di studio, promosso dai Vescovi per i Responsabili degli Uffici diocesani della Scuola nonché delle Scuole Cattoliche, ha avuto una grande risposta. A Dio piacendo, seguirà nel prossimo anno un raduno di popolo.
15. Per la verità, noi Pastori abbiamo la grazia di essere testimoni anche
di un’altra realtà, la maggioritaria: quella di tanta gente semplice e umile
che non ama schiamazzi e ribalte, che è dedita ai propri doveri quotidiani in
famiglia, nella fedeltà agli affetti, a scuola e nel lavoro, nella comunità cristiana e nella società. Questa moltitudine è sana, seria e generosa. Ha il senso della vita reale non romanzata. Costoro fanno la gloria dell’Italia, e sono il
nerbo portante del Paese, contenti di fare il proprio dovere con onestà e
molto spesso con fede genuina. Questo popolo, l’Italia l’ha visto recentemente in una tragedia che ha colpito l’anima della Nazione proprio nel porto
della mia Genova. Il fatto è noto, forse meno la dignità, la forza e la fede dei
familiari delle vittime – militari e civili – di tanti giovani amici e colleghi,
che mi hanno confidato parole e sentimenti, pensieri e propositi che sono
frutto commovente di una fede essenziale e radicata. A tutti loro va il nostro riverente pensiero, l’affettuosa ammirazione e la preghiera; così come
la gratitudine di Genova va al Paese intero che ha mostrato solidarietà e
vicinanza.
Il popolo della vita
16. L’urgenza di superare la crisi economica non deve far dimenticare il
fronte delicatissimo e fondativo della vita umana. È, questo, un campo non
solo sempre aperto, ma anche esposto a derive ulteriori. È doverosa la
continua, attiva attenzione della comunità cristiana e di quanti – non sono
48
pochi – riconoscono l’evidenza della vita umana in tutti i suoi momenti e
forme; tanto più bisognosa di tutela e di cura quanto più è debole e indifesa.
Per questa ragione i Vescovi italiani hanno aderito con ferma convinzione all’iniziativa dei Movimenti per la Vita che sono in Europa al fine di una
significativa raccolta di firme, perché le Istituzioni Europee riconoscano in
pieno lo “Statuto dell’embrione” e sospendano ogni finanziamento finalizzato alla sperimentazione sugli embrioni umani. Salutando i partecipanti alla
recente “Marcia per la vita”, il Papa aggiungeva: “Mi piace ricordare anche la
raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane al fine di sostenere l’iniziativa europea ‘Uno di noi’, per garantire protezione giuridica
all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua
esistenza” (Regina coeli, 12.5.2013).
L’Europa è la terra dove il cristianesimo è fiorito generando quell’umanesimo plenario di cui tutto il mondo gode, ma che si vorrebbe ostinatamente separare dalla linfa vitale del Vangelo.
La recente raccomandazione che la Corte dei diritti umani a Strasburgo
ha fatto circa il diritto al suicidio assistito, è l’ulteriore prova del progetto di
una società senza relazioni, dove ognuno – in nome dell’autodeterminazione
individuale – si trova solo. Il no all’eutanasia e al suicidio assistito – e con
raccapriccio sentiamo che qua e là si parla anche di infanticidio – è un grande sì alla vita e all’amore.
Come già osservato in molte occasioni, il dolore e la sofferenza che bussano alla porta di ciascuno, sono un appello alla società intera perché si mostri per quello che deve essere: una comunità di vita e di destino nella quale
nessuno si trova abbandonato a se stesso, ma preso in cura, sostenuto con
la vicinanza dell’amore. Impedire il cancro della solitudine è la prima e fondamentale risposta che una società deve dare alla sofferenza dei suoi membri.
La paura più devastante, infatti, scaturisce dalla solitudine e dall’abbandono, mentre l’atteggiamento d’amore trova vie misteriose per farsi
percepire e saper medicare. La vita non è solo un bene per ciascuno, ma anche – in misura – un bene che concorre al tesoro comune (cfr. Costituzione
della Repubblica Italiana, art. 32). E tutto questo non partecipa in modo significativo alla “qualità della vita”? Proprio perché i discepoli di Gesù non
49
possono essere “cristiani da salotto” (cfr. Papa Francesco, Udienza Generale,
15.5.2013), le nostre comunità devono crescere in una fede capace di farsi
giudizio chiaro, proposta concreta e presenza decisa dentro alle sfide del nostro tempo.
17. La cultura della vita ci fa allargare lo sguardo sul resto del mondo dove non possiamo tacere le precarie situazioni in cui vivono fratelli e popoli a
causa di calamità o conflitti. Così come non possiamo dimenticare le continue, gravi violazioni dei diritti umani in molte parti del pianeta. Ci riferiamo
innanzitutto alla continua persecuzione contro i cristiani: prosegue inarrestabile sotto lo sguardo distratto dell’Occidente in Pakistan, dove Asia Bibi è
segregata in carcere da 1.400 giorni per il solo fatto di essere cristiana; e poi
in Nigeria e altrove. Nel firmamento dei Santi, recentemente si sono accese
le ottocento luci dei martiri di Otranto, grazia attesa per tutta la Chiesa in
Italia. Così si esprimeva il Santo Padre: “Mentre veneriamo i Martiri di
Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi
tempi e in tante parti del mondo, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene” (Omelia, 12.5.2013).
Esprimiamo altresì la nostra fraterna vicinanza ai due Vescovi ortodossi
in mano ai ribelli in Siria, dove anche risulta disperso un giornalista de “La
Stampa”: mentre assicuriamo la nostra preghiera, auspichiamo che possano
ritornare subito in libertà e che la situazione del Paese trovi presto la soluzione più giusta ed equa. Invochiamo pure il dono della pace nei Paesi del
Maghreb.
50
DOCUMENTI DELLA CHIESA PUGLIESE
REGIONE ECCLESIASTICA PUGLIA
Norme Statutarie della Conferenza Episcopale Pugliese
Art. 1
La Regione Ecclesiastica Puglia costituita ed eretta in persona giuridica
canonica pubblica dalla Santa Sede con decreto 1035/92, a norma del can.
433 del Codice di Diritto Canonico, è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Essa ha sede in Molfetta c/o il Pontificio Seminario Regionale Pio XI di
Molfetta, viale Pio XI, 70056, Molfetta (BA).
Art. 2
La Regione Ecclesiastica Puglia ha lo scopo di promuovere un’azione pastorale comune tra le diocesi che la compongono e di favorire i mutui rapporti tra i Vescovi diocesani nella prospettiva di una più ampia convergenza
di comunione in seno alla Chiesa che è in Italia, secondo gli indirizzi ed entro
i limiti stabiliti dal can. 434 del Codice di diritto canonico.
Art. 3
La Regione Ecclesiastica è governata collegialmente dalla Conferenza
Episcopale regionale, costituita dai Vescovi diocesani delle Chiese particolari
della stessa Regione, da coloro che per diritto sono ad essi equiparati, dai
Vescovi loro Coadiutori e Ausiliari.
Art. 4
La Conferenza Episcopale regionale, per il tramite del Presidente o dei
suoi delegati, mantiene rapporti con le autorità civili e con le realtà sociali,
culturali e politiche, al fine di contribuire, in sincera collaborazione, alla
promozione dell’uomo e al bene della popolazione della Regione.
Art. 5
Per la validità delle sedute della Conferenza Episcopale regionale è richiesta la presenza dei due terzi degli aventi diritto. Le deliberazioni della
Conferenza sono adottate con il consenso dei due terzi dei membri della
Conferenza medesima. Le deliberazioni di carattere pastorale hanno effica53
cia nelle singole diocesi se promulgate dal rispettivo Vescovo. Le deliberazioni che approvano eventuali accordi o intese con la Regione civile Puglia o
con i suoi organi hanno efficacia vincolante per tutte le diocesi, a condizione
che abbiano ottenuto la “recognitio” della Santa Sede.
Art. 6
L’incarico di Presidenza e di Vice Presidenza della Regione Ecclesiastica
ha la durata di cinque anni ed è assunto dal Presidente e dal Vice Presidente
della Conferenza Episcopale regionale, eletti dai membri della stessa.
Art. 7
Spetta al Presidente:
– rappresentare legalmente la Regione Ecclesiastica, anche di fronte a
qualsiasi autorità giudiziaria e amministrativa, tanto canonica quanto
civile
– convocare e presiedere la Conferenza Episcopale regionale
– compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
Spetta alla Conferenza Episcopale regionale deliberare gli atti di straordinaria amministrazione.
Art. 8
Il Vice Presidente sostituisce il Presidente, assumendone le funzioni, in
caso di sua assenza o di impedimento e di vacanza dell’ufficio.
Art. 9
Il patrimonio della Regione Ecclesiastica è costituito dalla dotazione
stanziata dalle diocesi che compongono la Regione medesima, nonché da
offerte dei fedeli e da beni derivanti da acquisti, donazioni, eredità e
legati.
Art. 10
Ogni mutamento statutario deve essere deliberato dalla Conferenza Episcopale regionale e approvato dalla Santa Sede.
Art. 11
Il Regolamento attuativo del presente statuto è adottato dalla Conferenza Episcopale regionale su proposta del Presidente.
54
Art. 12
In caso di estinzione della Regione Ecclesiastica il patrimonio sarà devoluto in quote uguali alle diocesi comprese nel territorio regionale, fermo restando il disposto dell’art. 20 della legge 20 maggio 1985, n. 222.
Art. 13
Per quanto non previsto negli articoli precedenti si applicano le norme
del diritto canonico e le leggi civili in quanto applicabili agli enti ecclesiastici.
Regolamento della Conferenza Episcopale Pugliese
Art. 1
Natura e Sede
§ 1. La Regione Ecclesiastica Puglia, costituita ed eretta in persona giuridica pubblica dalla Santa Sede con decreto della Congregazione per i Vescovi
n. 1035/92 eseguito in data 4 novembre 1994, è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ed è governata collegialmente dalla Conferenza Episcopale Pugliese.
§ 2. Essa ha sede in Molfetta (BA), presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI, Viale Pio XI, 54.
Art. 2
Finalità
§ 1. La Regione Ecclesiastica Puglia intende attuare la collegialità episcopale nell’azione pastorale comune tra le diocesi che la compongono e favorire mutui rapporti tra i loro Vescovi.
§ 2. Pertanto, la Conferenza Episcopale Pugliese:
– si riunisce almeno tre volte l’anno per esaminare collegialmente le
questioni pastorali ed assumere eventuali deliberazioni
– promuove relazioni reciproche tra istituzioni e organismi diocesani,
provinciali e regionali per il confronto su diversi problemi e l’adozione
di prassi comuni, favorendo così l’azione evangelizzatrice della Chiesa
nella Regione
– propone ai Vescovi membri attività di formazione e di preghiera, quali corsi di esercizi spirituali
55
– sostiene forme di reciproco aiuto tra le istituzioni delle diocesi
– favorisce l’interscambio delle risorse personali e la perequazione di
quelle economiche da parte delle diocesi più dotate nei confronti di
quelle in difficoltà.
Art. 3
Membri
§ 1. La Conferenza Episcopale Pugliese è costituita dai Vescovi diocesani
delle Chiese particolari della stessa Regione Puglia, da coloro che per diritto
sono ad essi equiparati, dai Vescovi loro coadiutori e ausiliari.
§ 2. I Vescovi che non hanno dato inizio al proprio ministero episcopale
nella diocesi, benché ricevano le comunicazioni dalla Conferenza Episcopale
Pugliese, non hanno tuttavia diritto di voto.
Art. 4
I Vescovi emeriti
I Vescovi emeriti delle Diocesi di Puglia possono intervenire alle riunioni
della Conferenza senza diritto di voto.
Art. 5
Sessioni e Attività
§ 1. La Conferenza Episcopale Pugliese si riunisce in sessione ordinaria
tre volte all’anno, successivamente alle sessioni del Consiglio Permanente
della Conferenza Episcopale Italiana.
§ 2. La Conferenza Episcopale Pugliese si riunisce in sessione straordinaria ogni qualvolta il Presidente lo riterrà opportuno o quando lo richiederà la maggioranza dei membri aventi diritto.
§ 3. Il calendario delle sessioni ordinarie dovrà essere formulato all’inizio
di ogni anno pastorale. Per la validità delle sedute della Conferenza Episcopale Pugliese è richiesta la presenza dei due terzi degli aventi diritto.
§ 4. L’o.d.g. è definito dal Presidente, il quale potrà includere, con gli argomenti proposti dai membri della Conferenza, anche altri argomenti di
speciale rilevanza.
§ 5. Le deliberazioni della Conferenza sono adottate con il consenso dei
due terzi dei membri della Conferenza medesima.
56
§ 6. Le deliberazioni di carattere pastorale hanno efficacia nelle singole
diocesi se promulgate con decreto del proprio Vescovo.
§ 7. Le deliberazioni che approvano accordi o intese con la Regione civile
Puglia o con i suoi organi, possono essere promulgate solo dopo aver ottenuto la “recognitio” della Sede Apostolica, specificatamente la Congregazione per il Clero, ed hanno efficacia vincolante per tutte le diocesi.
§ 8. Le deliberazioni della Conferenza Episcopale Pugliese vincolanti per
tutte le diocesi sono promulgate mediante pubblicazione nella Rivista diocesana di ciascuna diocesi ed entrano in vigore alla data indicata nella deliberazione stessa.
§ 9. Possono essere invitati alle riunioni, secondo l’opportunità, presbiteri, diaconi, membri di istituti di vita consacrata e di società di vita apostolica
e laici, rappresentanti a livello regionale di associazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana e esperti delle materie di cui si tratta.
Art. 6
Verbale, documenti e comunicato finale
§ 1. In ogni sessione della Conferenza Episcopale Pugliese sarà redatto un
verbale nel quale dovranno essere riportate soprattutto le decisioni adottate.
§ 2. Il Segretario redigerà il verbale e, dopo averne dato lettura nella sessione successiva per l’approvazione, lo firmerà unitamente al Presidente.
§ 3. Copia dei verbali e di tutti gli altri documenti approvati e promulgati
dalla Conferenza Episcopale Pugliese sarà trasmessa ai Vescovi della Regione, alla Congregazione per i Vescovi, alla Segreteria Generale della CEI e alla
Nunziatura Apostolica in Italia.
§ 4. Al termine delle sessioni, qualora venga deliberato dalla Conferenza
Episcopale Pugliese, potrà essere emesso un comunicato stampa circa lo
svolgimento dei lavori.
Art. 7
Rapporti con Regioni Ecclesiastiche e con la Conferenza Episcopale Italiana
§ 1. La Regione Ecclesiastica Puglia persegue indirizzi e promuove strumenti di convergenza pastorale tra le Province ecclesiastiche presenti nel
proprio territorio e con le altre Regioni Ecclesiastiche italiane.
57
§ 2. La Conferenza Episcopale Pugliese è organicamente collegata con la
Conferenza Episcopale Italiana secondo le disposizioni dello Statuto della
Conferenza Episcopale Italiana.
§ 3. È impegno della Conferenza Episcopale Pugliese assicurare il contributo della propria collaborazione alla Conferenza Episcopale Italiana, in
special modo valutando previamente e collegialmente le questioni da discutersi nelle assemblee generali.
§ 4. È compito del Presidente informare la Conferenza Episcopale Pugliese di quanto discusso e deliberato nel Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana.
Art. 8
Rapporti con le componenti ecclesiali regionali
La Regione Ecclesiastica Puglia promuove ed accoglie la collaborazione
dei Presbiteri, dei Diaconi, dei Membri di Istituti di Vita Consacrata e di Società di Vita Apostolica e dei Laici attraverso i loro organi istituzionali regionali.
Art. 9
Rapporti con le realtà civili
§ 1. La Conferenza Episcopale Pugliese, per il tramite del Presidente o dei
suoi delegati, mantiene rapporti con le autorità civili e con gli organismi sociali, culturali e politici, al fine di contribuire, in spirito di sincera collaborazione come previsto dall’art. 1 dell’Accordo di revisione del Concordato tra
l’Italia e la Santa Sede, alla promozione dell’uomo e al bene della popolazione della Regione.
§ 2. La Regione Ecclesiastica Puglia può stipulare intese con la Regione
civile Puglia o con i suoi organi in materie che concernono le rispettive competenze, tenendone informate la Conferenza Episcopale Italiana e la Santa
Sede.
§ 3. A servizio delle diocesi è istituito presso la Segreteria della Conferenza Episcopale Pugliese un “Osservatorio Legislativo”, che ha il compito di seguire e valutare i problemi, la documentazione e i progetti di leggi e di
provvedimenti che vengono presentati e discussi in sede di Consiglio e di
58
Giunta Regionale e che hanno particolare rilievo sotto il profilo pastorale.
Dovrà, inoltre, mantenere regolari rapporti con l’analogo organismo istituito
presso la Conferenza Episcopale Italiana.
Art. 10
Presidente e Vice Presidente
§ 1. Il Presidente e il Vice Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese sono eletti dai membri della medesima, tra i Vescovi diocesani e i Vescovi
coadiutori, a norma del can. 119 n. 1 del CJC.
§ 2. La votazione, distinta per ciascuna carica, si esprime con voto segreto.
§ 3. Gli eletti durano in carica un quinquennio e sono rieleggibili solo per
un altro quinquennio.
§ 4. Spetta al Presidente:
– rappresentare legalmente la Regione Ecclesiastica, anche di fronte a
qualsiasi autorità giudiziaria e amministrativa, tanto canonica quanto
civile
– convocare e presiedere la Conferenza Episcopale Pugliese
– compiere gli atti di ordinaria amministrazione
– eseguire le deliberazioni della Conferenza circa gli atti di straordinaria
amministrazione.
§ 5. Gli atti di straordinaria amministrazione sono deliberati dalla Conferenza Episcopale Pugliese.
§ 6. Il Presidente definisce e approva l’ordine del giorno delle riunioni,
tenendo presenti le proposte dei membri della Conferenza, e ne dirige lo
svolgimento. In caso di assenza lo sostituisce il Vice Presidente.
Art. 11
Il Segretario
§ 1. Allo scopo di coordinare e sostenere l’attuazione degli indirizzi della
Regione Ecclesiastica, la Conferenza Episcopale Pugliese elegge, tra i Vescovi
diocesani, i Vescovi coadiutori e i Vescovi ausiliari, un Segretario a norma del
can. 119 n. 1 del CJC.
§ 2. Spetta in particolare al Segretario:
59
– predisporre l’ordine del giorno delle riunioni della Conferenza Episcopale d’intesa con il Presidente e sentite le proposte dei membri
della stessa
– trasmettere l’avviso di convocazione con il relativo ordine del giorno
almeno quindici giorni prima della riunione
– redigere i verbali delle riunioni, che si ritengono approvati da tutti se
non sono sollevate eccezioni nella successiva riunione della Conferenza
– provvedere personalmente, o seguendo responsabilmente l’opera
degli incaricati, all’esecuzione di quanto deliberato
– curare l’archivio, conservandovi i verbali delle riunioni e gli altri documenti della Regione Ecclesiastica e della Conferenza Episcopale.
§ 3. La Conferenza Episcopale Pugliese può nominare uno o più Segretari
aggiunti, anche Presbiteri, che aiutino il Segretario nelle sue funzioni.
§ 4. Il Segretario dura in carica un quinquennio ed è rieleggibile solo per
un altro quinquennio.
Art. 12
Incarichi nella Regione Ecclesiastica
§ 1. Allo scopo di promuovere una più efficace attività pastorale, la Conferenza Episcopale Pugliese affida il compito di seguire, personalmente e responsabilmente, le diverse aree di competenza a persone esperte. Tale
compito può essere conferito a Vescovi, a Presbiteri, a Diaconi o a Laici, a
seconda delle varie aree.
§ 2. La Conferenza Episcopale Pugliese elegge i Vescovi “delegati regionali”, secondo il disposto del can. 119 n. 1 del CJC, per settori di attività pastorale, possibilmente in corrispondenza con quelli delle Commissioni
Episcopali e delle Commissioni Ecclesiali della Conferenza Nazionale, anche
per favorire gli opportuni collegamenti con i relativi organi statutari della
Conferenza Episcopale Italiana.
§ 3. La Conferenza Episcopale Pugliese nomina gli “incaricati regionali”
per settori di attività pastorale.
60
Art. 13
Commissioni regionali
§ 1. Le Commissioni regionali sono costituite per coordinare le iniziative
riguardanti un determinato settore pastorale con deliberazione della Conferenza Episcopale Pugliese, cui spetta determinare, e se necessario modificare, il numero, la denominazione e le competenze delle Commissioni
regionali. Esse hanno sede presso il Pontificio Seminario Regionale Pio XI in
Molfetta (BA) e recapito presso la residenza del Vescovo che le presiede.
§ 2. Le Commissioni regionali ordinariamente sono composte da:
– il Vescovo delegato per il settore in qualità di Presidente
– l’incaricato regionale per il settore in qualità di Segretario
– gli incaricati diocesani nominati dai rispettivi Ordinari.
§ 3. Il Vescovo delegato può invitare, quando lo ritiene opportuno, i rappresentanti delle associazioni ecclesiali o di ispirazione cristiana operanti nel
settore e persone esperte nel settore.
§ 4. Le Commissioni si riuniscono ordinariamente tre volte all’anno; possono essere convocate in riunione straordinaria ogni volta che il Presidente
lo ritenga opportuno o quando sia richiesto da un terzo dei suoi membri o
dal Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese.
§ 5. La Commissione è convocata dal Presidente il quale stabilisce
l’ordine del giorno.
§ 6. Gli incarichi e le collaborazioni nell’ambito della attività dei settori
pastorali sono gratuiti, a titolo di servizio ecclesiale volontario.
§ 7. Le eventuali spese per il funzionamento delle Commissioni sono a
carico dei componenti, salvo quanto previsto nel preventivo approvato dalla
Conferenza Episcopale Pugliese.
§ 8. Il Segretario della Commissione ha il compito di inviare ai membri
della Commissione la convocazione con l’o.d.g. entro dieci giorni prima della
riunione, redigere i verbali delle riunioni e tenere l’archivio della Commissione.
§ 9. Le Commissioni regionali attualmente sono le seguenti:
1. Commissione per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi
2. Commissione per la liturgia
61
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Commissione per il servizio della carità e della salute
Commissione per il clero e la vita consacrata
Commissione per il Seminario Regionale Maggiore
Commissione per il laicato
Commissione per la famiglia e la vita e per la pastorale giovanile
Commissione per l’evangelizzazione dei popoli e cooperazione tra le
Chiese
9. Commissione per l’ecumenismo e il dialogo
10. Commissione per l’educazione cattolica, la scuola e l’università
11. Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace
12. Commissione per la cultura e le comunicazioni sociali
13. Commissione per le migrazioni
14. Commissione per gli affari giuridici
15. Commissione per il tempo libero, turismo, sport
16. Commissione per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto.
Art. 14
Durata degli incarichi
§ 1. La durata degli incarichi ricevuti dalla Conferenza Episcopale Pugliese è quinquennale, ed è rinnovabile una sola volta.
§ 2. La Conferenza provvede alle elezioni e alle nomine nei sei mesi prima del compimento del quinquennio, secondo il disposto del can. l53 § 2 del
CJC.
Nel caso che la Conferenza non provveda entro il termine, gli incarichi
proseguono dopo la scadenza in regime di proroga fino alle nuove elezioni o
nomine.
§ 3. Coloro che subentrano nell’incarico a quinquennio avviato lo esercitano fino alla scadenza dello stesso quinquennio.
Art. 15
Organismi ecclesiastici regionali
Nella Regione Ecclesiastica Puglia sono istituiti ed operano, con proprio
statuto approvato della Conferenza Episcopale Pugliese, i seguenti organismi:
62
–
–
–
–
Istituto Pastorale Pugliese
Facoltà Teologica Pugliese
Pontificio Seminario Regionale Maggiore
Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese.
Art. 16
Amministrazione del patrimonio
§ 1. Il patrimonio della Regione Ecclesiastica è costituito dalla dotazione
stanziata dalle diocesi che compongono la Regione medesima, nonché da
offerte dei fedeli e da beni derivanti da acquisti, donazioni, eredità e legati.
§ 2. Il Segretario della Conferenza Episcopale Pugliese svolge le funzioni
di Tesoriere ed ha la firma sul conto corrente bancario intestato alla Regione
Ecclesiastica Puglia disgiunta da quella del Presidente.
§ 3. Spetta alla Conferenza Episcopale Pugliese:
– approvare ogni anno il bilancio preventivo e il conto consuntivo, presentati dal Segretario
– deliberare gli atti di straordinaria amministrazione.
§ 4. Spetta al Presidente:
– compiere gli atti di ordinaria amministrazione
– eseguire le deliberazioni della Conferenza circa gli atti di straordinaria
amministrazione.
Art. 17
Guida ufficiale della Regione Ecclesiastica
§ 1. Il Segretario della Conferenza Episcopale Pugliese sovrintende alla
redazione e al periodico aggiornamento di una Guida ufficiale della Regione
Ecclesiastica, la cui cura è affidata all’Istituto Pastorale Pugliese. In essa sono
contenuti i dati necessari per la conoscenza, anche da parte di persone ed
enti interessati, della struttura e dei soggetti della Regione Ecclesiastica
stessa.
§ 2. In particolare sono indicati:
– le Diocesi e i Vescovi
– le principali istituzioni ecclesiastiche di rilievo regionale
– gli incarichi regionali e i nomi dei titolari.
63
Art. 18
Archivio della Regione Ecclesiastica Puglia
§ 1. L’archivio della Regione Ecclesiastica Puglia è affidato al Segretario
ed è custodito presso la sede della stessa.
§ 2. I documenti che, per ragioni di ufficio, giacciono presso i Vescovi delegati, dovranno essere depositati presso l’archivio prima dell’avvicendamento nelle cariche.
Art. 19
Approvazione e modifica del Regolamento
§ 1. Il Regolamento della Regione Ecclesiastica Puglia è approvato e può
essere modificato con deliberazione della Conferenza Episcopale Pugliese.
§ 2. Il presente Regolamento, che abroga e sostituisce ogni altro Regolamento, è stato approvato con deliberazione della Conferenza Episcopale
Pugliese in data 11 aprile 2013.
***
Decreto di Promulgazione del Regolamento
Il Presidente della Conferenza Episcopale Regionale della Puglia,
premesso
che la Regione Ecclesiastica Puglia è stata eretta in persona giuridica dalla Santa Sede con Decreto della Congregazione per i Vescovi n. 1035/92
in data 4 novembre 1994, eseguito dal Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese con decreto del 15 dicembre 1994
ravvisata la necessità
di aggiornare il Regolamento della Conferenza Episcopale Pugliese per
renderlo conforme al nuovo Regolamento della Conferenza Episcopale
Italiana in considerazione delle connessioni organiche tra i due Regolamenti
considerato
che la Conferenza Episcopale Pugliese ha approvato le modifiche al regolamento con deliberazione in data 11 aprile 2013
64
ai sensi
dell’art. 11 dello Statuto della Regione Ecclesiastica Puglia che dispone
che il Regolamento attuativo del medesimo statuto è adottato dalla Conferenza Episcopale regionale su proposta del Presidente
emana
con il seguente decreto il
Regolamento della Conferenza Episcopale Pugliese.
Il testo del Regolamento della Conferenza Episcopale Pugliese sia promulgato mediante la pubblicazione sui Bollettini Ufficiali di ciascuna Diocesi.
Il Regolamento entrerà in vigore in data 1 maggio 2013.
Molfetta, 12 aprile 2013.
Francesco CACUCCI
Arcivescovo di Bari-Bitonto
Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese
Michele CASTORO
Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
Segretario della Conferenza Episcopale Pugliese
65
MESSAGGIO ALLE CHIESE DI PUGLIA
PER LA CANONIZZAZIONE DEI MARTIRI D’OTRANTO
12 MAGGIO 2013
La canonizzazione di Antonio Primaldo e Compagni, Martiri di Otranto, è
un evento di grazia che il Signore dona alle Chiese di Puglia, nell’Anno della
Fede.
Benedetto XVI ha sancito definitivamente tale proclamazione, nello stesso Concistoro in cui annunciava la sua rinuncia al servizio petrino. Continuiamo pertanto a indirizzargli con affetto sincero la nostra memore e
orante riconoscenza. Nel contempo accogliamo, con gioia e con filiale confidenza, la canonizzazione dalle mani di papa Francesco.
Nell’Anno della Fede
Per noi cristiani pugliesi del XXI secolo, questa canonizzazione si staglia
con chiarezza nel grande patrimonio della nostra fede, arricchendolo con il
forte messaggio della fedeltà che questi uomini laici resero al Vangelo.
Anche oggi Gesù, annunciandoci la Buona Notizia della salvezza, ci chiama a seguirlo. È Lui la Via, la Verità e la Vita. Accostandoci a Lui, diventando
suoi amici, ascoltando la sua Parola, noi sentiamo e comprendiamo che siamo chiamati ad una ‘scelta di vita’: esigente, autentica, impegnativa, ricca di
umanità, colma di gioia profonda, insomma una vita liberata e perciò libera
davvero. Solo seguendo il Signore Gesù, noi diventiamo, nell’amore, servi di
tutti e, nella libertà della fede, schiavi di nessuno e di nulla.
Ricordiamo le forti e radicali espressioni del Beato Giovanni Paolo II, venuto in Puglia il 5 ottobre 1980, pellegrino nella terra dei Martiri:
Non possiamo leggere oggi, senza intensa emozione, le cronache dei testimoni oculari del drammatico episodio: i cittadini di Otranto, al di sopra dei
quindici anni, furono posti dinanzi alla tremenda alternativa: o rinnegare la
fede in Gesù Cristo, o morire di morte atroce. Antonio Pezzulla, un cimatore
di panni, rispose per tutti: «Noi crediamo in Gesù Cristo, Figlio di Dio; e per
66
Gesù Cristo, siamo pronti a morire!». E subito dopo, tutti gli altri, esortandosi a vicenda, confermarono: «Moriamo per Gesù Cristo, tutti; moriamo volentieri, per non rinnegare la sua santa fede!».
La canonizzazione, grande festa spirituale, ci sollecita a rinnovare le
promesse battesimali e a professare la fede: sì, rinunciamo al male, in tutte
le sue manifestazioni e seduzioni! Sì, Signore, noi crediamo in te; tu solo hai
parole di vita eterna, tu solo ci liberi.
Uomini e donne liberati, noi cristiani del XXI secolo – sull’esempio dei
Santi Martiri – vogliamo impegnarci a non tornare più schiavi dell’egoismo,
del peccato, della cattiveria, dell’odio e dell’inimicizia.
Come i martiri: cristiani coerenti
La venerazione dei Santi Martiri di Otranto ci fa meditare sulla verità della nostra scelta di fede e sulle necessarie conseguenze di coerenza nelle scelte di vita cioè nel quotidiano vissuto esistenziale di ciascuno.
Consapevoli di questo, come Pastori delle Chiese di Puglia, ci rivolgiamo
a tutti, e in particolare ai giovani, con le parole che, proprio a loro, rivolse il
Papa nel 1980, indicando la scelta dei Martiri:
Erano forse degli illusi, degli uomini fuori del loro tempo? No, carissimi
giovani! Quelli erano uomini, uomini autentici, forti, decisi, coerenti, ben radicati nella loro storia; erano uomini, che amavano intensamente la loro città; erano fortemente legati alle loro famiglie; tra di loro c’erano dei giovani,
come voi, e desideravano, come voi, la gioia, la felicità, l’amore; sognavano
un onesto e sicuro lavoro, un santo focolare, una vita serena e tranquilla nella comunità civile e religiosa!
E fecero, con lucidità e con fermezza, la loro scelta per Cristo!
Cristiani di Puglia! Non abbiamo più, per grazia di Dio, nella nostra terra
una persecuzione violenta, come fu a Otranto nel 1480. Ma è in atto una
persecuzione altrettanto insistente e pericolosa, che tocca la Chiesa: non si
effettua con la minaccia della ‘spada’, ma con le lusinghe del denaro e del
piacere edonistico, con la tentazione del potere e del successo; non uccide
facendo scorrere il sangue, ma si insinua lentamente nell’anima e avvelena
lo spirito, provocando nelle nostre Comunità l’anemia spirituale.
67
Ecco allora cosa ci dicono, nel coro dei Santi, cioè dei Salvati, i Martiri di
Otranto, che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue
dell’Agnello: rialzati, Chiesa di Puglia: sì, alzati, rivestiti di Luce!
Per la Civiltà dell’Amore
Il mondo del XV secolo, nel quale fu consumato il martirio di Otranto, era
ancora un mondo mediterraneo, solcato dalle inimicizie tra le grandi religioni monoteistiche.
Oggi, nell’epoca della globalizzazione, siamo chiamati a costruire la Civiltà dell’Amore, rompendo le mentalità xenofobe, i pregiudizi etnici, le chiusure e i fanatismi degli integralismi, insomma le vecchie logiche che vogliono
incatenarci a relazioni di inimicizia e di odio.
Proprio il nostro ultimo Convegno Ecclesiale, svoltosi nell’aprile dello
scorso anno a S. Giovanni Rotondo, ci ha visti insieme, laici e pastori, per riflettere sul nostro cammino di Chiesa pugliese nella sua identità plurale “che
rende la nostra regione ponte tra oriente e occidente”.
In questo, noi cristiani di Puglia, abbiamo una missione chiara e specifica.
Come caldamente ci raccomandò il Beato Giovanni Paolo II, dal sacrario otrantino:
Da questa antica terra di Puglia, protesa come una testa di ponte verso il
Levante, noi guardiamo con attenzione e simpatia alle regioni dell’Oriente e
particolarmente là dove ebbero origine storica le tre grandi religioni monoteistiche, cioè il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam. […] Riuniti oggi qui, presso le tombe dei Martiri di Otranto, […] in unione con questi Martiri, noi
presentiamo al Dio unico, al Dio vivente, al Padre di tutti gli uomini i problemi della pace in Medio Oriente ed anche il problema, che tanto ci è caro,
dell’avvicinamento e del vero dialogo con coloro ai quali ci unisce – nonostante le differenze – la fede in un solo Dio, la fede ereditata da Abramo. Lo
spirito di unità, di reciproco rispetto e di intesa si dimostri più potente di ciò
che divide e contrappone. […] Gerusalemme […] divenga il punto d’incontro,
verso cui continueranno a volgersi gli sguardi dei Cristiani, degli Ebrei e dei
Musulmani, come al proprio focolare comune; intorno a cui essi si sentiranno fratelli, nessuno superiore, nessuno debitore agli altri; verso cui torne68
ranno a dirigere i loro passi i pellegrini, seguaci di Cristo, o fedeli della legge
mosaica, o membri della comunità dell’Islam.
Santa Maria, Regina Apuliae, sostieni la nostra testimonianza
di vita cristiana e accompagna i nostri passi nell’umana ricerca
di pace e di dialogo.
Santa Maria, Regina dei Martiri, rendi la nostra terra
di Puglia, casa comune di accoglienza e di condivisione
di quella Speranza che ci indichi nel tuo amato Figlio.
Pasqua di Risurrezione, 31 marzo 2013.
I VESCOVI DI PUGLIA
69
VISITA AD LIMINA
DIOCESI DI UGENTO-S. M. DI LEUCA
SINTESI DELLA RELAZIONE QUINQUENNALE
*
GENNAIO 2006-DICEMBRE 2012
Premessa
La presente relazione quinquennale riguarda il secondo periodo dell’episcopato di mons. Vito De Grisantis (2005-2010) e il primo periodo di mons.
Vito Angiuli (2010).
La Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (LE) comprende la parte estrema
del Salento, in Puglia, con una estensione territoriale di 475,504 chilometri
quadrati e una popolazione di circa 120.000. Non ha grandi centri urbani ed
è una penisola circondata da due mari: l’Adriatrico e lo Ionio. I comuni sono
18, con diverse frazioni.
Dal punto di vista pastorale comprende 43 parrocchie, ha 69 sacerdoti
diocesani, 6 religiosi, 7 diaconi, 142 religiose. L’età media del clero è di circa
50 anni. È presente un monastero di clarisse cappuccine con 10 monache.
Episcopato di mons. Vito De Grisantis (2000-2010)
I dieci anni dell’episcopato di mons. De Grisantis sono stati scanditi da
due piani pastorali diocesani quinquennali:
2000-2005 - L’adulto riscopre l’iniziazione cristiana per una identità
comunitaria e missionaria della fede
2007-2011 - I fedeli laici oggi, a quarant’anni dal Concilio Vaticano II
e da due visite pastorali, quella espletata negli anni dal 2001 al 2005 e quella
del 2006.
I piani quinquennali sono stati presentati, nelle articolazioni tematiche,
*
La Relazione quinquennale completa, conservata nell’archivio diocesano, sull’attività
pastorale della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, dal 1° gennaio 2006 al 31 dicembre 2012, è
stata presentata alla Santa Sede dal vescovo, mons. Vito Angiuli, in occasione della Visita ad
Limina dei Vescovi di Puglia, avvenuta dal 13 al 16 maggio 2013.
73
nelle settimane teologiche tenute nella prima settimana di quaresima di
ogni anno e riformulati operativamente attraverso le annuali indicazioni nei
convegni pastorali di giugno, all’inizio di ogni estate.
Il 19 marzo 2005 sono stati promulgati gli Statuti e i Regolamenti per il
Consiglio Pastorale Diocesano, per i Consigli Pastorali Parrocchiali e per i
Consigli parrocchiali per gli affari economici; lo Statuto per la Consulta Diocesana delle aggregazioni laicali e il Regolamento per i Comitati per le feste
religiose e, il 26 maggio 2007, anche per le processioni, per far crescere la
comunione e la partecipazione di tutte le componenti ecclesiali all’azione
pastorale e alla missione evangelizzatrice della Chiesa.
La seconda visita pastorale (2006), sia pure senza una formale indizione,
è servita al Vescovo per verificare, promuovere e sostenere gli organismi
parrocchiali di partecipazione: Consigli Pastorali Parrocchiali e Consigli parrocchiali per gli affari economici.
Nel gennaio 2010 mons. De Grisantis ha istituito il Consultorio Familiare
Diocesano e ha promulgato la nota pastorale Per una pastorale di accoglienza dei divorziati risposati civilmente.
La realizzazione nello stesso anno della Scuola di formazione sociopolitica ha rappresentato l’intima convinzione di mons. De Grisantis che la
Chiesa diocesana può contribuire allo sviluppo e alla crescita del territorio. È
stato questo il senso della pastorale sociale e del lavoro che il Vescovo espresse con l’adesione della Diocesi al “Progetto Policoro” e con la creazione
a livello diocesano del “Progetto Tobia” per il microcredito, con l’attivazione
di un fondo di garanzia, al quale il vescovo contribuì per primo, finalizzato
alla concessione di prestiti per aiutare giovani e adulti ad avviare una piccola
impresa, in forma individuale o cooperativistica.
Infine, quasi in crescendo, da ultimo, la casa di accoglienza “Maior caritas”
di Tricase, prima sostenuta dal 2006 e poi fatta propria dalla Diocesi il 13 gennaio 2010, per accogliere i familiari forestieri degli ammalati a lunga degenza
ricoverati presso l’Hospice “Betania”, creato dall’ospedale “G. Panico”.
Nello stesso periodo è stato realizzato il restauro di varie chiese, la sistemazione della residenza vescovile e degli uffici di Curia, l’abbellimento
della cattedrale, il restauro di storici abiti liturgici, la organizzazione del mu74
seo diocesano. È stata consacrata la nuova chiesa parrocchiale “San Francesco” a Ruffano (20 dicembre 2008). In alcune parrocchie sono stati recuperati stabili per adibire i locali all’attività pastorale ed educativa e si sono
completati i lavori dell’Oratorio parrocchiale di Montesano Salentino, inaugurato il 29 giugno 2009. Infine, è stato costruito il grandioso Auditorium
Diocesano “Benedetto XVI”, ad Alessano.
Di significativa importanza pastorale e storica è stata la visita di papa Benedetto XVI al Santuario di S. Maria “De Finibus Terrae”, a S. M. di Leuca,
annunciata il 24 dicembre 2007 e realizzata il 14 giugno 2008.
Nel 2009 ci sono stati due avvenimenti di particolare importanza. Il 17
marzo è stato avviato il processo di canonizzazione della giovane serva di
Dio Antonia Mirella Solidoro (1964-99) di Taurisano. Nella storia della Diocesi è stata la prima volta che è accaduto un avvenimento del genere, oltre
quello riguardante l’indimenticabile don Tonino Bello (+ 1993) di Alessano,
vescovo di Molfetta per oltre un decennio.
Il secondo avvenimento è stata la traslazione dal cimitero di Leverano,
suo paese natale, al Santuario di S. Maria “De Finibus Terrae” di Leuca della
salma di mons. Mario Miglietta che ha guidato la Diocesi di Ugento dal 1981
al 1992. La celebrazione del rito, avvenuta il 30 giugno 2009, è stata presieduta dallo stesso mons. De Grisantis che, accogliendo il desiderio del vescovo Mario, lo ha fatto seppellire sotto l’altare di san Francesco da Paola.
Particolare cura mons. De Grisantis ha prestato alla vita comunitaria del
clero e alla formazione permanente dei presbiteri. In modo speciale a quella
dei preti giovani, programmando riunioni mensili e aggiornamenti residenziali: in Terra Santa (2005) a Castelgandolfo (2006) a Napoli (2007) alla Abbazia di Casamari (2008) e a Roma (2009).
Mons. Vito De Grisantis è morto all’alba del 1 aprile 2010, nell’ospedale
“G. Panico” di Tricase.
Inizio episcopato di mons. Vito Angiuli (2010)
Mons. Vito Angiuli ha fatto il suo ingresso in diocesi il 19 dicembre 2010.
In sintonia con il suo motto episcopale, In laudem gloriae, fin dall’inizio ha
inviato lettere ai sacerdoti, alle religiose, ai giovani e alle parrocchie della
75
diocesi sottolineando la necessità di dare il primato a Dio e di vivere
l’impegno pastorale come un servizio gioioso e gratuito.
1. Orientamenti pastorali generali
Nell’Omelia pronunciata nella Messa di ingresso nella diocesi ha indicato
i tre fari luminosi della vita diocesana: la fede del popolo di Dio, la testimonianza del servo di Dio don Tonino Bello e la materna protezione della Vergine de finibus terrae.
Si tratta di una fede colma di umanità che si esprime nei gesti, nelle parole, negli atteggiamenti, nello stile di vita e accompagna i momenti più significativi dello scorrere del tempo; una fede incarnata nella storia e nella
cultura salentina perché trova molteplici modalità per esprimersi attraverso
i canti popolari, le tradizioni religiose, il culto dei santi, le feste e le sagre;
una fede ricca di memoria perché custodisce gelosamente gli avvenimenti
passati e attinge ad essi per rinsaldare i legami sociali e coinvolgere tutti in
un unico progetto, rafforzando il senso di appartenenza, l’orgoglioso richiamo alle proprie radici, il coinvolgimento emotivo dell’intera comunità; una
fede che si fa progetto perché, sorretta dalla speranza e dalla carità, è capace di dar vita a una serie di iniziative in campo sociale, realizzando opere di
grande rilevanza sul piano assistenziale e caritativo, attraverso progetti eccellenti sul piano della loro concreta attuazione e significativi in quanto espressione di una comune sensibilità umana e cristiana.
Certo, il grande patrimonio di fede, che ha segnato la vita della gente e
ha plasmato la sua identità più profonda, oggi, è fortemente messo in discussione. Si tratta di una crisi radicale che tocca il modo di pensare e di sentire e si esprime in forme sempre più lontane dal Vangelo. Siamo in un
tempo di cambiamento e di transizione nel quale il diffuso senso di insicurezza economica e sociale si salda con una profonda trasformazione dei parametri di valutazione dei comportamenti etici e disegna un quadro culturale che ha profonde ripercussioni sul modo di intendere la vita e di vivere la
fede, soprattutto nelle nuove generazioni.
In questo complesso e problematico contesto socio-culturale occorre attingere all’esempio di santità del servo di Dio, don Tonino Bello che costitui76
sce il secondo faro luminoso della Chiesa particolare. Don Tonino è stato capace di parlare in un modo consono alla cultura del nostro tempo perché ha
attinto a piene mani dalla tradizione religiosa della gente salentina. Il messaggio che egli ha lanciato nel mondo ha la capacità di essere inteso dagli
uomini di buona volontà e da tutti coloro che hanno a cuore la giustizia e la
pace.
La Vergine de finibus terrae è il terzo faro del nostro cammino diocesano,
la stella dell’evangelizzazione, il segno di consolazione e di sicura speranza,
la guida e il sostegno nei progetti pastorali.
2. Analisi della attuale situazione sociale ed economica
Questi orientamenti generali richiedono un’attenta analisi della attuale
situazione sociale ed economica. Vi sono due aspetti da tenere presenti. Il
primo si riferisce a quella che genericamente può essere individuata nella
“questione sociale” e che tocca il livello economico e politico; la seconda è
quella che riguarda la “questione antropologica”, che si riferisce al livello
culturale, alle credenze religiose, ai comportamenti etici, alla professione
della fede.
Quanto al primo aspetto, si deve rilevare che in questi ultimi anni, soprattutto a partire dal 2008, la crisi occupazionale si è molto aggravata, fino
alla chiusura di quelle fabbriche nel settore tessile-calzaturiero che avevano
assorbito molta mano d’opera. La crisi del mondo del lavoro è diventata
sempre più un’emergenza che chiama in causa tutti e chiede una mobilitazione delle coscienze per cercare una soluzione, anche di carattere temporaneo. La percezione finale che se ne ricava, osservando i dati, è che si è
allargata a dismisura la soglia della povertà e che è necessaria una maggiore
capacità da parte della classe dirigente politica e imprenditoriale, di interpretare la crisi e quindi di approntare le giuste strategie per salvaguardare i
più poveri e riattivare percorsi di sviluppo che non può essere che “compatibile” e “solidale”.
Tutto questo chiama in causa il dovere per i credenti non solo di attivare
percorsi di sostegno di fronte alle emergenze o di programmare interventi
nelle varie forme della carità e della pastorale, ma anche di promuovere, so77
prattutto attraverso la catechesi degli adulti, la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, avviando percorsi di formazione all’impegno socio-politico,
in collaborazione con la rete delle associazioni di volontariato, con la rete
dell’economia solidale, con la cooperazione, con i comuni, con le imprese.
Quanto al secondo aspetto, si deve rilevare che se “il senso religioso” è
ancora molto radicato vi è anche un evidente sviluppo di ciò che i sociologi
definiscono secolarizzazione, e che si manifesta in un accentuato relativismo
e individualismo; una società, quindi, che da una parte è molto legata alla
sua tradizione religiosa e culturale, e, dall’altra, tende alla laicizzazione e a
un deciso utilitarismo. L’educazione è sotto scacco; si è rotto il patto generazionale. Esito pubblico di questo fenomeno che avviene a livello di riferimenti e di credenze valoriali è una sorta di deresponsabilizzazione.
3. Cantiere pastorale
Il cantiere pastorale è, dunque, decisamente aperto. Occorre camminare
insieme, fidarsi di Dio, costruire comunità responsabili.
– La parrocchia deve aprire l’orizzonte della sua azione per curare la
formazione spirituale, culturale, sociale e pastorale dei credenti in vista di
una fede adulta e pensata; una fede non solo consolatoria, ma sempre più
testimoniale. Inoltre occorre che le comunità cristiane sappiano intessere
alleanze educative imparando a leggere i fatti e le evoluzioni storiche, sviluppando i rapporti con il territorio, promuovendo il protagonismo di laici
adulti e formati all’impegno sociale e politico, così come indicato dalla dottrina sociale della Chiesa.
– Sul piano sociale è necessario compiere una nuova progettualità che
tenga conto di tre poli fondamentali: l’agricoltura, l’artigianato e il turismo.
La conformazione del territorio, la differenziazione economica richiede un
nuovo “ritorno alla terra”, come ricchezza da salvaguardare e da sviluppare
sia in campo agricolo sia nel settore del turismo. In linea con la tradizione
del Sud Salento, occorre ridare un nuovo impulso al settore dell’artigianato
e dei beni artistici.
– Particolarmente urgente è il compito di affrontare la questione giovanile. La crisi in questo ambito si manifesta nel campo del lavoro, nel processo
78
educativo, nei comportamenti etici, nella trasmissione della fede. Aumentano i fenomeni di marginalità connessi anche al diffondersi della droga e al
radicarsi di una cultura del profitto o del disimpegno. Occorre indirizzare
l’impegno a livello di pastorale dei ragazzi e degli adolescenti dando un nuovo impulso all’attività dell’Oratorio e a livello dei giovani, soprattutto degli
universitari fuori sede, con interventi più sistematici e più articolati.
– La famiglia rimane una risorsa pastorale da promuovere e da valorizzare facendola diventare sempre più soggetto della pastorale soprattutto nel
campo dell’educazione alla fede delle nuove generazioni.
– Le foranie costituiscono il mezzo attraverso il quale sostenere una pastorale integrata. La forania deve diventare sempre più il luogo dell’esercizio
della comunione pastorale tra le parrocchie promuovendo una vera corresponsabilità di tutti gli operatori pastorali.
– La pastorale vocazionale trova il centro di animazione nel Seminario
Vescovile e nel Centro Diocesano Vocazioni. Molteplici le iniziative messe in
atto: le Settimane vocazionali nella parrocchie, la Scuola di preghiera per i
ragazzi, la cura del Gruppo Samuel (un week-end mensile in Seminario per i
ragazzi più sensibili al tema vocazionale), l’itinerario vocazionale per i giovani.
– Sulla scorta di quanto compiuto in passato, occorre dare un nuovo impulso alla dimensione missionaria della pastorale. In questa linea si collocano la partenza per la diocesi di Kigali di don Rocco Maglie e la presenza nella
nostra diocesi di due sacerdoti rwandesi: don Claudio e don Charles. I presbiteri fidei donum evidenziano, in modo singolare, il vincolo di comunione
tra le Chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali
più bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede.
4. Specifica vocazione missionaria della Chiesa di Ugento-S. Maria di
Leuca
Intanto, si sta facendo strada l’idea secondo la quale la posizione geografica della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca indica anche la sua specifica vocazione missionaria: da una parte essa è estremo lembo della Puglia,
dall’altra è al centro del Mediterraneo e, pertanto, ponte di collegamento
79
con le terre che si affacciano sul “mare nostrum”. Per questo occorre sviluppare la missione a 360 gradi, guardando in tutte le direzioni che si presentano sotto il nostro sguardo.
1. Guardando verso Nord, si deve sottolineare la missione nel contesto
della nuova evangelizzazione. Ciò significa prendere in seria considerazione
il processo di secolarismo che è molto evidente nel Nord Italia e nel Nord
Europa e che fa sentire i suoi influssi anche nelle nostre comunità. Sotto
questo profilo, occorre tenere presente che i confini fra cura pastorale dei
fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti-stagno. Senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria
della Chiesa diventa priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. Inoltre è necessario ricordare che la nuova evangelizzazione dei popoli cristiani trova ispirazione e sostegno nell’impegno per la
missione universale.
2. Guardando verso Est, occorre coniugare la missione con il dialogo
ecumenico, riconoscendo che l’impulso missionario appartiene all'intima natura della vita cristiana e ispira anche l’ecumenismo. A tal proposito, si deve
richiamare che la diocesi di Ugento S. Maria di Leuca da secoli ha coltivato
rapporti con le popolazioni e le Chiese che sono dall’altra parte dell’Adriatico. Da quelle regioni sono state accolte diverse tradizioni religiose e la venerazione di molti santi.
3. Guardare verso Sud-Est, significa considerare la missione in riferimento al dialogo interreligioso con ebrei e musulmani. La collocazione geografica della diocesi ne fa anche un avamposto verso il Medio-Oriente.
Occorre considerare con molta attenzione quelle terre e quelle popolazioni
dove i cristiani vivono in gravi difficoltà e, talvolta, sono privati dei diritti
fondamentali. In questo senso la missione assume il volto del dialogo interreligioso, che è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa.
Inteso come metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione con la missio ad gentes anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione.
4. Guardare verso Sud-Ovest, vuol dire considerare la missione come
80
cooperazione internazionale e attenzione alla povertà, alla giustizia, all’accoglienza e alla prossimità. Per questo occorre intensificare la cura dei rapporti
con le popolazioni dell’Africa e dell’America Latina e contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e più fraterno.
81
INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO
GLI OCCHI DELLA FEDE*
Cari fedeli,
con quali occhi intendiamo guardare il nuovo anno che oggi ha inizio?
Gli occhi increduli e pieni di paura
I sentimenti che si riflettono nei nostri occhi e in quelli di chi ci guarda
sono paura, sono indifferenza, stanchezza, oppure gioia, soddisfazione,
entusiasmo, disponibilità?
Lo sguardo di una persona dice molto più delle sue parole. Possiamo
utilizzare tutti i mezzi di comunicazione, ma niente sostituisce lo sguardo
dell’essere umano. Gli occhi sono lo specchio, la finestra e la lucerna dell’anima. Se l’occhio è limpido, lo è anche l’anima; se l’occhio è tenebroso, lo
sarà anche l’anima (cfr. Mt 5,27-32). La cosa importante è non lasciarsi
sopraffare dalla paura e dal disincanto, ma avere occhi per vedere la
meraviglia.
Gli occhi dei poveri desiderosi di Dio
Guardare negli occhi è come bussare a una porta. Quando qualcuno
bussa alla nostra porta, possiamo reagire in molti modi: non rispondere e
limitarci a guardare dallo spioncino; socchiudere la porta senza far entrare;
consentire di entrare nel salotto ufficiale, ma non nel “cuore” della casa;
introdurre ma senza far accomodare; far accomodare ma senza avviare il
dialogo.
Alla nostra porta bussano ormai molti poveri. È una moltitudine di occhi
che guardano, interrogano, raccontano, esprimono. Forse i nostri occhi
vedono, ma non guardano. Abbiamo difficoltà a guardare i poveri e a
incrociare il loro sguardo.
*
Omelia nella Messa della Solennità di Maria Vergine Madre di Dio, Cattedrale, 1 gennaio
2013.
85
Un famoso racconto di Baudelaire descrive questa situazione: «Proprio
davanti a noi, sulla carreggiata, se ne stava impalato un brav’uomo sulla quarantina, la faccia stanca, la barba ingrigita, che teneva per mano un bambino e
reggeva sull’altro braccio un esserino troppo debole per camminare.
Faceva da bambinaia, e portava i suoi figli, la sera, a prendere un po’
d’aria. Cenciosi tutti e tre. Quei tre visi erano straordinariamente seri, e quei
sei occhi contemplavano e fissavano il caffè nuovo con diverse sfumature a
seconda dell’età.
Gli occhi del padre dicevano: “Come è bello! Come è bello! Si direbbe
che tutto l’oro della povera gente sia venuto a mettersi su questi muri”. Gli
occhi del bambino: “Come è bello! Come è bello! Ma è una casa dove
possono entrare solo quelli che non sono come noi”. Quanto agli occhi del
più piccolo, erano troppo affascinati per esprimere qualcosa di diverso da
una gioia profonda e ottusa […]. Non solo ero intenerito da quella famiglia
d’occhi, ma avevo un po’ vergogna dei nostri bicchieri e delle nostre caraffe,
più grandi della nostra sete. Giravo il mio sguardo verso il vostro, mio caro
amore, per leggervi il mio stesso pensiero; mi tuffavo nei vostri occhi così
belli, così bizzarri e dolci, nei vostri occhi verdi, abitati dal capriccio e ispirati
dalla Luna, quando mi diceste: “Questa gente, con quegli occhi spalancati
come portoni, mi è insopportabile! Non potreste chiedere al maître di
allontanarli da qui?”. Tanto difficile è capirsi, caro angelo mio! E il pensiero è
a tal punto incomunicabile, anche fra coloro che si amano!»1.
Gli occhi della Vergine Madre
Dobbiamo imparare a guardare non solo con gli occhi dei poveri, ma
soprattutto con gli occhi di Maria, l’ancella del Signore.
Gli occhi della Vergine sono pieni di cielo e di amore per Dio. Gli occhi
della Madre, però, non si stancano di guardare verso questa nostra terra con
compassione, e a volte sono pieni di lacrime per noi.
Vi sono molte testimonianze storiche che richiamano la premura
materna di Maria. Recentemente Vittorio Messori e Rino Camilleri hanno
1
C. Baudelaire, Lo Spleen di Parigi, XXVI.
86
scritto un libro (Gli occhi di Maria) nel quale esaminano i fenomeni mariani
avvenuti nel 1796 durante la campagna di Napoleone Bonaparte quando
numerose immagini mariane si “animarono” muovendo gli occhi, cambiando
colore o mutando espressione.
Occorre che impariamo a fissare gli occhi di Maria perché i nostri siano
più pieni di Dio e a lasciarci guardare dai suoi occhi perché li riempia di
benedizione e di pace.
Guardando i suoi occhi sgorga nel nostro cuore la preghiera: «Orsù,
dunque, Avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi, e mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno, o clemente, o
pia, o dolce Vergine Maria».
Gli occhi di Cristo, principe della pace
Con le parole del salmo, Maria ci invita a guardare Cristo: «Guardate a lui
e sarete luminosi e il vostro volto non arrossirà» (Sal 33,6). I suoi sono occhi
che riflettono la bellezza di Dio. «Gli occhi molto belli – scrive Elias Canetti –
sono insostenibili, bisogna guardarli sempre, ci si affoga dentro, ci si perde,
non si sa più dove si è».
Gli occhi fissi verso il Padre hanno caratterizzato tutta la vita di Gesù.
Anche quando doveva compiere un miracolo egli alza lo sguardo al cielo (cfr.
Mt 7,34; 14,19). Lo sguardo rivolto al cielo ci ricorda che soltanto dall’alto
viene la luce che dà senso alle gioie e al dolore, ai successi e alle sconfitte,
alla solitudine e al maggiore di tutti gli enigmi che è la morte.
Gesù, però, non solo guardava verso il Padre, ma guardava come il Padre.
Il suo sguardo era in perfetta sintonia con quello del Padre (cfr. Mt 6,3-4).
Non si fermava alla superficie, ma penetrava nel profondo giungendo a
cogliere ciò che c’è nell’intimo dell’uomo (cfr. Mt 6,2; Mc 10, 20-21; Lc 18,
11-13; 19, 2; 21, 1-3; 22,61-63). Erano occhi che sapevano vedere, capire,
accogliere e comunicare. Occhi che sapevano guarire e liberare.
Questo anno della fede è un invito a guardare Cristo e a guardare come
Cristo. Avere uno scambio di sguardi con lui cambia radicalmente la nostra
vita e ci aiuta a vedere ogni persona e ogni cosa con sguardo di amore, di
misericordia e di pace.
87
PER LA GLORIA DI DIO E LA VITA DEL MONDO*
Caro don Andrea,
questa sera, anche tu, come Gesù, puoi dire: è giunta l’ora! L’ora attesa e
desiderata, coltivata segretamente nel cuore e progressivamente manifestata nel tempo, intrapresa con gioia e raggiunta non senza fatica.
Sì, caro don Andrea, questa per te è l’ora della consacrazione dell’amore:
dell’amore di Cristo per te e del tuo amore per lui.
Da sempre Cristo ti ha amato e ha mostrato verso di te un amore di
predilezione. Fin dalla tua più tenera età ti ha fatto scoprire la bellezza del
suo mistero e, in seguito, ti ha fatto avvertire in modo prorompente la forza
della sua voce che ti chiamava a stare con lui e a seguirlo sulla sua strada.
A tua volta, hai corrisposto al suo amore fin dalla tua fanciullezza. Hai
riamato Cristo con intimo trasporto e non hai avuto paura di seguirlo per vie
a te sconosciute. Come Mosè nell’incontro con Dio sul monte Sinai, anche tu
hai imparato a riconoscere la voce di Dio e a scoprire la forza del nome di
Gesù (cfr. Es 3,11-15). Tra voi due si è instaurato un amore tenero e sincero,
donato e corrisposto, intimo e profondo. Continua a coltivare dentro di te
«gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).
Certo, l’amore è una parola nobile. Ma vi è amore e amore. L’amore vero
è solo quello intriso di una energia divina che, come forza irresistibile e
invincibile, tutto trascina con sé e crea sempre nuove realtà di vita. Questo
amore può tutto, anche ciò che apparentemente sembra molto difficile o
addirittura impossibile. «L’amore – scrive san Pietro Crisologo – non si
arresta davanti all’impossibile, non si attenua di fronte alle difficoltà. L’amore, se non raggiunge quel che brama, uccide l’amante; e perciò va dove è
attratto, non dove dovrebbe. L’amore genera il desiderio, aumenta d’ardore
e l’ardore tende al vietato. E che più? L’amore non può trattenersi dal
*
Omelia nella Messa di Ordinazione presbiterale di don Andrea Romano, Cattedrale,
Ugento, 3 gennaio 2013.
88
vedere ciò che ama; per questo tutti i santi stimarono ben poco ciò che
avevano ottenuto, se non arrivavano a vedere Dio. Perciò l’amore che brama
vedere Dio, benché non abbia discrezione, ha tuttavia ardore di pietà»1.
Ora questo amore, coltivato a lungo nell’intimità del cuore, viene
ratificato dal sacramento dell’Ordine e chiede di esprimersi in modo visibile
attraverso il germogliare dei suoi frutti.
Il primo frutto è la tua consacrazione sacerdotale. Tu sei l’espressione
dell’amore del cuore di Cristo. Questo è il grande mistero che devi contemplare. Pur con tutte le tue fragilità, sei il miracolo dell’amore di Cristo.
I frutti successivi saranno le opere di bene che, sospinto dall’amore,
compirai per la gloria di Dio in favore degli uomini. Come sacerdote sei
chiamato ad amare e ad agire per la gloria di Dio che si manifesta come
salvezza per gli uomini.
Il documento conciliare Presbyterorum ordinis lo afferma in modo
categorico: «Il fine cui tendono i presbiteri con il loro ministero e la loro vita
è la gloria di Dio Padre in Cristo. E tale gloria si dà quando gli uomini
accolgono con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera di Dio
realizzata in Cristo e la manifestano in tutta la loro vita. Perciò i presbiteri,
sia che si dedichino alla preghiera e all’adorazione, sia che predichino la
parola, sia che offrano il sacrificio eucaristico e amministrino gli altri
sacramenti, sia che svolgano altri ministeri ancora in servizio degli uomini,
sempre contribuiscono all’aumento della gloria di Dio e nello stesso tempo
ad arricchire gli uomini della vita divina» (PO 2).
Gloria di Dio e vita degli uomini sono due facce della stessa medaglia. «La
gloria di Dio – afferma sant’Ireneo – è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo
consiste nella visione di Dio»2. Sono queste le due parole che dovrai
imparare a coniugare nel tuo ministero sacerdotale: tutto per la gloria di
Dio, tutto per la vita degli uomini!
Il tuo compito di sacerdote si può riassumere in questa triplice direzione:
contemplare la gloria, celebrare la gloria, servire la gloria.
1
2
San Pietro Crisologo, Disc. 47; PL 52, 594-595.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, Lib 4, 20, 5.
89
Sai bene che il termine gloria indica la ricchezza, lo splendore, l’onore, la
potenza, la maestà di Dio. Gloria è la rappresentazione sensibile della
bellezza del Dio invisibile. Quell’aspetto del mistero ineffabile di Dio che è a
noi concesso di contemplare. Essa è come un diamante che riflette e
rifrange la luce in molti modi e gradazioni e prende forma nel volto di Cristo.
Contemplare la gloria significa fissare lo sguardo su Cristo, «splendore della
gloria del Padre e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3).
Celebrare la gloria significa raccogliere la comunità cristiana intorno
all’altare del Signore per dare voce a tutto il creato e cantare l’inno di lode
alla Trinità. Ricorda sempre, caro don Andrea, che ogni celebrazione ha
sempre un valore cosmico e universale. L’Eucaristia è la pasqua di Cristo, la
pasqua della Chiesa, la pasqua del mondo! Essa – afferma Giovanni Paolo II, –
ha sempre un «carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico!
Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di
campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del
mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato. Il
Figlio di Dio si è fatto uomo, per restituire tutto il creato, in un supremo atto
di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla»3.
Mettersi a servizio della gloria di Dio significa esprimere la propria
identità di servo di Cristo, della Chiesa e del mondo. Alla base del servizio
non c’è la ricerca di sé. Servire esprime l’essere, più che il fare; non si tratta
di donare un frammento del nostro tempo o del nostro agire, né di
compiere una serie di prestazioni dovute, ma di esprimere semplicemente
un modo di essere. Servire gli altri per la propria realizzazione o gratificazione sarebbe una distorsione subdola e ipocrita, una lampante contraddizione. Servire gli altri per amore di Cristo e indicare lui «che è la via, la
verità e la vita» (Gv 14,6): questo è l’ideale del sacerdote.
L’esercizio del tuo ministero sacerdotale sia, dunque, illuminato da
questi due imperativi: «Fare tutto a gloria di Dio» (1Cor 10,31); «agire in
modo che in ogni cosa Dio sia glorificato» (1Pt 4,11).
Dovrai farlo con la stessa modalità di Cristo, il quale «spogliò se stesso
3
Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 8.
90
assumendo la condizione di servo, apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-8). Egli
rivela la sua gloria non prendendo, ma donando; non guadagnandoci
qualcosa, ma rimettendoci tutto, perfino la propria vita. Allo stesso modo,
anche tu disponiti a servire la gloria di Dio, cioè l’uomo vivente, con gratuità,
con responsabilità, con gioia. Non aspettarti nulla in cambio. Servire la gloria
di Dio è già una grande ricompensa!
Sant’Ireneo sottolinea che «se l’uomo riceverà senza vana superbia
l’autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha
creato cioè da Dio, l’onnipotente, l’artefice di tutte le cose che esistono, e se
resterà nell’amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in
questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto»4.
Forse non sempre sarai capito. Forse incontrerai incomprensioni e
insensibilità. Non scoraggiarti e continua a fare il bene a tutti, vedendo in
ogni persona un riflesso della gloria di Dio. Ti accompagni la bella esortazione di Madre Teresa di Calcutta.
Se fai il bene, ti attribuiranno
secondi fini egoistici
non importa, fa’ il bene.
Se realizzi i tuoi obiettivi,
troverai falsi amici e veri nemici
non importa realizzali.
Il bene che fai
domani verrà dimenticato.
Non importa fa’ il bene.
L’onestà e la sincerità ti
rendono vulnerabile
non importa, sii franco e onesto.
4
Ivi, Lib 3, 20, 2.
91
Da’ al mondo il meglio di te,
e ti prenderanno a calci.
Non importa, da’ il meglio di te.
Così Gesù ha glorificato il Padre e per questo il Padre ha glorificato il
Figlio. Così Tu dovrai glorificare Dio e per questo il Padre e il Figlio, nello
Spirito, glorificheranno anche te.
92
PASTORE, ARCHITRICLINIO E SENTINELLA*
Caro padre Angelo,
mi piace iniziare questa mia esortazione omiletica facendo l’elogio della
tua persona, per quello che hai già compiuto a servizio della Chiesa e della
comunità dei Padri trinitari, e per quello che ti accingi a compiere assumendo questo incarico di pastore di comunità parrocchiale di Gagliano del
Capo.
È ammirevole la tua disponibilità ad andare in missione e a metterti a
servizio della Chiesa universale, dando esempio di disponibilità e di affezione
alle Chiese giovani che sono in Africa. Ti ha spinto la tua fede. Essa è aperta
alla Chiesa universale e desidera raggiungere i confini della terra. Ma è
ancora più ammirevole il fatto che, alla tua età, assumi con gioia la
responsabilità pastorale di questa comunità. È il segno di una profonda
sintonia con la spiritualità dell’Ordine a cui appartieni.
Attraverso la tua persona, desidero estendere il mio ringraziamento a
tutta la famiglia dei Padri trinitari. Porgo il mio ringraziamento a padre Luigi
Buccarello e a tutti voi, cari Padri trinitari, per quello che avete fatto in
questa Chiesa locale. Il servizio che ormai da diversi anni vivete all’interno
della nostra Chiesa consiste in un prezioso messaggio sul piano pastorale,
sociale e caritativo verso i più deboli e verso tutti coloro che rappresentano
in maniera visibile il volto sofferente di Cristo. Invito, pertanto P. Luigi,
divenuto Provinciale dell’Ordine, a esprimere il mio più sincero ringraziamento al Padre Generale.
Caro padre Angelo, assumendo la responsabilità di parroco quali compiti
sei chiamato a realizzare?
La parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ha indicato alcune immagini
che rappresentano in una maniera viva i tuoi nuovi compiti pastorali. Il
*
Omelia nella Messa per l’ingresso di padre Angelo Buccarello come parroco della Parrocchia “S. Rocco”, Gagliano, 20 gennaio 2013.
93
primo compito è quello di essere pastore. Sei guida di questa comunità nel
senso che seguendo Cristo, devi indicare ciò che Cristo compie nella storia
degli uomini. Egli realizza il mondo nuovo, rende bella la Chiesa, sua sposa, e
l’intera umanità. Sei dunque chiamato a far risplendere la bellezza della
sposa adornata dall’amorevole vicinanza del Signore. E guardando il volto di
Cristo, l’unico pastore, il Pastore supremo delle nostre anime, trarrai ispirazione per rendere presente la sua persona e guidare con lo stesso amore il
popolo che ti viene affidato.
Sei chiamato a sostenere il cammino di questa comunità egregiamente e
sapientemente guidata finora da P. Gino. Egli ha saputo creare un vero
spirito di Chiesa. Ogni volta che vengo in questa comunità rimango colpito
dal constatare la ricchezza della vita di comunità, ove il sacerdote dirige la
comunità valorizzando i doni di tutti, sviluppando in modo particolare i
carismi dei fedeli laici. Su questa linea, caro p. Angelo, continuerai a guidare
la comunità.
Il Vangelo ci parla di un’altra figura, anche essa molto bella e utile per
comprendere il ministero che ti accingi a compiere. Si tratta di colui che ha
la responsabilità del banchetto nuziale: l’archi-triclinio.
Caro padre Angelo sei tu l’archi-triclinio di questa comunità parrocchiale.
Lo sposo è Cristo, la sposa è la Chiesa. Il tuo compito è quello di rendere
possibile e gioioso l’incontro sponsale tra Cristo e la Chiesa. Essa è la sposa
che attende lo sposo, lo invoca, gioisce della sua presenza, ed esprime nella
propria vita quello che lo sposo le ha indicato.
Come l’architriclinio, il parroco è colui che rende possibile questo dialogo
d’amore tra Cristo e la Chiesa, tra lo sposo e la sposa. Egli prepara tutto, si
preoccupa perché l’incontro avvenga nel miglior modo possibile e il rapporto di amore tra Cristo e la comunità possa essere vissuto intensamente. Poi
si ritira.
L’architriclinio non è al centro della festa di nozze, ma al suo servizio. Al
centro sono lo sposo e la sposa. Senza di lui, però, la festa rischia di essere
imperfetta. Tocca a lui, infatti, predisporre ogni cosa perché la gioia degli
sposi e degli invitati possa esprimersi compiutamente. Ecco, dunque, il tuo
compito: render possibile l’incontro con Cristo sposo soprattutto la dome94
nica, intensificando di domenica in domenica la relazione di amore tra Cristo
e la Chiesa.
La terza immagine, presa dalla prima lettura, è quella della sentinella. Il
parroco è come la sentinella che guarda l’orizzonte e vede il nuovo che
avanza. In questa parrocchia di S. Rocco, situata in un paese prospiciente il
mare, tu sei colui che guarda l’orizzonte, spinge lo sguardo in avanti e scruta
i “segni dei tempi”, indicando alla comunità le realtà nuove che sorgono all’orizzonte. Occorre proiettarsi nel futuro, tenendo conto di quanto germoglia non solo nella Chiesa particolare, ma anche nella Chiesa universale.
La tua lunga esperienza missionaria ha certamente affinato il tuo
sguardo verso l’universalità. Devi, pertanto, aiutare questa comunità a non
chiudersi dentro i confini ristretti di questo territorio, ma a guardare verso
orizzonti più ampi, con lo spirito che ha guidato i santi fondatori del tuo
Ordine: l’amore verso la Trinità. Considerare il Dio-amore vuol dire amare il
Dio invisibile, fonte e sorgente di ogni amore, amando i poveri. S. Agostino
soleva dire: «Chi vede la carità, vede la Trinità». E noi potremmo aggiungere:
«Chi prega la Trinità, vive nella carità». La Trinità è il grande mistero della
fede che si esprime in ogni atto di amore.
Questo è il mio augurio, caro P. Angelo: che in continuità con l’opera
ministeriale compiuta da P. Gino, tu possa dare un ulteriore impulso alla vita
di questa parrocchia divenendo per essa pastore, archi-triclinio e sentinella e
inculcando in tutti l’amore alla Trinità attraverso l’esercizio della carità.
95
FIDES VICTORIA NOSTRA*
«Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4)
Se riferita all’attuale contesto culturale, la frase giovannea potrebbe
sembrare un’espressione trionfalistica e forse anche anacronistica perché il
nostro appare come un tempo di una evidente “crisi di fede”. I sociologi parlano di una “debolezza della fede”, piuttosto che di una sua presenza vittoriosa.
Eppure nel passato come nel presente, coraggiosi testimoni della fede
sono la prova che la fede vince il mondo. In una omelia su san Vincenzo,
sant’Agostino scrive: «Con gli occhi della fede abbiamo ammirato un magnifico spettacolo: il martire Vincenzo, vincitore sempre. Vince a parole, vince
nei tormenti, vince nella confessione, vince nella tribolazione, vince quando
è arso dal fuoco, vince quando è sommerso nelle acque; vince infine nella
tortura, vince da morto»1.
Ma di quale vittoria si tratta? In che senso la fede è vittoriosa? Quale fede vince il mondo?
Semplificando possiamo dire che oggi vi è una radicale opposizione tra la
fede nel Dio crocifisso e «il tentativo di far prevalere un’antropologia senza
Dio e senza Cristo»2.
Con qualche approssimazione e in estrema sintesi, possiamo dire che il
Novecento è stato il secolo nel quale le grandi ideologie del marxismo e del
fascismo/nazismo hanno tentato di affermarsi sulla scena della storia
umana. Entrambe sono state sconfitte, ma è certamente significativo che il
film commissionato da Hitler alla celebre regista Leni Riefenstahl, girato in
occasione del congresso del partito, tenuto a Norimberga nel settembre
*
Omelia nella Messa per la Festa di San Vincenzo Martire, Cattedrale, Ugento, 22 gennaio
2013.
1
Agostino, Disc 274.
2
Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 9.
96
1933 per celebrare l’ascesa al potere dei nazisti, fosse intitolato: La vittoria
della fede (Der Sieg des Glaubens).
Cosa volesse dire “fede” per l’ideologia nazista lo si può evincere da un
libretto nazionalsocialista intitolato Fede e Azione. Si tratta di una sorta di
“libro delle virtù” che la gioventù nazionalsocialista doveva possedere. Una
rivista dell’epoca, parlando di questa pubblicazione, osservava che si
trattava di un buon libro per coloro che desideravano dare ai propri ragazzi
qualcosa di meglio dei “miti ebraici del Vecchio Testamento”. L’autore era
incaricato dell’addestramento militare della Hitlerjugend. Il libretto fu
pubblicato dalla stessa casa editrice del Partito. La prima edizione è del
1938. L’edizione del 1943 tirò 150.000 copie.
La fede viene così descritta: «La via della fede è la via di tutto ciò che è
grande. Davanti ai nostri occhi Adolf Hitler imboccò la strada sulla quale
l’aveva condotto il destino. Era colmo di fede e credeva in ciò che nessun
intelletto ragionevole poteva vedere. La via della fede è davanti a ciascuno
di noi. Anche se non è il cammino della fama e dell’onore, ciò nonostante è
la via del dovere e della più intensa felicità. Trovare quella strada significa
conquistare una parte dell’eterna forza che muove l’universo. Perché la fede
è forza, può realizzare ciò che appare impossibile. È il fondamento di ogni
azione. Nessuno può fare qualcosa senza la fede. Non si può neppure saltare
un fosso se non si crede di poterlo fare. Ciascuno vale solo quanto la fede
che lo sostiene. Questo nuovo Reich nacque con la fede. Il primo congresso
del Partito dopo la presa del potere lo chiamammo “La vittoria della fede”. Il
Reich crebbe e divenne magnifico per mezzo della fede. Non crescerà più
grazie alla fede di un solo uomo, ma per la fede di tutti noi, e sarà il prodotto
della forza di tutti. E sarà molto più potente della sola forza degli uomini.
Guai a coloro che non credono. Essi non sono dalla parte della forza
creativa, ma dell’annientamento. Sono i distruttori del Reich. La fede è
comunque più forte di tutti gli altri poteri che esistano in questo mondo».
A queste parole si oppongono quelle di Peter Schneider, martire nei
campi di concentramento nazisti. Nella sua ultima omelia, cinquanta giorni
prima della Pasqua, egli si rivolse ai suoi fedeli con queste parole: «E tu non
t’ingannare: perché tu non puoi avere parte alla vittoria e alla gloria di Gesù,
97
se non prendendo su di te, per amor suo, la santa croce, percorrendo con lui
la via della passione e della morte. Per questo c’è bisogno della fede: perché
è la fede che conosce la potenza e la vittoria della croce. Questa fede è una
forza nascosta, silenziosa e quieta; non per questo però è inoperosa e inerte, e si attiva nella preghiera intensa, appassionata».
Carissimi sacerdoti e fedeli, scomparse le grandi ideologie novecentesche,
non è scomparsa la linfa vitale che le animava. Vi è però una precisa differenza. Al mito della forza, è stato sostituito il principio della debolezza, quella
“dittatura del relativismo” così efficacemente stigmatizzato da Benedetto XVI.
In precedenza, Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus aveva
scritto: «Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo
scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle
forme politiche democratiche, e che quanti son convinti di conoscere la
verità e aderiscono con fermezza a essa non sono affidabili dal punto di vista
democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla
maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo
proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la
quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono
esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza
valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo,
come dimostra la storia»3.
Secondo questa visione non c’è verità a cui riferirsi, ma tutto è opinione
e conflitto delle interpretazioni. La ragione debole ha preso il posto della ragione forte. Ed anche la fede è diventata liquida, incerta, frammentata, appiattita sul presente senza più uno “slancio rivoluzionario”.
L’ideale non è più una fede vittoriosa, ma un vago “orizzonte umanitario”! E chi non si adegua a professare questo nuovo credo è nuovamente deriso, esorcizzato e combattuto come un attentatore della libertà dell’uomo.
Il Concilio Vaticano II ha messo in guardia la Chiesa da un facile irenismo
con la cultura del nostro tempo avvertendo i cristiani che «la Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di
3
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 46.
98
Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga
(cfr. 1Cor 11,26). Dalla virtù del Signore risuscitato trae la forza per vincere
con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà, che le vengono sia dal di
dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà anche
se non perfettamente, il mistero di lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce» (Lumen Gentium, 8).
Oggi, come in passato, occorrono testimoni credibili, pronti a dare testimonianza al Vangelo anche a rischio della propria vita. Sì, il nostro è ancora il
tempo dei martiri. Sono proprio questi testimoni di Cristo a manifestare la
vittoria della fede. Tra i milioni di martiri uccisi nel nostro tempo, richiamo la
testimonianza di Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze del governo
pachistano, l’unico cattolico presente nel governo. Aveva accettato l’incarico
per il bene degli emarginati del Pakistan e aveva dedicato la propria vita alla
lotta per l’uguaglianza umana, della giustizia sociale, libertà religiosa, e per
elevare e dare potere alle comunità delle minoranze religiose. Il suo voleva
essere un messaggio di speranza alle persone che vivono una vita di illusione
e disperazione e per questo dichiarò anche il suo impegno a riformare la
legge sulla blasfemia. Iniziarono ben presto a giungergli minacce di morte,
dopo la sua difesa dei cristiani pachistani, che avevano subìto attacchi e
violenze in diverse regioni del Paese. Le minacce di morte aumentarono in
seguito alla sua difesa della cristiana Asia Bibi condannata a morte per
blasfemia. La mattina del 2 marzo 2011, lasciata la casa della madre per
recarsi al lavoro, fu attaccato da un gruppo di uomini armati, che aprì il
fuoco sul ministro, ferendolo gravemente. L’autista riuscì a salvarsi, mentre
Bhatti morì nel trasferimento in ospedale.
Queste le parole del suo testamento: «Fin da bambino ero solito andare
in Chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e
nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse a offrire i miei
servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del
Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo
tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra
redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo
amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei
99
cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono
in questo paese islamico.
Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre
rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre
stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio
solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie
azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio
è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio
battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del
Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.
Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura
in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi,
imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la
mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i
bisognosi, i poveri».
Nel Messaggio conclusivo del recente Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione i Padri hanno scritto: «La nostra Chiesa è viva e affronta con il coraggio
della fede e la testimonianza di tanti suoi figli le sfide poste dalla storia.
Sappiamo che nel mondo dobbiamo affrontare una dura lotta contro “i
Principati e le Potenze”, “gli spiriti del male” (Ef 6, 12)».
A questa consapevolezza deve ancorarsi la nostra vita cristiana. Se, al
contrario, la nostra fede si lascerà intaccare dal clima del relativismo
imperante, saremo forse applauditi dalla gente, ma il mondo non sarà
salvato. Solo la fede nel Dio crocifisso vince il male e dona la vita al mondo.
Questa è «la fede che opera per la carità» (Gal 5,6).
Con le parole di Sant’Agostino comprendiamo allora in che senso la fede
in Cristo è vittoriosa: «Nam non vincit nisi veritas: victoria veritatis est
charitas»4. La fede ci introduce nella verità e questa sboccia in modo pieno
nella carità. Ed è l’amore a riportare vittoria: la vittoria della verità cioè la
vittoria della fede che ama e si dona a tutti, gratuitamente e senza riserve.
4
Agostino, Sermone 358, 1.
100
PROFONDITÀ, STABILITÀ, ETERNITÀ*
Cari fidanzati,
vi saluto con particolare affetto.
È bello usare la parola “fidanzati”, pur se è un termine andato un po’ in
disuso. Le cose vere, però, rimangono e, con il cambio delle mode, ritornano
con la loro carica di verità, la prospettiva di felicità, l’anelito a una pienezza
di vita. Ritornano con un nuovo fascino e con la promessa di un progetto
d’amore da proporre alle nuove generazioni. Il tempo del fidanzamento,
infatti, è un tempo di grazia, nel quale progressivamente si può imprimere al
sentimento la forza del legame in una prospettiva di felicità per il futuro.
Oggi si utilizzano altre locuzioni (“compagno”, “amico”...) e si prendono in
prestito termini anche da lingue straniere (“partner”). A me piace far
risuonare il termine tradizionale che, pian piano, sta tornado nuovamente di
attualità. Anche la Conferenza episcopale italiana ha predisposto un nuovo
documento intitolato Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio
e alla famiglia. Perciò, vi saluto nuovamente con queste parole: cari fidanzati!
Certo, siamo di fronte a un tempo di crisi, di difficoltà, di smarrimento
delle forme con le quali si pensava di poter vivere la bella esperienza umana
dell’amore tra l’uomo e la donna. Non è il caso che io ricordi le nuove
prospettive e le nuove modalità che si fanno strada in campo matrimoniale
nella nostra società.
L’attuale situazione di difficoltà e di complessità, però, contiene un
aspetto positivo: la possibilità di fare scelte libere e responsabili e ciò è un
aiuto a considerare il matrimonio come una vocazione. Mentre vengono
meno alcune tradizioni del passato, si prospettano nuove possibilità e nuovi
modi di vivere l’unione tra l’uomo e la donna perché tutto è affidato alla
libertà personale. Non vi sono costrizioni familiari, sociali, culturali. Si può
liberamente scegliere il progetto di vita sulla base di alcune convinzioni
*
Omelia nella Messa per i fidanzati, Cattedrale, Ugento, 14 febbraio 2013.
101
profonde, che devono animare e fondare tutta l’esistenza. In altri termini, ci
si sposa perché ci si ama.
Non bisogna, però, dimenticare che si ama l’altro perché si è amati. E ciò
vuol dire che l’amore è una chiamata. Come scriveva Giovanni Paolo II
nell’enciclica Redemptor hominis «l’uomo non può vivere senza amore. Egli
rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso,
se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo
sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (n. 10).
Amare vuol dire vivere nella consapevolezza che Qualcuno, da sempre, ha
un progetto di vita e di felicità per noi.
Sotto questo profilo vale la pena sottolineare che la Chiesa non impone
nulla: vuole soltanto aiutare a capire la verità dell’amore radicata nell’animo
dell’uomo, come una realtà che precede e orienta la scelta libera e
responsabile di ciascuno. Basta solo riflettere e ascoltare la voce che grida
dentro ciascuno di noi: tu sei amore e sei fatto per amare!
Cari giovani, questa sera voglio richiamare la vostra attenzione su quanto
è radicato nel fondo del vostro cuore; un anelito che, misteriosamente, si
accorda con la Parola di Dio perché non vi è nessun contrasto tra la retta
coscienza e la legge di Dio. Non si tratta di regole imposte dalla Chiesa, ma di
imperativi presenti in ogni uomo! Ovviamente, la Chiesa promuove questi
valori.
Ci sono, dunque, tre valori fondamentali inscritti in modo indelebile nel
cuore dell’uomo. Il primo è il seguente: l’amore ha bisogno di profondità!
Il vero amore non può essere superficiale. Quando uno ama, vuole
andare in profondità nel rapporto con l’altro, vuole conoscerlo non solo in
ciò che appare, ma in ciò che è nascosto nel suo intimo. Non si accontenta di
ciò che si dice; vuole invece, avere una relazione che tocchi il mistero
dell’altra persona.
L’amore vero non assomiglia al volo di un’ape che succhia fior da fiore,
ma vuole esprimersi nella radicalità della relazione, nel desiderio della
scoperta, nella voglia, per certi versi inappagabile, di capire il bene che è
l’altro. Certi modi di dire come “ti amo tanto”, “il cuore mi scoppia” o altre
espressioni simili indicano il bisogno di totalità e di profondità.
102
Non si ama l’altro per le cose che egli possiede. Lo si ama per quello che
è; per quel mistero di cui è portatore, che affascina. L’altro è un tesoro. In lui
c’è una ricchezza che abbaglia e attira. Gli innamorati, di solito, utilizzano
affettuosamente la parola tesoro per indicare l’altro. Da questo tesoro, essi
vogliono estrarre tutta la ricchezza ivi contenuta. Si vuole avere per sé lo
scrigno con tutte le sue perle preziose.
La prima parola del vero amore è, dunque, profondità! Certo, il mondo,
oggi, sta cambiando le carte in tavola. Sostanzialmente dice: “Prendi quello
che ti piace, il resto lascialo”, come se si potesse considerare l’altro quantitativamente in modo da prenderne solo una parte, quella che si considera
più conveniente, trascurando tutto il resto.
Cari giovani, se non si accoglie la totalità dell’altro, prima o poi ci si
accorgerà che il desiderio rimane insoddisfatto, e si andrà incontro a un
fallimento della relazione. Senza profondità la relazione tende a svanire e a
dileguarsi, lasciando dietro di sé rimpianti, amarezze, delusioni. Per questo
vi esorto: conoscetevi in profondità, non accontentatevi di una relazione
superficiale ed effimera. D’altra parte occorre dire che non ci si può
conoscere in profondità in un breve arco di tempo. L’amore ha bisogno di
durata perché è il tempo a dischiudere e a rivelare la ricchezza dell’altro.
La seconda parola del vero amore è stabilità!
L’amore non è una sigaretta che si fuma per poi gettare la cicca, né è una
foglia che si muove al soffio del vento. L’amore assomiglia a una pietra forte
e stabile, che non cambia ogni volta che spira un vento contrario. Chi ama ha
bisogno di potersi fidare totalmente e ciecamente dell’altro. Per questo è
necessario un legame duraturo. Occorre stare insieme non solo quando le
cose vanno bene, ma anche quando subentrano le difficoltà. È necessario
essere sicuri che l’altro non mi abbandona. Ed è proprio questa certezza a
dare stabilità, sicurezza, solidità.
Quando si dice: “Per sposarsi occorre avere una casa”, implicitamente si
afferma che si cerca una intimità stabile, un luogo che custodisca l’amore
rispetto a tutti i venti che spirano nel mondo. Tutti gli sposi vogliono
costruire un loro “nido d’amore”! Non è pensabile che uno voglia sposarsi e
andare a vivere sotto i portici di un palazzo. Nessuno sogna di vivere la
103
relazione sponsale stando sotto una tenda. Al contrario, tutti aspirano a
vivere in una casa arredata e confortevole. La casa, infatti, è segno di
stabilità della relazione e di fecondità del rapporto.
Ecco la seconda parola del vero amore: stabilità!
Certo, oggi, non è facile dare stabilità all’amore. Viviamo in un tempo di
liquidità. È come se fossimo tutti sospesi sull’acqua, non sulla terraferma;
per questo le relazioni e i rapporti, anche quelli d’amore, sembrano sempre
sul punto di affondare. In realtà, il nostro animo desidera forza, stabilità,
durevolezza, consistenza: espressione che non muta con il passare dei tempi
e delle stagioni.
Profondità e stabilità sono le due grandi invocazioni dell’amore! Ma ve
n’è una terza: eternità!
L’amore vuole eternità. Vuole superare lo scorrere del tempo. Eternità,
però, non deve essere pensata soltanto in senso cronologico, ma in senso
qualitativo. L’eternità non è un tempo indefinito, ma è un tempo pieno.
Quando uno ama veramente un’altra persona, il tempo sembra non
esistere: passa velocemente. Mi farebbe piacere sentire la vostra esperienza. Il primo momento in cui vi siete innamorati, avete vissuto il tempo
dell’attesa e dell’incontro con l’altro. E, quando vi siete incontrati, il tempo è
volato via. È come se foste entrati in una dimensione al di fuori del tempo:
appunto nell’eternità.
L’amore non è regolato dallo spazio e dal tempo, dal luogo o dall’ora, ma da
una forza interna, da una realtà più profonda, che grida e dice: “per sempre!”.
So bene che anche questa parola è diventata difficile da capire oggi. Anzi,
fa paura. Essa però è in sintonia con la verità dell’amore. La Sacra Scrittura,
in un bellissimo brano dell’Antico Testamento, afferma che Dio ha creato
l’uomo e ha posto in lui la nostalgia dell’eternità. Portiamo l’eternità dentro
di noi! Ecco perché i gesti che compiamo durante il rito del matrimonio sono
significativi. Vi metterete l’anello al dito. L’anello è un cerchio e il cerchio, in
tutte le culture, è il simbolo dell’eternità. La linea retta dice “direzione”,
“orientamento”. Il cerchio indica invece il tempo cosmico, un tempo che va
oltre la piccola realtà quotidiana e consente di entrare in un’altra dimensione, in uno spazio senza confini.
104
Ciò fa parte della nostra esperienza. Quando vi amate veramente, avete
l’impressione che il tempo scompaia, si volatilizzi, non esista più. Questa è
l’esperienza dell’eternità: un tempo pieno; pieno di affetto, pieno di realtà,
pieno del mistero dell’altra persona.
Cari giovani, questi valori – profondità, stabilità, eternità – sono le
caratteristiche dell’amore. Non le impone la Chiesa come fossero una
camicia di forza. Le esige l’amore stesso. Anche l’amore, infatti, ha i suoi
comandamenti!
Certo, cari fidanzati, bisogna volerle queste cose. Non sono più un fatto
scontato. Sono, invece, una scelta di vita. Il mondo vi fa brillare altre
possibili scelte. Il vostro cuore, la Chiesa e la Parola di Dio vi esortano a non
lasciarvi ingannare dalle lusinghe del mondo, ma ad ascoltare la voce di Dio
che risuona dentro di voi. La vostra vita si trova davanti a questo bivio:
volete vivere il vostro amore con superficialità, avidità e a tempo determinato o con profondità, stabilità, eternità?
A voi la scelta!
Certo, sarebbe bello ritrovarsi a distanza di tempo e riprendere questo
discorso, valutando, dati alla mano, la proposta migliore tra queste due
possibilità.
105
ASCOLTO, PREGHIERA, CARITÀ*
Il cammino quaresimale è il tempo del rinnovamento della nostra vita
cristiana. Il momento favorevole per incamminarci sulle orme di Cristo,
compiere il suo itinerario e partecipare con Lui al mistero della sua passione,
risurrezione e glorificazione. Nella nostra diocesi il cammino quaresimale di
quest’anno assume un significato tutto particolare.
A una settimana di distanza dalla celebrazione della Pasqua del Signore
vivremo un momento di straordinaria intensità spirituale: l’Ordinazione
episcopale di mons. Gerardo Antonazzo. È un grande dono che il Signore fa a
lui e a tutta la nostra Chiesa locale. In quanto Vescovo, mons. Antonazzo è
chiamato a essere padre e maestro della comunità cristiana, ponendosi in
mezzo e davanti al popolo di Dio per indicare a tutti i fedeli il cammino da
percorrere. La sua missione è di confermare tutti nella fede pasquale
insegnando a guardare con gli occhi del Risorto il mondo, la vita, la storia.
Per la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca l’Ordinazione episcopale
di mons. Gerardo Antonazzo è una gemma spirituale che sorge dal mistero
pasquale di Gesù. Nell’annuncio ufficiale della nomina di mons. Gerardo
Antonazzo ho ripreso le parole dell’angelo alla Madonna e ho invitato la
comunità diocesana a gioire. È, infatti, significativo che l’ordinazione di
mons. Antonazzo avverrà l’8 aprile, festa dell’Annunciazione, sul piazzale di
questo Santuario dedicato alla Vergine Maria. È l’annuncio di gioia rivolto
alla nostra Chiesa locale, la gioia che nasce dalla consapevolezza che il
mistero della Pasqua di Gesù ha cambiato radicalmente le sorti della storia,
ha piantato un germe di vita nuova. La Pasqua – afferma Benedetto XVI – «è
un’energia divina, come la fissione nucleare di Dio, che invade il mondo e
dona vita a ogni cosa».
*
Omelia per l’ingresso di Don Gianni Leo come Rettore-Parroco del Santuario di Leuca,
Leuca, 24 febbraio 2013.
106
Mons. Gerardo Antonazzo ha dato un grande impulso alla nostra Chiesa.
Tra i suoi numerosi incarichi, ha assunto anche la responsabilità di questo
Santuario e di questa parrocchia. Sulla scia di quanto attuato con grande
intelligenza da mons. Giuseppe Stendardo, ha continuato a dare lustro a
questo Santuario. Colgo questa occasione per esprimere ancora una volta a
mons. Stendardo e a mons. Antonazzo il più vivo ringraziamento mio e di
tutta quanta la nostra Chiesa. In modo diverso, con i carismi che sono
propri, essi hanno fatto risplendere questo luogo mariano e lo hanno fatto
diventare punto di riferimento per la nostra diocesi e per molti altri fedeli
della Puglia.
Ora viviamo un altro momento di passaggio della responsabilità pastorale da mons. Antonazzo a don Gianni Leo. Gli avvicendamenti nella guida di
una comunità non sono eventi personali, ma avvenimenti ecclesiali. Si tratta
di una nuova tappa, di un cammino che tiene insieme la tradizione già
avviata e annuncia una prospettiva nuova, secondo le indicazioni che il
Signore vorrà dare.
Caro don Gianni, ti ringrazio per aver accolto con grande disponibilità la
mia proposta di metterti a servizio di questo Santuario. Il tempo liturgico
che stiamo vivendo indica il compito che devi attuare in questo Santuario:
accompagnare tutti all’incontro con Cristo Risorto, attraverso un cammino di
trasfigurazione personale e comunitario. La trasfigurazione è il mistero che
celebriamo in questa seconda domenica di Quaresima. Essa indica la meta
del nostro cammino e si realizza attraverso tre tappe: la prima trasformazione consiste nella conversione, nel cambiamento del cuore. Trasfigurazione (in greco metamorfosi) significa cambiamento della forma. Vuol dire
cioè assumere un’altra forma, cambiare radicalmente dal di dentro,
realizzare in noi la figura di Cristo; la seconda tappa si realizza con la
partecipazione alla Risurrezione di Cristo nel momento della morte; la terza
avviene con l’ingresso nella pace e nella luce del Signore. Trasfigurazione
allora, è conversione del cuore, risurrezione del corpo, illuminazione e
glorificazione della persona.
Caro don Gianni, tu sei qui come ministro di Dio perché il popolo possa
compiere questo cammino di trasfigurazione, realizzare i passaggi spirituali,
107
attraverso l’opera del tuo ministero e di tutti i sacerdoti che sono deputati in
questo Santuario all’accoglienza dei pellegrini e al servizio ministeriale.
Come dovrai farlo? Come deve avvenire questo tuo servizio, perché i
fedeli, venendo nel Santuario della Madonna, possano cogliere questo
messaggio fondamentale e compiere il cammino di trasformazione della
propria vita?
Caro don Gianni, devi ispirarti all’esempio della Vergine Maria: donna in
ascolto, vergine in preghiera, testimone di carità.
Il Santuario è il luogo dell’ascolto. Quante persone vengono qui, caro don
Gianni, perché avvertono il bisogno di ascoltare una parola che viene da Dio
e che penetri nel cuore. Il Santuario non è solo il luogo fisico. È soprattutto
un ambiente spirituale. Anche coloro che vengono distrattamente, forse
solo per un vago senso di spiritualità come avviene durante i giorni di
vacanza, sono intimamente attratti dal Signore e cercano un sacerdote che
sappia ascoltare le loro domande e dare le risposte che vengono da Dio.
Questo ministero è di una strettissima attualità. Gli uomini, oggi, desiderano
essere ascoltati nelle domande più fondamentali e ricevere risposte che non
siano soltanto il frutto di una sapienza umana, ma di una esperienza
spirituale di un sacerdote che vive la sua vita in continuo ascolto del Signore.
Il Santuario è il luogo della preghiera. In un Santuario non sono importanti le attività che, di solito, si compiono in una comunità parrocchiale. Il
Santuario ha lo specifico compito di essere dedicato totalmente, direi quasi
unicamente, alla preghiera. Essa ha bisogno di pedagoghi e di maestri.
Certo, essa nasce spontanea nel cuore dell’uomo, ma occorre educare alla
preghiera cristiana, non solo alla preghiera in senso generale.
Pregare, in senso cristiano, non vuol dire recitare formule, elevare il
pensiero a Dio, avvertire una emozione nel cuore. Non si esaurisce in una
pratica religiosa superficiale, emotiva, sensazionale, ma accogliere e fare la
volontà di Dio qualunque essa sia. Questo è il valore mariano e cristiano
della preghiera. La preghiera di Maria consisteva nella conformazione della
sua vita alla volontà di Dio. «Avvenga di me quello che hai detto», sono le
parole con le quali ella risponde all’annuncio dell’Angelo.
Ognuno di voi, cari fedeli, viene in questo luogo portando con sé do108
mande, richieste, invocazioni da rivolgere al Signore. Venite qui per
comprendere il disegno di Dio sulla vostra vita e per ricevere da lui la grazia
necessaria per compiere il suo volere. Il Santuario è la risposta alle vostre
domande se diventa una pedagogia, una mistagogia, una via per entrare nel
mistero della preghiera.
Il Santuario è un ambiente che testimonia la carità. La preghiera è
intimamente unita alla carità. Il Canone della Messa VB ci mette in bocca le
parole giuste per la nostra preghiera: «Donaci occhi per vedere le necessità
e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della Tua Parola per
confortare gli affaticati e gli oppressi; fa’ che ci impegniamo lealmente al
servizio dei poveri e dei sofferenti».
La presenza degli anziani in questo Santuario sta a indicare che questo è
anche il luogo della carità. L’incontro con la Madonna si realizza non solo
con la preghiera, ma anche facendo visita agli anziani. Maria vive la sua
maternità accogliendo ogni debolezza dell’uomo. Bisogna uscire da questo
Santuario con il cuore pieno di una ricchezza spirituale che apre alla fantasia
e alla bellezza della carità.
Caro don Gianni, è l’accompagnamento all’ascolto, alla preghiera e alla
carità quello che il popolo di Dio attende dal tuo ministero. Questo, ne sono
sicuro, è anche il tuo desiderio più profondo. Ricorda che ogni responsabilità
porta con sé anche problemi e difficoltà. Non aver paura, non scoraggiarti!
Quando si è disposti a fare la volontà di Dio seguendo non i propri progetti,
ma i progetti di Dio che si manifestano attraverso la voce della Chiesa, il
Signore dà anche la grazia per portare a compimento l’opera che Egli stesso
ha iniziato.
Questo è il nostro augurio!
Ti affidiamo alla Vergine “de finibus terrae”, segno luminoso di una vita
rinnovata e realmente piena della grazia di Dio, trasfigurata dal mistero della
Risurrezione di Gesù. Lei è la vergine che sta nella terra di confine. Non solo
un confine che separa, ma un confine che unisce e trasforma in un nuovo
intenso splendore.
109
LA GIOIA DEL SIGNORE SIA LA VOSTRA FORZA*
La liturgia odierna è un tripudio di gioia. Laetare è l’imperativo di questa
IV domenica di Quaresima. L’antifona d’ingresso esorta Gerusalemme a
rallegrarsi e a esultare per l’abbondanza della consolazione divina. La colletta invita la Chiesa a respirare il profumo della festa di Pasqua ormai vicina.
La pagina evangelica manifesta l’incontenibile gioia del Padre per il ritorno
del figlio “che era morto, ed è tornato in vita”.
Immersi in questo alone di festa, questa comunità del Seminario
Regionale e le Chiese Puglia esultano perché alcuni giovani, in cammino
verso il sacerdozio, ricevono i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato.
L’anelito alla gioia
Cari giovani, il contesto liturgico della domenica Laetare è molto di più di
una semplice cornice di festa. È un invito a comprendere il valore del
ministero come un servizio di gioia! Il Vangelo è “gioiosa notizia”: la sua
pretesa è di proporre una fede che dà gioia alla vita, mostrando (non solo
affermando) che Cristo è la felicità dell’uomo.
Se questo è il nucleo del Vangelo, bisogna allora prendere sul serio
l’accusa secondo la quale il cristianesimo è nemico della gioia (Anatole France), anzi la “maledizione della vita” (Nietzsche). Bisogna lasciarsi provocare
da questa insinuazione e dare una risposta alla domanda, sempre più
ricorrente nel nostro tempo, su cosa sia “la gioia di vivere”.
A tal proposito, può essere utile prendere in considerazione il messaggio
lanciato in internet da un giovane. Così egli scrive: «Che cosa è la gioia di
vivere? Posso dirvi cosa sono la sofferenza, la depressione, la frustrazione,
l’angoscia, la disperazione, ma non ho la più pallida idea di cosa voglia dire
“gioia di vivere”. Ammesso che tale gioia esista, c’è qualcuno che può
spiegarmi cos’è?».
*
Omelia nella Messa per il conferimento dei ministeri ai seminaristi Biagio Errico e Andrea
Malagnino, Seminario Regionale, Molfetta, 10 marzo 2013.
110
Non si tratta di una questione di poco conto. In fondo è la stessa
richiesta avanzata dai “nemici dei giusti” riportata nel libro del profeta Isaia.
Questa la loro sfida: «Mostri il Signore la sua gloria e voi fateci vedere la
vostra gioia» (Is 66,5).
Non vi è nulla di scandaloso in questa singolare rivendicazione. Il
messaggio fondamentale dei profeti, infatti, è la proclamazione dell’avvento
del “Dio della gioia”. Così scrive il profeta Sofonia: «Il Signore tuo Dio in
mezzo a te è un salvatore potente. Danzerà di gioia per te, ti rinnoverà con il
suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia come nei giorni di festa»
(Sof 3,17-18).
Un Dio che gioisce, si rallegra e danza, è la promessa fatta dalla Sacra
Scrittura. Questo è anche il profondo desiderio dell’uomo. Se ne fa interprete Nietzsche, secondo il quale, se Dio esistesse, il suo nome dovrebbe
essere “gioia”. I cristiani – a suo modo di vedere – non irradiano gioia e con
la tristezza del volto contraddicono la loro fede e danno la prova che il loro
dio è morto.
Certo, per Nietszche la morte di Dio è un fatto terribile, ma è anche il
passo decisivo verso una «guarigione» e una nuova prospettiva: la gioia di
vivere senza Dio. Con la sua gaia scienza, egli ha inteso rendere evidente che
la morte di Dio significa una nuova aurora di luce e di felicità: una umanità
finalmente libera e totalmente indipendente da norme e regole morali e
sociali. Si spalanca così un nuovo orizzonte. È possibile prendere il largo
affrontando una nuova direzione di marcia. La morte di Dio sconvolge ogni
cosa, ma annuncia anche che ora tutto è possibile. Ha inizio una nuova era: il
tempo del regno della libertà e della vera “gioia di vivere”.
È un sogno tenebroso e affascinante. Ma è lo stesso filosofo tedesco a
mettere in discussione un progetto così ambizioso. In contraddizione con se
stesso, alla fine della vita, prima del crollo del 1889, egli si rivolge nuovamente a Dio e lo implora di tornare con il suo carico di felicità e di
sofferenza:
No! Torna indietro!
Con tutte le tue torture!
Tutte le lacrime mie
111
corrono a te
e l’ultima fiamma del mio cuore
s’accende per te.
Oh! torna indietro,
mio dio sconosciuto! dolore mio!
felicità mia ultima!
(Ditirambi di Dioniso: Il lamento di Arianna)
La gioia cristiana
La vicenda di Nietzsche testimonia che l’anelito alla gioia è ineliminabile
dal cuore dell’uomo. Bisogna solo decidersi su quale gioia puntare: quella di
Cristo o quella promessa dal Maligno. Il tratto comune delle culture esoteriche (oggi così diffuse) è l’avversione alle religioni dogmatiche, principalmente a quella cristiana, considerata come nemica dell’uomo e della sua
gioia di vivere.
Questo è il bivio che si presenta davanti a noi. Da qui l’importanza di
mostrare che Cristo è la vera felicità dell’uomo. La gioia è l’essenza
dell’annuncio evangelico, l’esperienza specifica della vocazione cristiana, il
contenuto fondamentale della missione, la forza della testimonianza.
Gesù prega per i suoi discepoli «perché abbiano in se stessi la pienezza
della sua gioia» (Gv 17,13). Si premura di assicurarli che la loro tristezza si
cambierà in gioia: «Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in
gioia... Voi ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si
rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Gv 16,20-23). Li esorta
a pregare il Padre per provare la gioia di essere esauditi: «Chiedete e
otterrete, perché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,24).
Tra i primi testi cristiani, il Pastore di Erma ci regala una stupenda
esortazione: «Caccia da te la tristezza perché è sorella del dubbio e dell’ira.
Tu sei un uomo senza discernimento se non giungi a capire che la tristezza è
la più malvagia di tutte le passioni e dannosissima ai servi di Dio: essa rovina
l’uomo e caccia da lui lo Spirito Santo... Armati di gioia, che è sempre grata e
accetta a Dio, e deliziati in essa. L’uomo allegro fa il bene, pensa il bene ed
evita più che può la tristezza. L’uomo triste, invece, opera sempre il male,
112
prima di tutto perché contrista lo Spirito Santo, fonte all’uomo non di
mestizia ma di gioia: in secondo luogo perché tralasciando di pregare e di
lodare il Signore, commette una colpa... Purificati, dunque, da questa
nefanda tristezza e vivrai in Dio. E vivranno in Dio quanti allontanano la
tristezza e si rivestono di ogni gioia» (Pastore di Erma, Decimo precetto).
La gioia è un preciso dovere del cristiano. «È necessario che chiunque
voglia progredire abbia la gioia spirituale», afferma san Tommaso d’Aquino.
Il cristiano deve cercare la gioia e deve possederla per poterla comunicare.
Essa è «frutto dello Spirito» (Gal 5,22). Lo Spirito non è oscurità e mestizia,
ma fonte della gioia: la gioia dell’amore. Attraverso di lui, incontriamo il Dio
della gioia e la gioia di Cristo passa in noi.
Per questo gli Atti degli Apostoli affermano che «i discepoli erano pieni di
gioia e di Spirito Santo» (At 13,52), e san Paolo scrive che i Tessalonicesi
«avevano accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a
grande tribolazione» (1Ts 1,6). Il regno di Dio – aggiunge l’apostolo – «non è
questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito
Santo» (Rm 14,17).
Così, durante l’anno liturgico possiamo assaporare le molteplici sfumature della gioia. La gioia dell’attesa che protende l’animo all’incontro con il
mistero del Verbo incarnato (Avvento-Natale); la gioia del superamento di
ogni limite, anche quello della morte (Pasqua), per salire sempre più in alto
e raggiungere le altissime vette di una felicità sovrabbondante e pienamente
appagante (Ascensione); la gioia pasquale ossia la vera gioia, l’eterno
gaudio, la felicità che nessuno può togliere perché infusa dallo Spirito
(Pentecoste). Diceva Origene: «Se chi crede è munito della forza dello Spirito
Santo, è certo che ha sempre la pienezza della gioia e della pace».
La gioia del servizio
Questa è la gioia promessa a ogni cristiano. Voi, cari Lettori e Accoliti,
siete chiamati a mettervi a servizio di questa gioia proclamando la Parola di
Dio e servendo all’altare del Signore. La vostra è la gioia del servizio.
Prima di essere un dovere da compiere, il servizio è una grazia da
accogliere. L’ufficio non è solo un incarico, ma è soprattutto un dono. La
113
vera missione non consiste in un’opera da compiere, ma in una relazione da
consolidare.
Dio – scrive sant’Ireneo – «accorda i suoi benefici a coloro che lo servono
per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo
seguono, ma non ne trae alcuna utilità. Dio ricerca il servizio degli uomini
per avere la possibilità, lui che è buono e misericordioso, di riversare i suoi
benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha
bisogno di nulla, l’uomo ha bisogno della comunione con Dio. La gloria
dell’uomo consiste nel perseverare al servizio di Dio»1.
Voi, cari Lettori, siete chiamati a gustare la gioia di proclamare la Parola
di Dio. Non è un caso che sia proprio il Vangelo di Luca a mettere in relazione la gioia con il ministero dell’annuncio. Basta solo richiamare i vocaboli
della felicità per accorgersi dell’insistita presenza di questo tema nel terzo
Vangelo.
Il verbo cháiro (gioire, rallegrarsi) risuona venti volte a partire da quel
«Rallègrati» rivolto dall’angelo Gabriele a Maria (1,28). C’è poi l’«esultanza»
espressa per quattro volte dal verbo agalliáo e dal sostantivo agallíasis. È la
felicità messianica con il suo carico di doni temporali e spirituali. Per tre
volte viene evocato il verbo dell’allegria fisica, in greco skirtáo; verbo
dell’esultanza e della danza. Il capitolo quindicesimo con le tre celebri
parabole della misericordia divina (quelle della pecora, della dracma e del
figlio smarrito e ritrovato) è un invito alla gioia di Dio in Cristo. In questo
testo, tra l’altro, è richiamato un altro verbo: eufráino cioè il gioire festoso
che prende spunto da vicende umane concrete, come il ritrovare un oggetto
prezioso smarrito o il riabbracciare, dopo tanto tempo, una persona cara.
La Parola di Dio suscita la gioia e chi la proclama non può farlo se non in
un impeto di gioia. Per questo il salmista esclama: «Nel seguire i tuoi ordini è
la mia gioia più che in ogni altro bene. Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie. Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la
tua parola» (Sal 119,14-16). Cari Lettori, sia questo il vostro progetto di vita
e il programma del vostro ministero.
1
Ireneo di Lione, Contro le eresie, Lib. IV, 13, 4-14, 1.
114
Voi, cari Accoliti, avete il compito di testimoniare la gioia di servire
l’altare del Signore e i poveri, amati dal Signore. Per usare un’espressione
cara a don Tonino Bello, del quale quest’anno ricorre il XX della morte,
possiamo dire che voi siete chiamati a servire il Signore del tabernacolo e il
tabernacolo del Signore.
«La gioia – scrive san Tommaso d’Aquino – è causata dall’amore». Gioia
e amore camminano insieme. La gioia cristiana non è una virtù distinta
dall’amore, ma è un effetto dell’amore: è la ridondanza dell’amore di Dio.
Questa precisazione non è inutile, ma indispensabile perché svela il motivo
per il quale molti cercano la gioia e non la trovano. Essi la cercano invano
perché pensano che essa sia reperibile per se stessa. La gioia non ha
consistenza in se stessa: è un raggio dell’amore ed ha la sua sorgente nell’amore, che è Dio stesso (cfr. 1Gv 4,8).
La gioia che nasce dall’amore diventa la forza per amare con gioia. Il
bellissimo canto Jesu dulcis memoria inneggia a Cristo e gli chiede di
infondere nel cuore la gioia vera (dans vera cordis gaudia) anzi, lo invoca
come l’eterno gaudio (Sis, Jesu, nostrum gaudium).
Servire all’altare vuol dire attingere la gioia dall’Eucaristia, sorgente
dell’amore, per far rifluire verso tutti, in modo particolare verso i poveri e gli
afflitti, la gioia che sgorga dall’amore.
Cari Lettori e Accoliti, vivete così il vostro ministero e servite il Signore e
la Chiesa “in letizia e semplicità di cuore”. La gioia del Signore sia la vostra
forza!
115
I SENTIMENTI DI CRISTO: FIDUCIA, PREGHIERA, MANSUETUDINE*
Gesù entra trionfalmente in Gerusalemme consapevole che la gloria che
gli viene tributata è un preludio alla sua passione. Anche noi abbiamo
inneggiato a lui cantando: «Osanna al Figlio di Davide. Benedetto colui che
viene nel nome del Signore». Dobbiamo, però, non dimenticare il suo invito
a prendere la nostra croce e a seguirlo lungo il cammino che egli ha
tracciato.
Il simbolo della palma
Il vangelo di Giovanni descrive la scena dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme con queste parole: «L’indomani, la gran folla venuta per la festa,
sentendo che Gesù si recava a Gerusalemme, prese i rami delle palme e gli
andò incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del
Signore, il re d’Israele» (Gv 12,12-13).
Il simbolo della palma rappresenta l’inscindibile unità tra la gloria e la
passione. La gloria di Cristo è, infatti, il frutto della sua passione (cfr. Eb 2,9).
Sant’Agostino commenta l’episodio dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme
con queste parole: «Le palme sono un omaggio e un simbolo di vittoria;
perché, morendo, il Signore avrebbe vinto la morte, e, mediante il trofeo
della croce, avrebbe riportato vittoria sul diavolo principe della morte. Il
grido “Osanna” poi, secondo alcuni che conoscono l’ebraico, più che altro
esprime affetto; un po’ come le interiezioni in latino: diciamo “ahi!” per
esprimere dolore, “ah!” per esprimere gioia, “oh, che gran cosa!” per
esprimere meraviglia. Al più “oh!” esprime un sentimento di ammirazione
affettuosa. Così è per la parola ebraica “Osanna”, che tale è rimasta in greco
e in latino, essendo intraducibile»1.
*
1
Omelia nella Messa della Domenica delle Palme, Cattedrale, Ugento, 24 marzo 2013.
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 51,2.
116
In realtà, anche nelle altre religioni la palma ha un alto valore simbolico.
Nell’antica Mesopotamia la palma era considerata un albero sacro. Sopra la
sua corona a ventaglio era raffigurato il dio sole dentro il disco solare alato.
In Egitto, la palma era simbolo di una lunga vita, per questo era raffigurata
nelle processioni funebri, veniva posta sul feretro o sul petto della mummia.
Nell’Antico Testamento la palma raffigurava l’albero della vita. Nel
tempio di Salomone i rami di palma ornavano i battenti e le pareti del Santo
dei santi (cfr. 1Re 6,29-35) per invitare a dare gloria a Dio. Più in generale, la
Scrittura antica fa riferimento alla palma come metafora di ciò che è elevato
e sublime: «La sapienza divina è cresciuta come una palma di Engaddi» (Sir
21,14); «Il giusto fiorirà come palma» (Sal 92,13).
Nel Nuovo Testamento essa è simbolo di regalità e di vittoria (cfr. Gv
12,13), ma anche di sofferenza e di martirio. Nella visione apocalittica i
martiri sono avvolti in vesti candide segno della loro giustizia e della loro
fede e nelle mani portano rami di palma, segno del loro martirio e del
premio che essi hanno conquistato (cfr. Ap 7,9). Questa simbologia si perpetua nell’arte cristiana.
Gli atteggiamenti spirituali
Il significato simbolico della palma chiede di essere tradotto nella vita.
L’apostolo Paolo invita ad avere gli stessi sentimenti di Gesù (cfr. Fil 2,5). Per
questo ci domandiamo: quali sono stati i sentimenti con i quali Gesù ha
vissuto la sua passione? Quali devono essere gli atteggiamenti spirituali con i
quali noi dobbiamo vivere la passione di Gesù?
La lettura del “Passio” secondo la narrazione del Vangelo di Luca indica
tre atteggiamenti fondamentali: fiducia, preghiera, mansuetudine.
Cristo vive la sua passione fidandosi ciecamente del Padre. Prima nel
Getsemani e poi sulla croce egli si affida completamente a Dio: «Padre, nella
tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Le ultime parole di Gesù sono
rivolte al Padre al quale egli restituisce tutto in un supremo atto di fiducioso
abbandono. L’opera della redenzione è compiuta; non resta che consegnare
tutto al Padre. Dopo la grande fatica della passione, Cristo può imitare e
completare il riposo di Dio nel settimo giorno della creazione. Così scrive
117
Sant’Ambrogio: «Dio ci ha dato un’immagine simbolica della passione del
Signore che era ancora di là da venire. Ci ha rivelato come Cristo un giorno
avrebbe trovato il suo riposo presso l’umanità. Ha anticipato per se stesso
quel sonno della morte corporale che un giorno avrebbe preso per redimere
l’umanità»2.
Il secondo atteggiamento con il quale Gesù va incontro alla morte è
quello della preghiera. L’evangelista Luca sottolinea che si tratta di una
preghiera di confidenza in Dio e di richiesta di perdono per tutti i peccatori:
«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
La croce diventa così il momento della grande preghiera di intercessione
rivolta da Cristo al Padre perché egli inondi il mondo con la sua infinita
misericordia. Il legno secco della croce prende vita, si riveste di fiori e di
tralci e sbocciano i frutti della divina misericordia. Il perdono trasforma la
croce nel nuovo Albero della vita. Così scrive san Giovanni Crisostomo:
«Questo Albero è cibo, dolce cibo, per la mia fame e una sorgente per la mia
sete; è indumento per la mia nudità; le sue foglie sono alito di vita. Se temo
Dio, questa è la mia protezione; se inciampo, questo è il mio bastone;
questo è il premio per cui lotto, la ricompensa della mia vittoria. Questo è il
sentiero diritto e stretto; questa è la scala di Giacobbe, dove gli angeli
salgono e scendono, e in cima alla quale sta in piedi il Signore stesso»3.
Il terzo atteggiamento è quello della mansuetudine. Secondo la profezia
di Isaia, Gesù va incontro alla morte «come un agnello condotto al macello»
(Is 53,7). Ed è proprio l’evangelista Luca, secondo la felice espressione di
Dante, «lo scriba della mansuetudine»4. La mansuetudine è la virtù che
mantiene l’uomo calmo e sereno di fronte ad ogni evento contrastante della
vita. È prova di forza interiore, non di debolezza e di passività, è rinuncia a
far valere se stessi. Di fronte alla tendenza fondamentale del nostro mondo
e del nostro tempo di far valere il diritto nostro o altrui con la violenza, la
2
Ambrogio, Hexaemeron, sesto giorno, IX, 76; cfr. I sei giorni della creazione, in Opera
Omnia, Milano-Roma 1979, p. 417.
3
Citato in T. Radcliffe, Le sette parole di Gesù in croce, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006,
p. 25.
4
Dante, Monarchia, libro I, cap. XVIII.
118
mansuetudine addita un atteggiamento che, se può dare talvolta la sensazione del fallimento è destinato invece alla vittoria finale, come la croce che
fu lo scacco apparente e temporaneo, ma che era preludio alla vittoria della
resurrezione.
Cristo è il modello supremo della mansuetudine, anzi è la mansuetudine
stessa. Per questo in questa domenica delle Palme, Andrea da Creta invita a
stendere «umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i
rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e
sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi
stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti
siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3,27) e
prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese. Per il peccato eravamo
prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della
salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore
della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i
rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re
d’Israele”»5.
5
Andrea da Creta, Discorsi, Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele.
119
TENERE GLI OCCHI FISSI SU GESÙ!*
Eccellenza Reverendissima, carissimo don Gerardo,
e voi, cari sacerdoti e fedeli,
celebriamo la Messa crismale di quest’anno nel segno del ministero
episcopale. Fra qualche giorno, mons. Gerardo Antonazzo sarà unto con il
sacro crisma per divenire Vescovo della Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo.
Due settimane più tardi ricorrerà il XX anniversario della morte del Servo di
Dio, don Tonino Bello.
Questi due avvenimenti ci esortano a riscoprire il Vescovo come “Angelus Ecclesiae”, espressione tipica dell’Apocalisse che indica non un titolo di
merito, ma il compito del Vescovo di illuminare, custodire e guidare la
Chiesa alimentando in essa la spiritualità di comunione. Il Vescovo è “Angelo
della Chiesa” perché la sua paternità è radicata nella sua figliolanza.
Membro della Chiesa come ogni altro cristiano, in forza della pienezza del
sacramento dell’Ordine, egli viene costituito maestro, santificatore e pastore del gregge a lui affidato per guidarlo in nome e in persona di Cristo1. Con e
per il popolo; in mezzo, ma anche di fronte al popolo: così il Vescovo esercita
la sua autorità.
Sant’Agostino esprime la relazione tra il Vescovo e la sua Chiesa in questi
termini: «Per voi infatti sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è
segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di
pericolo, questo di salvezza. Infine, quasi trovandoci in alto mare, siamo
sballottati dalla tempesta di quell’attività: ma ricordandoci che siamo stati
redenti dal sangue di lui, con la serenità di questo pensiero, entriamo nel
porto della sicurezza; e, nella grazia che ci è comune, troviamo riposo
dall’affaticarci in questo personale ufficio. Pertanto, se mi compiaccio di
essere stato riscattato con voi più del fatto di essere a voi preposto, allora,
*
1
Omelia nella Messa crismale, Cattedrale, Ugento, 27 marzo 2013.
Cfr. Giovanni Paolo II, Pastores gregis, 10.
120
secondo il comando del Signore, sarò più efficacemente vostro servo, per
non essere ingrato quanto al prezzo per cui ho meritato di essere servo con
voi2.
L’Ordinazione episcopale di mons. Gerardo Antonazzo e la memoria della
cara figura di don Tonino ripropongono alla nostra Chiesa di Ugento-S. Maria
di Leuca il rapporto tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale come
una modalità diversa e complementare di partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo. La reciprocità tra queste due forme di sacerdozio si manifesta
nella “circolarità” che vige tra di esse: «Circolarità tra la testimonianza di
fede di tutti i fedeli e la testimonianza di fede autentica del Vescovo nei suoi
atti magisteriali; circolarità tra la vita santa dei fedeli e i mezzi di santificazione che il Vescovo offre a essi; circolarità, infine, tra la responsabilità
personale del Vescovo riguardo al bene della Chiesa a lui affidata e la
corresponsabilità di tutti i fedeli rispetto al bene della stessa»3.
Tenendo conto del rapporto di reciprocità e di circolarità tra Vescovo e
popolo, in questa Messa crismale ci stringiamo attorno a mons. Gerardo
Antonazzo per accompagnarlo in questo suo nuovo ministero con la
preghiera e l’affetto e facciamo tesoro dell’esemplare testimonianza di don
Tonino. Con il dito puntato verso Cristo, egli ci invita a tenere gli occhi fissi
su Gesù.
Tenere gli occhi fissi su Gesù come don Tonino
Possiamo attingere al ricco insegnamento contenuto negli scritti di don
Tonino, evitando però il pericolo, sempre ricorrente, di rendere innocue e
inoffensive le sue “provocazioni”. Don Tonino non è un bel soprammobile da
mettere sulla scrivania per ammirarlo o lasciare che altri, non possedendolo,
provino un senso di invidia e cerchino, a nostra insaputa, di sottrarcelo; non
è un totem immobile e maestoso da venerare e additare alla venerazione,
lasciando poi che la nostra vita scorra su binari differenti, se non opposti a
quelli indicati da lui; non è un santone o un guru che pronuncia oracoli e
2
3
Agostino, Disc 340, 1.
Giovanni Paolo II, Pastores gregis 10.
121
frasi accattivanti da ascoltare come fossero la quintessenza della verità; non
è una chiave che apre tutte le porte in modo facile e quasi magico dispensando dalla fatica della ricerca personale e del coinvolgimento in prima
persona; non è un paravento dietro cui nascondere le nostre colpevoli
inadempienze; non è un uomo buono per tutte le stagioni, che distribuisce
parole dolci da usare a ogni evenienza quasi fossero dolci messaggi da
inserire nella confezione dei regali.
Don Tonino, invece, è un tarlo che rode e inquieta la coscienza assopita e
la invita a gustare la vita e a viverla tutta d’un fiato, tra trasalimenti, gioie e
turbamenti; è una spina nel fianco che provoca inquietudine e dolore; una
parola che brucia e infiamma; è un uomo di parte, che ha scelto Gesù Cristo
perché consapevole che lui è il mondo nuovo che avanza, la pace che ogni
uomo desidera, la ricchezza che colma ogni povertà, la consolazione che
lenisce ogni ferita, la comunione che elimina ogni divisione, la fraternità che
spezza tutte le catene, la vita che vince ogni caduta mortale.
Nel contesto di questa liturgia è utile richiamare le parole da lui rivolte
alla Chiesa di Molfetta, Giovinazzo, Ruvo e Terlizzi durante la Messa crismale
del 1983. Così egli ammoniva la sua Chiesa: «Puntare gli occhi su di lui. Se
riuscissimo a farlo davvero! […] Se teniamo fissi gli occhi su di lui, cari fratelli
miei, non possiamo non sentire chiamare in causa la nostra sedentarietà.
Non possiamo non mettere in discussione la nostra mentalità rassegnata,
priva di audacia, ripetitiva, senza strappi di fantasia, schiava di una atrofica
routine pastorale. Non possiamo non sentirci svellere dai nostri orizzonti di
cortile, dalle nostre visioni piccolo-aziendali, dalle nostre gestioni del culto,
dai nostri cerimoniali senza vita» […]4.
Gli occhi fissi su Gesù generano comunione e fraternità
E con un accorato accento egli continuava: «Se riuscissimo a farlo
davvero! Troveremmo la fontana della comunione. La comunione noi l’andiamo cercando con le smanie organizzative; e ancora non abbiamo capito
4
Scritti, II, 10, p. 18.
122
che essa è dono di Dio, non il risultato dei nostri sforzi, o frutto delle nostre
tecniche di collaborazione, o prodotto delle nostre abilità manageriali» […]5.
«È come presbiterio, con a capo il Vescovo, che annunziamo la parola,
che celebriamo la fede, che viviamo la carità; non come singoli […]. Cari
fratelli miei, che amo tutti e a uno a uno. Se noi non esprimiamo in modo
collegiale e in profonda comunione reciproca il nostro servizio ai fratelli, noi
impediamo al mondo di tener fissi gli occhi su Gesù. Li faremo figgere sulle
nostre scissioni, sulle nostre rivalità, sulle nostre manovre ambigue, ma non
su di lui. Dobbiamo, pertanto, convertirci. Ciò significa uscire dall’isolamento
pastorale. Aprirci a uno stile di corresponsabilità e di partecipazione. Specialmente tra presbiteri di una stessa città e specialissimamente tra presbiteri di una stessa parrocchia […]. Convertirsi alla comunione significa trovare
spazi per pensare insieme, per progettare insieme, per confrontarsi insieme, per soffrire insieme, per servire insieme. Significa aver il coraggio di
posporre tante cose secondarie, fosse anche la gratificazione che ci viene dai
fedeli, dai giovani, dalle nostre iniziative, al bisogno di condividere con gli
altri confratelli gioie, preoccupazioni, speranze e magari anche attorno alla
stessa mensa. Significa esorcizzare la sindrome della scomunica, il complesso della squalifica, il tarlo del discredito reciproco. Significa accogliere i
confratelli a braccia aperte, non vederli come rivali, andarli a trovare nei
momenti difficili, sostenerli nelle difficoltà, accettarli e amarli per quello che
sono […].
Le stesse cose le dico a voi, religiose, che sperimentate ogni giorno
quanto sia difficile e grandiosa la comunione e come essa vada costantemente invocata come bene dall’alto e tenacemente alimentata come
tensione dal basso.
E a voi laici che dire?
Con chi dovete realizzare questa comunione che scaturisce dal tener fissi
gli occhi su Gesù?
Innanzitutto col presbiterio.
5
Ivi, 3, p. 14.
123
A questo punto capirete bene che il discorso si porta inesorabilmente sul
tema della corresponsabilità ecclesiale. Dobbiamo pur dirlo: le nostre Chiese
sono ancora troppo clericali, e non sempre per colpa del clero. Un tempo,
magari, i preti potevano guardare ai laici troppo zelanti con l’atteggiamento
sospettoso di chi dice: prendetevi i fatti vostri e lasciate a noi la gestione
della Chiesa. Oggi, invece, vi guardano con l’aria un po’ seccata che sembra
dirvi: non è giusto che la carretta la lasciate tirare solo a noi.
Un tempo, forse, per lusingarvi parlavano di corresponsabilità ecclesiale
in termini di diritto; oggi ve ne parlano in termini di dovere. Nonostante
tutto, però, un laicato adulto, maturo, che abbia una profonda coscienza
ecclesiale, che non si senta dislocato su fasce periferiche soltanto, che
interpreti la laicità come dono e non come una subalternanza corporativa,
che senta gravare su di sé e non solo sul clero, il triplice compito dell’evangelizzazione, della santificazione, della animazione cristiana del temporale…
questo laicato stenta a decollare. Di qui l’atrofia degli organismi di partecipazione (quali i consigli pastorali, diocesani e parrocchiali) la carenza di peso
specifico nelle fasi propositive e decisionali della pastorale, la mancanza di
una progettualità organica per lo meno a medio termine, lo scetticismo per
la verifica e il confronto»6.
Tenere gli occhi fissi su Gesù per dare la vita al mondo
Insomma, don Tonino ci ricorda che la Chiesa non è formata da navigatori solitari, ma da pellegrini incamminati verso la stessa meta. La Chiesa è
una comunità che professa l’identica fede, gioisce per la medesima speranza, testimonia la stessa carità; una comunità non chiusa in se stessa, paga di
vivere nel piccolo recinto del suo territorio, ma aperta al mondo intero per il
quale è disposta a offrire la propria vita.
Riascoltiamo ancora le parole di don Tonino: «Siamo comunità non per
noi, non per autoesaltarci. Siamo cristiani per gli altri, per il mondo.
Dobbiamo valicarli i nostri confini. Noi siamo Chiesa, siamo popolo di Dio per
annunciare al mondo la salvezza. Chi è il mondo? Il mondo sono gli altri:
6
Ivi, 7-9, pp. 16-18.
124
quelli che sono lontani dal Signore; quelli che non hanno mai sentito parlare
di Gesù; quelli che pur avendone sentito parlare lo hanno dimenticato, quelli
che non l’hanno più nel cuore; quelli che pur conoscendo bene il suo
vangelo sono distanti da lui; quelli che hanno perso la fiducia, la speranza;
quelli che non ce la fanno più; quelli che si sono seduti alla spalletta del
ponte e non ce la fanno più a camminare»7.
Tenere con don Tonino gli occhi fissi su Gesù vuol dire purificare il nostro
sguardo, illuminare la nostra mente, riscaldare il nostro cuore per «vedere le
necessità e le sofferenze dei fratelli». La comunione dei cuori e la condivisione delle opere allargheranno i confini ristretti dei nostri piccoli progetti e
ci spingeranno ad amare tutti senza riserve. Ci faranno comprendere che la
regola suprema della comunità cristiana consiste nel fare tutto per il Signore
e per coloro che il Signore ci chiede di servire in suo nome. «Nessuno di noi
– scrive l’apostolo Paolo – vive per se stesso e nessuno muore per se stesso,
perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per
il Signore» (Rm 14,7-8).
Comprenderemo allora che solo la fraternità, liberandoci da ogni forma
di pigrizia e di ottusa meschinità, darà forza alla missione. È questo l’augurio
pasquale che don Rocco Maglie ci ha inviato da Kicukiro. Queste le sue
parole: «Ho sempre pensato che Gesù è venuto sulla terra per dirci che non
possiamo fermarci lì dove stiamo, che bisogna sempre andare oltre. In
questi giorni, in modo particolare, trovandomi in Africa, ho riflettuto ancora
di più sui gesti di Gesù. Ho percepito con più insistenza l’invito ad andare
oltre… Oltre le cose che vediamo, oltre le esperienze della vita quotidiana,
oltre le nostre miserie umane… Gesù rimprovera spesso i suoi uditori perché
non sanno andare oltre… oltre i miracoli, oltre i gesti che lui compie, oltre il
pane moltiplicato, oltre il cieco guarito, oltre i lebbrosi sanati… Tutta la sua
missione è uno sforzo continuo per farci comprendere che bisogna andare
oltre. Il segreto, la forza che ci permette di andare oltre è vivere in
comunione con Lui».
7
Ivi, 294, pp. 251-252.
125
Il Risorto fa irruzione nella nostra vita con tutta la potenza divina. La sua
risurrezione sprigiona una energia che, come una potente “fissione nucleare”, si spande nel mondo e dovunque arriva fa rifiorire la vita. Se terremo
fisso lo sguardo sul Risorto vedremo più nitidamente che egli ha abbattuto
tutte le barriere ed ha aperto uno spazio infinito. Saremo attratti da lui e
desidereremo vivere come lui e, per lui, dare la vita al mondo.
Sia questo il nostro desiderio, la nostra preghiera, il nostro impegno
pastorale.
126
LA VEGLIA PASQUALE, PARADIGMA DELLA VITA CRISTIANA*
Cari fedeli,
sempre dobbiamo vegliare, ma dobbiamo farlo soprattutto in questa
notte. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa. Essa è consapevole della presenza viva del suo Signore, ma attende la sua venuta
definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne dello Sposo con la
Sposa (cfr. Ap 19,7-9).
Dobbiamo vegliare perché questa è la notte di Cristo risorto e della
nostra risurrezione insieme con lui. Questa notte segna il “passaggio” dalle
tenebre alla luce, dall’esterno all’interno, dalla strada al tempio, dal sagrato
all’altare, dalla storia all’eternità. Questa notte accenda la luce che mai si
spegne. Asterio d’Amasea canta con accenti poetici lo splendore di questa
notte:
O notte più chiara del giorno!
O notte più luminosa del sole!
O notte più candida della neve!
più luminosa delle nostre fiaccole,
più soave del Paradiso!
Celebrare la Veglia pasquale in questo “Anno della Fede” vuol dire
ravvivare la consapevolezza che essa costituisce il paradigma della vita
cristiana. Le quattro parti della celebrazione rappresentano le tappe del
passaggio dalle tenebre alla luce fino alla piena trasformazione della vita per
la forza della risurrezione di Cristo. Luce, parola, acqua, convito eucaristico
sono le realtà costitutive e i punti di riferimento essenziali della vita
cristiana: uscito dal mondo tenebroso del male, il cristiano è chiamato a
essere portatore di luce, a perseverare nell’ascolto di Cristo morto e risorto,
*
Omelia nella Veglia di Pasqua, Cattedrale, Ugento, 30 marzo 2013.
127
a vivere sotto la guida dello Spirito, ad annunciare e a testimoniare il mistero
del memoriale eucaristico.
Liturgia della luce: dall’esterno all’interno
La celebrazione della Veglia pasquale ha inizio al buio e all’esterno della
Chiesa. Si tratta di due simboli molti eloquenti. Il buio rappresenta l’oscurità
del mondo prima dell’opera creatrice di Dio (valore cosmico, cfr. Gen 1,2);
richiama il contesto nel quale avviene la morte di Gesù, l’addensarsi di fitte
tenebre (valore storico, cfr. Mt 27,45; Mc 15,33; Lc 23,44); evidenzia la
condizione di peccato in cui ogni uomo viene a trovarsi (valore esistenziale
cfr. Sal 50,7; Rm 3,9). Lo stare fuori richiama la situazione di estraneità e di
lontananza da Dio e, insieme, il bisogno di redenzione.
Il lucernario celebra il passaggio dalle tenebre alla luce, dall’esterno
all’interno. La luce di Cristo vince le tenebre del mondo, raggiunge l’uomo
nello spazio e nel tempo e ridona “forma e significato” a ogni realtà creata.
In lui, primogenito di coloro che risorgono dai morti (cfr. Col 1,18), si
illumina il destino dell’uomo, viene restaurata la sua identità di creatura
fatta a «immagine e somiglianza di Dio» (Gn 1,26-27) e il cammino della
storia si apre alla speranza di nuovi cieli e nuove terre. Le parole che
accompagnano l’accensione del Cero pasquale sono molto eloquenti: «La
luce di Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del mondo».
Liturgia della parola: chiamata e risposta
La liturgia del lucernario accompagna il credente a varcare la soglia della
Chiesa, per condurlo nello spazio consacrato all’incontro con Dio. Dal frastuono della strada dove ha avuto inizio la celebrazione, il cristiano è portato
in uno spazio di intimità che gli permette di ascoltare la voce di Dio. Il cero
pasquale collocato in alto, accanto all’ambone, richiama la presenza del
Risorto che, come ai discepoli di Emmaus, «svela il senso delle Scritture»
(Preghiera eucaristica V) e, nello stesso tempo sottolinea che, alla luce della
risurrezione di Cristo, la Parola di Dio è annuncio che riaccende la speranza.
La liturgia della Parola della seconda parte della Veglia pasquale, con la
sua abbondanza di letture, ripercorre tutta la storia della salvezza e rivela il
128
dialogo che Dio, sin dall’inizio della creazione, ha voluto instaurare con
l’uomo. L’iniziativa è di Dio. Egli chiama (cfr. Gen 3,9) e attende la risposta
dell’uomo. Un’orazione della Veglia pasquale chiede a Dio: «Concedi al tuo
popolo di rispondere degnamente alla grazia della tua chiamata».
Liturgia battesimale: la pasqua sacramentale
La liturgia battesimale evoca la pasqua sacramentale. Nelle acque del
Battesimo è inghiottito il mondo del peccato e riemerge la creazione nuova.
Accettando di morire a una vita rassegnata e superficiale, l’uomo inizia una
nuova esistenza, colma di senso e orientata verso il futuro. Tra i versi dettati
dal papa Sisto III per il Battistero Lateranense, leggiamo: «L’acqua restituirà
nuovo quello che avrà accolto vecchio… chi è nato a questo fiume sarà
santo».
Un’orazione della Veglia pasquale riconosce che il sacramento della
rinascita inaugura un nuovo cammino e che solo in Dio «ciò che è distrutto si
ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità,
per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose».
Con i nuovi battezzati, tutta la Chiesa fa memoria del suo “passaggio
pasquale”, e rinnova nelle “promesse battesimali” la propria fedeltà al dono
ricevuto. Le “Rinunce” e la Professione di fede sono un invito a “schierarsi” e
orientarsi decisamente verso Cristo. Anticamente questo gesto conosceva
anche la simbologia dell’orientamento: verso Occidente per le “Rinunce”,
verso Oriente per la “Professione di fede”. Era un modo per il cristiano per
affermare la propria adesione a Cristo dando le spalle a tutto ciò che lo
portava lontano dal Signore. Lo spiega san Cirillo di Gerusalemme ai neofiti:
«Quando dunque rinunci a Satana, sciogliendo assolutamente qualsiasi
patto con lui e ogni tua precedente intesa con l’inferno, ti si aprono le porte
del paradiso di Dio, che fu piantato a oriente e da cui il nostro progenitore fu
cacciato per aver violato il precetto. Ne è un simbolo il fatto che tu ti volgi
da occidente a oriente, la regione della luce»1.
1
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogica, 1.
129
Liturgia eucaristica
La liturgia eucaristica, culmine e vertice della Veglia pasquale, celebra la
pasqua perenne ed escatologica. Nella quarta parte della Veglia, la Chiesa
pregusta la “festa dello splendore eterno”. Il cammino iniziato sul sagrato
della Chiesa trova nel sacramento dell’altare la sua meta. Sostenuto dal
pane eucaristico, il discepolo cammina sulle orme di Cristo. Se il Battesimo ci
fa risorgere con Cristo, l’Eucaristia ci fa vivere di Cristo. Il profondo legame
tra questi due sacramenti è spiegato molto bene da Teodoro di Mopsuestia
in una omelia sull’eucaristia: «Poiché per mezzo della morte di Cristo
abbiamo ricevuto una nascita sacramentale, conviene che dalla stessa morte
riceviamo il cibo del sacramento d’immortalità. Dobbiamo essere nutriti
dalla stessa sorgente da cui siamo nati, secondo la norma di tutti gli esseri
viventi»2.
La Veglia pasquale diviene così sintesi armonica tra l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza della vita. Esemplarmente aiuta a vivere
un’esperienza «mistagogica», di ingresso progressivo nel mistero della
salvezza. La successione dei simboli di cui è intessuta la Veglia esprime bene
l’itinerario che il fedele è chiamato a vivere: risorto con Cristo, vivere da
risorto per Cristo. Il desiderio è appagato, ma è anche proteso verso un
nuovo esaudimento. L’orazione sul fuoco nuovo della Veglia pasquale chiede
a Dio che «le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci
guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno».
Il tema del desiderio è uno degli aspetti più originali del pensiero dei
Padri della Chiesa. Famosa è la dottrina dell’epictasi di San Gregorio di Nissa,
secondo cui la divinizzazione dell’uomo, quaggiù e nell’eternità, implica un
progresso e una tensione che non ha fine, illustrata dall’immagine del
corridore dell’Epistola ai Filippesi: «Dimentico del passato e proteso
(épeicteimenos: donde il termine epictasi) verso il futuro, corro verso la
meta» (Fil 3,13).
2
TEODORO DI MOPSUESTIA, Prima Omelia sull’eucaristia, in A. Hamman (a cura di), L’iniziazione
cristiana, Marietti, Casale Monferrato 1982, p. 123.
130
Jean Daniélou, uno dei migliori conoscitori del grande Cappadoce, spiega
questa teoria con queste parole: «C’è per l’anima contemporaneamente un
aspetto di stabilità, dato dalla sua partecipazione a Dio, e un aspetto di
movimento, dato dallo scarto sempre infinito fra ciò che essa possiede e ciò
che è Dio… La vita spirituale è pertanto una trasformazione perpetua
dell’anima in Gesù Cristo sotto forma di un ardore crescente, la sete di Dio
aumenta a misura in cui Egli è sempre più partecipato, e di una stabilità
crescente, unendosi e fissandosi l’anima sempre più in Dio»3.
Numerosi autori dell’epoca patristica – in particolare San Massimo il
Confessore – utilizzano il tema del desiderio e dell’assenza di sazietà in seno
stesso alla visione di Dio per esprimere l’eterna novità della gioia degli eletti.
In Occidente, se ne ritrova l’eco in San Gregorio Magno. Egli concilia due
affermazioni antitetiche della Scrittura: “Gli angeli desiderano fissare i loro
sguardi su di Lui” (1Pt 1,12); e “In cielo i loro angeli vedono incessantemente
il volto di mio Padre che è nei cieli” (Mt 18,10). Così egli scrive: «Se si
confrontano queste due affermazioni, si constaterà che esse non si contraddicono in nulla. Perché gli angeli, contemporaneamente, vedono Dio e
desiderano vederlo; hanno sete di contemplarlo e lo contemplano. Se lo
desiderassero senza godere dell’effetto del loro desiderio, questo desiderio
sterile sarebbe causa di ansietà, e l’ansietà di sofferenza. Ma felici gli angeli
sono lungi da ogni sofferenza di ansietà, poiché sofferenza e beatitudine
non sono compatibili… Perché dunque non vi sia ansietà nel desiderio, essi
sono sazi pur desiderando, e perché la sazietà non comporti disgusto, essi
desiderano pur essendo sazi… sarà così pure per noi quando giungeremo
alla fonte della Vita: proveremo con delizia, insieme sete e sazietà»4.
Rinati dal Battesimo e nutriti del pane eucaristico, anche noi dobbiamo
esercitarci nella “ginnastica del desiderio” (sant’Agostino) e, come la cerva
cantata dal salmo (cfr. Sal 42-43, 1-2), anelare sempre più profondamente
verso Dio, sorgente e premio della nostra vita.
3
4
J. DANIELOU, Platonismo e teologia mistica, Paris, 1944, pp. 305-307.
S. GREGORIO MAGNO, Moralia su Job, 18, 54, 91; PL 76, 94ac.
131
I DONI DEL RISORTO FONDAMENTA DEL NUOVO MONDO*
Cristo è veramente risorto!
È il grande annuncio pasquale che si rinnova nel tempo, ma rimane
sempre identico a se stesso. Il mistero della Pasqua – scrive Melitone di
Sardi nella sua famosa omelia pasquale – «è nuovo e antico, eterno e
temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale».
Contro ogni forma di dubbio, di incertezza e di ambiguità, la Chiesa non
si stanca di annunciare al mondo che la risurrezione di Cristo non è un’invenzione o, peggio ancora una menzogna, ma una verità storica testimoniata
dalla Scrittura, dalla vita dei santi, dalle opere di carità di molti cristiani.
I sogni al mattino svaniscono, la risurrezione di Cristo, avvenuta “all’alba,
quando era buio, il primo giorno della settimana”, ha la consistenza delle
cose vere, e la forza di quegli avvenimenti che cambiano la storia. Avvenimento unico nel suo genere, l’evento pasquale trasforma i cuori, ribalta le
sorti del mondo, imprime una nuova direzione alle vicende degli uomini e
rende possibile l’avvento del mondo nuovo. Cosi recita un inno pasquale:
Ecco il gran giorno di Dio
splendente di santa luce:
nasce nel sangue di Cristo
l’aurora di un mondo nuovo.
Il “nuovo mondo” secondo la cultura distopica
Per comprendere meglio questa affermazione vale la pena di accennare
al contesto culturale in cui viviamo tenendo conto di alcune opere della
letteratura contemporanea. Di solito, nei grandi scenari culturali, si alternano un orientamento utopico, rappresentato, ad esempio, da La città del
Sole di Tommaso Campanella o L’Utopia di Tommaso Moro, e uno distopico.
*
Omelia nella Messa della Domenica di Pasqua, Cattedrale, Ugento, 31 marzo 2013.
132
È quanto è avvenuto anche nel secolo scorso. Alle culture di matrice
utopica che hanno trovato la loro espressione nelle grandi narrazioni
ideologiche, si sono alternate correnti di natura distopica. A partire dall’inizio del ’900, infatti, sono stati pubblicati alcuni romanzi appartenenti a
questo filone culturale caratterizzati da un profondo pessimismo, segno di
una crisi di valori che si fa strada nella cultura e nella coscienza dell’uomo
contemporaneo1. Fra i diversi scritti, vale la pena di accennare a due opere:
Il padrone del mondo di Robert Benson e Il mondo nuovo di Aldous Huxley.
Il romanzo di Benson racconta l’ascesa del grande filantropo Giuliano
Felsemburgh, democratico e rassicurante, fautore della pace mondiale, che
intende realizzare un mondo ideale con l’avvento di un nuovo umanitarismo
che stempera le differenze fra le religioni e predica la tolleranza universale.
Tutto viene accettato fuorché il cristianesimo e la Chiesa cattolica. In nome
della tolleranza, questa viene straziata fin quasi alla sua completa eliminazione. Il Padrone del mondo racconta il venir meno della fede cristiana non a
causa di una persecuzione pubblica ma attraverso la subdola religione
umanitaria del relativismo.
Il romanzo di Huxley tratteggia una umanità finalmente libera da preoccupazioni, sana, tecnologicamente avanzata, priva di povertà e di guerre,
permanentemente felice. Questa condizione ideale è ottenuta sacrificando
le cose che generalmente sono considerate importanti per l’essere umano:
la famiglia, l’amore, la diversità culturale, l’arte, la religione, la letteratura, la
filosofia e la scienza.
Ambientato nell’anno di Ford 632, corrispondente all’anno 2540 della
nostra era, il romanzo descrive una società il cui motto è “Comunità,
Identità, Stabilità”. A seguito di una devastante guerra di nove anni (iniziata
negli anni quaranta), l’intero pianeta viene riunito in un unico Stato,
governato da dieci “Coordinatori Mondiali”. La popolazione ignora il motivo
1
Tra le opere di maggior rilievo di questo filone si possono annoverare: Il Padrone del
Mondo (Lord of the World, 1907) di Robert Benson, Il tallone di ferro (The Iron Heel, 1908) di
Jack London, Il mondo nuovo di Aldous Huxley (Brave new world, 1932), Qui non è possibile
(It Can’t Happen Here, 1935) di Sinclair Lewis, Antifona (Anthem, 1938) di Ayn Rand e 1984
(Nineteen Eighty-Four, 1948) di George Orwell, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1953).
133
della propria situazione attuale: sa solo che il passato era caratterizzato dalla
barbarie. Solo i Coordinatori sanno come la presente società sia nata e come
fosse in precedenza.
La nuova società è basata sui principi della produzione in serie, applicati
inizialmente nelle industrie automobilistiche di Ford alla produzione del
“Modello T”. La produzione in serie viene applicata anche alla riproduzione
umana, resa completamente extrauterina. Gli embrioni umani vengono
prodotti e fatti sviluppare in apposite fabbriche secondo quote prestabilite e
pianificate dai coordinatori mondiali senza più vincoli familiari di alcun tipo
(“ognuno appartiene a tutti”). Per impedire nascite naturali, e quindi non
controllate, vengono usate apposite pratiche di contraccezione, insegnate ai
giovani nelle scuole; ogni individuo può scegliere il nome (e il cognome) che
preferisce. Ford è il Dio di questa nuova società e il segno della “T” ha
rimpiazzato il segno della croce cristiana. Il 1908, primo anno di produzione
del Modello T, è l’“anno uno” di questa nuova era.
Il “nuovo mondo” inaugurato dal Risorto
I due romanzi descrivono profeticamente quanto si è realizzato nel
nostro tempo.
Ma è questo il “mondo nuovo” a cui l’uomo anela? La Chiesa procede
inesorabilmente verso la sua distruzione? L’umanità cammina incontro alla
sua radicale trasformazione? L’uomo deve morire all’umano per salvare la
sua umanità? L’annullamento della libertà è il prezzo giusto da pagare per
stabilire l’ordine e l’armonia della cose? Il principio della produzione in serie
deve sostituire l’atto creativo di Dio e l’atto generativo dell’uomo?
Se le cose stessero realmente in questo modo, si dovrebbe concludere
che la risurrezione di Cristo è solo una chimera, un desiderio non realizzato,
una segreta aspirazione dell’uomo. In fondo, sarebbe la ripresa sotto altre
forme dell’antico mito di Pan, narrato da Plutarco nel suo De defectu
oraculorum.
La risurrezione, invece, è un avvenimento realmente accaduto dal quale
è scaturita una nuova sorgente di vita. Così scrive San Giovanni Damasceno:
«Risorgesti come Dio dalla tomba nella gloria, e con te risuscitasti il mondo,
134
e la stirpe dei mortali come Dio t’inneggiò, e la morte è scomparsa e Adamo
danza, o Signore, ed Eva, sciolta dalle catene, gioisce ed esclama: o Cristo,
sei tu che concedi a tutti la risurrezione»2.
La risurrezione è l’esito luminoso del sacrificio compiuto per amore. La
croce è il segno dell’offerta e del dono gratuito di sé. I versi di Giuseppe
Ungaretti nella sua poesia Mio fiume anche tu esprimono poeticamente il
senso della risurrezione di Cristo:
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo.
“Riedificare umanamente l’uomo” è il senso della risurrezione di Cristo.
Egli è risorto perché “ciò che è genuinamente umano” sia liberato dal male e
si rivesta di vita nuova. La risurrezione di Cristo non annulla la libertà, ma la
libera dalle catene che la tengono legata alle sue voglie e dona la salvezza
all’uomo. Essa è “aurora di un mondo nuovo” o, per usare un’espressione
che riprende il titolo di un altro famoso romanzo di Robert Benson, L’Alba di
tutto.
San Massimo descrive mirabilmente la dimensione cosmica dell’evento
pasquale: «La risurrezione di Cristo apre l’inferno. I neofiti della Chiesa
rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L’inferno, ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce dei suoi risorti. Il cielo
dischiuso accoglie quanti vi salgono. Anche il ladrone entra in paradiso,
mentre i corpi dei santi fanno il loro ingresso nella santa città. I morti
ritornano tra i vivi; tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si
elevano a maggiore dignità. L’inferno restituisce al paradiso quanti teneva
prigionieri. La terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo
presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell’unica e identica
passione del Signore l’anima risale dagli abissi, viene liberata dalla terra e
2
Giovanni Damasceno, Ochtoéchos, I.
135
collocata nei cieli. La risurrezione di Cristo, infatti, è vita per i defunti, perdono per i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni creatura a
rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando tutti a gioire grandemente
nel giorno del Signore. La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non
conosce tramonto»3.
La risurrezione è, nello stesso tempo, un evento storico e cosmico.
Riguarda tutta la creazione e attraversa tutta la storia. È l’Ora eterna della
redenzione, il giorno senza tramonto. Cristo entra nel mondo con tutta la
sua potenza divina e sprigiona una energia che, come una potente “fissione
nucleare”, si spande e, dovunque arriva, fa rifiorire la vita.
Quali doni il Risorto porta all’umanità?
Sono molti. Ne ricordo alcuni che si possono indicare con le parole di un
salmo:
«Misericordia e verità si incontreranno,
giustizia e pace si baceranno,
la verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo» (Sal 85,11-12).
Il giorno del Risorto è il giorno dell’effusione della misericordia di Dio.
Ogni peccato è perdonato e tutti gli uomini sono salvati! Tutti cioè i nostri
contemporanei, ma anche i nostri antenati e quelli che verranno dopo di
noi. Tutti sono perdonati con un atto gratuito di Dio. Attraverso il corpo
glorioso di Cristo risorto, la misericordia di Dio, che è eterna e infinita, come
un torrente in piena, riempie tutta la terra. La tomba vuota è l’apertura di
una porta dalla quale si accede al trono della divina misericordia.
Come è bello, cari fedeli, sentirsi investiti e rivestiti dalla misericordia di
Dio. Tutti peccatori e tutti redenti: questa è la nuova dignità dell’uomo!
Avvertiamo dentro e fuori di noi il peso della colpa, ma siamo perdonati
dallo sconfinato amore di Dio.
Il giorno del Risorto è il giorno della manifestazione della verità. Pilato
pone a Gesù la domanda su cosa sia la verità in modo dubbioso, beffardo e
3
San Massimo di Torino, Disc. 53,1 CCL 23, 214.
136
incredulo. Da allora l’interrogativo non si è del tutto sciolto. Anzi, nel nostro
tempo, molti non si pongono più questa domanda. Non credono più che
esista la verità. Ci sono solo differenti opinioni, diverse interpretazioni dei
fatti, molteplici punti di vista, criteri soggettivi di giudizio, personali regole di
comportamento, comandamenti morali dettati dalla propria volontà, se non
dal proprio capriccio.
Nel mondo informatico in cui noi viviamo l’accavallarsi di parole, pensieri
e proposte accresce la confusione. La ricerca della verità non è del tutto
svanita, ma il dubbio tende a soffocarla. Si avverte un senso di stanchezza e
molti ormai desistono dal percorrere il sentiero che può condurre alla soglia
della Verità.
La risurrezione di Cristo prova che è lui la Verità. Non una verità fra le
altre, ma la Verità assoluta, che vale per tutti ed è la soluzione di ogni
problema.
Il giorno del Risorto è anche il giorno dell’instaurazione della giustizia.
Troppo grande è la sete di giustizia che c’è nel mondo! Questa sete non è
ancora stata saziata. In non pochi casi domina l’ingiustizia. Anche in questo
ambito, il desiderio è inappagato. La risurrezione di Cristo certifica la vittoria
del Giusto e afferma che Cristo è la giustizia di Dio.
Il giorno del Risorto è il giorno della stipulazione della pace universale.
Certo, questa affermazione potrebbe sembrare irreale. La presenza di tante
guerre sembra contraddire la sua verità. La pace, in realtà, è il saluto
pasquale di Cristo. Nella Santa Messa lo scambio della pace non è segno di
augurio, ma attestazione del dono del Risorto. Lui, infatti, è l’Agnello di Dio
che toglie i peccati del mondo e dona a tutti la pace. Non come quella che
dà il mondo. La pace di Cristo nasce dalla sua risurrezione, dal totale ribaltamento e cambiamento dell’ordine delle cose. Un inno pasquale canta questa
bellissima verità: «Il Signore Risorto promulga per i secoli l’editto della pace;
pace fra cielo e terra, pace fra tutti i popoli, pace nei nostri cuori».
Misericordia, verità, giustizia e pace non sono solo valori, ma doni del
Risorto, espressioni del suo mistero e della sua persona. Per questo Melitone di Sardi pone in bocca a Cristo queste splendide parole: «Venite dunque,
o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il
137
vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l’Agnello immolato per voi,
io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce,
io la vostra salvezza, io il vostro re».
Accogliendo il Risorto nella nostra vita e scambiandoci vicendevolmente i
suoi doni pasquali, cominceremo a intravedere il mondo nuovo che avanza
e, insieme, intoneremo l’inno dei redenti: «Questo è il giorno di Cristo
Signore, rallegriamoci ed esultiamo».
138
LE OPERE DEL PADRE*
Caro Francesco,
celebriamo la liturgia della tua Ordinazione sacerdotale, nel contesto del
tempo pasquale; il laetissimum spatium, ossia il tempo dell’incontro con
Cristo risorto. Egli appare ai suoi discepoli, si fa riconoscere, insegna le
profondità del mistero, li istruisce sulla missione che li attende e dona loro il
suo Spirito.
L’incontro con il Risorto manifesta il mistero del Padre. Le letture che
abbiamo ascoltato ci aiutano a comprendere l’opera che il Padre compie
nella storia della Chiesa e nella vita di ciascun cristiano. Cristo, il rivelatore
del Padre, ci introduce nel mistero assoluto di Dio e manifesta il volto
inaccessibile del Padre. A sua volta, il Padre compie la sua opera in Cristo e
per mezzo di Cristo.
Il Padre attira
Considerando queste verità, anche tu, caro Francesco, potrai trovare i
punti salienti del tuo cammino vocazionale e del tuo futuro ministero
sacerdotale. La tua vocazione è il frutto dell’attrazione operata dal Padre.
«Nessuno, – dice Gesù –, può venire a me se il Padre mio non lo attira» (Gv
6,44). Niente ha inizio, se non attraverso l’azione misteriosa, profonda e
reale del Padre. Con la potente forza del suo amore e della sua misericordia,
egli attira misteriosamente gli uomini verso Cristo, il salvatore del mondo.
Tutti sono attratti dal Padre. Ma ciò avviene soprattutto per coloro che
intraprendono la via del ministero ordinato. Non pensare, caro Francesco,
alla tua vocazione quasi fosse un atto della tua volontà. Riconosci, invece,
che tutto è avvenuto per opera di Dio! Nessuno può diventare discepolo di
Cristo se non si lascia attirare dal Padre.
*
Omelia nella Messa di ordinazione sacerdotale di Francesco Prontera, Parrocchia “S. Rocco”, Gagliano del Capo, 18 aprile 2013.
139
È una attrazione forte e nello stesso tempo libera. Sant’Agostino, in un
bellissimo discorso sul tema dell’attrazione, afferma: «Non pensare di essere
attirato contro la tua volontà: l’anima è attirata anche dall’amore […]. Esiste
una certa delizia del cuore, per cui esso gode di quel pane celeste. Il poeta
Virgilio poté affermare: “Ciascuno è attratto dal proprio piacere”. Non
dunque dalla necessità, ma dal piacere, non dalla costrizione, ma dal diletto.
Tanto più noi possiamo dire che viene attirato a Cristo l’uomo che trova la
sua delizia nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, dal
momento che proprio Cristo è tutto questo. Forse che i sensi del corpo
hanno i loro piaceri e l’anima non dovrebbe averli? […] Se, dunque, queste
delizie e piaceri terreni, presentati ai loro amatori, esercitano su di loro una
forte attrattiva – perché rimane sempre vero che ciascuno è attratto dal
proprio piacere – come non sarà capace di attrarci Cristo, che ci viene
rivelato dal Padre?»1.
Queste parole di straordinaria bellezza spiegano il significato dell’attrazione d’amore. Anche tu, caro Francesco, hai sentito dentro di te insistente
questa attrazione interiore e tu ti sei lasciato attirare. «Desiderium sinus
cordis». «Il desiderio rende il cuore profondo» afferma ancora sant’Agostino2.
Santa Teresina del Bambin Gesù, in un bellissimo passaggio della sua
autobiografia, rivolge al Signore questa preghiera tratta dal Cantico dei
Cantici: «Attirami e verrò dentro di te». Caro Francesco, nel tuo ministero
dovrai continuare a invocare il Signore e ripetere con le parole di Santa
Teresina: «Attirami ed io verrò in te».
Il Padre ammaestra
Vi è una seconda opera del Padre: l’ammaestramento. Gesù, riprendendo un’espressione del Deuteroisaia, afferma: «Tutti saranno ammaestrati da
Dio» (Gv 5, 45a; cfr. Is 54,13).
Non si può conoscere il Mistero di Dio se non ci poniamo in ascolto del
1
2
Agostino, Trattati su Giovanni 26, 4-6.
Ibidem, 40, 10.
140
suo insegnamento. Il Mistero non è soltanto una realtà concettuale, ma
esperienziale. Si conosce il mistero per vicinanza, contatto, esperienza. E in ciò
consiste l’ammaestramento operato dal Padre. Si conosce il mistero attraverso il mistero. Celebrando il mistero, ti metterai alla scuola del mistero.
Comprenderai il suo valore e le conseguenze che ne derivano per la tua vita.
Sant’Agostino così spiega l’espressione del Vangelo: «Tutti gli uomini del
suo regno saranno ammaestrati da Dio, non impareranno dagli uomini. E
anche se impareranno dagli uomini, tuttavia ciò che riusciranno a capire, lo
capiranno nel loro intimo: nell’intimo risplende, nell’intimo si rivela»3.
Non è stato forse questo il grande insegnamento del tuo fondatore San
Giovanni de Matha?
San Giovanni de Matha in un rapporto mistico con il Dio trinitario ha
compreso quello che una persona umana non può comprendere. Impariamo
da Dio quando ci lasciamo ammaestrare da Lui. Comprendiamo la bellezza
del mistero trinitario quando ci lasciamo ammaestrare da Dio nell’intimo
dell’anima. Nel Vangelo si dice che il Padre vede nel segreto e nel segreto
parla e si rivela.
Il ministero sacerdotale ti impegnerà in molti compiti. Dovrai soprattutto
annunciare il Vangelo agli uomini. Questo sarà possibile se ti lascerai
ammaestrare nell’intimo dal Signore.
Il Padre invia
La terza opera del Padre è la missione attraverso la forza dello Spirito
Santo. Il Figlio rivela il Padre; il Padre ammaestra e, per mezzo dello Spirito,
invia. Negli Atti degli Apostoli lo Spirito afferra Filippo e lo invia verso
l’eunuco a illuminare la sua mente circa il significato della Scrittura. Questo
è anche il compito che ricevi con l’ordinazione sacerdotale: portare il
vangelo ai poveri!
Caro Francesco, il tuo ministero sacerdotale è una conseguenza dell’opera
del Padre. Lasciati, dunque, attirare, ammaestrare e inviare dal Padre.
3
Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 26,7.
141
L’APOSTOLICITÀ DELLA FEDE*
Cari fratelli e sorelle,
la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca in quest’ultimo periodo è
passata di festa in festa. In particolare abbiamo gioito per il dono dell’episcopato conferito a mons. Gerardo Antonazzo.
Il 22 gennaio abbiamo vissuto con gioia l’annuncio della sua nomina a
Vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo. L’8 aprile, festa dell’Annunciazione del
Signore, abbiamo partecipato alla sua Ordinazione episcopale. Ieri, 21 aprile,
IV Domenica di Pasqua, festa del Buon Pastore, lo avete accompagnato nel
suo ingresso ufficiale nella sua Chiesa particolare.
A coronamento di questo gioioso percorso, oggi nella Basilica di S. Pietro
a Roma eleviamo al Signore il ringraziamento per i doni che ha elargito alla
nostra Chiesa locale e, nello stesso tempo, confermiamo la nostra fede nel
Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.
Celebrando la liturgia eucaristica in questa Basilica che rappresenta
l’unità della Chiesa cattolica siamo invitati a considerare la dimensione
apostolica della fede. Con ciò intendo dire che professiamo l’unica fede
trasmessa dalla predicazione e dalla testimonianza degli apostoli. Essi sono i
primi testimoni del Vangelo; lo ricevettero direttamente da Cristo e furono
da Lui inviati a tutto il mondo. Per questo, la Chiesa si edifica sul fondamento della fede apostolica.
L’esperienza pasquale degli apostoli
La fede si fonda sull’esperienza pasquale degli apostoli. Cristo, risorto da
morte, riunisce i suoi discepoli e dona loro la gioia di sperimentare la vita
nuova che sgorga dal suo mistero pasquale. Con il dono del suo Spirito, egli li
aiuta a comprendere il suo mistero e a dare vigore alla loro predicazione.
*
Omelia nella Messa celebrata in occasione del Pellegrinaggio Diocesano, Basilica di San
Pietro, Roma, 22 aprile 2013.
142
L’esperienza pasquale è una esperienza «pneumatica», guidata cioè dallo
Spirito Santo (in greco «spirito» si dice pneuma). È lui ad animare la «vita»
della Chiesa e a renderla sempre fresca, giovane, e feconda di molteplici
carismi. Chiesa e Spirito sono inseparabili: «Questa fede» – leggiamo nel
terzo libro Contro le eresie di sant’Ireneo – «l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa
e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito
prezioso custodito in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e
dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (3,24,1).
La “regula fidei”
L’esperienza pasquale degli apostoli rimane un evento unico e intrasmissibile e proprio per questo costituisce la «Regola della fede». Il Credo, che
oggi recitiamo nella Chiesa, è in sintonia con i due venerati Simboli della
Chiesa antica: il Simbolo dei Concili di Nicea e Costantinopoli e il Simbolo
Apostolico e rappresenta una sorta di sintesi e di ermeneutica del Vangelo.
Simbolo (dal greco symballein = congiungere, unire) è ciò che unisce e crea
la comunione; è esattamente il contrario di diavolo (dal greco diaballein =
separare, dividere) che è ciò che separa e rompe la comunione. Il Credo
permette a ogni cristiano di sentirsi membro della comunità credente. Per
questo costituisce l’essenziale punto di riferimento affinché il cristiano
ricuperi la memoria della propria fede e tragga impulso per il suo impegno
missionario.
In esso risuona la parola viva della Scrittura nell’eco e testimonianza
della Tradizione vivente della Chiesa. Il Credo, come i simboli della fede
cristiana, sono documenti della Chiesa, anteriori persino alla redazione dello
stesso Nuovo Testamento. Nelle loro brevi formule, procedenti da contesti
liturgici, catechetici o missionari, raccolgono la sintesi della fede. Sono,
inoltre, espressione della vita della comunità, anche prima della formulazione scritta dei loro articoli. Una leggenda narra che gli apostoli, prima di
separarsi per evangelizzare tutto il mondo, redassero il “breviario della
fede” come “modello della loro predicazione” proclamando ciascuno un
articolo. Questa leggenda contiene un fondo di verità, poiché il Credo
143
apostolico rappresenta l’autentica eco della fede della Chiesa primitiva che,
da parte sua, è il fedele riflesso del Nuovo Testamento.
La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti.
Solo questa fede è apostolica perché viene dagli Apostoli e, in ultima analisi,
da Gesù e da Dio stesso. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente
dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani si inseriscono nella grande
Tradizione della Chiesa. Non vi è una fede per gli intellettuali e una fede per i
semplici. La verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma
tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli
Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma. Pertanto chi vuole conoscere la
vera dottrina basta che conosca «la Tradizione che viene dagli Apostoli e la
fede annunciata agli uomini»: Tradizione e fede che «sono giunte fino a noi
attraverso la successione dei Vescovi» (Ireneo, Contro le eresie 3,3,3-4). Così
successione dei Vescovi (principio personale) e Tradizione apostolica (principio dottrinale) coincidono.
Nella sua professione di fede, il cristiano non confessa la sua propria fede
o le sue idee, ma la fede della Chiesa che ha ricevuto dalla comunità che
gliela ha trasmessa (la redditio presuppone la traditio). L’aspetto personale e
quello comunitario restano legati inseparabilmente. Ogni cristiano recita il
Credo al singolare, anche nell’assemblea liturgica; poiché nessuna azione è
tanto personale come questa. Ma il credente lo recita nella Chiesa e attraverso di essa; la sua fede partecipa della fede della Chiesa, che gli permette,
per quanto grande sia la sua miseria, di confessare tutta la fede della Chiesa,
poiché egli è uomo della comunità cattolica. L’unità della Chiesa nella fede è
un’esigenza costante nel Nuovo Testamento: «Cercate di conservare l’unità
dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo, un solo spirito,
come una sola è la vostra speranza alla quale siete stati chiamati, quella
della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un
solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti» (Ef 4,3-6).
La cattolicità e l’universalità della fede
Questa regula fidei o veritatis è unica e crea unità tra i popoli e le loro
diverse culture; è un contenuto comune di verità, nonostante la diversità
144
delle lingue e i differenti patrimoni culturali. C’è una frase molto preziosa di
sant’Ireneo nel primo libro Contro le eresie: «La Chiesa, benché disseminata
in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se
abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se
avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità
proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del
mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le
Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede
diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o
in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,1-2). Si vede già in questo
momento, siamo intorno all’anno 200, l’universalità della Chiesa, la sua
cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così
diverse, dalla Germania, alla Spagna, all’Italia, all’Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.
Cari fedeli, celebrando nella Basilica di San Pietro constatiamo che queste verità si rendono quasi visibili e tangibili. Avvertiamo di essere inseriti
nella grande Tradizione della Chiesa e nello stesso tempo percepiamo di far
parte del popolo di Dio sparso in tutto il mondo. Molte lingue, ma una sola
fede; una pluralità di razze, ma un solo popolo; una molteplicità di persone,
ma una sola famiglia e una sola comunità. I molti divengono una cosa sola,
riuniti tutti nella professione dell’unica fede. È il miracolo della fede
apostolica che, da una parte, ci immette nella vita e nella storia millenaria
della Chiesa e, dall’altra, ci fa sperimentare la sua dimensione universale e
cattolica.
145
SERVO PER AMORE*
«Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare
la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45). Servo è il titolo cristologico
che esprime l’identità del Verbo Incarnato e la missione ricevuta dal Padre.
Secondo il Vangelo di Giovanni, nell’ultima cena Gesù lava i piedi ai suoi
discepoli. È una scena dal forte valore simbolico e rappresenta iconograficamente la sua condizione di servo. Il gesto della lavanda dei piedi
ricapitola la predicazione e le opere compiute da Gesù durante la vita
pubblica, annuncia il senso della sua morte e indica l’esempio che la Chiesa
deve imitare. Cristo è Maestro e Signore: Maestro che insegna con la forza
del suo esempio e della sua testimonianza e Signore chinato verso il basso,
prostrato e inginocchiato davanti all’uomo per manifestargli la concretezza
del suo amore.
Cristo è servo perché “non passa oltre”, ma si ferma e “si fa vicino” a
colui che soffre; anzi si mette in cammino e va in cerca di chi è smarrito. Egli
sa come e dove fermarsi in modo da incontrare e lenire le sofferenze. Scende perfino nell’abisso oscuro e infernale del “regno dei morti” per annunciare la vittoria della Pasqua. La sua visita è una festa. Guidato da un amore
infinito, Cristo offre la testimonianza di una solidarietà universale, pronto a
sostare là dove la strada sembra irrimediabilmente bloccata: le profondità
infernali di questo mondo e del cuore umano. È il grande servizio che egli,
servo obbediente, rende agli uomini perché tutti tornino a fare festa.
Lo stile del suo servizio è il modello esemplare che ogni discepolo deve
sforzarsi di imitare. Attingendo alla cultura e alla tradizione religiosa ebraica,
l’apostolo Paolo elabora il lessico del servizio modellandolo sull’esempio
dato da Cristo e lo esprime con tre parole: doȗlos, diákonos, leitourgós.
*
Presentazione a Diocesi Ugento-S. Maria di Leuca, Servo per amore. In memoria di mons.
Michele Mincuzzi, Tipografia Marra, Ugento, aprile 2013, pp. 3-5.
146
Doûlos è lo “schiavo” totalmente legato al suo padrone. Non è un
servizio libero, ma una specie di costrizione. Diákonos, termine molto usato
dall’Apostolo (21 su 29 ricorrenze nel NT), denota il “modo di servire il
Vangelo”. Leitourgós è il “funzionario pubblico”. Non indica la prestazione,
ma la relazione. Nell’idea di servizio è inclusa la scelta, la dedizione,
l’attaccamento. I termini usati da Paolo esprimono il senso di appartenenza
a Dio e a Cristo e indicano la scelta di un impegno totale, di un’adesione
fedele per la proclamazione del Vangelo e l’edificazione della comunità
cristiana.
Cristo è il vero servo, i suoi discepoli sono solo «servi inutili» (Lc 17,10).
L’espressione lucana potrebbe disorientare se fosse intesa in senso
spregiativo. In realtà, il termine greco “akreioi” non vuol dire persone che
non servono a niente, senza utilità, ma significa discepoli che non cercano il
proprio interesse e non rincorrono il tornaconto personale. Sono servi senza
pretese e senza rivendicazioni perché considerano il servizio come un
premio; discepoli che desiderano essere se stessi senza cercare riconoscimenti, titoli, onori, stima, applausi. La gloria è insita nel servizio. Ed è il
servizio ciò che conta, non la ricompensa. Lo diceva con altre parole
Dostoewskij, per il quale la vita riuscita è quella in cui si compie un lavoro
spinto dall’amore senza ricercare soddisfazione nelle cose amate. Madre
Teresa, dal canto suo, sottolineava che nel servizio non contano i risultati,
ma l’amore che si manifesta. Il servo è un volontario che ama il servizio più
che i suoi effetti. Don Tonino Bello ha riformulato il detto evangelico con
una espressione incisiva: «Servi inutili a tempo pieno».
Essere servo inutile è la misura della fede perché esprime la chiara consapevolezza che la forza vera è nel servizio, non nel servitore. La persona del
servo passa in secondo piano, rispetto al compito che gli è stato affidato.
Davanti a Cristo, non c’è niente di meglio da fare che diminuire e scomparire, come l’aria davanti al sole (S. Weil).
Servo è il nome più disarmato e disarmante di Dio. Diventare servo sul
modello di Cristo e della vergine Maria dovrebbe essere l’insistente preghiera del cristiano. «Sì, mio Signore, – prega Guerrico d’Igny – hai molto faticato
per servirmi; sarebbe giusto ed equo che d’ora in poi ti riposassi, mentre il
147
tuo servo, a sua volta, cominciasse a servirti, è venuto il suo turno… Hai vinto, Signore, questo servo ribelle; stendo le mani per ricevere i tuoi legami,
chino il capo per ricevere il tuo giogo. Permetti che io ti serva. Accoglimi per
sempre come tuo servo, ancorché servo inutile se la tua grazia non mi assiste e non mi affianca sempre nella fatica» (Beato Guerrico d’Igny, abate cistercense, Primo discorso per la domenica delle Palme «Il Figlio dell’uomo
non è venuto per essere servito ma per servire»).
Questo è stato il sogno coltivato da mons. Michele Mincuzzi e mons.
Antonio Bello. «Servo di tutti, schiavo di nessuno», soleva dire mons.
Mincuzzi. «Cingersi il grembiule» è l’accorata esortazione di mons. Bello. I
due pastori, con accenti diversi, hanno perseguito lo stesso ideale di vita e
hanno vissuto una profonda sintonia pastorale, frutto di un legame sacramentale e spirituale.
Questo libro, pubblicato nel centenario della nascita di mons. Mincuzzi,
raccoglie alcuni suoi scritti nei quali è facile riconoscere la prospettiva
pastorale che li ha accomunati, la forte incidenza del loro insegnamento, il
ricco lascito spirituale. C’è da augurarsi che la riconoscenza della Chiesa di
Ugento-S. Maria di Leuca verso questi illustri pastori non si esaurisca nella
celebrazione dell’evento, ma si esprima nel desiderio di seguirne le orme.
148
LA PARROCCHIA SECONDO DON TONINO BELLO*
Tra i molteplici scritti di mons. Antonio Bello (egli amava farsi chiamare
semplicemente don Tonino), questa relazione rappresenta un significativo
testo per il suo valore storico, contenutistico ed ermeneutico.
Essa si fa apprezzare, innanzitutto, per la circostanza nella quale è stata
pronunciata. Si tratta, infatti, di una relazione proposta da don Tonino alla
“settimana teologico-pastorale” della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, il
16 maggio 1982 ossia solo qualche mese prima della sua ordinazione episcopale e dell’inizio del suo ministero pastorale. Il testo, pertanto, rappresenta un anello di congiunzione e di passaggio tra la riflessione maturata nel
periodo del ministero sacerdotale e quella espressa durante l’esercizio del
ministero episcopale e può essere inteso come una breve sintesi delle convinzioni teologiche maturate nella sua lunga e approfondita riflessione dei
documenti conciliari.
A partire dal 1970, infatti, don Tonino aveva iniziato a tenere una serie di
lezioni per consentire ai laici della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca un
approfondimento delle tematiche conciliari, soprattutto delle quattro costituzioni dogmatiche. Al fondo vi era la chiara convinzione che bisognasse offrire al popolo di Dio un luogo di formazione permanente per recepire gli
orientamenti proposti dal Concilio e progettare una nuova impostazione pastorale. L’attenzione ai segni dei tempi e la conoscenza approfondita dei documenti conciliari costituiscono le linee portanti delle “lezioni” proposte dal
giovane sacerdote.
L’entusiasmo suscitato da questa offerta formativa e la numerosa partecipazione dei laici orientarono il vescovo, mons. Michele Mincuzzi, a istituire
la settimana teologico-pastorale trasformando questi incontri in una proposta di riflessione teologica aperta a tutta la diocesi. Da allora, questa ini*
Presentazione di mons. Vito Angiuli a Don Tonino Bello, La parrocchia. Luogo di comunione
nella realtà concreta del territorio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) aprile 2013, pp. 5-13.
149
ziativa rappresenta uno dei momenti più significativi della vita pastorale della Chiesa ugentina e, con il passare del tempo, è divenuta un appuntamento
durante il quale la comunità diocesana si ritrova per ascoltare le relazioni,
riflettere sui contenuti ivi proposti, discutere circa il modo più opportuno
per tradurre nella prassi gli orientamenti teologici, programmare insieme il
cammino pastorale.
I temi affrontati nelle settimane teologiche ugentine si sono prevalentemente ispirati all’approfondimento delle tematiche conciliari e dei piani pastorali programmati dalla Chiesa italiana. Non è un guadagno da poco
questo duplice riferimento. Da una parte, infatti, la riflessione sulle prospettive indicate dal Concilio ha rappresentato un indispensabile esercizio di ricezione e di intelligente attuazione degli insegnamenti conciliari; dall’altra, il
riferimento ai piani pastorali della CEI, ha consentito alla Chiesa di UgentoS. Maria di Leuca, collocata nell’estremo lembo della Puglia (de finibus terrae), di mantenere il necessario e fecondo legame con il cammino pastorale
della Chiesa italiana, in modo da offrire un più ampio respiro ecclesiale alla
vita diocesana.
È bene ricordare che, negli anni ottanta, gli orientamenti pastorali della
Chiesa italiana si proponevano di riflettere sul tema “Comunione e Comunità”. La settimana teologica ugentina, che si svolse dal 15 a 19 maggio 1982,
trattò lo stesso argomento e prevedeva i seguenti interventi: don Felice Di
Molfetta, L’Eucaristia, fonte e culmine della comunione; don Tonino Bello,
Chiesa Mistero di comunione e Comunione nella parrocchia; don Franco Castellana, La comunione nella Rivelazione; don Marcello Semeraro, La comunione nella Diocesi; dott. Giuseppe Schiavano, Sintesi dei documenti provenienti dalle Foranie.
In realtà, vi fu un cambio di programma. La relazione che si doveva tenere il primo giorno sul tema la Chiesa mistero di comunione venne affidata a
don Tonino perché il relatore scelto non poteva prendere parte all’incontro.
Per questo, all’inizio della sua trattazione (che per motivi redazionali è stata
omessa), don Tonino scrive: «L’improvviso venir meno di un anello fondamentale nel processo logico di questa settimana teologico-pastorale (e precisamente del primo anello: la Chiesa mistero di comunione), e inoltre
150
l’anticipazione di questa mia conversazione dall’ultima sera a una delle prime, mi obbligano, oltre che a reimpostare l’argomento, a dargli anche un
taglio che non prescinda troppo da alcune dimensioni dottrinali, teoretiche
se volete, che senza dubbio sarebbero state trattate da Sciascia la prima sera, se fosse venuto».
La relazione di don Tonino, pertanto, oltre a caratterizzarsi per il suo afflato pastorale si arricchisce anche di una più marcata riflessione teologica
soprattutto in riferimento al concetto di Chiesa come “mistero di comunione”. Ed è proprio questo aspetto a mostrare il grado di ricezione della prospettiva conciliare compiuto dal sacerdote ugentino. La Chiesa è concepita
sul modello trinitario secondo una triplice scansione: Dio accoglie l’uomo
nella sua intimità; la Chiesa nasce dall’alto, per iniziativa divina (prima di essere intesa come organizzazione essa deve essere considerata come dono);
la Chiesa non esiste per se stessa, ma per evangelizzare e dare la vita per il
mondo. Questi tre aspetti mostrano chiaramente che don Tonino aveva fatto sua la prospettiva del Concilio Vaticano II, attinta dalla frequente lettura
dei documenti conciliari e postconciliari. Ed è su questo substrato teologico
che egli ha fondato il successivo magistero episcopale.
Di grande interesse sono le applicazioni del concetto di comunione alla
parrocchia, considerata non solo in generale, ma anche nella concreta realtà
del territorio e della cultura del basso Salento. La parrocchia, per don Tonino, deve riscoprire la sua essenziale natura missionaria, superando ogni
forma di frammentazione e di autarchia (vere piaghe della cultura salentina), e deve accogliere la ricchezza dei doni spirituali presenti nei gruppi, nelle associazioni e nei movimenti. L’ansia missionaria, lo sguardo aperto sul
mondo, il radicamento nella vita della Chiesa locale, la valorizzazione dei
doni e dei carismi di tutti i membri della comunità diocesana costituiscono
l’energia spirituale per un profondo cambiamento della vita parrocchiale.
Ugualmente significative sono le prospettive pastorali, le “nuove frontiere” che devono essere tenute presenti dai singoli e dalle comunità: il dialogo
culturale, la pratica della giustizia sociale e l’attenzione educativa nei riguardi dei giovani. Si tratta di temi che costituiranno i punti di maggiore interesse del successivo magistero episcopale e che dimostrano a sufficienza una
151
sostanziale continuità del suo pensiero oltre all’attualità e la forza profetica
del suo insegnamento e della sua testimonianza di vita.
In conclusione, mi preme sottolineare che questo testo risulta essere significativo non solo per il contesto storico e il contenuto dottrinale, ma anche come utile banco di prova per chi intende compiere una ermeneutica
non superficiale del pensiero di don Tonino. Sottolineare solo alcuni aspetti
del suo magistero episcopale (calcando la mano sui risvolti di carattere sociale) o addirittura pensare che, con la nomina a vescovo, egli abbia cambiato radicalmente la sua impostazione teologica e pastorale significa non tener
conto delle radici conciliari su cui don Tonino ha fondato la sua riflessione.
Una tale ermeneutica è il frutto di una conoscenza parziale, se non tendenziosa, della sua riflessione e, conseguentemente, si traduce in una proposta
unilaterale e fuorviante del suo insegnamento e della sua bella testimonianza di vita.
Per la redazione e la pubblicazione di questa relazione mi sono avvalso
del testo scritto da don Tonino e della trascrizione del suo discorso
all’assemblea diocesana. Ho scelto di inserire tra le parentesi quadre quanto
egli ha aggiunto oralmente in modo da far “risuonare la sua voce” e aiutare
a comprendere il suo intenso afflato pastorale. La pubblicazione della relazione cade nel ventesimo anniversario della sua morte e costituisce, nell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, un segno di amore della Chiesa
di Ugento-S. Maria di Leuca e mio personale verso un pastore mite e coraggioso e un moderno testimone della fede.
152
SCELTO TRA GLI UOMINI, INVIATO AGLI UOMINI*
Scelto tra gli uomini, il sacerdote è costituito in favore degli uomini nelle
cose che riguardano Dio (cfr. Eb 5,1). Questa espressione della Lettera agli
Ebrei, spesso citata, rimane una delle più belle definizioni del sacerdote.
Le due preposizioni (“ex” e “pro”) delineano le coordinate fondamentali
del ministero sacerdotale: la provenienza e la finalità verso cui il ministero
presbiterale è indirizzato. Il sacerdote viene ex hominibus; non dal cielo o da
un ambiente irreale, ma precisamente dalla famiglia umana. Impastato della
stessa umanità degli altri uomini, in lui si agitano le stesse passioni, gli stessi
ardori, le stesse speranze.
Proveniente ex hominibus, il sacerdote è costituito pro hominibus. È
inviato cioè proprio a coloro dai quali è stato preso, perché agisca in loro
favore e per il loro bene. Nell’identità del prete c’è questa radicale appartenenza alla famiglia umana finalizzata al conseguimento di un bene da
offrire a tutti. Egli è un uomo come gli altri, ma ha un compito che lo pone su
un piano totalmente diverso. La sua missione annuncia un’arcana alterità,
rinvia a una misteriosa presenza, orienta lo sguardo verso il cielo.
I verbi, poi, sottolineano due altri motivi dell’identità sacerdotale.
Innanzitutto la dimensione verticale. Il prete è un uomo che è stato “scelto”.
La sua missione presuppone una vocazione che proviene dall’alto e annuncia
un progetto predisposto da Dio. La vita del prete è segnata da questa Voce:
egli non ha un suo programma, non deve modellare la sua esistenza secondo un suo disegno, ma deve “accordarsi” con la volontà di Dio, scoperta
giorno per giorno attraverso le vicende e le circostanze della vita.
Accettata liberamente, la chiamata divina costituisce il sacerdote come
un “oggettivo punto di riferimento” per gli uomini nelle cose che riguardano
Dio. Egli non ha nulla di suo da dare perché la sua identità più profonda è
*
Presentazione al libro di E. Morciano (a cura di), Don Eugenio. Scritti per i 50 anni di
sacerdozio di don E. Licchetta, mal d’estro edizioni, Tricase, maggio 2013, pp. 7-9.
153
semplicemente quella di essere «servo di Cristo e amministratore dei misteri
di Dio» (1Cor 4,1). Il suo compito principale è di “rendere presente” colui
che l’ha inviato, amministrando saggiamente i suoi beni.
Al sacerdote si può applicare la famosa espressione coniata da San
Gregorio di Nissa che, di solito, viene riferita all’esperienza mistica: «Sentimento di presenza» (Aisthesis parousias)1. Il sentimento di presenza è più
che la semplice fede nella presenza di Dio; è avere il senso vivo, la percezione quasi fisica, del mistero ineffabile di Dio e della presenza misteriosa e
reale del Risorto. Questa caratteristica dei mistici è applicabile anche ai
presbiteri. Ogni sacerdote deve essere un mistico, o almeno un “mistagogo”,
un uomo che, avendo fatto esperienza di Dio in Cristo, introduce le persone
nel mistero di Dio e di Cristo, tenendole per mano.
Ed è proprio questa la caratteristica che il mondo moderno cerca nel
sacerdote. Lo ha messo bene in evidenza Benedetto XVI quando ha sottolineato che «nel nostro tempo nel quale in vaste zone della terra la fede è
nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la
priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo
mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a
quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo
nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e
risorto […]. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia:
questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa».
Quando penso a queste caratteristiche dell’identità presbiterale, mi si
presentano alla mente alcune figure sacerdotali che ho incontrato nella mia
vita. Tra queste, vi è anche il caro don Eugenio Licchetta. L’ho conosciuto da
poco tempo. Ma è stato sufficiente per capire che egli è un sacerdote
speciale perché “un uomo tutto d’un pezzo”. Del suo sacerdozio si può
candidamente affermare che è tanto somigliante a Cristo quanto più intriso,
sin nelle più intime fibre, di una umanità straripante. A don Eugenio si
addicono, in modo particolare, le parole già citate della lettera agli Ebrei: “ex
hominibus – pro hominibus”; scelto tra gli uomini, e inviato a servizio degli
1
Gregorio Nisseno, Sul Cantico, XI, 5,2.
154
uomini nelle cose che riguardano Dio. Non un Dio astratto! Ma precisamente il Dio cristiano, cioè il Verbo incarnato che ha amato gli uomini con
cuore divino e umano.
Considerando queste cose, si comprende il motivo per il quale la sua
persona suscita una immediata simpatia. Il suo, come quello di Cristo, è un
sacerdozio vissuto per amore, in un servizio non ripetitivo e abitudinario, ma
con slancio e creatività.
Questa è anche la ragione fondamentale per la quale alcuni suoi amici
hanno deciso di rendergli omaggio, proprio ora che la sua umanità mostra
più chiaramente i segni della fragilità e della debolezza. Le testimonianze
pubblicate in questo libro esprimono l’affetto e l’ammirazione per la sua
persona, piena di ardore e di passione, di progetti e di sogni, di contrasti e di
combattimenti, ma soprattutto di una amorevole e traboccante generosità.
Una umanità vera quella di don Eugenio, che ha reso il suo ministero
sacerdotale senza fronzoli, ma concreto e appassionato! Una umanità consacrata dall’unzione dello Spirito e spesa in intelligente e infaticabile amore ai
poveri e ai bisognosi di conforto spirituale e materiale. Una persona, don
Eugenio, schietta e senza infingimenti, che ha fatto del quotidiano, della
piazza, della scuola, della cultura, della politica, ossia dei luoghi dove pulsa la
vita, il banco di prova del suo sacerdozio.
Molti hanno beneficiato del tuo ministero sacerdotale, caro don Eugenio.
Il Signore te ne renda merito e ti ricompensi con quella gioia vera che
nessuna sofferenza fisica può estinguere!
155
QUESTO È IL MIO CORPO*
Cari animatori e cari ragazzi,
il Grest è l’esperienza educativa estiva vissuta con leggerezza, divertimento e sana competizione. Quest’anno ritorna con il suo carico di gioia e di
attività ludiche, con momenti di riflessione e di approfondimento, con il
gusto di stare insieme e di coinvolgersi in una gara di amicizia e di fraternità.
Il tema del Grest: il corpo
«Everybody» è il titolo dell’edizione 2013. Il termine inglese si può
tradurre in italiano con queste parole: ognuno/ciascuno; tutti/tutto. Lo
scorso anno abbiamo riflettuto sul tema della parola, quest’anno il Grest
racconta la realtà del corpo come dono, occasione di relazione, unità tra
presente, passato e futuro, concreto terreno in cui si instaurano relazioni
interpersonali. Insomma si passa dalle parole ai fatti. Il tempo estivo,
pertanto, sarà l’occasione per fare lo stesso percorso vissuto lo scorso anno
a partire dai gesti, dalla corporeità, dalla fisicità che ogni persona sperimenta. Le parole, infatti, sono significative perché consentono la comunicazione, la relazione e la conoscenza delle cose e delle persone. Ma più
importante di esse è il corpo perché rappresenta ogni persona nella sua
individualità.
Il sottotitolo “Un corpo mi hai preparato” è una citazione della Lettera
agli Ebrei e conferma la preziosità del tema. Il corpo oltre ad essere
dimensione imprescindibile per ognuno, è anche al centro dell’annuncio
cristiano. Basti ricordare le parole pronunciate da Gesù nell’ultima cena:
«Questo è il mio corpo». Questa espressione può essere intesa in un triplice
modo. Può riferirsi alla singola persona che riconosce se stessa come unità
tra anima e corpo; richiama l’identità della Chiesa quale “corpo di Cristo”;
*
Messaggio agli animatori e ai ragazzi del Grest 2013, Ugento, 2 giugno 2013, Solennità del
SS. Corpo e Sangue di Cristo.
156
indica la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, corpo sacramentale del
Signore. Esaminiamo questi tre aspetti per scoprire la ricchezza di significato
che essi contengono.
Il corpo personale
Consideriamo il corpo innanzitutto in riferimento alla persona umana.
Quando diciamo “il mio corpo”, non intendiamo dire una realtà differente
da noi stessi, ma vogliamo indicare la nostra specifica identità. Il corpo non è
un vestito che noi indossiamo e che, quando non ci piace più, possiamo
mettere da parte. Il corpo indica la nostra personale individualità. A essere
precisi non si dovrebbe dire “io ho un corpo”, ma ”io sono un corpo”. Per
questo giustamente si dice che “il corpo è specchio dell’anima”.
Con una espressione ancora più eloquente possiamo dire: “Il corpo
parla”. Non esiste, infatti, soltanto il linguaggio verbale, ne esiste uno più
sottile, al quale dovremmo più spesso prestare attenzione, ed è quello dei
gesti e delle espressioni, in sostanza, il vocabolario del corpo. Spesso il corpo
parla per noi, tradisce le nostre emozioni.
Le zone e le parti del corpo che fanno trapelare più spesso le nostre
emozioni sono il viso, la testa, le mani e i piedi. Quando ci sentiamo sicuri di
noi stessi, tendiamo ad assumere una posa che manifesta il nostro dominio
sullo spazio e su chi ci circonda, le spalle sono dritte, la camminata decisa e
lo sguardo fisso.
La sensazione di disagio viene espressa dal nostro corpo con dei segnali
piuttosto chiari: gli occhi sono sfuggenti, irrequieti, spesso ci troviamo a
toccarci un orecchio, segno di mancanza di fiducia nella situazione in cui ci
troviamo. Quando parliamo di qualcosa che ci disturba le nostre narici si
dilatano a intervalli impercettibili e la bocca assume una smorfia, ci irrigidiamo e tendiamo a socchiudere gli occhi. Quando siamo preoccupati per
qualcosa ci copriamo involontariamente una parte del viso con le mani. Lo
stress e l’ansia sono facilmente leggibili sulle labbra, che in questo caso sono
contratte e rivolte verso il basso.
Quando viene messo in evidenza un nostro errore o sbaglio il viso
arrossisce e acquista un’aria di mestizia e di tristezza. L’espressione più bella
157
è il sorriso, manifestazione di felicità e letizia. Tuttavia esistono diversi tipi di
sorrisi: il sorriso forzato, il sorriso di cortesia, il sorriso di gioia.
In definitiva, le parole esprimono in modo verbale il nostro mondo
interiore: emozioni, sentimenti, pensieri. Il corpo le manifesta in modo fisico, tangibile, palpabile.
Il corpo ecclesiale
Quanto fin qui detto vale non solo per la persona, ma anche per la
Chiesa. Essa, infatti, è un corpo e precisamente il “corpo mistico di Cristo”.
San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi paragona la Chiesa al corpo umano.
Così egli scrive: «Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte
le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in
realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo
corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo
Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se
il piede dicesse: “Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo”, non
per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: “Poiché
io non sono occhio, non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe
più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se
fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in
modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro
solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il
corpo. Non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai
piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano
più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno
onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono
trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno.
Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne
mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra
avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le
membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra
gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la
sua parte» (1Cor 12,12-27).
158
Comunicandoci il suo Spirito, Cristo ci raccoglie da tutte le genti e ci
costituisce come Chiesa cioè come il suo mistico corpo. La sua vita si
diffonde in noi attraverso i sacramenti, e noi ci uniamo in modo arcano e
reale con lui. Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose,
formano un solo corpo così i fedeli in Cristo. Lo Spirito produce e stimola la
carità tra i fedeli. Quindi se un membro soffre, con esso soffrono tutte le
altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono tutte le altre membra.
Si manifesta così l’identità della Chiesa: l’unità dei credenti in Cristo.
Il corpo eucaristico
Vi è però un altro aspetto da sottolineare per comprendere l’unità che
vige tra i cristiani. Essi sono una cosa sola perché tutti si nutrono dello stesso
cibo spirituale, cioè dell’Eucaristia, corpo sacramentale di Cristo. Quando
partecipiamo alla Santa Messa e riceviamo l’Eucaristia diveniamo parte del
corpo di Cristo e, nello stesso tempo, si crea un profondo legame spirituale
tra noi. Prendendo a prestito un pensiero di Sant’Agostino potremmo dire
che siamo ciò che vediamo e riceviamo ciò che siamo. Queste le parole di
Sant’Agostino: «Queste cose, fratelli, si chiamano sacramenti proprio perché
in esse si vede una realtà e se ne intende un’altra. Ciò che si vede ha un
aspetto materiale, ciò che si intende produce un effetto spirituale. Se vuoi
comprendere il mistero dei corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai
fedeli: Voi siete il corpo di Cristo e sue membra (1Cor 12,27). Se voi dunque
siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il
mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e
rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu
rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo
Amen. Perché dunque il corpo di Cristo nel pane? Non vogliamo qui portare
niente di nostro; ascoltiamo sempre l’Apostolo il quale, parlando di questo
sacramento, dice: Pur essendo molti formiamo un solo pane, un solo corpo
(1Cor 10,17). Cercate di capire ed esultate. Unità, verità, pietà, carità. Un
solo pane: chi è questo unico pane? Pur essendo molti, formiamo un solo
corpo. Ricordate che il pane non è composto da un solo chicco di grano, ma
da molti. […]. Fratelli, pensate a come si fa il vino. Molti acini sono attaccati
159
al grappolo, ma il succo degli acini si fonde in un tutt’uno. Cristo Signore ci
ha simboleggiati in questo modo e ha voluto che noi facessimo parte di lui,
consacrò sulla sua mensa il sacramento della nostra pace e unità» (Serm.
272, 1).
Non è bello, cari animatori e cari ragazzi, sentirci parte di un unico
corpo? Non dovrebbe essere motivo di gioia sapere che gli altri non sono
estranei né tantomeno nemici, ma sono così uniti a noi da formare un solo
corpo? Non dovremmo amarci scambievolmente perché ci riconosciamo
appartenenti gli uni agli altri?
Auguro a tutti voi, cari animatori e ragazzi, che il Grest di quest’anno vi
aiuti a riscoprire il valore del corpo e il suo significato personale, ecclesiale
ed eucaristico.
Con affetto.
160
RESPICE STELLAM*
Guarda la stella!
Il riferimento alla stella riveste un profondo significato culturale e
religioso. Nell’astrologia antica, la stella del mattino è spesso identificata
con Sirio e, a motivo della sua bellezza, anche con Venere. È la stella più
luminosa del firmamento. Essa sorge prima del levar del sole e annuncia il
nuovo giorno che appare all’orizzonte.
Anche la Sacra Scrittura contiene numerosi e significativi riferimenti al
tema della stella. La celebre profezia di Balaam vede il Messia come «stella
che spunta da Giacobbe e scettro da Israele» (Nm 24,17). Ad essa si richiama
l’Apocalisse quando presenta Gesù come «la stella radiosa del mattino» (Ap
22,16), ossia la prima delle stelle, quella che porta la luce sulla terra, la
prima di tutte le creature, il principio di tutto (cfr. Col 1,15). Sulla scorta
della liturgia che invoca Cristo risorto come «la stella che non conosce
tramonto», Beda il Venerabile, scrive che «Cristo è la stella mattutina che,
passata la notte dei tempi, promette ed estende sui santi l'eterna luce della
vita».
La stessa liturgia e la tradizione popolare, tuttavia, progressivamente
compiono il passaggio dall’interpretazione cristologica a quella mariologica.
La stella viene identificata con la Vergine Maria, aurora della vera luce del
mondo, Cristo, «sole che sorge dall'alto, per risplendere su quelli che stanno
nelle tenebre e nell'ombra di morte» (Lc 1,78-79). Di questa tradizione si fa
interprete San Bernardo, il quale in una celebre preghiera, con vibranti
parole, invita il credente, soprattutto nei momenti di difficoltà e di pericolo,
a tenere fisso lo sguardo sulla Vergine Maria:
O tu che nell’instabilità continua della vita presente
t’accorgi di essere sballottato tra le tempeste
*
Introduzione a R. Fracasso, La visione e la speranza. Il cardinale Panico e l’attualità delle
“magnifiche opere” delle Suore Marcelline a Tricase, Khárisma 2013, pp. 9-14.
161
senza punto sicuro dove appoggiarti,
tieni ben fisso lo sguardo al fulgore di questa stella
se non vuoi essere travolto dalla bufera.
Se insorgono i venti delle tentazioni
e se vai a sbattere contro gli scogli delle tribolazioni,
guarda la stella, invoca Maria!
Se i flutti dell’orgoglio, dell’ambizione,
della calunnia e dell’invidia
ti spingono di qua e di là,
guarda la stella, invoca Maria!
Respice stellam!
Questa celebre invocazione mariana, assunta dal cardinale Panico come
motto del suo stemma cardinalizio, rivela la sua profonda devozione verso la
Madonna, coltivata fin dall’infanzia in riferimento alla Vergine de finibus
terrae del Santuario di Leuca e ripresa nella giaculatoria Mater mea, fiducia
mea a partire dagli anni della formazione teologica e spirituale nel Seminario
Romano Maggiore. La devozione alla Madonna accompagnerà il cardinale
nel suo lungo e instancabile servizio diplomatico in varie parti del mondo
come Rappresentante della Santa Sede e lo aiuterà a mantenere la fiducia in
Dio e l’amore verso il prossimo nonostante i tempi difficili nei quali egli
visse; tempi sconvolti da due sanguinose guerre mondiali.
Chissà quante volte egli avrà invocato la Madonna con le parole di San
Bernardo! Una luminosa testimonianza della sua devozione mariana ci ha
lasciato suor Maria Ferragatta, vicaria generale delle suore Marcelline. Così
ella scrive: «Una luce celeste illuminò la sua giornata terrena: l’amore
dolcissimo alla Madonna… un amore filiale, semplice, profondo. Stella maris
volle chiamare la radiosa villa che, di fronte al suo mare azzurro, doveva
essere il luogo, nelle rare e brevi soste, della sua orante contemplazione. La
Madonna vi regnava. Egli l’amava come un bambino ama la sua mamma. Nei
rapidi istanti della divina chiamata all’eterno premio, l’ultimo sguardo del
cardinale fu rivolto alla sua dolcissima Madre. L’ultima parola fu detta a Lei.
Mater mea, fiducia mea!».
162
La stella richiama, dunque, la Vergine Maria, ma può anche riferirsi alla
“grande idea” che, come un potente fascio di luce, illumina e orienta il
cammino della vita. Una “grande idea” può essere coltivata solo da una
grande personalità. La grandezza di un uomo, infatti, «si misura dal calibro
dei suoi sogni» (Anonimo). Attinta dal Vangelo, la “grade idea” che ha
animato il cardinale Panico è stata la carità! Dono di Dio che scende
dall’alto, la carità, come un torrente in piena, invade ogni cosa trasformando
il deserto del mondo in un giardino fiorito. La carità è fiamma d’amore
divino. Essa spinge ad amare il prossimo in un impeto irresistibile che supera
i limiti e le resistenze e, dal nulla, crea cose nuove.
Nel discorso pronunciato in occasione della traslazione della salma del
cardinale, mons. Nicodemo individuò nell’amore del prossimo la “grande
idea” che aveva animato la vita del cardinale Panico. Queste le parole
dell’Arcivescovo di Bari: «L’amore per il prossimo, che egli manifesta fin da
giovanissimo, prodigandosi per il bene dei fratelli, ai quali lo accostano il
sacro ministero o il servizio diplomatico, si dilata nella più ampia carità
pastorale, dopo che mons. Panico riceve la pienezza del sacerdozio […].
Nell’ansia di quest’anima vanno dunque ricercate le dimensioni vere di tutta
l’opera sua. Questa certo fu varia e fu complessa. Tuttavia credo che essa
non basti a far conoscere nella sua interezza quel grande amore per il
prossimo, che animò tutta una vita, nelle opere non solo, ma nelle sofferenze intime, negli ignorati sacrifici, nelle ansie, nei timori, nelle speranze.
Perché tutto questo fu un grande amore e più grande, forse, quanto meno
apparve e meno operò: l’amore è nell’amore!».
Si dirà, forse, che la carità è la regola di vita di ogni cristiano e che,
pertanto, essa è il compito affidato ad ogni credente. Si dirà anche che
vivere la carità, in fondo, non è una eccezione, ma il semplice ideale di ogni
discepolo di Gesù. Naturalmente ciò è vero. Ma non è meno vero che sono
proprio “le idee semplici quelle che hanno enormi conseguenze” (Lev
Tolstoj). La carità, infatti, è un’idea semplice, come è semplice Dio, ma
«muove il sole e le altre stelle» (Dante). Quando si incarna nella singola
persona, non esaurisce la sua azione nel breve arco della esistenza terrena;
valica il momento storico e, superando la contingenza spazio-temporale, si
163
protende verso il futuro attirando con la sua forza le cose che ancora
devono accadere.
La carità è eterna, ma prende forma nel tempo. È antica, ma produce
frutti sempre nuovi. È energia divina che esalta le migliori potenzialità
dell’uomo. È opera di uno, ma aggrega molti. Le idee migliori, infatti, «sono
proprietà di tutti» (Seneca).
L’amore cerca amore. Chi si lascia afferrare dall’amore trascina gli altri
nell’amore e, fondendo l’amore con amore, crea opere d’amore. Si comprende allora che l’incontro tra il cardinale Panico e le suore Marcelline non
è il frutto del caso, pur se sembra avvenuto in modo casuale, ma è un
incontro d’amore tra la carità del beato Luigi Biraghi, fondatore della Congregazione delle Suore Marcelline e la carità del cardinale Panico, fondatore
dell’ospedale di Tricase; un incontro d’amore che è stato capace di creare
“magnifiche opere” che durano nel tempo e rimangono come un segno e un
monumento alla carità.
Gli uomini passano, l’amore resta! Restano le loro tensioni morali e
continuano a camminare sulle gambe di altri uomini. La carità dei due fondatori continua a rivivere nella carità delle suore Marcelline e di tutti coloro
che, insieme con loro, perseverano nel dare forma al sogno del cardinale
Panico. Il sogno di uno, diventato il sogno di molti! Il fuoco della carità non
passa di moda e, pur nel susseguirsi delle stagioni, continua a mantenere
intatto il suo fulgore.
L’opera iniziata dal cardinale Panico non è una tra le tante “aziende
ospedaliere”, ma, sulla scia del suo fondatore, rappresenta il servizio d’amore che la Chiesa svolge a favore degli uomini; un servizio di carità nella
verità. Nella visione cristiana, il logos e l’agape sono inscindibilmente legati
tra loro: l’amore della verità si esprime nella verità dell’amore. Radicata nel
territorio tricasino, quest’opera della carità non si è lasciata risucchiare dalla
cultura del rizoma che rinnega le proprie radici, ma ha saputo mantenere il
radicamento nella terra del Sud Salento lasciando intatta l’apertura alla
mondialità.
La carità non rinuncia al particolare, ma non si rinchiude nel suo piccolo
dettaglio e sempre si allarga sull’universale. Proprio come ha fatto il
164
Cardinale: pellegrino nel mondo, ma saldamente e affettivamente legato
alla sua amata Tricase. Lì egli è nato e lì ora riposa. E da lì veglia sull’opera
che porta il suo nome e incarna il suo sogno. Con il dito puntato, invita tutti
a “guardare la stella” e a camminare guidati dalla sua luce.
Un piccolo, ma significativo contributo a “guardare la stella” viene anche
da questo corposo libro curato, con pazienza certosina, dal dott. Rodolfo
Fracasso. Tra gli altri suoi meriti, esso ha anche quello di ravvivare la
memoria di quanto è accaduto in questi cinquant’anni dalla morte del
cardinale Panico perché lo sguardo possa protendersi in avanti in modo
lungimirante. L’amore non è rivolto nostalgicamente al passato, ma spinge
lo sguardo verso il futuro ancorandosi saldamente al momento presente.
Dove vige la carità, il futuro non può essere incerto. La carità non è una
stella cadente. Essa brilla ancora oggi nel luminoso cielo del nostro Sud e noi
possiamo contemplarla nella sua accattivante bellezza soprattutto quando si
riveste del fascino di un amore offerto a tutti con generosa e quotidiana
dedizione come avviene nell’Ospedale Panico di Tricase. La scia luminosa
dell’amore dona La visione e la speranza, come recita il titolo di questo libro.
Tocca a ciascuno di noi continuare a contemplare la stella, ascoltando il
suadente invito del cardinale Panico che non si stanca di ripetere: Respice
stellam!
165
LAVORO: SOGNO O REALTÀ*
La spiccata sensibilità per il problema del lavoro giovanile mostrata dal
Vescovo mons. Vito Angiuli trapela chiaramente dall’intervista a noi rilasciata proprio da Sua Eccellenza.
1) Com’è nata l’idea di questo convegno?
È evidente che abbiamo tenuto conto della grande crisi che interessa
l’ambito sociale e lavorativo e crea una situazione di disagio molto forte.
Come Chiesa di Ugento - S. Maria di Leuca non abbiamo certo la presunzione
di risolvere un problema di così vaste dimensioni. D’altra parte abbiamo la
convinzione che non esistano formule magiche capaci di creare lavoro.
Vogliamo semplicemente mettere in contatto il mondo dei giovani con la
realtà lavorativa evidenziando tutte le potenzialità che sono presenti nel
nostro territorio.
2) Il convegno invece ha uno scopo ben preciso…
Il convegno ha lo scopo di realizzare un incontro tra la domanda e
l’offerta, ovvero, tra i giovani che chiedono di entrare nel mondo del lavoro
e gli organismi, le associazioni, gli imprenditori che pur non potendo offrire
attualmente una possibilità di lavoro, possono indicare le condizioni per
poter dare almeno la speranza che, con la creatività, con l’inventiva, si possa
in qualche modo cercare di arginare, se non di risolvere, questa difficile crisi
occupazionale.
3) Quali sono le aspettative per questo convegno in termini di partecipazione delle associazioni coinvolte, di pubblico, ecc.?
Sono state coinvolte molte associazioni: la Coldiretti, la Confindustria, la
Confcooperative, il Confartigianato, le ACLI, ecc. Ciò per noi è motivo di
*
Intervista di mons. Vito Angiuli rilasciata a Donatella Valente pubblicata sul giornale “Il
Gallo”, anno 18, numero 9, 4/7 maggio 2013, p. 11.
166
grande soddisfazione. Ripeto la premessa: non abbiamo la bacchetta magica
per risolvere il problema. Tuttavia mettersi insieme, passare dalla denuncia
alla possibile proposta è già un grande guadagno. Di fronte ai problemi
attuali bisogna mettersi insieme ed insieme elaborare possibili soluzioni,
tenendo conto che questo nostro territorio ha una sua specificità: dall’agricoltura, all’artigianato, alle piccole e medie imprese; ovviamente ci
deve anche essere un’educazione dei giovani al lavoro.
4) In che modo la Diocesi è attiva sul territorio per cercare di dare una
risposta alle necessità incombenti?
Soprattutto sul piano del raccordo delle agenzie del lavoro. La Chiesa
non ha la possibilità di risolvere il problema. Intende solo raccordare e
invitare i giovani ad una nuova cultura del lavoro, che non è soltanto quella
del posto fisso ma è anche quella di lavorare in altri settori più confacenti
alla realtà territoriale. Per quanto possibile è meglio cercare il lavoro nel
proprio territorio cogliendo le opportunità, le occasioni, le piccole aperture
che ci sono nei diversi settori. Nel convegno abbiamo individuato i seguenti
ambiti: agricoltura, turismo e ambiente (I settore), tecnologia ed innovazione (II), artigianato (III), servizi alla persona (IV). Sono campi ai quali
prestare attenzione. Sia ben chiaro, non vogliamo dare l’idea di essere
solutori di problemi che hanno ben altre radici, intendiamo solo evidenziare
la volontà della Chiesa di dare il suo contributo anche in questo campo.
5) Come ha visto cambiare la situazione sociale nel corso degli anni del
suo ministero vescovile nella Diocesi di Ugento? È palese l’accrescimento
della povertà causato dalla crisi?
Abbiamo avuto un trend di difficoltà economiche sempre crescente.
Sono Vescovo di questa diocesi solo da due anni e mezzo. Leggendo gli
scritti e gli appelli del mio predecessore, mons. De Grisantis, ho colto che il
problema ha radici lontane. Stiamo vivendo una grande difficoltà che adesso
si è acuita ancora di più ed ha coinvolto un maggior numero di persone e di
famiglie. Si tratta di una crisi che ha assunto dimensioni planetarie. Da noi,
assistiamo ad una nuova forma di emigrazione che coinvolge i giovani: alcuni
167
si spostano per motivi di studio, altri per esigenze di lavoro. Certo il nostro
territorio è depauperato delle forze nuove. Si tratta di una “fuga” che
bisognerebbe arrestare.
6) In questo particolare momento di crisi del Paese come la Chiesa può
fungere da collante tra le necessità della popolazione e le possibili risposte
sociali?
Compito della Chiesa è di stare accanto alle persone in difficoltà non in
maniera consolatoria, ma operando nell’ambito del possibile, cogliendo le
opportunità che si presentano e mettendo in sintonia tutte le forze
disponibili.
7) Cosa si potrebbe fare di più per dare un aiuto concreto ai bisogni
della gente?
Ancora una volta ritorno al leit motiv di mettere insieme domanda e
offerta, organismi deputati nel campo del lavoro con i giovani: la forza è nel
ritrovarsi, nel parlarsi, nell’interrogarsi, nel non rimanere isolati perché
l’isolamento crea disperazione. Né creare illusioni né lasciare nell’isolamento, ma sapere che c’è una difficoltà da affrontare insieme con qualche
piccola soluzione possibile.
8) A questo punto chiediamo a Sua Eccellenza il suo pensiero sulla crisi
che stiamo vivendo.
È una crisi che riguarda l’intero sistema. Certamente è di carattere
economico e sociale. Ma ha anche radici più profonde. È una crisi etica e
culturale. Tuttavia dobbiamo vivere in questa realtà senza scoraggiarci,
pensando che anche in passato i nostri antenati hanno dovuto affrontare
situazioni di grande difficoltà. Bisogna affrontare la crisi, con coraggio,
speranza e impegno concreto. Bisogna trovare soluzioni possibili nell’ambito
del territorio: nell’agricoltura, nell’artigianato, nel turismo, nel servizio alla
persona, ecc. Non troveremo la soluzione al problema se i giovani non
saranno educati a una nuova cultura del lavoro.
168
9) La disponibilità di mons. Angiuli è totale. Non si tira indietro neanche
quando gli chiediamo un messaggio per giovani in difficoltà.
Cari giovani, abbiate la consapevolezza che siamo in un momento
difficile, ma non scoraggiatevi: occorre non solo denunciare le cose che non
vanno, ma anche cambiare l’atteggiamento nei riguardi del lavoro. Accettate
anche lavori che non sono quelli auspicati, ma che aprono possibilità di
impiego. Nello stesso tempo lavorate ad una maturazione morale, a un’etica
diversa che non porti alla fuga e allo scoraggiamento, ma che aiuti a
guardare con minore apprensione al futuro pur sapendo che siamo in un
momento molto delicato e difficile. Quanto avvenuto a Roma (l’uomo che ha
sparato a due carabinieri, ndr) è indice della gravità della situazione. Non
possiamo, però, alimentare una sorta di linciaggio delle istituzioni. Dobbiamo invece infondere speranza, concretezza, fiducia, accompagnamento
delle persone, perché ognuno si assuma la sua responsabilità e si orienti in
questo contesto, non amplificando la problematica che già è grande, ma
riconsegnandola ad una sorta di realismo delle cose, di fiducia, di coraggio,
di speranza. Questo è il messaggio della Chiesa: uniamo le forze per dare
concretezza ai progetti di cambiamento, superando la facile illusione che i
problemi si possano risolvere da soli.
169
HO PARLATO CON PAPA FRANCESCO*
1) Che emozioni e impressioni le ha trasmesso l’incontro con Papa
Francesco?
Con una semplice espressione potrei dire che l’incontro con Papa
Francesco mi ha trasmesso le emozioni e le impressioni che si provano
quando per la “prima volta” si vive un evento particolarmente significativo.
Si è trattato, infatti, della mia “prima” Visita ad Limina. Durante gli anni del
mio ministero sacerdotale avevo avuto modo di incontrare Giovanni Paolo II
e Benedetto XVI. L’incontro con Papa Francesco, però, è avvenuto in quanto
Vescovo della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. È stato l’incontro del
Vescovo di una Chiesa particolare con il Vescovo della Chiesa di Roma che
presiede alla comunione con tutte le Chiese; un incontro paterno e fraterno
che mi ha dato queste sensazioni: il senso della novità, l’intensità dell’inedito, il sentimento della sorpresa, la consapevolezza che il futuro riserverà
nuovi motivi di stupore e di meraviglia.
Il significato dell’espressione “prima volta” va anche inteso nel senso che
Papa Francesco, in pochi mesi, ha già confezionato una numerosa serie di
primati che i mezzi di comunicazione sociale non hanno mancato di mettere
in evidenza. Mi è sembrato di essere entrato anch’io nel vortice di queste
novità. Ho avvicinato quotidianamente Papa Francesco in modo semplice
nella “Casa Santa Marta”, attuale residenza del Pontefice, per poi incontrarlo in modo ufficiale, ma sempre in modo affabile, nel Palazzo Apostolico.
Sono cambiati i luoghi, non lo stile e la cordialità del rapporto. E questa non
è una emozione da poco.
2) Il Papa sin dall’inizio del suo ministero ha evidenziato una profonda
devozione mariana. Ha voluto anche consacrare il suo pontificato alla
*
Intervista rilascita ad Antonio Sanfrancesco, pubblicata in “Presenza taurisanese”, 31,
2013, n. 256 maggio/giugno, p. 7.
170
Madonna di Fatima. Lei in occasione della Visita ad Limina ha avuto modo,
come fece il suo predecessore con Benedetto XVI, di invitarlo a visitare il
Santuario della Madonna de finibus terrae nella nostra diocesi?
Papa Francesco coltiva una grande devozione alla Madonna. Ne è una
prova il fatto che la prima visita a una diocesi italiana sarà quella, da lui
stesso annunciata, alla diocesi di Cagliari. Il Papa intende recarsi al Santuario
della Madonna di Bonaria, dati i collegamenti storici che intercorrono tra il
Santuario e la città di Buenos Aires, sede episcopale di Papa Bergoglio prima
della sua elezione a Pontefice.
Nella recente Visita ad Limina tutti i vescovi pugliesi hanno invitato il
Papa a far visita alla propria diocesi, adducendo ognuno buoni motivi per
giustificare la presenza del Pontefice. Faccio qualche esempio: l’Arcivescovo
di Bari-Bitonto, per il dialogo ecumenico essendo la città di Bari custode
delle reliquie di San Nicola; l’Arcivescovo di Taranto per la grave situazione
sociale in riferimento ai problemi legati all’ILVA; l’Arcivescovo di Otranto per
il dialogo interreligioso dopo la canonizzazione dei Martiri. Naturalmente
anch’io ho fatto cenno al Santuario della Madonna de finibus terrae. Il Papa
non ha escluso la visita, ma ha ricordato a tutti i Vescovi che sono passati
solo due mesi dalla sua elezione al soglio pontificio e, pertanto, è prematuro
definire il calendario dei suoi appuntamenti.
3) In molti hanno accostato lo stile pastorale di Francesco a quello di don
Tonino Bello, di cui ricorre quest’anno il XX anniversario della morte. Lei vede
analogie tra queste due figure? E in che cosa?
Non c’è alcun dubbio che vi sia un’analogia e una consonanza nello stile
pastorale di Papa Francesco con quello di don Tonino. Tra l’altro egli conosce don Tonino. Quando gli ho presentato l’intera Opera Omnia del servo
di Dio, Papa Francesco mi ha detto che aveva sentito parlare di lui. Senza
forzare troppo il paragone, si può dire che vi è una sintonia sul piano
teologico e pastorale. La loro visione e il loro stile si possono riassumere
nelle seguenti parole: misericordia, tenerezza, speranza, povertà. Si tratta di
un esplicito richiamo al Vangelo come fonte inesauribile di vita nuova e
171
“riserva” di verità da trasmettere all’uomo di oggi consentendo l’incontro
con la persona e il mistero di Cristo.
4) Francesco appena eletto si è presentato al mondo come un vescovo
“preso alla fine del mondo”. Al di là della geografia, che significato ha
quest'espressione per la Chiesa oggi? È un’ammissione che il cuore pulsante
del cattolicesimo batte altrove e non più nella vecchia Europa un tempo
considerata il centro della cristianità?
Mi sono presentato al Papa con queste parole: «Santità, Lei è stato preso
dalla fine del mondo, io provengo da una parte della Puglia che è chiamata
“de finibus terrae”». A questo punto ho visto gli occhi del Papa illuminarsi.
Ha sorriso e mi ha stretto la mano in segno di gioia e di fraternità.
Venendo alla sua domanda, credo di poter dire che il riferimento al contesto geografico nasconda un duplice significato. Il primo è di carattere culturale. Richiama cioè il superamento dell’eurocentrismo. L’Europa non è più
il centro del mondo. Vi sono altre terre e altre culture rimaste per troppo
tempo ai “confini del mondo” che ora si affacciano al centro della realtà storica e propongono la loro visione della vita e i valori delle loro tradizioni sociali e culturali. Vi è poi un significato di natura teologico-pastorale che si
riferisce alla vocazione propria della Chiesa, comunità missionaria spinta dallo Spirito Santo ad annunciare il Vangelo fino ai confini del mondo. Nell’unico intervento tenuto alle Congregazioni Generali prima del Conclave, il
card. Bergoglio aveva pronunciato queste parole: «Pensando al prossimo
Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie
esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e
confortante gioia dell’evangelizzazione”». Sono parole che hanno il sapore
di un programma pastorale. Quello, appunto, che Papa Francesco sta delineando fin dall’inizio del suo pontificato indicando alla Chiesa la necessità di
aprirsi a tutte le “periferie esistenziali”.
172
ORDINAZIONI NOMINE MINISTERI DISPOSIZIONI
ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI
Il Vescovo ordina
in data 3 gennaio 2013
in data 18 aprile 2013
il diacono don Andrea Romano, della parrocchia
Cattedrale in Ugento, presbitero; l’ordinazione
avviene nella stessa Cattedrale
il diacono fra Francesco Prontera, dell’Ordine
della SS. Trinità, presbitero; l’ordinazione avviene
nella Chiesa “S. Rocco” in Gagliano del Capo.
Il Vescovo conferisce
in data 10 marzo 2013
in data 4 aprile 2013
Il Vescovo nomina
in data 7 gennaio 2013
in data 24 gennaio 2013
ai seminaristi Biagio Errico, della parrocchia “S.
Sofia” in Corsano e Andrea Malagnino, della parrocchia “Ss. Apostoli” in Taurisano, il ministero
dell’accolitato; al seminarista Michele Sammali
della parrocchia “S. Nicola Magno” in Salve, il
ministero del lettorato; il conferimento avviene
nella Cappella del Seminario Regionale in Molfetta
al seminarista Antonio Mariano, della parrocchia
“Maria SS. Ausiliatrice” in Taurisano, l’ammissione agli Ordini Sacri, il rito avviene nella Chiesa
Cattedrale in Ugento.
don Andrea Romano vicario parrocchiale della
Parrocchia “S. Carlo Borromeo” in Acquarica del
Capo (DV 1/13 cancelleria)
don Luca Albanese, presbitero della diocesi di
Nardò-Gallipoli, vicario giudiziale del Tribunale
Ecclesiastico Diocesano (DV 2/13 cancelleria)
175
in data 3 febbraio 2013
in data 22 febbraio 2013
in data 26 febbraio 2013
in data 25 aprile 2013
in data 2 giugno 2013
Il Vescovo decreta
in data 8 febbraio 2013
Il Vescovo dichiara
in data 14 febbraio 2013
176
padre Mario Carparelli, presbitero religioso dell’Istituto Missioni Consolata, vicario parrocchiale
della Basilica di S. M. di Leuca (DV 3/13 cancelleria)
don Pasquale Carletta amministratore parrocchiale di Salignano (DV 7/13 cancelleria)
don Luigi Ciardo vicario della forania “S. Maria di
Leuca” (DV 8/13 cancelleria)
don Beniamino Nuzzo vicario generale della Diocesi di Ugento-S. M. di Leuca e moderatore di Curia per la durata di cinque anni (DV 9/13 cancelleria)
mons. Napoleone Di Seclì penitenziere diocesano (DV 10/13 cancelleria)
don Paolo Congedi vicario episcopale per la vita
consacrata per la durata di cinque anni (DV
11/13 cancelleria)
don Stefano Ancora vicario episcopale per la pastorale per la durata di cinque anni (DV 12/13
cancelleria)
don Giuseppe Indino direttore della Scuola Diocesana di formazione teologico-pastorale per la
durata di cinque anni (DV 13/13 Cancelleria).
il rinnovo della Commissione per l’esame di eventuali cause di rimozione o trasferimento dei
parroci (DV 5/13 cancelleria)
don Sergio Marino Maccarelli non più in grado di
svolgere alcun ministero stabile nei confronti di
terzi (DV 6/13 cancelleria).
Il Vescovo autorizza:
in data 17 gennaio 2013
in data 12 febbraio 2013
in data 21 febbraio 2013
in data 12 marzo 2013
in data 19 marzo 2013
il Presidente e legale rappresentante dell’I.D.S.C.
a vendere al sig. Rizzo Michele i terreni descritti
(n. 1/13 ufficio amministrativo)
il legale rappresentante della Parrocchia “S. Andrea” in Presicce a costituire, con idoneo atto
notarile, il diritto di superficie per anni venti
sull’immobile descritto a favore della Società
D.R.P. - Energie Rinnovabili s.r.l. (n. 2/13 ufficio
amministrativo)
la cessione per trentatré anni a titolo gratuito del
diritto di superficie sui terreni riportati nel Catasto Terreni del Comune di Gagliano del Capo (n.
3/13 ufficio amministrativo)
il legale rappresentante della Parrocchia “Ss. Apostoli Pietro e Paolo” in Taurisano a cedere a titolo
gratuito al Comune di Taurisano il terreno descritto (n. 4/13 ufficio amministrativo)
il Presidente e legale rappresentante dell’I.D.S.C.
a trasferire alla Società VI.MAR. Immobiliare s.r.l.
l’immobile descritto (n. 5/13 ufficio amministrativo)
il Presidente e Legale Rappresentante dell’I.D.S.C.
a trasferire al sig. Negro Alessandro Luigi i terreni
descritti; (n. 6/13 ufficio amministrativo)
il Presidente e Legale Rappresentante dell’I.D.S.C.
a trasferire alla sig.ra Congedi Emanuela i terreni
descritti (n. 7/13 ufficio amministrativo)
il legale rappresentante della parrocchia “Ss.
Apostoli Pietro e Paolo” in Taurisano a vincolare
per vent’anni nei confronti della C.E.I. l’immobile
descritto (n. 8/13 ufficio amministrativo)
177
Il Vescovo attua:
in data 22 gennaio 2013
le disposizioni contenute nel Decreto della Penitenzieria Apostolica del 14 settembre 2012 sulle
Indulgenze in occasione dell’Anno della Fede (DV
4/13 cancelleria).
Attuazione del Decreto sulle indulgenze
in occasione dell’«Anno della Fede»
Ai presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e fedeli laici.
Carissimi,
nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto l’Anno della Fede per invitare il popolo di Dio, del quale egli è Pastore universale, così come i Vescovi
di tutto il mondo, “perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di
grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso
della fede” (Porta Fidei, 8).
Affinché tutti i fedeli si impegnino a sviluppare in sommo grado – per
quanto possibile su questa terra – la santità di vita e di ottenere, quindi, nel
grado più alto la purezza dell’anima, sarà molto utile il grande dono delle Indulgenze che la Chiesa, in virtù del potere conferitole da Cristo, offre a tutti
coloro che con le dovute disposizioni adempiono le speciali prescrizioni per
conseguirle (Decreto della Penitenzieria Apostolica del 14-9-2012).
Come insegnava Paolo VI, “con l’Indulgenza la Chiesa, avvalendosi della
sua potestà di ministro della Redenzione operata da Cristo Signore, comunica ai fedeli la partecipazione di questa pienezza di Cristo nella comunione
dei Santi, fornendo loro in misura larghissima i mezzi per raggiungere la salvezza” (Lett. Ap. Apostolorum Limina, 23-5-1974: AAS 66 [1974] 289).
Da queste premesse, prendendo atto del citato Decreto della Penitenzieria Apostolica, con il quale vengono stabilite le disposizioni per ottenere
178
l’Indulgenza, perché i fedeli siano maggiormente stimolati alla conoscenza e
all’amore della Dottrina della Chiesa Cattolica e ottengano più abbondanti
frutti spirituali, attuo tali disposizioni con delle precisazioni per la nostra
Diocesi.
Durante tutto l’arco dell’Anno della Fede, indetto dall’11 ottobre 2012
fino all’intero 24 novembre 2013, potranno acquisire l’Indulgenza plenaria
della pena temporale per i propri peccati impartita per la misericordia di
Dio, applicabile in suffragio delle anime dei fedeli defunti, tutti i fedeli veramente pentiti, debitamente confessati, comunicati sacramentalmente, e che
preghino secondo le intenzioni del Sommo Pontefice:
a) ogniqualvolta visiteranno in forma di pellegrinaggio la Chiesa Cattedrale di Ugento o la Basilica Pontificia di S. Maria de finibus terrae in
S. Maria di Leuca, e lì parteciperanno a qualche sacra funzione o almeno si soffermeranno per un congruo tempo di raccoglimento con
pie meditazioni, concludendo con la recita del Padre nostro, la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima, le invocazioni alla Beata
Vergine Maria, o ai Santi Apostoli o ai Patroni
b) ogniqualvolta, nel giorno 15 agosto, Solennità dell’Assunzione della
Vergine Maria al cielo, o nel giorno della festa del Santo patrono della
propria parrocchia, in qualunque luogo sacro parteciperanno a una
solenne celebrazione eucaristica o alla liturgia delle ore, aggiungendo
la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima
c) un giorno liberamente scelto, durante l’Anno della Fede, per la pia visita del battistero o altro luogo, nel quale ricevettero il sacramento
del Battesimo, se rinnoveranno le promesse battesimali in qualsiasi
forma legittima.
Inoltre, i fedeli che non potranno partecipare alle solenni celebrazioni
per gravi motivi (monache di clausura perpetua, carcerati, anziani, infermi, e
coloro che negli ospedali o in altri luoghi di cura prestano servizio continuativo ai malati) conseguiranno l’Indulgenza plenaria, alle medesime condizioni, se, uniti con lo spirito e con il pensiero ai fedeli presenti, particolarmente
nei momenti in cui le parole del Sommo Pontefice o del Vescovo Diocesano
verranno trasmesse per televisione o per radio, reciteranno nella propria ca179
sa o là dove l’impedimento li trattiene, il Padre nostro, la Professione di Fede in qualsiasi forma legittima e altre preghiere conformi alle finalità
dell’Anno della Fede, offrendo le loro sofferenze o i disagi della propria vita.
Affinché l’accesso al sacramento della Penitenza e al conseguimento del
perdono divino attraverso il potere delle Chiavi, sia pastoralmente facilitato,
concedo ai sacerdoti che nella Chiesa Cattedrale di Ugento o nella Basilica
Pontificia S. Maria de finibus terrae in S. Maria di Leuca potranno ascoltare
le confessioni dei fedeli, le facoltà di cui al can. 508, § 1 del CIC.
Esorto ciascuno, dunque, ad accogliere il prezioso “tesoro della Chiesa”
che si manifesta principalmente nel perdono dei peccati, per il quale il nostro Signore Gesù Cristo non esitò a dare la sua vita sulla croce, centro del
mistero pasquale che è fondamento della nostra Fede.
Ugento, 22 gennaio 2013.
Festa di S. Vincenzo, Patrono della Diocesi
DV 4/2013
Il Vescovo
† Vito Angiuli
Il Cancelliere
mons. Agostino Bagnato
180
CONSIGLIO PRESBITERALE
VERBALE DELLA RIUNIONE
DELL’8 FEBBRAIO 2013
Oggi, 8 febbraio 2013 alle ore 19.30 è convocato il Consiglio Presbiterale
con i seguenti punti all’ordine del giorno:
– riflessioni dopo gli incontri di forania
– ordinazione episcopale di don Gerardo Antonazzo
– pastorale del turismo
– comunicazioni del Vescovo
– varie ed eventuali.
Dopo un momento di preghiera viene aperta la seduta. È letto e approvato il verbale della seduta precedente.
Il Vescovo, nel prendere la parola, illustra il percorso pastorale che la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca sta facendo e precisa che l’indirizzo
pastorale si ispira agli Orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana, indicati nel documento Educare alla vita buona del Vangelo.
La questione educativa costituisce una rilevante emergenza del nostro
tempo, ma rappresenta anche una straordinaria risorsa pastorale. Educare,
infatti, è il principale compito della Chiesa.
Per questo, aggiunge, abbiamo iniziato il nostro cammino di riflessione e
di programmazione pastorale, partendo, nell’anno 2012-2013, dalla valenza
educativa della liturgia: Educati dalla Liturgia, educare alla Liturgia. Proseguiremo nel 2013-2014, col riflettere sulla Chiesa comunità educante e missionaria. La meta educativa sarà: Il volto educativo e missionario della
Parrocchia.
Nel 2015 la Chiesa italiana, e quindi anche la nostra chiesa particolare,
vivrà un ulteriore momento di riflessione e di verifica con il Convegno Ecclesiale Nazionale che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre e che avrà come
tema: In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.
Quindi si proseguirà per gli anni successivi con i temi della famiglia, dei
giovani, della missione e della povertà.
183
Dopo questa ampia panoramica sulla attività pastorale presente e futura,
si è passati a esaminare i punti all’ordine del giorno.
Sul primo punto, riflessioni dopo gli incontri di forania, il Vescovo ricorda
che lo stile col quale è necessario procedere, è lo stile sinodale: si individua
un tema, si riflette teologicamente e si coinvolgono i laici. Tale stile sinodale,
chiesa che si incontra e riflette, deve sempre più diventare lo stile della nostra Diocesi, scandito da questi momenti: riflessione-programmazione-indicazioni.
Don Oronzo Cosi rileva che nell’incontro della sua Forania si è fatto più
l’encomio dei parroci e delle parrocchie, anziché mettere in evidenza le problematiche presenti nelle comunità parrocchiali. Poco delicata, poi, è stata
l’affermazione da parte di alcuni che con la presenza del nuovo parroco tutto va bene, mentre col vecchio parroco era tutto un disastro.
Anche don Luca De Santis dichiara di aver avvertito nell’incontro della
Forania di Leuca la stessa tendenza, affermando che le relazioni delle singole
parrocchie non mettevano al centro la comunità ma il parroco.
A questo punto riprende la parola il Vescovo e cerca di richiamare il Consiglio sugli aspetti positivi di tali incontri: primo fra tutti il cammino di riflessione che le comunità cristiane hanno vissuto come anche l’aumento delle
presenze. Più cresce la presenza dei laici, ricorda il Vescovo, più cresce la nostra dimensione di maestri.
Don Stefano Ancora prende la parola e afferma che non ha notato ciò
che è stato affermato dagli altri confratelli, ha notato invece una esperienza
positiva per le foranie come anche dello stile sinodale proposto dal vescovo,
perché in questa maniera circolano idee e si evita la frammentazione.
Chiede che nelle parrocchie si incentivino i Consigli Pastorali. Ricorda
l’esperienza positiva del vescovo Mincuzzi che chiedeva le visite di cortesia
tra parrocchie.
Don Lucio Ciardo interviene ed esprime la positività dello stile sinodale
che può stimolarci all’unificazione, abbattendo la frammentazione.
Anche don Mario Politi prende la parola ed afferma che i sacerdoti hanno lamentato un impegno stressante quello degli incontri di forania, per cui
propone di ridurli perché già il lavoro nelle parrocchie è tanto.
184
Dopo i vari interventi dei membri del Consiglio Presbiterale su questo
primo punto all’ordine del giorno, il Vescovo, dopo aver annotato le varie
osservazioni, passa al secondo punto: l’ordinazione episcopale di mons. Gerardo Antonazzo.
Richiama l’importanza di tale evento e sottolinea che è innanzitutto evento ecclesiale. Quindi chiede ai membri del Consiglio eventuali altre proposte, oltre ciò che si sta già vivendo e facendo per permettere alla nostra
Chiesa Diocesana di prepararsi nel modo migliore a tale evento.
Si propone di promuovere nelle singole comunità parrocchiali un triduo di
riflessione sulla esortazione apostolica post-sinodale Pastores Gregis di Giovanni Paolo II, sul Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza
del mondo, e una veglia di preghiera diocesana nell’imminenza dell’ordinazione.
Circa il terzo punto all’ordine del giorno, pastorale del turismo, il Vescovo
ricorda che per la nostra Chiesa, la nuova evangelizzazione va declinata con
le tante persone che vengono a passare da noi le vacanze. Nuova evangelizzazione è, fra le tante cose, pastorale del turismo e raggiungere i tanti giovani che sono fuori a studiare.
Il Vescovo cerca di stimolare l’azione pastorale della nostra Chiesa, ricordando che nella nostra Diocesi vengono ogni anno migliaia di persone a godersi le proprie vacanze e chiedendosi cosa facciamo per loro e se basta
quello che facciamo e se possiamo fare di più.
La pastorale del turismo non può riguardare solo i parroci delle marine e
non può esaurirsi con la sola offerta della Messa, è necessario proporre anche offerte culturali di vario tipo, accogliendo in particolar modo quelle suggerite dal Progetto Culturale della CEI e chiedersi come valorizzarle sul
nostro territorio.
Don Andrea Carbone richiama a tale proposito l’esperienza degli anni
2000-2002, quando si viveva nelle marine, e non l’esperienza dei Musical;
come anche le esperienze delle tende dell’adorazione e di alcuni convegni,
valorizzando anche gruppi proposti dalla CEI.
Don William aggiunge l’esperienza del de finibus vocis e don Pasquale
Carletta afferma che la pastorale del turismo avrà un suo rilancio solo se i
185
sacerdoti considereranno anche i turisti persone a cui annunciare la Parola
del Signore.
Il Vescovo, dal canto suo, afferma che questa sua attenzione circa la pastorale del turismo nasce dalla volontà di sensibilizzare a quanto proposto
dal Progetto Culturale della CEI: l’orizzonte della Nuova evangelizzazione è
richiamare alla bellezza del Vangelo. Ci sono già organismi diocesani che si
incontrano per riflettere su ciò: Pastorale del turismo, Pastorale della cultura, Pastorale Giovanile, ma è necessario che tutte le comunità si sentano
chiamate a evangelizzare con questo spirito. Inoltre è opportuno che ci sia
un organismo di coordinamento per mettere in rete le diverse istituzioni: la
Diocesi, le Pro loco, le varie associazioni presenti sul territorio.
I linguaggi da usare per evangelizzare sono tanti e possono passare attraverso lo sport, la musica, il teatro, l’arte, le feste patronali e tante altre
forme.
Si propone al Vescovo di approntare una esortazione ad hoc, contenente
le idee e i suggerimenti emersi nella riunione del Consiglio, da proporre a
tutta la Chiesa di Ugento, affinché diventino oggetto di riflessione per tutti.
Si passa, quindi, al quarto punto all’ordine del giorno: comunicazioni del
Vescovo.
Il Vescovo presenta la notificazione per l’indulgenza plenaria in occasione dell’anno della fede, comunica l’istituzione della commissione per la rimozione e il cambiamento dei parroci e dà notizia che padre Rocco Cosi
prende il posto di padre Gino Buccarello all’interno del Consiglio Presbiterale, poiché quest’ultimo è stato chiamato a nuovo incarico dalla sua congregazione.
In tema di spostamenti, mons. Domenico de Giorgi chiede al Vescovo
come si provvederà alla sostituzione di mons. Gerardo Antonazzo, quando
sarà ordinato vescovo, sia per la sede vacante di rettore-parroco del Santuario di Leuca sia per tutte le altre cariche da lui ricoperte.
Il Vescovo assicura che per la sostituzione al Santuario provvederà da subito, mentre per la copertura degli altri incarichi i tempi saranno più lunghi.
Don Luca De Santis chiede al Vescovo che gli spostamenti che si dovranno fare non diano l’idea di cose già sistemate da tempo.
186
Infine si ricorda che da questa seduta i verbali del Consiglio Presbiterale
devono essere registrati e pubblicati sul bollettino ufficiale della Diocesi.
Alle ore 21,30 il Vescovo dichiarata chiusa la seduta.
Il Segretario
don Pasquale Carletta
187
ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI
“TU SEI LA MIA VITA”
ORIENTAMENTI PASTORALI PER CELEBRARE DEGNAMENTE
IL MISTERO DELLA FEDE
Ai presbiteri, diaconi, religiosi, religiose
e fedeli laici
Carissimi,
con le riunioni foraniali, tenute nel mese di gennaio 2013, abbiamo portato a termine la riflessione e la verifica personale e comunitaria sulla meta
pastorale: Educati dalla liturgia, educare alla liturgia. Si è trattato di una significativa esperienza ecclesiale nella quale è emersa, ancora una volta, la
comunità come soggetto della pastorale.
La consapevolezza di appartenere all’unica Chiesa particolare e la comunione affettiva ed effettiva tra i membri della comunità cristiana sono la vera
forza della missione. In questo spirito di comunione, corresponsabilità e collaborazione si possono compiere grandi progressi spirituali e realizzare una
più efficace opera evangelizzatrice. Sperimentiamo così la bellezza di essere
Chiesa e di vivere l’esperienza cristiana in uno “stile sinodale”.
Al termine di questo cammino pastorale vissuto insieme, indico alcuni orientamenti pastorali che tutte le comunità devono tenere presenti perché
la liturgia sia «seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo
al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con
gli uomini» (CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 49).
I. Principi Fondamentali
1. La liturgia è “fonte e culmine” di tutta la vita della Chiesa
La liturgia è «il culmine verso cui tende tutta l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium,
10). Con questa affermazione, la Costituzione conciliare sulla liturgia sottolinea che tutte le attività extraliturgiche, per un verso, sono ordinate, come a
191
loro fine, alla celebrazione della liturgia, per altro verso, derivano da essa
come una sua logica conseguenza.
2. Il cristiano vive della liturgia
Partendo dal principio precedentemente richiamato, ne consegue che la
liturgia non è solo qualcosa da capire, ma essenzialmente una realtà da vivere, non è un problema da risolvere, ma una risorsa alla quale attingere. La
liturgia è il modo specifico attraverso il quale i fedeli vivono di Cristo e per
Cristo (cfr. Fil 1,21). Nella celebrazione liturgica, il mistero imperscrutabile di
Dio raggiunge e contagia la vita dei credenti perché la vita stessa possa diventare un culto gradito al Padre per mezzo del Figlio nella potenza dello
Spirito Santo. Per questo occorre interrogarsi non solo sulla modalità con la
quale il cristiano vive la liturgia, ma soprattutto se egli vive della liturgia. La
liturgia è il grembo fecondo della Chiesa da cui il cristiano è generato, nutrito ed educato alla fede.
3. La liturgia è epifania della Chiesa
La liturgia è il momento più evidente nel quale la Chiesa mostra tutto il
suo splendore umano e divino. Nell’azione liturgica la comunità cristiana appare come la destinataria della benevolenza divina, la depositaria del dono
di salvezza che Dio continuamente le offre in segno di perenne alleanza
d’amore. «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della
Chiesa, che è “sacramento dell'unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo
della Chiesa, lo manifestano e lo implicano» (Sacrosanctum Concilium, 26).
«Per questo motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo legame con il
Vescovo devono essere coltivati nell’animo e nell’azione dei fedeli e del clero; e bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca
soprattutto nella celebrazione comunitaria della Messa domenicale» (Sacrosanctum Concilium, 42).
4. La liturgia è scuola di vita del cristiano
La liturgia ha «un grande valore pedagogico per il popolo credente» (Sacrosanctum Concilium, 33). Quando la Chiesa celebra i divini misteri, Dio educa il suo popolo, lo introduce nella conoscenza dei suoi disegni, lo aiuta a
192
leggere le dinamiche della storia alla luce della fede e a scorgere in essa i segni della presenza del Risorto. Come ho già sottolineato in altri documenti,
mi preme ribadire ancora una volta che «prima di mettere in atto qualsiasi
forma di “strategia pastorale” che punti sull’impegno, l’attività e il protagonismo della comunità cristiana, è necessario lasciarsi educare dal Signore
che agisce nella storia e si rende presente in modo particolare nella celebrazione dei divini misteri. È lui il nostro vero educatore e maestro! Tutti noi
siamo chiamati a metterci alla sua scuola per lasciarci plasmare dalla sua
grazia e imparare da lui l’arte di generare ed educare gli altri alla fede» (Svegliare l’aurora, anno I, n. 6).
5. L’actuosa participatio
La vera e autentica partecipazione alla celebrazione liturgica non può limitarsi semplicemente al solo “fare qualcosa”, ma deve tendere a “incontrare qualcuno”. Per questo occorre prendere parte degnamente alle azioni
liturgiche (canti, preghiere, gesti, movimenti…) per entrare in sintonia con il
mistero celebrato, conformarsi alle realtà celebrate, trasformarsi nell’uomo
nuovo. La partecipazione attiva alla liturgia non può avvenire, «se ci si accosta a essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita. Favoriscono tale disposizione interiore, ad esempio, il raccoglimento e il silenzio,
almeno qualche istante prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando
necessario, la Confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione. In particolare, occorre richiamare i fedeli al fatto
che un’actuosa participatio ai santi Misteri non può aversi se non si cerca al
tempo stesso di prendere parte attivamente alla vita ecclesiale nella sua integralità, che comprende pure l’impegno missionario di portare l’amore di
Cristo dentro la società» (Sacramentum caritatis, 55).
6. La salvezza viene comunicata per “ritus et preces”
Nella liturgia la comunicazione del mistero avviene per «ritus et preces»
(Sacrosanctum Concilium, 48). In tal senso, i riti e le preghiere sono il mezzo
attraverso il quale la grazia giunge e rifluisce nella vita di ciascun fedele.
«Per questo l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo
che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il
193
popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi
con una celebrazione piena, attiva e comunitaria» (Sacrosanctum Concilium,
21).
7. La nobile semplicità
Nell’attuare la riforma liturgica, il Concilio ha voluto semplificare quanto
precedentemente sembrava complicato e difficile da comprendere, riportando i riti in una forma essenziale e sobria. Per questo occorre che «i riti
splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione
dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (Sacrosanctum Concilium, 34).
II. Indicazioni Pastorali
1. I sacramenti
I sacramenti, segni efficaci della grazia istituiti da Cristo e affidati alla
Chiesa per la santificazione dei fedeli, hanno sempre carattere comunitario.
Siano pertanto, approfonditi e utilizzati, soprattutto dai catechisti, dai Lettori e dagli Accoliti, i vari Praenotanda dei libri liturgici, in quanto offrono in
modo splendido tutta la ricchezza teologica, spirituale e pastorale di ciascun
sacramento. Un approfondimento sistematico è offerto dalla “Scuola diocesana di formazione teologica”.
2. La Liturgia delle Ore
La Chiesa ottempera al precetto di Cristo di pregare sempre senza stancarsi (cfr. Lc 18,1), «non soltanto celebrando l’Eucaristia, ma anche in altri
modi, e specialmente con la Liturgia delle Ore la quale, tra le azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare
tutto il corso del giorno e della notte» (Principi e Norme per la Liturgia delle
Ore, 10).
In molte parrocchie della nostra Diocesi, lodevolmente, si celebra la Liturgia delle Ore sia in forma individuale, sia in forma comunitaria. Si educhino i fedeli a una corretta santificazione del tempo valorizzando la Liturgia
delle Ore come azione di lode della Chiesa, e si eviti, pertanto, di celebrarla
194
inserendola abitualmente nella Messa (cfr. Principi e Norme per la Liturgia
delle Ore, 93).
3. Il culto eucaristico
«È vivamente raccomandata la devozione sia privata che pubblica verso
la santissima Eucaristia, anche fuori della Messa, secondo le norme stabilite
dalla legittima autorità; il sacrificio eucaristico è infatti sorgente e culmine di
tutta la vita cristiana». «L’esposizione della santissima Eucaristia, sia con la
pisside che con l’ostensorio, porta i fedeli a riconoscere in essa la mirabile
presenza di Cristo e li invita alla comunione di spirito con lui, unione che trova il suo culmine nella comunione sacramentale. È quindi un ottimo mezzo
per ravvivare il culto dovuto al Signore in spirito e verità.
Nelle esposizioni si deve porre attenzione che il culto del santissimo Sacramento appaia con chiarezza nel suo rapporto con la Messa. Nell’apparato
dell’esposizione si eviti con cura tutto ciò che potrebbe in qualche modo oscurare il desiderio di Cristo, che istituì la santissima Eucaristia principalmente perché fosse a nostra disposizione come cibo, rimedio e sollievo» (Rituale
Romano, Rito della Comunione fuori della Messa e culto eucaristico, 87; cfr.
anche 90).
4. Le processioni
La pietà popolare si esprime anche attraverso le processioni. Esse sono
«manifestazioni di fede del popolo, aventi spesso connotati culturali capaci
di risvegliare il sentimento religioso dei fedeli. Ma sotto il profilo della fede
cristiana le “processioni votive dei santi”, come altri pii esercizi, sono esposte ad alcuni rischi e pericoli» (cfr. Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia, 236).
Occorre pertanto mettere in luce che esse sono “segno della Chiesa pellegrinante nel tempo” (valore teologico), evidenziano un “cammino compiuto insieme” (valore ecclesiologico e antropologico), sono collegate con la
liturgia (valore liturgico). Esse devono essere svolte “sotto la presidenza ecclesiastica” valorizzando i ministeri e i carismi di tutto il popolo di Dio (cfr.
Direttorio su pietà popolare e liturgia, 247).
195
5. La preparazione della liturgia
La liturgia non può essere improvvisata, ma va preparata. Anche Gesù
invita i suoi discepoli a una accurata preparazione della sala “al piano superiore” per consumare la cena pasquale (cfr. Mc 14,15; Lc 22,12).
Vi è una preparazione remota che consiste nella conoscenza e nel sapiente utilizzo dei libri liturgici e nell’approfondimento delle norme liturgiche emanate dalla Chiesa. La “Scuola diocesana di formazione teologica” è
lo strumento più idoneo per realizzare questo obiettivo.
Vi è una preparazione prossima. Essa deve essere fatta «di comune e diligente intesa, secondo il Messale e gli altri libri liturgici, fra tutti coloro che
sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della chiesa e sentito anche il parere dei fedeli per
quelle cose che li riguardano direttamente. Al sacerdote che presiede la celebrazione spetta però sempre il diritto di disporre ciò che a lui compete»
(Ordinamento Generale del Messale Romano, 111; cfr. anche 352). In tal
senso, l’opera di un “gruppo liturgico” può essere un valido aiuto per una
degna preparazione personale e comunitaria.
Vi è una preparazione immediata. Essa consiste nel creare un clima di silenzio e di ascolto. Il sacerdote, in modo particolare, predisponga il suo animo con un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera. È opportuno che
egli, prima e dopo la celebrazione, utilizzi le formule di preghiera in uso nella
tradizione della Chiesa.
6. La formazione liturgica
Una degna celebrazione liturgica richiede una accurata formazione degli
operatori pastorali. I ministranti, i lettori, i membri della “schola cantorum”
«svolgono un vero ministero liturgico. Per questo essi devono essere educati
con cura, ognuno secondo la propria condizione, allo spirito liturgico, e formati a svolgere la propria parte secondo le norme stabilite e con ordine»
(Sacrosanctum Concilium, 29). È opportuno che essi frequentino la “Scuola
diocesana di formazione teologica”.
7. Le disposizioni personali e comunitarie
Tra le condizioni personali e comunitarie per una fruttuosa partecipazio196
ne alla liturgia è opportuno richiamare lo spirito di costante conversione,
l’atteggiamento di silenzio e l’atto di adorazione del mistero. Così scriveva
San Giovanni Crisostomo: «Or dunque, fratelli, […] restiamo in piedi tutti
pieni di timore e di tremore, volgendo gli occhi verso il basso e l’anima verso
l’alto; gemendo silenziosamente acclamiamo nel cuore con grida di giubilo
[…]. Vi prego appunto di presentarvi così davanti a Dio, come se vi trovaste a
comparire alla presenza di un re terreno: a maggior ragione dovete stare alla
presenza del Re celeste con timore» (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla penitenza, 9).
Il silenzio, lungi dall’essere mera assenza di parole, è segno della presenza dello Spirito Santo che interiorizza nel cuore dei credenti quanto ascoltato e celebrato. La natura del silenzio «dipende dal momento in cui ha luogo
nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un
richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione,
favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento.
Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in
chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 45).
8. I Ministri
La liturgia è azione di Cristo e della Chiesa, gerarchicamente ordinata e
ministerialmente strutturata. Pertanto «nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è
di sua competenza» (Sacrosanctum Concilium, 28).
9. I Lettori
Compito del Lettore è di proclamare dall’ambone le letture della Sacra
Scrittura, ma non il Vangelo (cfr. Ministeria Quaedam, V). In ogni comunità
parrocchiale vi siano dei “Lettori istituiti o di fatto”, provvisti di una adeguata formazione biblica e liturgica e in possesso della necessaria conoscenza
della tecnica vocale per una degna proclamazione della Parola di Dio. Si de197
dichino ad animare i gruppi biblici e a curare la formazione dei catechisti. È
anche indispensabile che la Chiesa parrocchiale abbia buoni strumenti di
amplificazione.
10. Gli Accoliti
Compito dell’Accolito è di curare il servizio all’altare e la formazione dei
ministranti (cfr. Ministeria Quaedam, VI). In ogni comunità parrocchiale vi
siano degli “Accoliti istituiti o di fatto”, provvisti di un’adeguata formazione
biblica e liturgica.
11. I gesti e gli atteggiamenti del corpo
I gesti e gli atteggiamenti del corpo non possono essere lasciati all’improvvisazione e all’arbitrio, ma devono tendere «a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, in modo che si colga il
vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti» (Ordinamento Generale del Messale Romano, 42).
Essi sono parte integrante della celebrazione, esprimono la partecipazione interiore al rito e manifestano la comunione e l’unità dell’assemblea. La
promozione della partecipazione attiva, pertanto, richiede che «si curino le
acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti,
nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a
tempo debito, un sacro silenzio» (Sacrosanctum Concilium, 30).
Lo stare in piedi indica l’atteggiamento pasquale. Nella celebrazione eucaristica si sta in piedi dal canto di ingresso fino alla colletta, durante il canto
dell’Alleluia e la proclamazione del Vangelo, durante il credo e la preghiera
universale; dall’invito che precede l’orazione sulle offerte fino alla comunione inclusa, salvo la possibilità di stare in ginocchio durante il racconto
dell’istituzione.
Lo stare seduti esprime l’atteggiamento di ascolto. Si rimane seduti durante la prima e la seconda lettura e il salmo responsoriale; all’omelia, durante la preparazione dei doni e il silenzio dopo la comunione. Si offre anche
la possibilità di stare seduti per una parte della lettura della Passione del Signore e durante il canto del Gloria, se questo comportasse uno sviluppo musicale di una certa ampiezza.
198
Lo stare in ginocchio è segno del farsi piccoli davanti a Dio e dell’adorazione del suo mistero. L’inginocchiarsi, qualora non lo impedisca la ristrettezza del luogo, lo stato di salute o altri motivi ragionevoli, è proprio dal
momento dell’epiclesi prima del racconto dell’istituzione fino all’acclamazione del “mistero della fede”.
12. I segni
La liturgia vive di segni, in quanto essa stessa è segno eloquente che rimanda a una ben precisa realtà, quella di Cristo e della sua salvezza. «Secondo la pedagogia divina della salvezza, il loro significato si radica nell’opera della creazione e nella cultura umana, si precisa negli eventi materiali
dell’Antica Alleanza e si rivela pienamente nella persona e nell’opera di Cristo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1145). Occorre valorizzare i segni e i
simboli previsti dal rito senza aggiungerne altri arbitrariamente.
13. I canti
Occorre innanzitutto ricordare che «la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche,
a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica
sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica» (Sacrosanctum Concilium, 116). Inoltre si deve promuovere anche «il canto
religioso popolare in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse
azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli» (Sacrosanctum Concilium, 118).
Nella scelta dei canti, in linea generale, è bene attenersi ai seguenti criteri: il contenuto del testo, il valore musicale, l’opportuna collocazione nei vari
momenti celebrativi secondo i tempi liturgici. Occorre anche valorizzare i
canti contenuti nei libri liturgici.
Nella nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca si utilizzi il Repertorio
nazionale “Canti per la Liturgia” e il Repertorio di canti della tradizione musicale diocesana. Auspico che, quanto prima, si arrivi alla pubblicazione di
questa Raccolta di canti. Per ogni nuova composizione di canti e inni per la
liturgia, a opera di musicisti e compositori locali, si richieda l’approvazione
199
dell’ufficio liturgico diocesano prima della pubblicazione e della esecuzione.
***
Questi Orientamenti pastorali sono finalizzati a una degna celebrazione
del mistero della fede. Essi tengono conto di tre idee fondamentali più volte
richiamate in questo anno di approfondimento del valore della liturgia. La
liturgia è mistero! Essa non è una costruzione della comunità cristiana, ma è
l’opera della Santa Trinità. Per questo occorre evitare ogni forma di protagonismo e lasciare agire le tre persone della Trinità. Il mistero si esprime attraverso il rito! I segni, i simboli, i gesti e le parole dell’azione rituale, assunti
dalla forza dello Spirito, diventano portatori dell’azione di salvezza e di santificazione compiuta da Cristo. Il mistero celebrato deve essere testimoniato
nella vita! Ogni cristiano dovrebbe esclamare con san Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21).
Auspico che queste tre convinzioni siano condivise da tutti e diventino
guida per tutte le comunità parrocchiali. L’impegno di tutti gli operatori
nell’attuare questi Orientamenti Pastorali rafforzi la comunione e dia un
nuovo slancio alla missione.
Ugento, 22 febbraio 2013.
Festa della Cattedra di San Pietro
Il Vescovo
† Vito Angiuli
200
CONSIGLIO DI CURIA
VERBALE DELLA RIUNIONE DEL 7 MAGGIO 2013
Il giorno 7 del mese di maggio 2013, nel salone dell’episcopio, si è riunito
in seduta ordinaria il Consiglio di Curia presieduto dal vescovo mons. Vito
Angiuli, alla presenza dei direttori dei vari uffici diocesani e dei docenti della
Scuola di formazione teologica per operatori pastorali, con all’ordine del
giorno:
– verifica e programmazione delle attività della scuola diocesana di
Teologia
– programmazione nuovo anno pastorale.
Dopo la preghiera, il Vescovo ha introdotto i lavori del Consiglio con dei
chiarimenti essenziali circa l’attività pastorale. Ha spronato tutti ad avere
uno stile di vita semplice, fatto di ascolto e di coinvolgimento delle persone,
consapevoli come siamo che la Chiesa non è produttrice di iniziative, ma colei che ha in somma considerazione il ministero dell’ascolto.
Il Vescovo ha ribadito, ancora, che la crisi di oggi è la crisi dell’anima: la
gente soffre dentro. Perciò non è opportuno esagerare nelle iniziative. Quello che compete a tutti quanti noi è il dialogo, il mettersi accanto alla gente,
sollevandola dalla solitudine in cui si trova. Siamo chiamati a rimuovere i veleni spirituali, ricomporre la nostra società disgregata e per certi versi frantumata.
Dopo l’intervento del Vescovo si è passati al primo punto dell’ordine del
giorno: verifica e programmazione delle attività della scuola diocesana di
Teologia.
In linea di massima si è stati tutti d’accordo a concludere l’anno formativo presso il Monastero delle suore di Clausura di Alessano, con una relazione riguardante la fede e la testimonianza dei santi Martiri di Otranto.
Circa la verifica, si è deciso di continuare allo stesso modo anche per il
prossimo anno, tenuto conto del maggiore afflusso di studenti, oltretutto
201
abbastanza attenti e interessati. Si è detto anche che è necessario continuare in questa azione di sensibilizzazione nei confronti della Scuola da parte di
tutte le parrocchie, in modo da avere un laicato adulto formato sempre più
numeroso.
Per rendere più efficace l’inserimento del quarto anno nel corso degli
studi, è opportuno dare la possibilità a tutti sia di partecipare sia di scegliere
l’indirizzo voluto, in modo da assumere la connotazione di un vero e proprio
centro di formazione. L’anno potrebbe essere suddiviso in trimestri con degli
ambiti di scelta e l’iscrizione essere fatta nei mesi di febbraio-marzo dell’anno precedente.
Si è preso in esame, poi, il secondo punto: programmazione nuovo anno
pastorale.
Ci si è soffermati soprattutto sulle iniziative da sviluppare nella prima
parte dell’anno pastorale, nella quale avverrà la chiusura dell’anno della
fede.
Si è pensato di coinvolgere le Foranie attraverso incontri di approfondimento sul tema specifico della fede, senza trascurare l’aspetto celebrativo
e di preghiera.
Si è stabilito, inoltre, di concludere l’anno della fede, il 24 novembre, con
una solenne concelebrazione in Cattedrale, unitamente a tutti gli operatori
pastorali.
Tutto ciò senza trascurare il tema della famiglia e dei giovani, sui quali
sarà concentrata l’attività pastorale del resto dell’anno.
Il Segretario
don Mario Ciullo
202
UFFICIO LITURGICO
Carissimi,
l’Ufficio Liturgico Diocesano organizza un nuovo corso per i Ministri straordinari della Comunione. Quasi tutte le parrocchie, ormai, sono servite da
questo ministero e se ne sente sempre più l’esigenza, visti i benefici che
produce, in quanto esprime l’attenzione della comunità cristiana verso i suoi
membri segnati dalla sofferenza.
Dicono, infatti, i libri liturgici:
«Questo ministero straordinario, quindi suppletivo e integrativo degli altri ministeri istituiti, richiama il significato di un servizio liturgico intimamente connesso con la carità e destinato soprattutto ai malati e alle assemblee
numerose. Esso impegna laici o religiosi a una più stretta unità spirituale e
pastorale con le comunità nelle quali svolgono il loro apostolato. Anche questo ministero straordinario richiede una preparazione pastorale e liturgica,
nella quale si porrà in luce il vincolo che esiste fra il malato e il mistero di Cristo sofferente, fra l’assemblea radunata nel giorno del Signore e la vittoria
pasquale sulla morte e sul male, fra l’effusione dello Spirito e l’annunzio ai
fratelli della lieta novella di liberazione e di guarigione» (RITUALE ROMANO,
Benedizionale, n. 2004, p. 820, LEV 1992).
Il corso si terrà presso l’Auditorium “Benedetto XVI” di Alessano dalle ore
18.00 alle ore 20.00 e seguirà il seguente calendario:
26 febbraio: Unità di missione e pluralità di ministero. I laici nella pastorale
27 febbraio: L’Eucaristia: dottrina e spiritualità
28 febbraio: La Comunione Eucaristica segno della comunione con Cristo
e con la Chiesa
5 marzo: Il culto eucaristico: dalla fede celebrata alla fede vissuta in contemplazione e speranza
6 marzo: Il malato e il mistero di Cristo sofferente
203
7 marzo: Il Ministero straordinario della Comunione: principi e norme
8 marzo: Il Ministero straordinario della Comunione: la liturgia.
Il corso si concluderà con un ritiro spirituale domenica 10 marzo alle ore
15,30 presso il salone della Basilica di Leuca e la celebrazione Eucaristica
presieduta dal Vescovo sabato 16 marzo alle ore 17,30, in Cattedrale, durante la quale saranno istituiti i nuovi ministri.
La frequenza per i candidati è obbligatoria per tutta la durata del corso.
Allego alla presente una scheda di presentazione dei candidati e il testo
Criteri e norme circa la formazione e l’istituzione dei ministeri1 emanati in data 15-05-2005 e che contengono tutte le indicazioni necessarie per accedere
al Ministero. Invito, pertanto, i parroci ad attenersi a tali norme.
Prego, altresì, ciascun parroco di invitare al corso coloro che già sono stati istituiti in tale ministero, perché aggiornino la loro formazione e portino il
proprio contributo di esperienza.
Con l’augurio di un fervore sempre maggiore nel servizio di Cristo e della
Chiesa, vi saluto fraternamente.
Ugento, 17 gennaio 2013.
Il Direttore
sac. Giuseppe Indino
1
DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA, Statuti, decreti, regolamenti, 2005, pp. 27-30. Il testo è
disponibile anche sul sito internet www.diocesiugento.org alla voce Curia nella directory
Liturgico sotto il titolo di CRITERI E NORME.
204
INDICAZIONI LITURGICHE PER LA SEDE VACANTE
1. Durante la sede vacante
a) Omissione del nome del Papa nelle Preghiere Eucaristiche e nella Liturgia delle Ore
(dalle ore 20.00 del 28 febbraio – inizio delle Sede vacante – fino all’elezione
del nuovo Sommo Pontefice; nella Preghiera eucaristica si ometterà il nome
del Papa, come qui riportato a titolo esemplificativo).
Preghiera Eucaristica II:
Ricordati, Padre, della tua Chiesa
diffusa su tutta la terra:
rendila perfetta nell’amore
in unione con il nostro Vescovo N.
e tutto l’ordine sacerdotale.
Preghiera Eucaristica III:
Per questo sacrificio di riconciliazione,
dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero.
Conferma nella fede e nell’amore
la tua Chiesa pellegrina sulla terra:
il nostro Vescovo N., il collegio episcopale,
tutto il clero
e il popolo che tu hai redento.
Nella Liturgia delle Ore si ometteranno le intercessioni per il Papa.
b) Preghiera per l’elezione del Romano Pontefice
La Chiesa raccomanda che durante il periodo della Sede vacante «tutti i
pastori e i fedeli, in tutto il mondo, elevino a Dio ferventi orazioni perché illumini le menti degli Elettori e li renda concordi nello svolgimento del loro
ufficio, sì che l’elezione del Romano Pontefice sia sollecita, unanime e giovi
alla salvezza delle anime e al bene di tutto il popolo di Dio» (Ordo rituum
conclavis, 19).
205
Nelle diocesi si inviti pertanto alla preghiera per l’elezione del nuovo Papa. Il Vescovo diocesano, se lo ritiene opportuno, può concedere o stabilire
che nella propria Diocesi si celebri nei giorni feriali la Messa «Per l’elezione
del Papa» (Messale Romano, p. 784) con il colore liturgico del Tempo di
Quaresima (cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, nn. 374 e 347).
2. Dopo l’elezione del Sommo Pontefice
A norma della Costituzione apostolica Universi Dominici gregis (22 novembre 1996), «Dopo l’accettazione, l’eletto che abbia già ricevuto l’ordinazione episcopale, è immediatamente Vescovo della Chiesa Romana, vero
Papa e Capo del Collegio Episcopale; lo stesso acquista di fatto la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale, e può esercitarla» (n. 88).
Pertanto, dal momento della proclamazione del Romano Pontefice eletto, la Chiesa nelle celebrazioni liturgiche ricorderà il Papa nel modo consueto.
Ugento, 20 febbraio 2013.
Il Direttore
sac. Giuseppe Indino
206
PRO ELIGENDO PONTIFICE
Ai rev.mi Sacerdoti
Carissimi,
la Chiesa raccomanda che durante il periodo della Sede vacante «tutti i
pastori e i fedeli, in tutto il mondo, elevino a Dio ferventi orazioni perché illumini le menti degli Elettori e li renda concordi nello svolgimento del loro
ufficio, sì che l’elezione del Romano Pontefice sia sollecita, unanime e giovi
alla salvezza delle anime e al bene di tutto il popolo di Dio» (Ordo rituum
conclavis, 19).
Nell’invitarvi, pertanto, a pregare per l’elezione del nuovo Papa, stabilisco che nella nostra diocesi si celebri la messa «Per l’elezione del Papa»
(Messale Romano, p. 784) il giorno 11 marzo p.v. con il colore liturgico del
Tempo di Quaresima (cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, nn.
374 e 347).
Vi benedico di cuore.
Ugento, 5 marzo 2013.
Il Vescovo
† Vito Angiuli
207
NOTA CIRCA LA CELEBRAZIONE DEL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
Ai rev.mi Sacerdoti e Diaconi
In questo tempo di Pasqua in modo particolare, ma spesso anche in altri
tempi dell’anno liturgico, si celebra in molte parrocchie il sacramento della
Confermazione.
Tale sacramento “rende, in qualche modo, perenne nella Chiesa la grazia
della Pentecoste. È evidente la speciale importanza della Confermazione ai
fini dell’iniziazione sacramentale, per la quale i fedeli, come membra del Cristo vivente, a Lui sono incorporati e assimilati per il Battesimo, come anche
per la Confermazione e l’Eucaristia” (PAOLO VI, Costituzione Apostolica Divinæ consortium naturæ, 1971).
I cresimandi, per l’età e per la formazione ricevuta nella catechesi, partecipano in modo particolarmente attivo alla celebrazione del sacramento,
non solo perché ne sono in qualche modo “i protagonisti”, ma anche perché
comprendendo maggiormente i gesti e le parole (ritus et preces) sono coinvolti in una partecipazione più consapevole e, pertanto, più fruttuosa.
Si tenga conto, anche, che una celebrazione che esalti eccessivamente il
carattere della straordinarietà, espressa dalla sovrabbondanza di simboli e
monizioni, o al contrario risulti troppo confusa e improvvisata, non educa i
ragazzi, e i fedeli in genere, ad “attuare la loro formazione alla testimonianza di vita cristiana e all’apostolato, e a ravvivare in essi il desiderio di partecipare all’Eucaristia” (cfr. Introduzione al Rito, n. 12). Una liturgia ben preparata e ben vissuta pone le giuste basi per evitare l’allontanamento dalla vita
sacramentale.
Pertanto, i parroci in particolare, ma anche tutti i sacerdoti e diaconi,
nonché i fedeli laici, coinvolti nella preparazione e nell’animazione liturgica,
pongano particolare cura nella celebrazione della Confermazione, evitando
ogni improvvisazione e superficialità, per aiutare i fedeli a gustare pienamente una liturgia che risplende per sobrietà, dignità e bellezza.
208
Tenendo conto degli Orientamenti pastorali “Tu sei la mia vita” emanati
dal nostro Vescovo il 22 gennaio 2013, e perché risaltino maggiormente
l’unità e la comunione delle diverse comunità parrocchiali, mi permetto di
evidenziare alcuni punti particolari:
1. È doveroso, oltre che utile, leggere attentamente l’Introduzione al Rito
(pagg. 23-31), ed attenersi alle indicazioni in essa contenute. Eventuali adattamenti rituali, infatti, spettano solo al Vescovo o alle Conferenze episcopali.
2. La presentazione dei cresimandi sia fatta dopo la proclamazione del
Vangelo, possibilmente dal parroco (cfr. Rito della Confermazione n. 24).
Quando i singoli cresimandi vengono chiamati per nome si alzano in piedi e
rispondono “Eccomi”, rimanendo in piedi fino alla fine della presentazione.
Lungi dall’essere un’altra omelia, la presentazione metta in risalto, sia pur
nella brevità che le è propria, il percorso di formazione compiuto dai cresimandi ed eventuali esperienze significative che i ragazzi hanno vissuto in ordine al cammino dell’iniziazione cristiana.
3. Durante la rinnovazione delle promesse battesimali solo i cresimandi
rispondono alle domande del Vescovo, proferendo in maniera corale e a voce alta e chiara le risposte: “Rinuncio” e “Credo” (cfr. Rito della Confermazione n. 26).
4. Dopo che il Vescovo ha invitato il popolo alla preghiera per l’effusione dello Spirito Santo, è bene che i cresimandi si mettano in ginocchio e,
dopo qualche istante di silenzio il Vescovo dice l’orazione: “Dio Onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo…” (cfr. Rito della Confermazione
nn. 28-29).
5. Quando i cresimandi si avvicinano al Vescovo per la crismazione, sarà
il padrino a pronunziare con voce chiara e distinta il nome del cresimando,
posando la mano destra sulla sua spalla (cfr. Rito della Confermazione n. 30).
Sarebbe opportuno vivere con la massima partecipazione questo momento,
soprattutto da parte dei sacerdoti che, dopo aver imposto le mani insieme
con il vescovo durante la preghiera sopra citata, gli stanno a fianco durante
la crismazione. Si eviti la consegna di certificati o “Biglietti per la Cresima”
durante la crismazione per non creare confusione e distrazione che mortificano un momento di così alta spiritualità.
209
6. Per la preghiera universale (o dei fedeli) si può utilizzare la forma contenuta nel Rito della Confermazione (n. 34), oppure formulare apposite intenzioni, purché si rispettino i contenuti e le priorità indicate dal Rituale. In
ogni caso si evitino inutili lungaggini e superflue ripetizioni.
7. Alcuni dei cresimati possono unirsi a coloro che recano le offerte per
la liturgia eucaristica. All’altare si rechino il pane, il vino e l’acqua per la celebrazione dell’Eucaristia, insieme con i doni per i poveri. Si evitino altri simboli che non corrispondono alla verità del gesto offertoriale e non si
moltiplichino i doni.
8. I cresimati e, secondo l’opportunità, i loro padrini, genitori e catechisti,
possono ricevere la comunione sotto le due specie.
Con la convinzione che l’unità del nostro cammino ecclesiale si manifesta
anche nel modo comune di celebrare, saluto con fraterna amicizia.
Ugento, 30 aprile 2013.
Il Direttore
sac. Giuseppe Indino
210
UFFICIO MISSIONARIO
UNA PROPOSTA PER IL CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO
Carissimi confratelli,
vivendo in questa Chiesa di Kigali, condividendo la nostra esperienza di
fede con i confratelli africani, in mezzo al verde del Rwanda, le sue mille colline e il caldo africano, paragonabile al nostro caldo di agosto, ho sentito
l’esigenza di condividere con voi questa bellissima esperienza di Chiesa.
Sento il desiderio e la necessità di coinvolgere tutta la nostra Chiesa locale e ho pensato che il modo più giusto sia coinvolgere i membri del Consiglio
Presbiterale in una riflessione teologica che si traduca, poi, in proposta pastorale da passare al Consiglio Pastorale Diocesano.
Proposta attuabile su due piste: sacerdoti e laici.
Ho seguito, in qualche modo, le riflessioni della Settimana Teologica sul
tema Il volto educativo e missionario della parrocchia, dalle quali emerge la
necessità di una Chiesa che coinvolga clero e laici nella responsabilità di evangelizzazione, in una ricchezza di relazioni sino ai confini del mondo.
È importante che l’esperienza della missione sia vissuta come Chiesa, attraverso la presenza di sacerdoti fidei donum e di laici ai quali va fatta la
proposta di un’esperienza diretta in missione (CEI, Comunione e comunità
missionaria, n. 51).
La presenza di sacerdoti fidei donum non solo è un dono per le genti a
cui sono inviati, ma la loro presenza in terra di missione arricchisce anche le
nostre comunità.
È indispensabile in questo momento dare un segnale significativo, così da
incoraggiare i presbiteri della nostra diocesi a rendere possibile la continuazione dell’esperienza già avviata con don Tito Oggioni Magagnino, anche se
con modalità nuove.
“Vanno ricercati canali idonei a rendere effettivo lo «scambio» e si devo211
no individuare opportuni criteri perché esso non si trasformi in un trapianto
di modelli ma diventi un reciproco stimolo di rinnovamento” (CEI, Comunione
e comunità missionaria, n. 51).
Spero che il Consiglio Presbiterale prenda in serio esame il problema e
sviluppi una incisiva riflessione sulla necessità di incoraggiare i presbiteri a
una presenza da attuare per almeno per 10-12 anni.
«La missione apre la Chiesa a una prospettiva di letizia pasquale che è
carica di speranza per il futuro. Il Signore risorto quando manda i suoi li accompagna sempre con le parole: “Non temete” e “Io sono con voi” (cfr.
M/28, 10.20)» (CEI, Comunione e comunità missionaria, n. 52).
Kicukiro, 30 aprile 2013.
Il Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano
sac. Rocco Maglie
212
PERCHÈ L’ESPERIENZA ‘FIDEI DONUM’?
1. L’universalità fa parte dell’essenza di ogni Chiesa particolare
L’universalità della comunione e della missione non è legata a una condizione di benessere, per cui una diocesi può guardare lontano solo se è ricca
di mezzi, e inviare dei preti solo se ne ha in abbondanza.
L’universalità fa parte dell’essenza di ogni Chiesa particolare, per cui anche se poverissima deve guardare lontano: è la sua stessa natura che la
spinge a uscire fuori le mura.
2. L’invio: una esigenza intrinseca del ministero sacerdotale
Il Concilio afferma che è l’essenza stessa del sacerdozio ministeriale che
consacra e abilita alla missione mondiale. Il decreto conciliare Presbyterorum ordinis dichiara che tutti i presbiteri sono preparati dalla loro ordinazione “non a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e
universale… fino ai confini della terra” (n. 10).
Chi sono allora i sacerdoti fidei donum?
– Sono sacerdoti che non compiono un gesto straordinario e occasionale,
ma del tutto naturale e ordinario, intrinseco alla loro ordinazione.
– Sono una realizzazione della dimensione universale del ministero sacerdotale.
– Sono un segno che richiama la dimensione universale anche ai presbiteri
che restano in diocesi, per viverla e farla vivere nelle comunità cristiane
in cui si trovano.
– Sono un’attuazione della missionarietà della propria Chiesa particolare.
Non partono, perciò, a titolo personale; attraverso il loro invio, è il vescovo che parte e la Chiesa particolare risponde a un’esigenza naturale e
doverosa della propria vocazione. Partendo, essi esprimono visibilmente
la Chiesa a cui appartengono e l’unità con il proprio vescovo.
– Sono una forte causa di crescita della coscienza di comunione ecclesiale
213
e dell’impegno missionario di tutta la diocesi, nella misura in cui l’intera
comunità diocesana, in tutti i suoi ambiti, è partecipe e assume l’invio e
lo accompagna.
– Sono una concreta attuazione della comunione con le Chiese sorelle. I
doni e i carismi che lo Spirito suscita nelle singole Chiese non possono
essere vissuti egoisticamente, ciascuna per conto proprio, ma vanno
condivisi con le altre Chiese. L’esperienza dei sacerdoti fidei donum ha
messo in luce, anche, le modalità concrete con cui la condivisione si può
concretizzare.
– Sono la riscoperta della comunione tra Chiese che comporta la reciprocità, lo scambio, un rapporto non unidirezionale, ma mutua comunicazione dei propri doni, dove non ci sono chiese che solo danno e altre che
solo ricevono, ma tutte offrono qualcosa di sé e accolgono qualcosa delle altre.
– Sono “ponte” tra due Chiese e del loro scambio di doni. Questa peculiarità dei sacerdoti fidei donum ha messo in risalto l’importanza “missionaria” del ritorno. È importante, quindi, sottolineare che la missione non è
solo andare, è andata e ritorno.
3. Per essere concreti:
a) invitare un gruppo di sacerdoti desiderosi di rispondere a questa esperienza e studiare con loro possibili modalità di attuazione
b) proporre a piccoli gruppi di laici impegnati di partecipare, insieme al proprio parroco, a un viaggio missionario, coinvolgendo tutta la comunità
parrocchiale nella preparazione attraverso la preghiera, l’informazione e
il significato del viaggio
c) proporre ai sacerdoti, anche come aggiornamento, una breve esperienza
in missione per una conoscenza e uno scambio reciproco
d) accogliere nella propria comunità parrocchiale sacerdoti e laici provenienti da territori di missione per delle esperienze ben definite e preparate
e) partecipare alle proposte formative, caritative, di sensibilizzazione e di
promozione umana proposte dall’Ufficio Missionario Diocesano.
214
Tutte queste, e altre iniziative, è bene che siano coordinate dall’Ufficio
Missionario Diocesano, d’intesa con i vescovi delle diocesi interessate.
Kicukiro, 30 aprile 2013.
Il Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano
sac. Rocco Maglie
215
UFFICIO FAMIGLIA
EDUCARE ALL’AMORE, COMPITO E IMPEGNO DELLE COMUNITÀ CRISTIANE
Di preparazione remota, prossima e immediata al sacramento del Matrimonio si è parlato e riflettuto – nei mesi di marzo e aprile – nelle quattro
foranie della Diocesi, quando è stato presentato il documento della Conferenza Episcopale Italiana Orientamenti Pastorali sulla Preparazione al Matrimonio e alla Famiglia.
Il vescovo, mons. Vito Angiuli, ha voluto che tale presentazione non si facesse in un unico incontro a livello diocesano, bensì nelle singole foranie,
per rendere possibile una maggiore e migliore penetrazione nelle comunità
parrocchiali attraverso il dialogo tra sacerdoti, operatori di pastorale familiare, catechisti, animatori ed educatori della pastorale giovanile.
A questi ultimi è riservata in maniera specifica la preparazione prossima
al Matrimonio, che è educazione all’amore e, quindi, preparazione a ogni
vocazione.
L’esperienza è risultata pienamente positiva, specialmente nelle foranie
in cui la partecipazione è stata più ampia, non tanto numericamente quanto
come rappresentanza delle comunità parrocchiali (nella forania di Ugento
erano presenti, a esempio, tutti i parroci) e come diversa tipologia di servizio
degli operatori: c’è stata vivacità di confronto e ricchezza di punti di vista e
di possibili prospettive d’impegno.
Naturalmente la presenza del Vescovo ha dato un “colpo d’ala” perché la
riflessione e il dibattito si mantenessero su un piano più alto e perché si
guardasse al problema, tenendo conto del contesto culturale attuale senza
cadere in forme di scoraggiamento e di senso di inadeguatezza, ma guardando la realtà con la concretezza e nello stesso tempo con la certezza che è
il Signore a guidare la Chiesa e, quindi, a indicare la direzione in cui andare.
In effetti, il quadro culturale delineato dal nostro Vescovo lo troviamo
descritto anche nel documento presentato, nel quale al n. 2 è riportato
216
quanto il Cardinale Ratzinger, alla vigilia della sua elezione a Pontefice, ha
affermato nell’omelia della “Missa pro eligendo Romano Pontifice”: “si va
costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.
L’attuale modello di uomo, di amore, di relazione interpersonale è molto
diverso da quello che ci viene dall’antropologia cristiana, per cui molti dei
giovani che chiedono il sacramento del Matrimonio e che, perciò, sono
chiamati a partecipare al percorso di preparazione, manifestano grande difficoltà a concepire l’amore e la sessualità nella loro verità di dono e di gratuità e a vivere la relazione nell’ottica della misericordia e del perdono come
anche la difficoltà ad accettare la logica del per sempre.
Lo scambio di esperienze, che i partecipanti avevano avuto nel contatto
con questi fidanzati o con giovani, ha fatto emergere la necessità che la comunità parrocchiale si impegni molto nel sostenere e aiutare i genitori
nell’educazione dei figli, perché sin dall’infanzia inizia lo sviluppo di determinate disposizioni che rendono la persona capace di autentiche relazioni
interpersonali.
La preparazione dei genitori che chiedono il Battesimo per il figlio è
un’opportunità che la comunità cristiana non dovrebbe perdere, perché le
giovani coppie siano messe in condizione di sentire il bisogno e il dovere di
un percorso che potrebbe continuare anche successivamente, che li aiuti nel
loro importante, delicato compito dell’educare.
In ogni forania la riflessione si è articolata in due serate: nella prima
mons. Piero De Santis, Vicario pastorale della Diocesi di Nardò-Gallipoli, ha
brillantemente presentato il documento dei Vescovi, sollecitando l’attenzione sulla necessità di un maggiore impegno da parte delle comunità di operare una sorta di accompagnamento, che può avvenire durante la
catechesi dell’iniziazione cristiana (i catechismi offrono molte opportunità di
lavoro, se ben utilizzati!), per continuare poi con gli adolescenti e i giovani,
che vanno aiutati nella scoperta della bellezza del vero amore, nella comprensione del suo significato e dei suoi linguaggi, orientandoli verso scelte
coerenti con la fede e rispettose del proprio corpo, che è la custodia dell’interiorità, e per questo sacro, e della dignità della persona umana.
217
Nella seconda serata è stato molto utile il confronto, partendo dalle reali
risorse delle nostre comunità e dai tempi a disposizione molto ridotti per gli
impegni scolastici e per le altre attività sportive e ricreative dei ragazzi, sulle
possibilità e modalità di programmare percorsi di educazione all’amore, stimolati anche da un power-point, proposto dall’Ufficio Famiglia Diocesano.
Giulia Villani Macrì
218
UFFICIO CARITAS - UFFICIO PASTORALE DEL LAVORO
SERVIZIO DI PASTORALE GIOVANILE
WORK IN PROGRESS - IL LAVORO: SOGNO O REALTÀ
INCONTRO DIOCESANO DEI GIOVANI ATTIVI1
Nei giorni di venerdì 17 e sabato 18 maggio 2013, per espressa volontà
del vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, mons. Vito Angiuli, e dei quattro vicari foranei, si è svolto il 1° laboratorio diocesano sul lavoro dal tema; Work
in Progress - Il lavoro: sogno o realtà? Incontro diocesano dei giovani attivi.
1. La due giorni è stata elaborata e costruita grazie alla fattiva collaborazione dei responsabili degli Uffici diocesani, delle associazioni laicali e tutti
gli altri attori sociali che da anni, grazie al Progetto Policoro, hanno saputo
far rete sul territorio diocesano.
I soggetti coinvolti sono stati:
– la Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca attraverso l’Ufficio Caritas,
l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, il Servizio di Pastorale Giovanile, la Fondazione mons. Vito De Grisantis, le Animatrici del Progetto
Policoro, l’Ucid - sezione di Ugento, il Banco delle Opere di Carità Puglia onlus, l’Azione Cattolica Diocesana, la Gifra, l’Agesci
– le Agenzie somministrazione lavoro: Manpower, Obiettivo Lavoro, Gi
Group, Humangest, Adecco, Ambito Territoriale Gagliano del Capo
– le associazioni Acli, Compagnia delle Opere, Associazione Formazione
Ami, Associazione Libera
– le organizzazioni: Gal Capo di Leuca, Confartigianato Lecce, Coldiretti
Lecce, Cisl Lecce, Confcooperative Lecce, Confindustria Lecce, Confindustria Giovani Lecce, Consorzio Nuvola di Francavilla Fontana
(BR), Puglia Sviluppo spa, Italia Lavoro.
1
A cura degli organismi che hanno realizzato il Work in Progress per il lavoro.
219
2. Nell’elaborazione della proposta ci ha guidati una frase cara a don
Mario Operti, ideatore del Progetto Policoro: “Non esistono formule magiche per creare lavoro, occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone”.
Nella progettazione delle attività si è cercato di dare un taglio innovativo
e dinamico, “a misura dei giovani”, per cercare di rendere quanto più allettante e leggera la partecipazione dei nostri giovani, ma attenta a mantenere
alto sia il numero sia la qualità dei contenuti. Un’organizzazione così dinamica, infatti, non era mai stata sperimentata prima, non solo nel Salento, ma
neanche sul territorio della nostra Regione, e con gioia di tutti, ha consentito
l’iscrizione di ben 229 partecipanti, con una età media di 29,9 anni. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione di tutti i sacerdoti e i diaconi delle 43
parrocchie della Diocesi.
3. Il primo giorno, dopo l’accoglienza dei partecipanti nell’Auditorium
Benedetto XVI, si è iniziato con la preghiera, curata dall’Azione Cattolica
Giovani, che ha proposto per la riflessione le parole di Papa Francesco in occasione del 1° maggio 2013: «… Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge”
di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora,
agisce sempre (cfr. Gv 5,17); dà la capacità di mantenere se stessi, la propria
famiglia, di contribuire alla crescita della propria Nazione. E qui penso alle
difficoltà che, in vari Paesi, incontra oggi il mondo del lavoro e dell’impresa;
penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di
una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di
fuori dei parametri della giustizia sociale. Desidero rivolgere a tutti l’invito
alla solidarietà, e ai Responsabili della cosa pubblica l’incoraggiamento a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione; questo significa preoccuparsi per la dignità della persona; ma soprattutto vorrei dire di non
perdere la speranza; anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non
ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci
abbandona. E poi vorrei rivolgermi in particolare a voi ragazzi e ragazze, a
voi giovani: impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate
220
paura dell’impegno, del sacrificio e non guardate con paura al futuro; mantenete viva la speranza: c’è sempre una luce all’orizzonte».
Al termine della preghiera il Vescovo, che è stato sempre presente nelle
due giornate, ha indirizzato un breve saluto ai partecipanti, ribadendo
l’impegno della Chiesa Diocesana a “essere accanto” ai giovani che vivono
questa situazione difficile di mancanza di lavoro e sottolineando l’importanza del “lavorare insieme”. Queste due giornate di studio, di confronto
e di esperienze vogliono essere uno stimolo forte a modificare la vecchia
idea di lavoro, pensato quasi sempre solo come lavoro dipendente e possibilmente pubblico, che da decenni è così fortemente radicata nella mentalità degli adulti e purtroppo anche in quella di molti giovani del nostro
territorio. Mentalità che genera spesso un atteggiamento di assistenzialismo
e di clientelismo politico.
È necessario, ha concluso il Vescovo, promuovere una nuova cultura del
lavoro, intesa come promozione di se stessi e delle proprie capacità, e essere attenti alle necessità del nostro bellissimo territorio per cogliere le opportunità che questo ultimo lembo d’Italia – de finibus terrae – bagnato da due
mari, offre, sapendo coniugare soprattutto agricoltura, artigianato e turismo.
Successivamente, il Presidente dell’Ambito Territoriale di Gagliano del
Capo, Antonio Buccarello, ha invitato i partecipanti a non buttare la spugna
alle prime difficoltà ma a impegnarsi a promuovere l’autoimprenditorialità,
invitandoli ad avere fiducia soprattutto in se stessi. Successivamente l’Animatrice di Comunità della Diocesi di Ugento, Melania Marzo, ha presentato
il Progetto Policoro e il Centro Servizi Diocesano per il Lavoro.
4. Subito dopo è iniziato il tour presso le quattro aziende salentine, segnalate dalle associazioni di categoria, che hanno condiviso l’iniziativa e che
hanno dato la loro disponibilità a partecipare all’iniziativa. I tre pullman
messi a disposizione dalla Seat di Tricase hanno portato i partecipanti a visitare la DFV di De Francesco Pietro e Figli, da Confindustria Lecce, le Officine
Brigante, da Confartigianato Lecce, l’Oleificio Foresta Forte di Melcarne Giovanni, da Coldiretti Lecce e la Latteria di Giovanna, Carla e Nicola Melcarne,
da Confcooperative Lecce.
221
La visita guidata presso queste imprese così radicate sul territorio ha
permesso ai giovani di dialogare con gli imprenditori, alcuni dei quali giovani
anch’essi, e di poter toccare con mano come anche nel Sud Salento si possa
intraprendere iniziative personali e raggiungere livelli di eccellenza.
Tutto ciò ha incoraggiato i giovani partecipanti al Work in Progress e li ha
ulteriormente sollecitati a un necessario cambiamento di mentalità circa il
lavoro, passando da un atteggiamento passivo di ricerca a uno attivo, guidato dalle necessità del territorio e dalle opportunità che si possono cogliere.
5. Il secondo giorno, i partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi, a
seconda della scelta fatta da ognuno all’atto dell’iscrizione, corrispondenti ai
quattro ambiti di studio. Per due ore si sono confrontati con alcuni esperti
delle associazioni di categoria e con alcuni imprenditori presenti.
Per l’ambito tematico Agricoltura, Turismo e Ambiente, curato dalla Coldiretti di Lecce, erano presenti al confronto il dott. Mino Pierri, il Sig. Dario
Ratta, Presidente della Cooperativa Nuova Agricola e l’imprenditore Agricolo
Sig. Lucio Paiano.
Per l’ambito tematico Innovazione e tecnologia, curato da Confindustria
Giovani, la Presidente dott.ssa Viola Margiotta e gli imprenditori dott. Cesare Spinelli (Spinelli Caffè) e dott. Augusto Romano (Romano Jeans).
Per Artigianato, curato da Confartigianato Lecce, il dott. Saverio Macchia, esperto in credito agevolato, e la dott.ssa Emanuela Aprile, esperta in
start-up d’impresa.
Per i Servizi alla persona, a cura delle Confcooperative, i giovani si sono
confrontati con la dott.ssa Irene Milone del Consorzio Nuvola di Francavilla
Fontana e con due cooperatrici.
È stato anche questo un momento molto importante. Provenienti da
Comuni diversi, i giovani partecipanti hanno avuto modo di conoscersi, di
confrontarsi tra loro e con i responsabili delle associazioni di categoria e con
alcuni imprenditori presenti. È cominciato a svilupparsi in questo modo un
confronto tra soggetti diversi che può non solo continuare, ma portare proficui frutti.
Il giudizio sui laboratori, seppure realizzati in tempi assai compressi, è
stato indubbiamente positivo per tutti. Per i partecipanti alla due giorni per222
ché li hanno fatti uscire dal proprio guscio e li hanno fatti incontrare con una
realtà spesso a loro sconosciuta. Per le associazioni di categoria ha rappresentato un’occasione unica per misurarsi con un mondo giovanile che sfugge
a qualsiasi forma di rappresentanza, ma che è alla ricerca di opportunità di
incontro e di dialogo per affrontare in termini nuovi il disagio occupazionale.
6. Nella seconda parte della mattinata ci si è ritrovati nell’Auditorium
“Benedetto XVI” per ulteriori approfondimenti e comunicazioni.
Anzitutto la presentazione da parte di Lucia Paglione di Confcooperative
Lecce del Bando per i piccoli sussidi, emanato dall’Organismo intermedio
formato da L’Ape e da Fondo Sviluppo, in rappresentanza del mondo della
cooperazione pugliese: un’opportunità di crescita per il mondo del terzo settore nella nostra regione.
È seguita la testimonianza di Maria Domenica Rizzello, Presidente della
sezione diocesana dell’Ucid: il suo essere imprenditrice alla luce dell’insegnamento della Chiesa, in modo particolare la Dottrina Sociale, e ha invitato i presenti a non arrendersi anche di fronte alle difficoltà del momento
ma a lavorare insieme per uscire insieme da questa crisi.
Successivamente, c’è stata la presentazione da parte del responsabile
regionale Mimmo Prisciano di Italia Lavoro, organismo ausiliario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha illustrato soprattutto le attività della società per le categorie più a rischio di inserimento nel mondo del lavoro.
In particolare ha fatto riferimento al Progetto Relar II per l’inserimento degli
immigrati nel mondo del lavoro, attraverso l’esperienza del tirocinio formativo, ricordando che l’Associazione Form. Ami e il Banco delle Opere di Carità di Puglia sono enti accreditati a cui sia gli immigrati e sia le aziende
possono fare riferimento per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Un ulteriore intervento è stato quello di Giacomo Monsellato, consigliere
di amministrazione del Gal Capo di Leuca di Tricase, che ha parlato dell’esperienza del GAL, Gruppo di Azione Locale, il primo nato in Puglia, grazie
al Programma di Sviluppo Rurale dell’Unione Europea Leader. Monsellato ha
spronato i giovani a essere protagonisti nel territorio e a cercare di essere
presenti nella programmazione del Gal.
Alberto Chimenti, dell’Associazione “Libera”, ha raccontato l’esperienza
223
dei Beni confiscati alle Mafie, dati in affidamento all’Associazione. Anche la
gestione di questi beni può creare occupazione e nuova imprenditorialità.
Interessante il contributo fotografico, con l’illustrazione di alcuni beni confiscati nel territorio diocesano.
Ha chiuso la serie di interventi e di comunicazioni don Lucio Ciardo.
Ha presentato il “Progetto Tobia” per il Microcredito, curato dalla Fondazione “mons. Vito De Grisantis” e operativo da febbraio 2013, in convenzione con la Banca Popolare Pugliese. Ha un Fondo di Garanzia di 150.000 euro
(120.000 raccolti in Diocesi e 30.000 messi a disposizione dell’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo). L’équipe della Fondazione ha il compito di accompagnare i giovani che vogliono intraprendere a realizzare, da soli o in
società, la loro idea d’impresa, e di sostenerli con un prestito, fino a un massimo di 20.000 euro, per lo start-up d’impresa.
L’intensa esperienza della due giorni “Work in Progress”, è stata giudicata assai favorevolmente dai partecipanti, proprio per la sua originalità e per
la sua dinamicità. Certamente, come indica il titolo dell’iniziativa, si tratta di
un percorso che è iniziato e che va proseguito. La rete che si è creata intorno
all’organizzazione di questo evento, grazie alla presenza del Progetto Policoro nella Diocesi, deve continuare a operare per creare opportunità, pur in un
contesto contrassegnato ancora da una crisi economica e occupazionale
senza precedenti.
In particolare, bisogna insistere affinché cambi l’approccio nei riguardi
del lavoro. In prospettiva, i 229 partecipanti devono riuscire a incarnare un
approccio attivo, diventare protagonisti e non spettatori passivi del proprio
inserimento lavorativo. Cercare di vincere con la speranza un atteggiamento
che a volte è di rassegnazione se non addirittura di disperazione.
“Work in progress” è stata una testimonianza di come il lavoro vada cercato secondo altre prospettive, sfruttando anche quelle poche novità che la
legislazione italiana e regionale è riuscita a proporre in questi anni. Così come vanno sfruttate le opportunità offerte alle giovani generazioni in termini
di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta cambiando
quello che si è voluto proporre ai nostri giovani. Continuare a incontrarli,
proprio nella logica dei “lavori in corso”, mettendo a disposizione strumenti
224
e opportunità offerti dalla Rete, è l’impegno che il gruppo promotore continuerà a fare già dalle prossime settimane.
Da ricordare, infine, che nel momento dell’approfondimento, i giovani
partecipanti hanno potuto dialogare nell’atrio dell’Auditorium con le Agenzie di Somministrazione del Lavoro presenti e consegnare loro il proprio curriculum.
225
UFFICIO DIOCESANO PER L’ECUMENISMO
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI
“Quel che il Signore esige da noi” (cfr. Michea 6, 6-8)
“… il sacro mistero dell'unità della Chiesa è in Cristo e per mezzo di Cristo,
mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei ministeri. Il supremo modello e
principio di questo mistero è l'unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio
Padre e Figlio nello Spirito Santo” (cfr. Unitatis Redintegratio, 2).
Programma
parrocchia S. Ippazio V. e M. in Tiggiano, veglia
di preghiera per l’unità dei cristiani
Venerdì 18 gennaio ore 18 Cattedrale di Ugento, concelebrazione eucaristica di apertura della Settimana
Sabato 19 gennaio ore 19 Auditorium “Benedetto XVI”, conferenza del
prof. Michele Illiceto sul tema “La fede di fronte alle sfide educative”
Domenica 20 gennaio ore 19 santuario di S. M. della Strada in Taurisano,
conferenza sul decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio”, tenuta da padre
Lorenzo Lorusso o. p., direttore dell’Istituto di
Teologia Ecumenico-Patristica “S. Nicola” di Bari
Lunedì 21 gennaio ore 18
monastero della SS. Trinità in Alessano, celebrazione eucaristica e conferenza ecumenica
sul tema “Mater Unitatis, Maria nel pensiero e
nella vita delle comunità della Riforma”
Martedì 22 gennaio
Solennità di S. Vincenzo D. e M., patrono di
Ugento e della Diocesi
Giovedì 17 gennaio ore 18
226
Mercoledì 23 gennaio ore 18 monastero della SS. Trinità in Alessano: celebrazione dei Vespri in rito ortodosso e omelia
tenuta da padre Arsenio Aghiarsenita, archimandrita della parrocchia ortodossa “S. Nicola”
di Brindisi, della Sacra Archidiocesi di Italia e
Malta del Patriarcato di Costantinopoli
Giovedì 24 gennaio ore 18 santuario di S. Maria di Leuca: Lectio Patrum
tenuta da don Luigi Manca, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Lecce,
sul tema “L’unità della Chiesa nel pensiero dei
padri”
Venerdì 25 gennaio ore 18 monastero della SS. Trinità di Alessano: veglia
ecumenica a conclusione della settimana, presieduta dal vescovo, mons. Vito Angiuli.
Si invitano sacerdoti e fedeli della Diocesi a partecipare ai diversi incontri, per riscoprire il desiderio di rispondere all’invito del Signore di essere
una cosa sola, come egli è uno con il Padre e lo Spirito Santo.
Ugento, 8 gennaio 2013.
Il Direttore
don Fabrizio Gallo
227
PASQUA ORTODOSSA A CORFÙ
Dal 3 al 5 maggio 2013, una delegazione della nostra Diocesi composta
da alcuni laici e dal direttore dell’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo, don
Fabrizio Gallo, si è recata nell’isola di Corfù per la celebrazione della Pasqua,
ospite dell’arcivescovo cattolico di Corfù mons. Yannis Spiteris.
Sono stati giorni vissuti con immensa gioia e profonda commozione sia
per i riti della Settimana Santa celebrati insieme all’Arcivescovo e al clero
nella cattedrale cattolica sia per la intensa partecipazione della piccola, ma
viva, comunità cattolica presente nell’isola.
I membri della delegazione hanno avuto modo di partecipare, anche, insieme all’arcivescovo Spiteris, alla processione ortodossa del Sabato Santo in
onore del santo patrono dell’isola San Spiridione, venerato come tale da cattolici e ortodossi, le cui reliquie sono conservate nel santuario ortodosso a
lui dedicato.
Particolarmente bello e significativo è stato prendere parte alla celebrazione ortodossa della Risurrezione del Signore la notte del Sabato Santo, al
termine della quale la delegazione ha avuto modo di incontrare l’Arcivescovo ortodosso, che aveva presieduto la solenne liturgia, con il quale si è
avuto modo di avere un cordiale scambio di auguri pasquali.
Un sincero grazie va a sua ecc.za mons. Spiteris per l’accoglienza e per
aver dato la possibilità di vivere una esperienza intensa di comunione e di
fraternità tra i rappresentanti della nostra Chiesa di Ugento-S. M. di Leuca e i
fratelli della Chiesa ortodossa di Corfù.
L’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo
228
ATTIVITÀ ECUMENICHE SVOLTE
Dal 18 al 25 gennaio si è svolta come ogni anno la Settimana di preghiera
per l’Unità dei cristiani.
Nei giorni 3, 4 e 5 maggio una delegazione composta dal Direttore
dell’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo e di alcuni laici della Diocesi, hanno
partecipato alle celebrazioni della Pasqua ortodossa a Corfù, ospiti dell’arcivescovo cattolico mons. Yannis Spiteris.
Durante la visita si è avuta l’opportunità di incontrare il metropolita ortodosso di Corfù, col quale si è avuto un cordiale colloquio.
Nel mese di aprile si è svolto presso il santuario di Santa Maria della
strada in Taurisano un convegno di studi sulla presenza bizantina in Puglia e
in particolar modo nel territorio della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca. Sono
intervenuti diversi esperti tra cui la professoressa Pasquale, docente d’Iconografia presso la Facoltà Teologica Pugliese.
Tra aprile e maggio si sono svolte, anche, sempre presso il santuario di
Santa Maria della strada, alcune celebrazioni della Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, alle quali hanno partecipato numerosi fedeli ortodossi,
presenti temporaneamente in Diocesi per motivi di lavoro.
Per promuovere e portare avanti le attività ecumeniche in Diocesi, si è
costituita una Consulta Diocesana, formata da religiosi e laici, e presieduta
dal Direttore dell’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo.
Si sta formando, inoltre, un gruppo di preghiera ecumenico-mariano
“Mater Unitatis”, che, incontrandosi una volta al mese nei luoghi di culto
con tracce della presenza bizantina in Diocesi, s’impegna a riscoprire la spiritualità orientale attraverso la preghiera, la riflessione teologica e l’approfondimento culturale.
Infine, per promuovere una formazione ecumenica tra gli operatori pastorali delle parrocchie, si è deciso di inserire un corso di ecumenismo nel
programma della Scuola Diocesana di Formazione per operatori pastorali.
Ugento 30 giugno 2013.
Il Direttore
don Fabrizio Gallo
229
CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE
Nei primi mesi del 2013 la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ha vissuto momenti
significativi ed emozionanti.
La gioia e l’entusiasmo per l’annuncio della nomina a vescovo di Sora, Aquino e
Pontecorvo del vicario generale, mons. Gerardo Antonazzo, il ricordo intenso, commosso, affettuoso di don Tonino Bello, a vent’anni dalla sua scomparsa, e di mons.
Michele Mincuzzi, a cento anni dalla nascita, e, infine, i due convegni sul Concilio
Vaticano II a cinquant’anni dalla chiusura, sono stati eventi che hanno rappresentato una grazia speciale per tutta la comunità diocesana.
Ogni evento è stato preceduto da un periodo di preparazione e di riflessione con
veglie di preghiera, celebrazioni liturgiche, incontri.
Nelle pagine seguenti si riportano gli interventi più significativi di ciascun evento.
MONS. GERARDO ANTONAZZO
VESCOVO DI SORA-AQUINO-PONTECORVO
Il 22 gennaio 2013, al termine della messa pontificale, nel giorno della memoria
liturgica del protettore di Ugento e della diocesi San Vincenzo diacono e martire, il
vescovo mons. Vito Angiuli dava l’annuncio della nomina di mons. Gerardo Antonazzo, vicario generale della diocesi, a vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo.
Mons. Angiuli affidava don Gerardo alla protezione di S. Maria de finibus terrae
e gli indicava come esempio di pastore l’altro sacerdote della diocesi, il servo di Dio
don Tonino Bello, divenuto vescovo di Molfetta e di cui nel 2013 ricorreva il 20° anniversario della morte.
L’ordinazione episcopale è avvenuta nel pomeriggio di lunedì 8 aprile 2013 sul
piazzale della Basilica di S. Maria di Leuca.
A consacrare il nuovo vescovo è stato mons. Dominique Mamberti, Segretario
per i rapporti della Santa Sede con gli Stati, insieme al nunzio apostolico per l’Italia
mons. Adriano Bernardini e al vescovo di Ugento-S. M. di Leuca mons. Vito Angiuli.
Hanno concelebrato con loro 30 vescovi della Puglia, del Lazio e dell’Abruzzo, tra i
quali il vescovo emerito della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo mons. Luca Brandolini. Era presente anche il card. Salvatore De Giorgi.
La comunità diocesana si è preparata all’evento con una veglia di preghiera in
Cattedrale, presieduta dal vescovo mons. Vito Angiuli.
Mons. Gerardo Antonazzo si è insediato nella diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo il 21 aprile 2013.
233
BENEDETTO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
Al diletto figlio Gerardo Antonazzo, del clero della diocesi di UgentoSanta Maria di Leuca e finora suo Vicario Generale, eletto Vescovo di SoraAquino-Pontecorvo, salute e Apostolica Benedizione.
Costituiti sulla Cattedra di san Pietro, nel desiderio di provvedere alla
Chiesa Cattedrale di Sora-Aquino-Pontecorvo, antica sede d’Italia, illustre
per storia e virtù civili e religiose, rimasta vacante dopo la rinuncia del Venerato Fratello Filippo Iannone, O. Carm., Vice Gerente di Roma, ascoltato il
parere della Congregazione per i Vescovi, tu, diletto Figlio, ricco delle necessarie doti e versato nelle cose sacre, ci sei sembrato degno di essere insignito quale Pastore della suddetta diocesi.
Pertanto, con la Nostra Suprema autorità Apostolica, nominiamo te Vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo, con tutti i diritti e gli obblighi correlati.
Permettiamo che tu possa ricevere da qualsivoglia Vescovo cattolico l’ordinazione episcopale fuori della città di Roma, in osservanza delle disposizioni liturgiche e dopo aver precedentemente emesso la professione di fede
cattolica e prestato il giuramento di fedeltà verso di Noi e i Nostri successori,
a norma del Codice di Diritto Canonico e delle relative consuetudini.
Disponiamo, inoltre, che di questa Lettera sia data notizia al tuo clero e
al tuo popolo, che esortiamo ad accoglierti volentieri e a onorarti con il dovuto rispetto. Abbi, infine, cura, diletto figlio, di nutrire i fedeli a te affidati
con le opere, l’esempio e soprattutto con la parola di Dio e l’amministrazione dei sacramenti, per mezzo dei quali la vita di Cristo si diffonde
tra i credenti ed essi si uniscono a Lui in modo arcano e reale (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, III, q. 62, a. 5, ad I). I sublimi doni dello Spirito Paraclito, per la materna intercessione della Beata Vergine Maria, diano
sempre sostegno e gioia a te e a codesta comunità ecclesiale a Noi tanto cara.
Dato a Roma, presso la tomba di san Pietro, il 22 gennaio dell’anno del
Signore 2013, VIII del Nostro Pontificato.
BENEDETTO XVI
234
STEMMA EPISCOPALE E MOTTO
Nello Stemma e nel Motto scelto da mons. Gerardo Antonazzo c’è tutta
la sua storia, la sua passione, il suo programma.
Il motto “In fines terrae” evoca il mandato missionario di Gesù agli apostoli: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). L’annuncio della Parola non può conoscere confini: “Per tutta la terra è corsa la loro voce, e fino
agli estremi confini del mondo le loro parole” (Sal 19,5).
In fines terrae impegna il vescovo, quale primo annunciatore ed educatore della fede, ad affidare e a sottoporre il suo ministero alla potenza e
all’efficacia della Parola che salva.
Nello stemma episcopale ci sono quattro simboli: il Rotolo della Parola di
Dio che è l’Alfa e l’Omega, principio e fine di tutto; la Quercia che richiama
un antico albero di Supersano, paese natale di don Gerardo, e che esprime la
robustezza e l’integrità della Parola, che non deve conoscere cedimenti a
compromessi dell’umana debolezza; la Barca che raffigura la Chiesa, retta e
guidata dal ministero episcopale, spinta al largo dalla vela rigonfia del soffio
dello Spirito Santo e guidata nella giusta rotta da Maria, la Stella della nuova evangelizzazione.
BIOGRAFIA
Mons. Gerardo Antonazzo è nato a Supersano (LE) il 20 maggio 1956.
Dopo le scuole medie, frequentate presso il seminario vescovile Francesco Bruni di Ugento, ha proseguito gli studi ginnasiali presso il seminario
235
diocesano di Lecce e quelli liceali presso il seminario arcivescovile di Taranto.
Nel 1975 è inviato dal vescovo mons. Michele Mincuzzi a completare gli
studi filosofici e teologici presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore,
del quale sarà educatore dal 1981 al 1987.
Il 12 settembre 1981 è ordinato sacerdote per la diocesi di Ugento-Santa
Maria di Leuca dall’arcivescovo Mario Miglietta.
Si laurea in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana e successivamente consegue la specializzazione in Scienze bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico.
Numerosi sono gli incarichi da lui ricoperti.
Rettore del seminario diocesano dal 1987 al 1995, parroco della parrocchia “Santa Sofia” in Corsano (LE) dal 1995 al 2004 e della parrocchia
“Sant’Andrea Apostolo” in Presicce (LE) dal 2004 al 2011; membro del
Consiglio presbiterale e del Consiglio pastorale, nonché del Collegio dei consultori; vicario episcopale per il clero, per la vita consacrata e per la pastorale; delegato per la pastorale giovanile; direttore e professore di Sacra
scrittura della scuola teologica diocesana per operatori pastorali; assistente
ecclesiastico dell’Agesci e dell’Equipe-Notre-Dame.
Il 6 gennaio 2010 diviene Vicario generale della Diocesi e dal 1º aprile
dello stesso anno, giorno della morte del vescovo diocesano, mons. Vito De
Grisantis, assume la carica di Amministratore Diocesano, fino al 19 dicembre
2010, giorno dell’ingresso in diocesi del nuovo vescovo, mons. Vito Angiuli.
Il 29 giugno 2011 viene nominato rettore-parroco della Basilica Santa
Maria de Finibus Terrae, in S. Maria di Leuca.
Il 22 gennaio 2013 è eletto vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo.
L’8 aprile, sul piazzale della basilica Madonna de Finibus Terrae di Santa
Maria di Leuca, riceve l’ordinazione episcopale da mons. Dominique Mamberti, segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, da mons. Vito
Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca e da mons. Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino.
Il 21 aprile 2013, con l’ingresso in Sora, prende possesso della diocesi di
Sora-Aquino-Pontecorvo.
236
CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA:
MONS. GERARDO ANTONAZZO
È IL NUOVO VESCOVO DI SORA-AQUINO-PONTECORVO*
Cari sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e fedeli laici,
Illustrissime Autorità,
con grande gioia vi annuncio che mons. Gerardo Antonazzo, Vicario
generale della nostra Diocesi, nonché Parroco e Rettore della Basilica di S.
Maria di Leuca, è stato nominato dal Santo Padre, Benedetto XVI, Vescovo
della diocesi di Sora, Aquino e Pontecorvo.
Soltanto due anni fa, in questa Cattedrale, è stato lui a dare l’annuncio
della mia nomina a Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca. Ora tocca a me il
gradito compito di comunicare alla nostra Chiesa particolare la sua elezione
a Vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo. Non si tratta di un fatto personale,
ma di una reciprocità ecclesiale che rende ancora più carico di emozione
questo gioioso avvenimento. Caro don Gerardo (permetti che continuiamo a
chiamarti ancora in modo confidenziale), riceverai l’Ordinazione episcopale
nella Solennità dell’Annunciazione del Signore. Come per Maria così anche
per te è risuonato il lieto annunzio che ti invita a gioire per le meraviglie che
Dio ha compiuto nella tua vita.
Gioisci, carissimo don Gerardo!
Il Signore ti ha scelto e ti ha posto nella sua casa come “servo di Cristo e
amministratore dei divini misteri” (cfr. 1Cor 4,1).
Per questo, noi, tua “famiglia ecclesiale”, ci stringiamo affettuosamente
attorno a te e viviamo con letizia e semplicità di cuore questo evento che,
*
Annuncio di mons. Vito Angiuli alla diocesi di Ugento-S.Maria di Leuca della nomina di
mons. Gerardo Antonazzo a vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo, Cattedrale, Ugento 22
gennaio 2013.
237
certo, riguarda la tua persona, ma rappresenta un dono e una grazia speciale
elargiti anche a noi.
Hai servito la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca con intelligenza
pastorale e spirito di servizio. Ognuno di noi porta nel cuore un dono
spirituale ricevuto dalla tua azione ministeriale. Ti esprimiamo il nostro più
sentito ringraziamento per quello che sei e per tutto il bene che a piene
mani hai profuso nella nostra comunità diocesana.
Accettando la decisione del Santo Padre, con fervida trepidazione e
intimo turbamento, come la vergine Maria, hai risposto “sì” al Signore. Ora
avverti la grandezza del dono perché comprendi che la tua nuova dignità di
Vescovo, ti costituisce a immagine di Cristo, Buon Pastore. E per questo il
tuo cuore si riempie di stupore e di gioia.
Ti auguriamo di conformati sempre più a Cristo, supremo Pastore delle
anime (cfr. 1Pt 2,25). Alla luce del suo mistero comprenderai sempre più
profondamente il significato del tuo ministero a servizio della Chiesa, nella
quale la grazia dell’Ordinazione episcopale ti costituirà maestro, sacerdote e
pastore per guidare la Chiesa di Sora, Aquino e Pontecorvo con sapienza e
umiltà sulle vie che il Signore ti indicherà.
Gioisci, diletta Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca!
Oggi, questo figlio che tu hai generato alla fede e hai accompagnato
nell’esercizio del suo ministero sacerdotale, è stato eletto quale “successore
degli Apostoli”.
La sua preparazione culturale e spirituale e la sua creatività pastorale lo
hanno reso, in questi anni, un sicuro punto di riferimento per tutto il popolo
di Dio. Per questo gli sono stati affidati numerosi e impegnativi compiti
pastorali, assolti sempre in spirito di obbedienza ai Vescovi e di servizio alla
Chiesa: Educatore presso il Seminario Romano Maggiore, Rettore del
Seminario Vescovile di Ugento, Vicario Episcopale per il Clero e i Religiosi,
Parroco a Corsano e a Presicce, Responsabile della pastorale giovanile,
Direttore della Scuola Diocesana di Formazione Teologica e Docente di Sacra
Scrittura, Vicario Episcopale della pastorale, Membro del Consiglio Presbi238
terale e del Collegio dei Consultori, Rettore della Basilica di Leuca, Amministratore Diocesano e Vicario Generale.
Gioisci, nobile Chiesa di Sora, Aquino e Pontecorvo.
A distanza di un anno, il Signore ti dona un nuovo Pastore; un Pastore
secondo il suo cuore (cfr. Ger 3,15). Le origini della tua fede risalgono ai
primi tempi del cristianesimo. Il culto dei martiri è sicuramente attestato
fin dai primi secoli. L’antichità e la nobiltà della tua storia sono impresse
nella cattedrale di Santa Maria Assunta (Sora) e nelle due Concattedrali dei
Santi Costanzo e Tommaso d’Aquino (Aquino) e di San Bartolomeo (Pontecorvo).
La nomina di Mons. Antonazzo è uno scambio di doni tra le nostre due
Chiese. Attraverso la sua persona, la gente del Basso Salento si incontra con
coloro che abitano nelle tre valli: Liri, Comino (Provincia di Frosinone) e
Roveto (provincia dell’Aquila).
Come due anni fa la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca è stata
governata da Mons. Antonazzo in qualità di Amministratore diocesano, così
anche tu, Chiesa di Sora, Aquino e Pontecorvo hai atteso trepidante l’ingresso del nuovo Vescovo e ti sei preparata all’incontro con il nuovo Pastore
guidata dall’Amministratore diocesano, Mons. Antonio Lecce.
Assumendo la responsabilità pastorale della Diocesi, egli ti ha esortato
con queste nobili parole: «La Santa Chiesa, in questo tempo di attesa del
nuovo Vescovo, ci offre l’opportunità, vorrei dire la grazia, di fare esperienza
di comunione non solo sacramentale, ma anche di governo e di responsabilità comune. Mai come in questo momento noi sacerdoti, nella misura in
cui siamo chiamati a vivere la vita e la missione di Gesù Buon Pastore,
dobbiamo essere a servizio di una Chiesa sempre più fraterna e modellata
secondo la vita trinitaria».
Chiesa di Sora, Aquino e Pontecorvo, Mons. Gerardo Antonazzo viene a
te per rinsaldare questi vincoli di comunione e «per manifestare con la sua
vita e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la
sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l’autorevolezza di Cristo, che è
239
venuto per dare la vita e per fare di tutti gli uomini una sola famiglia,
riconciliata nell’amore del Padre»1.
Sarà questo modello episcopale a guidare Mons. Gerardo Antonazzo nel
suo ministero, a illuminare le sue giornate, ad alimentare la sua spiritualità,
a nutrire la sua fiducia, nella certezza che è Cristo, Buon Pastore, a condurre
tutti alle fonti della vita (cfr. Ap 7,17).
Gioisca la Madre Chiesa!
Il Vescovo è a servizio di una Chiesa particolare, ma coltiva anche la
sollecitudine per la Chiesa universale. A lui è affidato il compito di portare la
luce del Vangelo a tutti i popoli. Reggendo bene la propria Chiesa particolare, il Vescovo contribuisce al bene di tutto il popolo di Dio.
Le voci di tutti i pastori si fondono in un’unica voce: quella di Cristo, il
«supremo Pastore» (1Pt 5,4). «I buoni pastori – afferma sant’Agostino –
sono tutti nell’unità, sono una cosa sola. In essi che pascolano, è Cristo che
pascola. Non fanno risuonare la loro voce, gli amici dello sposo, ma si
rallegrano quando odono la voce dello sposo. Quando loro pascolano è
Cristo che pasce»2.
Eccellenza Reverendissima, carissimo don Gerardo,
la tua nomina si colloca nel contesto dell’Anno della fede. Ed è con gli
occhi della fede che vogliamo vivere questo gioioso avvenimento.
In questo contesto ecclesiale vale la pena domandarsi, come ha fatto
recentemente Benedetto XVI: «Come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo?
Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto
verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini.
Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui
gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini.
Dev’essere un uomo per gli altri.
1
2
Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, 1.
Agostino, Disc. 46,30.
240
Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se
per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua
creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere
uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli
dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire,
pensare e sentire insieme con Dio.
Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma
questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi.
Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia,
fino alla Croce […].
La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio
e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re
del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In
questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, deve essere colui che
indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore»3.
In questa santa inquietudine, ti sia di sostegno e di esempio il servo di
Dio, don Tonino Bello, il vescovo dalle “notti insonni”, del quale abbiamo da
poco celebrato il XXX anniversario della sua Ordinazione episcopale e
ricordiamo il XX della sua morte.
In un tempo, come il nostro, nel quale appare più evidente «una profonda crisi di fede»4, ti invitiamo come San Vincenzo, patrono della Chiesa di
Ugento-S. Maria di Leuca, a combattere «la buona battaglia della fede»
(1Tm 6,12). «Quando è la fede a condurre la lotta, – afferma Sant’Agostino –
nessuno riesce ad averla vinta sul corpo»5.
Ti assista la Madonna di Leuca, alla cui materna protezione ti affidiamo.
La Vergine de finibus terrae ti renda annunciatore del Vangelo in fines
terrae.
Il Signore sia con te!
3
Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dell’Epifania, Domenica, 6 gennaio 2013.
Benedetto XVI, Porta fidei, 1.
5
Agostino, Disc. 274.
4
241
OBBEDIENZA, GRATITUDINE E PREGHIERA*
Ho solo tanta confusione nella mente e una sola certezza nel cuore:
quella di voler fare la volontà di Dio e della Chiesa, obbedire nella fede alle
disposizioni di Dio, che si rivela attraverso le mediazioni umane! Non sono
migliore di nessuno, sono invece immeritevole di tutto.
La pubblicazione della mia nomina in concomitanza con la festa di s. Vincenzo, mi ricorda che anche l’obbedienza è una forma di martirio, perché
segno sofferto di fedeltà e di docilità.
La coincidenza mi conferma anche nella gioia e nell’orgoglio per la mia
chiesa di origine, la diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca.
Qui ho vissuto la prima formazione cristiana e vocazionale alla scuola
della mia famiglia e del mio indimenticabile parroco, don Antonio Russo, insieme ai viceparroci della mia infanzia, don Benedetto Serino e don Leonardo Salerno.
Qui ho vissuto l’ingresso nel Seminario Minore, accolto dalla riservata e
timida tenerezza di mons. Antonio De Vitis e incantato dall’esemplarità invidiabile e mai raggiungibile di don Tonino Bello.
Qui, a Ugento, ho svolto il primo ministero in Diocesi come Rettore del
Seminario Minore, per poi svolgere il ministero come parroco nelle due comunità, mai dimenticate, di Corsano e di Presicce.
Poi Santa Maria di Leuca: qui ho vissuto il mio anno sabbatico mariano,
nella casa di Maria, presso il Santuario della Madonna “de finibus terrae”.
Oggi affido al Signore, a Maria Santissima di Leuca, e a s. Vincenzo, la
gratitudine per i miei Vescovi diocesani: mons. Ruotolo che mi ha cresimato
e accolto nel Seminario minore, mons. Mincuzzi che mi destinò al Seminario
Romano Maggiore, mons. Miglietta che mi ha ordinato sacerdote, mons. Caliandro che mi ha consegnato alla mia prima parrocchia, mons. De Grisantis
*
Saluto di mons. Gerardo Antonazzo alla Diocesi di Ugento-Maria di Leuca, Cattedrale,
Ugento, 22 gennaio 2013.
242
che mi ha voluto Vicario Generale, mons. Angiuli che mi ha sempre accordato grande fiducia, stima, confidenza, “fratello gemello” come egli stesso mi
scriveva in una dedica.
Rivolgo un caro e sentito ringraziamento a mons. Carmelo Cassati dal
quale ho ricevuto sempre silenzioso affetto e gentile sostegno.
In questi momenti, credetemi, c’è una ricerca spasmodica di puntelli, di
sostegni, per cercare di rimanere in piedi: io spero soprattutto che questa
decisione del Santo Padre sia stata accompagnata dalla mano di don Tonino,
dal momento che questa nomina si colloca fra il trentesimo anno della sua
ordinazione episcopale e il ventesimo anno della sua morte. Se così è, mi
sento meno solo e meglio custodito.
Un abbraccio fraterno e impregnato di gratitudine lo rivolgo a ogni singolo sacerdote: grazie per i vostri affetti, sentimenti, esempi di dedizione, di
bella intelligenza pastorale. Il momento del distacco e, ahimè anche della
partenza, è anche celebrazione del perdono: a tutti e a ciascuno chiedo scusa per quanto non ho saputo fare e donare!
Il mio pensiero, che vi chiedo di condividere sentitamente, carico di immenso affetto è per la mia nuova famiglia, la diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo che il Santo Padre Benedetto XVI mi affida come la sposa di Cristo
da custodire nella fedeltà dell’amore, nella purezza della fede, e nella santità
della speranza.
Sono convinto che non esistono distanze tanto profonde da poter congelare l’amore che salda e unisce per sempre le menti e i cuori.
Sono debitore alla mia Chiesa diocesana di origine per tutto quello che
sono, dalla nascita fino a questo momento; anzi direi di più: dalla nascita fino a quando Dio vorrà, perché sono sicuro di continuare a contare sull’affetto e sulla preghiera con la quale questa mia Chiesa vorrà sempre
accompagnarmi e sostenermi.
243
OTIUM ET NEGOTIUM*
Surrexit Dominus vere, alleluja!
Il gioioso annuncio pasquale, questa sera, si riveste di uno speciale sentimento di lode al Signore per aver scelto Mons. Gerardo Antonazzo, presbitero di questa Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, come Vescovo della
Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo.
Saluto e ringrazio lei, ec. rev.ma mons. Dominique Mamberti, arcivescovo titolare di Sagona e Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, per avere accolto l’invito a presiedere questa solenne Concelebrazione
Eucaristica. Eccellenza, attraverso la mia persona e le mie parole, l’intera
Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca le esprime profonda gratitudine perché
con l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria lei, insieme con i
Vescovi qui presenti, invocherà su mons. Antonazzo il dono dello Spirito che
lo costituirà pastore secondo il cuore di Dio.
A questa festa ecclesiale, ha voluto prendere parte anche lei, em. rev.ma
card. Salvatore De Giorgi: la sua presenza a questo sacro rito manifesta ancora una volta l’affetto che lei nutre per le Chiese di Puglia e, in particolare,
per quelle del Salento.
Esprimo la più viva riconoscenza a lei, ec. rev.ma mons. Adriano Bernardini, Nunzio Apostolico in Italia, per la sua presenza al rito di Ordinazione e
la sua vicinanza spirituale agli inizi del ministero episcopale di mons. Gerardo Antonazzo.
Eminenza ed Eccellenze Reverendissime, le vostre tre persone, in modo
diverso, ci fanno avvertire più intensamente la vicinanza del Papa emerito,
Benedetto XVI, che ha conferito nomina episcopale a mons. Antonazzo e di
*
Saluto di mons. Vito Angiuli all’inizio della Messa per l’Ordinazione Episcopale di mons.
Gerardo Antonazzo, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo, Santa Maria di Leuca, 8 aprile
2013.
244
Papa Francesco perché l’Ordinazione episcopale avviene agli inizi del suo
ministero petrino.
Rivolgo un fraterno saluto a lei, ec. rev.ma mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto e Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese,
e ai confratelli Vescovi di Puglia e delle altre Regioni ecclesiastiche qui convenuti. La vostra presenza è segno dell’affetto e dell’unità che vige nel Collegio Episcopale.
Sono riconoscente alle Autorità civili e militari e ai Rappresentati delle
Istituzioni per la loro partecipazione a questa solenne liturgia. Ill.me Autorità, con questo gesto dimostrate ancora una volta la vostra premurosa attenzione verso la Chiesa e la gente di questo territorio che voi servite con
generosità e responsabilità.
Estendo l’affettuoso saluto a tutti i sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose,
seminaristi e fedeli laici. La vostra commossa e gioiosa partecipazione a questa liturgia manifesta il volto della Chiesa ed esprime il servizio pastorale al
quale il Vescovo è chiamato: essere a servizio del Popolo di Dio come principale animatore della comunione e della missione.
Rev. mo mons. Antonio Lecce e voi carissimi sacerdoti e fedeli della Chiesa la Sora-Aquino-Pontecorvo, la vostra gioia è anche la nostra. Uno stesso
gaudio accomuna le nostre due Chiese.
In questo solenne momento, la nostra comune esultanza si trasforma in
un sincero augurio che insieme rivolgiamo a mons. Gerardo Antonazzo con
le splendide parole di sant’Agostino:
«L’amore della verità ricerca la quiete della contemplazione,
il dovere dell’amore accetta l’attività dell’apostolato.
Se nessuno impone questo peso,
ci si deve dedicare alla ricerca e alla contemplazione della verità;
se però esso viene imposto deve essere assunto per dovere di carità.
Ma anche in questo caso
non si devono abbandonare le consolazioni della verità,
perché non accada che, privati da questa dolcezza,
si resti schiacciati da quella necessità».
(La Città di Dio, XIX,19)
245
Eccellenza rev.ma, carissimo don Gerardo,
le parole di sant’Agostino ti siano di guida nel tuo magistero e nel tuo
ministero. La contemplazione della verità (otium) sia strettamente unita al
dovere della carità (negotium) cosicché la luce della verità si riscaldi al fuoco
della carità e la fiamma della carità irradi lo splendore della verità.
Ti siamo vicini con la nostra preghiera e il nostro affetto. Ti affidiamo alla
Vergine de finibus terrae perché ti protegga e ti aiuti a essere maestro e testimone del Vangelo in fines terrae. La gioia del Signore sia la tua forza!
246
CORAGGIOSO PASTORE E AUTENTICO APOSTOLO DEL VANGELO*
Eccellenze, cari Sacerdoti, cari fratelli e sorelle,
sono molto lieto di rivolgere il mio cordiale saluto agli Eccellentissimi
Vescovi di Puglia, a Mons. Vito Angiuli, che ringrazio per la benevola
accoglienza, a Mons. Gerardo Antonazzo, ai Sacerdoti, alle Autorità civili e
militari e a voi tutti qui presenti. Desidero esprimere la gratitudine per
avermi invitato a presiedere questa celebrazione eucaristica nella quale il
nostro fratello Gerardo riceverà l’Ordinazione episcopale, in questa terra
denominata sin dall’antichità “terra bianca”, che si protende ad oriente e,
per questo, luogo di incontro di popoli e di culture. Saluto, inoltre, i
Sacerdoti e i fedeli della comunità diocesana di Sora-Aquino-Pontecorvo,
che si stringono attorno al loro nuovo Pastore. Alla riconoscenza unisco la
profonda gioia di parteciparvi l’affetto e il saluto benedicente del Santo
Padre, il Quale è a conoscenza di questa celebrazione e assicura la Sua
vicinanza spirituale con il ricordo particolare nella preghiera.
L’odierna solennità dell’Annunciazione del Signore ci orienta in modo
ancora più profondo verso il mistero della Pasqua, che in questi giorni
stiamo vivendo. Infatti, il primo e l’unico “sì” del Figlio che facendo il suo
ingresso nel mondo ha detto: “Ecco io vengo per fare la tua volontà” (Eb
10,4-10), riceve la risposta del Padre, il quale, dopo l’offerta dolorosa della
Passione, sigilla nello Spirito Santo, con la Risurrezione di Gesù, la salvezza
per tutti nella santa Chiesa. Sia la Parola di Dio, sia i testi eucologici sottolineano il mistero dell’Annunciazione come il compimento della promessa
del Signore, invitando a riviverlo nella fede. È necessario questo sguardo
unitario del Mistero di salvezza per accogliere nella nostra vita l’Incarnazione del Verbo di Dio. La celebrazione del “Verbo che si fa carne” (Gv 1,14)
è sostanzialmente un avvenimento che dice come Dio ha piantato le sue
*
Omelia di mons. Dominique Mamberti per l’Ordinazione Episcopale di mons. Gerardo
Antonazzo, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo, Santa Maria di Leuca, 8 aprile 2013.
247
tende fra gli uomini, ha voluto mostrarsi nella fragilità della spogliazione e
dell’abbassamento (Fil 2,5-8). La visita del Signore al suo popolo era stata
preannunciata, ma come sarebbe avvenuta restava qualcosa di oscuro. Ed è
qui che si manifesta l’assoluta novità di Dio, impensabile per la ragione
umana. Egli non è passato tra gli uomini, ma si è reso presente nel cuore
stesso dell’esperienza umana. Pertanto la storia della salvezza è caratterizzata dalla scelta sconvolgente del Signore di assumere tutto dall’interno. Per
tale motivo la solennità dell’Annunciazione del Signore, non è solo l’inizio,
ma la chiave di lettura e di comprensione dell’agire di Dio. L’esaltazione di
Gesù, che lo costituisce “Signore” per sempre, non attenua il mistero dell’uomo Gesù, perché Dio donandoci il Figlio nel tempo realizza la nostra
adozione a figli (Gal 4,4-5). E in tale luce la Vergine Maria è presentata come
colei che ha collaborato al mistero della volontà salvifica di Dio. Ella è
invitata alla gioia messianica come vera Figlia di Sion, è oggetto del favore di
Dio perché è scelta da sempre ad essere Madre del Verbo. Il saluto rivolto
alla Vergine Maria, facendo eco agli annunci di salvezza rivolti alla figlia di
Sion, esprime la gioia della buona novella, il Signore è presente in mezzo al
suo popolo come suo Salvatore. La grandezza della Vergine Maria è nell’essere segno della presenza salvifica di Dio. Il Signore è con Lei, perché sia
la Madre del Dio con noi. Nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium è
affermato: «I santi Padri ritengono che Maria non fu strumento meramente
passivo nelle mani di Dio, ma che cooperò alla salvezza dell’uomo con libera
fede e obbedienza. Infatti, come dice sant’Ireneo, essa «con la sua obbedienza divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano» (n. 58).
La Vergine Maria ricolma della grazia di Dio, nella sua profonda umiltà,
diventa “serva” della volontà salvifica del Signore per il suo popolo. In tal
modo, Ella è per tutta la Chiesa modello di come amare e servire il progetto
di Dio ed essere collaboratori della salvezza in ogni tempo. In particolare la
Vergine Madre è “segno eloquente” per coloro che dal Signore sono stati
scelti e costituiti Pastori per il bene del popolo di Dio.
Cari fratelli e sorelle, l’ordinazione episcopale di Mons. Gerardo Antonazzo, che avviene in questa solennità del Signore, si colloca nel contesto di
una visione globale della storia della salvezza. Sì, è un avvenimento che si
248
iscrive nella trama di questa storia. Non dobbiamo considerarlo come un
fatto isolato, personale, poiché attraverso la successione Apostolica si
riannoda con la missione originale e fontale di Cristo e, quindi, con l’iniziativa di Dio Padre, principio di tutta l’economia della salvezza. Con il conferimento dell’Ordinazione l’ordinato è posto al servizio della storia della
salvezza. E questa storia, pur distinguendosi nelle diverse tappe di preparazione e prefigurazione dell’Antica Alleanza, di attuazione piena in Cristo, di
prolungamento nei tempi della Chiesa, è una storia unica, come il realizzarsi
progressivo del progetto divino. Questo vincolo dell’ordinato con tutta la
storia della salvezza fa cogliere il riferimento alla persona e all’opera del
Signore Gesù: «Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli
uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm
2,5-6). Egli è l’unico Sacerdote della nuova alleanza ma per volontà dello
stesso Gesù esistono nella Chiesa dei ministeri che derivano dalla missione,
dal servizio dello stesso Gesù Cristo. Ben conosciamo come il Magistero del
Concilio Vaticano II ha pienamente accolto uno dei punti fermi della teologia
dei Padri della Chiesa in riferimento al ministero gerarchico. Infatti, la
presenza di Cristo nei suoi ministri è intesa come una presenza sacramentale, quindi reale. Attraverso le parole e le azioni del suo ministro, colui che
opera veramente è Cristo. Sant’Agostino afferma: «Pietro battezza? È Cristo
che battezza»1. La comunità cristiana riconosce la presenza salvifica di Cristo
nei suoi ministri. Tutto ciò rende il Vescovo, nella Chiesa particolare, un
“servitore” di Cristo e tutto il ministero pastorale è un vero servizio alla
Chiesa e agli uomini di buona volontà. L’identità del ministero del Vescovo si
caratterizza come segno vivente del Cristo supremo Pastore del popolo di
Dio in vista della edificazione della Chiesa. Solo in questa particolare
relazione a Cristo e alla Chiesa, il Vescovo può vivere la sua identità e
realizzare la sua missione.
Caro don Gerardo, possa tu essere coraggioso pastore e autentico
apostolo del Vangelo. La tua disponibilità e generosità siano segno dell’amorevole premura di Dio Padre, che in Cristo realizza il suo progetto salvifico e
1
Trac. In Io. VI, 7: PL 35,1428.
249
nel dono dello Spirito Santo rende ogni uomo partecipe della stessa vita
divina. L’esempio e la santità dei Pastori di questa terra ti sostengano nell’impegno quotidiano di annunciare e testimoniare la Misericordia di Dio, di
fronte alla quale si schiude il valore immenso di ogni uomo. La tua fedeltà a
Cristo ti renderà sempre più attento e responsabile dei deboli, dei poveri e
degli indifesi. Ad immagine del Buon Pastore avrai cura di coloro che vivono
nella continua ricerca del volto di Dio. Sostenuto dalla forza dello Spirito
mostrerai la vocazione di ogni uomo ad entrare in dialogo con il Signore e,
così, sarai forte difensore della dignità della persona umana, in ogni momento dell’esistenza, soprattutto quando è segnata dalla malattia e dalla
fragilità. E come maestro della fede sarai chiamato a far emergere come le
diverse conquiste della conoscenza umana non possono rinchiudersi negli
stretti ambiti dell’apparire, ma insieme alla luce della fede sia possibile
incontrare la Verità che dona significato alla vita quotidiana. Sii costruttore
di comunione, non solo all’interno della famiglia di Dio, ma in ogni realtà e
situazione, consapevole che essa viene dall’alto e, pertanto, non annulla la
ricchezza delle diversità. Nelle molteplici attività della missione apostolica
terrai lo sguardo fisso su Gesù, “autore e perfezionatore della fede” (Eb
11,40), per essere, come il motto episcopale In fines terrae esprime, annunciatore instancabile e radunare gli uomini nell’unità della fede. La preghiera
sia il cuore di tutta la tua vita e missione; nell’incontro con il Signore attingerai luce e forza e a Lui consegnerai le intenzioni, i desideri, i progetti
perché la comunità diocesana della quale sei servo e pastore possa crescere
nella fede e testimoniare la novità perenne del Vangelo per il mondo. Mi è
caro dare voce, in questo momento di gioia, ad un testimone luminoso di
questa terra, al servo di Dio don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, il quale
rivolgendosi ai sacerdoti affermava: «Siamo sacerdoti per una Chiesa
protesa verso il mondo, non per una Chiesa avviluppata dentro di sé, per
una Chiesa che si allarga, che apre i cancelli e si spalanca sul mondo intero.
Una chiesa che sa di dover essere il sale, di dover entrare e lasciarsi
assorbire, per dare sapore alla storia del mondo, alla geografia del mondo»2.
2
Cirenei della gioia, 26.
250
Cari fratelli e sorelle, affidiamo alla materna intercessione della Vergine
Maria di Leuca de finibus terrae, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli,
il ministero episcopale del nostro fratello don Gerardo e, in questo evento
lieto, si elevi la nostra preghiera per il Santo Padre Francesco, la Chiesa
intera e il mondo perché in Cristo Risorto trovino la gioia della salvezza.
Amen.
251
LA MIA “CASA DELL’ANNUNCIAZIONE”*
“Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te…
Non temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1, 28-30)
Ho vissuto spiritualmente questa celebrazione liturgica come la mia
“casa dell’Annunciazione”.
Oggi il Signore è entrato ancora nella mia vita con un rinnovato invito
alla gioia, con una parola che, arrivando al cuore, penetra i timori umani e
parla di fiducia: Non temere!
È, allo stesso tempo, una parola seducente di chiamata, che dà origine a
una nuova pagina biografica, decide un nuovo “inizio”, segna una svolta,
riscrive imprevedibili progetti, e mi consegna ad un futuro inesplorato.
È una parola che racconta di una nuova partenza, eco di altre parole con
cui Dio ha riscritto percorsi nuovi nella vita di sempre, come è accaduto nella
vicenda biblica di Abramo:
Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e
dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò…» Allora Abram
partì, come gli aveva ordinato il Signore (Gen 12,1ss.).
L’Apostolo Paolo ritorna su questo testo, e la sua interpretazione è
davvero illuminante: “Di fronte alla promessa di Dio (Abramo) non esitò per
incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente
convinto che quanto Egli aveva promesso era anche capace di portarlo a
compimento” (Rm 4,20-21).
La Vergine di Nazareth, Maria, come Abramo, è chiamata a ripartire da
Dio e a partire con Dio.
Nella casa di Nazareth scopre e accetta che sia solo Dio a riempire
spiritualmente, e anche fisicamente, il “santo viaggio” della sua singolare
umanità. E accetta di obbedire alla parola divina con tutta se stessa, forte
*
Indirizzo di ringraziamento di mons. Gerardo Antonazzo, S. Maria di Leuca, 8 aprile 2013.
252
soltanto del fatto che era Dio a chiedere un Sì capace di dare carne umana al
Verbo eterno, a chiedere il Sì più grande della storia, un Sì all’altezza di Dio.
Ha scritto Benedetto XVI, nella Lettera per l’indizione dell’Anno della
fede: «Per fede Maria accolse la parola dell’Angelo e credette all’annuncio
che sarebbe divenuta Madre di Dio nell’obbedienza della sua dedizione»
(Porta fidei, 13).
Al Dio dell’Annunciazione oggi voglio elevare, con Maria, il mio canto
filiale di abbandono e di pace interiore, con le parole del salmista: «Io resto
quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un
bimbo svezzato è in me l’anima mia» (Sal 131).
Sono grato alla misericordia di Dio che, senza mio merito, ha rivolto il
suo sguardo verso la mia immeritevole persona, chiamata e consacrata per il
ministero episcopale.
In questo meraviglioso scenario della natura, dove la dimora della
Vergine congiunge i due mari, unisce l’Oriente e l’Occidente, avvicina la
terra e il cielo, Maria diventa il ponte che unisce la divinità e l’umanità.
Sotto il suo materno sguardo inizio oggi il mio ministero episcopale, che
ho voluto sinteticamente esprimere nel motto “in fines terrae”. Desidero
così affidare e sottoporre tutta la mia vita alla potenza e all’efficacia della
Parola di Dio, per rimanere fedele al compito di primo annunciatore della
fede che salva.
Carissimi fedeli e amici,
desidero ora salutare, con sentimenti di sincera gratitudine, Sua
Eminenza Reverendissima, il signor Cardinale Salvatore De Giorgi, pastore di
nobile animo e premurosa cordialità.
Grazie, Eminenza, per aver voluto esprimere personalmente la sua viva
partecipazione a questo evento ecclesiale.
Rivolgo il mio profondissimo grazie a Sua Eccellenza Reverendissima,
mons. Dominique Mamberti, per aver presieduto questa solenne celebrazione liturgica nella Solennità dell’Annunciazione del Signore, e per avermi
generato, mediante l’invocazione dello Spirito Santo, al ministero episcopale.
La Sua presenza, Eccellenza, è per tutti noi un prezioso segno di ricca
bontà, nonché di delicata amicizia per la nostra comunità diocesana e per la
253
terra del Salento. Attraverso Lei, giunga il nostro filiale atto di obbedienza e
la nostra incondizionata adesione al magistero del Santo Padre, il Papa
Francesco.
Ringrazio Sua Eccellenza Reverendissima mons. Adriano Bernardini,
Nunzio apostolico in Italia, per il suo costante ed edificante affetto, per il suo
luminoso e intelligente consiglio.
A Sua Eccellenza Reverendissima mons. Vito Angiuli, pastore della nostra
Chiesa diocesana, la mia particolare riconoscenza per la stima e la fiducia
che mi ha sempre accordato, e per la benevola e saggia fraternità con cui in
questi mesi mi ha accompagnato nella preparazione a questa nuova e
impegnativa esperienza di servizio a Dio e alla Chiesa.
Grazie vescovo Vito, perché in te il Signore ha donato alla Chiesa un faro
luminoso di dottrina sicura e un pastore generoso di impagabile dedizione.
In te, ringrazio con indicibile amore tutta la diocesi di Ugento-S. Maria di
Leuca.
La mia gratitudine si estende a tutti gli Eccellentissimi Arcivescovi e
Vescovi per la viva e corale partecipazione. A tutti voi chiedo umilmente di
accogliermi con pazienza e comprensione, quali maestri e fratelli maggiori.
Nella persona dell’Amministratore diocesano, mons. Antonio Lecce, dei
sacerdoti e dei tanti fedeli presenti, ringrazio e abbraccio con amorevole
affetto la mia nuova famiglia, la diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo.
Grazie per la simpatia e la benevola cordialità che da subito mi avete
gioiosamente manifestato.
Saluto ancora tutti voi, carissimi Sacerdoti, Diaconi, Religiosi e Religiose.
Un cordiale saluto e ringraziamento lo rivolgo al Rettore mons. Luigi Renna,
e ai Seminaristi del Seminario Regionale di Molfetta, agli Educatori e
Seminaristi del Seminario Minore di Ugento.
Saluto e ringrazio la delegazione dell’Amministrazione comunale della
Città di Sora, guidata dal sig. Sindaco, dottor Ernesto Tersigni.
Ringrazio tutte le altre stimate Autorità Civili e Militari presenti, i Rappresentanti delle Istituzioni pubbliche, della cui presenza mi sento profondamente onorato.
Un sentito ringraziamento alle Associazioni di Volontariato, alle Forze
254
dell’Ordine, ai Volontari della Basilica con le Suore Figlie di S. Maria di Leuca
e le Suore Compassioniste Serve di Maria, agli Scout, al Coro e ai molti altri
che hanno collaborato per lo svolgimento della solenne celebrazione
liturgica.
Nel mio cuore conservo vivo il ricordo di tutti, la preghiera per tutti,
l’arrivederci a tutti.
Il Signore vi benedica.
Mater mea, fiducia mea.
255
PREGHIERA PER DON GERARDO VESCOVO
Signore Gesù,
che con la potenza dello Spirito Santo
hai costituito gli Apostoli annunciatori del Vangelo,
per guidare tutti i popoli alla salvezza
santificandoli con la Parola e i Sacramenti,
guarda con amore il nostro fratello Gerardo,
presbitero della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca,
eletto Vescovo della Chiesa di Sora-Aquino-Pontecorvo.
Ricolmato della pienezza dello Spirito
sia voce profetica che richiami a tutti
il primato della tua Parola;
sia servo umile che orienta i fratelli
alla costruzione del tuo Regno;
testimone sapiente che illumina le coscienze
con la forza dell’esempio;
padre premuroso che si prende cura
dei poveri e dei deboli;
ministro di comunione che edifica
sacerdoti e fedeli
in una comunità di fede, di speranza e di amore.
Renda sempre presente Te,
Pastore buono,
che conduci gli uomini e le donne del nostro tempo
alla comunione di vita eterna con il Padre,
con il quale vivi e regni,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
256
XX ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DEL SERVO DI DIO DON TONINO BELLO
In preparazione alla ricorrenza del XX anniversario della morte del servo di Dio
don Tonino Bello (20 aprile 2013) la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ha proposto
alla comunità diocesana un itinerario ricco di presenze e di avvenimenti, attraverso i
quali riflettere su don Tonino, testimone di fede.
Le celebrazioni hanno avuto inizio a Tricase il 30 ottobre 2012, giorno commemorativo della sua ordinazione episcopale, con la presentazione del libro su don Tonino “La Messa non è finita” di mons. Domenico Amato, vice postulatore della
causa di beatificazione. Sono proseguite il 7 e il 31 dicembre, in ricordo della sua ordinazione sacerdotale e della marcia di pace a Sarajevo, e il 1° gennaio 2013 con la
presenza di mons. Giovanni D’Ercole che ha presieduto la concelebrazione eucaristica di capodanno nella chiesa “Collegiata” di Alessano.
In vista della ricorrenza della nascita, 18 marzo, mons. Luigi Martella, attuale
vescovo di Molfetta, ha guidato un folto pellegrinaggio della sua diocesi sulla tomba del servo di Dio nel cimitero di Alessano e ha presieduto una partecipata concelebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale.
L’itinerario di riflessione spirituale ha avuto il suo culmine nei giorni dal 17 al 20
aprile.
Il 17 aprile si è tenuto un convegno su mons. Michele Mincuzzi, già vescovo di
Ugento-S. M. di Leuca, il quale, colpito dalla santità e dalle doti umane del servo di
Dio (“Sin dal nostro primo incontro mi sentii trapassato dal tuo sguardo di profeta”)
valorizzò e sostenne don Tonino, anche da vescovo. Una sintesi del Convegno è riportata in altra parte del Bollettino.
L’appuntamento centrale è stato quello del 19 aprile 2013, con la presenza del
card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, il quale,
dopo essersi recato in pellegrinaggio sulla tomba di don Tonino, ha presieduto una
solenne concelebrazione nella chiesa “Collegiata” di Alessano. Nell’omelia il porporato ha ricordato le virtù vissute in modo eroico dal servo di Dio.
Le celebrazioni si sono concluse il 20 aprile, giorno anniversario della morte, con
una celebrazione eucaristica sulla tomba di don Tonino nel cimitero di Alessano. Il
vescovo mons. Vito Angiuli nell’omelia ha messo in evidenza i tratti fondamentali
della fede del vescovo Bello: una fede vissuta, una fede di popolo, una fede gioiosa.
Si riportano di seguito alcune omelie e interventi significativi degli avvenimenti
citati.
257
IL SERVO DI DIO TONINO BELLO (1935-1993)*
1. Il 20 aprile 1993, martedì dopo la domenica in Albis, si spegneva a
Molfetta il vescovo Mons. Antonio Bello, il cui tramonto fu più luminoso del
più fulgido pomeriggio di sole. Oggi, a venti anni dalla sua scomparsa, il suo
ricordo, anzi la sua fama di santità, non solo non si è spenta, ma si è
allargata sempre più a onde concentriche dal cuore della terra di Puglia fino
ai confini del mondo. Una serie innumerevole di libri sono stati scritti su di
lui nelle più diverse lingue dei popoli. Tutti ormai lo conoscono. Quando io
mi presento come nativo di Molfetta, la gente dice: «Molfetta, dove era
vescovo Don Tonino Bello!».
Giustamente, quindi, si è dato inizio alla causa di beatificazione di questo
eccezionale Pastore della Chiesa, semplice, moderno, affabile, con uno stile
pastorale marcatamente francescano.
2. Vorrei comunicarvi anzitutto alcuni ricordi che io ho di lui e, in secondo luogo, dire qualcosa sul suo stile pastorale, che ho chiamato francescano.
Per quanto riguarda i ricordi, si tratta di ricordi indiretti, dal momento
che, purtroppo, non l’ho conosciuto personalmente. Ho avuto la gioia di
conoscere personalmente alcuni santi, come san Pio da Pietrelcina, e dei
beati, come il Beato Giovanni Paolo II. Invece la Provvidenza ha disposto che
io incontrassi il Servo di Dio don Tonino Bello, solo in questi ultimi tempi,
soprattutto da quando sono a capo della Congregazione delle Cause dei
Santi.
Il primo ricordo che ho del vescovo don Tonino Bello me lo trasmise mio
padre, quando, lavorando ai cantieri navali, un giorno vide un prete
avvicinarsi al motopeschereccio in costruzione e salutare gli operai. Salutò
anche mio padre, che gli disse di avere un figlio sacerdote. Il Vescovo gli
*
Omelia del card. Angelo Amato, SDB, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi,
in occasione del 20° anniversario della morte del Servo di Dio Tonino Bello, vescovo di
Molfetta. Collegiata “SS. Salvatore”, Alessano, 19 aprile 2013.
258
strinse la mano e, con un bel sorriso sulle labbra, benedisse il suo lavoro e la
mia famiglia. Questo gesto rimase così impresso nelle mente e nel cuore di
mio padre, che me lo riferì più volte con commozione.
Il secondo ricordo riguarda la visita che io feci ai miei a Pasqua del 1993.
Sceso dal treno, trovai in città un’atmosfera strana, ovattata. Non c’erano
rumori, la gente camminava silenziosa, non si vedeva quella confusione che
in genere regna nei giorni di festa. Chiesi ai miei il motivo e la risposta fu: il
Vescovo stava morendo. Tutta la città era spiritualmente raccolta accanto al
letto del Vescovo e lo accompagnava all’incontro col Signore con la preghiera, con l’affetto e con le lacrime agli occhi.
Il terzo ricordo è accademico. Quando ero decano, e cioè preside della
Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, nei programmi della specializzazione di catechetica c’era fra gli altri un corso di pastorale
dedicato alle omelie e alle catechesi del Vescovo Tonino Bello. Lo dirigeva il
Prof. Riccardo Tonelli, al quale io stesso avevo procurato la documentazione,
parte su carta e parte ancora su nastro magnetico, ottenuta dalla bontà di
Mons. Tommaso Tridente. Professori e studenti analizzavano scientificamente il linguaggio del Vescovo, per valutarne la freschezza, la semplicità e
soprattutto il contenuto, fortemente radicato nella Parola di Dio e, proprio
per questo, efficace, nuovo e mai banale. Era un linguaggio che lasciava il
segno.
3. Era un linguaggio che oggi possiamo definire francescano. Tutti noi
ricordiamo alcune sue definizioni. Chiamò, ad esempio, la Chiesa «Chiesa del
grembiule»1, a indicare che la sua natura è il servizio, perché l’unico
paramento sacerdotale registrato nel Vangelo è il grembiule e l’asciugamano
usati per la lavanda dei piedi il giovedì santo. Considerò la nostra cara Puglia,
«arca di pace e non arco di guerra»2, per scongiurare l’installazione di missili
sul nostro territorio. Chiamò la famiglia, «agenzia periferica della Trinità»3,
1
ANTONIO BELLO, Omelie e Scritti quaresimali, Molfetta, Mezzina 1994, p. 358.
ANTONIO BELLO, Sui sentieri di Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989, pp. 225-230.
3
ANTONIO BELLO, Le mie notti insonni, San Paolo, Cinisello B. 1996, p. 95.
2
259
perché la famiglia è il laboratorio che riproduce l’esperienza trinitaria di
comunione nell’amore.
Ricordiamo anche la sua affermazione sulla dignità eccelsa di ogni essere
umano: «Sul capo di tutti gli uomini c’è una corona d’onore e di gloria»4. Con
ciò intendeva sottolineare la nobiltà della persona umana, anche della più
pezzente. Questo accenno ai poverissimi richiama la dinamica apostolica del
Servo di Dio Don Ambrogio Grittani, altro gigante pugliese della carità e della
santità esercitata anche lui a Molfetta.
Il linguaggio e lo stile francescano di Don Tonino lo stiamo rivivendo e
contemplando in questi giorni, in una sorprendente sequela di immagini, nel
volto, nei gesti, nelle parole di Papa Francesco, papa venuto dalla fine del
mondo.
Riporto un brano di Don Tonino, che parla proprio di questa visione francescana del mondo, nel quale egli vede abbondantemente diffusa la santità
più di quanto si possa pensare. Bisogna solo guardare con occhi puri e
semplici: «La santità – dice Don Tonino – è diffusa, è diffusa nel gesto del
pescatore che tira le reti e le stende al sole; la santità è diffusa nell’abbraccio
che due ragazzi innamorati si danno; è diffusa nella canzone che ti giunge
all’orecchio da una rotonda sul mare; la santità sta nel canto delle claustrali o
nella bellezza delle danzatrici del Bolscioi. Voglio dire che, se noi sapessimo
scoprire tutta questa vita, come ricettacolo anche della santità, ci faremmo
prendere meno dall’ansia. Noi come chiesa siamo anche segno di questa
santità che lo spirito fa fecondare dal basso [...]. Se noi sapessimo scoprire la
santità della vita, saremmo capaci di accostare il pescatore che tira la barca a
secco e dirgli con semplicità: “Come stai? Sei felice, oggi? Sai che il tuo lavoro
ha per scopo un progetto?” e diremmo tutto questo non con un’aria magisteriale, ma con atteggiamento umile, di chi condivide la ferialità della povera
gente, incarneremmo anche noi la semplicità e l’essenzialità di Francesco
d’Assisi, che seppe scoprire in tutte le creature la presenza di Dio»5.
4
ANTONIO BELLO, Omelie e Scritti quaresimali, pp. 214s.
GIANNI DI SANTO CON DOMENICO AMATO, La Messa non è finita. Il Vangelo scomodo di don
Tonino Bello, Rizzoli, Milano 2012, pp. 204-205.
5
260
4. Ecco il riferimento chiave di Don Tonino, la semplicità e l’essenzialità
di San Francesco. Antonio, il suo nome di battesimo, e Francesco, il suo
modello di riferimento, sono due colonne del francescanesimo allo stato
nascente, due vette della santità evangelica, fatta di lode a Dio per le
meraviglie del creato, per frate sole, per sorella luna, per le stelle, il vento,
l’acqua umile, preziosa e casta, per frate fuoco, per la terra piena di frutti, di
fiori e di erba. Se Antonio parlava ai pesci, Francesco parlava al lupo.
A rendere ancora più meraviglioso questo nostro mondo, c’è poi – dice
san Francesco concludendo il suo cantico delle creature – l’uomo misericordioso, che perdona per amore di Dio e sopporta infermità e tribolazione. La
misericordia come antidoto al pessimismo e al catastrofismo e come porta
della speranza.
San Francesco, Don Tonino Bello, Papa Francesco ci fanno vedere con
occhi nuovi il creato, facendoci scoprire che non è come ci viene raccontato
piuttosto male, da chi vede non il bene, ma solo il male che esiste nel
mondo, da chi – come dice Don Tonino Bello – non fa altro che ripetere
senza fine le litanie della nostra paura6 – e non vede invece il miracolo del
risvegliarsi della natura in primavera, del fiorire degli alberi, del maturare dei
frutti.
Questa non è vuota retorica o ingenua poesia, ma concreta realtà. Basta
guardarci attorno, andare in campagna, recarsi sulla riva del mare, salire in
collina o in montagna. Che mondo meraviglioso abbiamo davanti!
E fa parte della realtà di questo mondo meraviglioso anche l’impegno
dello studente, che si prepara agli esami; il risveglio di prima mattina della
mamma per accudire ai piccoli che vanno a scuola; la fatica quotidiana dei
lavoratori; il sacrificio dei pescatori lontani da casa per giorni e giorni per
mantenere la famiglia; la nostalgia degli emigranti per la loro terra lontana e
benedetta; le veglie dei familiari presso i loro cari ammalati o anziani. Non fa
parte anche questo della nostra realtà? Anzi, non è forse ciò la vera realtà?
Quando Papa Francesco parla della dolcezza della misericordia, quando
si avvicina alla gente per salutarla, ringraziarla, benedirla, quando chiede la
6
TONINO BELLO, Le mie notti insonni, p. 119.
261
preghiera per lui, non fa altro che spalancare la porta della nostra casa, resa
buia e fredda dal pessimismo della nostra cinica cultura, al sole del mondo
reale, creato da Dio in modo meraviglioso. Questo mondo è davanti a noi.
Non è virtuale, è reale. Non è un’avatar per farci evadere dalla dura realtà.
No, esiste. Apriamo gli occhi. Forse solo i bambini riescono a vederlo e per
questo sorridono continuamente. L’abbraccio della mamma è la loro somma
felicità.
Dobbiamo, insomma, far cadere dai nostri occhi le squame della cecità,
ricuperando la vista per contemplare il più grande spettacolo del mondo,
che è la bellezza del creato, la nobiltà delle creature, la bontà delle persone,
la santità sparsa a piene mani nella Chiesa. C’è bisogno, però, di conversione, sull’esempio di san Paolo. Il suo cuore pieno di odio fu dal Signore
sciolto in amore mediante la sua grazia (cfr. At 9,1-20).
5. Questa conversione significa guardare con occhi pasquali pieni di
bontà e di carità il nostro mondo, la nostra storia personale e sociale, la
Chiesa. Qual era il nutrimento che alimentava il travolgente ottimismo del
nostro Servo di Dio Don Tonino Bello? L’Eucaristia, presenza reale del Cristo
risorto nella nostra storia, era la linfa della sua vita sacerdotale e apostolica
(cfr. Gv 6,52-59). Era Gesù eucaristico, che gli dava il coraggio e la forza
soprannaturale per non abbattersi. Era il pane e il vino consacrato il vero
cibo e la vera bevanda del suo dinamismo apostolico.
La santità francescana di Don Tonino è una santità pasquale, di risurrezione, di vita, e quindi di ottimismo cristiano. Per questo invitava i fedeli a
non avere paura, a non perdersi d’animo, a sperare. Nonostante tutto, ai
cristiani è proibito essere pessimisti.
6. Mi pongo ora una domanda: da dove nasceva questa semplicità
francescana del Vescovo Tonino Bello, anche lui proveniente – come Papa
Francesco – dalla fine del mondo, de finibus terrae?
Dando uno sguardo alla vostra cittadina esageratamente assolata, quasi
terra surriscaldata dalla grazia divina, non ho potuto fare a meno di pensare,
che sono stati i fedeli di Alessano a educare il piccolo Tonino alla semplicità
del Vangelo. Egli si aggirava spensierato per le vostre stradine, giocava nelle
vostre piazzette, pregava nelle vostre chiese, dall’odore di antico e abitate
262
dai tanti santi che fanno eterna compagnia al Santissimo. Chiesa madre,
chiesa dei cappuccini, chiesa di sant’Antonio, dell’Assunta, del Crocifisso. In
queste chiese egli si nutriva di Dio, assorbiva la sua grazia, imparava a
conoscere gli amici di Dio e il linguaggio di Dio, che si manifesta nella
creazione, nella redenzione, nella santificazione dell’uomo. In lui il sigillo del
battesimo fu rafforzato dalla fede viva, semplice e profonda delle mamme,
dei papà, dei nonni, degli zii, dei piccoli e dei grandi di qui. La fede rocciosa
dei vostri avi è stata la prima e insuperabile educatrice di Don Tonino, che
con la sua vita evangelica è ora il nome più glorioso di Alessano. Certo la
città vanta palazzi nobiliari, insediamenti rupestri, tracce della presenza
benedetta dei monaci basiliani. Ma il monumento più importante è il Servo
di Dio Tonino Bello, sacerdote di Cristo, vescovo dal cuore grande come
l’orizzonte sconfinato del mare, grande benefattore dell’umanità.
La sua vita è un messaggio evangelico. Che cosa allora dobbiamo raccogliere da lui, nel ricordo del 20° anniversario della sua nascita al cielo?
Forse possiamo fare nostra la preghiera che egli faceva allo Spirito Santo
il 30 aprile 1989. Allo Spirito Don Tonino chiedeva di rinnovare la faccia della
terra e di fare un rogo di tutte le nostre paure. E concludeva con accenti di
gioia, di quella gioia che non l’abbandonava mai: cari figlioli, siate «ceri
pasquali e non lucignoli fumiganti»7.
7
TONINO BELLO, Le mie notti insonni, p. 152.
263
DON TONINO BELLO, OPERATORE DI PACE*
Caro fratello Vescovo, pastore di questa Chiesa particolare,
caro don Gigi, parroco di questa comunità e cari sacerdoti presenti,
distinte autorità,
cari fratelli e sorelle!
1. Con grande gioia, presiedo questa celebrazione eucaristica e ringrazio
il vostro Vescovo che mi ha cortesemente invitato, come pure lo ringrazio
per il gesto quanto mai significativo di avermi consegnato un pastorale
uguale a quello di don Tonino Bello. Un grazie particolare all’artista che l’ha
fatto riproducendo fedelmente quello di don Tonino, grazie a don Gigi e a
quanti hanno voluto farmi questo graditissimo dono. Sono felice ed
emozionato di celebrare con voi l’Eucarestia in quest’occasione, dando così
avvio all’anno commemorativo del 20° anniversario della morte di don
Tonino Bello, vescovo del Concilio, testimone coraggioso di fede e di
speranza evangelica, apostolo e messaggero della pace. Tutti ci auguriamo di
poterlo presto venerare come beato.
Non è un caso che ci troviamo qui proprio quest’oggi, il primo giorno del
nuovo anno, in cui la Chiesa, alla festa della Madre di Dio e all’inizio di un
nuovo anno, unisce la celebrazione della giornata mondiale di preghiera per
la pace. Quest’anno essa si arricchisce ancor più grazie a varie ricorrenze:
l’anno della fede voluto da Benedetto XVI per ricordare il 50° anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II e il 20° dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, uno dei frutti più importanti del Concilio,
come pure il 50° dell’enciclica “Pacem in terris” del beato Giovanni XXIII. In
questo contesto, non è difficile situare il ricordo di don Tonino, che della
pace è stato artigiano ricco di fantasia e cesellatore paziente e perseverante
di cammini di pace.
*
Omelia del vescovo mons. Giovanni D’Ercole. Collegiata “SS. Salvatore”, Alessano, 1° gennaio 2013.
264
2. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9)
Il messaggio per la pace, che da ormai oltre 50 anni, il papa ogni anno
propone alla nostra attenzione in questo giorno, costituisce una concreta
educazione alla pace, uno stimolo costante a pregare perché la pace, dono
di Dio e impegno permanente dell’uomo, divenga realtà. Quest’anno il
tema, che il pontefice propone alla nostra riflessione, è la beatitudine della
pace: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Spiega Benedetto XVI che nella tradizione biblica, il genere letterario delle
beatitudini porta con sé una buona notizia, ossia un vangelo che culmina in
una promessa. Le beatitudini non sono solamente raccomandazioni morali,
che prevedono a suo tempo (spesso nell’aldilà) una ricompensa, una futura
felicità. La beatitudine, nella Bibbia, consiste piuttosto nell’adempimento
fedele di una promessa rivolta a chi si lascia guidare dalle esigenze della
verità, della giustizia e dell’amore. Chi si affida a Dio e credendo spera nelle
sue promesse, appare, spesso agli occhi degli uomini, un ingenuo lontano
dalla realtà. Gli operatori di pace sembrano sognatori, fuori della storia.
Tuttavia Gesù a questi, solo a questi, promette non una felicità che si
realizza nell’aldilà dopo la morte, bensì già qui sulla terra. Assicura loro la
gioia di sentirsi figli di Dio. Offre loro la possibilità di scoprire, di assaporare
la paternità divina; assicura che Egli è solidale con tutti. E per questo, gli
operatori di pace comprendono di non essere soli nel loro impegno per la
pace; sanno, al contrario, che Iddio è dalla loro parte. Dio aiuta chi s’impegna per la verità, per la giustizia e per l’amore.
3. Don Tonino Bello, operatore di pace
In questa luce, si comprende molto bene la vita e l’opera di don Tonino,
profeta, operatore, artigiano di pace. Egli fa parte di quelle persone che
sono in genere più ammirate e citate che conosciute in profondità e seguite
nel loro autentico insegnamento. La sua persona e il suo messaggio è stato
spesso solo parzialmente compreso, talora addirittura frainteso, forse
qualche volta persino politicamente strumentalizzato, mortificando in tal
modo la vivace ricchezza della sua fantasia e l’autorevolezza della sua
personalità, tutta impostata dallo spirito francescano – era terziario france265
scano – e dalla fedeltà, sino al martirio, al Vangelo da vivere sine glossa. Don
Tonino non ha molto da spartire con quei pacifisti che pensano di battere la
violenza delle armi con la violenza dei loro gesti; non è “contro” qualcuno
quando si batte per la pace, ma è “per” il dialogo nella verità, nel pieno
rispetto di tutti. La sua forza è l’amore evangelico, la certezza che chi con
pazienza e perseveranza coltiva il dono della pace diventerà operatore di
pace facendo della non violenza evangelica lo strumento permanente della
sua azione. Il 20° anniversario della sua morte potrebbe essere occasione
quanto mai opportuna per capirlo meglio, per scoprirne in profondità gli
aspetti qualificanti del “carisma” e per assaporare la ricchezza della speranza
che scaturisce dalla sua testimonianza. È uomo di dialogo e di accoglienza,
che non chiude la porta a nessuno, pronto a collaborare con chiunque abbia
a cuore la difesa degli ultimi e la promozione della giustizia. È soprattutto un
innamorato di Gesù Cristo, servitore di Cristo, “la nostra Pace” che ha creato
un popolo nuovo, ha portato la pace fra loro e, per mezzo della sua morte in
croce, li ha uniti in un solo corpo (cfr. Ef 2,14-16). Per capire don Tonino
Bello, specialmente nei suoi tratti profetici, che lo rendono caro particolarmente ai giovani anche oggi – basta considerare i pellegrinaggi che si susseguono presso la sua tomba nel cimitero di Alessano – occorre ripartire dal
suo amore per Cristo. Mi colpisce sempre, quando m’inginocchio davanti
alla sua tomba, questa sua espressione che ben sintetizza il suo spirito:
“Ama la gente, soprattutto i poveri e Gesù Cristo”.
4. “Ecco la pace non promessa ma inviata, non profetata ma presente”
In questo clima natalizio si avverte con forza il richiamo della pace. Nel
tempo di Avvento e ancor più di Natale, la liturgia torna spesso a parlare di
pace; e meravigliosi sono i commenti dei padri della Chiesa e di santi che la
Chiesa propone alla nostra meditazione. Toccante è, ad esempio, un’omelia
di san Bernardo. “Ecco la pace – egli scrive – non promessa, ma inviata, non
differita, ma donata, non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla
terra un sacco pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a
pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il
nostro riscatto” (Disc. 1 per l’Epifania, 1-2; PL 133, 141-143). Per aiutarci a
266
meditare, citerò solo brevemente alcuni dei tanti spunti di riflessione che
nell’odierna celebrazione della Madre di Dio ci offre la Parola di Dio che
abbiamo ascoltato. La prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, si conclude
con queste parole: “Porranno il suo nome sugli Israeliti e io li benedirò”. Con
il Salmo responsoriale, abbiamo ripetuto: “Ci benedica Dio e lo temano tutti
i confini della terra”. L’assenza di pace – così comprendiamo da questi testi
biblici – è assenza di Dio, perché la pace è presenza di Dio nel cuore
dell’uomo, e poi, se il cuore ospita la pace divina, la pace regnerà nelle
famiglie, nelle comunità e nell’intera società. Senza Dio è inutile sperare
nella pace. Lo testimonia la storia. La pace è dono divino da implorare con
incessante preghiera; è impegno costante da non abbandonare mai. Solo
così, con la loro preghiera e con la loro testimonianza, i credenti potranno
“porre” il nome di Dio sui popoli e costruire un’umanità illuminata dalla
saggezza divina e riscaldata dal sole del suo amore misericordioso.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci ricorda, per così dire, le radici
della pace. Egli afferma che Gesù ci ha riscattati dalla legge “perché ricevessimo l’adozione a figli” e il suo Spirito ci rende liberi. Non siamo quindi
più schiavi, ma figli ed eredi per grazia di Dio. Solo un popolo composto da
persone che sentono la figliolanza divina come dono e come impegno, è in
grado di costruire un mondo di pace. Soltanto cuori riconciliati possono
costruire città di pace. La pace nel cuore! Ecco ciò che occorre per abbattere
i muri di divisione e di emarginazione; per costruire ponti di amicizia e di
fraternità; per far fiorire deserti di morte e ricreare spazi di vita nuova. Il
sogno di Dio è la pace degli uomini. Se insieme condividiamo il sogno divino
della pace, la pace non sarà più utopia di pochi, bensì il progetto già in atto
della nuova umanità che profuma di cielo già sulla terra. Questo ha sognato
don Tonino e per questo si è speso, lasciandoci pagine cariche di emozioni
profonde, capaci di incidere nel cuore di chi è sinceramente appassionato
della vita e dell’amore.
Solo una parola sul vangelo che ci presenta il silenzio di Maria, la Madre
per eccellenza, silenzio carico d’infinito. Maria – scrive san Luca – custodiva
tutte queste cose (gli eventi di cui era meravigliata compartecipe) meditandole nel suo cuore. A Maria don Tonino ha dedicato non pochi riferimenti
267
nei suoi scritti, che respirano della sua tenera devozione. In Lei ha visto non
solo il modello, ma l’artefice silenziosa del nostro destino, collaboratrice
infaticabile, sulle vie della storia, dell’opera di coloro che si spendono senza
sosta per costruire un mondo più fraterno. La sua intercessione ci aiuti, cari
fratelli, a non perdere mai la speranza e ad apprendere alla sua scuola a
essere “contemplattivi”, contemplativi e attivi nella nostra missione di
credenti, testimoni di gioia e di pace in ogni nostro ambiente.
5. Una pedagogia per formare operatori di pace
Nel messaggio già citato di Benedetto XVI per l’odierna mondiale giornata di preghiera per la pace, egli afferma che la beatitudine concernente gli
operatori di pace ci aiuta a comprendere che la pace è dono messianico e al
tempo stesso opera umana. Presuppone pertanto un umanesimo aperto alla
trascendenza. Soltanto uomini e donne sensibili al dono divino della pace,
possono essere protagonisti di una nuova stagione dell’umanità, dove regna
l’etica della pace, etica cioè della comunione, della condivisione e del
perdono. Occorre allora proporre una “pedagogia” della pace che tenga
conto di tre condizioni necessarie: “una ricca vita interiore”, “chiari e validi
riferimenti morali” e “atteggiamenti e stili di vita appropriati”. In effetti,
pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della
pace, in un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Educarsi alla pace
è quindi educarsi a riconoscere Iddio come Padre di tutti gli uomini e
raccogliere da Lui l’invito a tessere con benevolenza le relazioni con il
prossimo. Non basta la semplice reciproca tolleranza, bisogna aprire l’animo
all’amore e alla forma più alta di amore che è il perdono, l’amore per i propri
nemici. Per questo, come l’esperienza largamente dimostra, un’etica della
pace vera e duratura non può non basarsi sull’etica del perdono e pertanto
la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e
perseveranza. In queste parole del pontefice non si fa fatica a ritrovare lo
stile di don Tonino e il suo costante insegnamento. Ci sono suoi scritti che,
riletti oggi, hanno il sapore della profezia. Basti pensare al suo discorso ai
beati costruttori di pace nell’Arena di Verona nel 1989. Le sue parole non
solo conservano piena attualità, ma appaiono anche adesso uno stimolo
268
provocatorio perché nella Chiesa e nella società civile la passione per la pace
diventi scelta ad ogni livello, senza compromessi. Dobbiamo invocare lo
Spirito divino perché susciti anche in questi nostri anni profeti e operatori di
pace.
6. Don Tonino Bello, testimone, profeta di pace
Non meraviglia l’interesse che continuano a suscitare gli scritti di
quest’infaticabile apostolo di Cristo. Il suo nome richiama attenzione in ogni
ambiente. È come se la sua missione da vivo continui oggi dal cielo, esempio
di fedeltà evangelica e di apertura umana in dialogo con il mondo che
cambia. Egli indica la pace come un cammino e non un dato scontato, una
conquista e non un bene di consumo, il prodotto d’impegno coraggioso e
non il frutto di accordi politici. La pace, egli diceva, non è nastro di partenza,
bensì striscione di arrivo. La pace esige costi di incomprensione e di
sacrificio, esperienze che hanno segnato la sua esistenza. Ma senza lasciarsi
abbattere dalle ostilità e dalle incomprensioni, don Tonino ricorda che la
pace non tollera atteggiamenti sedentari, non annulla la conflittualità e non
ha nulla da spartire con la banale “vita pacifica”. Piuttosto, la pace è cammino in salita che esige pazienza.
Rivolgendosi ai membri dell’associazione “Beati costruttori di pace”, nel
già citato discorso nell’Arena di Verona il 20 aprile 1989, diceva che la pace
si costruisce nel silenzio della storia e nell’esilio della geografia. E aggiungeva che il “popolo invisibile dei costruttori di pace”, non è popolo di rassegnati, anche quando proclamare la parentela tra giustizia e pace scatena “le
censure dei potenti”. Gesù, rivelando il mistero di Dio Trinità, ha mostrato,
che, specchiandoci nel mistero trinitario, dobbiamo realizzare nel mondo “la
convivialità delle differenze”, vivendo gli uni per gli altri. Ed il nostro compito
è far sì che la terra passi dal “kaos”, cioè dallo sbadiglio di noia e di morte,
ad essere “kosmos”, situazione di trasparenza, armonia e grazia. Bella
questa visione trinitaria della pace che secondo don Tonino, in questo
nostro tempo – siamo nella pienezza dei tempi – fa declinare la pace con
giustizia e con salvaguardia del creato. E si chiedeva don Tonino allora:
“Come passare dal monoteismo assoluto al monoteismo trinitario della
269
pace?” Come maturare una coscienza di pace? È possibile? “Come per il
discorso trinitario – diceva allora – nei primi 10 secoli del cristianesimo si
sono sostenute tante lotte, dispute e si sono celebrati Concili, così sarà ora
per il discorso trinitario della pace”. Pazienza e perseveranza sono le virtù di
chi vuole essere operatore di pace. “Se è così occorre essere pazienti – consiglia don Tonino –. E sarà beato perché operatore di pace, non chi pretende
di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito, ma chi parte. Col miraggio di
una meta sempre gioiosamente intravista, anche se mai – su questa terra
s’intende – pienamente raggiunta”.
Cari fratelli e sorelle, a noi non resta che raccogliere l’eredità di questo
vostro grande conterraneo e far sì che il suo ricordo diventi seme di speranza, capace di portare frutti di pace nel nostro cuore, e nel cuore di ogni
persona che attraversa i passi della nostra esistenza.
270
IL SERVO DI DIO DON TONINO BELLO, INDIMENTICATO E AMATO PASTORE*
1. La diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi oggi vive un momento
altamente significativo: si raccoglie intorno al suo indimenticato e amato
pastore, il Servo di Dio, don Tonino Bello. È un abbraccio che avviene nel suo
paese natio, Alessano, ad un passo dalla sua casa dove è nato, nella chiesa
dove è stato battezzato ed ha ricevuto gli altri sacramenti dell’iniziazione
cristiana, dove è stato ordinato sacerdote e dove tante volte ha presieduto
l’Eucaristia e ha spezzato il pane della Parola.
Grande è l’emozione e il fremito dell’anima di noi tutti, emozione che ha
toccato il momento clou questa mattina, quando ci siamo radunati in
preghiera attorno alla sua tomba nel cimitero, anch’esso a poche centinaia
di metri da qui.
Tante altre volte, gruppi spontanei e parrocchiali, ma anche famiglie e
persone singole, della nostra diocesi, sono venuti qui per rendere omaggio
all’amato pastore. Questa volta, però, in forma ufficiale, insieme a me, indegno successore, che proprio oggi ricorda il 12° anno dell’ingresso in quella
che è stata la sua stessa diocesi. È per me un dono straordinario festeggiare
così tale ricorrenza. Ma si dà pure il caso che domani 18 marzo, ricorra il 78°
genetliaco di don Tonino.
Non per questo, tuttavia, siamo qui, bensì per ricordare il ventesimo
della sua dipartita da noi. Circa un mese ci separa da quella data, 20 aprile
1993 - 20 aprile 2013.
Grazie innanzitutto a Lei, Eccellenza, per aver pensato e condiviso questo
scambio. In realtà, la nostra visita segue quella che Ella ha compiuto il 25
novembre scorso a Molfetta, insieme ad una folta rappresentanza della
diocesi ugentina. Perciò il nostro grazie si allarga a tutta la Chiesa di UgentoSanta Maria di Leuca, e in particolare alla città di Alessano, consapevole del
*
Omelia di mons. Luigi Martella nel 20° anniversario della morte di mons. Tonino Bello.
Collegiata “SS. Salvatore”, Alessano, 17 marzo 2013.
271
privilegio di aver dato i natali ad un figlio che ha reso alla chiesa e al mondo
una testimonianza evangelica tanto luminosa.
2. Cari amici, non porto con me notizie a sorpresa circa le prospettive del
processo di beatificazione; lasciamo tutto questo ai tempi della Provvidenza.
Noi, certo, non mancheremo di fare tutta la nostra parte, ma i “beati” e i
“santi” non siamo noi a proclamarli, bensì lo Spirito attraverso il discernimento della Chiesa. So, però, che per essere santi occorre vivere in
maniera eroica le virtù teologali: la fede, la speranza e la carità. E don
Tonino fu certamente un testimone di fede convinta, di speranza solida, di
carità operosa. La testimonianza di don Tonino si rispecchia nell’affermazione di Paolo ai Filippesi, seconda lettura di questa celebrazione: «Fratelli,
tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù
Cristo, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le
considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato
in lui, non con una giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva
dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede»
(Fil 3,8-9).
Occorre prendere le mosse dal ruolo centrale attribuito da lui alla fede,
se si vuol comprendere mons. Bello; se si vuole esprimere un giudizio di
merito corretto circa la capacità del vescovo di incidere nell’immediato; se si
vuole valutare oggi, alla distanza, in modo congruo e libero da pregiudizi e
passioni, quanto ha lasciato in eredità spirituale e umana. E se si vuole
capire perché il patrimonio morale e spirituale, che egli ha lasciato a noi, ha
dato tanti frutti ed è ancora in grado di produrne tanti altri. Non si può non
riconoscere, infatti, che egli sia come una radice feconda che alimenta
l’albero di numerosi operatori di bene, e nello stesso tempo, sia sempre linfa
di nuova speranza. Evidentemente, questo è segno di quanto profondamente il messaggio della sua vita abbia raggiunto il cuore e la mente di tutti.
Don Tonino è sostenuto da una convinzione di base, e cioè che a ogni
fede autentica debba corrispondere un coerente impegno pratico, i cui
effetti siano visibili anche al di fuori della comunità dei credenti. È come se
dicesse: «Essere forza e fermento sociale per noi cristiani significa innestare
nel cammino della storia sempre più profondamente il vangelo». Se il fulcro
272
della vita di un cristiano è il vangelo, la sua naturale espressione è la storia, e
se il compimento del vangelo è la risurrezione, l’appello etico che proviene
dalla fatica quotidiana è quello di produrre dentro la storia stessa momenti
di riscatto, «pasque di risurrezione» umane. È quanto avviene all’adultera
del vangelo di oggi: guarita nelle sue ferite umane e morali, e fatta poi
risorgere a nuova vita da Gesù.
3. Di certo egli possedeva la capacità di illuminare, di suggerire orizzonti,
di indicare strade sulle quali ciascuno potesse inscrivere la propria parabola
umana e cristiana. L’intero ministero di don Tonino si può dire che sia stato
orientato verso una direzione chiara: la carità. La carità come vita nella fede,
come insegna Benedetto XVI, il quale nel messaggio per la quaresima di
quest’anno sottolinea lo stretto rapporto tra fede e carità: «Queste due
virtù teologali – afferma il Pontefice emerito – sono intimamente unite ed è
fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una “dialettica”». Il vangelo che
don Tonino ha annunciato è il vangelo della carità. È questo il filo rosso e
resistente che lega i suoi interventi, che ha creato rete e reti, che ha
contagiato, che ha suscitato consensi. Il pastore che arriva in diocesi e
sostiene che la «buona notizia che porta, fresca di giornata, è Gesù Cristo,
unico Signore», pone le premesse di un impegno radicale e senza riserve alla
coerenza evangelica e alla necessità esistenziale di dare senso a ogni gesto
piccolo o grande.
I piani pastorali che seguiranno negli anni a venire, acquistano significato
se letti in questa prospettiva fondativa.
In essi, infatti, egli ha saputo intercettare i vari filamenti culturali, sociali,
spirituali della nostra epoca travagliata e confusa e li ha ritessuti nel disegno
della fede cristiana il cui progetto non è alternativo e repulsivo rispetto alla
vicenda umana, anzi, è destinato ad incarnarsi in essa, sia pure con la sua
identità e originalità, simile a un seme che opera e fruttifica, a un lievito che
trasforma e trasfigura. Si evince tutto questo, già dai titoli principali di tali
piani: Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi (1984); Insieme per
camminare (1986-87). Anche se non immediatamente espressi, potremmo
dare un titolo pure agli altri programmi degli anni successivi: Camminare
nella storia come icona della Trinità (1988-89); Farsi condurre dal Signore
273
(1989-90). C’è poi il programma pastorale del 1993-94, l’ultimo, che si
articola sul tema delle comunità che fioriscono attorno a Cristo Signore.
Questi programmi pastorali rappresentano alcune delle tappe per una
mobilitazione delle coscienze, per un dispiegamento progressivo dell’attitudine ad essere cristiani coinvolti, adulti, responsabili di sé e del mondo,
chiamati alla continua trasformazione interiore, che viene dalla conversione
del cuore e quindi, dal «rendere ragione della speranza» che è nel cuore dei
credenti.
4. Quest’anno ricorre pure il decimo anniversario dell’Esortazione
apostolica di Giovanni Paolo II, Pastores gregis, pubblicata in seguito alla
celebrazione del Sinodo sui vescovi l’anno precedente (2002) e che aveva
come tema Il Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza
del mondo. Nella prima parte il documento tratteggia la figura del Vescovo e
del suo ministero, un ministero che egli compie con la parola e con
l’esempio. «Si potrebbe dire – afferma il documento – che, nel Vescovo,
missione e vita si uniscono in maniera tale che non si può più pensare ad
esse come a due cose distinte… È nella testimonianza della nostra fede che
la nostra vita diventa segno della presenza di Cristo nelle nostre comunità»
(n. 31). Una regola che vale per tutti i battezzati, per la verità, ma in maniera
più pregnante per i pastori della Chiesa.
È l’aspetto più qualificante della testimonianza di don Tonino, il quale
operava spinto non da un senso umanitario, bensì in nome di quella carità
cristiana che smuove e non permette indugi: Caritas Christi urget nos!
Già il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium aveva puntualizzato in
maniera chiara ed efficace la missione del successore degli apostoli: «Il
Vescovo, – afferma la Costituzione sulla Chiesa – mandato dal Padre di
famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l’esempio del
buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire (cfr. Mt
20,28; Mc 10,45) e dare la sua vita per le pecore (Gv 10,11)» (n. 27).
Un insegnamento che don Tonino ha interiorizzato, assimilato e vissuto
in maniera straordinaria ed esemplare.
5. Oggi, potremmo dire che don Tonino abbia interpretato molto bene il
compito della “nuova evangelizzazione” e del nuovo evangelizzatore. Il
274
Sinodo recente, dell’ottobre scorso, ha delineato con cura non solo gli
obiettivi, ma anche lo stile della nuova evangelizzazione e del nuovo evangelizzatore, a cominciare proprio dall’uomo di Dio.
In uno degli interventi un padre sinodale, a proposito della missione
episcopale ha affermato: «Il vescovo non può rinunciare all’esercizio del
carisma che lo impegna come evangelizzatore. È assistito dallo Spirito Santo
che è colui che incoraggia, propone e crea nuove modalità di trasmissione
della fede nel deserto spirituale che l’umanità attraversa… Egli non
evangelizza per piacere né per strategia, bensì perché è stato chiamato e
inviato» (Mons. Julio Hernando Garzía Peláez, vescovo di Istmina – Tadó –
Colombia).
Quando don Tonino ha lasciato questo mondo, erano ancora passati
pochi anni dal lancio della prospettiva da parte di Giovanni Paolo II, quella
appunto della “nuova evangelizzazione”. Non ancora, perciò, era un tema
diffusamente messo a fuoco, ma don Tonino già operava in tal senso. Nel
mondo di oggi si può evangelizzare grazie ai veri testimoni della fede ma
anche grazie agli autentici pastori. E lui era una cosa e l’altra: testimone e
pastore. Pastore perché testimone. Nella sua persona abbiamo avuto il dono
di una coraggiosa guida nel nostro mondo difficile e inquieto. Don Tonino
non si è risparmiato in tutto il suo ministero di vescovo perché voleva che la
verità di Cristo – Signore e Redentore dell’uomo – giungesse a tutti, a quelli
che credono e a quelli che non credono, come anche a quelli che hanno
dimenticato di essere cristiani nel deserto spirituale, dove l’uomo vive come
se Dio non ci fosse.
In ogni caso quanto proponeva mons. Bello non era solo un programma
pastorale, bensì la sua stessa vita. Proposta ed esperienza di vita in lui si
compenetravano a vicenda. Un esempio in cui la parola prendeva forza
dall’azione e l’azione diventava parola incisiva e credibile.
Sicché parlare di Dio per don Tonino è il punto di partenza decisivo. Egli
ha parlato di Dio in ogni occasione con tutta la sua persona e con tutta la sua
vita, aprendo un cammino di comunione.
Cerchiamo di mantenerlo vivo fra noi, anzi, continuiamo a mantenerlo
vivo, come testimone che ci parla di Dio. Egli ha parlato di molte cose, è
275
vero, ma soprattutto ha parlato di quel Dio che nel suo Figlio ci dona la
realtà di una comunione fraterna, il desiderio e la fragranza di cose belle,
genuine, alte, incorruttibili.
Sicuramente, egli sarebbe stato contento di quanto i Padri sinodali
hanno scritto nel messaggio, a conclusione del Sinodo, nell’ottobre scorso:
«Un segno di autenticità della nuova evangelizzazione ha il volto del
povero… Perché nel volto del povero risplende il volto stesso di Cristo:
“Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me”» (Mt 25,40). E come, oggi, si sarebbe sentito in sintonia con
Papa Francesco, il quale, proprio ieri, nell’incontro con i giornalisti, tra
l’altro, ha affermato: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».
Un tema, questo, come sappiamo, molto caro a don Tonino, dove
traspare l’esigenza di una Chiesa evangelizzatrice, completamente vincolata
al suo Signore, che si traduce nel dono totale di sé, in uno stile di vita sobrio,
umile, spoglio, gioioso, appassionato, audace.
276
IL DECALOGO DELLA FEDE SECONDO DON TONINO*
Il XX anniversario della morte di don Tonino cade nell’Anno della fede. La
circostanza è quanto mai propizia per richiamare il suo pensiero sulla fede.
Raccogliendo alcune suggestioni si potrebbe stilare un “decalogo della fede”
secondo don Tonino.
Prima di ogni altra cosa, egli sottolinea che la fede è intimamente legata
alla vita (fede vissuta). «L’unico Vangelo che oggi il mondo sa leggere è il
libro della nostra vita: non sa che farsene dei nostri vaniloqui. Non lo interessano le professioni verbali di fede. Né si lascia incantare dallo splendore
dei cerimoniali senz’anima. Si fa sedurre solo dalle scelte concrete di una
esistenza spesa per gli altri»1.
Non dall’astrattezza delle cose, ma dal pieno coinvolgimento nella storia
di un popolo. La fede personale non può mai essere fede individuale, ma
sempre fede ecclesiale e per questo fede popolare. La fede è ricevuta attraverso altri credenti, è vissuta in un conteso comunitario, si rafforza nella
condivisone e nel confronto con gli altri. Insomma la fede che tutti professano è la fede che tutti testimoniano (fede di popolo). In molti scritti si
avverte l’emozione che don Tonino provava quando stava a contatto con la
fede della gente, espressa il più delle volte in modo semplice, ma non meno
accattivante e spettacolare.
È lui stesso ad usare questo aggettivo quando scrive: «Mi avete offerto
un indimenticabile “spettacolo di fede” Forse ho sbagliato a usare la parola
“spettacolo” La fede non si presta ad espedienti scenografici. Però quando
in una celebrazione eucaristica si sperimenta la coralità di tutto un popolo
che prega attorno all’altare o quando in una processione ci si accorge che la
preghiera sopravanza ogni distraente elemento di colore, non mi sembra
*
Omelia di mons. Vito Angiuli nel 20° anniversario della morte di don Tonino Bello. Cimitero, Alessano, 20 aprile 2013.
1
III, 191, p. 289.
277
fuori posto parlare di “spettacolo di fede” visto che l’espressione non corre il
rischio di alludere all’ambiguità della messinscena»2.
La vera fede non genera un’emozione spettacolare chiusa in se stessa,
ma apre il cuore a scrutare un grande orizzonte. La fede ha occhi penetranti,
capaci di scrutare il nuovo che avanza (fede come avvenimento).
Da qui la distinzione teologica tra futurum e adventus. Il futurum – scrive
don Tonino – «è la continuità di ciò che si incastra armonicamente, secondo
la logica del prima e del dopo. Secondo le categorie di causa ed effetto:
Secondo gli schemi dei bilanci, in cui, alle voci uscita, si cercano i riscontri
corrispondenti nelle voci entrata: finché tutto non quadra. E c’è una continuità secondo lo Spirito, che è l’adventus. È il totalmente nuovo, il futuro
che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e
repentino di ciò che non si aveva neppure il coraggio di attendere»3.
La fede vede in profondità e oltre la superficie e per questo suscita la
gioia (fede gioiosa). «I discepoli – afferma il Vangelo di Giovanni – gioirono al
vedere il Signore» (Gv 20,20). Il cristiano è un «cireneo della gioia»4 perché il
Dio in cui egli crede è «gioia […]; per questo ha appeso il sole innanzi a casa
sua!»5.
Se Dio è la sorgente di una fede gioiosa, il mondo è il luogo in cui essa
deve riversarsi. Per questo la fede si fa dialogo simpatico con il mondo. Non
dunque una fede che si barrica nelle segrete e inaccessibili stanze delle
sacrestie, ma una fede che si apre verso l’esterno e si rende presente nella
piazza (fede accogliente). Per questo don Tonino non si stanca di esortare i
credenti a vivere in un rapporto empatico con il mondo: «Amiamo il mondo
e la sua storia. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli
misericordia… Apriamo le nostre Chiese. Anche esteriormente siano segni,
sia pur lontani, dell’accoglienza di Dio»6.
2
V, 310, p. 317.
VI, 238, p. 233.
4
III, 151-152, pp. 228-230.
5
III, 111, p. 178.
6
II, 110, p. 97.
3
278
Una fede che ama è anche una fede che si mette a servizio a partire dai
più vicini (fede che si fa servizio vicendevole) perché «spendersi per i poveri,
va bene. Abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono esclusi da
ogni sistema e che sono emarginati da tutti i banchetti della vita, va meglio.
Ma prima ancora dei marocchini, degli handicappati, dei barboni, degli
oppressi, di coloro che ordinatamente stazionano fuori del cenacolo, ci sono
coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio […]. Il servizio
agli ultimi che stanno fuori non purifica nessuno, quando si salta il passaggio
obbligato del servizio agli ultimi che stanno dentro. Anzi si ritorce come
condanna perfino su chi crede che gli basti la riconciliazione procuratagli dai
sacramenti, quando poi snobba quella grande riconciliazione con la vita che
si raggiunge lavando i piedi del prossimo più prossimo Gli uni gli altri. A
partire dalle famiglie. Che non possono dirsi cristiane se non assumono la
logica della reciprocità. Perché, se il marito smania di lavare i piedi ai tossici,
la moglie si vanta di servire gli anziani e la figlia maggiore fa ferro e fuoco
per andare nel terzo mondo come volontaria, ma poi tutti e tre non si
guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro
testimonianza penosa. Che danneggia perfino i destinatari di un servizio
apparentemente così generoso»7.
Il servizio non è una prestazione d’opera, ma una “uscita da se stessi”
(fede esodale). La vita cristiana, dunque, si nutre di una spiritualità dell’esodo: «Esodo da dove? Dal nascondiglio di una fede rassicurante, intimistica,
senza sussulti»8.
Occorre mettersi in cammino. Assumere la mentalità del pellegrino.
Vivere con lo sguardo verso le cose ultime, mentre si fa uso delle cose
penultime. «La nostra fede – scrive don Tonino – deve avere la sensibilità
del nomadismo. Dobbiamo essere nomadi, uomini cammina-cammina,
persone che si mettono in viaggio. La fede non è qualcosa di stabilizzato per
sempre. A volte noi ci tuteliamo con gli stabilizzatori e siamo sempre
uniformi. C’è uno standard nella nostra vita: né un tantino in più, né un
7
8
II, 382-384, pp. 356-358.
II, 181, p. 158.
279
tantino in meno. Quella è la caratura. Non ci sono soprassalti, non ci sono
stupori, non ci sono sussulti. È malinconico! Significa non vivere; significa
non sperimentare più la gioia del cammino, l’ansia della ricerca, la tribolazione, la difficoltà, la preoccupazione, la paura e poi il soprassalto di gioia
quando sperimenti che la strada che stai percorrendo è quella giusta»9.
In verità, non basta camminare, bisogna correre (fede che ama la corsa).
Bisogna avere i “piedi di Giovanni” «che la mattina di pasqua, nella corsa
verso il sepolcro, si sono dimostrati di gran lunga più veloci di quelli di
Pietro, aggiudicandosi, a un palmo dalla tomba vuota, la prima edizione del
trofeo “fede, speranza e carità”»10.
Soprattutto bisogna vivere la fede come consegna di sé nelle mani di Dio
(fede come abbandono). «Fede – afferma don Tonino – significa “abbandono”: “Padre mio mi abbandono a te”. Sul Golgota Gesù ha compiuto l’atto
supremo di fede nei confronti del Padre. Sul Golgota risplende la fede di
Maria che, quando Gesù emette l’ultimo sospiro, rimane l’unica a illuminare
la terra per tutto il venerdì e il sabato santo. Bene, è il luogo della fede, il
Calvario […]. C’è una preghiera molto bella di Charles de Foucauld, che
traduce questo abbandono. Io avevo paura quando, stando in buona salute,
ogni sera la ripetevo. Adesso che sto ammalato la dico con gioia […]. Il
venerdì santo è il giorno della consegna […]. Ed è anche il giorno in cui
vogliamo fare un accaparramento grande di fede in modo da distribuirla a
tutti coloro che ne hanno bisogno»11.
La vergine Maria è il modello e il tipo della vera fede. Anzi, si potrebbe
dire che la Madonna è la fede fatta persona. Lei è il modello insuperabile di
una fede che abbraccia tutta la vita e la maestra che conosce il cammino
giornaliero per arrivare a un’identificazione tra fede e vita (fede feriale).
In questo Anno della fede, chiediamo a Maria di aumentare la nostra
fede. E preghiamola con le parole di don Tonino:
9
II, 235, p. 203.
II, 378, p. 351.
11
II, 415, pp. 404-405.
10
280
Vergine Maria, «fa’ che la luce della fede,
anche quando assume accenti di denuncia profetica,
non ci renda arroganti o presuntuosi,
ma ci doni il gaudio della tolleranza e della comprensione.
Soprattutto, però, liberaci dalla tragedia
che il nostro credere in Dio
rimanga estraneo alle scelte concrete di ogni momento,
sia pubbliche che private,
e corra il rischio di non diventare mai carne e sangue
sull’altare della ferialità»12.
12
III, 223, p. 323.
281
LA PORTA DELLA “MIA” FEDE
Lettera aperta di don Tonino*
Alessano, 20 aprile 2013
Cari amici,
forse vi sembrerà strano ricevere questa mia lettera a distanza di tempo.
Sono passati vent’anni dall’ultima volta che ci siamo scambiati parole
significative.
Devo, però, confessarvi che non ho potuto resistere all’impeto che mi ha
preso dopo aver letto il motuproprio di Benedetto XVI, Porta fidei. Le parole
del Papa mi hanno colpito profondamente per la verità dei contenuti, la
forza delle argomentazioni, la semplicità della scrittura. Mi sono sembrate
tanto più vere ora che Benedetto XVI ha rinunciato al suo ministero petrino
e sulla Cattedra di Pietro gli è succeduto Francesco, un Papa che già nel
nome annuncia una grande novità per tutta la Chiesa.
Ho letto il documento di Benedetto XVI tutto d’un fiato, come fosse una
lettera indirizzata alla mia persona perché ho avvertito che si trattava di uno
scritto che mi chiedeva di rivedere il mio cammino di fede in quanto
cristiano, sacerdote e vescovo.
Mi è sembrato che l’immagine della porta da varcare contenesse un
invito suadente ad attraversarla, senza esitazione e indugio, ma con generosità e allegria, senza indecisioni e tentennamenti, ma con fiducia e speranza.
Insomma, per dirla con parole altisonanti, che talvolta ho utilizzato anch’io,
sine modo e sine glossa.
Varcare la porta della fede!
Ma non avevo già varcato una, due e più volte quella porta che introduce
nella stanza del tesoro? La fede, infatti, è come uno scrigno che contiene un
*
Testo scritto da mons. Vito Angiuli per il XX anniversario della morte di don Tonino Bello,
20 Aprile 2013.
282
tesoro di grande valore, «il tesoro della vita», (Cirillo di Gerusalemme,
Catechesi 5 battesimale, 13).
Sì, cari amici, devo confessarvi candidamente che ho varcato la porta
della fede fin da quando “ho succhiato il latte”, cullato dolcemente dalle
braccia di mia madre Maria (che bel nome e quanta assomiglianza con la
Santa Vergine!). Fin da allora, ho avvertito che si trattava di una iniziazione
alla “gioiosa danza della fede”.
Avvertivo che i movimenti lenti e cadenzati di mia madre, accompagnati
da un nenia antica che cantava la dolce melodia dell’amore, eco dell’amore
misericordioso e gratuito di Dio, erano “parole di fede”, sussurrate teneramente e impresse nel mio animo come fossero spezzoni di una melodia
celeste.
Più tardi ho avuto la conferma e ho compreso (dati alla mano!) che nei
gesti e nella cantilena di mia madre vi era una implicita allusione alle grandi
opere compiute da Dio nella creazione e nella storia della salvezza.
Si è così instaurato un dialogo con questa donna, “sorgente e culla” della
mia vita che non si è più interrotto. Il cordone ombelicale della fede materna
non si è più spezzato. Anzi con il passare del tempo si è approfondito e
rafforzato, fino a trasformarsi in un sogno lungamente accarezzato e continuamente richiamato alla memoria.
Ho imparato a gustare le dolci atmosfere della famiglia nella quale ogni
gesto assumeva il sapore di una “liturgia domestica”, il flusso caldo di affetto
condito con i sapori genuini della casa e la dignità di parole che avevano la
forza di descrivere, anzi di costruire attorno a me un luogo che in seguito mi
sarebbe sembrato quasi un “paradiso terrestre”!
Sulle ginocchia di mia madre, mentre stringevo le mie mani al suo seno,
mi sembrava di abbracciare qualcosa di divino. Veniva così spontaneo “credere”. La fede (lo avrei capito meglio dopo) consisteva nel vedere in modo
chiaro che la realtà nasconde qualcosa di sublime, che toccare un corpo
significa avvertire un calore che trasmette il senso di una sicura protezione e
che lasciarsi accarezzare da una mano fa vibrare di gioia il cuore.
Sono queste le sensazioni che mi sono venute in mente la prima volta
che ho letto le parole del profeta Isaia: «Si dimentica forse una donna del
283
suo bambino così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche
se queste donne si dimenticassero, io, invece, non ti dimenticherò mai. Ecco,
ti ho disegnato sulle palme delle mie mani» (Is 49,15-16).
Tra le pareti domestiche ho assaporato il valore della fede che si esprime
come “comunione fraterna”. Ritrovarmi con i miei fratelli e mia madre attorno alla tavola per consumare un pasto frugale con la gioia che veniva dallo
stare insieme è stato un ammaestramento che non ho più dimenticato.
Avrei ben presto capito che riunirsi nello stesso luogo, condividere i beni
disponibili, spezzare il pane insieme, conversare fraternamente erano gesti
dal chiaro valore sacramentale ed eucaristico e che la fiducia reciproca era la
giusta atmosfera per comprendere il miracolo dell’unità.
Ho trascorso giorni felici nel mio paese, abitato da gente semplice che
conserva ancora oggi i tratti di una antica nobiltà. Lì ho imparato l’importanza dei “volti”. Nella Chiesa parrocchiale, per le strade del paese, nelle
case dei parenti e degli amici ho scoperto che il volto dell’altro è molto di
più di una semplice “figura esteriore”. Nei lineamenti di un bambino, di un
giovane o di un anziano è impressa una storia personale che nessuna parola
riesce compiutamente ad esprimere. Occorre avere “gli occhi dell’amore e
della fede” per vedere nell’altro i lineamenti del “Volto invisibile”, di quel
mistero che tutti ci avvolge.
Frequentando il convento dei frati cappuccini ho ammirato la luminosa
bellezza di “Madonna povertà”. La sua avvenenza mi ha sedotto! No, non ha
senso trattenere nelle proprie mani i beni materiali come fossero un tesoro
personale; non dà gioia vivere solo per l’arricchimento e l’accumulo di
denaro: la mente si inebria, il cuore si indurisce, i sentimenti si smorzano.
Rimane solo la falsa illusione di aver acquisito un potere che ben presto
mostrerà la sua vanità. Cari amici, ve lo dico con il cuore in mano: “Non
arricchitevi. Non vale la pena affannarsi. Guardate i gigli del campo: non
mietono, non seminano eppure Dio li nutre. Risplendono di un candore che
illumina la vista ed emanano un profumo che inebria il cuore”. La felicità
non è nelle ricchezze, ma è nascosta altrove!
Sostando alcuni anni a Bologna, ho scoperto dove era questo altrove. In
quella straordinaria città, fucina di nuove atmosfere, ho compreso che solo
284
la fede carica di amore ha la capacità di saziare il cuore dell’uomo. Una fede,
però, che non è solo uno sguardo rivolto verso il cielo, ma è un ardente
desiderio di entrare “nelle vene della storia”. Mi sono esercitato un poco a
percorrere i sentieri calpestati quotidianamente da tutti, assaporando le
gioie semplici e nascoste nella vita quotidiana: la fatica del lavoro, il bisogno
di compagnia, l’attenzione ai problemi sociali, l’impegno per la giustizia, la
sofferenza dei poveri, il dolore degli umili.
È stata una lezione di vita che ho cercato di trasmettere ad Ugento dove,
per un lungo periodo di tempo, mi sono impegnato a condurre per mano le
nuove generazioni e ad aprire loro i tesori nascosti nella fede in Cristo.
Credere in lui è una proposta di vita, un cammino mistagogico, un’educazione permanente. Vivendo a stretto contatto con i ragazzi e i giovani ho
voluto far percepire che la fede è vita e che la vita è bella.
La vita, però, ha anche i suoi lati imprevedibili e, talvolta, sembra prendere una direzione non prevista. Così, non senza qualche rimpianto, mi sono
trovato a lasciare la comunità del Seminario e ad assumere la responsabilità
della parrocchia di Tricase. Il clima effervescente che si respirava nel postconcilio e la frequentazione di sacerdoti e laici dotati di una forte personalità
hanno impresso un’altra svolta alla mia vita. Mi è parso più chiaro che la
fede deve diventare anima della società e deve innestarsi nel tessuto di un
popolo, trasformando dal di dentro la cultura e i valori di riferimento. Ho
vissuto poco tempo in questo nuovo ambiente, ma quegli anni sono stati
“travolgenti”, e hanno acceso un fuoco incontenibile, un amore appassionato e sconvolgente.
Per questo, quando mi hanno chiesto di trasferirmi a Molfetta, non è
stato facile lasciare la “mia” gente e quel mare accogliente come un grembo
materno e forte come un leone ruggente. Prima di partire, sono andato lungo il molo a cantare il mio amore e la struggente tristezza dell’addio. Come
due innamorati ci siamo scambiati reciproca ed eterna fedeltà e abbiamo
pattuito che, certo, ben presto ci saremmo rivisti. Sapevamo di non poter
fare a meno l’uno dell’altro. Ci siamo detti che la “lontananza non è come il
vento” e che la ”distanza non fa dimenticare chi si ama”. Quella sera (ma era
già notte avanzata) è stato molto difficile staccarsi da quel posto incan285
tevole. Non so bene come sono riuscito percorrere la strada del ritorno a
casa.
Mentre mi dirigevo a Molfetta, pensavo a queste cose e mi confortava il
fatto che anche lì avrei trovato il mare. Ma (ognuno lo comprende) c’è mare
e mare! Tuttavia, quasi volendo ingannare me stesso, dicevo che, a ben
vedere, l’acqua è sempre la stessa e che la somiglianza, talvolta, annulla la
differenza. Ho imparato così ad amare la nuova compagnia. E questa resa
obbediente alla Voce mi ha consentito di comprendere che la fede deve
assumere la forma di “segno” e di “servizio incondizionato verso tutti”.
Così, quasi per caso e senza un progetto ben definito in partenza, pur se
coltivato lungamente nel cuore fino a farlo diventare motto del mio nuovo
servizio ministeriale, mi sono imbattuto in una numerosa serie di “nuovi
amici”. Li ho incontrati nei posti più diversi, dove non avrei mai pensato di
poterli incrociare: abbandonati sopra la panchina di un giardino pubblico,
nascosti sotto una barca rovesciata sulla riva del mare, accasciati sulla soglia
di un portone di un palazzo, addossati accanto alle porte di bronzo delle
Chiese. (Non si è mai capito se erano le porte a sostenerli o se erano loro a
mantenere saldi gli stipiti e gli architravi di quelle splendide porte). Molti li
ho raccolti e li ho portati a casa. Ci siamo affezionati vicendevolmente. Avrei
voluto accoglierli tutti. Sapevo con certezza che ognuno di loro, pur se
all’apparenza poteva sembrare un “palazzo diroccato e di poco pregio”, in
realtà aveva il valore di una “cattedrale divenuta basilica maggiore”.
Lo confesso candidamente: questi gesti non sono stati condivisi da tutti.
Non sempre sono stato compreso. Talvolta gli equivoci e le diffidenze sono
state molto resistenti. Non nascondo che alcuni giudizi, taglienti e affilati
come lame che penetrano nella carne viva, hanno provocato in me non
poche ferite. Avevo però la chiara coscienza di percorrere il sentiero che mi
era stato indicato. Non quello scelto da me, ma quello sussurrato dalla Voce.
E questo mi ha dato fiducia. Così ho continuato ad amare tutti “fino alla
fine”, fin quando mi sono “ammalato d’amore”! La follia dell’amore non si
può spiegare se non a chi è disponibile a lasciarsi afferrare e consumare
dall’amore.
Mentre farneticavo, roso dal dolore e dalla malattia, mi sembrava di aver
286
“combattuto la buona battaglia e aver conservato la fede”. Nei momenti di
lucidità, ho affidato il giudizio sulla mia vita a chi ha più sapienza di me.
Se ho desiderato fare ritorno al mio paese è soprattutto per riposare per
sempre accanto a mia madre. Tremavo di tenerezza al pensiero che avrei
potuto ascoltare, ancora una volta come facevo da bambino, il suo caldo
respiro e l’incantevole suono delle sue dolcissime nenie.
Mi sembrava giusto ritornare nel luogo da cui ero partito per radicarmi in
modo più profondo nella mia terra e piantare il seme della speranza lì dove
essa mi era apparsa come stella che orienta il cammino.
Avevo visto fin da piccolo la sua luminosa bellezza. Non era la luce di una
qualsiasi speranza, ma di quella che si staglia sulla croce e poggia sulla
roccia, su Cristo Risorto, l’unico che ha il potere di spalancare la porta dell’eternità dalla quale è possibile accedere a quell’amore che brucia come un
fuoco inestinguibile.
Piantato come un seme nella nuda terra, ho continuato ancora a sognare
e, per quanto mi è possibile, a trasmettere le utopie della fede che hanno
dato sapore alla mia vita. Ed è da quel nascondiglio sotterraneo, cari amici,
che vi ho scritto questa lettera. Ho pensato di indirizzarla a Mons. Vito Angiuli,
Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, perché la faccia pervenire a tutti voi.
Siatene certi: non vi ho dimenticati. Vi porto tutti nel cuore. Per questo vi
saluto con affetto. Custodite anche voi, nel vostro animo, il ricordo della mia
persona. Così il dialogo potrà continuare e trovare vie di accesso più segrete
e personali.
Non dimenticate, però, di dire a tutti, anche a nome mio, che la vita è
bella e che la speranza non delude!
Se potete, venite a trovarmi. Sarà bello continuare a frequentarci e ad
apprezzare, nel silenzio della preghiera, l’inestimabile valore della fede,
perla preziosa per la quale vale la pena di lasciare ogni altra cosa. Non
sciupatela, ma arricchitela con la vostra testimonianza. Il mondo ne ha un
grande bisogno.
Vi saluto con affetto.
Vi voglio bene!
Vostro don Tonino
287
LA SCIA LUMINOSA DELLA SANTITÀ DI DON TONINO*
Le stelle sono tante. Chi può contarle?
Osservando il cielo, esse appaiono come migliaia di punti luminosi, diversi per intensità, colore e dimensione, che si trovano stampati su di un’unica
superficie a disegnare le più svariate forme. Distanti fra loro a volte per
migliaia di anni luce, esse sembrano occupare, per un effetto prospettico,
uno spazio contiguo nel cielo. Così, sin dai tempi antichi, è stato possibile
raggrupparle in modo da formare figure a cui è stato dato il nome di costellazioni. Guardando il cielo stellato ci si sofferma ora su una costellazione ora
su un’altra. Si impara così a riconoscere la loro configurazione e struttura, a
chiamarle per nome, a comprendere i rispettivi movimenti astrali.
Il cielo stellato sembra un telo trapunto di «buchi da cui filtra la luce
dell’infinito» (Confucio). Lo spettacolo è affascinante, anche perché il silenzio risuona di una celeste melodia. Le stelle non sono mute, ma hanno una
voce; sembrano «cinquecento milioni di sonagli» (Antoine De Saint Exupèry,
Il Piccolo Principe) che è piacevole ascoltare. Esse – scrive il profeta Baruch –
«brillano dalle loro vedette e gioiscono; Egli le chiama e rispondono:
“Eccoci!” e brillano di gioia per colui che le ha create» (Bar 3,34-35).
Al loro risveglio, di notte, le stelle intonano un canto che infonde nell’animo serenità e pace. «Quando avrete un peso sull’animo, – scrive Pavel
Florenskij – guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi,
quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la
tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi, da soli, col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete».
Il canto delle stelle inneggia alla sovrabbondanza dell’amore di Dio; un
amore che supera infinitamente i desideri e le aspirazioni dell’uomo. La
storia della fede del patriarca Abramo ha inizio con questa certezza. A lui
che desiderava ardentemente avere un figlio, Dio comanda di guardare il
*
Articolo di mons. Vito Angiuli pubblicato su “Il Grembiule”, n. 36, aprile 2013, pp. 1-2.
288
cielo e contare il numero delle stelle. A quella vista, Abramo comprende che
Dio non solo avrebbe esaudito il suo desiderio, ma gli avrebbe donato una
numerosa discendenza che nessuno avrebbe potuto contare. I suoi figli sarebbero stati un numero incalcolabile come le stelle del cielo (cfr. Gn 15,5).
Le stelle sono la voce del desiderio. Nel greco di Aristotele desiderio
corrisponde ad órexis, sostantivo che deriva dal verbo orégo (“porgo, sporgo, tendo”), e nel latino di Tommaso d’Aquino il termine indica l’adpetitus
intellectivus sive rationalis (“appetizione intellettiva o razionale”). Adpetitus
deriva da ad-petere e vuol dire “tendere a”. Nel latino antico, invece, desiderare significa osservare le stelle (sidera) con attenzione (la particella de
ha infatti un valore intensivo). Si allude così alla tensione a qualcosa di
indeterminato, che però attrae lo sguardo.
Il desiderio spalanca un’apertura che supera ogni realtà finita. Nessuna
cosa può dare all’uomo la soddisfazione completa che si chiama “felicità”.
Già Aristotele, annotava che l’uomo può essere felice solo per un dono
divino. Egli vive nella vertiginosa condizione di essere proteso a un compimento che non può venire realizzato con le sole forze umane. «Aspiro alle
stelle che non posso raggiungere», soleva dire Vincent Van Gogh.
In realtà, la più profonda aspirazione dell’uomo è la santità. Per volere di
Dio, essa da attributo divino è diventata comandamento e vocazione dell’uomo (cfr. Lv 19,2). Quando la fede incontra la vita, il desiderio si realizza e
la santità prende forma. All’orizzonte sorge una nuova stella: il cielo si
illumina di un nuovo splendore e nel firmamento sorge un nuovo punto di
orientamento. E così, un nuovo santo si aggiunge alla numerosa schiera dei
beati.
Anche i santi sono tanti. Chi può contarli?
Essi sono «una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni
nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stanno in piedi davanti al trono e
davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portano palme nelle mani. E
gridando a gran voce. “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono
e all’Agnello» (Ap 7,9-10).
Ognuno di loro lascia una scia luminosa: uno scintillante sentiero che
289
delinea il cammino da percorrere. Contemplando la loro vita è possibile
ammirare le azioni compiute, le parole pronunciate, i gesti effettuati, le
opere realizzate. E pian piano, la venerazione si trasforma in un desiderio di
consonanza e di conformazione con la loro luminosa bellezza.
20 aprile 2013: XX anniversario della morte di don Tonino. La sua tomba
è diventata la meta di una numerosa schiera di persone attratte dal suo
esempio. Quest’anno verrà ad Alessano anche un ospite illustre, il cardinale
Angelo Amato, Prefetto delle Congregazione dei santi. È il segno che la scia
luminosa della santità di don Tonino continua a brillare.
Sarà questo il momento favorevole per trasformare la venerazione in
imitazione e, seguendo le sue orme, giungere fino in fondo, anzi fino in cima
al sentiero dove egli ci attende?
290
“PERCHÉ CERCATE TRA I MORTI COLUI CHE È VIVO?” (Lc 24,5)*
Andiamo ad Alessano alla tomba di don Tonino!
Sempre più spesso si sente ripetere questa frase dalle associazioni di
laici, dai gruppi ecclesiali, da persone non praticanti o addirittura lontane
dalla Chiesa. Così la tomba di don Tonino è diventata quasi una tappa
obbligata che sacerdoti, religiosi e religiose, giovani e ragazzi, credenti e non
credenti si propongono di visitare.
A tutti coloro che vengono a visitare la tomba di don Tonino viene voglia
di ripetere la domanda rivolta da Gesù ai suoi discepoli: «Chi cercate?». Ed
ancora: Perché avete lasciato i luoghi della vostra vita quotidiana e siete
venuti a visitare una tomba? Cosa sperate di trovare? Cosa vi ha spinti a
percorrere tanta strada per venire fino ad Alessano, nel Sud Salento, nel
territorio de finibus terrae. Questa “tappa obbligata” alla tomba di don
Tonino esprime un desiderio, una consuetudine, una moda?
La risposta a queste domande non è univoca. Ogni pellegrino insegue un
sogno e crede di poterlo trovare proprio qui. C’è chi è deluso dalla vita e
cerca una nuova speranza. C’è chi ha perso la speranza e pensa di poterla
ritrovare proprio in questo luogo. C’è chi vive superficialmente e in modo
abitudinario e crede di poter ricevere un forte impulso e un nuovo vigore
per riprendere con più entusiasmo il suo cammino. C’è chi crede, ma
desidera diventare un testimone audace e senza compromessi con le false
illusioni. C’è chi non crede, ma avverte il fascino di una fede che è diventata
storia. C’è chi viene perché spinto a venire da una “corrente spirituale” da
cui egli si lascia liberamente trascinare.
Ma non è la stessa storia raccontata dai Vangeli? Non è l’avvenimento
che ha per protagonista la Maddalena, donna innamorata, la quale di prima
*
Omelia di mons. Vito Angiuli nella Messa in occasione della visita alla tomba di don Tonino
del Seminario Regionale Molfetta e dell’USMI di Bari, Parr. SS. Salvatore, Alessano, 1 maggio
2013.
291
mattina insieme ad altre donne si reca speditamente al sepolcro per sostare
ancora una volta accanto al Maestro amato? Non è la vicenda di Pietro e
Giovanni i quali, facendo a gara tra di loro, corrono l’uno più veloce dell’altro
per vedere la tomba rimasta misteriosamente vuota?
La tomba di Gesù attira! Anche la tomba di don Tonino attira!
E così, anche voi care religiose, come la Maddalena, avete percorso un
lungo tragitto da Bari fino ad Alessano per sostare e pregare accanto alla
tomba del Vescovo di Molfetta-Giovinazzo Ruvo e Terlizzi e riascoltare da
precedenti registrazioni la viva voce di don Tonino ripetervi quelle parole
udite durante la sua vita che vi hanno trafitto il cuore e non avete più
dimenticato.
E voi, cari seminaristi, siete venuti in questo luogo per dare forza e
sostegno al vostro cammino vocazionale e al vostro servizio ecclesiale. Nel
Seminario Regionale di Molfetta, dove risiedete durante gli anni di formazione al presbiterato, vi giungono gli echi dei gesti compiuti da don
Tonino proprio nelle strade e nelle contrade che voi stessi quotidianamente
percorrete. Avete, però, avvertito, che non basta vivere nella stessa città in
cui don Tonino ha esercitato il suo ministero di pastore. Nel cuore vi brucia
un forte desiderio: visitare i luoghi dove lui è nato e ha vissuto i suoi anni di
sacerdozio e incontrare le persone che lo hanno conosciuto fin dalla più
tenera età e ascoltare da loro i loro ricordi e le loro testimonianze. Volete, in
un certo modo, toccare con mano ciò che don Tonino ha amato e così
entrare più profondamente nella sua visione della vita e della fede.
Venire in questi luoghi non è solo una bella esperienza, è soprattutto una
necessità se si vuol comprendere in modo adeguato il messaggio che don
Tonino ha lasciato. Da questa gente e da questo ambiente egli ha attinto
l’humus vitale che poi ha trasfuso nei suoi scritti e nelle sue azioni.
Le sue parole riflettono la luce e i colori di questa terra. I suoi gesti
attingono e richiamano quanto egli ha visto e appreso dai suoi conterranei.
Mi sembra che egli ripeta a tutti noi un verso che avevo scritto in una mia
poesia: «Chiamami col nome di queste campagne: / da qui la mia eternità».
Venire e passare un po’ di tempo in questa terra salentina è, dunque,
292
indispensabile, ma non basta! Anzi, può essere controproducente se tutto si
riduce a intensificare l’emozione e a rassicurare l’anima. Don Tonino non è
un tranquillante, ma una persona che inquieta e chiede di vivere “notti
insonni”.
Per questo, care sorelle e cari giovani, oggi, ripeto a voi le parole del
Vangelo: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5).
È lo stesso don Tonino a spiegare il significato di questa espressione
evangelica. Così egli scrive: «Queste parole che i “due uomini” rivolgono alle
donne, la mattina di Pasqua, davanti al sepolcro vuoto di Gesù, sono le più
belle, le più stimolanti e le più impegnative del Vangelo. Le più belle. Perché
se Gesù non fosse risorto, la sua vicenda, per quanto straordinaria, sarebbe
stata semplicemente umana, suppergiù come quella di tanti uomini e donne
vissuti coraggiosamente e generosamente. Gesù l’avremmo potuto soltanto
stimare, ricordare, dedicargli qualche monumento sulle piazze. Le più
stimolanti. Perché, essendo risorto, vive accanto a ogni uomo e ogni donna
che credono in lui, per aiutarli a vivere come lui è vissuto. Le più impegnative, perché vivere accanto a lui, come lui, significa accogliere quelle parole
della mattina di Pasqua non in forma interrogativa ma affermativa: “Non
cercate tra i morti colui che è vivo. Non è qui, è risorto”. Quindi: “Andate e
vivete come lui, da risorti”».
Cercare don Tonino presso la sua tomba può diventare un inganno, se
questo gesto non dovesse spingere a cercarlo nella vita. Nasce spontanea
allora la domanda: Se non è qui, dov’è? Dove è possibile incontrarlo vivo e
riconoscerlo vivente?
Penso di non andare molto lontano dal suo pensiero se rispondo dicendo
che don Tonino è vivo nei sogni che noi coltiviamo. Sono sicuro che egli
ripeterebbe queste parole, soprattutto a voi, cari giovani: «No, ragazzi, non
abbiate paura di riscaldarvi adesso. Papini lo diceva: “Quando sarete vecchi
vi scalderete alla cenere della brace che è divampata nella vostra giovinezza”. Allora, quando sarete vecchi, andrete a trovare qualche pezzo di
carbone rovente dell’incendio che è divampato alla vostra età. Vi rimarrà
solo quel carboncino e vi scalderete a quello. Non abbiate paura quindi di
innamorarvi adesso, di incantarvi adesso, di essere stupiti adesso, di
293
entusiasmarvi adesso. Non abbiate paura di guardare troppo in alto, di
sognare per paura che poi la realtà vi metta tragicamente di fronte a ciò
che è».
Don Tonino è vivo nei sogni coltivati durante il giorno, a contatto con la
vita reale delle persone, entrando profondamente nelle “vene della storia”.
294
CONVEGNI DIOCESANI
Cento anni fa, il 18 giugno 1913, nasceva a Bari mons. Michele Mincuzzi, vescovo di Ugento-S.M. di Leuca dal 12 ottobre 1974 al 27 gennaio 1981: data della sua
nomina ad arcivescovo metropolita di Lecce.
La diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ha voluto ricordare il centenario dalla nascita con un convegno sul tema “I giorni della speranza” e con un volumetto dal titolo
“Servo per amore. In memoria di Michele Mincuzzi”, per esprimere la riconoscenza
della Chiesa diocesana verso il suo grande Vescovo.
Il Convegno, presieduto da mons. Vito Angiuli, si è svolto Il 17 aprile presso
l’auditorium parrocchiale di Alessano, nell’ambito del programma delle celebrazioni
del dies natalis del Servo di Dio don Tonino Bello, per il quale mons. Mincuzzi aveva
una particolare predilezione.
“I GIORNI DELLA SPERANZA”*
Dopo una breve introduzione del Vescovo sul significato dell’evento,
hanno relazionato mons. Salvatore Palese e il prof. Giovanni Invitto.
Don Salvatore, vicario episcopale per la cultura, ha ripercorso l’azione
pastorale del vescovo Mincuzzi negli anni ugentini, mettendo in risalto i
momenti che hanno caratterizzato la ripresa pastorale della diocesi nel periodo post-conciliare.
La regolamentazione e l’istituzione degli organismi partecipativi a livello
centrale e periferico, il rinnovamento liturgico e della catechesi, l’apertura di
orizzonti più vasti nell’ambito della carità, l’adeguamento del seminario vescovile, lo slancio missionario della diocesi, furono le tappe più significative
del cammino pastorale di quegli anni. Un cammino non facile, non privo di
*
Convegno su mons. Michele Mincuzzi nel centenario della sua nascita, Alessano 17 aprile
2013.
295
resistenze, al quale mons. Mincuzzi dedicava tutte le sue energie di Pastore
innamorato della sua “piccola” Chiesa.
Significativa fu la sua attenzione al patrimonio artistico e documentale
delle parrocchie e delle confraternite. Promosse la ricerca per una maggiore
conoscenza sulle vicende storiche della diocesi e valorizzò le settimane diocesane di aggiornamento pastorale all’inizio della quaresima.
Una preoccupazione costante fu la cura verso il laicato e la sua formazione; per avere laici più responsabili fondò in Ugento la scuola diocesana di
teologia. A Ruffano e a Taurisano istituì nuove parrocchie per favorire una
pastorale più vicina alle esigenze dei fedeli.
Era un acuto osservatore della realtà sociale nella quale viveva la chiesa
ugentina e fu un vescovo attento ai problemi dei lavoratori. Ebbero vasta risonanza i suoi appelli alle pubbliche autorità per gli emigranti – egli stesso li
visitò in Svizzera più volte – e per l’acqua come bene di tutti: argomento
questo che fu oggetto di un convegno a S. Maria di Leuca. La svolta conciliare – ha concluso don Salvatore Palese – è la sua preziosa eredità e rimane
come indicazione fondamentale degli sviluppi successivi della pastorale
ugentina.
La relazione del prof. Giovanni Invitto, ha descritto il contesto in cui
mons. Mincuzzi si trovò a operare come Pastore nella arcidiocesi di Lecce,
delineando un uomo e un vescovo che coltivava il rapporto personale schietto ma profondo.
Sulla stessa linea, le testimonianze previste dal programma dei laici, Vito
Cassiano, Gigi Lecci e Claudio Morciano, per la diocesi di Ugento, e Pino
Sparro e Maria Rita Verardo per la diocesi di Lecce.
Il vescovo mons. Vito Angiuli ha concluso la manifestazione esprimendo
in primo luogo la riconoscenza della Chiesa diocesana verso il suo predecessore, la cui memoria è doveroso custodire e trasmettere: per questo la Diocesi ha voluto ricordare l’evento con un volumetto curato da Gigi Lecci
“Servo per amore. In memoria di Michele Mincuzzi”. La presentazione è di
mons. Angiuli e la nota biografica finale di mons. Palese. Sono pubblicate alcune omelie di mons. Mincuzzi e scritti su don Tonino Bello.
Con don Tonino, sull’esempio di Gesù Cristo, Michele Mincuzzi aveva in
296
comune la visione del cristiano come servo. Anche se in modi diversi – ha
concluso mons. Angiuli – i due vescovi hanno coltivato lo stesso ideale di vita
e hanno vissuto una profonda sintonia pastorale, frutto di uno stretto legame sacramentale e spirituale.
Al termine mons. Angiuli ha colto l’occasione per presentare il volume
edito da Congedo di Galatina, Preti del Novecento nel Mezzogiorno d’Italia.
Repertorio biografico del clero della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, a
cura di Salvatore Palese ed Ercole Morciano.
Ercole Morciano
297
CONVEGNO SUL CONCILIO VATICANO II
A cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II, la Consulta delle Aggregazioni Laicali ha organizzato due incontri di aggiornamento pastorale a livello diocesano, per riflettere sui temi affrontati da uno degli avvenimenti più significativi
del secolo scorso, non solo per la Chiesa ma per il mondo intero.
Nel primo incontro, svoltosi l’11 aprile 2013 presso l’oratorio parrocchiale di Acquarica del Capo, il tema è stato “L’apostolato dei laici a 50 anni dal Concilio Vaticano II”.
I responsabili di alcune associazioni laicali si sono soffermati a riflettere sul documento conciliare “Apostolicam Actuositatem”, rilevandone contenuti, aspettative
e speranze, ed evidenziando lentezze, ritardi e difficoltà nel superare il concetto di
laici come “longa manus” della gerarchia, che ancora oggi permane nella prassi pastorale.
Nel secondo incontro, svoltosi il 22 giugno 2013 nel teatro della parrocchia
“Sant’Antonio da Padova” in Tricase, è stato sviluppato il tema “Concilio Vaticano II
e Chiesa ugentina”.
Di questo secondo convegno se ne dà di seguito una sintesi.
“CONCILIO VATICANO II E CHIESA UGENTINA”
Nell’introdurre il Convegno, Antonietta De Giuseppe, presidente diocesana del UCIM. ha affermato: “Oggi avremo il contributo di alcuni tra quelli
della nostra Chiesa locale che hanno vissuto il tempo del Concilio e del post
Concilio in maniera molto intensa. Essi ci aiuteranno a riflettere su ciò che
ha rappresentato questo evento nella Chiesa italiana e nella Chiesa ugentina
e la ripercussione che ha avuto nella società civile”.
Ha quindi passato la parola per il primo intervento a mons. Salvatore Palese, docente di Storia della Chiesa, il quale ha tracciato a grandi linee le
tappe e i temi più significativi di questo avvenimento epocale. Da storico, ha
puntualizzato che il Concilio Vaticano II ha avuto avvio il 25 gennaio 1959,
298
quando fu annunciato, ma che ancora non è concluso sia perché i temi proposti sono sempre attuali sia per gli effetti che continua a produrre.
Agli inizi della seconda metà del Novecento, dopo una delle guerre più
tragiche e sanguinose che ha dato il via alla sfida atomica con la sua immane
potenza distruttrice, si apriva uno dei periodi più creativi e di grande sviluppo della storia, con le imprese spaziali appena iniziate e la scoperta dei primi
segreti biologici dell’individuo, come il DNA. Rimanevano lacerazioni profonde tra le nazioni, in campo politico, economico e sociale, e la divisione
del mondo in due blocchi contrapposti, sempre sul punto di collidere e generare nuovi conflitti.
Si ponevano sfide nuove.
Papa Giovanni XXIII lo intuì e comprese che bisognava operare un grande
sforzo di rinnovamento all’interno della Chiesa. Il mondo stava cambiando e
la Chiesa era chiamata a compiere la sua missione in questo cambiamento.
Bisognava ripensare la dottrina – il deposito della fede – per esporla in maniera più chiara e aggiornata, più comprensibile all’uomo contemporaneo.
Giovanni XXIII pensò a un Concilio, e fu così che la sera del 25 gennaio
1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, nella Basilica di
San Paolo Fuori le Mura, a conclusione della Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani, sorprese tutti, annunciando la volontà di indire un nuovo
Concilio Ecumenico.
Tre anni di intensa preparazione e il coinvolgimento di 2500 vescovi, ai
quali venne chiesto di indicare i punti della dottrina cristiana da aggiornare, i
problemi che il popolo cristiano viveva nel proprio quotidiano, gli aspetti
della pastorale da migliorare, fecero pervenire sulla scrivania del Papa, da
tutto il mondo, una enorme quantità di suggerimenti, di richieste, di esigenze per il lavoro collegiale.
L’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. La presenza
di circa tremila membri provenienti da tutte le parti del mondo rappresentava l’espressione più alta di ecumenicità. Il successore Paolo VI lo concluse
l’8 dicembre 1965.
Il Concilio fu una risposta nuova ed efficace alle domande e alle aspettative dell’uomo moderno. La dottrina della fede cristiana fu ripensata e ri299
formulata in modo magistrale, così come si può leggere nelle quattro costituzioni: Sacrosanctum Conclium (4 dicembre 1963), Lumen Gentium (21 novembre 1964), Dei Verbum (18 novembre 1965), Gaudium et Spes (7
dicembre 1965).
La sostanza dell’insegnamento apostolico non cambiava, ma cambiava il
modo di presentarlo e di trasmetterlo. Si ripristinavano le motivazioni originarie ed essenziali dell’evangelizzazione. Ai quattro grandi documenti si aggiunsero via via nove decreti riguardanti i vescovi, i presbiteri, i religiosi e i
laici; seguirono pure tre dichiarazioni sull’educazione cristiana, sulle relazioni con le religioni non cristiane e sulla libertà religiosa.
La riflessione dottrinale portò i Padri conciliari a chiedersi come impostare in futuro la pastorale. Proposero un grande progetto di rinnovamento spirituale e istituzionale che portasse a un cambiamento radicale che coinvolgesse tutti, dal vertice alla base.
Iniziò una grande rivoluzione culturale che è ancora in atto. Un cammino
che nella diocesi di Ugento fu accolto con passione e determinazione dai vescovi che si sono succeduti, i quali si sono avvalsi nella loro azione pastorale
della intelligenza, della dottrina e dell’impegno di preti come mons. Antonio
De Vitis, don Tonino Bello, don Tito Oggioni-Macagnino, don Benedetto Serino, don Ugo Schimera, don Mimmo Ozza, per citarne solo alcuni, e dell’impegno di tanti laici, soprattutto di Azione Cattolica, nel tradurre concretamente le indicazioni conciliari.
Una disamina dei fatti più rilevanti in merito alla ricezione del Concilio
nella Chiesa ugentina, immediatamente dopo e fino alla presenza di mons.
Michele Mincuzzi in diocesi, è stata proposta da Gigi Lecci.
I primi anni del dopo Concilio furono di grande fervore. Sotto la guida di
mons. Ruotolo iniziò una azione di rinnovamento convinta ed entusiasta,
portata avanti dall’Azione Cattolica e sostenuta da don Tonino Bello.
Azione di rinnovamento che è continuata sotto l’amministrazione apostolica di mons. Riezzo, arcivescovo di Otranto, dopo il ritiro nella trappa di
mons. Ruotolo. La lunga assenza di un vescovo diocesano non fiaccò gli animi. Anzi, sotto la guida silenziosa, discreta, paterna del vicario generale
mons. Antonio De Vitis e stimolati dalla profonda e lucida azione formativa
300
di don Tonino, si passò via via dal rinnovamento liturgico a quello teologico
e pastorale. Don Tonino spiegava, illustrava, incoraggiava, preoccupandosi
soprattutto di far cogliere il significato profondo che il rinnovamento liturgico
portava con sé sul piano teologico e pastorale. Alla luce del Concilio, intraprendeva, con altri sacerdoti, un’azione di approfondimento dottrinale, di conoscenza più matura della Bibbia e del suo messaggio di salvezza e la promozione del laicato, in una visione nuova di Chiesa, intesa come Popolo di Dio.
L’apporto dell’Azione Cattolica in quegli anni fu notevole. Sotto la guida
dello stesso Gigi Lecci, primo presidente unitario diocesano dal ’70 al ’76, e
di don Tonino Bello, primo assistente unitario, attuò un notevole programma di formazione, col contributo di personalità prestigiose sotto il profilo
culturale e teologico, come il filosofo Italo Mancini, Luigi Pedrazzi, Mario
Cattaneo, don Fortunato Spertini e altri.
Il 10 novembre 1974, dopo sei anni di sede vacante, arrivò in diocesi
mons. Michele Mincuzzi, proveniente da Bari. Il saluto di ingresso fu straordinario. Pur essendo abituati al linguaggio efficace e vibrante di don Tonino,
quello di Mincuzzi era diverso: dinamico, pregnante, profetico.
Al suo arrivo in diocesi, Mincuzzi trovò avviato un gran lavoro di formazione e significativi rinnovamenti e cambiamenti, particolarmente in campo
liturgico.
Ma per lui non bastava.
Bisognava andare avanti, uscire dal ghetto, aprirsi al mondo, immergersi
in esso e dialogare. Bisognava centrare tutta la pastorale sulla ricezione del
Concilio Vaticano II. Non voleva una pastorale esangue e senza storia. Voleva che l’azione della Chiesa si facesse carico della situazione umana, sociale
ed economica della terra del Basso Salento.
E agì di conseguenza.
Promosse iniziative in campo sociale attraverso il Comitato Evangelizzazione e Promozione Umana, da lui costituito; si spese in un’intensa e capillare azione di coscientizzazione e informazione nelle parrocchie, anche
attraverso volantinaggio, su temi ecclesiali e sociali; elaborò un Piano quadro per la pastorale diocesana e promosse nel 1979 il Convegno ecclesiale
diocesano “Siamo una Chiesa viva?”.
301
Fu proprio questo convegno, con il quale si voleva dare il via a un cammino più deciso, che dette origine a incomprensioni e disagi. Mons. Mincuzzi
nel 1981 passò alla Chiesa metropolita di Lecce.
Vito Cassiano, segretario del Consiglio Pastorale Diocesano per diversi
anni, ha descritto la situazione che si era sviluppata subito dopo l’arrivo di
mons. Mario Miglietta, già arcivescovo di S. Angelo dei Lombardi.
Mons. Mincuzzi, prima di trasferirsi, aveva impostato in modo nuovo tre
strutture per una crescita organica della vita ecclesiale e pastorale in diocesi:
il Consiglio Pastorale Diocesano che aveva come punto di riferimento don
Tonino Bello, anche se per poco tempo, perché nominato poi vescovo di
Molfetta; la Scuola di Teologia, con il compito di dare una formazione teologica e culturale più sistematica e duratura rispetto alle Settimane Teologiche, affidata a don Salvatore Palese, il quale ne assunse la direzione; l’Ufficio
Pastorale Diocesano, affidato a don Tito Oggioni Macagnino, pro vicario generale, con il compito di riorganizzare la Curia in vista di un’azione non solo
amministrativa ma soprattutto pastorale ed evangelica.
Mons. Miglietta confermò e sostenne il cammino avviato, favorì la crescita dei germogli di rinnovamento piantati e affidati alla cura solerte e operosa di Don Tito, ma prima di intraprendere qualsiasi nuova azione, volle che si
approfondisse il Direttorio Pastorale dei Vescovi “Ecclesiae Imago”, documento che costituì la struttura portante di tutta la pastorale degli anni ’80
prodotta dall’Ufficio Pastorale e impersonata emblematicamente dal ministero di don Tito.
Negli stessi anni fu determinante anche il ruolo del Consiglio Pastorale
Diocesano, in quanto, recependo l’azione espletata da don Tito col suo Ufficio, divenne struttura fondamentale di promozione della vita ecclesiale.
Il Piano Pastorale della Chiesa italiana “Comunione e Comunità” si tradusse per la Diocesi di Ugento in strumento operativo per riprendere quel
processo sinodale che mons. Mincuzzi aveva tentato di avviare con la proposta del Convegno “Siamo una chiesa viva?”.
Per la formulazione del nuovo Piano Pastorale si organizzarono incontri
in tutte le parrocchie, coinvolgendo tutto il Popolo di Dio. Grande apprezzamento riservò a questo testo don Tonino, già vescovo, quando gli fu sot302
toposto ancora in bozza, tanto che lo tenne in considerazione nel preparare
il suo primo piano pastorale dal titolo “Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi”.
Qualche tempo dopo la pubblicazione del Piano, don Tito partì in missione, in Rwanda; don Tonino, diventato vescovo, veniva molto raramente in
diocesi; don Salvatore, divenuto sempre più esperto in storiografia, chiamato ad altri incarichi fuori Diocesi, lasciò la direzione della Scuola di Teologia
che a mano a mano si depotenziò.
Si instaurò nella Chiesa ugentina un processo di normalizzazione. Avvenne lo smantellamento della struttura lasciata da Mincuzzi: il Comitato Evangelizzazione e Promozione Umana si sciolse, i Consigli Pastorali divennero
sempre meno efficienti e significativi, ma il fiume del Concilio Vaticano II
continuò a scorrere, a volte sotterraneo a volte in superficie, ma con momenti di stagnazione.
Non tutte le strutture ereditate dal passato, però, andarono perdute: le
Settimane teologico-pastorali continuano ancora oggi e sono svolte sempre
con molta cura e con impiego di notevoli risorse intellettuali.
Nel suo intervento conclusivo, il vescovo mons. Vito Angiuli ha espresso
il suo interesse per questa memoria ecclesiale che si è fatta presente nel
racconto appassionato di alcuni suoi protagonisti e ha auspicato che il lavoro
di apprendimento e di riapprofondimento di quello che è stato il Concilio
nella diocesi ugentina, sia portato avanti anche in maniera critica e approfondita, perché la memoria ha valore se è condivisa, quando cioè si dispiega
come memoria ecclesiale, come traditio.
Il Vescovo ha sottolineato, inoltre, che da parte dei relatori c’è stato
l’aspetto della testimonianza di vita vissuta, ma anche il tentativo di dare
una visione complessiva scientificamente corretta. Questa memoria ha bisogno di essere costruita pertanto da quanti hanno vissuto quei fervidi decenni, purché diventi patrimonio comune ed eredità da valorizzare.
Utilizzando un’immagine che fu di Paolo VI, ha poi aggiunto: “Il Concilio è
una sorgente dalla quale scaturisce un fiume”. Immagine che mette in risalto
la dinamicità del processo: non solo evento che si è concluso, ma flusso che
continua.
303
È importante capire in che senso in questa diocesi è stato recepito il
Concilio e in che senso si è sviluppato e si va sviluppando.
Al termine, il Vescovo ha paragonato la vicenda postconciliare della diocesi ugentina, così come è stata delineata dai relatori e così come è ancora
oggi, a quello che si è verificato e si verifica nella Chiesa universale.
L’attuazione del Concilio rimane ancora, dopo cinquant’anni, l’impegno
principale del nostro essere Chiesa nel momento storico che viviamo.
Vito Cassiano
304
PER LA STORIA
DELLA CHIESA DI UGENTO - S. MARIA DI LEUCA
L’EVANGELIZZAZIONE DEL MONDO CONTEMPORANEO
L’evangelizzazione è l’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del proprio
tempo.
Per rendere efficace questo impegno, ribadito con forza dal Concilio Vaticano II
nel capitolo IV della Gaudium et spes, Paolo VI indisse un Sinodo che si svolse a Roma dal 27 settembre al 26 ottobre 1974 con la partecipazione di 209 Padri Sinodali,
dal tema “L’evangelizzazione nel mondo moderno”.
Si trattava di studiare il modo come “Rendere la Chiesa del XX secolo sempre più
idonea ad annunziare il Vangelo all’umanità del XX secolo”, come ebbe ad affermare in seguito lo stesso Paolo VI nella Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi
(EN 2).
In questa assemblea i padri sinodali misero ancora una volta in rilievo l’essenziale carattere missionario della Chiesa e il dovere di ogni membro della Chiesa di
dare testimonianza a Cristo in tutto il mondo. In questo contesto, l’argomento allora diffuso della “liberazione” fu collegato all’opera di evangelizzazione nel cercare
di liberare popoli e persone dal peccato.
Le raccomandazioni e le proposte che i Padri Sinodali sottoposero al Santo Padre furono tenute in grande conto da Paolo VI nella formulazione dell’Esortazione
Apostolica Evangelii nuntiandi dell’8 dicembre 1975.
***
Il Sinodo dei Vescovi fu istituito da Paolo VI con il Motu proprio “Apostolica sollicitudo” del 15 settembre 1965.
Alla recita dell’Angelus Domini di domenica 22 settembre 1974 lo stesso Paolo
VI diede la definizione del Sinodo dei Vescovi: “È un’istituzione ecclesiastica, che noi,
interrogando i segni dei tempi, e ancor più cercando di interpretare in profondità i
disegni divini e la costituzione della Chiesa cattolica, abbiamo stabilito dopo il Concilio Vaticano II, per favorire l’unione e la collaborazione dei Vescovi di tutto il mondo con questa Sede Apostolica, mediante uno studio comune delle condizioni della
Chiesa e la soluzione concorde delle questioni relative alla sua missione.
Non è un Concilio, non è un Parlamento, ma un Sinodo di particolare natura”.
307
CONTRIBUTO UGENTINO AL SINODO*
1973
Nota introduttiva
I sacerdoti della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, nelle rispettive sedi foraniali, hanno esaminato il documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi
“L’evangelizzazione del mondo contemporaneo”. Essi hanno valutato il documento non tanto come un questionario cui bisognava dare delle risposte
utilizzabili per rilievi statistici, quanto come un’occasione stimolante di riflessione e d’impegno su temi pastorali di vivissima attualità.
Le conclusioni emerse dai raduni foraniali sono state unificate e sintetizzate nella presente relazione.
Parte prima
Dati che possono favorire l’evangelizzazione (p. 7)
Si osserva in genere che, con sfumature più o meno accentuate, questi
dati sono presenti anche nelle nostre zone, caratterizzate da una forte popolazione studentesca e da un alto tasso di emigrazione.
Dati che possono ostacolare l’evangelizzazione (pp. 8-10)
A. Ostacoli al di fuori della Chiesa
1. In merito alla cultura moderna c’è da dire questo: non è la cultura moderna in quanto tale a offrire concezioni dell’uomo e della vita chiuse a
Dio e al Vangelo; è piuttosto, la massificazione della cultura, che comporta una larga frangia di superficialità, a connotare lo scarso approfondimento dei valori supremi dell’esistenza.
2. L’ateismo da noi si realizza su livelli pratici, vita godereccia, guadagno facile, elasticità di comportamenti morali, insofferenza nei confronti della
*
Contributo dei sacerdoti della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca allo schema di lavoro per il
Sinodo dei Vescovi del 1974, conservato nell’archivio della Conferenza Episcopale Pugliese.
Il testo è stato stilato nel dicembre 1973 e si hanno buoni motivi (stile, chiarezza, impostazione) per pensare che la stesura sia stata opera di don Tonino Bello.
308
3.
4.
5.
6.
predicazione morale della Chiesa… Più che di ateismo, occorrerebbe parlare di agnosticismo o indifferentismo.
La secolarizzazione delle istituzioni è di ostacolo in quanto estromette la
Chiesa (o meglio il Clero) da alcuni ambienti di vita; è però positiva perché riduce sempre più l’ambito di supplenza e aumenta, invece, l’ambito
di competenza. Certo, c’è un clima materialistico generale.
Quando si parla di trasformazioni sociali, nel nostro ambiente, emerge
subito il problema dell’emigrazione. Il 15% della popolazione, nella nostra
Diocesi di Ugento, è all’estero. A questa cifra si aggiungano le migrazioni al
Nord e quelle stagionali in Basilicata per la coltivazione del tabacco.
Ora, nonostante i risvolti positivi di questa mobilità sociologica, è chiaro
che gli aspetti negativi prevalgano: ridotte possibilità di incontri, sfiducia
degli emigranti in tutte le istituzioni, disagi familiari con conseguenti
problemi morali…
L’infittirsi delle relazioni internazionali e la rapidità con cui le vicende del
mondo vengono conosciute, più che costituire un ostacolo all’evangelizzazione, contribuiscono a creare un senso di solidarietà dalle dimensioni veramente planetarie: il che è in profonda sintonia col Vangelo.
I valori tradizionali reggono ancora, ma sono già scossi, specialmente nei
giovani. È forte ancora il valore “famiglia”. È in crisi profonda la religiosità
tradizionale (il che non sempre è un male); tale crisi però coinvolge anche la credibilità della Chiesa.
B. Ostacoli all’interno della Chiesa stessa
1. La crisi di fede che coinvolge oggi tanta gente deriva dalle crepe che si
sono verificate nel sottosuolo culturale su cui la fede finora si ergeva.
Questa ha fatto leva sul tradizionalismo, più che sulla convinzione profonda e sull’evangelizzazione capillare; i contraccolpi non potevano essere che gravi.
2. Non sono filtrati nelle nostre comunità i contenuti delle teorie della
“Morte di Dio” o del “Cristianesimo senza religione…” Si è preso atto, a
livello culturale, dell’esistenza di tali tendenze, ma senza alcuna, sia pur
minima, condivisione di esse.
309
3. Le verità centrali della fede non sono messe in discussione dai fedeli.
Una certa confusione dottrinale in mezzo al popolo viene favorita
dall’intenso proselitismo dei “Testimoni di Geova”. Qualche incertezza e
perplessità, in merito ad alcuni problemi teologici, si introduce di passaggio nella struttura culturale di qualche sacerdote.
4. Nell’ambito del Clero diocesano non ci sono grosse fratture circa l’interpretazione delle esigenze morali del Vangelo, anche se alcuni sacerdoti
fanno leva maggiormente sulla coscienza personale dei fedeli e altri, invece, si attestano di più nella difesa dell’ordine morale oggettivo.
5. Il linguaggio religioso, e dei sacerdoti e dei laici, nonostante i sinceri tentativi di molti che vogliono “incarnare nel vivo” il messaggio cristiano,
rimane ancora teorico, giuridicistico, astratto, incomprensibile, di scarsa
presa.
6. Non crediamo che la nostra Chiesa locale sia di ostacolo al Vangelo, ma
da un attento esame di coscienza non possiamo neppure dire che ne sia
la rivelazione genuina. Dovrebbe purificarsi ancora dalle rughe del formalismo, del ritualismo, dell’interesse, del legame con i “forti”…
7. Spesso, per avere favori, sbrigare pratiche assistenziali, sistemare gente,
costruire canoniche, oratori, chiese, avere cantieri, corsi… ci si è troppo
legati al potere civile, apparendo più alleati del potere che dei poveri.
8. Per fortuna, insieme all’introdursi di usi disciplinari e liturgici “diversi”
dovuti a un “sano” pluralismo esistente oggi nella Chiesa, si va diffondendo anche la convinzione della “novitas” cristiana, che rifiuta ogni fissismo e ogni congelamento di costumi e di formule. Non pare che questa
“diversità”, marginale del resto, sconcerti gran che i nostri fedeli.
Parte seconda
Esame approfondito di alcune intuizioni del Vaticano II (pp. 13-15)
A. Il Concilio, trattando del problema della salvezza e non limitando questa
ai membri visibili della Chiesa, ha dato un’impostazione liberante e stimolante a tutto il nostro dinamismo pastorale. Non è vero che abbia addormentato nel quietismo lo slancio missionario. Ha liberato, semmai, da
scorie di proselitismo e di enfasi propagandistica tale slancio.
310
B.
C.
D.
E.
F.
Circa la teoria dei “cristiani anonimi”, della “salvezza senza il Vangelo”…
l’unica cosa che ci sembra di poter dire in modo sintetico è questa: lasciamo libero Dio e non imprigioniamolo nelle nostre formule restrittive,
specialmente quando è in gioco la salvezza degli altri. Se insistiamo sulla
liberalità di Dio, il nostro impegno non solo non diminuirà, ma troverà
spazi nuovi di espressione.
Per ciò che riguarda la libertà di coscienza, ribadita dal Vaticano II, va ricordato che questo valore, a parte alcune interpretazioni errate dovute a
ignoranza, si va facendo molta strada qui da noi. Da una religiosità imposta si va verso una religiosità proposta e, se accettata, vissuta davvero.
L’essenza della Chiesa è quella di essere “segno e strumento” della salvezza del mondo. L’aspetto più importante, perciò, è la credibilità, la lucentezza, la significazione di questo “segno”, non tanto la sua dimensione quantitativa.
Quest’ultima dovrà scaturire dall’esigenza che chiunque abbia visto e capito questo “segno” per gli altri.
Dio solo sa i luoghi di appuntamento che egli fissa con gli uomini. Noi, di
certo, sappiamo solo che essi sono molti e che la Chiesa è sicuramente
un luogo sicuro dove Dio si incontra con gli uomini e li salva.
Dobbiamo essere molto cauti, rinunciando anche alla voglia di inquadrare i piani di Dio nei nostri schemi concettuali.
Il quesito è molto arduo, anche nella formulazione. Comunque, ci pare di
poter dire questo: ciò che la sensibilità contemporanea oggi percepisce
di più non è tanto la salvaguardia della trascendenza del Verbo, quanto
la vicinanza del Cristo ai nostri problemi umani, da lui vissuti e sperimentati, duemila anni fa, in modo autentico e concreto. La presentazione di
Cristo “uomo autentico” spiana la via alla comprensione del Cristo Dio.
Quello che possiamo dire noi sacerdoti immersi nei problemi pastorali, a
proposito dei segni dei tempi, è che attorno a quest’espressione è germinata molta retorica che, se a volte introduce una nota di ottimismo nel
nostro lavoro, altre volte ci confonde le idee.
Su questo punto chiediamo ai nostri vescovi un intervento di chiarificazione concettuale.
311
G. Non sentiamo come vivo, pratico e nostro, il problema enunciato in questo paragrafo. Lo avvertiamo come un problema raffinato e teorico.
Le antinomie dell’evangelizzazione da ridurre in sintesi
Intorno a questo capitolo osserviamo in blocco quanto segue: la sottolineatura tattica di alcuni aspetti della verità, dettata da ragioni di contingenza, dà spesso l’impressione che vengano negati altri aspetti complementari
della stessa verità. In effetti non è così: bisogna oggi abituarsi a ritenere sottintesi questi aspetti complementari della verità, anche quando vengono
completamente taciuti. Questo silenzio sugli aspetti complementari, infatti
rientra nello stile del linguaggio contemporaneo che, per farsi ascoltare, deve per necessità di cose divenire un tantino paradossale e massimalista.
È chiaro che coloro i quali oggi sostengono che l’evangelizzazione si concretizza nella testimonianza non intendono escludere la trasmissione e la
proclamazione della dottrina oggettiva del Vangelo.
Così pure, coloro che presentano Cristo come liberatore da tutte le forme
di ingiustizia e di oppressione o come fautore della promozione umana, non
vogliono certo svilire il fatto fondamentale che Cristo ci ha liberati dal peccato.
Oggi, della verità, si preferiscono sottolineare gli aspetti che per lungo
tempo sono stati mortificati. Occorre, pertanto, negli operatori della pastorale, da una parte abituarsi alla lettura, sfrondando le frange dell’enfasi contemporanea, dall’altra proteggere i fedeli da visoni unilaterali, presentando il
messaggio cristiano con equilibrio e serenità. Non si dimentichi, del resto, che
la bipolarità è di casa nell’evangelizzazione, se si pensa che il fatto centrale
della nostra fede, “l’evento Cristo”, poggia su di un’antinomia: Dio-Uomo.
Parte terza
Alcune applicazioni (pp. 20-23)
A. 1. La coscienza evangelizzatrice è presente senza dubbio nei responsabili
della comunità diocesana e delle comunità parrocchiali, ma ancora non è
diventata “coscienza comunitaria”. Si intravedono, comunque, buone
prospettive perché gradualmente tutta la comunità si senta “soggetto” e
non soltanto “oggetto” della pastorale.
312
2. L’organizzazione e l’amministrazione assorbono buona parte del tempo e dell’attività del pastore in cura d’anime: beni, registri, pratiche burocratiche… Si sente il bisogno di uno stile diverso e di un atteggiamento
nuovo: meno edificante (= costruzioni materiali), ma più illuminante e
santificante.
3. Nella nostra diocesi c’è un discreto impegno per assecondare la riforma liturgica: si fanno un po’ dappertutto sforzi lodevoli perché i sacramenti (specialmente della iniziazione cristiana) siano preceduti da una
appropriata catechesi.
B. 1. La famiglia oggi non fa crescere la vita cristiana dei figli: è quasi tutto
demandato alla Parrocchia. Si tentano iniziative per sensibilizzare a questo impegno: sposi, genitori di battezzati, di cresimati...
2. Le nostre parrocchie sono vere comunità? Probabilmente la domanda
è messa male. Tutte le parrocchie, anche le più sgretolate, per il fatto
stesso che sono Chiesa edificata dall’Eucaristia, sono comunità: occorre
sottolineare che la comunità essenzialmente la compagina Cristo. Piuttosto la domanda va messa così: le nostre chiese locali parrocchiali sono
“segno levato tra le genti”? Cioè, le nostre “comunità” parrocchiali sono
sufficientemente “significanti”, o sono “fuochi” sepolti sotto la cenere?
Se la domanda vien messa cosi, allora possiamo rispondere che, in proposito, c’è un immenso da fare.
3. Esistono in Diocesi tanto il Consiglio Pastorale quanto quello Presbiterale, ma circondati come sono da molto scetticismo e incerti circa la natura del loro essere e del loro operare, esprimono una vitalità molto
anemica ed estremamente periferica.
4. Le comunità religiose si inseriscono nella vita della parrocchia e della
Diocesi nella misura in cui i superiori sono sensibili a certe aperture. In
genere, nella nostra Diocesi si avvertono segni di notevole maturazione
in proposito.
5. Non esistono in Diocesi gruppi che non siano quelli germinati sulle matrici tradizionali. Si sono affermati di recente parecchi gruppi giovanili di
azione missionaria.
6. La presenza del Vescovo in Diocesi dovrebbe essere stabile e continua,
313
C.
D.
E.
F.
314
proprio per favorire in tutto il popolo di Dio quella presa di coscienza del
suo essere Chiesa, senza la quale una autentica vita cristiana è oggi utopistica e illusoria.
1. Il nostro Vescovo cura, con zelo e con preoccupazione, la salvaguardia
della integrità del Vangelo.
2. Si cerca di presentare le verità cristiane nella loro interezza e, pensiamo, con molto equilibrio. Non ci sono nel nostro presbiterio estremismi
o “smanie” di novità, nell’esercizio della predicazione.
3. Per l’aggiornamento del Clero in cura d’anime non si fa molto. Ci sono
i ritiri mensili e gli incontri, mensili anch’essi, di aggiornamento, oltre ai
raduni annuali su base regionale, ma forse è carente una certa organicità.
4. I nostri giovani candidati al Sacerdozio vengono preparati in massima
parte nel Regionale di Molfetta, dove la riforma degli studi ci sembra abbia tenuto conto di un marcato indirizzo pastorale.
5. Per i laici si tengono su base diocesana corsi per catechisti, ritiri. Viene
favorita la loro partecipazione a corsi o convegni nazionali (convegni missionari, di Azione cattolica, campi scuola, corsi di Assisi…).
In merito al problema delle Università Cattoliche e delle Scuole cattoliche in genere non abbiamo nulla da suggerire, anche perché nella nostra
diocesi, nonostante la generosità con cui i fedeli hanno contribuito, non
abbiamo mai sperimentato i vantaggi o i frutti dell’Università Cattolica.
Circa il problema dei mezzi di comunicazione sociale, abbiamo da dire solo questo: per formare al senso critico i nostri cristiani, abbiamo favorito
la realizzazione del “cineforum”, operanti in modo organico in alcuni
centri della nostra diocesi.
Qual è la nostra opera nel processo di promozione umana della nostra
gente? Qual è la nostra presenza nel mondo del lavoro?... Non sapremmo essere precisi: certo le istanze sociali del Vangelo, i problemi posti
della teologia politica… sono presenti nella nostra predicazione. Ma occorre dire che in proposito siamo come bloccati da un complesso di colpa: la situazione sociale del nostro popolo è drammatica a causa dell’emigrazione; la gente ci rimprovera spesso di non aver fatto nulla in
passato per la sua promozione umana; e noi, tacitamente, accettiamo
una porzione di questi rimproveri come giusti. Stando così le cose, non
abbiamo slancio sufficiente per criticare costruttivamente le istituzioni
sociali, dal momento che buona parte di tali critiche dovremmo rivolgerle per prima cosa a noi stessi. Sentiamo che, per acquistare credibilità,
dovremmo dare prova autentica e generosa di voler stare dalla parte dei
poveri, senza demagogia e senza esclusioni.
G. 1. In genere si può dire che nella nostra Diocesi, la povertà di Cristo non
viene offesa gravemente dal comportamento dei sacerdoti e dei cristiani
più impegnati.
2. Finora, forse, si è stati dalla parte del più forte. Oggi si tende a prendere le distanze e a mantenersi estranei.
3. Pregiudizi circa le ricchezze della chiesa se ne hanno parecchi in coloro
che sono estranei. Quante volte il discorso non cade sulle auto dei preti,
sui loro guadagni favolosi, sulle ricchezze del Vaticano!... Si fa qualcosa
perché questi giudizi non siano motivo di scandalo, anche infondato?
Pensiamo di sì. In più in una parrocchia si stanno liberalizzando le offerte
provenienti dall’esercizio del ministero, si stanno pubblicizzando i bilanci…
4. Giustizia, carità, solidarietà, equa distribuzione dei beni… Senza dubbio c’è ancora da lavorare molto in questo settore, e sentiamo che dobbiamo incominciare noi per primi a offrire esempi concreti di queste
virtù sociali (rapporti con i sacerdoti, con i viceparroci, con le domestiche…).
5. Probabilmente i poveri li abbiamo aiutati a vivere, ma non a emanciparsi. Avvertiamo che oggi dobbiamo recuperare parecchio terreno a riguardo, facendo una scelta di campo più coraggiosa e più chiara.
315
AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO
Gennaio 2013
1 Ma
11,30
17,30
3G
6D
11 V
18 V
19 S
20 D
18,00
9,30
15,30
11,00
18,00
21 L
22 M
17,00
11,00
16,30
23 Me
15,30
18,00
24 G
18,00
25 V
09,30
16,00
18.00
27 D
29 Ma
30 Me
10,00
18,00
18,00
31 G
19,00
Solennità di Maria SS. Madre di Dio
Pontificale in Cattedrale
Concelebrazione con s. e. mons. Giovanni D’Ercole - Collegiata in
Alessano
Ordinazione presbiterale in Cattedrale del diacono don Andrea
Romano della Parrocchia “Maria SS. Assunta in Cielo” in Ugento
Epifania di N. S. Gesù Cristo
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani
Processione e s. Messa per la festa patronale di S. Ippazio - Tiggiano
Ingresso nuovo Parroco P. Angelo Buccarello O.SS.T. Parrocchia “S.
Rocco” - Gagliano del Capo
Conferenza di P. L. Lorusso O.P. sul decreto “Unitatis Redintegratio” - Santuario “Madonna della Strada” - Taurisano
Primi Vespri solenni di S. Vincenzo diacono e martire in Cattedrale
Solennità di S. Vincenzo diacono e martire, Patrono della Città e
della Diocesi di Ugento - Pontificale in Cattedrale con tutti i sacerdoti, religiosi, religiose e diaconi della Diocesi
Processione in Ugento con la partecipazione di tutte le Confraternite della Diocesi, dei Religiosi e Religiose e di tutti i gruppi e movimenti diocesani con le relative insegne
Processione e S. Messa per la festa patronale di S. Giovanni Elemosiere - Morciano
Incontro con la Forania di Ugento - Oratorio parrocchia “S. G. Bosco” - Ugento
Incontro con la Forania di Tricase - Teatro parrocchia “S. Antonio” Tricase
Assemblea del Clero - Basilica di S. M. di Leuca - Presentazione del
nuovo Rito delle Esequie da parte di mons. Maurizio Barba
Incontro con il Consorzio delle Pro-loco del Capo di Leuca - Basilica
di S. M. di Leuca
Veglia a chiusura della Settimana Ecumenica - Monastero delle Clarisse - Alessano
S. Messa Parrocchia “S. Giovanni Bosco” - Ugento
Incontro con la Forania di Leuca - Basilica di S. M. di Leuca
Incontro con la Forania di Taurisano - Parrocchia “S. Francesco” Ruffano
Festa di S. Giovanni Bosco
Incontro e festa diocesana dei Giovani - Oratorio Parrocchia “S. G.
Bosco” - Ugento
319
Febbraio
8V
11 L
9,30
13 Me
16,30
18,00
14 G
15 V
19,30
16,00
16 S
17 D
18 L
17,30
10,30
16,00
18,00
19 Ma
18,00
20 Me
18,00
21 G
18,00
22 V
9,30
18,00
24 D
10,30
18,00
25 L
19,30
27 Me
28 G
19,30
18,00
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Giornata Mondiale del Malato
S. Messa e Sacramento dell’ Unzione - Ospedale Tricase
Sacre Ceneri, giornata di astinenza e digiuno - S. Messa in Cattedrale
S. Valentino - S. Messa con i fidanzati della diocesi in Cattedrale
Convegno “Banco delle Opere di Carità” - Auditorium “Benedetto
XVI” - Alessano
Cresime Parrocchia “S. Francesco d’Assisi” - Gemini
Cresime Parrocchia “S. Ippazio” - Tiggiano
S. Messa Parrocchia “Maria SS. Addolorata” - Taviano
Settimana Teologica Diocesana - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Settimana Teologica Diocesana - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Settimana Teologica Diocesana - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Settimana Teologica Diocesana - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Incontro i sacerdoti giovani - Seminario
Settimana Teologica Diocesana - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Ingresso nuovo Rettore-Parroco don Gianni Leo - Basilica di S. M. di
Leuca
Ingresso nuovo Parroco don Luca De Santis - Parrocchia “S. Biagio” Corsano
Incontro corso pre-matrimoniale Parrocchia “M. Ausiliatrice” - Taurisano
Incontro con il C.P.P. Parrocchia “M. Ausiliatrice” - Taurisano
Presentazione del libro di Francesco Accogli: “I Santi Patroni” - Tricase
Marzo
1V
18,00
2S
17,30
20,30
17,30
3D
320
S. Messa e Via Crucis con tutti gli operatori pastorali della Diocesi Parrocchia “S. Andrea Ap.” - Tricase
Cresime Parrocchia “S. Andrea Ap.” - Presicce
Spettacolo teatrale su don Tonino - Torrepaduli
Cresime Parrocchia “Ss. Apostoli” - Taurisano
4L
5 Ma
8V
9S
10 D
11 L
7,30
20,00
7,00
9,00
9,30
18,30
11,00
10,00
16,00
18,00
20,00
12 Ma
19,00
13 Me
14 G
9,30
16,00
17,30
15 V
16 S
17,30
17,30
19,00
17 D
10,30
17,30
18 L
18,00
19 Ma
20 Me
21 G
16,30
19,30
19,00
22 V
18,00
23 S
24 D
13,00
10,45
25 L
S. Messa Suore Vincenziane - Ugento
Scuola di Teologia - Auditorium “Benedetto XVI” - Alessano
S. Messa chiesa “S. Giuseppe” - Ugento
S. Messa Suore Compassioniste - Casa del Clero - Leuca
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Via Crucis - Oratorio parrocchia “S. G. Bosco - Ugento
S. Messa per il Convegno Interdiocesano delle Vedove - Santuario
di Montevergine - Palmariggi
S. Messa Parrocchia “S. Famiglia” - Bari
S. Messa per il Conferimento dei Ministeri - Seminario Molfetta
S. Messa - Precetto pasquale Arma dei Carabinieri - Basilica di S. M.
di Leuca
Incontro con i giovani di Presicce
Incontro di Pastorale Familiare con la forania di Ugento - Parrocchia “S. Carlo” - Acquarica
Commissione Catechistica e Familiare Regionale - Jaddico- Brindisi
S. Messa per le esequie della madre di don Mario Politi - Taurisano
S. Messa con il Volontariato Vincenziano nella vigilia di S. Luisa De
Marillac - Cattedrale
S. Messa e Via Crucis Parrocchia “M. SS. Immacolata” - Montesano
S. Messa e istituzione Ministri Straordinari della Comunione - Cattedrale
Inaugurazione Centro Vincenziano educativo-sportivo-culturale Specchia
Cresime Parrocchia “S. Giovanni Elemosiniere” - Morciano
Concelebrazione con s. e. mons. Luigi Martella in occasione del pellegrinaggio della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi sulla
tomba di don Tonino - Collegiata - Alessano
Incontro con i cresimandi, genitori e padrini - Oratorio Parrocchia
“S. Michele” - Castrignano del Capo
Solennità di S. Giuseppe, Patrono della Chiesa universale
S. Messa per la festa di S. Giuseppe - Parrocchia - Salignano
Consiglio Pastorale Parrocchia “M. Ausiliatrice” - Taurisano
Incontro con le Parrocchie di Ugento sul tema: “Credo la Chiesa” Salone
Parrocchia “S. Cuore” - Ugento
S. Messa dell’Addolorata - Confraternita “S. Antonio e Addolorata”Cattedrale
Pranzo alla mensa della carità Casa “Maior Caritas” - Tricase
Domenica delle Palme
Benedizione delle Palme - Confraternita dell’Assunta - Processione
e Pontificale in Cattedrale
Lunedì Santo
321
26 Ma
27 Me
18,00
28 G
8,00
19,00
22,00
29 V
8,00
10,00
18,00
19,30
30 S
8,00
9,30
12,00
17,00
19,00
22,00
31 D
11,30
Martedì Santo
Mercoledì Santo
S. Messa del Crisma - Cattedrale
Giovedì Santo
Ufficio delle letture e Lodi - Cattedrale
S. Messa “In Coena Domini” - Cattedrale
Adorazione presso il repositorio - Cattedrale
Venerdì Santo
Ufficio delle letture e Lodi - Cattedrale
Penitenziale - Cattedrale
Azione liturgica “In Passione Domini” - Cattedrale
Processione cittadina unitaria - Parrocchie di Ugento - Conclusione
in Cattedrale
Sabato Santo
Ufficio delle Letture e Lodi - Cattedrale
Ritiro con i Seminaristi teologi - Episcopio
Visita alla casa “S. Francesco” - Gemini
Visita all’Hospice - Tricase
Vespro con le Clarisse - Monastero - Alessano
Solenne Veglia Pasquale e S. Messa “In Resurrectione Domini” Cattedrale
Domenica di Resurrezione
Pontificale “In Resurrectione Domini” - Cattedrale
Aprile
4G
20,00
5V
19,00
6S
7D
17,30
10,30
18,00
9,00
16,00
8L
10 Me
322
18,30
Veglia di preghiera diocesana in preparazione all’Ordinazione Episcopale di mons. Gerardo Antonazzo e Ammissione agli Ordini sacri
del seminarista Antonio Mariano della Parrocchia “M. Ausiliatrice”
di Taurisano - Cattedrale
Presentazione del libro di P. Aldo De Donno, Postulatore della Serva
di Dio Mirella Solidoro - Parrocchia “Ss. Martiri” - Taurisano
Cresime Parrocchia “S. Lorenzo” - Barbarano
S. Messa per la festa della Madonna delle Grazie - Tutino
Cresime Parrocchia “S. Antonio Da Padova” - Depressa
S. Messa per la festa della Madonna del Casale - Ugento
Ordinazione Episcopale di s. e. mons. Gerardo Antonazzo Solenne Concelebrazione presieduta da s. e. mons. Domenique
Mamberti - Basilica Basilica di S. M. di Leuca
Incontro con i cresimati della Parrocchia “S. Giovanni Elemosiniere” Morciano di Leuca
11 G
19,00
12 V
13 S
16 Ma
17 Me
9,30
16,30
18,30
10,00
18,30
19,00
18,00
18 G
18,00
19 V
18,00
20 S
11,30
18,00
21 D
10,00
16,00
18,00
11,00
14 D
22 L
24 Me
25 G
26 V
27 S
28 D
30 Ma
18,00
20,00
9,30
19,00
18,00
10,00
18,30
18,30
Convegno delle Aggregazioni Laicali sul documento conciliare “Apostolicam Actuositatem” - Oratorio Acquarica
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Convegno Diocesano dei Ministranti - Oratorio Parrocchia - Giuliano
Cresime Parrocchia “S. Michele Arcangelo” - Castrignano del Capo
Cresime Parrocchia “Cristo Re” - Leuca Marina
Cresime Parrocchia “Natività B.V.M.” - Matrice - Tricase
Concelebrazione con s. e. mons. Gerardo Antonazzo - Cattedrale
Conferenza: “I giorni della Speranza”, nel centenario di nascita di
mons. Michele Mincuzzi - Auditorium “don Tonino Bello” - Alessano
Ordinazione sacerdotale del diacono fra Francesco Prontera O.SS.T. Parrocchia “S. Rocco” - Gagliano del Capo
XX Anniversario della morte del Servo di Dio don Tonino Bello
Solenne Concelebrazione presieduta da s. e. card. Angelo Amato Collegiata Alessano
Benedizione lapide commemorativa di don Tonino Bello - Chiesa
Cappuccini - Alessano
S. Messa sulla tomba del Servo di Dio don Tonino Bello e benedizione del Sentiero - Cimitero Alessano
Cresime Parrocchia “S. Antonio da Padova” - Tricase
S. Messa con gli Scout - Borgo Cardigliano - Specchia
Cresime Parrocchia “S. Maria delle Grazie” - Tutino
S. Messa in S. Pietro con i pellegrini della Diocesi per l’anno della
Fede - Città del Vaticano
Cresime Parrocchia “Madonna dell’Aiuto” - Torre S. Giovanni
Giornata con le famiglie della Diocesi a Bari
Recital sulla Beata M. Eugenia Ravasco - Specchia
Incontro con i sacerdoti giovani - Episcopio
S. Messa con il Rinnovamento nello Spirito - Euroitalia Casarano
Cresime Parrocchia “Natività B.V.M.” - Matrice - Ruffano
Cresime Parrocchia “S. Giovanni Bosco” - Ugento
Cresime Parrocchia “M. Ausiliatrice” - Taurisano
Riapertura al culto e consacrazione del nuovo altare - Parrocchia “S.
Eufemia” - Tricase
Maggio
1 Me
11,00
18,00
S. Messa con il Pontificio Seminario Maggiore di Molfetta e l’USMI
diocesano e di Bari - Alessano
Cresime Parrocchia “SS. Salvatore” - Alessano
323
2G
19,00
3V
19,30
4S
5D
18,00
10,30
18,00
9,30
18,30
7 Ma
8 Me
19,00
9G
18,30
10 V
11 S
9,30
10,30
12D
10,00
13 L
14 Ma
15 Me
16 G
17 V
19,00
18 S
17,30
19 D
10,00
18,30
9,30
18,00
31 V
19,30
S. Messa e incontro con i cresimandi, genitori e padrini della Parrocchia
“S. Rocco” - Gagliano
Convegno provinciale dei Cappuccini e intitolazione della piazzetta a
P. Diego Pedone - Convento Cappuccini - Alessano
Cresime Parrocchia “S. Carlo Borromeo” - Acquarica
Cresime Parrocchia “Maria SS. Assunta” - Lucugnano
Cresime Parrocchia “S. Francesco d’Assisi” - Ruffano
Incontro con gli Uffici di Curia e Scuola diocesana di teologia
S. Messa e incontro con i genitori e padrini dei cresimandi della Parrocchia “Presentazione B.V.M.” - Specchia
Presentazione de: “Il libro segreto di Papa Ratzinger” - Museo Civico
Ugento
S. Messa e presentazione dei lavori di restauro della Chiesa “S. Eufemia” - Tricase
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Beatificazione di mons. Luigi Novarese CVS - S. Paolo fuori le Mura Roma
Canonizzazione dei SS. Martiri Idruntini - S. Pietro - Città del Vaticano
Visita ad Limina
Visita ad Limina
Visita ad Limina
Visita ad Limina
Convegno Pastorale Sociale “Lavoro, Giovani, Famiglia” - Auditorium
“Benedetto XVI” Alessano
Cresime Parrocchia “Maria SS. Immacolata” - Santuario” S. Rocco” Torrepaduli
Cresime Parrocchia “Maria SS. Assunta” - Cattedrale
Cresime Parrocchia “Presentazione B. M. V.” - Specchia
Incontro con i sacerdoti giovani - Episcopio
Scuola di formazione politica on. Paolo De Castro - Fondazione
“don Tonino Bello” - Alessano
S. Messa interparrocchiale a conclusione del mese di maggio - Santuario Madonna della Luce - Ugento
Giugno
1S
2D
324
10,00
18,30
9,30
10,30
Convegno Caritas Pugliese - Basilica di S. M. di Leuca
Cresime Parrocchia “S. Michele Arcangelo” - Supersano
Saluto per la festa nazionale dello Sport - Parrocchia “S. Cuore”
Ugento
18,00
18,30
3L
18,00
4 Ma
18,30
6G
7V
18,00
9,30
17,00
19,00
8S
9D
12 Me
13 G
14 V
15 S
16 D
19,00
10,30
16,00
19,00
19,00
18,00
20,15
19,00
17 L
17,00
10,00
19,00
19,00
18 Ma
19,00
19 Me
19,00
22 S
20,00
23D
10,00
19,30
24 L
25 Ma
26 Me
27 G
Cresime Parrocchia “S. Dana” - S. Dana
Adorazione eucaristica cittadina
S. Messa e Processione Eucaristica cittadina nella Solennità del Corpus Domini - Parrocchia “S. Giovanni Bosco” - Ugento
Chiusura della Scuola Diocesana di Teologia - Monastero Clarisse Alessano
S. Messa per il Convegno Diocesano dell’ Apostolato della Preghiera Auditorium “Benedetto XVI” - Alessano
S. Messa per la conclusione del Seminario Vescovile - Ugento
Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù - Giornata di preghiera universale per la santificazione del Clero.
Ritiro del Clero - Basilica di S. M. di Leuca
Convegno sul Turismo religioso - Municipio Alessano
S. Messa nella Solennità del S. Cuore - Parrocchia “S. Cuore” - Ugento
Cresime Parrocchia “S. Andrea Apostolo” - Salignano
Cresime Parrocchia “S. Giovanni Crisostomo” - Giuliano
Incontro con l’Azione Cattolica Giovani di Bari - Bitonto
Cresime Parrocchia “S. Vincenzo” - Arigliano
Visita al Colorificio “Belfiore” - Salve
S. Messa per la festa Patronale di S. Antonio - Matrice - Ruffano
S. Messa Confraternita “S. Antonio” - Cattedrale - Ugento
S. Messa per il X Anniversario del Centro dialisi delle Marcelline Leuca Marina
S. Messa nella festa di S. Vito - Matrice - Tricase
Cresime Parrocchia “S. Nicola Magno” - Salve
S. Messa con l’A.d.P. Parrocchia “S. Vincenzo” - Arigliano
Convegno Pastorale Diocesano - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Convegno Pastorale Diocesano - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Convegno Pastorale Diocesano - Auditorium “Benedetto XVI” Alessano
Convegno sul Concilio Ecumenico Vaticano II e mons. Michele Mincuzzi, nel centenario delle sua nascita - Teatro Parrocchia “S. Antonio” - Tricase
S. Messa a conclusione della Maratona “Corriamo con don Tonino” Parrocchia “S. Cuore” - Ugento
Processione e S. Messa per la Solennità di S. Giovanni Battista Patù
Aggiornamento del Clero - Polonia
Aggiornamento del Clero - Polonia
Aggiornamento del Clero - Polonia
Aggiornamento del Clero - Polonia
325
28 V
29 S
30 D
326
17,00
18,30
10,00
19,00
Aggiornamento del Clero - Polonia
Inizio Seminario estivo - Villa “Cafiero” - Tricase Porto
Cresime Parrocchia “S. Andrea” - Santuario Madonna di Fatima Caprarica
Cresime Parrocchia “Maria SS. Immacolata” - Montesano
Consacrazione nuova Chiesa Parrocchiale “SS. Apostoli” - Taurisano
EDIZIONI VIVEREIN
C.da Piangevino, 224/A - Monopoli (Bari)
E-mail: [email protected] - www.edizioniviverein.it
Fotocomposizione e stampa
aprile 2014
EVI s.r.l. Arti Grafiche
E-mail: [email protected]