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I I L T R O M B E T T I E R E D I C U S T E R E A LT R I M I G R A N T I I Il padre calabrese di Bob Dylan New York was a dream… It was a dream of the cosmopolitan riches of the mind. It was a great place for me to learn and to meet others who were on similar journeys. Bob Dylan alla Westwood One Radio nel 1985. C’ erano tutti, quella sera del 1975 a New York. «Non lo dimenticherò mai. Arrivò Bobby con Joan Baez, Phil Ochs, Bobby Neuwirth, Jack Elliott, Roger McGuinn, Allen Ginsberg, tutta la vecchia gente, il cast di quella che sarebbe diventata la Rolling Thunder Revue. E poi Bobby e Joan cantarono Happy Birthday». Si festeggiava il sessantunesimo compleanno di Mike Porco, e Bob Dylan e Joan Baez per l’occasione tornarono a cantare insieme. Il bis arrivò quattro anni dopo, nel 1979, accompagnato da una lettera di congratulazioni del sindaco di New York Edward Koch. Questa volta era il Gerde’s che celebrava se stesso, vent’anni all’insegna del folk nel cuore del Greenwich Village. Non ci fosse stato, la scena rock della Grande mela avrebbe perso un palcoscenico di prima grandezza e Bob Dylan non potrebbe vantarsi di aver avuto un padre «siciliano» anche se in realtà era calabrese. E senza la firma di quell’ex operaio mezzo sordo per il frastuono dei 29 I ANGELO MASTRANDREA I cantieri della Marina di Brooklyn dove aveva lavorato per qualche tempo il primo contratto da musicista della sua carriera sarebbe sfumato. Ecco perché rimarrà sempre riconoscente a quell’uomo che aveva dato una svolta alla sua carriera artistica. Accadde agli inizi del 1961. Quando il giovane e sconosciuto Robert Alan Zimmermann, non ancora maggiorenne, tentò di guadagnarsi da vivere con la chitarra spostandosi a New York da Minneapolis e Chicago. Era arrivato in città che era pieno inverno, «il freddo era brutale e la neve si era ammassata in ogni arteria della città», ma lui veniva dalle Terre del Nord «già strette nella morsa del gelo, un piccolo angolo di mondo dove le nere foreste gelate e le strade ghiacciate non mi facevano paura», e dunque non se ne curò più di tanto. Era lì per cercare i cantanti che aveva ascoltato nei dischi, e uno in particolare che si chiamava Woody Guthrie. Aveva già scritto House of the Rising Sun ma la fortuna non gli aveva ancora arriso. Trovò ascolto quasi solo al numero 11 di West 4th Street, dove c’era un locale che da un po’ di tempo aveva fiutato la nuova tendenza musicale, e per questo aveva abbandonato il jazz e aggiunto un folk city all’insegna ereditata da un vecchio ristorante. Il proprietario, un immigrato italiano di nome Michele Porco, inseritosi nell’ambiente facendo il cameriere, ne aveva prima rilevato una quota, poi ne era diventato comproprietario trasformandolo in luogo di ritrovo per musicisti sconosciuti in cerca di affermazione. Al giovane ZimmermannDylan fu data una chance, poi una seconda, infine un contratto. Per superare l’inghippo dell’età, Mike Porco ne divenne il tutor di fronte al sindacato. Poi lo mise a suonare come spalla di un altro degli ar30 I I L T R O M B E T T I E R E D I C U S T E R E A LT R I M I G R A N T I I tisti le cui esibizioni riempivano il locale: John Lee Hooker. E nacque una stella. A scoprirne per primo il talento fu un critico musicale del New York Times, Bob Shelton, che il 29 settembre dello stesso anno raccontò entusiasta un concerto di Dylan dicendo che «un volto nuovo e brillante della musica folk è apparso al Gerde’s folk city». Una vera e propria investitura per il giovane menestrello di Duluth: «Quando Dylan lavora con chitarra, armonica e piano e compone canzoni così in fretta da non riuscire a ricordarle, non c’è dubbio che il talento gli sprizza da tutti i pori (…) Può mormorare il testo di House of the rising sun facendone un ruggito o un sospiro scarsamente comprensibili oppure enunciare con la massima chiarezza la poetica amarezza di un blues di Blind Lemon Jefferson», scriveva Shelton. Che tempo dopo racconterà così la sua folgorazione per Dylan: «Lo vidi per la prima volta un lunedì del giugno 1961 a una serata al Folk city. Quella sera Bob eseguiva il suo talkin’ blues caricaturale Bear mountain, ispirato a un numero che Noel (Paul) Stookey, in seguito membro del gruppo Peter, Paul and Mary, interpretava regolarmente al Gaslight. Nell’aspetto Bob ricordava uno di quei cantanti o acrobati come se ne vedono per le strade in Europa: ballonzolava, giocherellava col suo berretto alla Huck Finn, faceva smorfie, ammiccava, raccontando la sua buffa storia. Andai dritto da Pat Clancy, la cantante folk irlandese e le dissi: “Ehi, Pat, non devi assolutamente perderti questo ragazzo”. Pat distolse lo sguardo dal suo whisky e si unì a me per ascoltare Bob». Lo stesso Dylan racconta con entusiasmo il periodo del Greenwich village: «New York era un sogno. Era il sogno dell’arricchimento 31 I ANGELO MASTRANDREA I cosmopolita del pensiero. Per me sarebbe stato il posto più straordinario per imparare e per conoscere gente alle prese con viaggi simili ai miei. A quei tempi non c’erano forzature, voglio dire che la gente dell’ambiente musicale era come un branco di raccoglitori di cotone. Ti vedono sul bordo di una strada ma nessuno si ferma per darti qualcosa. In passato non era questo che contava. Così Washington Square era il luogo dove gente che conoscevi o avevi appena incontrato si aggregava ogni domenica, ed era una specie di mondo della musica. Potevano esserci contemporaneamente quindici jug bands, cinque band di bluegrass e una vecchia e sgangherata band di strumenti a corda, venti gruppi confederati irlandesi, una band di montagna del sud, cantanti folk di tutti i tipi e di ogni colore, che cantavano le work songs di John Henry. Bonghi, congas, sassofonisti, percussionisti di tutte le nazionalità. Poeti che sproloquiavano dalla cima delle statue. Tutto avveniva per la strada. I café stavano aperti tutta la notte. Così era New York quando ci sono arrivato io». E poi c’erano Mike Porco e il Gerde’s. E un critico entusiasta come Shelton. Così, dopo meno di un mese per il giovane talento arrivò il primo contratto discografico con una major, la Columbia. E l’offerta al suo tutor calabrese di fargli da agente. Ma Mike Porco rifiutò. Dal giorno in cui aveva lasciato la Calabria per raggiungere il padre emigrato sei anni prima, di strada ne aveva già percorsa tanta. E rispetto al sound spaccatimpani dei cantieri navali che gli aveva reso più difficile il ruolo da talent scout che era riuscito a costruirsi, ora era tutta un’altra musica. Diciamo che l’orecchio per la musica che gli mancava era compensato dal fiuto per gli affari. Ma di fronte all’offerta di 32 I I L T R O M B E T T I E R E D I C U S T E R E A LT R I M I G R A N T I I Dylan disse di no probabilmente solo per motivi sentimentali: il Gerde’s era diventato tutta la sua vita e non se la sentiva di abbandonarlo. «Se avessi accettato avrei dovuto cambiare completamente il mio sistema di vita. E non me la sentivo», dirà nel 1990 al Daily news, che raccontò la sua storia. Nato a Carolei, alle porte di Cosenza, era partito nel ’33, giovanissimo, lasciando la madre, quattro fratelli, una bottega di falegname alla quale era probabilmente destinato a Domanico, un altro piccolissimo comune del cosentino, e una vita che sarebbe rimasta inevitabilmente schiacciata sotto il peso di baroni e latifondisti, che dalle sue parti continuavano a dettare legge, e del fascismo ancora lungi dall’essere abbattuto. «Arrivai in America nel 1933, uno dei tanti in mezzo alle masse confuse che anelavano respirare in libertà. Avevo 18 anni e m’ero lasciato alle spalle la nativa Calabria e il mio lavoro, una piccola bottega di falegname. Mio padre era emigrato negli Stati Uniti per primo e noi avremmo dovuto seguirlo, uno alla volta, man mano che lui avesse avuto la possibilità di portarci fin là. Ma mio padre morì poco prima che io arrivassi e ad accogliermi trovai mio zio, che mi prese nella sua casa come un figlio. Non parlavo la lingua di qui e si era allora all’apice della depressione. Insomma, era pressoché impossibile avere un’occupazione: proprio non c’era lavoro. Mi trovai infine qualcosa, lavorando con mio zio nel suo ristorante: 90 ore la settimana per 11 dollari. Mi davano i pasti gratis ma niente vacanze, e rimasi lì cinque anni», raccontò lo stesso Mike in una delle tante interviste rilasciate in seguito. Arrivato da Napoli a Nuova York a bordo della nave Providence, 1.840 posti in terza classe, 150 in 33 I ANGELO MASTRANDREA I seconda e 140 nella prima, se non fece in tempo a rivedere il padre, riuscì invece a costruirsi una vita degna di essere raccontata. Tutto cominciò quando, dopo gli anni da cameriere nel bar-ristorante dello zio, il Club 845 nel Bronx, in società con altre due persone rilevò dall’anziano William Gerde un ristorante già abbastanza conosciuto al Greenwich Village. In breve tempo e lasciandogli il nome del fondatore, Mike Porco lo trasformò in uno dei posti in cui si potevano ascoltare i giovani talenti musicali che affollavano l’underground newyorchese. Era il 1952, e ci vorrà ancora qualche anno prima che Mike divenisse comproprietario del Gerde’s e scoprisse, con talento più da businessman che da critico musicale, la moda musicale emergente, il folk. Alle atmosfere da jazz club sostituì gli hootenanny del lunedì sera, serate dedicate ai talenti emergenti divenute poi leggendarie. Mike racconta così quel periodo: «Nel 1953 i miei cugini comprarono un ristorante al Greenwich Village, un vecchio locale chiamato Gerde’s dal nome del vecchio proprietario, un amabile gentiluomo. Io mi occupai del rinnovo e passai in quel locale come direttore, mantenendone il nome perché faceva fare buoni affari. Si trovava al numero 11 della West 4th Street e gran parte della clientela era composta di gente che lavorava nel campo della vendita dei cappelli a Broadway. Le cose funzionavano bene durante la giornata, ma dopo le cinque di sera era più o meno un mortorio. Mi serviva più denaro per pagare i conti. Così ne discussi con amici e decisi di provare con la musica. Sapete, avevamo un pianista, un trio di jazz per ballare, perfino musica bongo. Un giorno, verso la fine del 1959, entrarono due tipi, Izzy Young e Tony Prendergast. Mi dissero di essere amanti del 34 I I L T R O M B E T T I E R E D I C U S T E R E A LT R I M I G R A N T I I folk. Io chiesi: “Cos’è la musica folk?”. Izzy dirigeva il Folklore center e i due cercarono di spiegarmi la popolarità di personaggi come Pete Seeger, Joan Baez e Odetta». Il successo fu immediato, e al Gerde’s cominciò a esserci la fila non solo per entrare ad ascoltare la musica ma anche per suonare. «Cambiai il nome, questa volta diventò Gerde’s folk city, ed entro la primavera del 1960 si era sparsa la voce che il Gerde’s era il locale dove andare ad ascoltare del folk. Bene, non è che gli affari andassero benissimo ma ci guadagnavo di che vivere. Avevo ottimi artisti: Tommy Makem, i Clancy’s, i Weavers, Cisco Houston, il reverendo Gary Davis, Carolyn Hester, Judy Collins. Peter Paul and Mary formarono il loro trio nel mio club. Ma ce n’erano tanti altri che ancora non avevano un gran nome e che in seguito diventeranno dei personaggi. I lunedì sono sempre serate pigre sulle scene di New York. Tutti devono riprendersi dal weekend. Io volevo sfruttarle per farne una serata del dilettante, in modo da, speravo, attirare nuovi clienti. Ne parlai con Charlie Rotschild e Bob Shelton, che mi suggerirono di tentare un hootenanny. Non avevo mai sentito questo termine prima ma Bob sosteneva che suonava bene, e me lo scrisse. Scopersi che suonava meglio di “serata del dilettante”. Così nacquero gli hoots del Gerde’s». Fu grazie a questo che un giorno alla porta di Mike bussò un giovane bassino, dai capelli lunghi e piuttosto malvestito. L’incontro sarà destinato a cambiare la storia della musica. Mike Porco lo ricorda così: «Un giorno entrò questo giovanotto e chiese di suonare. Disse di chiamarsi Bob Dylan. Tutti mi assicurarono che era notevole e che dovevo assolutamente sentirlo. Ma io gli chiesi prima di tutto di provar35 I ANGELO MASTRANDREA I mi la sua età, perché non dimostrava più di 16 anni. Il ragazzo tornò la successiva serata di hoot, con il suo certificato di nascita o qualcosa del genere. Decisi di dargli un’opportunità vera e propria: due settimane come spalla di John Lee Hooker. Quando glielo dissi, Bobby era così eccitato che faceva i salti dalla gioia. John era amato da tutti e capiva che con lui avrebbe raggiunto un buon pubblico. Gli dissi che servivano una tessera del sindacato dei musicisti e una per cabaret, e lo portai dove poteva ottenerle. Fu allora che mi assunsi il ruolo di suo tutore, perché non aveva ancora 21 anni e sosteneva di non avere nessun parente ancora in vita. L’11 aprile 1961 Bob Dylan iniziò la sua prima scrittura importante. Gli avevo fatto tagliare i capelli (anche se non sembrava proprio che lo avesse fatto) e gli avevo prestato un paio di blue jeans puliti per l’occasione. Dio, era un ragazzo così conciato! Bobby continuò a girare attorno al Gerde’s anche dopo le sue prime due settimane di lavoro, suonando agli hoots e partecipando a jam sessions con altri musicisti. Si muoveva a un passo tremendamente sostenuto, lavorando su materiale nuovo, trovando il modo di conoscere tutte le persone giuste». Quale fosse la filosofia di Mike Porco lo spiega Bob Shelton nella sua biografia del cantante: «Era molto ben disposto nei confronti dei giovani talenti. “Diamogli una possibilità” era il suo motto, mentre la sua politica fiscale era: “Più è nuovo e meno costa”. Quando nel marzo del 1961 uno dei suoi clienti abituali, Mel Bailey, cercò di convincerlo a provare Bobby Dylan, Mike si mostrò interessato. Bobby gli piaceva ma temeva che fosse troppo giovane. Un “concerto” di Dylan al folk club Nyu, il 5 aprile, costituì una buona pre36 I I L T R O M B E T T I E R E D I C U S T E R E A LT R I M I G R A N T I I sentazione e anche Mel e sua moglie Lillian, stilista di moda, affiancati dai McKenzie, proseguirono la loro campagna in favore di Bob. Se Mike avesse fatto lavorare Bobby, Eve McKenzie avrebbe fatto un giro di telefonate a tutti gli amici e conoscenti per garantire un’affluenza di pubblico. Alla fine Mike ingaggiò Bob per due settimane a partire dall’11 aprile in un programma con John Lee Hooker, cantante di blues del Mississippi, che aveva lavorato a Detroit per diversi anni. Era il suo primo vero lavoro a New York e Bob era al settimo cielo». Per 90 dollari a serata più il vitto Dylan divenne una delle star del Gerde’s. Il successo fu immediato. Le serate attiravano un pubblico giovane e ben presto sulla scena folk del Greenwich Village cominciarono ad apparire cantanti e gruppi che imitavano il modo di cantare con chitarra e armonica del folksinger. Ma l’appuntamento con la storia era fissato per il 16 aprile del ’62. Ne fu testimone l’inconsapevole pubblico del Gerde’s, che vide salire sul palco Pete Seeger, un’icona del folk americano, imbracciare la chitarra e cominciare a cantare una canzone appena consegnatagli dal giovane Dylan. «Quante strade deve percorrere un uomo prima che tu possa chiamarlo uomo. E quanti mari deve navigare una bianca colomba prima di dormire sulla sabbia. La risposta, amico mio, è affidata al vento». È Blowin’ in the wind, un vero e proprio inno pacifista, e diventerà un hit immortale. In realtà, pare che a Pete Seeger la canzone sia piaciuta poco o niente perché «troppo facile», ma di lì a poco fu Joan Baez a cominciare a cantarla a ogni serata per poi presentare al pubblico il suo autore, secondo un copione che porterà fortuna a entrambi. 37 I ANGELO MASTRANDREA I Un anno dopo agli spettatori del Gerde’s toccherà ascoltare in anteprima quello che diventerà un altro hit della controcultura statunitense. Il brano, ispirato a un motivo tradizionale inglese che si chiama Nottammun town, si intitola Masters of war ed è un altro inno pacifista. Bob Dylan continuerà a frequentare il Gerde’s e Mike Porco fino al ’63, quando registra all’interno del locale il suo Banjo tape, poi le loro strade inevitabilmente si divideranno. Ma Bobby sarà sempre riconoscente a quello che definirà in seguito, con un piccolo errore, «il padre siciliano che non ho mai avuto». A lui sarà sempre riservato un posto d’onore a ogni concerto. Tanto che diversi anni dopo, quando Mike Porco per caso incrociò a Parigi un concerto del suo antico figlioccio e tentò di raggiungerlo in hotel, di fronte alle resistenze dei poliziotti a farlo entrare fu lo stesso Dylan ad affacciarsi seminudo e a urlare agli agenti: «Mio padre dovete rispettarlo». E poi, rivolto a Mike: «Vieni, ti stavo aspettando». Anche senza il suo menestrello, il Gerde’s e Mike Porco continueranno a intercettare talenti che poi diventeranno rockstar. Nel ’64 sul palco del locale salgono due sconosciuti, Simon & Garfunkel, che nel giro di qualche anno diventeranno delle rockstar internazionali. In seguito toccherà a una certa Janis Joplin. Il Gerde’s non sopravviverà però al suo fondatore, morto il 13 marzo del 1992. Suo fratello Giovanni, comproprietario del locale, morirà invece nel 2005 nella sua Domanico, in Calabria. Ormai lontano anni luce dai fasti della folk music degli anni sessanta. 38