Progettare appassionatamente la civiltà
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Progettare appassionatamente la civiltà
254 Studia Theologica V, 4/2007, 254 - 269 Progettare appassionatamente la civiltà. Simone Weil: la politica tra verità, gratuità e giustizia. Ilaria Vellani L’unica cosa che possiamo costruire è una civiltà nuova rispetto al caos spaventoso finito ora in un incubo. (S. Weil, Frammenti) Trentaquattro anni vissuti pericolosamente, in uno sforzo continuo di attenzione alla realtà e alle sue dinamiche, in una passione viscerale nei confronti degli oppressi e dei vinti della storia che diventa compassione e compartecipazione, vera e gratuita assunzione su di sé delle sofferenze degli altri. Questa potrebbe essere la sintesi del percorso umano e intellettuale intrapreso da Simone Weil con ferrea decisione1. Una vita intensa a cui corrisponde una produzione filosofica e intellettuale altrettanto significativa e importante, generata da occasioni particolari, come le Leçons de philosophie, registrazione del corso di filosofia tenuto nell’anno scolastico 1933-1934 al Lycée de Jeunes Filles di Roanne, o come gli Écrits historiques et politiques frutto del viaggio in Germania nell’agosto del 1932; generata anche da una lettura sapiente di quello che lei stessa stava vivendo: l’esperienza di fabbrica, raccolta nei quattro Cahiers o ancora nel saggio Reflexions sur le causes de la liberté et de l’oppression sociale o La condition ouvrieére, l’esperienza dell’incontro con Cristo, come ne l’Attente de Dieu, o ancora l’esperienza della resistenza francese al nazismo (nel movimento di resistenza capeggiato da De Gaulle France Libre) a Londra, dal novembre del 1942 al giorno della sua morte il 24 agosto del 1943, come nella sua ultima opera L’enracinement. Prélude à una déclaration des devoirs envers l’être humain2. Data la vastità della riflessione weiliana, data anche la pluralità dei temi e delle questioni da lei affrontate, vorremmo in questo saggio soffermarci in particolare sulla sua riflessione politica, con 1 Sono molte le biografie su Simone Weil, mi sono rifatta soprattutto a S. PÉTREMENT, La vie de Simone Weil, Fayard, Paris, 1978. 2 S. W EIL, Leçons de philosophie, Librairie Plon, Paris, 1959 ; S. W EIL, Écrits historiques et politiques, Gallimard, Paris, 1960; S. W EIL, Cahier I, Librairie Plon, Paris, 1970; S. W EIL, Cahier II, Librairie Plon, Paris, 1972; S. W EIL, Cahier III, Librairie Plon, Paris, 1974; S. W EIL, Cahier IV, Gallimard, Paris, 1950; S. W EIL, Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale, Gallimard, Paris, 1955; S. W EIL, La condition ouvriere, Gallimard, Paris, 1951; S. W EIL, Attente de Dieu, Librairie Arthème Fayard, Paris, 1969 ; S. W EIL, L’enracinement. Prélude à una déclaration des devoirs envers l’être humain, Gallimard, Paris, 1949. 255 una attenzione privilegiata ai suoi ultimi anni di vita e di impegno. È infatti in questa fase, che trova espressione letteraria ne L’enracinement o, come lo ebbe a chiamare l’amico di Simone Albert Camus, La prima radice, che si può trovare un distillato della riflessione sociale e politica dell’autrice, in cui se ne possono scorgere le linee di tendenza, ma anche le linee di forza, ulteriormente rese solide dal confronto con il regime nazi-fascista, e ancor più con la necessaria volontà di ricostruzione della Francia e dell’Europa. Vorremmo con Simone Weil penetrare dentro i meccanismi di progettazione sociale e civile, scorgere quelle dinamiche che permettono a una società di contribuire allo sviluppo della pienezza di umanità dei suoi membri attraverso pratiche di vita giuste e gratuite. Simone Weil infatti, già nelle lezioni di filosofia del 1933-1934 era convinta che fosse «assurdo pretendere di riformare la società riformando gli individui», e che invece occorresse «trovare, in determinate condizioni, una forma di società che sia conforme alle esigenze della ragione e che, allo stesso tempo, si fondi sulle necessità inferiori»3, cioè sulle necessità fondamentali degli uomini. Ed è proprio a queste necessità che guarda la Weil da Londra, necessità che sono i doveri verso ciascun uomo individuate a partire dai bisogni, doveri sui quali immaginare e progettare la Francia del futuro. Giustizia e gratuità ci sembrano le cifre sintetiche di questo approdo londinese, un approdo che rimane comunque inconcluso, così come lo è il libro L’enracinement, ma anche come la vita della Weil che non vedrà mai la fine della guerra né la ricostruzione del suo amato paese. Giustizia, cioè anelito fondativo dell’azione politica, arte della risposta ai doveri verso gli uomini. Gratuità, cioè capacità di rinunciare ad occupare tutto lo spazio purchè l’altro ci sia, esista, capacità di possedere uno sguardo veritativo sulla realtà da cui lasciarsi toccare per mettere in gioco la vita fino in fondo pur di assolvere in pienezza di doveri verso gli altri: partecipazione. Simone Weil avrebbe voluto essere in prima linea nelle azioni resistenti di France Libre, invece, arrivata a Londra, le viene affidato un compito intellettuale: “pensare” la Francia del dopoguerra. Le è chiesto, infatti, di esaminare i documenti di carattere politico provenienti dalla Francia, elaborati dai Comitati affiliati ai movimenti della resistenza in vista della riorganizzazione politica, sociale e civile del paese al termine della guerra. Il suo doveva essere un semplice ruolo di redattrice: raccogliere, organizzare il materiale, annotarlo criticamente, selezionarlo. La passione di Simone però trasforma ben presto questo lavoro istruttorio in veri e propri trattati sulle grandi questioni politiche che ci si trova ad affondare: dalla questione della sovranità nazionale, al ruolo dei partiti politici, alla riforma costituzionale, all’organizzazione del lavoro agricolo e industriale. C’è una cifra resistente nel pensiero di Simone Weil, che si concretizza storicamente nell’esperienza londinese, ma che ha radici profonde anche nelle scelte compiute precedentemente. È questa cifra resistente, il non risparmiare nulla di sé pur di contrastare gli oppressori, che traduce nella sua breve vita quella gratuità che fonda la civiltà. In questo senso 3 S. WEIL , Lecons de philosophie, Librairie Plon, Paris, 1959, tr. it. ID., Lezioni di filosofia, Adelphi, Milano, 1999, p. 144. 256 occorre tenere presente anche tutta la vita di Simone Weil, anche l’esperienza nei sindacati e nel lavoro in fabbrica (1934-1935). In essa la “resistenza” si configura come la ricerca di strumenti capaci di opporsi alla forza “cosificatrice” del potere a cui si è sottoposti nel lavoro. È chiara però la differenza: una cosa è la resistenza al potere in fabbrica, altra cosa è la resistenza al regime totalitario. In entrambi i casi, però, Simone Weil riesce a dare vita e a progettare un modo tutto femminile di reagire alla questione della “forza” che intreccia fabbrica e nazismo. Un modo “femminile” per la sua carica generatrice e rigeneratrice. Il problema politico centrale per la Weil, che ritorna anche nelle pagine da Londra, è quello dell’efficacia. Nel pensare alla società del futuro occorre avere bene presente che cosa producono alcune scelte, cosa generano e, soprattutto, qual è la loro reale efficacia nella vita delle persone, nella loro libertà, nella possibilità di una vita giusta e gratuita. Già qui si incontra un primo aspetto: l’efficacia del pensiero. Nel percorso intellettuale della Weil emerge come filo rosso la consapevolezza che pensare bene, con attenzione, è già di per sé stesso un’azione giusta e gratuita, perché capace di offrire uno sguardo veritativo sulla realtà che permette di cercare risposte altrettanto vere e efficaci. L’esercizio del pensiero diventa un compito politico perché la possibilità del suo articolarsi risponde a due dei bisogni fondamentali dell’anima delineati ne L’enracinement: la libertà d’opinione e la verità. Scrive infatti: «è ancor più vero dire che quando il pensiero non esiste non è libero. Nel corso degli ultimi anni c’è stata molta libertà di pensiero, ma non c’era pensiero. È pressappoco la situazione del bambino che non avendo carne nel piatto, chiede il sale per salarla»4. Pensiero infaticabile, efficacia dell’azione, giustizia e gratuità sono le strade attraverso cui, secondo Simone Weil, è possibile cogliere la verità della politica, la verità dell’azione e del pensiero politico, nella costrizione della civiltà. La forza del pensiero. Simone Weil si diploma nel 1930 e un anno dopo, con regolare concorso, le è assegnata la cattedra di filosofia al liceo femminile, prima a Le Puy, nella Loira, poi a Roanne - lei stessa, infatti, chiede di essere destinata in una città industriale o in un porto. Da questo momento fino al dicembre del 1934 Simone si dedica con passione all’insegnamento, affiancando all’attività educativa una tenace partecipazione nella vita dei sindacati, collaborando e redigendo articoli per “L’Effort”, giornale del sindacato autonomo. È durante questo periodo che Simone trascorre il mese di agosto del 1932 in Germania. Un viaggio importante, desiderato da Weil per cogliere l’umore della situazione tedesca. Nel saggio raccolto ne Écrits historiques et politiques Simone racconta di un paese in attesa. Una calma però che ha in sé il preannuncio della tragicità, perché 4 S. WEIL , L’enracinement. Prélude à una déclaration des devoirs envers l’être humain, Gallimard, Paris, 1949, tr. it. ID., La prima radice, SE, Milano, 1990, pp. 38-39. 257 nel popolo tedesco manca completamente il pensiero del futuro: «il popolo tedesco non è né scoraggiato né addormentato; non si sottrae all’azione; e tuttavia non agisce; attende»5. L’esperienza del mese passato in Germania è utile per Simone perché le mostra l’incapacità di pensiero delle masse, ma soprattutto perché la aiuta a formulare una domanda che l’accompagnerà negli anni successivi: come agire in modo efficace per mettere fine al regime e costruire una società giusta? La storia recente ha conosciuto, per Weil, tre modalità di azione che, però hanno storicamente fallito. Le insurrezioni del tipo della Comune di Parigi, infatti, pur essendo ammirevoli sono fallite; quella dell’ottobre del 1917 in Russia, sebbene non lo sia formalmente, ha comunque potenziato l’apparato burocratico, la polizia e i militari (la rivoluzione teorizzata da Lenin in Stato e Rivoluzione apparentemente riuscita ha dato vita a una rivoluzione che contraddice i principi lì sostenuti); infine la terza via della non-violenza alla Gandhi appare a Weil «forma un po’ ipocrita di riformismo»6. Nella attesa di trovare un'altra possibile strada, di cui Simone inizia ad intuire la direzione proprio nel lavoro a France Libre negli anni della resistenza a Londra, il soggiorno in Germania e la riflessione sulla situazione tedesca diventano l’occasione per compiere una scelta decisiva: «sceglierò sempre, anche in caso di disfatta sicura, di condividere la disfatta degli operai piuttosto che la vittoria degli oppressori»7. È dalla parte degli oppressi che Simone sceglie di stare, è con loro che condivide gratuitamente la vita. La passione per gli operai, i vinti della storia dell’inizio del XX secolo, il desiderio di comprendere le cause dell’oppressione sociale per riuscire a opporre azioni giuste spingono Simone Weil a desiderare ardentemente di lavorare in fabbrica: è nel lavoro che l’uomo diventa creatore. La capacità dell’uomo di ricreare la vita avviene attraverso il lavoro produttivo, un’azione che si fa tutt’uno col pensiero: un pensiero agente, un’azione pensante. In questo intreccio l’uomo ritrova il proprio equilibrio e crea l’universo attorno a sé. Se invece, come accade nell’esperienza di fabbrica, il lavoro impedisce di pensare, non c’è più la possibilità per l’uomo di generare la realtà, si svuota il senso stesso del suo esistere. Quello che preme a Simone Weil, e che spiega anche la sua passione il mondo del lavoro, è ristabilire, o teorizzare, forme di organizzazione che permettano all’uomo di esprimersi in pienezza. Questo desiderio risponde da un lato ad un’esigenza, potremmo dire, razionale, di comprensione, esercizio puro di «attenzione», cioè sguardo capace di cogliere i nessi causali fra le situazioni; dall’altro lato risponde alla natura empatica di Weil, una volontà di condivisione, compartecipazione alla sofferenza altrui. Facendosi aiutare da alcuni amici sindacalisti, Simone riesce ad ottenere la sospensione dall’insegnamento per motivi di studio e, nel dicembre del 1934, comincia a fare l’operaia prima presso una delle officine della Alsthom a Parigi, poi allo stabilimento della Renault. La sua precaria salute fisica, aggravata dalle condizioni lavorative, la costringe a interrompere il lavoro per brevi periodi, per poi concludere l’esperienza di fabbrica nell’agosto del 1935. Il bilancio che Simone Weil traccia è devastante, l’abbruttimento che ne ricava è tragico. Le Reflexions sur le causes de 5 S. WEIL, Écrits historiques et politiques, Gallimard, Paris, 1960, tr. it. ID., Sulla Germania totalitaria, Adelphi, Milano, 1990, p. 42 e poche pagine prima afferma che «il pensiero degli anni avvenire è privo di qualsiasi contenuto». 6 Ivi., p. 36. 7 Ivi., p. 37. 258 la liberté et de l’oppression sociale o La condition ouvrieére, unitamente ai Cahiers, sono i luoghi in cui si può ritrovare con puntualità la riflessione dell’operaia Weil. Il primo aspetto di cui si accorge è che l’inscindibilità tra corpo e pensiero con il lavoro di fabbrica è drammaticamente messo in evidenza, al punto da chiedersi se la salvezza dell’anima di un operaio non dipenda anzitutto dalla sua costituzione fisica8. Lo svilimento provocato sul corpo, il suo abbrutimento, si ripercuotono in modo spaventoso sulla sua capacità di pensare e di agire. Il non-pensare, la rinuncia all’attività razionale appare come una tentazione alla Weil, tentazione cui gli operai cedono volentieri perché permette loro di soffrire meno. Ogni risveglio del pensiero è doloroso perché fa scorgere l’impossibilità della rivolta. Contro chi insorgere se si è soli con la propria macchina? Di fronte a questa impossibilità d’azione, causata dall’impossibilità di pensiero, Weil si pone una domanda seria: «solo il sentimento della fraternità, della indignazione di fronte alle ingiustizie inflitte agli altri, rimangono intatti – ma fino a che punto ciò potrebbe resistere?»9. Pensare è soffrire, ecco perché l’azione del pensiero è un cardine della gratuità, anche politica, perché pensare significa mettere a rischio la propria vita, e per farlo occorre non avere nulla da difendere, nemmeno la vita stessa. Simone scopre che «un’oppressione evidentemente inesorabile ed invincibile non genera come reazione immediata la rivolta, bensì la sottomissione»10. A causa di questa inevitabile docilità la prospettiva rivoluzionaria appare decisamente impossibile. Il progresso scientifico, applicato al campo delle tecnologie del lavoro, non ha prodotto emancipazione sociale, ma ha rafforzato lo stato di schiavitù dell’uomo11. C’è chi ha accusato la Weil, sulla base di queste sue considerazioni, di un pregiudizio antimoderno e reazionario, di aver elaborato un pensiero tradizionalista12. Non ci sembra che questa posizione possa essere sostenuta. L’oppressione sociale che Weil individua nel progresso tecnico in realtà è presente anche nelle situazioni in cui l’uomo è sottoposto alle sole condizioni di natura: la schiavitù sembra essere una condizione antropologica essenziale. L’oppressione, sia essa “naturale” o sociale, è frutto della “forza” che si abbatte sull’uomo, la cui origine è nella natura. La storia non conosce forme di organizzazione sociale prive di oppressione. La critica che Weil muove a Marx si incardina proprio su questo punto, perché a suo modo di vedere il marxismo non spiega come si possa uscire da questa situazione. Il punto centrale non è organizzare una rivoluzione, ma provare a capire se è possibile concepire un’organizzazione del lavoro e della società che, pur nei limiti della intrinseca oppressività della natura e dei rapporti sociali, non schiacci gli spiriti e i corpi degli uomini. Occorre pertanto comprendere quali strumenti possa attuare una civiltà per rendere gli uomini meno asserviti al dominio della natura e della società, perché, sebbene si possa dire che «l’uomo nasca schiavo e la servitù sia la condizione che gli è propria», occorre parimenti 8 S. WEIL, La condition ouvriere, Gallimard, Paris, 1951, tr. it., ID, La condizione operaia, SE, Milano, 1994, p. 35. Ibid. 10 Ivi., p. 95. 11 «il progresso tecnico sembra aver fatto fallimento, poiché ha apportato alle masse, in luogo del benessere, la miseria fisica e morale» in S. W EIL, Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale, Gallimard, Paris, 1955, tr. it. ID, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, Milano, 1983, p. 11. 9 12 P. DUJARDIN, Simone Weil, ideologie et politique, Grenoble, Paris, 1975. 259 affermare che «tuttavia nulla al mondo può impedire all’uomo di sentirsi nato per la libertà»13. Una libertà che Weil associa alla facoltà creatrice dell’uomo e che nella fabbrica è mortificata soprattutto dall’alienazione tra pensiero e azione, a causa dello squilibrato rapporto tra l’operaio, la macchina produttrice e i materiali prodotti. L’operaio non sa nulla della macchina cui è addetto: esegue ordini, compie mansioni, ma nel momento in cui la macchina dovesse rompersi l’unica affermazione che Weil sente pronunciare è «non vuole andare!», quasi che la macchina fosse qualcosa di animato, con una volontà di funzionamento. Nel lavoro alla catena di montaggio l’operaio non ha la percezione dell’insieme, non sa quali sono i passaggi di lavorazione del prodotto e, di conseguenza, non conosce il ruolo del suo lavoro all’interno della sessione produttiva stessa. Criticando il modello fordista Weil asserisce che esso «finisce con il togliere all’operaio la scelta del suo metodo e l’intelligenza del lavoro, per consegnarla all’Ufficio studi»: la qualifica di «razionale» a questo tipo di organizzazione del lavoro le appare «applicato impropriamente»14. Quello che viene smarrito è dunque il senso e la finalità del lavoro, l’impiego della personale intelligenza di ciascun lavoratore. L’operaio non ha la percezione del fine cui sta collaborando, non si percepisce come creatore, ma il più delle volte si sente soggiogato alla macchina stessa: non si serve della macchina, ma la serve. «Gli operai non devono più ignorare quello che fabbricano, lavorare un pezzo senza sapere dove andrà, occorre dar loro il senso di collaborare a un’opera»15. Occorrerebbe, per Weil, immaginare con creatività modi e strategie per perseguire un tale fine: ad esempio investire nella formazione professionale od organizzare visite guidate nelle fabbriche per gli operai e le loro famiglie. Weil è preoccupata dello smarrimento del senso delle proprie azioni, della frattura tra pensiero e azione. Una preoccupazione che pian piano estenderà all’intera condizione esistenziale degli uomini e definendola come “sradicamento”. Una condizione culturale, prima ancora che politica, che è perdita di senso di una civiltà, dispersione, individualizzazione e specializzazione, perdita del tempo e dello spazio, perdita della storia e della memoria16. La cifra della resistenza nell’esperienza di fabbrica si configura attraverso azioni che ristabiliscano il pensiero. Riuscire a trovare quegli spazi, quei luoghi, quegli strumenti che permettano agli uomini e alle donne di pensare, di usare la propria intelligenza, di comprendere quello che stanno facendo: usando la terminologia dell’ultima Weil di radicarsi. La consapevolezza della forza del pensiero si traduce, nell’esperienza lavorativa, nell’ideazione di Università popolari, nella scrittura di articoli, nella promozione di giornali di fabbrica. Esempio paradigmatico è il lavoro alla rivista di fabbrica “Entre Nous”. In una lettera del 1936 Simone Weil invita gli operai a prendere carta e penna e a scrivere che cosa è per loro il proprio lavoro: «dite se il lavoro vi fa 13 Ivi., p. 74. S. WEIL, La condizione operaia, cit., p. 242. 15 Ivi., p. 229 e ancora in una lettera aperta a Jules Romains, raccolta ne La condizione operaia, con il titolo Esperienza della vita di fabbrica: «i pezzi hanno una loro storia; passano da una fase della lavorazione all’altra; egli non entra per nulla in questa storia, non vi lascia il suo segno, non ne sa nulla. Se fosse curioso la sua curiosità non sarebbe incoraggiata […]. L’operaio non sa quel che produce e quindi non ha la coscienza di aver prodotto, ma di essersi sfinito a vuoto. […] La sua vita stessa esce da lui senza lasciargli intorno alcun segno» p. 269. 16 In questo, Simone Weil, sembra anticipare di mezzo secolo le contemporanee riflessioni sulla liquidità della società avanzate dal sociologo Zigmunt Bauman. 14 260 soffrire, raccontate quelle sofferenze e siano tanto quelle morali quanto quelle fisiche»17. Sarà un sollievo poter dire la verità. In certo senso Weil invita a un uso terapeutico della scrittura: aiuterà a sentirsi liberi, ma soprattutto aiuterà a far nascere empatia fra colleghi, e dall’empatia può nascere una nuova qualità morale per gli operai stessi. Weil non si preoccupa solo di far maturare l’autocoscienza degli operai, ma anche di condurli al “pensiero della bellezza”: unica arma contro la docilità a cui conduce la vita di fabbrica. Il pensiero della bellezza è il pensiero gratuito per eccellenza, è l’espressione di quella gratuità che diventa azione efficacemente politica, politica efficacemente creativa. La bellezza non chiede altro che essere accolta, custodita, rigenerata. Per educare a questo pensiero Weil progetta di rendere accessibili alle masse popolari i capolavori della poesia greca, partendo dalle tragedie. Simone scrive, infatti, un articolo sull’Antigone e uno sull’Elettra, di cui però solo il primo è pubblicato sull’“Entre Nous”, e progetta di continuare con altre tragedie di Sofocle e dall’Iliade. Si tratta di condurre gli operai dentro la pienezza di umanità di cui canta la letteratura greca. Non sono tragedie lontane, ma hanno la capacità di parlare nella contemporaneità perché toccano le dinamiche umane fondamentali, hanno la capacità di far sentire il soffio dell’eternità e «una sola cosa rende sopportabile la monotonia: una luce d’eternità. La bellezza» e «il popolo ha bisogno di poesia come di pane»18. Condurre gli operai attraverso i classici della letteratura greca, rendendoli popolari, significa per Weil guidarli all’eternità, educarli all’arte dell’attenzione, che «è la sola facoltà dell’anima che dia accesso a Dio»19. Non è un palliativo, un nuovo oppio dei popoli; quello della poesia e della bellezza è uno strumento per allargare gli orizzonti, perché «non basta evitare le loro sofferenze, bisognerebbe volere la loro gioia»: se gli operai già hanno la sofferenza, la porta per accedere con autenticità alla gioia pura, non può mancare loro la bellezza, la chiave per aprirla. Quello del pensiero è una responsabilità che si gioca in ambito sociale, pur provenendo dal centro dell’uomo, è sempre “per”. In questo se ne riconoscono i caratteri di gratuità e di giustizia: esso è utile perché può contribuire ad elaborazioni teoriche, ma anche nelle fasi esecutive, a progettare e realizzare una società meno oppressiva partendo da uno sguardo veritativo sulla realtà. Simone si accorge che la fase della storia in cui si trova a vivere è il tempo meno sensibile al dispiegamento del pensiero e all’intelligenza. I totalitarismi nascono e prendono piede perché opinioni irragionevoli hanno preso il posto delle idee. I totalitarismi crescono nella menzogna, nella stupidità generale e contribuiscono ad accrescerla. Cosa rimane dunque da fare? «Niente, se non sforzarsi di allentare un poco gli ingranaggi della macchina che ci stritola; cogliere tutte le occasioni per risvegliare un poco il pensiero»20. Queste parole di Simone sembrerebbero tradire una sorta di resa, ma è solo apparente. Ella si rende conto benissimo che alla sua generazione sono date le maggiori responsabilità progettuali, alle generazioni che verranno saranno date le responsabilità reali. In questo sforzo di immaginazione e progettazione si può leggere l’intera parabola esistenziale Weil. 17 S. WEIL, La condizione operaia, cit., p. 141. Ivi., p. 285. 19 Ivi., p. 290. 20 S. W EIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, cit., p. 126. 18 261 La forza e la violenza. L’esperienza progettuale che la Weil mette in campo negli anni Trenta testimonia una dimensione culturale che sostanzia l’azione politica. Ogni scelta politica, infatti, deve preoccuparsi del suo spessore culturale, della sua capacità cioè di dare forma al pensiero, di orientarlo alla bellezza. La scelta di questa prospettiva culturale, perché ritenuta politicamente efficace, rappresenta una rinuncia esplicita anche all’ideale rivoluzionario e alla sua violenza. La “quarta via” dei cambiamenti sociali passa attraverso la forza non-violenta del pensiero. È una «politicità povera» quella che prende forma in questi anni, caratterizzata dalla risposta ai disagi di limitati gruppi sociali, lontana dall’uso del potere e legata al significato cristologico della sofferenza21. Ma certamente non si può passare troppo velocemente su questo punto. La scelta stessa di partecipare attivamente alla resistenza francese non è sicuramente la scelta di una non-violenza assoluta. Simone Weil di fronte alla violenza e alla brama di potere dei totalitarismi articola in modo complesso il desiderio di progettazione del futuro, con la necessaria forza da opporre a chi cerca di stritolare gli uomini e la vita. Secondo Weil, la spiegazione filosofica della nascita dei totalitarismi va ricercata nel fatto che la coscienza europea non ha saputo reagire alla propria crisi e, piuttosto che accettare la verità della propria debolezza, ha preferito cercare certezze nella forza e nell’illimitatezza del potere. Di fronte a questa interpretazione mistificatoria l’azione di resistenza che va attuata deve percorrere una via diversa da rassegnazione e vendetta. Questa via Simone la trova nella condivisione volontaria della sofferenza altrui, nella condivisione, cioè, della verità della vita degli uomini. Nuovamente Weil individua il primo compito da attuare su di un piano culturale: occorre scardinare l’ideologia nazista e in particolare l’idea di “grande uomo” che Hitler ha sostenuto22. Un’idea che allontana dalla reale condizione di sofferenza presente in ogni uomo. A questa “grandiosità” Weil contrappone la compassione, la quale non manca di avere un significato politico nella misura in cui, di fronte alla consapevolezza della sofferenza degli uomini, cerca di ripristinare la giustizia. La compassione è il frutto di uno sguardo vero sulla realtà, ed è gratuita perché non chiede nulla in cambio, ma anzi essa è il movimento di chi rinuncia alla propria forza, rinuncia al proprio spazio per permettere che l’altro si dispieghi. Il carattere politico della giustizia pone, però, alla Weil il problema del quantum di violenza sia legittima per instaurarla. Simone Weil si chiede con schiettezza se il principio gandhiano della non-violenza abbia senso, ma soprattutto efficacia. Weil giudica la proposta di Gandhi troppo debole, perché manca di efficacia pratica e «niente di ciò che 21 G. FORNI ROSA, Simone Weil politica e mistica, Rosenberg & Sellier, Torino, 1996, p. 16. «qualunque cosa si infligga a Hitler, non gli impedirà di sentirsi un essere grandioso. Soprattutto non impedirà tra venti, cinquanta o cento anni a un ragazzo sognatore e solitario, tedesco o no, […] di desiderare con tutta l’anima un destino simile» in S. W EIL, La prima radice, cit., p. 204. 22 262 è inefficace ha valore». La politica si gioca sul piano dell’efficacia ed è su questo parametro che anche la violenza misura la propria legittimità e la propria forza. Il punto, per Weil, è riuscire a trovare una non-violenza efficace. Gandhi stesso, rispondendo al giovane che lo interrogava a proposito della sorella, afferma: «usa la forza a meno che tu non sia in grado di difenderla, con altrettanta probabilità di successo, senza violenza»23. La giustizia che si conforma alla compassione, se vuole avere efficacia politica, deve misurarsi con la force. Tutto, per Simone Weil, nel mondo materiale è forza e tutto, anche ogni relazione, può essere espresso secondo rapporti e equazioni di forza. La sua tesi è: sia produttore o vittima, comunque davanti alla force l’uomo si disumanizza. Simone Weil cerca allora un modello interpretativo adeguato, consapevole che il punto centrale è sempre, anzitutto, una questione di verità della comprensione della realtà. Questo modello lo trova nell’Iliade24. La verità è che l’anima umana è sempre sottoposta a rapporti di forza. Sono essi che la modificano profondamente e continuamente; chi è sottomesso alla forza è trasformato letteralmente in una cosa, perché essa trasforma gli uomini in cadaveri. Gli eroi che animano il poema di Omero sono l’esempio di questa trasformazione infatti, nella prima pagina de L’Iliade o il poema della forza, Simone Weil traduce un brano in cui si canta che «l’eroe è una cosa trascinata dietro un carro nella polvere»25. La forza stritola e inebria, i ruoli (vincitori e vinti) si confondono e si mescolano: infatti «tutti siamo destinati, nascendo, a subire violenza»26. Il modello che l’Iliade dispiega mette in luce come chi ha la forza crede che essa non abbia limiti, che il destino lo abbia reso superiore agli altri. «È proprio la tentazione dell’eccesso ad essere irresistibile», e i protagonisti sembrano dimenticare continuamente che il vinto è causa di sventura per il vincitore e viceversa. Quello che Weil mette in luce è la «breve gioia» che producono le conquiste nate dalla veemenza della forza. Due fattori contribuiscono a destare da questo sonno pietrificante l’anima perduta dei sottomessi alla forza: il pensiero della morte, l’amicizia e l’ospitalità: «viene un giorno nel quale la paura, la sconfitta, la morte dei compagni amati fa piegare l’anima del soldato sotto la necessità». È il giorno in cui il pensiero della morte diventa reale, in cui ci si accorge che la guerra ha cancellato il pensiero, e con esso l’idea dello scopo della guerra: cioè di mettere fine alla guerra. Ci sono momenti rari e brevi, che Simone Weil chiama miracoli, in cui l’anima si desta pura e intatta, momenti luminosi, quasi divini in cui nell’anima degli uomini c’è posto solo per il coraggio e l’amore. È nell’amore dei rapporti famigliari che l’Iliade esprime questa capacità di uscire dal giogo della forza. «Tali 23 «la non violenza è buona solo se è efficace» in S. WEIL, Cahiers I, Libraierie Plon, Paris, 1970, tr. it. ID, Quaderni I, Adelphi, Milano, 1982, p. 334. Su Gandhi la posizione di Weil è molto decisa: «il pacifismo assoluto, secondo la dottrina di Gandhi, […] non è mai stato applicato; in particolare non è stato applicato da Gandhi, che è fin troppo realista. […] Se una nazione, nel suo insieme, fosse tanto prossima alla perfezione da poterle proporre di imitare la passione di Cristo, varrebbe certo la pena di farlo. Quella nazione scomparirebbe, ma la sua sparizione avrebbe un valore infinitamente più alto della più gloriosa sopravvivenza. Ma non è così. Solo all’anima, nel segreto più intimo della sua solitudine, è dato di orientarsi in una simile perfezione». Il problema dei pacifisti francesi è, secondo la Weil, che non provano ripugnanza a sparare bensì a morire e per questo al Francia è precipitata nella collaborazione con la Germania nazista. In S. W EIL, La prima radice, cit., pp. 147-148. 24 S. W EIL, L’«Iliade» ou le poème de la force – Dieu dans Platon, in La source grecque, Gallimard, Paris, 1953 [tr. it. ID, La Grecia e le istituzioni precristiane, Borla, Roma, 1999]. Un saggio interessante a questo proposito è quello di A. PUTINO, Il concetto di forza nel pensiero politico di Simone Weil, in AA. VV., Il pensiero politico di Simone Weil nella politica dei rapporti tra donne, Gasparoni, Venezia, pp. 42-62. 25 S. W EIL, L’Iliade o il poema della forza, cit., p. 9. 26 Ivi., p. 17. 263 momenti di grazia sono rari nell’Iliade ma bastano a far sentire con estremo rimpianto ciò che la violenza fa e farà perire»27. La sua ermeneutica de l’Iliade la porta poi a comprendere, anche con maggiore profondità, il destino di sofferenza che appartiene ad ogni uomo. La gravità della forza schiaccia ogni vita umana, ma c’è una force salvifica nella bellezza delle relazioni umane, per questo la più grande sventura che il poema di Omero evidenzia è la distruzione di una città. Non è possibile amare ed essere giusti senza conoscere e rispettare l’impeto della forza: «nulla è al riparo della sorte, quindi non ammirare mai la forza, non odiare i nemici, non disprezzare gli sventurati»28. È questa la verità che Simone apprende nell’ascolto di Omero: la reazione alla violenza è possibile solo nell’amore soprannaturale, sovrabbondante, nel consenso al bene che rende l’uomo giusto. Ma può capitare che si possa essere costretti, da un obbligo rigoroso, a trasmettere la violenza nel meccanismo di cui siamo ingranaggi per poterlo spezzare. Quando il contesto è la violenza assoluta, la barbarie del nazi-fascismo, l’umiliazione che esso produce, lo scialo di morte e sofferenza che deliberatamente afferma, la passione per il bene e l’amore del prossimo si realizzano nell’amare la necessità, che insanguina la fragile umanità. La gratuità diventa la capacità di essere profondamente giusti e fedeli alla terra, è un amore fragile e impotente, ma paradossalmente più efficace della violenza, perché vede più lontano e, proprio mentre usa la violenza per difendersi, contempla già una terra nuova, dove la forza è sostituita dal pensiero e dal dono di sé all’altro. Il crinale su cui Simone Weil ci conduce è un terreno scivoloso, ma non privo di realismo. La difficile scelta tra violenza o non-violenza si gioca nei termini dell’efficacia della propria azione in ordine alla compassione della sofferenza degli uomini e al ripristino della giustizia violata. Il rapporto che Weil propone tra violenza e non-violenza non è in termini assoluti un aut aut, ma un et et. Solo dopo essere passati attraverso una riflessione di questo calibro sulla pervasività della forza, solo dopo aver compreso la verità presente nella passione per gli sventurati, si può comprendere che ci sono momenti della storia in cui, alla sofferenza e alla morte, non si può non opporre forza e violenza perché esse sono indispensabili per attivare la giustizia. La politica come arte della giustizia. La vita e la riflessione di Simone Weil mettono in luce, in modo esemplare, alcuni tratti peculiari di un modo femminile di pensare politicamente. Ella è espressione di quel «principio femminile» che il filosofo italiano Italo Mancini ravvisava come idea rigeneratrice per l’ethos 27 Ivi., pp. 27-29 in cui Simone Weil esalta il valore dell’amicizia così come le parole dell’incontro tra Priamo e Achille fanno assaporare «Ma quando fu placato il bisogno di bere e di mangiare,/ prese allora il Dardànide Priamo ad ammirare Achille,/ com’era grande e bello; aveva il volto di un dio./ E a sua volta il Dardànide Priamo fu ammirato da Achille/ che gli guardava il bel volto e ascoltava la sua parola./ E quando si furon saziati di contemplarsi l’un l’altro…». 28 Ivi., p. 34. 264 dell’Occidente: «logica dell’interindividuale», «passione per la coesistenza dei volti […] esercizio dell’equità che tiene conto delle persone, delle loro debolezze e dei loro diritti e chiede l’applicazione non meccanica ma analoga dei principi»29. Un modo femminile che trova corpo nell’amore per l’altro, inteso come irriducibilmente diverso da sé e proprio per questo da amare con gratuità. È con tutta la sua vita e tutta la sua riflessione che Simone Weil si ritrova nel cuore della resistenza francese e si accorge che la questione più delicata che France libre si deve affrontare è quella di come raggiungere il popolo francese, come scuoterlo dal torpore e dalla indifferenza, come prepararlo al rinnovamento delle istituzioni e come coinvolgerlo in una guerra di liberazione e nella conseguente ricostruzione del paese. Si è di fronte a un problema di metodo che chiede di pensare e verificare strumenti capaci di generare ethos, civiltà30. In questo senso la riflessione della Weil diventa interessante per il pensiero contemporaneo. In un momento in cui la clash theory, pone l’accento sulla forza e la violenza che le civiltà hanno di distruggersi a vicenda, la Weil conduce ad andare alle radici della formazione di una civiltà, e in questo senso costringe a verificare l’attendibilità e la reale efficacia di tale teoria. Simone Weil aiuta a operare uno spostamento di attenzione e a porre lo sguardo alle dinamiche fondative del vivere insieme degli uomini. Se nel tempo del lavoro in fabbrica ella aveva assistito allo sradicamento esistenziale provocato dalla frattura tra pensiero e azione nell’operaio, ora Simone ritrova questa possibilità di sradicamento nella condizione umana sottoposta alla guerra, ma in senso più ampio, sottoposta alle dinamiche della forza presenti in qualunque organizzazione umana. Una domanda guida la riflessione weiliana nel tempo londinese: qual è il senso che anima la civiltà, su cosa si dovrebbe radicare una civiltà, nel momento in cui la storia pone di fronte alla possibilità di rifondarsi. Al fondo del pensare della Weil vi è la convinzione che la politica sia un’arte, anzi che la politica è l’arte che ha per suo oggetto la giustizia. In questo Weil anticipa anche la riflessione del secondo dopo guerra sulla giustizia, si pensi semplicemente alla famosa opera di John Rawls A theory of justice31. La politica è un’arte come la poesia, la musica, l’architettura. Simone Weil ha un’idea strumentale della politica, essa è un mezzo che deve trovare il modo di comporre insieme le diverse istanze per poter realizzare uno spazio di pieno dispiegamento della giustizia per tutti gli uomini. Alla base dell’azione politica non vi è il bene in sé, ma piuttosto la costruzione di rapporti giusti tra gli uomini, la progettazione di azioni di pace, la limitazione dell’oppressione. È un arte compositiva, sinfonica che per questo richiede attenzione e cura. Simone Weil individua a nostro modo di vedere quattro strumenti per l’arte della politica: l’efficacia veritativa dei simboli, il primato dei doveri sui diritti, la compassione che genera fraternità giuste, l’amicizia che è espressione della bellezza della gratuità dei rapporti. Sono strumenti che ella stessa mette in campo per progettare la Francia e che quindi mette alla prova nell’ideazione del dopo-guerra europeo. 29 I. MANCINI, Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso, Marietti, Genova, 1991, pp. 227-228. Sul principio femminile come idea rigeneratrice del diritto cfr. ID., Filosofia della prassi, Morcelliana, Brescia, 1986, pp. 229-280. 30 «Il problema di un metodo capace di ispirare un popolo è un problema completamente nuovo» in S. W EIL, La prima radice, cit., p. 171. 31 J. RAWLS, A theory of justice, Harvard University Press, Cambridge, Mass, 1971. 265 Il primo strumento è il valore veritativo dei simboli e delle azione simboliche. La preoccupazione di Simone, nel cercare un metodo capace di ispirare il popolo francese, è quella di trovare una strada diversa da quella utilizzata da Hitler per formare la coscienza del popolo attraverso la propaganda, le minacce e le promesse. Lo strumento che trova è quello dell’esempio. Nel tempo che precede l’arrivo a Londra Simone elabora un progetto altamente simbolico: il progetto per le infermiere esposto nel Projet d’une formation d’infirmiéres de premiére ligne32. L’idea di Simone è quella di costituire un gruppo di volontarie cui sia assegnato il compito umanitario di assistere i soldati direttamente sul campo di battaglia: una sfida clamorosa alla ferocia e alla violenza della guerra. Il progetto esprime la necessità di un salto qualitativo nell’azione di resistenza, mette in atto un modo-altro di combattere pur stando nel centro stesso della battaglia, un modo-altro capace di sgorgare dalla compassione verso i feriti, verso il destino di morte che grava sui soldati. Come si può immaginare questo progetto viene bocciato e De Gaulle stesso lo definisce follia. Certamente è difficilmente praticabile, quello che però evidenzia è l’efficacia veritativa dell’azione simbolica: «Esse avrebbero dovuto svelare con la loro sola presenza il meccanismo della forza, la sua logica perversa, e richiamare all’obbligo morale di farne uso esclusivamente finalizzato alla costruzione della pace»33. Il corpo delle infermiere sarebbe stato un modo per mostrare un altro tipo di forza qualitativamente diversa rispetto a quella delle SS. La sua efficacia si misura nell’assistenza ai feriti e soprattutto nel carattere di provocazione morale nei confronti dell’esercito straniero. È una sorta di deterrente: sparare su di un campo in cui sono presenti anche donne avrebbe costituito una visibile riprova della barbarie cui si era giunti. In greco il termine “simbolo”, deriva dalla composizione di sym con il verbo ballo, esso esprime dunque una realtà che è legata ad un’altra non presente. La capacità simbolica del corpo di infermiere porta alla luce da un lato quella gratuità tipica femminile che è disposta a mettere in pericolo la propria vita pur di salvarne altre, dall’altro è capace di tirare fuori, dal cuore degli uomini, tutti quei desideri che similmente lo abitano: suscita imitazione, libera azioni ugualmente gratuite. L’efficacia veritativa rivela la crudezza della realtà per contrasto, annuncia la possibilità di un’azione gratuita e in questo modo attiva e ri-attiva il pensiero e l’intelligenza nel desiderio di partecipazione e di trasformazione della realtà. Il secondo strumento metodologico consiste nell’elaborazione di un elenco dei doveri verso gli uomini. Se la politica è l’arte della giustizia, essa si realizza per la Weil in un primato dei doveri piuttosto che dei diritti, cui essi sono comunque correlativi. La questione del rapporto tra doveri e diritti si manifesta in modo cruciale nella riflessione intorno alla Carta Costituzionale. Secondo Weil, infatti, il progetto costituzionale che circola negli ambienti della resistenza francese contiene un errore di fondo, quello cioè di essere pensato e modellato sulla scorta della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. È un errore fondare una civiltà sui diritti meglio fondarla sui doveri verso l’uomo: su una giustizia di cui ciascuno è responsabile e non su una giustizia da reclamare. I diritti, infatti, appartengono, secondo Simone Weil, all’ordine 32 33 in S. WEIL , Écrits de Londres et derniéres letteres, Gallimard, Paris, 1957, pp. 187-195. G. GAETA, Il radicamento della politica, in S. W EIL, La prima radice, cit., p. 272. 266 oggettivo e quindi dipendono dall’esistenza e dalla realtà, sono sempre legati a condizioni; i doveri invece appartengono all’incondizionato. Gli obblighi attingono alla parte più segreta dell’anima umana, e riguardano ogni uomo in qualsiasi circostanza. «C’è un obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano» e, qualche riga sopra, «un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde; […] un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto»34. Partire dai doveri significa toccare nel suo centro vitale la questione della giustizia che è incancellabile nel cuore dell’uomo. Simone Weil parte proprio da qui. Nel progettare un metodo per dare un’anima alla Francia e al futuro è convinta che occorra ancorarsi a una certa idea di perfezione umana, e alla realtà del cuore dell’uomo, nel quale alberga la giustizia. A partire da questo anelito Weil ritrova i doveri fondamentali verso ogni uomo di fronte a cui obbligarsi personalmente ma di fronte a cui obbligare anche lo stato. Sono le collettività umane infatti che assicurano l’adempimento di questi obblighi, sono le civiltà che animano i diversi paesi a dovere e potere assicurare ad ogni uomo questi obblighi. Simone in questo modo cerca di rispondere a quella forza di rivendicazione che accompagna il riconoscimento dei diritti. Una forza che può essere pericolosa. I diritti infatti diventano effettivi solo quando sono riconosciuti, se vi è volontà di assolverli, e per ottenere questo si possono generare azioni violente e distruttrici. I doveri invece, essendo legati alla condizione umana, sono sempre presenti anche se non vengono riconosciuti. Il problema dunque si sposta sul ruolo delle collettività e su come comportarsi nel caso in cui non assolvano né pienamente né parzialmente al rispetto dei doveri. Può capitare per esempio che «certe collettività divorano le anime invece di nutrirle», in questo caso occorre una cura e, in certi casi, occorre ispirarsi ai «metodi chirurgici», anche se poi Simone non esplicita con esempi questa operazione; può capitare poi che una collettività fornisca nutrimento insufficiente e in questo caso occorre migliorarla; può infine accadere che ci siano collettività morte, che pur senza divorare le anime non le nutrono più, in questo caso occorre «annientarle»35. Sotteso a tutti tre i casi c’è anche la consapevolezza che può accadere che l’obbligo di protezione verso una collettività in pericolo conduca fino al sacrificio totale di sé: la resistenza si colloca allora come uno strumento necessario, a costo della vita, con cui assicurare la pienezza di umanità a tutti gli uomini e le donne, non si tratta di un diritto ma di un dovere, in questo senso se ne comprende la strutturalità nel pensiero della Weil. La capacità di riconoscere la presenza di doveri fondamentali nei confronti di tutti gli uomini dipende anche dalla capacità di avere uno sguardo attento alle dinamiche di giustizia e attento nell’osservazione della vita degli uomini. Secondo Weil per educarsi a questo sguardo occorre educarsi alla compassione. Una compassione che ella riserva sia agli uomini sia al suo paese. Simone Weil è convinta che sia necessario, per il bene della Francia, educare gli uomini e le donne a un sano senso di amor di patria. Il governo che sorgerà in Francia si troverà davanti, infatti, il desiderio di sangue e di vendetta, si troverà di fronte lo sfascio morale ed etico degli anni della guerra e dei mal governi che l’anno condotta prima nel cuore della battaglia, poi in una 34 35 Ivi., pp. 13-14. Ivi., pp. 17-18. 267 «strana» collaborazione con il governo nazista. È importante allora far amare la Francia ai francesi nella verità. Il modello di “amor di patria” che l’Europa ha conosciuto negli anni recenti è il modello utilizzato da Hitler, caratterizzato da minacce e promesse, da suggestione e costrizione. Per Simone Weil un modello nuovo va’ ricercato innanzitutto nel linguaggio, in parole capaci di dare forma al pensiero e dunque all’azione creativa. Torna quella dimensione culturale che avevamo visto essere all’opera nella riflessione sulla fabbrica, una dimensione culturale che tocca le dinamiche generatrici della società. Occorre infatti trovare quelle parole che parlino al cuore dei francesi, che, orientandoli al bene e mostrandosi utili per la sua ricerca, siano capaci di ridestare l’interesse appassionato per gli esseri umani, chiunque essi siano. Parole e naturalmente azioni di qualità: «la vera missione del movimento francese a Londra è, proprio in ragione delle circostanze politiche e militari, una missione spirituale prima ancora che una missione politica e militare» e occorre «farlo immediatamente; quando la sciagura ci piega ancora». Si tratta di attuare una «direzione di coscienza al livello di una nazione»36. L’incapacità di pensiero delle masse, già riscontrata negli anni Trenta, la porta dunque a configurare la formazione della coscienza non tanto in chiave collettiva, ma piuttosto in modo da toccare la coscienza di ciascun francese. Si tratta di riattivare il pensiero, ed esso è la cosa più profonda e più personale che ogni uomo e ogni donna possiedono. La compassione per l’altro è capacità di patire-con. È una necessità che si dispiega a partire dalla consapevolezza che «la sofferenza» che accompagna ogni vita umana «non ha significato. È l’essenza stessa della sua realtà. La si deve amare nella sua realtà che è assenza di significato»37. Ma questo amore per la verità della condizione umana si può imparare solo attraverso la compassione per l’altro. Non esiste per Simone Weil l’amore per la verità, perché la verità non è un oggetto. Si ama invece qualcosa che esiste: si ama la realtà in modo vero. Desiderare la verità significa desiderare un contatto diretto con la realtà, e questo contatto con la realtà, riferito alla situazione degli uomini, significa amare, com-patire la loro condizione che è una condizione di sofferenza radicale. Ma «la compassione è ostacolata dal rifiuto di accettare per sé la possibilità di soffrire. È il rifiuto di riconoscersi nella miseria altrui, che è brutta»38. Essa cioè implica l’accettazione del nostro limite, della nostra fragilità e il fatto che l’altro diventi uno specchio in cui vedere la nostra stessa sventura: in questo la compassione è espressione di gratuità perché accoglie la verità della vita senza mistificarla. Il valore della compassione, sia essa rivolta ai singoli uomini, sia essa rivolta alla nazione francese, si comprende proprio nello svelamento della verità che essa manifesta. Non solo una verità sull’uomo per la Weil, ma anche su Dio, colui che per primo ha avuto compassione della nostra miseria, morendo gratuitamente da giusto sulla croce. Il patire-con non è una sofferenza fine a sé stessa, secondo il gusto decadente, ma è un movimento che permette di identificarsi con l’altro, e quindi, di compiere quella discesa che Dio stesso compie nei confronti degli uomini e delle donne. Simone Weil pensa che Dio abbia creato il mondo 36 Ivi., p. 195. S. WEIL, Cahier III, Librairie Plon, Paris, 1974, tr. it. ID, Quaderni III, Adelphi, Milano, 1988, p. 112. 38 S. W EIL, Cahier II, Librairie Plon, Paris, 1972, tr. it. ID, Quaderni II, Adelphi, Milano, 1985, p. 229. 37 268 ritirandosi da esso, lasciando la possibilità di esistere a qualcosa di diverso da lui. Piegarsi verso l’altro è dunque un moto paradossale che mentre si identifica e si fa prossimo, rinuncia, sulla scia di Dio, ad occupare tutto lo spazio, rinuncia a sé39. È questa stessa compassione che ha guidato Simone Weil alla resistenza e alla consapevolezza delle proprie scelte. «Sono pronta ad accettare ogni tipo di rischio, compresa la morte sicura in vista di un obiettivo d’importanza adeguata» dirà a Maurice Schumann per convincerlo a chiamarla a Londra nel cuore della resistenza francese. La compassione che si dispiega fra le pagine della Weil non è un movimento solamente etico, di empatia ma assume una forte valenza politica, da un lato perché spinge a generare giustizia fra gli uomini, dall’altro perché muove verso quell’amore per il proprio paese che genera partecipazione. Afferma infatti Simone che: «la compassione per la Francia è un movente almeno altrettanto energico per l’azione di resistenza». La via che Simone intravede per educare alla compassione verso la Francia è quella di presentare al popolo la patria come una cosa bella ma imperfetta, esposta continuamente alle sventure. Questo permetterà al popolo una sorta di identificazione perché esso conosce, meglio di ogni altra classe sociale, la realtà della sventura; non sentirebbe più le proprie sofferenze come mancanze che la patria ha commesso contro di lui, ma come sofferenze che la patria ha sofferto in lui40. La compassione genera com-partecipazione al destino, apre all’eternità e al futuro anche l’azione politica, spinge alla progettualità. Il quarto strumento che Simone individua, e che si carica in questa fase di una valenza politica, è l’amicizia. Abbiamo già visto nel ripercorrere la lettura di Weil dell’Iliade come l’amicizia, l’amore, le relazioni famigliari costituiscano la chiave di volta per uscire dalla cosificazione della forza. «L’amicizia non deve guarire le pene della solitudine, ma decuplicarne le gioie. L’amicizia non si cerca, non si sogna, non si desidera; si esercita (è una virtù)»41. L’amicizia costituisce un miracolo, come la bellezza, perché nel confronto, nel dialogo costituisce uno spazio di riattivazione del pensiero. L’amicizia diventa uno stile di gratuità, un modo sano si costruzione dei rapporti, perché permette di limitare, di contenere la propria forza, di esercitare la discesa verso l’altro, ma anche perché apre alla verità. Scrive Simone, in partenza per l’America, nel suo testamento spirituale a Padre Perrein, che l’amicizia di cui si è sentita avvolgere è stata la «fonte di ispirazione più possente e più pura» perché «nessuna cosa umana, più dell’amicizia per gli amici di Dio può conservare il nostro sguardo fisso a Dio con intensità sempre crescente»42. La forza dell’amicizia si ritrova nelle pagine scritte da Londra in cui si legge che: «i sentimenti personali, nei grandi avvenimenti del mondo, hanno un’importanza che non viene mai valutata completamente. Il fatto che ci sia o non ci sia amicizia fra due uomini, fra due ambienti umani, può in certi casi essere 39 «trattare il prossimo sventurato con amore è qualcosa come battezzarlo. Colui dal quale proviene l’atto di generosità non può agire così se non si è trasferito nell’altro con il pensiero. La generosità e la compassione sono inseparabili e hanno entrambe il loro modello in Dio, ossia la creazione e la Passione» in S. WEIL, Attente de Dieu, Fayard, Paris, 1969, tr. it. ID., L’attesa di Dio, Rusconi, Milano, 1988. 40 «La compassione verso la patria è l’unico sentimento che in questo momento non suoni falso [...] la compassione verso la Francia non è una compensazione ma una spiritualizzazione delle sofferenze subite; essa può trasfigurare anche le sofferenze più materiali» in S. W EIL, La prima radice, cit., p. 158. 41 S. W EIL, Quaderni I, cit., p. 156. 42 S. W EIL, Attente de Dieu, cit., p. 47. 269 elemento decisivo per il destino del genere umano»43. Il punto nodale è come sempre una questione di verità. L’amicizia contribuisce a diffondere la verità, a confrontarla, a verificarla perché «un uomo che abbia qualcosa da dire di nuovo può essere ascoltato, in un primo tempo solo da chi lo ami»44. La circolazione della verità è possibile solo in rapporti gratuitamente amicali e questo gioca un ruolo fondamentale nella progettazione politica perché, per mettersi a lavorare per il futuro, per ragionare sulle diverse opzioni politiche, sulle strutture istituzionali da fondare in modo autentico, occorre nutrire sentimenti di amicizia reciprochi, in cui ciascuno è disposto a mettere a disposizione le proprie idee migliori nella totale gratuità, senza avere nulla da difendere. «Appena finita la guerra, si comincerà a costruire nel senso letterale della parola. […] Se per caso ci sottraessimo a questa necessità per paura di possibili divisioni, ciò significherebbe semplicemente che non siamo qualificati per intervenire nel destino della Francia»45. Il pensiero di Simone Weil è percorso da una passione profonda per la vita e per la sua progettazione. Il suo è un pensiero limpido, instancabile nella ricerca della comprensione, e nella ricerca di tutti quegli spazi di oppressione che schiacciano gli uomini. Il pensiero politico di Simone Weil nato e cresciuto in un periodo di forte coinvolgimento sociale e civile si ancora fortemente al problema della verità. Una verità certamente pratica nella misura in cui si trova stando dentro la vita, sperimentandola, non una verità da contemplare ma da intuire, da generare e da comunicare. Il senso di una civiltà si trova per la Weil nella sua capacità di lettura autentica della realtà degli uomini e nella conseguente capacità di offrire risposte altrettanto autentiche. Il senso di una civiltà si trova nel suo legame con la verità. Una verità che è solo nel pensiero appassionato e gratuito che si può intuire e costruire. Non un’idea di verità, non un’idea di uomo, ma la verità che afferma come la sofferenza degli uomini sia il dato di realtà da cui partire per pensare e progettare un’ethos capace di vera giustizia. In questo il pensiero della Weil diventa importante nel quadro della riflessione politica del Novecento europeo, per la sua capacità di anticipare alcune questioni che hanno poi trovato dispiegamento nella contemporaneità (si pensi alla questione della giustizia, al rapporto tra diritti e doveri), per la critica feroce ad alcune linee della riflessione filosofico-politica che pure hanno sostanziato il dibattito nel tempo della ricostruzione del dopo-guerra (in particolare è forte la critica al marxismo, ma anche al personalismo di Maritain e Mounier), ma anche per il legame tra verità e politica che ella stabilisce. La politica per la Weil è un’arte, uno strumento per radicare gli uomini nella verità, e in questo modo aprirli alla giustizia e all’intelligenza. Di fronte alla deriva proceduralista che troppo spesso ha sostanziato la filosofia politica contemporanea vi è nella Weil il richiamo a un metodo di progettazione politica che parte dalla centralità della vita vera di ciascun uomo e dei suoi più seri bisogni. 43 S. WEIL, La prima radice, cit., p. 188. Ivi. 45 S. W EIL, La prima radice, cit., pp. 73-74. 44