Fisica, chimica e livelli di complessità

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Fisica, chimica e livelli di complessità
Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
(2000) CIAFIC Ediciones
Fisica, chimica
e livelli di complessità
Giuseppe Del Re*
SCIENZA E COMPLESSITÀ
In questo articolo vorrei discutere il posto da assegnare alla
chimica nella scienza e nella fisica e nella filosofia della natura
secondo la Welthanschauung associata all'epistemologia della
complessità. Secondo questa nuova prospettiva, proposta fra
gli altri dal premio Nobel per la chimica Ilya Prigogine1, la
costituzione dell'universo fisico è caratterizzata da una scala di
livelli di complessità - da quello delle particelle elementari, agli
atomi, molecole, enzimi e altre macromolecole, macchine di
ultima generazione, esseri unicellulari, e così fino ai mammiferi.
In un oggetto che appartiene ad un certo livello di complessità
livelli più bassi coesistono ; per esempio, quando diciamo che
una molecola è un sistema costituito da un certo numero di
elettroni e da certi nuclei descriviamo la sua realtà -ciò che la
molecola è- a un livello di complessità più basso di quello cui
appartengono le molecole. Benché si possa descrivere la
stessa realtà a livelli diversi, ad ogni livello valgono nuovi
concetti e nuove leggi perché emergono nuove proprietà di
quella stessa realtà oggettiva2.
*
Actualmente se desempeña como Profesor Titular de Física Teorética
en la Universidad de Nápoles.
1
Si vedano le opere epistemologiche di Prigogine, in particolare I.
PRIGOGINE e I. STENGERS: La nouvelle Alliance, Paris: Gallimard 1979; I.
PRIGOGINE, I. STENGERS: Entre le temps et l'éternité, Paris: Champs
Flammarion 1992.
2
Quest'idea è stata sviluppata in termini di Seinsschichten, "strati
dell'essere" dal filosofo tedesco Nicolai Hartmann, che ha riportato
l'ontologia in primo piano nel pensiero contemporaneo. Un'introduzione
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Il corpus della scienza si deve perciò vedere come un insieme
di discipline diverse ognuna appartenente a un particolare
livello di complessità. Le varie discipline sono tutte fondate su
principi e leggi che soddisfano i principi fondamentali della fisica
teorica, la quale ha uno statuto speciale perché si occupa delle
leggi e dei costituenti ultimi del mondo fisico, ma non si
riducono ad essa, perché ognuna ha ciò che la rende un campo
di indagine indipendente3.
IL POSTO DELLA CHIMICA
Nel quadro della nuova concezione della scienza e della
Natura così definita, la chimica ha il compito di guardare alla
materia cercando di ricondurre le sue proprietà a quelle delle
entità caratteristiche del livello più basso in cui appaiono nuovi
aspetti della realtà dovuti alla complessità, cioè delle molecole.
Questo è giustificato dalla considerazione che la chimica
differisce dagli altri rami della scienza in quanto è la scienza
delle sostanze composte nella misura in cui sono sostanze; e,
da quando fu enunciata l'ipotesi ormai consolidata di una
corrispondenza univoca tra sostanze pure e specie molecolari4,
essa è anche la scienza delle molecole nella misura in cui sono
molecole. La limitazione "nella misura in cui" con riferimento
al suo pensiero si trova in NICOLAI HARTMANN: Neue Wege der Ontologie
(1942), Stuttgart: Kohlhammer 1949. Tr. it. di Giancarlo Penati: Nuove
vie dell'ontologia, Brescia: La Scuola 1975. Tr. ingl. by R.H. Kuhn: New
Ways of Ontology, Westport, Conn.: Greenwood Press 1975. L'opera
monumentale che presenta in modo completo l'"analisi categoriale" è
Der Aufbau der realen Welt, 1940; dritte Auflage, Berlin: De Gruyter
1964. Da alcuni N. Hartmann viene accusato di far emergere lo spirituale
dal materiale. Questa accusa è in contrasto con quanto dichiara
esplicitamente nei suoi scritti; va ammesso però che egli non si sofferma
gran che su ciò che è puro spirito, ma sembra porsi, almeno negli scritti
qui citati, in una prospettiva aristotelica.
3
MARIO BUNGE: "Is Chemistry a Branch of Physics?", Z.F. Allg.
Wissenschaftslehre, 13, pp. 209-223, 1982.
4
Dalton 1808, Avogadro 1811.
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alle molecole è necessaria per precisare che i chimici studiano
le molecole non in generale, per esempio come particelle
dotate di certe caratteristiche meccaniche ed elettromagnetiche, ma come edifici di atomi caratterizzati da una
struttura che obbedisce a regole precise, i cui aggregati
appaiono a livello macroscopico (livello di "accesso diretto")
come le sostanze pure studiate appunto dalla chimica5.
La conoscenza della realtà molecolare è conoscenza del
livello di complessità più semplice in cui equivalgono regole e
concetti speciali. Perciò la chimica merita lo statuto di scienza di
riferimento per i filosofi impegnati in riflessioni sulla complessità.
Questo è il punto che cercherò di illustrare in maggior dettaglio
nei paragrafi seguenti, insieme, naturalmente ad un esame più
ravvicinato della complessità in generale.
L'ASCESA DELLA COMPLESSITÀ
Parliamo spesso, dentro e fuori della scienza, di oggetti
complessi. Diciamo che una sonda spaziale è una macchina
molto complessa, che la soluzione di certe equazioni è una
procedura complessa, che la biologia è una scienza molto
complessa, e così via. Pensiamo di capire molto bene il termine
"complesso", ma se ci chiedessero di dire a parole cosa
significa avremmo qualche difficoltà. Talvolta significa soltanto
"difficile e complicato"; normalmente significa "che consiste di
molte parti". Si potrebbe sperare che l'applicazione del rigore
scientifico debba aiutare a raggiungere una definizione più
completa e precisa. Sfortunatamente non è così, perché la
complessità non è una cosa come l'energia, per cui si può dare
una precisa definizione "operativa". Uno dei pionieri di questo
campo, il sociologo francese Edgar Morin, scrisse6:
5
G. DEL RE: "The historical perspective and the specificity of chemistry",
Epistemologia, 10, pp.231-240 (1987).
6
EDGAR MORIN: Introduction à la pensée complexe, Paris: ESF 1990,
p.134.
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La complexité, pour moi, c'est le défi, ce n'est pas la
réponse - la complessità per me è la sfida, non la risposta.
Ciononostante, sono state fatte diverse proposte di
definizione rigorosa. Fra esse, quella più ragionevole, studiata
estesamente da Kolmogorov nella sua teoria algoritmica
dell'informazione7, è probabilmente fornita dalla nuova
disciplina chiamata teoria dell'informazione. Si comincia con
l'osservazione che -almeno in linea di principio - con un dato
numero e specie di mattoni (particelle elementari, atomi,
molecole, cellule, e così via), si può formare un intero spettro di
sistemi a complessità diversa, che vanno da sistemi con parti
praticamente indipendenti (gas interstellare, una porzione di
materia allo stato di plasma, le cellule di una cultura in cui si
trovano molto lontane l'una dall'altra, ecc.) fino a sistemi che si
comportano in maniera unitaria anche in condizioni avverse
(sistemi di controllo ovvero statici, esseri viventi). In questo
spettro un sistema verrà chiamato complesso se almeno una
certa misura di interdipendenza delle parti che dà luogo a
proprietà che non sono somma delle proprietà delle parti è
indispensabile perché il sistema sia quello che è.
Come esempio fondamentale, ricordiamo che le proprietà di
una molecola sono determinate non solo dalla natura degli
atomi che la formano, ma dalla sua struttura (che i chimici
rappresentano con la formula); e ci sono molti esempi di
"isomeri", cioé molecole formate dalle stesse specie e dallo
stesso numero di atomi che pure hanno proprietà
completamente diverse, perché gli atomi sono disposti in
strutture diverse. Le molecole dell'etere etilico, un leggero gas
anestetico, sono formate da due atomi di carbonio, un atomo di
ossigeno e sei atomi di idrogeno esattamente come quello
dell'alcool etilico, quel liquido ben noto che è amico dell'uomo
purché non ci si avveleni bevendone troppo. Un altro esempio
interessante sono le duecentodiciassette molecole (e quindi le
7
A.N. KOLMOGOROV: "Three approaches to the quantitative definition of
information", Problemy Peredachii Informatsii, 1, 3ff (1965).
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duecentodiciassette sostanze diverse) più o meno stabili che si
possono formare secondo le regole della chimica con sei atomi
di carbonio e sei atomi di idrogeno, e di cui una è il ben noto
liquido detto benzene.
Così, in generale, si possono formare sistemi diversi con le
stesse parti e ciascuno avrà un diverso grado "complessità". Si
può immaginare una misura quantitativa di questo grado. Per
farlo si immagini che le parti del sistema siano completamente
indipendenti. Si dividano in gruppi di parti identiche, e si
consideri la lunghezza $\ell_0$ del messaggio più corto (una
"stringa" scritta in un linguaggio standard, diciamo cifre binarie)
che è una descrizione completa di questo insieme
fondamentale di parti il quale non ha alcuna complessità se non
eventualmente quella delle singole parti. Il messaggio sarà
soddisfacente se contiene una descrizione completa di una
parte per ciascun gruppo e il numero di parti contenute in quel
gruppo. Si consideri poi la lunghezza $\ell$ della stringa che
rappresenta (nello stesso linguaggio) la descrizione completa
più breve del sistema effettivo. Possiamo prendere il rapporto
$\ell/ell_0$ come misura di quanto è complesso il sistema
rispetto al semplice aggregato delle sue parti, perché maggiore
è il numero delle proprietà che non corrispondono a proprietà
delle parti maggiore è quel rapporto.
Questa definizione non è al di là di ogni critica e si potrebbe
migliorare, ma qui basta come riferimento per discutere la
natura della complessità. Tra l'altro ci permette di renderci
conto che gli atomi di una molecola non contengono rispetto ai
corrispondenti elettroni e nuclei tanta informazione in più
quanta ne contiene la molecola: è per questo che una molecola
è un sistema complesso8. La stessa considerazione vale per
8
Si noti che qui e altrove si parla d'"informazione" al singolare
intendendo "un insieme di proprietà caratterizzanti di un sistema fisico".
Si dà informazione a un sistema impartendogli njuove proprietà
caratteristiche. Quest'accezione del termine, che evidentemente
sostituisce il termine "forma" introdotto da Aristotele, si è imposto in
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oggetti più familiari: può darsi che non siamo in grado di
descrivere completamente un'entità come un cane, ma
sembrano esserci pochi dubbi -specialmente dopo l'avvento
della psicobiologia- che, malgrado la sua qualità di "amico
dell'uomo", in termini della differenza fra ciò che un vivente è
come tale e ciò che è l'insieme dei suoi organi e tessuti
(secondo la prescrizione della definizione informazionale data
sopra) un cane è meno complesso di un essere umano.
L'emergenza dell'unità da insiemi di oggetti "elementari" è il
problema centrale posto dal riconoscimento dell'importanza
scientifica della complessità. La coesistenza di un sistema
unitario e di quegli oggetti distinti (suscettibili di studio separato)
che sono le sue parti è un nuovo argomento di studio, perché
l'adozione di un punto di vista esclusivamente biologico e
l'ignoranza della chimica della scienza aristotelica pre-moderna
l'aveva condotta a considerare `virtuali'9 le parti di un sistema
veramente unitario (diciamo, un organismo in attività); mentre la
scienza moderna, fondata sulla meccanica, tende a ignorare
che il tutto può contenere più informazione che non le sue parti.
Con l'ascesa della biologia contemporanea e la fine del
vitalismo è diventata urgente la necessità di riconciliare queste
due visioni estreme.
IL TUTTO E LE PARTI
L'idea dell'Universo che regnò quasi indiscussa fino a tempi
molto recenti, idea ben nota sotto il nome di riduzionismo, è
quella della fisica, la quale vede il mondo come insieme di
entità semplici da trattarsi ciascuna prima come sistema isolato
inglese quasi naturalmente perché in quella lingua la parola `information'
è già un singolare collettivo, e non indica una singola notizia (detta
`piece of information'). In italiano, come in francese, si presenta come
una nuova accezione di un termine che ha altro significato, e però è
indispensabile.
9
G. DEL RE: Discorso scientifico e filosofia della natura, Sapienza
(Napoli), vol. 46, pp. 407-440 (1993). V, in particolare p. 420 sqq.
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e poi come capace di formare isstemi a molte particelle
introducendo opportune interazioni con altri sistemi. L'abito
mentale determinato da questo modo di vedere ha portato molti
uomini di scienza a pensare che una volta note le proprietà
delle parti un sistema è completamente conosciuto. Vorrei
insistere ancora sul fatto che ciò non è vero, un po' perché una
parte dell'informazione non è nelle parti (come nell'esempio
degli isomeri dato sopra), ma soprattutto perché molta
informazione è latente nella descrizione delle parti (per
esempio, le regole della valenza). Recentemente è cominciato
uno spostamento da questo atteggiamento a quello complementare, ed è comparsa la tendenza a vedere l'intero Universo
come singolo sistema, le cui parti non sono trattate come
sistemi quasi isolati, ma sono supposte definite dal loro mutuo
"accoppiamento", sia diretto che indiretto. Intendo dire che il
nuovo modello di riferimento non è più quello di un gruppo di
individui ciascuno per suo conto, ma quello di un gruppo di
individui che costituiscono un sistema il quale si comporta come
un tutto. Questo nuovo modo di vedere è chiamato da molti
"olismo", nome dato tradizionalmente al modo in cui gli
scolastici considerano l'uomo, cioé come unità integrata del
corpo in quanto sistema strutturato di organi e tessuti e
dell'"anima" in quanto attività coordinata che fa del copo un
essere vivente unitario.
Lo spostamento dal riduzionismo all'olismo si può riassumere
nell'affermazione che il concetto di sistema ha mutato referente
da un insieme di sottosistemi o particelle debolmente
accoppiate a un intero fortemente integrato, come un
organismo. Il pensare in termini di quest'ultimo referente ha
prodotto, per esempio, la descrizione della biosfera come
"quasi"-organismo, come nel caso dell'ipotesi "Gaia", e delle
obiezioni sollevate contro di essa10. Per un cammino diverso
10
JAMES E. LOVELOCK: "Hands up for the Gaia hypothesis", Nature, 344,
pp.100-102 (1990). Cf. Nature 207, pp.568-570 (1965).
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anche gli astrofisici sono giunti a pensare in termini di totalità,
come e nelle teorie cosmologiche e in analisi critiche come
quelle che soggiacciono al principio antropico11. Si potrebbe
dire anche che nelle riflessioni sull'Universo la nostra filosofia
della Natura sta tornando alla concezione tolemaica, beninteso
non nella sua ipotesi geocentrica, ma nel riconoscimento che
se è vero che tutto non è il tutto, come pretendevano gli
Alchimisti, perlomeno ogni cosa dipende in una certa misura da
ogni altra cosa, cosicché la realtà più completa è la Totalità a
cui appartiene ogni cosa.
AMLETO E LA COMPLESSITÀ
Il cammino verso questo cambiamento di riferimento non è
privo di ostacoli. A questo proposito val la pena di menzionare
in particolare un enigma interessante che si incontra
nell'applicazione del punto di vista euristico a interi come una
molecola, una cellula, un corpo umano. La scienza attribuisce il
fatto che quegli oggetti si comportano come unità alla
cooperazione coerente delle loro parti, e cioé alla struttura nel
caso di sistemi in equilibrio (come le molecole) e
all'organizzazione nel caso di sistemi in stato stazionario
lontano dall'equilibrio (come gli esseri viventi). Ogni parte
partecipa all'attività del tutto con le sue proprietà specifiche, che
sono le stesse di quelle che sarebbero in qualunque altro
sistema capace di fornire le stesse condizioni ambienti o al
contorno; esempi ne sono gli atomi di una molecola e organi
come il cuore.
Ciò sembra implicare che malgrado tutto hanno ragione i
riduzionisti, quando dicono che l'intero è l'insieme delle sue
parti. E' pur vero che l'intero ha proprietà che non sono soltanto
la somma di quelle delle sue parti, anzi possono essere
completamente nuove rispetto ad esse; ne abbiamo visto
un'illustrazione che dovrebbe essere convincente con l'esempio
11
JOHN D. BARROW and FRANK J. TIPLER: The anthropic cosmological
principle, Oxford: Oxford U. Press 1986.
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dell'isomeria. Ma d'altra parte, dopo un esame attento, con lo
stesso esempio vediamo bene che in un sistema complesso
non c'è nulla se non le sue parti con le loro proprietà in situ, e
perciò esso dev'essere l'insieme delle sue parti, sia pure in una
configurazione particolare. Dobbiamo dunque dire, contro
quello che avevamo concluso più su, che un sistema
complesso unitario non è altro che la somma delle sue parti?
Queste considerazioni sembrano proporre un dilemma
insolubile: un sistema complesso unitario è una realtà nuova, o
non è altro che un modo di essere delle sue parti? Occorre
vedere come superarlo. Si potrebbe obbiettare che, dopo
tutto,non siamo nella situazione di Amleto; perché dovremmo
preoccuparci dell'essere o non essere di un sistema fisico, se
questo non ostacola la nostra capacità di fare previsioni e
progressi tecnologici? Il fatto è che, se non si trova un'uscita dal
dilemma gli scienziati potrebbero essere spinti a tornare al
riduzionismo, continuando a studiare le parti nella speranza di
capire ciò che in esse non si può trovare, cioé le proprietà
emergenti del tutto. E se non si è capito non si possono
progettare nuovi esperimenti o nuovi procedimenti tecnici.
Fortunatamente, il concetto di informazione, completato con
l'altro concetto di livello di complessità, offre una via per uscire
dal nostro dubbio amletico. Si tratta di rivedere uanto abbiamo
esposto finora sotto la prospettiva aristotelica del "che-cos'è".
Supponiamo di chiedere agli uomini di scienza di dirci che
cos'è un certo oggetto. Come già detto, a meno che
l'interrogante non sia disposto ad accettare inutili parole in più
(cioé delle "ridondanze"), quel che si chiede è l'elenco completo
più breve delle proprietà che identificano quell'oggetto -una
molecola, una cellula, un ciclamino, una stella di mare- senza
ambiguità. Vale a dire che il che-cos'è di quell'oggetto è un
messaggio equivalente al suo disegno tecnico, e deve
contenere tutta l'informazione possibile su quell'oggetto. Come
abbiamo visto la stringa che rappresenta quel messaggio deve
avere una lunghezza maggiore della lunghezza della stringa
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che descrive una giusta posizione delle sue parti tale che non è
possibile nessuna interazioni tra essi. Possiamo dire anche
che, se un sistema si comporta come un tutto e ha proprietà
che le sue parti non possono avere, l'intero ha un contenuto
d'informazione maggiore della somma delle sue parti, cioé che
all'atto della sua formazione è emersa nuova "informazione".
Beninteso, questo non significa che la conoscenza delle parti
che formano un oggetto è irrilevante. E' ovviamente importante
sapere che una molecola di etanolo è costituita da due atomi di
carbonio, un atomo di ossigeno e sei atomi di idrogeno, o che
un uomo ha un cervello, un cuore, un fegato, e così via; ma può
anche essere importante sapere, diciamo, che l'atomo di
carbonio ha sei elettroni o che il cuore è fatto di certi tessuti.
Perciò, le proprietà emergenti non sostituiscono l'informazione
che riguarda le parti, ma l'arricchiscono.
Qui interviene la difficile questione delle proprietà latenti, che
si spiega meglio di tutti sull'esempio di una molecola, e mette in
evidenza l'origine di un aspetto controverso della chimica
quantistica. La fisica sostiene che la sua teoria della meccanica
quantistica può fornire equazioni (nella maggior parte le
equazioni di Schrödinger) che permettono di calcolare tutto ciò
che si può desiderare di sapere su una data molecola se sono
noti gli atomi che la formano. I riduzionisti interpretano questo
fatto come la prova che le informazioni sugli atomi
comprendono tutte le informazioni sulla molecola, e pertanto la
chimica non è che un capitolo della fisica12. Tuttavia, non si
possono estrarre dall'equazione di Schrödinger certe
informazioni, come il fatto che il carbonio forma sempre quattro
e non più di quattro legami se non si sa già quello che si sta
cercando13. In altre parole, per ricavare dalla meccanica
quantistica la tetravalenza del carbonio, bisogna sapere già che
cos'è un legame chimico, risolvere l'equazione di Schrödinger
12
MARIO BUNGE, op. cit.
13
G. DEL RE: "Binding: A Unifying Notion or a Pseudoconcept?" Int. J.
Quantum Chem, 19, 1057 (1981).
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per trovare il numero di legami formati dal carbonio in un gran
numero di molecole, e concludere che si ottiene sempre la
risposta "quattro"14. Forse un giorno un genio troverà una
dimostrazione di questa regola. In ogni caso, è chiaro che nella
descrizione fornita dall'equazione di Schrödinger parte
dell'informazione relativa a una molecola (per non parlare di un
sistema più complesso) è "latente", cioé è presente ma
nascosta, esattamente come lo è nella Natura, da cui la
estrassero i chimici del XIX secolo. Si potrebbe dire che si trova
in essa come la ricchezza che uno potrebbe avere se sapesse
che un tesoro è sepolto nel suo campo.
Insomma, quando si dice che sapendo quali sono gli atomi e
come sono disposti nello spazio si sono date in linea di principio
tutte le informazioni possibili su una molecola, si dice una cosa
(quasi) esatta. Ma gran parte di quell'informazione è latente,
come i pesci che abitano le profondità del mare. E' solo quando
si guarda alla molecola e alle sue simili che si vede in atto
l'informazione potenziale nascosta nell'informazione sugli atomi.
Con questo semplice esempio chimico si vede qui che
l'espressione "emergenza dell'informazione" è veramente ben
scelta per descrivere questo divenire attuale di nuova
informazione quando si passa dagli atomi alle molecole, dai
costituenti più semplici della materia a quelli meno semplici; nel
corso di questo processo sono emerse dalle profondità del
mare cose di ogni genere che c'erano ma di cui uno non
immaginava nemmeno l'esistenza.
Ho detto "quasi esatta" perché in realtà la conoscenza degli
atomi non specifica univocamente la molecola che si otterrà:
abbiamo già considerato il problema posto dal fatto che gli
stessi atomi possono formare isomeri diversi: Questo vuol dire
che l'informazione latente nelle parti può anche avere un certo
grado di indeterminazione e non essere sufficiente perché si
possa scegliere tra un certo numero di possibilità. Lo stesso
14
B. NELANDER and G. DEL RE: "Chemical Bonds and Ab-Initio Molecular
Calculations", J. Chem. Phys. 52, 5225 (1970).
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vale per la genetica: parte di ciò che l'organismo è dipende
dagli effetti dell'ambiente.
Detto tutto questo, sembra chiaro che il dubbio amletico a
proposito degli oggetti complessi si deve risolvere nel modo più
salomonico. Abbiamo chiesto: "esistono realmente solo le parti
o il tutto è la sola cosa reale?" L'"ontologia" della complessità
risponde: "tutti e due". Si ha il diritto di considerare una
molecola come null'altro che un insieme di atomi, a condizione
che si tenga presente che gran parte dell'informazione è
latente; per vedere effettivamente la realtà della molecola come
molecola occorre guardarla direttamente. Può succedere che
allora si perda di vista il fatto che essa è un insieme di atomi.
Ma questo significa soltanto proprio che la molecola è al tempo
stesso se stessa e un insieme di atomi. Vedremo ora che si può
parlare addirittura di una realtà a molti strati.
SPIEGAZIONE SCIENTIFICA E LIVELLI DI COMPLESSITÀ
La conclusione che la chimica ci ha consentito di ricavare
dall'esempio semplice di una molecola si può generalizzare e
arricchire usando il concetto di livello di complessità già
introdotto, caro a Edgar Morin e al fisico franco-rumeno
Bassarab Nicolescu15. Una cosa si può descrivere in modi
diversi, in termini di molte particelle semplici con poche
proprietà in termini di un numero minore di parti ciascuna con
più proprietà, come singola unità.
Chiamiamo ognuna di queste descrizioni "livello di
complessità", e si è visto nel paragrafo precedente che essa è
anche un "livello di realtà" del tutto. Livelli diversi differiscono
per il numero delle parti e per la natura e l'importanza
dell'informazione latente. I livelli più profondi, quelli studiati dalla
15
Oltre all'analisi di N. Hartmann, v. fra l'altro M. CERUTI, E. MORIN (eds.):
Simplicité et Complexité, Marzo 1988 supplemento a "50, rue de
Varenne", Milano: Mondadori 1988); in particolare BASARAB NICOLESCU:
"Complexité et niveaux de réalité", pp. 38-43.
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fisica, consistono di molte parti con poche proprietà manifeste,
e in quei livelli le proprietà dei possibili sistemi unitari sono
largamente latenti; a livelli più alti gli stessi sistemi consistono di
meno parti e le proprietà latenti sono in parte proprietà del tutto,
in parte proprietà delle parti che appartengono a livelli più bassi
e non sono implicati direttamente nel determinare le proprietà
dei sistemi complessi che appartengono a quei livelli. Perciò in
un oggetto c'è per così dire una scala di livelli di realtà. La sua
intera realtà non è semplicemente un piolo, ma l'intera scala
fino a una certa `altezza', che dipende da quanto complesso è
l'oggetto; anche se dobbiamo concedere ai biologi e agli
antropologi che, quando quell'oggetto viene considerato parte
di un gioco più vasto, conta solo il livello più alto: quando si
studio il lupo come fattore dell'equilibrio biologico di una regione
della Terra, si vuol sapere che cosa è il lupo come un tutto, o
forse qualcosina sui suoi organi -denti, intestino, eccetera-, ma
certamente non la sua descrizione quantomeccanica. Anzi, per
amor di concisione possiamo dire che il livello più alto è il livello
di realtà del lupo, anche se non intendiamo con ciò che nel lupo
i livelli più bassi non sono reali; è vero proprio il contrario,
perché in molti casi quei livelli consentono alla scienza di
determinare il meccanismo mediante il quale si realizzano certe
interazioni al livello più alto.
Rivediamo l'intero argomento in termini un po' diversi. Il
numero, la natura e la configurazione degli elementi che
costituiscono il sistema complesso (al livello più profondo le
particelle elementari) costituiscono certamente la condizione
necessaria e sufficiente perché esso sia ciò che è. A causa di
questo, la fisica tende a risolvere tutta la complessità in unità
elementari con il numero minimo possibile di gradi di libertà
interni, cosicché le varie proprietà di un tutto vengono fuori
come conseguenza della molteplicità dei moti possibili di un
gran numero di particelle elementari che interagiscono tra loro.
Perché si dovrebbe mettere in discussione l'affermazione che
questa procedura che è così affascinante e ha avuto
grandissimo successo, fornisce una comprensione sufficiente
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della realtà complessa diciamo di un organismo vivnte o anche
di una grande molecola? Abbiamo la risposta: a quel livello le
proprietà nuove che risultano dalla struttura e organizzazione di
un sistema complesso effettivo e specialmente le regole che le
governano sono latenti; come dire che quelle proprietà nuove
non si possono predire automaticamente usando soltanto
quelle informazioni, anche se sono predeterminate in larga
misura proprio dal numero, natura e disposizione dei
costituenti. La stessa esistenza di quelle proprietà non si può
ricavare (anche se un genio potrebbe congetturarla) dalle
proprietà delle particelle e delle equazioni che governano la loro
interazione mutua. In taluni casi, per esempio con gli isomeri
delle molecole, accade addirittura che sono compatibili con la
costituzione elementare varie possibilità, cosicché non è
possibile alcuna previsione riguardo all'isomero con cui si ha a
che fare in un caso particolare.
Abbiamo detto che un livello di complessità è tanto più basso
quanto più grande è il numero di parti simili e quanto più piccolo
è il numero di proprietà diverse che si devono attribuire a quelle
parti individualmente. Per esempio, un basso livello di
complessità di un organismo è quello degli atomi che lo
costituiscono un grandissimo numero di atomi di idrogeno,
carbonio, azoto, ossigeno, fosforo, solfo, ferro e pochi altri con
una decina di proprietà ciascuno sono tutto ciò che è
necessario per descrivere completamente un organismo a
livello atomico; ma a quel livello, naturalmente anche proprietà
relativamente semplici come la capacità di auto replicazione del
DNA sarebbero inconcepibili se non fossero note in anticipo.
Per di più c'è un numero astronomico di configurazioni possibili
di quegli atomi, enon c'è nulla nelle informazioni che abbiamo
su di essi che possa consentirci di dire quali di esse darà luogo
a un organismo vivente. Pertanto, in generale, il livello atomico
non rappresenta l'intera realtà di qualsiasi organismo vivente.
Se saliamo a livello molecolare, si possono capire e scoprire
molte più cose; perciò abbiamo a che fare con un livello di
complessità più alto. Si può spiegare il comportamento di una
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
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molecola in termini delle regole generali che governano le
relazioni struttura-proprietà delle molecole. In questo modo si
dà quella che si può chiamare una spiegazione `orizzontale'.
Questa considerazione fatta per la prima volta, per quanto ne
so, in un lavoro fondamentale di Theobald16 fa capire perché la
chimica è radicalmente diversa dalla fisica. Tuttavia, come ho
già ricordato, esiste anche un tipo di spiegazione a posteriori
che può essere importante e che è resa possibile dal
riferimento a un livello più basso: si tratta di quella spiegazione
`verticale' con la quale uno dice, per esempio,"questa molecola
è particolarmente pesante perché contiene un atomo di
Rutenio"; oppure "lo spettro in raggi X di questa molecola
mostra una riga che corrisponde a un atomo di sodio. Si fa
riferimento allora a una proprietà addittiva (massa) o a una
proprietà degli atomi (spettri a raggi X) che non è influenzata
dalla formazione dei legami chimici. Anche quando si dice:
"questa molecola forma un catione idrogenato perché contiene
un atomo di azoto con una coppia elettronica solitaria", si
scende al livello di complessità inferiore, perché, sebbene il
concetto di coppia solitaria appartenga alla teoria molecolare, si
sta invocando la struttura elettronica degli atomi. Allo stesso
modo, in biologia molecolare si possono interpretare molte
proprietà degli enzimi considerando soltanto la loro struttura
molecolare e, poiché gli `oggetti elementari' del livello di
complessità studiato dalla biologia molecolare sono le
macromolecole, si può spiegare perché si conportano nel modo
con cui si comportano a livello biologico prendendo in
considerazione la loro struttura molecolare; ma non si può
spiegare in questo modo perché un certo enzima è presente in
un certo organismo e non in un altro.
Prendiamo ora il sistema più complesso che conosciamo,
l'uomo. Possiamo dire che un essere umano è un insieme di
molecole, ma allora non stiamo descrivendo la sua intera realtà,
16
D.W. THEOBALD: "Some considerations on the philosophy of
chemistry", Chem. Soc. Revs., 5, pp. 203-213 (1976).
Fisica, chimica e livelli di complessità, Giuseppe Del Re, pp.169-201
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
(2000) CIAFIC Ediciones
perché un uomo è di gran lunga più di questo. Abbiamo
guardato a un livello basso di complessità (o di realtà), ma ce
ne sono di più alti. Si può dare una descrizione meno
incompleta considerando meno parti, ciascuna delle quali è
meno complessa di una molecola, come quando si dice che un
uomo è un uno speciale insieme ordinato dei suoi organi. Allora
si ha a che fare con in livello di complessità più alto. Salendo la
scala si arriva al livello che è stato oggetto di studi da parte di
filosofi e pensatori di tutte le età: quelli che si considerano come
`parti' la mente e la psiche emotiva, la `noepsiche' e la
`timopsiche'
(da
nous,
nous,
e
thymos,
thymos,
rispettivamente). Ma anche questo non fornisce la descrizione
completa, perché dall'interazione delle emozioni e dalla fredda
logica emergono molte nuove proprietà ed attività degli esseri
umani: si pensi alla poesia, si pensi a ciò che è rivelato sulla
realtà dell'uomo dalla stessa esistenza di opere come la
Commedia di Dante, il Faust di Goethe e i Quattro Quartetti di
Eliot.
LA CHIMICA COME REFERENTE PER LE RIFLESSIONI SULLA
COMPLESSITÀ
Mentre l'antropologia tratta il livello più alto di complessità
della piramide che termina con gli esseri viventi, la chimica è
all'altra estremità della scala; come ho già ricordato, essa ha il
compito di guardare alla materia cercando di ricondurre le sue
proprietà a quelle delle entità caratteristiche del livello più basso
in cui compaiono nuovi aspetti della realtà dovuti alla
complessità, cioé le molecole. A differenza dagli atomi e dai
nuclei, le molecole non sono solo configurazioni speciali di
particelle elementari; esse sono l'esempio più semplice di entità
persistenti dello stesso tipo la cui diversità incredibilmente ricca
richiede una scienza apposita.
Proprio la considerazione che il livello di complessità delle
molecole è il livello più basso in cui si trovano delle unità che
richiedono concetti e leggi ad hoc è forse la ragione principale
Fisica, chimica e livelli di complessità, Giuseppe Del Re, pp.169-201
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
(2000) CIAFIC Ediciones
per cui la chimica è un referente essenziale della filosofia della
scienza e della Natura. Il fatto stesso che abbiamo potuto usare
esempi chimici per illustrare gli aspetti più significativi della
filosofia naturale della complessità sono forse una prova
sufficiente di questa tesi. Inoltre, le molecole sono i sistemi più
semplici per cui vale l'epistemologia a lungo trascurata di
Aristotele, giacché, almeno quando si confrontano molecole di
specie diverse, ogni molecola ha delle caratteristiche che ne
fanno precisamente quella molecola e non qualcosa d'altro.
Questo è il primo passo per l'introduzione del concetto di
quidditas, il `che-cos'è' di una cosa. Questo concetto
riemergente è completamente estraneo all'epistemologia
venuta fuori dal circolo di Vienna, com'è dimostrato
dall'affermazione di Popper secondo cui la scienza dimostra
che il mondo consiste di "eventi e processi", e le domande sul
`che-cos'è' sono prive di significato17.
Insieme a entità che meritano di esser chiamate tali, la
chimica porta alla filosofia della Natura il concetto di
meccanismo nel senso di Ingold18. Quel concetto è della
massima importanza, perché, malgrado il nome, esso fa a
meno dei concetti fondamentali della meccanica (forze e
velocità), e attribuisce la trasformazione di una molecola o
sistema alla sua "natura" -cioé alla sua struttura in termini di
atomi e lagami. Come è noto, il potere euristico dei meccanismi
di reazione è una prova sufficiente della loro validità. Essi
illustrano ciò che si potrebbe chiamare `dinamica orizzontale',
per dire che essi stabiliscono cammini e regole di
trasformazione di sistemi che appartengono a uno stesso livello
di complessità. Può essere utile ricordare al lettore che al livello
17
KARL R. POPPER, JOHN C. ECCLES: The self and its brain, Berlin:
Springer International 1978, pp. 7, 100.
18
C.K. INGOLD: Structure and Mechanism in organic chemistry, London:
Bell 1962; per gli studi epistemologici più recenti, v. F. MICHAEL AKEROYD,
in Proc. 2nd Erlenmeyer Kolloquium, Marburg, Germany 11/12
November 1994.
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
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degli organismi viventi le teorie standard dell'evoluzione hanno
la stessa natura `orizzontale', mentre ciò che vien chiamato
`evoluzione chimica' appartiene al livello della biologia
molecolare.
Il fatto che le reazioni chimiche ammettono una spiegazione
`orizzontale' non vuol dire, naturalmente, che i tentativi di
tradurre i processi chimici nel linguaggio della meccanica
classica e quantistica sono destinati a fallire; anzi, dalla teoria
dello stato di transizione19 fino ai calcoli di dinamica
molecolare20, quei tentativi hanno avuto una dose significativa
di successo. Essi sono filosoficamente importanti, perché, fin
quando non è accompagnata dalla pretesa di eliminare la
necessità di una teoria propria di un dato livello di complessità,
la riduzione alla fisica è un contributo molto valido alla
conservazione dell'unità della scienza.
DIÁLOGO
- Dr. Puyau: Claro, la filosofía de Hartmann es una filosofía
esencialmente atea.
- Prof. Del Re: Chi l'ha detto?
- Dr. Puyau: Sí, los estratos superiores descansan ontológicamente en
los estratos inferiores, el espíritu es débil -"gheist"- no es el problema del
alma sino del espíritu. Él tiene la teoría del espíritu objetivo, no en
sentido hegeliano.
- Prof. Del Re: Io insisto su una cosa, voi filosofi avete questa abitudine.
Dovete classificare, mettere la casella: è ateo o no; a me se sia ateo o
no, non mi interessa, mi interessa se ha detto qualcosa di valido.
- Dr. Puyau: No es accidentalmente atea la filosofía di Hartmann, porque
los estratos que él considera superiores, el espíritu es superior a la
materia, pero su superioridad es también su debilidad, de manera que a
19
S. GLASSTONE, K. J. LAIDLER, H. EYRING: The theory of rate processes,
New York: McGraw-Hill 1941.
20
W. VAN GUNSTEREN, H. J. C. BERENSEN: "Molecular dynamics computer
simulation: method, applications and perspectives in chemistry", Angew.
Chem. 102(9), 1020-1055 (1990).
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medida que avanzamos somos ontológicamente dependientes de lo
inferior. Eso es lo esencial de la concepción de Hartmann. No se niega
la emergencia, pero ésa es la tesis fundamental, el ateísmo no es
accidental en Hartmann, uno podría decir, Nietzsche se hizo ateo por
motivos x. Es la esencia de su filosofía, al debilitar el espíritu..., hay un
italiano Grassi que hace años que escribió un libro sobre "mach und on
mach des gheistes "refiriéndose a la impotencia del espíritu que es de
Scheler y de Hartmann, de los dos, pero en Scheler hay una apertura a
lo eterno, él escribe De lo eterno en el hombre, pero la de Hartmann es
una filosofía que se cierra en su ateísmo. Eso es importante en cuanto a
la forma de resolver esos estratos.Dice Hempel, que era un positivista
lógico, hay que dar cuenta del mundo éste en que estamos, ésa es la
objeción que le formula Hempel.
- Prof. Del Re: La mia risposta è che i filosofi bisogna guardargli per
quello che di costruttivo hanno detto, non per quello su cui non siamo
d'accordo. Supponiamo che quello che lei dice sia vero, allora, io quello
che sostengo è che bisogna esaminare il lavoro meraviglioso, geniale di
Hartmann per capire dove è il punto in cui dobbiamo intervenire, cioè,
dove il punto non possiamo più accettarlo. Io posso essere d'accordo
con lei, ma voi filosofi lo condannate tutto, perché dice: "è una filosofia
atea, non bisogna leggerlo, non bisogna accettarlo", "nulla di quello che
dice può essere buono". Allora, io vorrei dire, a me interessa che,
secondo me, Nicolai Hartmann aveva detto -io l'ho letto dopo che ero
arrivato a queste conclusioni- quindi, non sono stato influenzato da lui,
ho trovato che dava una risposta ad una domanda fondamentale,
"l'albero è un insieme di particelle o è un albero"? E Hartmann risponde
in modo coerente e chiaro. Se poi nel passaggio verso lo spirito non si è
reso conto di alcune cose che a noi interessano o ha tratto delle
conclusioni che non ci appaiono giuste, sono pronto ad accettarlo, ma io
faccio come Bochenski. Bochenski era un domenicano credente, ecc., e
considerava Nicolai Hartmann come uno dei geni della nostra epoca.
Naturalmente, del resto si può capire subito dove potrebbe essere il suo
errore. Se uno vede Dio come atto puro, lì nel ricostruire questi estratti
che hanno potenza e atto in gioco, si può aggiungere benissimo, però
probabilmente lui non l'ha fatto, va bene, se non l'ha fatto io quella parte
lì non l'accetto.
- Dr. Puyau: La teoría de los niveles supone que lo superior se apoya
ontológicamente en lo inferior, ahí está el problema. Él admite que lo
espiritual no es reducible a lo material, de acuerdo, pero
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ontológicamente la forma de resolver el problema es que el estrato
superior depende ontológicamente del inferior.
- Prof. Del Re: No, io non sto discutendo quello che ha scritto Hartmann,
sto discutendo la teoria degli strati dei livelli di essere. La teoria dei livelli
di essere, anche a livello materiale...
- Dra. Archideo: In Hartmann.
- Prof. Del Re: No, quello che ho sposto io è la teoria come la vedo io. La
ho trovato in Hartmann un parallelismo, ma non mi sono preoccupato di
vedere dove lui arrivava esattamente come conclusione generale.
- Dr. Puyau: En Aristóteles hay acto puro pero no hay materia pura, no
es posible, no puede ser. La materia prima que sería la materia pura no
puede existir, entonces, la jerarquía es distinta, la jerarquía axiológica
coincide con la jerarquía ontológica que en Hartmann no.
- Prof. del Re: ¿En qué sentido? En Hartmann no lo sé. En la teoría de
los estados de los niveles de realidad, sí.
- Dr. Puyau: Eso es ontológicamente. Axiológicamente él funda una ética
que no quiere ser ni subjetiva ni relativa. La ética de los valores se
presenta como una ética absoluta, eso es distinto. El "sosein" es el
modo de ser de lo valioso, no de las cosas valiosas, lo que hace que las
cosas sean bienes, la presencia del valor hace que las cosas sean
bienes. En la ética Hartmann, tal es su objetivismo -porque está
reaccionando contra el subjetivismo moral que había a principios de este
siglo en Alemania- él elimina la conciencia entonces, los valores se me
dan en una aprehensión que dice, es emocional. Eso lo tiene de común
con Scheler, hay variantes entre él y Scheler, y los valores se me dan en
una jerarquía. En los valores él ve una jerarquía que es independiente
del ser.
- Prof. Del Re: Probabilmente io non sono stato chiaro. Io ho parlato
della teoria dei livelli di realtà come l'ho ricavata io con il mio lavoro
scientifico, e come l'ho trovata in Hartmann, solo di quella, non sto
parlando della filosofia di Hartmann. Io in nessun filosofo accetto la
filosofia totale. Ora, la teoria degli stati di livelli di realtà come l'ho capito
io, siccome è attualizzazione andando dal basso, è attualizzazione
successiva, non può avere la dipendenza dell'alto, l'alto non può
dipendere dal basso, è il basso eventualmente che dipende dall'alto.
Cioè, io posso analizzare cosa è l'albero, ma non posso dal basso
stabilire l'albero. Questo se si vuol fare una relazione di dipendenza. Io
personalmente rifiuto la relazione di dipendenza, per me sono realtà,
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
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cioè, l'albero è un livello di realtà di particelle, è un livello di realtà di
organi, è un livello di realtà totale.
- Dr. Puyau: Si Ud. lo toma de Hartmann, lo superior depende
ontológicamente de lo inferior. Lo menos valiosos funda ontológicamente
a lo más valioso. Esto es lo que los axiólogos han llamado "la debilidad
del espíritu". En esta perspectiva lo que es axiológicamente superior es
dependiente de lo que es axiológicamente inferior. Por ejemplo, la vida
depende ontológicamente de la materia inorgánica.
- Prof. Del Re: Ecco, se lei mi dice questo a me è sfuggito. Io quello che
io ho esposto è stato la mia visione, però siccome è giusto riconoscere
agli altri la precedenza, io devo dire che sia Aristotele che Hartmann
avevano detto queste cose, e forse altri.
- Dra. Archideo: Sì, lei ha ragione, il linguaggio sembra lo stesso, ma non
il significato.
- Dr. Gratton: Yo quisiera hacer una pequeña aclaración. A mí me
pareció entender que la posición que nos explicó Del Re es
esencialmente el negar o el cortar el reduccionismo físico extremo,
sosteniendo que, aun cuando conozcamos todos los ingredientes
materiales o energéticos de los entes materiales, de los seres
corpóreos, aun cuando tengamos todos los ingredientes e incluso la
teoría de la interacción de estos ingredientes, el reduccionismo es una
imposibilidad de hecho porque falta la información que es necesaria
para completar..., o sea, la emergencia está de hecho, pero requiere que
nosotros la percibamos, que le demos la información en cada nivel, no
está simplemente porque en la ecuación de Schrödinger pongamos los
ingredientes, es decir, es una emergencia no automática, -digamos asíde los elementos materiales sino porque hay algo más que nosotros
introducimos en cada nivel. Eso es lo que me pareció entender.
- Prof. Del Re: Esattamente.
- Dr. Gratton: Y para mí resulta muy satisfactorio, muy iluminante.
- Prof. Del Re: Io ripeto, non ho presentato la filosofia di Hartmann, ho
solo riconosciuto di aver trovato in Hartmann cose che avevo capito
studiando scientificamente il problema della complessità, questa è una
premessa. Premesso questo, io trovo, per esempio, questo passo, dice:
"ci sono da mettere in campo per completare la visione d'insieme due
esempi di tale mutazione, ciascuno dei quali è al suo modo istruttivo per
il rapporto dei livelli. Il primo -e questa è la parte importante- riguarda la
vecchia e ben nota opposizione di forma e materia. Non si tratta qui di
una materia assoluta ultima e irriducibile sul tipo del principio materiale
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Epistemología de las Ciencias. El conocimiento. Aproximación al orden ontológico
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della più antica metafisica ed ugualmente non si tratta di un regno di
forme unitariamente inteso como quello aristotelico.
Come categorie, forma e materia sono strettamente correlative, in
modo tale che ogni forma può essere alla sua volta materia di una forma
più elevata, e ogni materia -viceversa- forma di una materia più bassa.
Insisto, può essere materia di una forma più elevata, può essere forma di
una materia più bassa. La gerarchia che così si costituisce è una
progressiva sopraelevazione di forma che tutte sono a loro volte materia
di una ulteriore sopraformazione. La natura è chiaramente e totalmente
costruita secondo questo principio della sopraelevazione. L'atomo è
materia per la molecola, ma è già esso stesso un'entità provvista di
forma; la molecola è materia per la cellula, questa è materia per
l'organismo pluricellulare. Ma questa gerarchia ascendente di forme non
prosegue senza interruzione, essa non attraversa in una serie continua
l'intera costruzione dei livelli del mondo reale. Al contrario, si danno punti
particolari nei quali la sopraformazione è interrotta, ciò avviene ad
esempio ai confini tra l'essere organico e quello coscienziale sensibile,
mentre la realtà organica assume entro se stessa, atomi e molecole e
con essi costruisce una nuova forma, la coscienza esclude da sé le
forme organiche e le lascia, contemporaneamente, dietro di sé. La vita
dell'anima "selenleben" è certo in se stessa un tutto formato e senza
dubbio tramite una forma più alta, ma essa non sopra informa la realtà
organica o una sua parte, al contrario inizia una nuova serie di forme per
la quale la vita corporea con le forme e i processi suoi propri, non funge
più da materia, quindi non vi è condizionamento dal basso.
Non funziona come materia. Quindi la nuova serie di forme spirituali
non dipende dalla materia. "E un gradino più in alto " -questo è il punto
che mi ha colpito- "al confine tra vita coscienziale sensibile e spirituale,
avviene alcunché di simile. Gli atti coscienziali sensibili non entrano
come materiali componenti nei contenuti oggettivi spirituali, e i contenuti
oggettivi spirituali si liberano dagli atti coscienziale sensibili e
posseggono un modo di essere storicamente superindividuale". Qui
chiaramente lui tende alla superindividualità, siamo d'accordo, posso
accettare, non lo so, ma posso accettare che lui non crede en un essere
personale.
- Dr. Puyau: No es la creencia de él.
- Prof. Del Re: No, ecco, ma dico, lui dice esplicitamente che non
dipendono dai livelli più bassi.
- Dr. Puyau: La exposición general de la filosofía de Hartmann es que
los niveles superiores dependen ontológicamente inferiores.
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- Dra. Archideo: Tiene que haber ahí mismo algo, porque lo que está
diciendo Ud. ahora estamos de acuerdo, si Ud. lo toma fuera del
contexto de la filosofía de Hartmann. Pero ¿qué ocurre? Ocurre que ahí
no está presente el problema ontológico más total en la filosofía de
Hartmann. Ése es el tema fundamental.
- Prof. Del Re: La questione è questa, secondo lui questa è tutta
ontologia, ma io, comunque, non ho interesse, non mi occupo di
ontologia, io mi occupo della realtà, però io ho letto queste cose, ho dato
la documentazione.
- Dra. Archideo: Esas dimensiones que Ud. fue presentando desde una
visual química, entiendo que deben ser admisibles, y las acepto porque
Ud. es un químico y físico al mismo tiempo, etc., pero no puedo tomar
eso es como un paralelismo con respecto a los modos de información en
el orden ontológico. Sí lo puedo tomar como qué ve la química y en
parte la física, si están de acuerdo, no sé, qué ven de esa realidad que
para el filósofo es más total.
Ahora, en este mismo momento Juan Pablo II nos dice, "el filósofo no
tiene que reducir su filosofía a algo particular, a una ciencia particular".
Tiene la ciencia filosófica que tomar una totalidad, tiene la obligación de
tomar una totalidad, no puede decir "yo me lavo las manos y ustedes
hagan la suya y yo la mía". Mirar de qué manera es la visual del físicoquímico, y la acepto, ¿por qué no? es Ud. el que conoce la cosa, pero
no por eso se tiene que dejar de aceptar que hay una visión más amplia
que no sólo ve esas dimensiones que se mueven en el orden material,
sino que hay otras, porque si se toma como totalidad lo parcial, resulta
que de la materia emergería el espíritu, en ese sentido, o sea, que es
peligroso tomar como totalidad, una cosa parcial, pero admito y me
parece interesantísimo lo que Ud. dice, porque al contrario, afirmaría
toda nuestra posición al respecto, la afirmaría mientras no se tome como
total.
- Prof. Del Re: No, es precisamente, lo que digo. Yo me limito no sólo a
la química, a toda la ciencia, la ciencia de la naturaleza, y
eventualmente, psicología, eso es el marco.
En cuanto a Hartmann yo he leído un punto donde me parecía que
decía lo contrario.
- Dra. Archideo: Es lógico eso lo acepto.
- Prof. Del Re: Pero no me interesa. Mi problema -sería una
contradicción porque lo que dice es explícito, no es sólo tomado de un
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contexto- pero es una cosa que no entra en el marco de mi problema, mi
problema es la realidad material.
- Dr. Puyau: No, eso yo no le niego, lo que yo le digo es que los grados,
la estratificación, todo ello, tiene en Scheler, como en Hartmann, los dos
representantes de la axiología en Alemania antes de la guerra, ese
sentido de que los grados superiores dependen ontológicamente de los
inferiores.
- Prof. Del Re: Pero entonces ¿por qué aquí dice lo contrario?
- Dr. Puyau: No es que diga lo contrario.
- Dra. Archideo: Eso es admisible, pero dentro de una totalidad, no es
admisible de por sí solo, porque estoy descontextualizando un aspecto.
Vayamos a otro tema, vamos a Aristóteles, que parece más conocido
por todos nosotros, como si yo tomara solo una parte de Aristóteles
cuando está describiendo biológicamente el ser orgánico, por ejemplo, y
pretendo con eso después decir "ah! esto quiere decir que es el modo
en que es el ser".
- Prof. Del Re: Eso es evidente.
- Dr. Puyau: Lo que decimos es que esta estratificación responde en
Hartmann a una visión total que es incompatible con el poder del
espíritu. Yo le dije es una filosofía atea, sí, es una filosofía atea. Atea en
un sentido muy fuerte, porque lo más débil sería Dios. El estado físico
vive sin el mundo orgánico, el mundo orgánico no vive sin el mundo
físico.
- Prof. Del Re: Io ho detto, l'albero è l'albero e la molecola è la molecola,
nell'equazione di Shrödinger la molecola non c'è, nel senso che se uno
non sa che vuole una molecola non la trova, la troverà solo se pone la
domanda. Questa soluzione dell'equazione è una molecola? Ma deve
sapere prima che è una molecola: dunque la forma viene prima. Su
questo non c'è nessun dubbio. Il fatto è che noi poi la riconduciamo,
cioè, diciamo: "va bene, adesso come si collega questa forma con il fatto
che ci sono queste parti? Ed è il problema generale della complessità.
Perché un essere vivente ha una sua identità, e certi suoi comportamenti
unitari, quando poi è fatto di parti. Ma il punto di partenza è il
comportamento unitario, quindi, è la forma finale. Quelli che parlano di
emergenza vogliono dire un'altra cosa, che è che potrebbe comparire
questa forma -secondo loro- per un meccanismo spontaneo, cioè, le
particelle si trovano per qualche ragione, anche per caso, insieme, e
formano un tutto. Però quello che rimane è che il dato fondamentale è il
tutto, cioè, io so che ho un tutto, poi posso anche domandarmi come è
Fisica, chimica e livelli di complessità, Giuseppe Del Re, pp.169-201
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venuto fuori. Ma questo è noto, anche un essere vivente, anche il
bambino si forma piano piano della giunta delle parti. Quindi, lasciamo
fare la scintilla divina, quello è un discorso diverso, ma dal punto di vista
biologico, l'unità dell'essere vivente, viene fuori del mettersi insieme delle
parti. Questo non vuol dire che nelle parti è contenuto l'essere vivente,
tanto è vero, anzi, dell'essere vivente c'è addirittura un programma che è
una molecola, però lì c'è scritto, bisogna fare prima questo, poi
quest'altro, poi quest'altro, in modo che si formi piano piano quella cosa
e non un'altra. Quindi la forma dell'essere vivente è contenuta in progetto
nel DNA in una molecola.
No. Facciamo l'esempio. Un programma di computer è un'entità che
ha una sua esistenza propria. Perché? Perché io lo posso copiare dal
computer al dischetto; dal dischetto scriverlo a matita su una carta; poi
scriverlo su un altro dischetto; poi mandarlo su un altro computer; è
sempre lo stesso programma, ha bisogno di un supporto, però è sempre
lo stesso programma. Qui stiamo dicendo lo stesso. Cioè, c'è un
programma scritto sul DNA, che non è il DNA, non è la materia, è la
forma dell'essere vivente, sì, proprio l'essere vivente, codificato, per così
dire, nel DNA. Ma non è la stessa cosa. Cioè, quello che volevo dire è
che anche dal punto di vista dell'ontogenesi, cioè, della formazione
dell'essere vivente a partire della cellula iniziale, anche in quel caso, la
forma viene prima della materia, perché se non c'è il DNA, giusto, quindi,
con il programma giusto, non viene fuori quelle essere vivente, quindi è
proprio la sua forma, siccome la forma ha bisogno del mondo materiale,
di un supporto materiale, è scritta da qualche parte come un programma,
quando parliamo dello spirito non c'è più il sopporto materiale, ma questo
è un altro discorso, questa è l'idea. Per lo meno io sono d'accordo che la
forma viene prima.
- Prof. Prosperi: Io volevo dire una serie di cose, un pochino anche
diverse, non so se adesso riuscirò a fare un po' una sintesi.
Devo dire che personalmente la relazione di Del Re mi è piaciuta
molto, in particolare questa idea dei livelli di realtà, ci siamo trovati in
contrasto sul fatto che la chimica sia o no parte della fisica e questo è in
realtà legata con questo problema, però ogni volta che lo sento capisco
di più in che senso lui non vuole che la chimica sia parte della fisica.
Per quello che riguarda all'ultima parte del discorso, evidentemente, mi
guardo bene da pronunciarmi su quello che è il significato generale della
filosofia di Hartmann, e ritengo che bisogna sempre distinguere, però in
un autore alcuni aspetti che si possono ritenere interessanti da altri che
non si accettano. Ho citato il Saggiatore di Galileo, è un'opera che
frequentemente è citata perché Galileo ha colto alcuni aspetti che si
Fisica, chimica e livelli di complessità, Giuseppe Del Re, pp.169-201
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ritengono molto importanti dal metodo scientifico. Quello che poche volte
si dice è che in quest'opera, Galileo, sostanzialmente, voleva difendere
una sua teoria delle comete ed era in polemica, con qualcuno, che era
radicalmente sbagliata, pretendeva spiegare con i fenomeni atmosferici
e in sostanza riteneva che fosse un qualcosa che riguardava, proprio ai
corpi celesti, in particolare il Padre Grassi, ecc. Quindi, radicalmente
sbagliata come tesi, eppure qui ci sono alcuni aspetti, alcune
considerazioni che sono risultate fondamentali, per tutto lo sviluppo
successivo nella fisica. Questo credo che sia un atteggiamento che si
deve sempre tenere. Uno legge Einstein, ed Einstein in una lettera dice
esplicitamente che lui non riesce ad accettare l'idea di un Dio personale
che li serva, ecc., però questo non toglie che certe frasi di Einstein, che il
suo modo di porsi di fronte al problema dell'armonia dell'Universo,
dell'intelligenza, intelligibilità dell'Universo sono delle cose straordinarie
che tutti possiamo leggere e di fronte a cui possiamo restare innamorati,
e possiamo condividere, al massimo ci porremmo il problema come mai
lui non aveva poi saputo stabilire un certo tipo di equivalenza, però
questo è un problema non semplice, arriva a una sorta di panteismo che
a noi sembra una roba che non ha senso comune, eppure, lui in qualche
modo questo è il suo sbocco, questo è un problema di altra natura.
Credo che questo è un atteggiamento mentale che dobbiamo un pochino
sempre tenere.
Ecco, aveva al discorso il problema dei livelli di realtà. Allora, voglio
fare degli esempi che forse aiutano me, e aiuteranno altri che magari
hanno meno familiarità, per esempio, di me con l'equazione di
Schrödinger, a capire anche il senso di quello che il Prof. Del Re ha
voluto dire.
Di questi esempi citerei due. Prendiamo, per esempio, le lettere
dell'alfabeto, realizzate materialmente nella maniera che volete, è
qualche sistema per cui si possano disporre su una linea, allineate in un
certo modo in un libro, ma non m'interessa il fatto che ci siano più righe,
che siano stampate, che siano scritte medianti pezzi, mi sono avvicinato
un pochino col discorso sul programma del computer, un po' sulla stessa
linea, lasciatemelo mettere in questo modo. Allora, io posso fare degli
allineamenti diversi, di diversa lunghezza con successioni diverse.
Dentro questi allineamenti ci può essere La Divina Commedia, ci può
essere il Don Chisciotte tutto quello che volete. Ecco, adesso, mi pare
abbastanza chiaro e abbastanza ovvio che La Divina Commedia e il Don
Chisciotte, ecc., sono qualcosa che sicuramente non si può ridurre al
substrato materiale in cui si è realizzato. Mi pare che la successione di
lettere, la struttura anche materiale della lettera è la materia..., e l'opera,
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è la forma, che evidentemente è qualcosa che appartiene ad un ordine
decisamente più alto. Se non sbaglio tutto questo era un po' il punto di
vista o al meno un esempio che scolasticamente si riporta per indicare la
realtà delle idee, il famoso mondo dell'idee di Platone che distingue l'idea
come qualcosa che ha una sua realtà indipendentemente dal substrato
materiale, eventualmente, o dallo strumento materiale in cui è espressa.
L'altro esempio potrebbe essere quello del meccano, io ho un
meccano, certe strisce ho certi vite, ho certe ingranaggi, questi sono i
pezzi. Questi pezzi possono essere disposti in una quantità di modi
diversi, credo che siano gli strati che l'equazione di Schrödinger può
avere, e in qualche modo il meccano possiamo considerarlo come la
materia dal punto di vista aristotelico, per esempio, e invece, la
disposizione, l'organizzazione delle parti che noi creiamo che ci dà degli
apparecchi capaci di svolgere delle parti, eventualmente, poi composti di
sotto apparecchi che noi costruiamo, un'automobile composta di varie
parti ciascuno dei quali ha una sua unità e che messi insieme danno
qualche cosa di nuovo che è l'automobile.
Allora, vorrei capire, tanto risponderai se colgo nel segno che
sostanzialmente con tutte le differenze che ci sono in ogni punto, questo
è il tuo punto di vista.
Da questo punto di vista a questi livelli di realtà di cui abbiamo parlato,
mi permetto di aggiungere un altro. Il problema "io sono di fronte
all'albero", in particolare, se io analizzo questo dal punto di vista della
fisica, allora, comincio a parlare degli elettroni, dei protoni, lasciamo
perdere il discorso sui modelli in che misura ne posso parlare, però è
sicuro che il verde che io vedo è qualcosa che coinvolge non solo
l'albero come qualcosa di staccato, ma coinvolge anche me stesso, in
qualche modo è una sorta di risultato di una interazione tra me e l'albero,
perché il verde come tale non c'è, c'è la luce con una certa lunghezza
d'onda. Io mi permetto di rivendicare un livello di realtà che è quello
proprio che risulta da questa interazione che mi sembra fortissimo e
interessantissimo, e a cui non vorrei in nessun modo rinunciare, magari
a quello che il pittore, il poeta cerca di cogliere che riguarda la nostra vita
in una maniera molto radicale.
Un problema che ho di fronte alla tua analisi, per esempio, tu hai
scritto l'equazione di Schrödinger, ma per te l'equazione di Schrödinger è
l'equazione di Schrödinger per le particelle. Io tante volte ti ho detto che
esiste una teoria di livello superiore in cui parlare di particelle è parlare di
specificazione dello stato di un campo, il quale campo è un qualcosa,
non voglio dire che sia di assolutamente olistico perché ci sono diversi
specie di campi che interagiscono tra di loro, però queste parti sono
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specificazioni dello stato di un campo. Dal punto di vista dei concetti di
realtà e se noi accettiamo che quello che riconosciamo come materia e
come forma dipende anche dal livello a cui noi ci mettiamo, questo, è
vero, ma in somma, è un punto che deve essere preso in
considerazione, perché dal punto di vista delle più recenti teorie della
fisica, evidentemente, l'oggetto che non sono definitive e che quindi
potranno essere superati d'altri, ma l'oggetto di base, la materia è il
campo, e tutto il resto è forma del campo, anche le particelle e
sicuramente quelli stati, o accidenti, come si vuole, il campo è la
sostanza.
Di fronte a questo problema, tu la vita l'hai presentato come l'anima in
uno dei sensi che Aristotele da a questo termine. Qua al solito io sempre
mi sono cozzato è un punto che io non ho mai capito di fronte anche alla
posizione, anche al modo di porre le cose di San Tommaso che a volte
si dice che l'anima è la forma del corpo, mettiamola così. Io ho
l'impressione che fin che si resta a livello di una affermazione di questo
tipo, non si vada al di là del livello che tu hai descritto. A proposito della
reazione, per esempio di Lila, stiamo al livello chiamiamolo materiale,
anche se un fisico ha molta paura di usare il termine materiale, però
materiale così in contrapposizione a spirituale. Nel linguaggio comune
c'intendiamo poi sono problemi che andrebbero approfonditi. Per me di
qua non emerge un elemento caratteristico dell'uomo. C'è la scintilla
divina, la tendenza e la facilità a scivolare qui da un punto di vista
dualista, è molto grande, e certamente, la cosa più facile è immaginare
che l'anima sia qualcosa che Dio attribuisce all'uomo, ma che si
aggiunge a quest'anima materiale di cui tu hai parlato, e, allo stesso
tempo questo aspetto, però nel senso, per esempio, che l'anima viene
creata nel momento in cui si forma il corpo, c'è anche tutto il problema
dell'animazione, del feto, ecc.
Questo, io ho l'impressione che in certo senso è di alcuni presentato in
una forma dualista, anche trovano insoddisfacente l'aspetto dualista,
anzi direi che tutte le discussioni che uno può avere, per esempio, con
non credenti, è il discorso dell'aspetto dualista è l'unica cosa in realtà su
cui sanno rispondere. Allora, tu hai una visione dualista, lo so. Agazzi
dice, una qualche visione dualista bisogna averla per forza. D'altra parte,
devo dire che anche nell'ambito della tradizione filosofica della filosofia
tomista non si accetta il punto di vista dualista. Allora, si presenta questo
discorso. Qui sinceramente non ho mai saputo dare un significato, a me
sembra che finchè uno resta nell'ambito della terminologia come io in
certa maniera ho capito, uno non salti fuori, non bada al livello superiore
che pure, naturalmente, c'è.
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Adesso tu mi hai detto di avere approfondito nel discorso di Aristotele,
e che Aristotele esplicitamente indica come la necessità di un passo
ulteriore, di un salto ulteriore che va al di fuori di quello della forma
immersa. Però lui dice che c'è un passo ulteriore, però ho l'impressione
cosa sia questo passo ulteriore non appaia. Questo mi sembra un
problema centrale. Ma secondo me il problema è tanto più forte, perché
in fondo, a me dal punto di vista pratico dice: c'è l'anima in più, e me la
cavo, perché per vivere mi va benissimo. E poi c'è il famoso problema "e
se col progresso della chimica uno riuscisse a costituire un uomo che
senza utilizzare un rapporto con un uomo precedente, questo l'avrebbe
l'anima o no"? Normalmente uno dice se è la struttura di un uomo
sicuramente l'anima li verrà data. Ammettiamo anche questo punto di
vista, però como io ho detto ieri, in realtà io credo che tutto il discorso
che tu hai fatto si riferisce a quel livello -permettetemi il contrasto di
parole-, della vita che io chiamo la vita biologica, intendendo come
questo la vita che studiano i biologici, come un corpo di scienze che
sono storicamente stabilite nell'ambito di un certo contesto che è quello
delle scienze della natura fondate e costruite in un certo modo. Però
anche a livello della vita animale superiore noi abbiamo la estrema
difficoltà a ritenere che tutto si possa ridurre a quel livello, perché da quel
livello l'organismo vivente non vedo come sia sostanzialmente diverso da
un computer molto elaborato che ha i sui programmi, che ha la sua
capacità di apprendere, di memorizzare, ecc. C'è anche nell'animale per
conto mio qualcosa di più, cioè parlo del cane, del gatto. Di fronte alla
persona che ha il suo cane, che addirittura si fa chiamare come succede
in Italia avendo pochi bambini, ora, la gente prende il cane, il cane lo
deve chiamare, poi si riferisce al cane "vieni dalla mamma". La signora
che chiama il cane, però la percezione che uno si trova di fronte a un
qualcosa che in qualche misura capisce, che in qualche misura sente...,
se un piccolo cane quello urla, posso inventarmi un robot che fa
esattamente la stessa cosa, però non posso sostrarmi alla sensazione
viva che il cane quando urla senta dolore, non lo sentirà nel modo in cui
lo sento io che sono una persona che è cosciente, che ho paura del
dolore che arriva, che ho tutta una serie di reazioni che derivano proprio
della mia intelligenza, della mia autocoscienza, della mia capacità di
analizzare queste cose, però in una forma che non posso né anche
completamente capire è analogica, devo dire che quell'animale sente. Se
vogliamo all'anima sensitiva, anche senza fare questo taglio drastico tra
l'anima sensitiva e l'anima razionale nel senso che forme elementari di
ragionamento anche l'animale le fa, ci sono formi di apprendimento, ecc.
Quindi
dal
punto
di
vista
della
fenomenologia
esterna,
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indipendentemente da quella che è la scintilla divina, il destino che Dio
possa avere attribuito all'animale o a noi, o all'animale in subordine,
comunque a noi, la mia impressione è che la vita, come il fenomeno che
ci si presenta nella sua realtà, non possa essere esaurita dal punto di
vista della vita biologica. Però a questo punto, mentre posso essere
disposto di accettare al limite, al meno in maniera provvisoria e come
modello una posizione quasi cartesiana, non che l'anima agisca
sull'anima pineale, ma per lo meno che l'anima sia creata da Dio nel
momento in cui l'uomo viene al mondo, mi riesce un pochino più difficile
dire che questo venga esteso anche al caso del cane. `E proprio questo
fatto che la vita come tale si sottragga in maniera completa a quella che
sono nella sua manifestazione più estrema, la nostra capacità di
analizzare, di comprendere il mondo materiale, che sia questo qualche
cosa diverso, perché da un certo punto di vista l'antico si trovava in una
situazione più facile. Siccome pensava che ogni specie fosse creata
direttamente da Dio, sì, c'era il mondo inanimato, poi c'era il mondo
animato, i diversi gradi e questo riproduceva se stesso. Noi, invece,
proprio nella misura in cui accettiamo l'evoluzione che secondo me, lo
possiamo considerare ragionevolmente un fatto, con tutti i dubbi, con
tutti i limiti che abbiamo nel suo comportamento esterno, questo fatto
risulta tanto più difficile, tanto più difficile l'idea che ogni essere vivente
dalla vipera al cane, al gatto che viene al mondo, Dio si scomodi per
creare un'anima particolare, anche se Dio sappiamo che è sempre
presente in tutti i momenti della nostra vita. Mentre questo per me
sarebbe più facile accettarlo nell'uomo. Io credo che qui c'è tutta una
problematica che da un certo punto di vista mi sembra più importante
dell'aspetto puramente biologico della vita o capire come si siano formati
da materiale inorganico le prime molecole suscettibili di acquisire
un'informazione, ecc., questo è un problema che io avverto fortemente,
totalmente irrisolto al mio parere, e qui che io pongo.
- Prof. Del Re: Io posso in tanto rispondere parlando della mia
esperienza senza volere uscire in altri campi.
Fammi dire subito per sgombrare il campo alle altre cose che tu hai
detto, i tuoi esempi sono molto belli, anzi, me ne servirò dei tuoi esempi
riguardo alla forma. Il tuo cenno agli aspetti soggettivi, ti dirò che è per
questo che io ho voluto leggere un brano di Heidegger, perché
Heidegger insiste proprio sulla questione della poesia. `E famoso il suo
saggio A che servono i poeti. Anzi è per questo che ha avuto tanto
successo perché sia dunque io proprio perché, forse, perché siamo
uomini di scienza sentiamo moltissimo l'importanza del rapporto poetico
chiamiamolo così.
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Il problema del campo -non voglio dilungarmi- penso che si possa
ricondurre a quello che un tale -adesso mi sfugge il nome- chiamava la
natura batogena -non patogena- batogena della fisica cioè, la questione
del campo, chiamiamolo primordiale, in un certo senso risponde alla
tendenza della fisica a ridurre all'entità ultima. In un certo senso si
potrebbe pensare che la ricerca di arrivare fino alla potenzialità pura che
sarebbe la materia secondo Aristotele, cioè, qualcosa di cui non si può
dire nulla, se non che può diventare qualcosa, allora, in questa ricerca i
fisici fanno quello che è il compito programmatico della loro disciplina, e
adesso trattiamo tutte le particelle come un livello di complessità
superiore di una entità più semplice della quale diamo tutto, cioè, come
nell'equazione di Schrödinger noi diciamo H -nella prima quantizzazione
introduciamo H- cioè, l'operatore che rappresenta le particelle e le loro
interazioni, adesso noi andiamo più in là, e introduciamo un'entità in cui
sono le particelle. Secondo me, nella stessa logica, però è un problema
che potremo discutere. Per quanto riguarda alla questione formale del
corpo, venne fuori la questione dell'anima, e allora io, ingenuamente,
disse, ma sul catechismo scrivono che l'anima è la forma del corpo, non
credo che sia la "silhouette", perché non mi dite che cosa è. Era un po'
cattivo perché l'idea ce l'avevo, però comunque, dico, perché non mi dite
che cosa è? Uno che legge il catechismo della Chiesa Cattolica e non
conosce Aristotele, trova: l'anima è la forma del corpo, e se immagina
l'alma del New Age o qualche cosa di questo genere, dico, quindi
vediamo che cosa è. Mia sorpresa enorme fu che nessuno sapesse
rispondere nemmeno Padre Parenti, dominicano; allora, la cosa era un
po' preoccupante. Mi mise un po' a studiare e giunse a quello che ho
detto, cioè, Aristotele dice forma nel senso di attualizzazione delle
particolari potenzialità che ci sono degli insiemi degli organi, quindi, il
corpo è visto come materia, come le particelle, come elettroni e protoni
rispetto all'atomo, come una materia seconda già formata, però a cui
manca qualche cosa. Questo qualcosa realizza l'essere vivente le cui
parti sono già andate. Naturalmente gli scolastici adoperano il loro
linguaggio, per esempio, loro non accettano di dire cambiamento, loro
dicono movimento, anche se nella lingua moderna, movimento vuol dire
cambiamento da luogo al luogo, perché debbano evitare la parola
cambiamento, io non l'ho mai capito, però comunque è il loro linguaggio,
così usano la parola forma senza rendersi conto che per noi significa
un'altra cosa.
- Dra. Archideo: El movimiento es el transito de potencia al acto.
- Prof. Del Re: ho capito. Ma perché non si può dire cambiamento?
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- Dra. Archideo: ... quella forma non solo prende la molteplicità in una
unità ma anche la specificità, ecc.
- Prof. Del Re: Per esempio, noi abbiamo la parola informazione ...
Quello che voglio dire è che per la questione dell'uomo quello che
risulta a me, anche, avendo lette un commento molto interessante de la
Vanni Rovighi, che lei la conosce, era una studiosa di San Tommaso, la
quale dice, addirittura, che ci sono delle contraddizioni, proprio lo dice
esplicitamente, la questione, secondo me, è questa, da come ho capito
dando un'occhiata alla Somma contra Gentiles, poi la Lila mi correggerà,
io adesso dico solo quello che ho capito io. Aristotele avrebbe dovuto
fare una distinzione fra l'intelletto attivo che corrisponde alla coscienza,
alla pressa di coscienza e l'intelletto possibile, cioè, ciò che si ottiene alla
fine dell'elaborazione dell'informazione che proviene dall'esterno. Allora,
l'intelletto attivo illumina questi colori e dice sì, ecco, ci sono dei colori,
cioè, adesso io so. La formulazione "io so", se non che in Aristotele, dice
per quello che ho letto- non è chiaro se lui pensi che questo
riconoscimento sia in realtà l'attività di una specie di entità divina comune
a tutti gli uomini, cioè, non è una cosa personale. Se ho ben capito, San
Tommaso risolve il problema in questo modo, dice, "no, va bene tutto il
discorso di Aristotele, però siccome l'uomo è tutto, è un uno, anche
questa ultima funzione fa parte dell'uomo ed è inescindibile da tutto il
resto". A questo punto non c'è più un dualismo, c'è una unità, nella
quale, però -per ciò la chiamo scintilla divina-, esiste un elemento che è
comune con Dio, però è un elemento personale, proprio. E a questo
punto viene fuori. L'anima deve essere immortale per lo meno l'anima
non radicata, c'è un bellissimo libro di Garrigou Lagrange che dice,
"l'anima separata dal corpo" una cosa di questo genere, dove studia tutto
questo e ritrova quei discorsi estranei che faceva Dante che io non
avevo mai capito fino a che non ho letto queste cose. Dante dice, "a
soffrire tormenti, freddi e geli nostra natura, la Provvidenza dispose che
come fa, non vuole che a noi si svegli", cioè, le anime del Purgatorio
ricevono un corpo perché l'anima staccata dal corpo in realtà è priva
delle sue radici. Quindi, c'è tutta una teoria per cui dire "sì è vero che
l'anima è immortale, ma per essere completa occorre un sostrato
materiale. E questo punto era nel tomismo per lo meno dantesco, e
ripeto, Garrigou Lagrange da tutta una discussione bellissima, tanto che
c'era la questione se la memoria o l'immaginazione rimangano nell'anima
separata, perché, in realtà ci hanno un sopporto materiale. Quindi
secondo quello che ho capito io la tesi di San Tommaso, non è dualista
nel senso che ritiene della scintilla divina, la autocoscienza, sia legata a
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tutto il resto. Però è dualista nel senso che distingue un intelletto
possibile, un intelletto elaboratore, da un intelletto che prende coscienza.
Ecco, per quanto riguarda la questione della natura speciale della vita.
Qui è un problema molto delicato perché studiando, -appunto lo studiato,
fra l'altro in occasione di una serie di lezioni che ho fatto il problema della
neurofisiologia, di stati di coscienza, all'Università di Roma-, mi sono
dovuto studiare proprio la neurofisiologia sul serio, divertendomi molto
perché, per esempio, loro il concetto di sistema non lo hanno molto
chiaro. Ho fatto un elenco di tutti i possibili significati della parola
"sistema", e in realtà quando uno studia, approfondisce i sistemi di
controllo si rende conto, secondo me, che al livello embrionario
rudimentale, certi processi del vivente che sembrano inspiegabili, in
realtà, sono spiegabile e la tecnica gli ha scoperti. Questo non vuol dire,
che il risultato finale è una macchina. Anzi tutto, bisogna vedere che
cosa vuol dire macchina, è una cosa ben diversa, una sonda spaziale
che da solo va, fa fotografie e sceglie, ecc. da un motore d'automobile
che è già pure una macchina abbastanza sviluppata. Quindi a che livello
mettiamo le macchine è molto difficile.
Per quanto riguarda, per esempio, la sensibilità. La sensibilità uno può
dire ci sono dei sensori o propri dei sensori di quelli normali è chiaro che
arriva un segnale di allarme, questo scatena una reazione.
La risposta è che si può pensare che ci sia anche una specie di
antropomorfismo, noi sentiamo la solidarietà, e poi c'è l'aspetto della vita
che è un fenomeno stazionario fuori di equilibrio che è molto
caratteristico.
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