22 maggio 2014 Eolico, ecco le “pale” di seconda

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22 maggio 2014 Eolico, ecco le “pale” di seconda
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Rinnovabili e Altre Fonti di Energia - Efficienza
22 maggio 2014 giovedì 22 maggio 2014
di G.M.
Eolico, ecco le “pale” di seconda generazione
Intervista a Carlo Durante di eTa Blades. Una filiera italiana per affrontare la fine degli incentivi e la
cannibalizzazione del fatturato delle rinnovabili. Per il mini eolico un potenziale di 5-10 MW l'anno.
"Aumento dell'efficienza del 20%"
L'aumento della produzione elettrica da rinnovabili ha fatto calare il prezzo dell'energia e lo farà
calare ancora. Ma questo ha avuto come effetto collaterale di ridurre i ricavi degli stessi produttori da
rinnovabili. Questa circostanza, unita alla riduzione (e alla prossima fine) degli incentivi, pone ai
produttori, in particolare a quelli eolici, una questione urgente di aumento dell'efficienza e riduzione dei
costi, per continuare a operare sul mercato. Ne parliamo con Carlo Durante, fondatore di eTa Blades,
azienda italiana che produce "pale" di seconda generazione a Fano, nelle Marche.
Che cos'è il reblading e perché è importante per chi opera nel settore eolico?
Partiamo dall'analisi del contesto. L'energia rinnovabile perde fatturato, lo cannibalizza proprio in
quanto esiste. In particolare, il fotovoltaico, nelle ore di picco in cui il prezzo sale perché c'è più
domanda, contribuisce a moltiplicare l'offerta rendendo il sistema completamente sbilanciato. E così i
prezzi calano e, di conseguenza, cala il fatturato di chi vende energia. tutto questo incide fortemente
sulle aspettative di grid parity e market parity: il fotovoltaico ha un LCOE di 100-110 euro al MWh,
l'eolico è anche sotto ai 100 euro MWh, ma per entrambi, con i prezzi nel mercato elettrico che calano,
la parità si allontana. Il modo per inseguirla è rendere più efficienti le macchine. Fino a 10-15 anni fa si
faceva l'impianto dove c'era tanto vento. Poi spesso le turbine sono state installate dove ti davano
l'autorizzazione. Oggi i siti buoni sono finiti. In più, i rendimenti degli incentivi sono in calo per tutti i
nuovi impianti, e presto finiranno del tutto. Le macchine installate 10-15 anni fa sono ormai
concettualmente molto vecchie, per quanto riguarda tutti i componenti. Il componente essenziale degli
aerogeneratori è la “pala”, la blade. E su questo fronte sono stati fatti enormi passi avanti dal punto di
vista del disegno e del concetto. E qui nasce, quattro anni fa, l'idea di eTa, con due fondamentali ragioni
d'essere.
La prima sta nel combattere con questo nuovo contesto, con questo paradosso: più si va avanti e la
tecnologia è matura e più si abbattono i costi; d'altro canto, più rinnovabili ci sono sul mercato e più si
abbassa il prezzo dell'elettricità. Il fatturato scende parallelamente ai costi e quindi bisogna far scendere
ancora di più i costi.
C'è poi un secondo punto, più “filosofico”. Oggi ci sono molte aziende di rinnovabili, nell'eolico in
particolare, che sono semplici asset, non vere e proprie aziende. Sono cioè un grappolo di parchi eolici.
Hanno una vita legata al periodo dell'incentivo e al ciclo di vita del prodotto. eTa nasce per accelerare
l'efficienza degli impianti e per dare una equity story alle aziende che iniziano a investire sulla qualità e
sui rendimenti dei propri impianti per allungarne la vita, rinviando così di almeno dieci anni la questione
del “che fare” una volta finita la vita utile dell'impianto.
Molti operatori hanno sottolineato che le norme sul repowering sono molto complesse.
Noi prescindiamo dalla normativa e dagli incentivi. Se ci sono gli incentivi tanto meglio, se no è un
investimento industriale che funziona lo stesso. Ora stiamo dialogando più con l'estero che con l'Italia,
anche se l'Italia è certo un target più immediato. Stiamo guardando a iniziative di reblading (sostituzione
del rotore) in assenza di incentivi. È una grid parity all'interno di un impianto già esistente.
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Come nasce la società?
Siamo nati con l'idea di mettere insieme competenze eoliche (le mie) e tecniche di due settori
limitrofi, navale e aeronautico, che possono aiutare a migliorare la performance del rotore e della
turbina, rappresentate da Giovanni Manni, amministratore delegato di eTa, e dai nostri altri soci. Nei tre
settori c'è la stessa tecnologia di fondo, almeno dal punto di vista costruttivo e dei materiali.
Anche le pale di prima generazione erano “debitrici” nei confronti di questi due settori.
Esatto, venivano da quel mondo e poi si sono creati pian piano un mondo proprio. Gioanni Manni
15 anni fa era all'interno di una struttura che produceva grandi barche a vela in carbonio di altissimo
livello, la Wally Yacht. Seguiva workshop in Inghilterra, organizzati dalla Gurit, a cui partecipavano
anche quelli dell'eolico. Sono mondi che vanno a braccetto, anche nelle persone.
Oggi quali sono le linee di sviluppo per le tecnologie eoliche?
Avevamo bisogno di un prodotto che avesse un'efficienza tecnica, una curva di potenza
notevolmente superiore a quella dei prodotti standard che vengono progettati e costruiti dal produttore
una volta per tutte sulla base della propria turbina. Noi invece abbiamo fatto il discorso inverso: come
migliorare la produzione di un dato parco eolico attraverso un disegno specifico della nuova pala. Così
abbiamo prima ottenuto un disegno, un concept ingegneristico, poi una pala vera e propria. La nostra
catena del valore comprende quindi sviluppo del concetto, design, prototipazione, industrializzazione,
produzione in serie e service sulle pale di nuova generazione. Abbiamo lavorato su due punti
fondamentali: l'aerodinamica e i materiali. Sono passati quindici anni da quando sono stati disegnati i
primi modelli di turbina, e da allora l'aerodinamica ha fatto passi da gigante. Con i nuovi materiali, poi,
riusciamo a introdurre concetti sofisticati di aero-elastica, cioè di torsione controllata della blade che
consente di allungare le pale a parità di turbina. Una soluzione che consente di produrre il 20% in più
rispetto a una turbina tradizionale.
Dove avete gli stabilimenti produttivi?
In questo momento abbiamo in attività due stabilimenti contigui a Fano, nelle Marche, per una
superficie produttiva coperta di 5.500 metri quadri. Li abbiamo realizzati nelle aree che prima lavoravano
gli stessi materiali per la cantieristica navale, con una specializzazione per la produzione di materiali
compositi. Gli stabilimenti hanno le attrezzature più evolute dal punto di vista ambientale, dalla
verniciatura con sistemi di aspirazione alle cabine di carteggiatura con protezione dalla dispersione delle
polveri, ai carri ponte, ai sistemi a carboni attivi. Sono stabilimenti costruiti ad hoc per questa
produzione, investimenti pesanti per un tipo di produzione molto evoluto.
Un buon caso di riconversione industriale.
Abbiamo saputo investire su competenze ed equipaggiamenti già disponibili nel settore della
nautica e oggi non utilizzate per via della crisi. Insomma, per fare l'eolico abbiamo saputo trasformare in
modo flessibilmente intelligente ciò che c'era già. Una scommessa che in Italia non è mai stata fatta. È
l'esatto contrario di ciò che è stato fatto anni fa quando arrivò Vestas a Taranto, che chiese ai “vicini di
casa” dell'Ilva di fare le strutture tubolari in acciaio e altre lavorazioni. L'Alenia ha iniziato a spiegare
come si facevano le turbine e così per anni a Taranto sono state prodotte le macchine come la Vestas
V42, V52 ecc. con il nome di Vestas, con l'Alenia che ha venduto la fabbrica alla Vestas. In Spagna è
successa una cosa simile. Vestas si è presentata a una piccola azienda che si chiamava Gamesa, gli
hanno spiegato come fare le turbine e così è nata la Gamesa. Ecco, noi stiamo facendo il contrario:
siamo riusciti a utilizzare le competenze e i materiali di un'industria in crisi per metterli al servizio di
un'industria che invece crescerà ancora.
Quando avete iniziato a produrre?
Gli stabilimenti di Fano sono attivi da qualche mese, ma eTa ha iniziato a produrre intorno a
settembre 2012. Prima facevamo solo prototipazione. In questo momento abbiamo una trentina di
persone che lavorano alla produzione. Nel giro di un anno dovremo raddoppiare il personale, con i
volumi che dovremmo “chiudere”. Abbiamo collaborazioni molto solide e contrattualizzate con realtà
molto importanti come l'ente dell'energia olandese Ecn, il Politecnico di Milano e la Gurit. Stiamo
cercando di spostare tutta la catena di fornitura su produttori italiani: abbiamo abbandonato le resine
prodotte in Inghilterra e ci siamo portati su quelle fabbricate in Italia. Stesso discorso per i tessuti che
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pur essendo di una grande multinazionale sono confezionati in Italia.
Qual è il vostro raggio di azione? In teoria l'intero parco eolico italiano potrebbe essere
oggetto di reblading...
Sì: più gli impianti invecchiano, più gli operatori avranno bisogno di allungarne la vita, e sarà
conveniente accedere alle nuove tecnologie. Il mercato della sostituzione dei rotori è gigantesco, per il
momento ci stiamo concentrando su quello. Dobbiamo testare un prototipo a brevissimo. Quanto ai
produttori di turbine, fanno una certa resistenza a utilizzare il nostro prodotto sulle loro macchine nuove,
perché le loro vendite stanno calando. Ormai la grande ondata dell'eolico si è arrestata. Altrettanto ovvio
è che invece il mini eolico è terreno vergine. E qui abbiamo collaborazioni con aziende italiane: Tozzi
Nord ha avviato recentemente la commercializzazione della turbina Victory da 60 kW per la quale noi
forniamo le blade. Ci sono tanti nuovi produttori di turbine mini, molte aziende che ci stanno chiedendo
di produrre. A volte produciamo sulla base di loro disegni, altre volte realizziamo sulla base del nostro
disegno, che abbiamo sviluppato in collaborazione con il Politecnico: lo proponiamo come uno standard
con costi ottimizzati, rapidità di produzione e risparmi sul tempo di progettazione. Sul mini eolico
abbiamo già ordini importanti, intorno alle 500 pale nel 2014.
Uno dei problemi del mini eolico è proprio quello della standardizzazione: essendo un
business recente, le banche chiedono certezza nei rendimenti delle macchine prima di finanziare
i progetti.
Quasi tutti gli operatori che vogliono entrare nel mini eolico, anche i più piccoli, chi ha 20-30
iniziative, pensano che sia più corretto disegnare da sé la propria turbina. Anche perché non ha un
costo di progettazione mostruoso. Comprano i componenti e li assemblano. Per questo nascono i
problemi di approvvigionamento e bancabilità. Noi offriamo un prodotto standard che si può controllare e
adattare alle diverse macchine mantenendo la convenienza dei costi, del prodotto industrializzato, dei
tempi di consegna ecc. Quanto alla bancabilità, alle banche interessa la curva di potenza della blade
perché le componenti che sono “dietro” la pala (il macchinario della turbina, il converter, l'alternatore, il
main shaft ecc.) sono più standardizzate. Si comprano, per così dire, al supermercato del bravo
turbinista. Per aiutare la bancabilità è invece fondamentale garantire la standardizzazione del
componente critico, cioè la blade, attraverso una curva di potenza strutturata e verificata.
Secondo i dati diffusi dal Gse, a fine 2013 in Italia c'erano già oltre 35 MW installati. Quali
margini di crescita ha il mini eolico?
Direi innanzi tutto che è un'ottima partenza. Poi bisogna distinguere in base alle taglie delle
macchine. Il mini eolico è tutto ciò che sta tra 10 e 200 kW, ma ci sono diversi segmenti. Dal punto di
vista burocratico, per le macchine fino a 200 kW è prevista la Procedura abilitativa semplificata (Pas).
Dal punto di vista degli incentivi, la tariffa onnicomprensiva viene assegnata solo fino ai 60 kW mentre
per le macchine più grandi ci sono i registri, che però sono già esauriti. Rimane quindi un segmento
interessante che è quello delle macchine da 60 kW, un generatore che esiste solo in Italia per via di
questa strana combinazione tra tariffa onnicomprensiva e Pas. Prevedo quindi un buono sviluppo della
taglia 60 kW con qualche “esperimento” sui 20 e sui 200 kW, con materiali e tecnologie dall'estero. E
sarà tutto molto rapido: tutti gli investitori con cui abbiamo avuto contatti parlano di una cinquantina di
sviluppi ciascuno. E 50 sviluppi da 60 kW fanno 3 MW. Calcolando un tasso di successo del 50%, si
potrebbe andare a ritmi di 5-10 MW all'anno.
Che tipo di applicazione ha tipicamente un impianto mini eolico?
La taglia da 60 kW ha due sfaccettature. Il primo è l'autoconsumo, anche se l'eolico ha una
programmabilità difficile e in un'ottica di Seu è sicuramente meglio il fotovoltaico un ibrido, magari
abbinato a una cogenerazione ad alto rendimento. L'eolico è più per il settore rurale, per un
autoconsumo con processi di estrazione dell'acqua che consentano uno stoccaggio. C'è poi un secondo
possibile utilizzo, una sorta di replica di quanto è successo in Germania: gli impianti da 400-800 kW
erano il tipico investimento della middle class, un bond dello Stato ad alto rendimento.
Fate parte di qualche associazione?
Siamo soci del Cpem. È già una grande sfida per noi riuscire a portare la standardizzazione in un
tessuto industriale così ampio e variegato come il mini eolico. certo, guardiamo con attenzione agli altri,
da Anie Rinnovabili ad Assorinnovabili, ma noi abbiamo come premessa quella di prescindere dagli
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incentivi. Ovvero: in questo momento non abbiamo bisogno di essere protetti, a meno che non ci
impediscano di costruire pale eoliche.
In breve, qual è l'elemento distintivo di eTa Blades?
È un mix tra due mondi: quello “artigianale” e quello industriale spinto. C'è una parte molto
artigianale nella preparazione dei tessuti da laminare e da infondere con la resina e dall'altra una catena
di produzione completamente robotizzata. La qualità del manufatto dipende dalle capacità di chi ci
lavora ma d'altronde bisogna essere “industriali” avendo a che fare con componenti che pesano spesso
oltre la tonnellata. La curva di apprendimento è stata incredibile: siamo partiti da una pala alla settimana
e oggi viaggiamo al ritmo di oltre una pala al giorno. Abbiamo messo a punto un processo di
fabbricazione che abbiamo dovuto scoprire passo dopo passo perché nessuno ti racconta niente in
questo settore. Siamo nella compagine societaria di un centro di ricerca che ha lavorato tantissimo per
la messa a punto dei processi e la selezione dei materiali.
Come diceva Ernesto Che Guevara, bisogna essere duri senza perdere la tenerezza. Nel nostro
caso, bisogna essere industriali senza perdere le capacità artigianali.
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