Nr 40 Ottobre 2004

Transcript

Nr 40 Ottobre 2004
N. 40 ottobre 2004
ORGANO DELLA PASTORALE SANITARIA DELLA DIOCESI DI ROMA
FAMIGLIA:
un inno
alla vita
N. 40 ottobre 2004
S O M M A R I O
La famiglia nei luoghi di cura
Organo
della Pastorale
Sanitaria
della Diocesi
di Roma
Direzione, Redazione
e Amministrazione
Vicariato di Roma
P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/a
00184 Roma
Tel. 06/69886227 - Fax 06/69886182
e-mail: [email protected]
Direttore:
@ Armando Brambilla
Direttore Responsabile:
Angelo Zema
Coordinamento Redazionale:
Dr. Sergio Mancinelli
Comitato di Redazione:
Don Sergio Mangiavacchi,
Padre Carmelo Vitrugno,
Elide Rosati
Maria Adelaide Fioravanti
Amministrazione:
Diac. Oreste Caramanica
Editore:
Diocesi di Roma
P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/a
00184 Roma
Tel. 06/69886227 - FAX 06/69886182
Versamenti sul conto corrente postale
n. 31232002
Specificando la causale:
“Pastorale Sanitaria 22-6-791”
Periodico Trimestrale Registrato
al Tribunale di Roma
Reg. Stampa n. 200 del 12.4.95
Finito di stampare il 24.09.2004
per i tipi della PrimeGraf
Tel. 062428352 (r.a.) - Fax 062411356
2
PAG 3
Testimonianze familiari
5
La famiglia, la Chiesa, la sofferenza
7
Medico, moglie e Madre
Ha amato sino alla fine
8
La vita è un dono
10
La predica silenziosa
11
Verso l’anno dell’Eucaristia
Visita di Sua Ecc. Mons. Brambilla
alla casa di cura Pio XI
13
Suor Terenzia e Suor Natalina
14
Il rovescio del ricamo
16
Per la morte di Ida. - Omaggio ai volontari
Lettera dalla clausura
17
La messa domenicale in una casa di riposo
18
Casa di riposo: sagrestia
19
Il Dalai Lama al Santa Lucia
20
La malattia nelle religioni
21
A conclusione dell’anno sociale
23
L’agire medico come atto d’amore cristiano
24
Verso l’anno dell’Eucaristia.
Preghiera dell’infermiere
26
Psicologia, religione, paranormale:
quale risposta alla malattia
27
La disabilità nell’anziano
28
Briciole di saggezza - La rete
29
L’intervento chirurgico
30
Un impegno tra i sofferenti
che si protrae da cento anni
31
ABBONAMENTO ANNUO:
€ 50,65
Socio sostenitore:
Comunità o Istituti: € 25,82
€ 15,49
Ordinario:
Sono sottoscrivibili abbonamenti cumulativi.
La famiglia
nei luoghi
D
opo la pausa estiva, riprendiamo
il cammino per un nuovo anno
pastorale che ci vedrà impegnati con tutta la Diocesi di Roma verso la
famiglia, nell’ambito del programma
triennale: “Ripartire da Cristo per una
missione permanente nella città”.
Sarà un anno importante quello che
ci aspetta, anche perché il Papa Giovanni Paolo II, nostro Vescovo, l’ha proclamato “Anno Eucaristico”. Il Santo Padre invita tutti, ma soprattutto
la famiglia chiamata a vivere l’esperienza dell’amore coniugale a “inabissarsi in un amore
senza limiti”.
“È in questo mondo
che deve rifulgere la
speranza cristiana! Anche per questo il Signore ha voluto rimanere
con noi nell’Eucaristia,
iscrivendo in questa sua
presenza sacrificale e
conviviale la promessa
di una umanità rinnovata dal suo
amore” (Ecclesia de Eucaristia, n. 20).
Il Cardinale Vicario, Camillo Ruini,
ha detto a conclusione del
Convegno Diocesano di giugno:
1) Prima delle iniziative occorrono
delle convinzioni che animino il nostro
agire. Ma queste convinzioni per noi cristiani nascono anzitutto da Dio e perciò
si alimentano in primo luogo con la preghiera personale e comunitaria.
Anche negli Ospedali e nei luoghi di
cura dobbiamo insistere che diventino
luoghi sempre più di preghiera per gli
di cura
ammalati ma anche per le loro famiglie,
per gli operatori sanitari, luoghi della
convivialità Eucaristica, e perciò è importante mettere al centro della vita
Ospedaliera la S. Messa, in modo particolare la domenica.
2) a - Il Cardinale Vicario propone
di svolgere anche nei luoghi di cura una
“Pastorale integrata”. Una prima integrazione riguarda il sentire e il vivere il piano pastorale della Diocesi in comunione
con tutta la Chiesa italiana e universale, Chiesa
che è impegnata in questo campo della famiglia
per impulso del nostro
Vescovo, il Papa.
b - Una seconda dimensione è quella interna alla Diocesi dove le
parrocchie e tutte le altre
realtà associative, religiose, laicali (e quindi anche noi del mondo sanitario), devono integrarsi
a livello di programma
pastorale ma anche a livello di più vaste iniziative che la Diocesi promuove.
La Diocesi risulta così un ambito fondamentale per tutto quello che noi cerchiamo di fare nei nostri ambienti sanitari.
Gli Ospedali e i luoghi di cura devono perciò sempre più interagire con
le parrocchie e le altre realtà perché
dov’è possibile una collaborazione concreta si realizzi per il bene dei malati e
delle loro famiglie ed anche degli operatori sanitari. È importante un lavoro
comune, uno scambio di doni, di esperienze, di ricchezze, di aiuti, interloquendo con il territorio in cui vivono le
3
famiglie e sono posti gli Ospedali.
Anche il Cardinale sottolinea che
c - un altro livello di integrazione si mettere insieme questi due aspetti non
deve realizzare con il Centro della Pa- è né semplice né facile, essendo in qualstorale Sanitaria Diocesana, ma anche che modo in tensione l’uno con l’altro.
con altri uffici del Vicarato, oltre che fra Eppure è necessario tenerli insieme coi vari Ospedali e strutture sanitarie pre- me meglio si può e cercare di comporsenti nel settore, o dovunque esse sia- li in un equilibrio stabile e duraturo.
no, purché disponibili alla collaboraNegli ambienti sanitari
zione, allo scambio reciproco. Allora la
pastorale della famiglia o “la promoPer quanto riguarda noi della Pazione della soggettività della famiglia” storale Sanitaria, nella misura che conpuò diventare una chiave decisiva per sentono le forze, durante il periodo di
far maturare la nostra paQuaresima si vorrebbe ragstorale nel senso e nella digiungere il maggior numerezione della pastorale inro di famiglie che entrano
tegrata, cioè della comuin Ospedale o Case di Cunione, della collaboraziora per far conoscere il mesne e della corresponsabisaggio di Gesù sul dolore,
lità.
la malattia, la sofferenza,
d - l’ultimo, ma non
la morte.
meno importante livello di
Sarebbe opportuno prepastorale integrata, è
vedere delle iniziative coquello che si deve realizstanti che possano ripeterzare all’interno dell’Ospesi e progressivamente aldale fra i Cappellani e le
largarsi. Dice ancora il
Suore, i Volontari e i vari
Cardinale: “Quando ci
movimenti che operano nel
poniamo in un atteggialuogo di cura, fra i medici
mento missionario dobLa
comunione
familiare
ha
tra di loro e con gli infer- origine in Dio
biamo essere fin dall’inimieri, e fra i vari reparti.
zio consapevoli che il seLa pastorale serve anche per fare unità me che cerchiamo di spargere potrà
tra le diverse realtà o persone che ope- portare frutto a secondo dei diversi
rano nel mondo sanitario. Tutto ciò do- terreni su cui cade e pertanto dobvrebbe trovare un suo naturale punto di biamo essere contenti sempre, anche
sintesi nel Cosiglio Pastorale e nella quando il riscontro non è quello che
Cappellania.
ci aspettavamo o speravamo”.
3) Altro aspetto che il Cardinale ViComunque, al di là degli aspetti orcaro indica è quello della missionarietà. ganizzativi, è fondamentale la convinLa Diocesi si propone nel periodo qua- zione dell’importanza della Missione
resimale la “missione alle famiglie” per alle famiglie, perché avrà buon esito
annunciare a tutti il Vangelo dell’amo- nella misura in cui noi per primi ci imre e della salvezza.
pegneremo nella sua concreta realizzaa - la missione nasce dal desiderio zione.
di arrivare a tutti, o almeno al maggior
Buona Missione e auguri di buon lanumero di persone e di famiglie.
voro pastorale a tutti.
b - un secondo aspetto è quello di far
diventare questa pastorale un “frutto
duraturo”, così da costituire una ca✠ Armando Brambilla
ratteristica permanente della nostra preVescovo delegato
per la Pastorale Sanitaria
senza nei luoghi di cura.
4
Testimonianze
familiari
puzzano addirittura di zolfo. Ma il piccolo
Marco guarì.
Gesù conosce bene il cuore dell’uomo
e ... della donna. Aveva una fifa ... di affrontare la faccia e la disperazione della
mamma di Marco e optò per la guarigione.
Il coraggio di Anna e Roberto
E il piccolo Marco guarì
Il piccolo Marco era veramente malato.
Diagnosi pesantissima: leucemia mieloide.
Un punto a suo favore. Era robusto. Un autentico torello. La mamma era inavvicinabile. Disperata arrivò a urlare: “Dio mi ha
maledetto. A mio figlio va tutto di traverso”. Veramente il figlio superò infezioni varie, un paio di bronchiti e sei mesi di camera sterile. Il papà è sicuramente un figlio legittimo di Giobbe. Una pazienza a prova di
bomba atomica. Con serenità. Con il sorriso sulle labbra. Affrontava situazioni tremende. Una a una. Senza conoscere il “Sufficit diei malizia sua”, di Gesù.
E papà Luigi, ritenne opportuno rivolgersi direttamente a Gesù Cristo. Giocò subito le sue carte: “Caro Signore, il matrimonio è indissolubile. Guarisci mio figlio.
Se lo prendi, per infoltire i tuoi cori celesti,
saranno disastri acidi per la mia famiglia.
Mi sarà impossibile sopportare per una vita il “muso” di mia moglie. È, arrabbiata è
dir niente, con te, con tuo Padre, con tua
Madre. Il cappellano neppure lo saluta. Regala un decimo di sorriso sghimbescio alla
suora caposala. Vedi tu”.
Gesù si sentì punto sull’orgoglio e per
autodifesa rispose: “Carissimo Luigi, tu hai
una moglie. Io ho una madre. Devo dargliela
sempre vinta. Duemila anni fà, per salvaguardare la pace famigliare, a Cana di Galilea, da carpentiere mi feci oste e riuscii a
ricavare vino dall’acqua. Modestia a parte,
un ottimo vino. Mi meritai persino i complimenti dell’architriclino, un buongustaio
dell’epoca. Ti capisco. Come ti capisco. Se
i medici falliscono, intervengo personalmente e salverò la pace della tua famiglia.
Parola di Gesù Cristo”.
Sono voci di corridoio. Per qualcuno
Una coppia con vent’anni di matrimonio sulle spalle. Una vita familiare serena
allietata dalla nascita di un figlio, più bello
di Apollo ed una figlia più affascinante di
Elena.
Il figlio viene attaccato da un tumore
maligno. Tutte le cure si rivelano inutili ed
infine Carlo si rende conto della situazione.
La rifiuta con tutte le sue forze. Si chiude
ermeticamente in un dolente silenzio. Ti accetta solo se gli stai vicino zitto zitto. Per i
genitori, per il personale medico e religioso fu una prova difficile. Si aveva però la
chiara coscienza di accompagnare positivamente il suo dolore e la sua voglia di vivere.
Ci lasciò all’improvviso la vigilia del
suo diciottesimo compleanno.
Alcuni mesi fa incontrai la coppia nella
terapia intensiva. La figlia, Giada, stava in-
5
tarono. “Sappiamo vivere onestamente senza sfruttare vergognosamente la memoria delle nostre figlie”.
Seguì un periodo di sdegno
contenuto, di incertezze e di lacrime inghiottite silenziosamente. Presi il coraggio a due mani e, tra il serio ed il faceto inviai loro la lettera di Geremia agli esiliati di Babilonia. Capitolo 30 di Geremia. Ecco la sua parte più significativa.
“Così dice il Signore degli
eserciti, Dio di Israele, a tutti gli
esuli che ho fatto deportare da
Gerusalemme a Babilonia: CoL’abbraccio di una madre è l’abbraccio dell’amore
struite case e abitatele. Piantate
cominciando lo stesso calvario di Carlo il orti e mangiatene i frutti. Prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie. Scefratello.
Anna e Roberto sono cattolici, aperti e gliete mogli per i figli e maritate le figlie.
rispettosi, di fede semplice e parzialmente Costoro abbiano figlie e figli. Moltiplicapraticanti. Affrontano i loro problemi in un tevi lì e non diminuite. Cercate il benesprofondo amore di coppia. Sanno accettare sere del paese in cui vi ho fatto deportail loro dolore nella condivisione, senza sca- re. Pregate il Signore per esso, perché dal
ricare la loro pena sull’altro coniuge, sui suo benessere dipende il vostro benessemedici, sugli infermieri, sul cappellano, su re”.
Seguiva il capitolo quinto di Baruch.
Dio. Dio li benedica.
“Deponi, o Gerusalemme, la veste del
lutto
e dell’afflizione. Rivèstiti dello splenLa fede di Manuele ed Elena
dore della gloria che ti viene da Dio per
Dio ha dato. Dio ha tolto. Sia lodato il sempre. Avvolgiti nel manto della giustinome del Signore. Manuele ed Elena. Una zia di Dio, metti sul capo il diadema di
coppia piena di amore e di dolore, con po- gloria dell’Etemo, perché Dio mostrerà
chi anni di matrimonio. Le figlie: Marta e il tuo splendore ad ogni creatura sotto il
Giuseppina, hanno già raggiunto il seno di cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre
Abramo.
pace della giustizia e gloria della pietà.
Marta per una malattia rara. Nessuno sa- Sorgi, o Gerusalemme, e stà in piedi sulpeva come curarla. Visse sempre in terapia l’altura e guarda verso oriente. Vedi i tuoi
intensiva. In alcuni rari momenti di miglio- figli riuniti da occidente ad oriente, alla
ramento passava qualche ora all’aperto. parola del Santo, esultanti per il ricordo
Piangeva. Il suo ambiente “naturale” era il di Dio”.
lettino della terapia intensiva. Il resto le era
E nacque Giovannino. Settimino. Settecento grammi di peso. Fu forzato a nascere
estraneo.
Giuseppina lasciò i genitori in uno dei perché c’era il gravissimo rischio di aborto
tanti terremoti d’Italia. Finì schiacciata tra naturale. La gravidanza alterava fortemendue pavimenti, per l’incompetenza o per la te tanti valori della salute fisica della macriminale responsabilità di amministratori, dre. Ancor’oggi si cura con difficoltà l’ipertensione.
progettisti e costruttori.
Oggi Giovannino è Giovannone per la
Certe televisioni strappalacrime offrirono fior di milioni per sfruttare economica- gioia di mamma e papà e il cappellano ne è
mente la disgrazia. Manuele ed Elena rifiu- associato con soddisfazione reciproca.
6
ei momenti della sofferenza (malat- voro, crisi della coppia, incomprensioni con
tia, morte), che più volte hanno bat- i figli, discordie in famiglia...) un Sacerdotuto le ore per la mia famiglia fin da te che ne sia informato, dovrebbe farsi fiprima della mia nascita e poi lungo tutto il gura di quel Padre, sempre attento e precorso della mia vita, ci siamo trovati ac- sente, pronto a prenderti in braccio.
canto, presente e solidale, la Comunità ecDirei molto di più. Chiesa siamo tutti noi
clesiale, della quale sia i miei genitori ed io e non solo i Sacerdoti. Questo ruolo e queprima, mio marito, io ed i nostri figli dopo, sta responsabilità spetta a noi tutti. La mia
siamo sempre stati, più o meno attivamen- proposta è che quell’attenzione, quelle ante, membri e partecipi.
tenne sempre ritte che in Ospedale ci viene
Non sempre, e non nella stessa misura, raccomandato di educare all’attenzione vici è stata vicina la Chiesa in
gile e continua verso le persosenso più ampio e spersonaliz- La famiglia, ne che incontriamo, diventino
zato, quando ci siamo trovati a
stile di vita anche nei palazzi,
gestire situazioni di sofferenza
nei luoghi di lavoro, ovunque
la chiesa,
e di bisogno al di fuori o lonin modo da rendere la “Chietano dal nostro contesto par- la sofferenza sa” (cioè noi tutti) sempre
rocchiale o quotidiano, laddopronta a farsi presente accanto
ve, insomma, “nessuno ci conosceva”.
ai fratelli.
La medesima sensazione dì “servizio paForse per questo è però necessario, oltre
storale dovuto” l’ho provata nei confronti che una disponibilità di cuore, anche un po’
di altre persone che vivevano similari si- di preparazione. Si potrebbe lavorare su quetuazioni negli ospedali, in circostanze di dif- sto: alla sensibilizzazione, all’approccio dificoltà, funerali, eccetera.
screto, alla solidarietà attenta.
È forse umano che un Sacerdote “amiUna preghiera? Signore, fa che i “fatti
co” si comporti in modo diverso da un Sa- degli altri” siano sempre FATTI MIEI!!
cerdote che non sa nulla di te e del tuo vissuto, ma sarebbe più giusto ricordarsi che
Anna Maria Cardillo
Volontaria Pastorale (ASVEP)
proprio in certe circostanze (e non solo di
presso l’Ospedale Sandro Pertini di Roma
malattia e di lutto, ma anche difficoltà di la-
N
1. Scopri la famiglia...
D 6.
la tua e quella degli altri.
E
L’amore sa scoprire sempre
C
nuove attese, nuove speranze!
2. Conosci la famiglia,
A 7.
la tua e quella degli altri,
L
di quella conoscenza di amore
O
che sa comprendere e donare.
G 8.
3. Aiuta la famiglia,
O
la tua e quella degli altri.
L’amore vero saprà dirti
della
che cosa fare per aiutare.
F
4. Difendi la famiglia,
A 9.
la tua e quella degli altri:
M
... il dono dell’unione profonda
I
e vera gioia in Gesù,
sia la sua difesa e la sua gioia.
G 10.
5. Senti la famiglia,
L
la tua e quella degli altri,
I
allora scoprirai un mondo stupendo:
A
io, tu, noi...uniti nel volerci bene!
Accogli la famiglia,
la tua e quella degli altri,
con una generosità, dimentica di sé,
che non conosca limiti nel donare.
Sostieni la famiglia,
la tua e quella degli altri.
La vita conosce difficoltà e ansie:
diffondi pace, accresci speranza.
Godi della famiglia,
della tua e di quella degli altri:
aiuta a godere dei doni di Dio,
perché intorno si irradi la luce.
Ammira la famiglia,
la tua e quella degli altri:
perla preziosa nel campo del mondo,
meraviglia della vita che corre nel tempo.
Ringrazia per la famiglia
per la tua e per quella degli altri...
con te, altri si sentiranno “figli” del Padre
che è nei cieli e, in Gesù,
loderanno il dono che rimane in eterno
7
Medico, moglie e MADRE
ha AMATO sino alla FINE
Gianna Beretta Molla (1922-1962)
Madre di famiglia
proclamata Santa da Giovanni Paolo II
Domenica 16 maggio 2004
ianna nacque a Magenta da genitori
profondamente cristiani il 4 ottobre
1922, festa di san Francesco d’Assisi, e fu battezzata con il nome di Giovanna
Francesca l’11 dello stesso mese.
Era la decima di tredici figli, cinque dei
quali morirono in giovane età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, missionario cappuccino in Brasile col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote nella diocesi di
Bergamo; Virginia, religiosa canossiana missionaria in India.
Il padre, Alberto, volle che tutti i figli si
laureassero e fu loro di esempio cristiano:
ogni giorno, prima di andare al lavoro, partecipava alla Messa. La madre, Maria De
Micheli, fu donna umile e al tempo stesso
energica: fu detto che correggeva i figli col
solo sguardo. Fu loro sempre vicina: imparò
il latino e il greco per seguirli meglio negli
studi.
G
Educata all’essenziale
e all’attenzione ai bisognosi
In quella famiglia, Gianna si educò all’essenziale, all’attenzione ai bisognosi ed
alle missioni, secondo la tipica spiritualità
francescana.
In questo clima spirituale, ricevette la prima Comunione a soli cinque anni e mezzo
(4 aprile 1928) a Bergamo, dove la famiglia
si era trasferita. Da quel giorno andò con la
mamma tutte le mattine a Messa: la Comunione divenne «il suo cibo indispensabile di ogni giorno».
Il 9 giugno 1930 ricevette la Cresima nel
Duomo di Bergamo. Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai
stare in ozio: amava le cose belle, la musi-
8
ca, la pittura, le gite in montagna. Nel 1937,
la famiglia si trasferì a Quinto al Mare, presso Genova, a causa delle condizioni di salute del papà. Qui Gianna cominciò a frequentare l’Azione Cattolica ed il ginnasio-liceo classico, con impegno e risultati
comuni a qualsiasi giovane.
Intanto andava maturando in pienezza il
suo cammino spirituale. Non si era limitata alla Comunione quotidiana: Gianna scelse la confessione settimanale dallo stesso
sacerdote (un principio di direzione spirituale) e frequentò regolarmente corsi di esercizi spirituali. Proprio durante uno di questi (16-18 marzo 1938), quando aveva sedici anni, fece l’esperienza decisiva della
sua vita. Nei suoi appunti scrive: «Voglio
temere il peccato mortale come se fosse
un serpente; mille volte morire piuttosto
che offendere il Signore».
Non le mancarono le prove: dovette interrompere gli studi per un anno a causa della salute (1938-39) e proprio nell’anno della maturità classica, perse la mamma (29
aprile 1942) e il papà (10 settembre). Gianna, che con fratelli e sorelle si era trasferita a Magenta, si iscrisse alla Facoltà di Medicina (prima a Milano e poi a Pavia), specializzandosi successivamente in pediatria.
La sua spiritualità, intanto, andava affinandola: quotidianamente ella partecipava
alla Messa; faceva la Visita al SS. Sacramento e la meditazione; recitava il Rosario.
Si impegnò sempre di più nell’apostolato: amava Dio e desiderava e voleva che
molti lo amassero. Così la vediamo partecipare alle Conferenze delle Dame di San
Vincenzo, alla Federazione Universitari Cattolici Italiani (Fuci), all’Azione Cattolica.
L’impressione che lasciava è riassunta da
una sua compagna di liceo: «Gianna donava il suo sorriso aperto, pieno di dolcezza e di calma, riflesso della gioia serena e profonda dell’anima in pace».
Pensò di andare
missionaria laica in Brasile
Gianna andava così preparandosi a rispondere alla sua vocazione, perché «dal
seguire bene la nostra vocazione dipende
la nostra felicità terrena ed eterna».
Per un certo tempo pensò che la sua strada fosse andare come missionaria laica in
Brasile, ma poi capì che la sua strada era il
matrimonio. Nel 1954 incontrò l’uomo della sua vita, l’ingegner Pietro Molla, dirigente industriale, appartenente egli pure all’Azione Cattolica e laico impegnato nella
sua parrocchia di Mesero.
Amore coniugale
vissuto alla luce della fede
Si preparò a celebrare il «Sacramento dell’Amore» con un triduo di preghiera, che
propose anche al futuro marito, al quale si
unì in matrimonio il 24 settembre 1955 nella chiesa parrocchiale di San Martino in Magenta. Il loro amore coniugale fu vissuto alla luce della fede: «Ti amo tanto, Pietro, –
gli scrive il 10 giugno 1955 – e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino
quando, durante la santa messa, all’offertorio, offro, con il mio, il tuo lavoro, le
tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante
tutta la giornata fino alla sera». E poi ancora, per farci conoscere lo stile dei loro rapporti: «Come dovrei essere per renderti
felice? - scrive ancora a Pietro -. Tu mi rispondi di continuare ad essere buona, affettuosa e comprensiva, come ora».
Il suo sogno era di avere tanti bambini e
in effetti nacquero: Pierluigi (19 novembre
1956), Maria Zita (Mariolina, 11 dicembre
1957), Laura Enrica Maria (Lauretta, 15 luglio 1959). Nel terzo mese della quarta gravidanza si presentò un fibroma all’utero. E
fu l’inizio del suo olocausto. Si fece operare, chiedendo esplicitamente che il tumore
fosse asportato senza compromettere la vita della creatura che aveva in grembo, pur
consapevole del rischio mortale, che le si
prospettava: «Non si preoccupi per me –
disse al chirurgo che doveva operarla e che
le presentava i pericoli cui si esponeva, continuando la gravidanza – basta che vada
bene il bambino».
Senza che le venisse meno il sorriso,
visse in preghiera e disponibilità gli ultimi
sei mesi, in attesa della nascita di Gianna
Emanuela, che avvenne il Sabato Santo, 21
aprile 1962, nell’Ospedale San Gerardo di
Monza.
«Scegliete, e lo esigo, il bimbo.
Salvate lui»
Alcuni giorni prima del parto «mi disse
esplicitamente – ricorda il marito –, con tono fermo e al tempo stesso sereno con uno
sguardo profondo che non dimenticherò
mai: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione; scegliete, e lo esigo, il bimbo. Salvate lui”.
Dopo una settimana di lancinanti dolori
per la peritonite settica, che era subentrata,
Gianna fu riportata per suo desiderio nella
sua casa di Ponte Nuovo qualche ora prima
di morire alle 8 di sabato 28 aprile 1962. Sino all’ultimo nella sua agonia ripeté: «Gesù, ti amo. Gesù ti amo».
Fu sepolta nel cimitero di Mesero, mentre rapidamente si diffondeva la fama di santità per la sua vita e per il gesto d’amore che
l’aveva coronata. Il processo diocesano per
la beatificazione si svolse a Milano
(1980-1986) e a Bergamo (1980-1984). Intanto nel 1977 a Grajaù, in Brasile, era avvenuto un miracolo per sua intercessione: la guarigione di una mamma alla sua
quarta gravidanza. Approvato il miracolo (1992) il Papa Giovanni Paolo II procedette alla beatificazione di Gianna il 24 aprile 1994 quale «madre di famiglia», che
aveva amato sino alla fine.
Durante l’anno santo del 2000, per sua
intercessione, si ebbe un altro miracolo
nella Diocesi di Franca (Sào Paulo, Brasile): una bimba, quarta figlia di una giovane coppia crebbe nel grembo materno,
nonostante l’irrecuperabile perdita del
liquido amniotico, nascendo perfettamente sana.
9
dalla lettera di Gianna
al fidanzato Pietro Molla,
4 settembre 1955
La vita
è un dono di Dio
«Q
o ancora qui davanti a me non
solo dei letti e delle corsie di
ospedali, dove persone malate
giacevano, ma persone con ogni aspetto di povertà, cultura e stile di vita.
Ognuno legato alla propria storia di
dolore e di sofferenza.
Alcuni di questi malati, oppressi dall'idea della malattia, vivendo l'eclisse della fede e soffocati dal rifiuto per la vita,
divenivano moribondi arrabbiati con Dio
fino a far la pazza proposta di eutanasia.
Tuttavia tra queste persone alcune sapevano corrispondere all'altra. Dal loro
letto di dolore sapevano con la sofferenza valorizzare e trarre prezioso beneficio
corporale e spirituale per se e per gli altri.
E la sfida dell'uomo con Dio, con il
creato e con l'altro, il quale abbandonandosi a Dio ha la capacità di realizzare, elevare il dolore e sciogliere nel suo
cuore l'inno di ringraziamento al Dio Creatore.
Ho ancora davanti a me il lungo treno
bianco pieno di malati in viaggio della
speranza correre veloce sulle rotaie della ferrovia, verso la meta desiderata
LOURDES luogo di solidarietà, di ritrovo
spirituale, mondo di pace e di gioia
profonda. Luogo della speranza cristiana!
Molte di queste persone malate di ogni
età e razza che ho avuto modo di incontrare e di assistere, ora non ci sono più,
se ne sono andate silenziosamente, ma
il loro ricordo rimarrà per sempre nel mio
cuore, e nessuno mai potrà portarlo vita.
L'Immacolata Maria, la samaritana delle anime, dal suo accoglieva e condivideva portando stretti con sè i disegni di
Dio, e ad ogni singolo al tramonto della
vita regalava il Cielo.
Con questi sentimenti di affetto tessuto pian piano, giorno per giorno accanto all'ammalato, con loro e per loro
anch'io dinnanzi alla Madonna Regina
dei Cuori, ho sofferto, ho pregato, ho
pianto.
Dina Poliseno - Roma
uando penso al nostro
grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero
che l’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini. E noi ci vorremo
sempre bene, come ora, Pietro.
Pietro, vorrei poterti dire tutto ciò
che sento e ho nel cuore, ma non sono capace, e tu che ormai bene conosci i miei sentimenti, sappimi leggere ugualmente.
Pietro carissimo, sono certa che mi
renderai sempre felice come lo sono ora e che il Signore esaudirà le
tue preghiere, perché chieste da un
cuore che Lo ha sempre amato e servito santamente...
Così con l’aiuto e la benedizione di
Dio faremo di tutto perché la nostra
nuova famiglia abbia ad essere un
piccolo cenacolo, ove Gesù regni
sopra tutti i nostri affetti, desideri
ed azioni. Pietro mio, mancano pochi giorni e mi sento tanto commossa ad accostarmi a ricevere il
Sacramento dell’Amore. Diventiamo collaboratori di Dio nella creazione, possiamo così dare a Lui dei
figli che Lo amino e Lo servano.
Pietro, sarò capace di essere la sposa e la mamma che tu hai sempre
desiderato? Lo voglio proprio, perché tu lo meriti e perché ti voglio
tanto bene.
10
H
La predica silenziosa
“È facile parlare davanti alle telecamere, ma sono i fatti che contano. Questa
sera sono stato io ad ascoltare una predica. Una predica senza parole, fatta di
attenzione, sollecitudine, disponibilità, verso chi soffre, e mentre leggevate le
motivazioni delle premiazioni, Qualcuno diceva: “L'avete fatto a me”. (Cfr Mt
25,40).
C
osì Padre Raniero Cantalamessa, la propria famiglia dalla quale, di fronte a
gradita presenza alla VII edizione una difficoltà, ad una malattia, non si è indel premio “Il Buon Samaritano”, differenti, non si fugge. Questo ci hanno tesalutava i premiati e non, presenti alla ma- stimoniato le due famiglie premiate: quannifestazione che si è svolta il 23 maggio do c'è amore e dedizione, non si lascia soscorso alle ore 16,30, presso il teatro della lo un familiare bisognoso di sostegno, di affetto, e la condivisione, il dialogo nascono
parrocchia 'La Natività” in via Gallia.
Già all'inizio della festa, il Vescovo per spontanei.
L'anno pastorale dedicato alla famila Pastorale Sanitaria, sua Ecc. Mons. Armando Brambilla, ideatore del premio, ave- glia, vuole farci riflettere proprio sul posto
va salutato i presenti dicendo: “Il premio che, nella vita, diamo alla cura di essa.
non viene dato ai superman ma a persone Quanto spazio dedichiamo all'ascolto reciproco. Come viviamo, con le persone della
normali che fanno il bene tutti i giorni”.
Ecco la carta di identità del “Buon Sa- nostra famiglia l'accoglienza, la tenerezza,
maritano”, sia esso operatore sanitario, cap- il perdono, la preghiera.
È quando si vivono questi valori che “si
pellano, suora, volontario, genitore, figlio,
vicino di casa, se ha il cuore attento e dona fa il bene tutti
la sua presenza con disinteresse e amore, i giorni” che
predica
sarà capace anche di avvicinare gli altri, so- “si
prattutto gli ammalati, con lo spirito pron- senza parlare”.
to a cogliere il loro senso di disagio, il bi- È allora che
sogno di attenzione, di un gesto di cortesia, fare il bene diventa uno stile
di gentilezza.
Per fare il bene non ci vogliono condi- di vita. “Sizioni particolari, non è necessario andare gnore quando
negli ospedali, negli ospizi, o nelle carceri, ti vedemmo afecc... Certo questi sono luoghi dove più for- famato... assete si sente la solitudine, lo sconforto, e
la persona che sa
ascoltare, essere solidale, donare il suo
tempo gratuitamente, che sa donare un
sorriso, una carezza,
è preziosa ed è accolta con riconoscenza e gratitudine.
Ma luogo privilegiaPartecipanti al premio “Il Buon Samaritano”
to può essere anche
11
tato... pellegrino... infermo... ?” (Cfr Mt
25,37-39). Queste persone hanno fatto il bene senza accorgersene, senza appartenere
ad alcuna associazione, o essere contraddistinte da particolari segni e simboli.
Numerosi i premi anche quest'anno: 37
di cui 6 alla memoria cioè a persone che non
sono più tra noi fisicamente, ma che hanno
lasciato l'impronta e il ricordo della loro esistenza generosa e disponibile.
Tra i premiati, mi piace citare il Dott. Antonio Negro di 96 anni, medico omeopata,
«... dedito al servizio e alla cura dell'ammalato con umiltà e serenità, continua ancora oggi la sua opera come strumento della divina misericordia per tante anime».
Quando si vuole, la semina silenziosa del
bene, dura tutta la vita anche se si è quasi
centenari.
La giornalista televisiva Matilde D'Erri-
Il coro polifonico Going Gospel
co, con abilità e garbo, ha presentato la manifestazione ed ogni premiato, leggendo le
motivazioni del premio, sulla scheda personale di ognuno.
Nelle due ore trascorse insieme, il coro
polifonico “Going Gospel”, diretto dal M°
Giacomo Dell'Orso, ci ha fatto dono di melodie e canti religiosi popolari afro-americani.
Emilio, prestigiatore simpatico, spiritoso, ha saputo attirare la nostra attenzione
con piccole magie e trucchi usando carte da
gioco e coinvolgendo anche il pubblico.
Alle 18,30 circa, dopo il saluto conclusivo del Vescovo, abbiamo chiuso la festa
gustando i ...“soliti” buoni dolci e il gelato
offerti da suore e volontari.
Elide Rosati
Alcune suore premiate
12
Volontaria ARVAS Ospedale Pertini
Verso l’anno dell’Eucaristia
Ciascuno di noi riceve Cristo
Cristo riceve ciascuno di noi
«L’incorporazione a Cristo, realizzata
attraverso il Battesimo, si rinnova e si
consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico,
soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione
sacramentale. Possiamo dire che non
soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma
che anche Cristo riceve ciascuno di noi.
Egli stringe la sua amicizia con noi».
(“Ecclesia de Eucharistia”, n. 22)
Visita di Sua Ecc.
Mons. A. Brambilla
alla Casa di Cura Pio XI
Il 9 maggio è stata una giornata di festa
e di preghiera per le suore,per il personale,per i ricoverati e per i familiari dei pazienti della clinica Pio XI.
Il Monsignor Brambilla,personalità di rilievo della Pastorale Sanitaria e uomo di
grande spessore ed umanità è venuto in visita per celebrare la messa insieme al nostro
cappellano,lo stimato Padre Augé.
Nell'omelia Sua Eccellenza ci ha invitato alla gioia e alla misericordia come insegnamenti della Santa Pasqua e che ognuno
di noi dovrebbe donare al prossimo.
Il Monsignore al termine della celebrazione,ha voluto visitare uno ad uno tutti i
Inabissati in un amore
senza limiti
«Nell’umile segno del pane e del vino,
transustanziati nel suo corpo e nel suo
sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci
rende per tutti testimoni di speranza.
Se di fronte a questo Mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore
illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti».
(“Ecclesia de Eucharistia”, n. 62)
Fondamento e anima
della comunione familiare
«In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa,
l’Eucaristia è sorgente di carità. E nel
dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e
l’anima della sua “comunione” e della
sua “missione”».
(Familiaris consortio, n.57)
S.E. Mons. Armando Brambilla con la Madre Generale Maria Martinez (Cardenal Caprio) in visita alla
Casa di Cura Pio XI
nostri pazienti ricoverati, recandosi nelle loro stanze per dare loro la benedizione e per
donare parole di conforto.
La mattinata si è conclusa con la partecipazione di Sua Eccellenza alla colazione
organizzata per l'occasione dalle religiose.
All'evento conviviale ha partecipato anche la nostra Madre Generale, Madre Maria Martinez, che, nonostante le difficoltà
derivanti dalla differenza di lingua ha affrontato con il Vescovo argomenti inerenti
la vita della Congregazione verso la quale
Sua Eccellenza ha dimostrato di nutrire un
profondo e vivido interesse.
Ringraziamo il Signore per averci dato
l'opportunità di passare questa lieta giornata vissuta in fraternità e con gioia.
Le Religiose
di San Giuseppe di Gerona
Casa di Cura Pio XI - Roma
13
e ne è andata lasciando un vasto rimpianto perché la sua è stata una presenza necessaria, preziosa, infatica-
Suor Terenzia
Brusola
Buon
Samaritano
Il 23 maggio 2004 la diocesi di Roma
nella persona di S. E. MONS. ARMANDO
BRAMBILLA VESCOVO AUSILIARE
PER LA PASTORALE SANITARIA ha
consegnato il premio di Buon Samaritano
alla memoria della indimenticabile e carissima Suor TERENZIA BRUSOLA Superiora della nostra Comunità delle Figlie di
S. Camillo di Torpignattara e dell'Ospedale Madre Giuseppina Vannini, alla nostra
Superiora Generale Madre Laura Biondo
presente alla cerimonia con la sua vicaria
generale Madre Serafina Dalla Porta.
SUOR TERENZIA è stata fulgido esempio di amore per il Signore.
Dei suoi 49 anni di vita religiosa, ben 41
li ha trascorsi a Roma dove ha svolto la sua
opera di vera figlia di S. Camillo, come strumentista in sala Operatoria; dal 1976 Superiora della Casa Madre di Torpignattara. Per
le sue sorelle aveva un cuore d'oro, provvedeva a tutte le loro necessità sia fisiche
che spirituali. Aveva una grande carità verso i cari malati. Il suo stile era la discrezione; metteva in pratica il consiglio di Gesù
"non sappia la tua destra ciò che fa la tua
sinistra". Nel 1979 il Signore le affidò il
compito della trasformazione della Casa di
Cura in Ospedale di Zona, un compito assai gravoso che accettò per il bene dei cari
malati sull'esempio di S. Camillo che dal
Crocifisso fu incoraggiato a continuare l'Opera che non era sua, ma di Gesù. Suor Terenzia si diede tutta anima e corpo sino alla fine. La sua morte fu l'eco della vita, provata duramente da una lunga malattia. Sostenne la dura lotta della morte con generosità e fiducia. Le sue ultime parole furono: Gesù vieni... confido in Te!
Suor Saveria Corsi
Figlia di S. Camillo
14
S
bile.
Era arrivata al Policlinico Gemelli nel
1981 come caposala, consolidando il già nutrito gruppo di suore di Maria Bambina che
avevano fin dagli inizi atteso alla formazione del personale e all'organizzazione dei
reparti che man mano andavano aprendosi.
Una comunità di suore che si è sempre
distinta per l'intensa vita spirituale, per lo
spirito di dedizione e per la professionalità
nel servizio infermieristico.
Una comunità però segnata dalla sofferenza di dover assistere alla fine inesorabile di quattro consorelle consumate dal male, ma santificate dal dolore.
Lei, suor Natalina ha vissuto questi ulti-
Suor
Natalina
una
memoria
in
benedizione
mi cinque anni portandosi dentro un male
incurabile, ma rivelando a tutti una inconfondibile serenità.
Le forze non le consentirono più di gestire come caposala il reparto di medicina,
per questo le venne affidato una straordinaria missione, sicuramente più idonea al
suo carisma, quella dell'animazione umana
e cristiana del Pronto Soccorso. Compito
che svolse con encomiabile dedizione, con
quella delicatezza materna che la faceva essere presente tra la folla dei pazienti, spesso in agitazione per le lunghe ore di attesa.
Il suo sguardo si posava soprattutto sulle persone sole, sugli anziani e su chi vive-
Gli ultimi mesi della malattia sono stati
va l'angoscia per un familiare, in special mosommersi da sofferenze inaudite, dalla stesdo quando si trattava di bambini.
Lei sola sa quante persone ha incorag- sa paura della morte, mentre le sue consogiato nel dramma della morte dei loro cari, relle le hanno riservato una continua assiquante mani di morenti ha stretto in quella stenza accompagnandola alla morte e racterapia intensiva dove il silenzio avvolge i cogliendone con grande sofferenza gli ultidegenti inchiodati al letto, sospesi tra la vi- mi respiri.
La sua camera era diventata un piccolo
ta e la morte.
Una presenza carica di pazienza, ma an- santuario, dove nella preghiera, nel pianto
che di supplica, perché i sanitari venissero e in una profonda fede si viveva insieme il
aiutati a individuare le urgenze, ma anche mistero della morte, consegnando definitiad essere compresi nel loro difficile com- vamente nelle mani di Dio una vita tutta
pito di attendere alle molte esigenze di co- consacrata a Lui.
Possiamo dire che nella sofferenza di suor
loro che arrivavano al Pronto Soccorso.
Sapeva tessere rapporti di stima e di fi- Natalina una luce è restata accesa nella sua
comunità, perché viducia con il personavo ne fosse il ricordo
le medico e infermieNel Magnificat è presente la ten- e più viva la speranza
ristico, partecipando
ai loro eventi lieti o
sione escatologica dell’Eucaristia. di nuove vocazioni
tristi con qualche seOgni volta che il Figlio di Dio si ri- per le suore di Maria
Bambina.
gno particolare, non
presenta a noi nella “povertà” dei
Quel volto triste e
ultima comunque una
parola sempre illumisegni sacramentali, pane e vino, è sofferente nel dramnante.
posto nel mondo il germe di que- ma della malattia,
aveva con la morte
Non si risparmiasta storia nuova in cui i potenti so- riacquistato la sua
va specialmente al
nuovo DEA, dove
no “rovesciati dai troni”, e sono “in- dolcezza e la sua semattina e pomeriggio
nalzati gli umili”. Maria canta quei renità, dono ancora
per quanti sono paspassava le sue ore fat“cieli nuovi” e quella “terra nuova” sati a pregare davanti
te di emozione, di trepidazione, di gratifiche nell’Eucaristia trovano la loro alla sua bara, esposta
cazione a conferma
anticipazione e in certo senso il lo- nella cappella del III
piano del Policlinico
della carità che espriro “disegno” programmatico.
Gemelli.
meva in ogni gesto.
(“Ecclesia de Eucharistia”, n. 58)
La veglia di preIn alcuni momenti
ghiera, con la presensi apriva alla confidenza manifestando lo stupore e la com- za della Madre Generale e delle provinciamozione per le testimonianze di coraggio, li, affidava al Signore la vita religiosa che
di fede che raccoglieva, ma anche per la sua con fedeltà suor Natalina aveva vissuto.
Il solenne funerale, presieduto da mons.
generosissima opera di carità capace di lasciare un segno anche nel cuore dei più lon- Sgreccia e da numerosi sacerdoti, con la presenza del Rettore dell'Università, il Prof.
tani.
Chi da lei non ha ricevuto del bene? Tut- Ornaghi, del Direttore di Sede, il dott. Cicti nei giorni della sua malattia ce ne hanno chetti, e di una numerosa folla, è stato una
parlato, ricordando ognuno un particolare, testimonianza dell'affetto che tutti nutrono
per le suore di Maria Bambina, che anche
una parola, un episodio.
Molti l'hanno definita al Pronto Soccor- in suor Natalina hanno rivelato la loro preso un angelo, evidenziando la sua parola ziosa e insostituibile missione di carità in
dolce e delicata, il sorriso, la pazienza nel- mezzo a noi.
l'ascoltare, ma anche la fermezza nell'interDecio Cipolloni
venire.
15
Notizie sugli anni
trascorsi in famiglia
S
r. Natalina Lazzaroni nacque a Sulzano (Brescia) il 10 giugno 1945, secondogenita di Abele Lazzaroni e di
Dorina.... Prima di lei era arrivato Piero, ma
ben presto la famiglia si ingrossava e arrivarono altri fratelli Giorgio, Giuseppe, Ermellina, Federica, Iole, Caterina. Erano anni difficili perché la guerra aveva lasciato
nel paese i suoi segni di povertà. La famiglia pur avendo una modesta casetta e un
appezzamento di terreno risentiva dei disagi e dei sacrifici del dopo guerra e la mamma spesso aiutava il marito nel lavoro duro
dei campi e così a Natalina era riservato il
compito di accudire i fratelli.
Dal suoi racconti, coloriti sempre da
aneddoti simpatici e piacevoli, emergeva la
compattezza familiare, i sani principi morali, la grande fede e l'abbandono fiduciosa
alla Divina Provvidenza. In questo clima sereno, ma anche bisognoso di aiuto economico Natalina venne stimolata in giovane
età a procurarsi un lavoro per contribuire al
sostentamento della famiglia. La scelta fu
volta verso l'ambiente ospedaliero dove anche da religiosa concluderà la sua vita.
Natalina aveva ricevuto come doni di natura una intelligenza pronta, era intuitiva,
socievole con molta inventiva, capace di
grandi atti di generosità, infaticabile nel lavoro, precisa, determinata.
In famiglia ricevette un'educazione semplice, dai principi morali solidi che poi lei
nel tempo seppe affinare e sviluppare in modo notevole.
In contatto con la sofferenza e vicino alle suore di Maria Bambina sentì forte la
chiamata verso una vita donata a Dio per i
fratelli e il desiderio di vestire l'abito religioso. Tale desiderio si consolidò nell'anno
1969 mentre prestava servizio presso l'ospedale S. Anna di Como.
Il rapporto con la famiglia restò sempre
vivo e affettuoso; fu per loro di grande sostegno nelle necessità morali e materiali condividendo gioie, fatiche e lutti.
16
Il rovescio del ricamo
in da piccola ho sentito parlare i miei
genitori dei fini di Dio che sono imperscrutabili.
Man mano che gli anni passavano mi rendevo conto sempre di più che i nostri disegni non sempre si identificano con i disegni
di Dio.
Un giorno mi hanno raccontato quanto
diceva Padre Pio a questo proposito.
Una mamma sedeva su una sedia e ricamava tenendo in mano un telaio, mentre la
sua bambina su una sediola più piccola vedeva la parte del rovescio, perciò in tutto le
sembrava molto brutto.
La mamma girò il lavoro, che apparve
agli occhi della bimba, in tutta la sua bellezza. Sarà così un giorno, quando andremo all'altro mondo Dio ci farà vedere e capire il senso della nostra vita dal
Suo punto di vista.
Ciò premesso, vorrei raccontare quanto
è successo alla mia mamma: ha vissuto una
vita accettando tutte le prove che Dio ha voluto mandarle. Ad ottantotto anni, per una
banale caduta, si è rotta il femore. Ha dovuto subire un intervento, fatto per motivi
epatici, senza anestesia totale, immaginiamo quelle tre ore in camera operatoria addormentata solo nel midollo spinale. Per
grazia di Dio, la ripresa è veramente sorprendente, data l'età e i malanni. L'unico
cruccio per lei: essere in clinica di riabilitazione proprio il giorno del quindicesimo
anniversario della morte di papà e non potersi recare nemmeno in chiesa per offrire
una Messa di Requiem.
Ecco, secondo il mio modesto parere, l'intervento del cielo. Le suore della Clinica
Mater Misericordiae, festeggiano il 50' della fondazione dell'istituto che opera tanto
bene.
Il Vescovo, che doveva presenziare la
celebrazione Eucaristica, ha dato la sua disponibilità, per il giorno dieci. Su nostra
richiesta è stato possibile applicare l'intenzione per il mio papà e mamma nell'istituto stesso, ha potuto assistere alla S. Messa.
Una volta ancora, devo essere certa che
mettersi ai piedi della Croce è l'unica norma di vita e Dio protegge chi confida in Lui.
F
La figlia della paziente
Della Porta Gilda
Ricoverata nella Clinica Mater Misericordiae
Per la morte di Ida Petriconi
Volontaria Vincenziana
difficile dare l’addio ad una persona con la quale,
sino a poche ore prima, eri insieme, ha condiviso
momenti di gioia, di spiritualità; ci hai salutato dicendoci “ciao” e dopo due giorni la triste notizia. Ti prende un nodo alla gola che sembra soffocarti e tante domande vagano nel vuoto senza risposta.
La morte di Ida Petriconi, nostra volontaria nell’opera S.
Vincenzo de’ Paoli, ci lascia sgomenti. Uno sgomento reso ancora più cauto e doloroso per aver conosciuto la
sua sensibilità, la sua disponibilità, pronta a rispondere
ai bisogni di quelle persone ferite nella vita che tante volte, nel silenzio, invocano aiuto.
Grazie, Ida, per l’impegno e per aver voluto condividere
con noi progetti, gioie e preoccupazioni.
Ti vogliamo dire “grazie” per la tua presenza materna e
affettuosa nell’opera Vincenziana: sei stata una volontaria speciale. Grazie, Ida, ci rivedremo nel regno di Dio.
Sarai sempre presente nei nostri pensieri e nelle nostre
preghiere.
In questo momento così difficile, tutta l’associazione Vincenziana si stringe intorno a Claudio, ad Alessandro, a
Rita e a tutti i parenti ed amici, per esprimere una commozione sincera e la partecipazione al vostro dolore.
Le tue sorelle nel volontariato
È
Da una lettera
di Suor Maria Benedetta Tenore,
carmelitana di clausura
Ostuni (Brindisi)
C
arissimo Padre Assistente Sanitario
Ospedaliero, come stai? Come va la tua
missione tra i malati, i medici e infermieri? Nel giorni scorsi abbiamo avuto in Ospedale una consorella (Sr. Teresa) e, facendo il mio
turno di assistenza, mi sono resa conto di quanto bisogno c'è di conforto e carità tra i malati, e
di buon esempio agli infermieri e ai medici.
Si nota subito chi svolge questo lavoro non
solo per lo stipendio, ma ce la mette tutta per aiutare chi soffre, come si nota (anche prima) chi
opera con superficialità e male, e si accosta ai
malati come ad oggetti, e senza rispetto per la
dignità della persona.
Quante volte i "pazienti" sono chiamati ad es-
Omaggio
ai volontari
Ogni tanto senti
parlar dei volontari
ma è quando esperimenti
l’amore che ti danno
che apprezzi veramente
tutto quello che fanno.
Infatti se per caso
sei inchiodato a un letto
è proprio un gran sollievo
avere un po’ d’affetto.
Viene da quegli angeli
e i loro bei sorrisi,
sembra che ti dicano:
“siamo tuoi amici!”.
T’infondono coraggio
un po’ come fa il sole,
all’improvviso eccoli
son raggi d’amore;
non sanno chi tu sia
però ti voglion bene
come forse nessuno
ancora ha fatto mai!
Oreste Confalone
serlo il doppio prima per la malattia e i disagi
che comporta, e poi nel subire offese e atti di maleducazione.
Scusami se mi sono soffermata su questi pensieri un po' di più ... è che in Ospedale, incontrando il Cappellano che veniva a portare la Comunione a Suor Teresa, mi sono ricordata di te
e del tuo prezioso Apostolato.
Mi sono resa conto di quanto è difficile e delicato avvicinarsi a una persona che soffre, e spesso stanno male non solo fisicamente ...
E di Gesù Eucarestia che passava fra i reparti e i letti come un "clandestino", ... chi se ne accorgeva?
Nessun raccoglimento, nessuna preghiera,
nessuna parola per prepararsi e accogliere la Sua
Presenza.
Come fosse un pezzo di pane qualunque ad
essere distribuito, non la Persona Viva di Gesù.
Era ancora più "nascosto" tanto quanto è in
chi è toccato dalla sofferenza.
17
È
un capolavoro della bontà divina. Una ta e soprattutto semplice. Vogliono con tutavventura per la fede, la pazienza e ta la loro anima capire e ti seguono finché
la pastorale del cappellano.
ti capiscono.
L'entrata in Chiesa dei miei fedeli si svolLe risposte: Rocco, testa di ferro, si è guage in pace e buon ordine. Arrivano alla spic- dagnato questo titolo sul campo. Il suo craciolata e quindi le occasioni di attrito sono nio, in primis, ha superato l'urto del verripraticamente nulle. Cesare ha l'esclusiva cello di una gru in un cantiere edile. In sedella distribuzione del libro dei canti e del- cundis, ha sfondato il vetro anteriore della
lo stampato con i testi della Santa Messa, sua auto in uno scontro frontale. Eppure il
corpo 20, venti.
cervello funziona ancora benissimo, anche
Le letture sono lette dai partecipanti. Ci se la lingua rivela un marcato accento abruzsono delle belle voci. Trovo lettrici e letto- zese. Quando prega, sembra un motore a
ri per la prima lettura, il salmo responso- scoppio ritardato. C'è l'innesco della moriale, la seconda lettura e la preghiera dei glie, di cranio integro da traumi e di cervello
fedeli.
invidiabilmente operante, e il marito segue
La notte di Pasqua abbiamo celebrato co- a tuono, ricominciando tutto daccapo.
me Dio comanda. Le letture sono numeroSi ottiene così l'effetto speciale sonoro
se ed allora divisi i vari brani della Scrittu- "a scoppio ritardato". Meglio lasciare perra in paragrafi. Su mia indicazione ognuno dere e rispondere con un sorriso. Grazie a
leggeva la sua parte. Giuseppe si sentiva in Dio mi viene sempre spontaneo. Così ci sopiena forma. Attaccò con il primo pezzo del no brevi momenti felici per più persone.
passaggio del Mar Rosso, si entuLa Comunione: Arrivano tutti
siasmò e tirò dritto fino alla fiansiosi di ricevere il Corpo di
La Messa
ne. Ebbe fiato anche per il salGesù. Ti arrivano lenti e inemo responsoriale. Dovetti Domenicale in sorabili come i veterani di
bloccarlo, se no raggiungeva
Cesare. Se cerchi di mettere
una casa di un
la Terra Santa prima dei tempo' di ordine rischi di veriposo
pi stabiliti dalla divina Provvinir travolto dalla falange delle
denza.
carrozzelle oppure, in seconda
Per i Canti: San Pietro ha la cappella si- istanza, sei investito da robusti brontolastina e noi abbiamo la cappella si-stona. menti o da scandalizzate di ostacolare la deL'importante è il coraggio e tirare dritti fi- vozione del popolo di Dio.
no alla fine. Nonostante le varie tonalità siaSi schierano all'antica, lungo tutta la limo sempre riusciti a portare a termine i va- nea frontale del presbiterio. Si procede alla
ri brani musicali. La situazione si fa seria distribuzione delle sante Specie. Nelle ali
quando qualcuno o qualcuna riesce a tirare estreme dello schieramento non ci sono profuori tono anche chi sta guidando l'assem- blemi: mi trovo davanti una sola fila. Il problea: allora si deve dare fiato ai mantici e blema è il centro. Ci sono tre o quattro file
riportarla a stonature tollerabili.
più o meno disordinate.
Si deve assolutamente cantare. È la forIncomincio il rito dalle ultime file. Perma più semplice e più amata di lodare il Si- ché gli ultimi saranno i primi e perché se
gnore. Qui bene cantat, bis orat. Sant'Ago- comincio dalla prima fila provoco un instino? O San Pio X? Sono i canti della non- gorgo di traffico da far concorrenza al racna e ... del nonno. Da una vita sono abitua- cordo anulare nelle ore di punta. Il modus
ti a rivolgersi al Signore così e se rispettia- procedendi, a mio parere, è ineccepibile, ma
mo la loro ... cultura, diamo loro un po' di provoca un brusio di disapprovazione, sbufgioia di vivere. L'anziano desidera ardente- fi e rimbrotti perché “noi siamo arrivati primente essere aiutato a gustare la vita fino ma". Un principio fondamentale mi sostiealla fine. Così la morte sarà veramente un ne: a tutti è concesso lo ius brontolandi. È
passaggio a vita migliore.
di istituzione divina. Borbottate pure, ma
L’omelia è gradita se breve, corta, svel- qui comanda il prete.
18
Se per caso ritardo un millesimo di secondo a dare la comunione a Carolina, il relativo vocione mi intima: "Padre, ci sono
anch'io". E una piccola rivincita a cui ha diritto. Era una calamità pubblica durante la
messa. Un giorno la misi decisamente alla
porta e ... si calmò. Quando mi arriva per la
santa messa incrocia gli indici sulle labbra:
è una chiara promessa di rispettare l'ordine
liturgico. Quando le aggiungo una carezza,
dice alla accompagnatrice: "Vedi come mi
vuole bene". Vorrebbe anche le letture a caratteri cubitali. Ho provato a stamparle il
Vangelo a corpo 72 (settantadue). È ancora
troppo piccolo.
La pace si raggiunge quando riesco ad
intonare Ostia Divina oppure Inni e Canti.
"Qui giochiamo in casa", mi fanno capire
con gratitudine. E i miei simpaticoni riescono a tirar fuori anche l'ultimo refolo di
fiato e si sentono ringiovanire di un paio
d'anni.
Seguono le preghiere finali, la benedizione e il saluto di commiato. Il canto finale si tralascia, perché il popolo di Dio si rimette subito in marcia, lento e deciso, verso nuovi traguardi. Alla fine qualcuno mi
dice: "Una messa così dà proprio soddisfazione".
Don Jean Giovanni
Casa di riposo: sagrestia
Dunque, Cesare ha l’esclusiva della distribuzione del libro dei canti e dello stampato con i
testi della Santa Messa, corpo 20, venti.
Il libro dei canti si merita una presentazione. Qualcuno li ha definiti i canti della nonna.
Si parte “nel viaggio e fra i dolori” di “Andrò a vederla un dì”. Si passa “fra i tanti perigli del
mortale sentiero, con la stella che guida il nocchiero” di “Vergin Santa, accogli benigna”.
Purtroppo “Solchiamo un mare infido di un mondo traditore”.
Grazie a Dio c’è “È l’ora che pia la squilla fedel le note ci invia dell’ave fedel”. Quando Rocco,
testa di ferro, attacca questa canzone fa tremare i pilastri della Chiesa e massacra le orecchie
di tutti, Madonna e Santi compresi, perché azzecca una nota su tre, quando va bene.
“Dell’aurora tu sorgi più bella” è una romanza impegnativa, ma nessuna si tira indietro. Chissà
perché cantano sempre “piui bella”. Vaglielo a spiegare! “Mira il tuo popolo” e “Mentre trascorre
la vita” sono pezzi fondamentali per le nostre celebrazioni.
Onoriamo Nostro Signore con il glorioso “Inni e canti sciogliamo fedeli”, “T’adoriam, Ostia
Divina”, “A te, Signor, leviamo i cuori”.
Tra i canti moderni, i più orecchiabili riscuotono il maggior successo. “Le tue mani son piene
di fiori”, “Canto per Cristo che mi libererà”, “Vieni. Vieni, Spirito d’Amore”.
Nelle case di riposo e negli ospedali dove ho avuto l’onore di svolgere la mia attività apostolica
ho sempre composto un libretto di canti adattati all’ambiente. Credo di esserci riuscito perché
i volumetti finivano sempre per diminuire. Certuni avevano la bontà di avvisare
dell’appropriazione indebita, altri invece se li portavano a casa, presupponendo il permesso
dell’autorità competente.
E torniamo alla sagrestia. Elisabetta lavora alla retroguardia. Alla fine della Messa ritira e lava
le ampolline. Spegne le candele e le lampadine dell’altare. La sua fede ne risulterebbe fortemente
debilitata, se qualcuno ignorasse la sua specializzazione. Un giovane sacerdote commentò
benevolmente ammirato: “Si tratta di un dogma di fede sconosciuto alla grande Chiesa”.
La teologia di Carolina ha principi chiari: “La benedizione passa sette pareti”. “Preghiera nel
letto, arriva fino al tetto”. “La benedizione di sette, dicesi sette, preti ottiene qualsiasi grazia
da Dio Padre”. Nel mare magno della teologia medioevale si troverà sicuramente qualche
appiglio di appoggio.
Antonio invece ha una preghiera speciale quando le gambe fanno giacomo-giacomo: “O Gesù,
tirami su”. E Gesù, per ora, lo sta puntualmente ascoltando.
Quando confesso, scopro una ricca varietà di “Atti di dolore”. Qualcuno, già sù con gli anni,
usa ancora il testo di San Pio X. La frase caratteristica sarebbe: “cagione della passione e
morte del vostro divin figliolo”. E così Giuseppina mi chiese se Gesù fosse stato per caso di
salute cagionevole. Suggeritemi una risposta, per favore.
19
Il Dalai
Lama al “Santa Lucia”
ome brezza di un vento veloce e leggero, tra le ore 15 e le 16 di venerdì
4 giugno, all’Ospedale S. Lucia sulla via Ardeatina, c’è stata la visita del Dalai Lama Tenzin Gyatso, monaco tibetano e
guida spirituale dei buddhisti di tutto il mondo. Era di passaggio a Roma, diretto ad un
meeting interreligioso di tre giorni presso il
centro “Mariapoli” di Castelgandolfo. La
Sua è stata come un’apparizione, senza formalità ufficiali, accompagnato in amicizia
dal direttore generale del S.Lucia il dottor
Luigi Amadio e dalla sorella Adriana, a cui
si e unito il Presidente della Regione Francesco Storace.
“Sua Santità” (titolo che nel 1973 gli è stato riconosciuto anche dal Papa Paolo VI)
con molta semplicità ha fatto la prima sosta sotto il porticato dell’ospedale e nel campo, dove alcuni pazienti si stavano esercitando nella “terapia” del tiro con l’arco. È
salito poi al secondo piano – il reparto che
accoglie in particolare i post-comatosi – fermandosi a conversare con i degenti e con il
primario la dott.ssa Rita Forinisano. È sceso quindi nella grande palestra sportiva ad
incontrare la “valorosa” squadra di basket
“Santa Lucia“ vincitrice di numerose com-
C
20
petizioni anche a livello internazionale.
Mentre stava per concludere il suo rapido
giro – accompagnato dal cappellano don
Carmelo -, ha salutato e abbracciato fraternamente il Cardinale Fiorenzo Angelini, che
arrivava per il periodico incontro del Comitato Etico della Fondazione S. Lucia.
In questa visita, anche per la rapidità e improvvisazione, non c’è stato alcun momento rituale di preghiera. Ma il Dalai Lama è
passato tra noi respirando e facendo respirare la pace, l’equilibrio, la compassione:
posando la mano sul capo, guardando negli
occhi, incoraggiando. È uno stile che tutti
possiamo imparare – come lui – nel raccoglimento che genera la pace interiore per affrontare la realtà: “cambiando ciò che è possibile cambiare e accogliendo ciò che non
ci è dato di cambiare”. Egli ci ha testimoniato con naturalezza il “realismo” spirituale e umano, che sta al centro dell’esperienza buddhista. Punto di incontro in
profondità fra tutte le persone, credenti e
non credenti di buona volontà. Importante
premessa per un autentico cammino di fede verso il Dio che è Amore.
Don Carmelo Nigro
Cappellano del S. Lucia
Buddhismo
Q
uello che il mondo occidentale conosce come Buddhismo è un insieme di insegnamenti religiosi attribuiti ad una persona, Siddharta Gautama,
che visse nel Nordest dell’India nel quinto
secolo d.C. Dopo un cammino spirituale, all’età di 30 anni, divenne noto con il titolo
onorifico di Buddha (L’Illuminato). Il
Buddha non invoca influenze divine nei suoi
insegnamenti che sono basati essenzialmente sulla “natura delle cose”. Per questa
ragione, i suoi insegnamenti (Dharma) sono espressione di leggi immutabili di ordine naturale e morale. La realizzazione personale nel Buddhismo, quindi consiste nel
vivere in accordo agli insegnamenti del
Dharma, seguendo i quali si può pervenire
alla particolare forma di spiritualità sperimentata dal Buddha stesso. Gli
insegnamenti sono esposti
nei quattro principi di base conosciuti come le
“Quattro Nobili Verità”,
che affermano che la vita
che l’uomo conosce è imperfetta e insoddisfacente; che le cause di questa
insoddisfazione sono la brama e l’ignoranza; che esiste
uno stato di perfezione spirituale libero
da tutte le insufficienze (Nirvana) e che
la via di perfezione è il vivere rettamente, coltivando la formazione spirituale, la
meditazione e la consapevolezza della vera natura della condizione umana.
Il dolore (dukkha) è la base dell’intera
speculazione religioso-filosofica del
Buddhismo.
Secondo la tradizione canonica, nel
primo sermone Buddha spiega la sofferenza come la prima delle Quattro Nobili Verità: la nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza. Ma ancora,
la presenza di elementi avversi è sofferenza; la separazione dalle cose amate è
sofferenza; non ottenere quello che si desidera è sofferenza. Sono così sette le forme del dolore, quattro di tipo fisico e tre
di tipo psicologico e le troviamo nell’intero arco della letteratura canonica del-
la tradizione buddhista. Talvolta troviamo anche ulteriori espressioni per
indicare il dolore, come pena, lamentazione, deiezione e disperazione.
Incontestabilmente, una radicale comprensione della natura dell’esistenza costituisce l’approccio buddhista al significato
della sofferenza. La visione buddhista della salute e della malattia ha basi ambivalenti. In accordo alla dottrina del Karma,
l’esistenza di una persona è il risultato delle sue azioni nelle vite precedenti, ma esiste anche la possibilità di migliorare il proprio futuro stato mentale e fisico, in una vita successiva, attraverso un corretto atteggiamento mentale e attraverso una accurata attenzione ad una alimentazione semplice, ad una corretta digestione, ad uno stile
di vita regolato. Nel complesso, i fedeli si
mossero proprio su questi principi base non
connessi con elementi dottrinali.
1 fedeli si rallegravano quando godevano buona salute,
come insegna il Dhammapada (Il patto della virtù):
«Noi viviamo veramente
felici, liberi dalle indisposizioni tra le sofferenze. Tra
gli uomini che sono sofferenti lasciateci vivere liberi
dalle sofferenze!».
La parola sofferenza (dukkha) include il
dolore fisico, ma denota più radicalmente
la profonda insoddisfazione di un modo di
essere nel quale sono presenti la nascita e
la morte. Questa insoddisfazione deriva proprio dal fatto che l’esistenza umana è costantemente esposta alla possibilità del dolore. In particolare, sulla base della dottrina del Karma e della rinascita in vite
successive, è proprio lo sconforto che nasce dalla inevitabilità del rinascere e del rimorire con le conseguenti sofferenze, comprese il dolore e la malattia. Nessuno è immune dalla malattia. Anche il Buddha ebbe
bisogno di cure mediche durante la sua vita. Il Buddhismo pone attenzione alle problematiche dell’esistenza umana non tanto
per un patologico interesse per la sofferenza, quanto per incoraggiare un approccio
realistico alla condizione umana. È solo da
questa realistica consapevolezza che può
cominciare la ricerca di un rimedio. La buo-
La malattia
nelle
religioni
21
na salute e la libertà dal dolore sono aspetti del benessere umano altamente valutati
dal Buddhismo. Quest’ultimo, in ultima analisi, vuole costituire “1a cura” per le afflizioni umane, una cura che non può essere
solo condotta dalla medicina.
Anche la malattia, però, ha un valore salvifico dal punto di vista spirituale. Nella
prospettiva buddhista anche la malattia aiuta alla comprensione della precarietà che
contraddistingue la vita umana, ove ogni
realtà è in un costante stato di cambiamento, di dissolvimento, di sparizione. Comprendere questo significa comprendere la
verità del non io o del non sé: nessuna
permanente entità ontologica esiste in quei
fenomeni corporei e mentali dell’esistenza
che sono pertanto fraintesi come sé o come
persona.
Occorre tuttavia puntualizzare che il
Buddhismo poi, calandosi nella cultura asiatica, subì l’influenza dei culti locali, in particolare di tradizioni e riti di carattere magico. La malattia, allora, poteva anche essere causata da agenti esterni alla persona,
agenti soprannaturali come demoni o dei.
Ancora, almeno per quanto riguarda la
comunità in India e nel nord est asiatico, il
Buddhismo arrivò a concepire la malattia
come un malfunzionamento di elementi costitutivi del corpo umano. Un corpo umano
visto come un microcosmo regolato da leggi naturali, così come l’universo è regolato
da leggi di causa ed effetto. La malattia diventò così il risultato dell’iperattività o dello sconvolgimento di uno o più dei tre umori basici dell’organismo umano: Vata o Vayu
(gas intestinale), Pitta (bile), Steshma o
Kapha (muco).
Occorre notare, in conclusione, che il
Buddha stesso ebbe interesse per la medicina e, in senso più generale, per l’assistenza
sanitaria. Si racconta infatti che trovato un
monaco affetto da dissenteria giacente negli escrementi, insieme con il fedele discepolo Ananda ne lavò il corpo poi, successivamente, ai monaci riuniti spiegò: «Monaci, Voi non avete una madre, voi non avete
un padre che possono occuparsi di voi. Se
voi, monaci, non vi soccorrete sollecitamente l’un con l’altro, chi si occuperà di
voi? Chiunque vuole seguire me, dovrebbe
soccorrere il malato».
22
Induismo
el pensiero indiano, le sofferenze
umane non possono essere il frutto
di un cieco destino; quest’idea non è
infatti coerente con quella di una suprema
coscienza divina, di una entità onnipotente
e onnisciente che è puro essere, coscienza
illimitata e felicità infinita (Saccidananda).
Neppure l’idea di una Provvidenza divina
può essere condivisa dall’Induismo, poiché
non può spiegare come una tale Provvidenza possa costringere gli uomini a vivere una
tormentata esistenza umana.
L’Induismo risolve pertanto l’enigma affermando che il dolore è responsabilità di
ciascuno, una responsabilità che è maturata, se non in questa vita, in una vita
precedente. È la sequenza avidya-karma
samsara, dalla quale deriva un insopprimibile desiderio di liberazione, che in
sanscrito prende il nome di mumukshutva.
In questa sequenza fondamentale la parola avidya significa essenzialmente “confusione”: di ciò che è permanente ed eterno con ciò che permanente ed eterno non è;
di ciò che è puro con ciò che puro non è, di
ciò che è gioia (sukha) con ciò che è angoscia (duhkka). Nascono così le varie soterologie indiane, che mirano a esorcizzare
questa falsa identificazione, e vengono formulate le dottrine del karma e del samsara
per spiegare l’origine del dolore dalle azioni dell’uomo. Il dolore è, insomma, “retribuzione”; è la conseguenza diretta dì
azioni precedentemente compiute (karma), la cui potenzialità perdura, nelle
innumerevoli esistenze fisiche nelle quali è destinata a trasmigrare l’anima che
non ha raggiunto “1a liberazione” da
queste reincarnazioni. Non si vive infatti
una sola volta, ma un numero indefinito dì
volte, finché per i propri meriti e per una serie di favorevoli circostanze non si giunga
a conquistare la liberazione: essa, però, è un
privilegio di pochi,anzi, di pochissimi, perché la grande maggioranza delle anime continuerà a vagare nel Samsara, cioè seguiterà
a reincarnarsi. La liberazione, poi, non è
conquista di un paradiso pieno di delizie,
«ma condizione indefinibile, come una pagina bianca sulla quale solo chi l’abbia sperimentata potrebbe scrivere qualche parola»,
N
ed è ottenibile solo con una strenua pratica
spirituale. In questo quadro esistenziale, vediamo ora come si colloca la malattia.
Alcune malattie hanno cause evidenti
ed è meglio, perciò, classificarle fra le punizioni che tra le sofferenze. Ne consegue
una diversità di effetti. La punizione, come
è il caso della malattia con cause evidenti,
non ha alcun valore salvifico.
La sofferenza invece innalza subitamente la coscienza umana verso un misterioso fine superiore. Il castigo appartiene generalmente alla dimensione umana,
mentre la sofferenza eleva ai piani della
compassione e della grazia: è il mezzo più
sicuro attraverso cui l’uomo arriva ad un
più intimo contatto con Dio.
Se, quindi, ci si chiede perché un uomo
giusto patisca sofferenza e miserie e debba
affrontare dei problemi di salute durante la
vita, la risposta dell’induismo è che,egli stesso è stato agente del suo male nella sua vita
attuale o nelle sue vite precedenti. Sì nasce
ciechi, ad esempio, poiché si è peccato con
gli occhi, in vita o in una vita precedente.
Anche nell’induismo però coesistono al-
tre concezioni sulle cause della sofferenza
umana quali gli dei, il mondo materiale, l’egoismo, ecc.
Quale sofferenza allora può avere valore salvifico in questa concezione negativa
del dolore umano? La sofferenza autoimposta, la libera assunzione di rinunce, la pratica dì un ascetismo rigoroso possono essere espressioni di amore verso Dio e costituiscono quindi mezzi per la salvezza,
cioè mezzi per “liberarsi” da un ciclo di vite e di morti.
Questo sviluppo di pensiero è tuttavia
successivo alle originarie concezioni dell’età dei Veda (i testi originari della rivelazione Indù) che vedeva nei riti la garanzia
di prosperità e di felicità: riti purificatori ed
espiatori, in particolare, provvedevano a bruciare quei “peccati” ai quali si connetteva
strettamente il dolore e l’infelicità (il sanscrito enas, significa insieme “peccato” e
“infelicità). Questo valeva anche per le malattie. Con il tempo però riti interiori e simbolici presero il sopravvento sui riti esteriori.
M. Petrini
A conclusione dell’anno sociale
Per la chiusura dell’anno sociale 2003/04, noi volontari dell’Opera Ospedaliera S. Vincenzo
de’ Paoli, il giorno 15 giugno eravamo presenti numerosi, guidati dalla neo presidente Lucia
Di Chio e dal Sacerdote Camilliano Padre Mario Agasantis, che, con amore paterno, ci
hanno guidati in pellegrinaggio a Bucchianico (Chieti), paese natio di S. Camillo.
Il viaggio è stato comodo e rilassante ed abbiamo potuto osservare i prati lussureggianti
e le brune montagne dell’Appennino abruzzese fra le quali si trova il piccolo e ridente Paese.
Santuario del nostro S. Camillo, portatore del messaggio del Figlio di Dio e dell’amore verso
i fratelli sofferenti. All’interno della Chiesa ci sono delle stupende vetrate con, al centro, la
grande immagine del Santo. L’attenzione dei visitatore è colpita , in modo particolare, dalla
statua lignea del Santo. L’espressione del viso di S. Camillo ci cattura al punto di avere
l’impressione di essere seguiti dal suo sguardo ovunque si vada.
Il Rettore del Santuario, un cordiale e simpatico sacerdote polacco, ci ha illustrato, in un
perfetto italiano, oltre alla bellissima chiesa anche la Cripta con il Simulacro del Santo.
Sempre nella Cripta abbiamo sostato davanti alla tomba del servo di Dio Nicola D’Onofrio,
morto a soli 21 anni.
Nel pomeriggio, dopo aver degustato uno squisito pranzo, siamo partiti per Manoppello
(Chieti) alla Chiesa del Volto Santo, tenuta dai Frati Francescani. È stata,questa,
un’esperienza indescrivibile che amerei ripetere.
Il frate che ci ha illustrato la lunga storia del ritrovamento del Sacro Lino, ci ha ricordato
che Gesù è con noi, presente tutti i giorni in “Carne e Sangue” nel SS. Tabernacolo ma
anche in ogni fratello malato. Grazie, Signore, della gioia che ci hai dato in questo giorno
vissuto nel Tuo amore con i nostri fratelli e sorelle dell’Opera Ospedaliera S. Vincenzo de’
Paoli.
Letizia Orlanto
23
n esempio fulgido e recentissimo di
che cosa significa essere medici ed
essere cristiani. L’abbiamo nella vita di S. Giuseppe Moscati il medico santo,
è un compendio vivente di etica cristiana
vissuta nella professione. Tutto il suo agire
è la testimonianza di una risposta ad una
chiamata ritenuta speciale.
Giuseppe Moscati, medico, primario
ospedaliero, insigne ricercatore, docente universitario di fisiologia umana e di chimica
fisiologica, visse i suoi molteplici compiti
con tutto l'impegno e la serietà che l'esercizio della docenza richiedeva. Da questo punto di vista Moscati costituisce un esempio
da ammirare e da imitare, non solo per gli
operatori sanitari, ma anche per tutti coloro che direttamente o indirettamente sono
impegnati nell'assistenza degli infermi, e
per tutti gli scienziati in generale. Egli si pone come
esempio anche per coloro che non condividono la nostra fede cristiana.
Tuttavia fu proprio
questa fede a conferire
al suo impegno dimensioni e qualità nuove, quelle di uno scienziato laico ed autenticamente cristiano. Grazie ad esse gli aspetti professionali, nella sua vita, si sono integrati
armoniosamente fra loro, e si sostenevano
l'un l'altro, per essere vissuti come risposta
ad una vocazione e quindi come collaborazione al piano creatore e redentivo di Dio.
Per indole e per vocazione Moscati era
innanzitutto un medico che curava: il rispondere alle necessità degli uomini ed alle loro sofferenze fu per lui un bisogno imperioso ed imprescindibile. Il dolore di che
era malato, giungeva a lui come il grido del
fratello per il quale, un altro fratello, il medico, doveva accorrere con sollecitudine ed
amore. Il movente della sua attività non fu
dunque solo il dovere professionale, ma la
consapevolezza di essere stato posto da Dio
nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare con amore, il sollievo che
la scienza medica poteva offrire a lenimento del dolore e riconquista della salute fisica.
U
Memore delle parole del Signore: "Ero
malato e mi avete visitato" (Mt 25,36), Moscati vedeva Cristo stesso nel malato, che
nella sua condizione di malattia, si rivolgeva a lui invocando attenzione ed aiuto. Vedeva una persona, non un corpo bisognoso
di cure.
Il medico non ha di fronte a sé una persona malata, ma ha l'intera umanità a cui deve rispondere o in termini di amore o in termini di rigetto. Ecco la polivalenza dell'insegnamento di Giuseppe Moscati.
Nel costante rapporto con Dio, egli trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e, nello stesso tempo,
il calore umano per essere vicino a coloro
che, soffrendo, attendevano il medico a cui
potersi affidare.
Da questo profondo e costante riferimento a Dio, egli traeva la
forza che lo sosteneva e
che gli permetteva di
vivere con integra onestà e assoluta rettitudine sia nell'ambiente
quotidiano che nell'amcristiano biente scientifico, di cui
godeva del massimo rispetto. Egli era il "maestro", il Primario Ospedaliero che non ambiva a posizioni: se queste gli venivano attribuite era perché i suoi meriti non potevano essere negati, e quando occupò posti
di rilievo, seppe esercitare l'autorità con
grande rettitudine e generosità verso i colleghi, gli studenti ed i malati.
Uomo integro e cristiano coerente, non
esitava a denunciare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a detrimento della vera professionalità e dello spirito scientifico, a danno degli
infermi e degli studenti. A questi ultimi sentiva forte il desiderio di trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti
sono i medici del domani. Cosciente di ciò
faceva di tutto affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione
e formazione. Preparazione e formazione
che innanzitutto dovevano essere incarnate
dall'esempio personale. Perfino la morte lo
colse mentre stava visitando un'inferma.
L’agire medico
come atto
di amore
24
Ogni aspetto della vita di questo "laico",
medico e santo, ci appare animato da quella nota che è la più tipica del cristiano coerente alla propria fede: l'amore che Cristo
ha lasciato ai suoi seguaci come "comandamento". Di questa sua personale esperienza del valore centrale del cristianesimo
nella scienza e nella vita, egli ha lasciato
numerose tracce nel suoi scritti. Sono parole che suonano come un testamento, da
una parte, e come una grande dichiarazione etica dall'altra, e con le quali desidero
chiudere questo paragrafo, cosciente anche
io, con lui e come lui, di essere Suo strumento, parte di questo Suo grande progetto d'Amore:
"Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo; solo pochissimi uomini
sono passati alla storia per la scienza, ma
tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte
non è che una tappa, una metamorfosi per
un più altro ascenso, se si dedicheranno al
bene.
La sofferenza umana,
nel Diario di Padre Jordan
Mi pare doveroso per un salvatoriano rappresentare il pensiero e la spiritualità, a tal
proposito, del Servo di Dio Padre Francesco Maria della Croce Jordan, Fondatore di
Salvatoriani e delle Salvatoriane.
Egli, da subito, aveva avuto la profetica
intuizione di quanto fosse importante l'apostolato dei laici nella Chiesa. Cercò in tutte le maniere di raccogliere intorno a sé tutte quelle categorie professionali che per la
loro specificità potevano diventare fucine
di formazione di autentici messaggeri di Cristo. Aveva in gran cuore i medici, gli imprenditori, gli educatori, gli amministratori dello stato, e perfino i ristoratori. Aveva
in gran cuore, insomma, tutti coloro a cui
sarebbe stato sufficiente testimoniare con la
loro vita l'amore per Gesù, perché ciò fosse colto simultaneamente da tante anime in
cerca del sollievo della fede.
Ma Padre Jordan è stato anche un uomo
che ha molto sofferto. La mole di lavoro e
le difficoltà che sono insorte nel cammino
di costruzione della sua imponente opera
apostolica non lo avevano risparmiato sia
nel corpo che nella mente, ma mai nello spirito. Saldo nella sua fede in Dio e nella Provvidenza ha sempre tirato diritto per la strada indicata dal Signore.
Questa sofferenza diretta appare spesso
nel Diario, ma non è la sua personale tribolazione che voglio mettere in risalto, bensì
la sua sensibilità alla sofferenza degli altri
ed il mandato che egli affida ai suoi figli
spirituali per l'attualizzazione del messaggio evangelico. Nel suo Diario Spirituale
egli così scrive:
“Consola gli afflitti specialmente quelli
che sopportano gravi mali psichici, non dimenticare mai che compi un'opera molto
gradita a Dio; l'Eterno Padre ha invero
mandato al Divin Figlio nell'orto degli ulivi, un angelo dal cielo per confortare il Salvatore, triste fino alla morte, e tu vorresti
venire meno ai tuoi simili malati? In caso
che tu ascolti confessioni, sii specialmente
compassionevole e consolatore verso le anime molto provate”.
Questa pagina da sola dice tutto! Il riferimento alle malattie psichiche non deve
sviare dalla portata molto più ampia di questo testamento, e così pure il riferimento alla confessione che non deve essere visto solo in un'ottica sacramentale. Ognuno di noi,
nel momento in cui visita un ammalato si
trova di fronte ad un'anima tribolata nella
mente, nel corpo e nello spirito.
Come sento vicini fra loro San Giuseppe Moscati e Padre Jordan. Il primo interprete magistrale dell'amore di Cristo, il secondo potente motore spirituale.
Volendo tradurre il passo del Diario SpiIl medico è sempre al servizio della vita
25
rituale in un messaggio esplicito, è come se
Padre Jordan ci avesse lasciato questo mandato spirituale: “Solo vivendo il Vangelo nel
mondo della sofferenza, facendosi Cristo
Servo per l'uomo che patisce, si può trasformare una professione in una missione,
un atto medico in un'opera apostolica”. In
quanto tale sempre sottoposta alla supervisione di Colui il quale ci ha dato gli strumenti per compierla.
Dobbiamo chiederci se vogliamo raccogliere la sfida del mondo secolare, se vogliamo brillare sopra il moggio in quanto
cristiani ed in quanto operatori sanitari, se
vogliamo, con semplicità, essere parte di
questa opera apostolica, a cui Cristo malato e sofferente ci chiama.
Per questo è importante il confronto, per
donarci reciprocamente il nostro sapere mettendo al bando le chiusure e gli egoismi
scientifici, per valutare che fare del domani.
“Che tutti conoscano Te, l'unico vero Dio
e Colui che hai mandato Gesù Cristo” (Gv
17,3)
Per noi operatori sanitari, il quando ed il
come questa missione può essere tradotta
nella prassi, si può riconoscere nel passo del
diario di Padre Jordan che da tutti i Salvatoriani è riconosciuto come l'icona del mandato spirituale.
“Finché c'è un solo uomo sulla terra, che
non conosce e ama Dio sopra ogni cosa,
non t'è permesso riposare un momento. Finché Dio non sia glorificato dappertutto, non
t'è permesso riposare un momento. Finché
la regina del Cielo e della Terra non venga
onorata dappertutto, non t'è permesso riposare un momento. Nessun sacrificio, nessuna croce, nessun soffrire, nessuna desolazione, nessuna tribolazione, nessun attacco, oh nulla ti sia troppo difficile con la
grazia di Dio. Posso tutto in Colui che mi
conforta”.
Cristo sofferente ci attende: dietro l’angolo, nel nostro studio, nell’ospedale. A noi,
e solo a noi, non rimane che dire: “Eccomi
Signore, fammi strumento del tuo grande
progetto d’Amore”.
Dr. Ermes Luparia
26
VERSO L’ANNO DELL’EUCARISTIA
Fate quello che vi dirà
«Mysterium fidei! Se l’Eucaristia è mistero di fede, che supera tanto il nostro intelletto da obbligarci al più puro abbandono alla parola di Dio, nessuno come Maria può esserci di sostegno e di guida in simile atteggiamento. Il nostro ripetere il gesto di
Cristo nell’Ultima Cena in adempimento del suo mandato: “Fate questo in memoria di me!” diventa al tempo stesso accoglimento dell’invito di
Maria ad obbedirgli senza esitazione.
“Fate quello che vi dirà”».
(“Ecclesia de Eucharistia”, n. 54)
Preghiera dell’infermiera
Signore, che sai essere mio dovere assistere gli ammalati, fa’ ch’io li serva non con
le mani soltanto, ma ancora col cuore; fa’
ch’io li ami.
Signore, che hai avuto pietà per ogni
umana sofferenza, rendi forte il mio spirito, sicuro il mio braccio nel curare gli infermi, nel medicare i feriti, nel sorreggere
gli straziati e i morenti, ma conserva sensibile l’animo mio al dolore altrui; gentile la
mia parola, dolce il mio tratto, paziente la
mia veglia.
Signore, che hai creato l’umana natura
composta di anima e di corpo, infondimi rispetto per l’una e per l’altro, insegnami a
consolare l’anima afflitta curando il corpo
infermo.
Signore, che hai detto essere fatto a Te il
bene prodigato ai sofferenti, dammi di vedere Te in essi ed essi in Te.
Signore, che hai promesso di non lasciare senza premio nemmeno un bicchier d’acqua dato per amor Tuo, riserva la ricompensa che Tu solo puoi dare a questo mio
lavoro, ch’io voglio compiere con pietà e
con amore.
E Tu, Maria, consolatrice degli afflitti e
salute degli infermi, sii anche per me maestra sapiente e madre benigna.
Così sia.
Psicologia, Religione, Paranormale:
quali risposte alla malattia
ia la risposta religiosa che quella psi- nesi e non verificabili al vaglio della ricercologica alla malattia, hanno un loro ca e alla luce della fede. Faccio riferimenfondamento di validità per consenti- to alla cosiddetta “altra medicina” che spare una guarigione, o nella ipotesi meno fa- zia dal guaritore occidentale allo sciamano
vorevole, possono arrecare sollievo alla con- africano e che per lo più riconosce il suo
dizione di sofferenza. Infatti la validità del- momento operativo nella capacità suggela risposta religiosa è riscontrabile non so- stiva che indubbiamente l’operatore poslo in quegli eventi eccezionali e numerica- siede e utilizza per influenzare, agendo sulmente assai limitati dalla grande prudenza la mente, le problematiche corporee. Tutt’aldella Chiesa, che vengono definiti “mira- tra cosa, ben s’intende, è tutto quel corredo
coli”, perché danno luogo a guarigioni scien- di manifestazioni che possono esplodere in
tificamente incomprensibili; ma anche nel- certe persone e che trovano la loro origine
la forza della preghiera, nell’ascolto della in una altra dimensione, quella ultraterrena,
parola di Dio, nel Sacramento della Unzio- e che si manifesta come presenza diaboline degli infermi e nelca. Quì è richiesto
la Eucarestia. Queste
l’intervento di un sapratiche assumono il
cerdote esorcista, cui
significato di potente
la Chiesa affida lo
valore terapeutico, per
specifico mandato di
il validissimo sosteliberare dalla possesgno che offrono al sofsione satanica. È noto
ferente, nel suo lungo
che questi casi rappercorso di recupero
presentano una esigua
della salute. La rispominoranza, se rapporsta psicologica, trovetati alla enorme prerebbe la sua motivavalenza di quelli rizione in quel meccaconducibili ai comuni
nismo che regola le
disagi psichici. La
manifestazioni psico- La vita è come un fiore che sboccia Foto Wilson Chiesa riconosce il desomatiche che produmonio come essere
cono alcuni quadri nosologici ben conosciuti determinato e non come semplice espresdalla clinica. L’attualità delle conoscenze, sione simbolica del male. La Chiesa consiin tema di psicosomatica, accredita il con- dera altresì il “satanismo”, che legge come
cetto di “regressione riorganizzatrice” che una realtà negativa, sia nella sua manifeconsentirebbe l’attivazione di un processo stazione di culto del Maligno, sia nella sua
di guarigione per alcune patologie. Sono realtà di gruppi dediti a quel culto, e lo afpersuaso che una collaborazione tra psico- fronta con un approfondimento della sua coterapeuta e direttore spirituale, pur nella op- noscenza attraverso uno studio rigoroso del
portuna distinzione dei ruoli e degli ambiti fenomeno, per poi fornire una adeguata
rispettivi, può essere assai utile per favori- informazione ai sacerdoti. Con questo atre il riequilibrio psico-emotivo di una per- teggiamento pastorale, la Chiesa, conscia
sona turbata dalla sofferenza. Dirò con fran- della sua missione evangelizzatrice, partechezza, che a me sembra più ardua la com- cipa ai fedeli l’annuncio salvifico di Cristo
prensione del fenomeno paranormale, la cui e li invita a rinunciare a Satana e quindi al
incerta risposta proviene da mezze verità peccato.
non facilmente identificabili nella loro geSergio Mancinelli
S
27
ovvio che aumentando sempre più
l’età sia inevitabile un correlativo
incremento della disabilità, egualmente nei due sessi anche se le donne sembrino più facilmente colpite: in Italia oggi
l’aspettativa di vita con disabilità è pari a
5,4 anni negli uomini ed a 6,7 nelle donne.
Disabilità diversificate in rapporto a tre principali aree dello stato funzionale: 1) le attività basilari nella vita quotidiana (ADL: Activities of daily living); 2) le attività strumentali (IADL: Instrumental activities of
daily living); 3) le attività avanzate (ADL:
Avvanced activities of daily living). Tutte
forme in sé molto limitative e quindi gravi
per la libertà di movimento e che rendono
necessaria la disponibilità di un’assistenza
non potendo l’anziano vivere da solo e gestirsi la sua vita. Grave è quindi soprattutto
la disabilità per la vita
quotidiana, che purtroppo passa dal 14% circa
nella fascia di età tra 6569 anni negli uomini fino ad oltre il 40% negli
ultraottantenni, mentre
nelle donne si giunge ad
una prevalenza di circa il
50%. Il numero degli anziani che lamentano difficoltà nelle attività strumentali è ancora maggiore.
Si distingue anche una “disabilità catastrofica”, ovvero immediata, dovuta ad un
ictus, ovvero ad una frattura di femore, oppure una “disabilità progressiva”, che decorre lentamente ed in modo evolutivo, anche senza una causa ben precisa, prevalente nei grandi anziani. Oggi il rischio di una
disabilità catastrofica è aumentato di sette
volte, mentre quella progressiva di oltre venti volte per l’anziano, anche perché essa si
accompagna ad un peggiore stato di salute,
uno scadimento della qualità di vita, ad un
ulteriore aumento del rischio per altre disabilità e quindi di mortalità, il tutto in un costo enorme dell’assistenza ospedaliera e
principalmente domiciliare.
Difficile è fare una classificazione delle
disabilità per la variabilità e le combinazioni
associative per organi ed apparati, però le
cause sono più facilmente individuabili e
È
rientranti in tre moventi fondamentali: l’invecchiamento, le malattie, lo stile di vita
inadeguato, inteso questo come sedentarietà,
alimentazione scorretta con fumo ed alcool;
il tutto in un contesto socio-economico ed
ambientale, nonché in rapporto alle strutture sanitarie di cui può servirsi l’anziano. Disabilità che implicano la riduzione delle capacità funzionali dei diversi apparati e sistemi organici, quali soprattutto l’apparato
cardiovascolare, il sistema nervoso, il complesso osteo-articolare e muscolare, la minore capacità aerobica caratteristica dell’anziano, il cui principale indice è il consumo massimo di ossigeno in rapporto all’efficienza dell’apparato cardio-respiratorio e muscolare insieme, tutti più o meno
compromessi. Se l’invecchiamento e le malattie correlate hanno un peso alquanto significativo, lo stile di vita sedentario costituisce
il punto di rottura a favore delle disabilità, vale a dire dell’immobilità
e quindi della dipendenza.
Numerosi studi epidemiologici evidenziano
la correlazione positiva tra il livello di attività fisica e quelle di autonomia funzionale, dimostrando che uno stile di vita si associa con un minore rischio di disabilità nell’anziano, tanto che si può affermare che
l’attività fisica rappresenta un farmaco estremamente promettente per la prevenzione
della disabilità nell’anziano, ivi compresi
anche gli aspetti psicologici e mentali, oltre che fisici: attività fisica che tanto concorre per il miglioramento del benessere
generale.
La disabilità è un problema sociale, che
non va affrontato secondo la logica del mero assistenzialismo, ma soprattutto stimolando l’anziano alla partecipazione della vita attiva, favorendo l’accesso dei disabili
agli strumenti informatici e promuovendo
modelli comportamentali e stili di vita positivi e socialmente condivisi. Del resto i
centenari hanno sempre condotto una vita
salutare, seguendo con attenta scrupolosità
la dieta mediterranea, astenendosi da fumo
La disabilità
nell’anziano
28
ed alcool (s’intende nei modi eccessivi) e
mantenendo un buon livello di attività fisica.
Già l’ONU nel 1992 deliberò che il 3 dicembre di ogni anno fosse dichiarato “Giornata Internazionale delle persone disabili;
l’Unione Europea ha dichiarato il 2003
“l’Anno Europeo delle persone con disabilità”, ed a tal proposito si è già tenuta a Bari nel febbraio scorso la seconda conferenza nazionale sulle politiche della disabilità,
e nel dicembre prossimo si terranno a Ro-
ma le giornate conclusive, nel corso delle
quali il Governo farà una prima verifica sullo stato di attuazione del programma di Bari. In Italia vi sono circa tre milioni di disabili; che non vanno affatto abbandonati e
quindi emarginati: essi umanamente e con
diritto richiedono la dovuta attenzione del
Governo e della collettività tutta!
Carmine Melino
Docente Igiene
Università “La Sapienza” Roma
BRICIOLE DI SAGGEZZA
Messaggio per un’aquila che si crede un pollo
Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una gallina.
L’aquilotto nacque insieme alla covata di pulcini e crebbe con loro.
Per tutta la sua vita l’aquila, credendo di essere un pollo, fece ciò che facevano i polli: razzolava
in cerca di vermi e insetti, chiocciava e faceva coccodè.
A volte la notte sognava di volare in alto ad ali spiegate, sentiva che era quello il suo posto. Il
cuore le batteva forte per la gioia e la sensazione di libertà. Si sentiva felice, ma poi si svegliava di
soprassalto e con grande delusione si ritrovava nel pollaio in mezzo alle altre galline. “Che bel sogno”
pensava... “Le mie ali sono più grandi di quelle degli altri polli, forse potrei provare...”. E quando
nessuno la vedeva, tentava di alzarsi da terra e fare un piccolo volo, ma la paura di non riuscire e
di rivelarsi diversa dagli altri le facevano subito cambiare idea.
Gli anni passarono e l’aquila divenne vecchia. Un giorno vide molto alto sopra di lei nel cielo
limpido un magnifico uccello che fluttuava maestoso e pieno di grazia, tra le forti correnti dei venti
battendo di tanto in tanto le sue possenti ali dorate.
La vecchia aquila lo osservò piena di reverenziale timore. “Chi è quello?”, chiese al suo vicino.
“È l’aquila, la regina degli uccelli”, il vicino rispose. “Ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi
da lei”.
Così l’aquila non ci pensò più e morì pensando di essere una gallina.
Rielaborato da Elide Rosati
da "Riscopri te stesso e riprenditi la vita" di Anthony De Mello
LA RETE
Ma tu lo sai di cosa è fatta una rete?
Una rete è fatta di vuoti,
è fatta d’aria, è fatta di vento e di luce ...
è fatta di un niente ... e poco altro ...
Eppure...
una rete sa abbracciare con dolcezza,
sa trattenere pesci guizzanti,
sa trascinare carichi e sollevare pesi incredibili,
rimargina ferite, assorbe urti,
imbriglia massi pericolanti,
tiene insieme e non imprigiona,
protegge, nasconde, salva ...
Una rete è forte e leggera,
sa far vedere senza essere vista,
impedisce e consente, lega e non costringe ...
A una rete ti aggrappi, ti sostieni, risali ...
Ecco, la famiglia è una “rete”;
quando si tace e quando si ha paura,
quando si piange e quando si discute,
quando in casa fa freddo e non si parla,
quando da “uno” si diventa “tanti”,
quando le braccia si tengono conserte,
le mani sono chiuse e gli occhi bassi,
quando la porta invoglia a andare via ...
E se un filo si rompe a questa rete ...
che un Buon Pastore mi raccolga
e, seduto da parte sulla spiaggia,
con pazienza ed Amore, mi ripari:
sono una “madre”, quel “poco altro” di una rete ....
Anna Maria Cardillo
Volontaria ASVEP
29
Agli Operatori Sanitari
della sala operatoria
Ospedale Sandro Pertini
L'intervento
chirurgico
L'esperienze de la vita già se
sa so' diverse, so' a sorpresa.
Te potrebbe capità
che te devi operà.
Stai attento, fatte furbo,
nun annà da chi è de turno.
Scej prima 'no spedale
andò trovi er personale
che è capace de curà
e che cià l'umanità.
Ar Pertini so' gajardi
e so' pieni de riguardi.
Vai tranquillo, sei curato,
nun te senti trascurato
e si proprio te va bene...
esci sano e ... te conviene ...
Tosta e stretta la barella
ma ce sali, te sistemi
e te viè er mar de reni
Fai 'na bella scarozzata
l'occhi fissi su ar soffitto
e giù pensi che sei ... fritto...!
Se spalancheno le porte:
è la sala operatoria
sei arivato! E' er traguardo!
Co' la strizza che ciai sempre
'na preghiera è ricorente:
"Dio me assista!"
e incominci a incontrà l'anestesista.
Te accarezza, te incoraggia
nun te vo' vedè depresso
e der braccio se impossessa.
Co' tocco delicato
la mejo vena ha già trovato
Quanno er giorno è stabilito
nun ce poi ripensà.
C'è la strizza che t'affligge
e è dura da sconfigge,
ma te fingi coraggioso,
forte, ardito e spiritoso.
Alle sei de la matina
quanno dormi e stai a sognà
che te stanno già a tajà,
te vengheno a svejà
e te fanno spaventà.
Ma è la prassi che a quell'ora
la pressione co' la febbre
te se deve controllà.
Se avvicina er momento
e te pija lo sgomento
ma er pensiero tuo se perde
quanno ariva er camicione verde.
Er corpo denudato
obbedisce, un po' scocciato ...
nun azzarda resistenza,
se fa' chiude ner saio de la penitenza.
30
Medico e medicina alleati per la persona umana
mentre osservi e stai sicuro
t'arifila er primo buco.
'Na bottija appesa in arto,
goccia drento ar sangue tuo
e se mischia co' la vita.
E' la flebo che prepara l'organismo
e lo mette in condizione
de affrontà l'operazione.
Doppo 'sti preliminari
sei ridotto già 'no straccio,
la schiena ce l'hai rotta
e pe' daje nartra botta:
vai o finì sur tovolaccio...
Tutti attorno... sei accerchiato...
Mani e piedi sei legato,
è allora che te chiedi:
"Ma chi me cià mannato!"
Nun fai in tempo a avé paura
già te fanno la puntura
che te dà lo stordimento,
te riduce all'impotenza,
te fa perde conoscenza.
Nelle nebbia scivolato
te sei bell'e addormentato,
nelle mani der chirurgo
l'esistenza hai consegnato.
Er risvejo è 'na tragedia!
Te pare de tornà dall'ar di là...
Te senti sgrullà, te senti chiamà
e nur riesci a parlà ...
Sei sbilenco, sei scassato...!
Ma er peggio è passato.
La mente è sollevata,
soridi ancora alla vita
e a chi te l'ha sarvata.
Roma 28 maggio 2004
Elide Rosati
Volontaria ARVAS Ospedale Pertini
Un impegno
tra i sofferenti
che si protrae
da cent’anni
Sono trascorsi cento anni da quando nel
1903 i primi treni bianchi dell'Unitalsi
(Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali)
sono giunti per la prima volta a Lourdes con
il loro carico di sofferenza e di speranze; e
dopo un secolo di attività, l'associazione celebra l'evento fra convegni e proposte per il
futuro.
La nascita dell'Unione
L'Unitalsi, nata spontaneamente dall'iniziativa di un gruppo di laici di assistere i
malati nel loro pellegrinaggio verso il santuario di Lourdes, ha raggiunto oggi i
300.000 associati fra volontari e disabili, ed
è presente in ogni diocesi. In occasione del
suo centenario, che coincide con l'Anno Europeo per la Disabilità istituito dall'Unione
europea, l'Unitalsi ha organizzato incontri
e progetti per definire una linea di interventi
che possa essere innovativa, pur rimanendo nell'ambito delle attività tradizionali.
I pellegrinaggi a Lourdes
"Fulcro centrale dell'Unitalsi rimarranno i pellegrinaggi a Lourdes", ha spiegato
Antonio Diella, presidente nazionale dell'associazione, durante la presentazione dei
progetti che si è tenuta nei giorni scorsi presso la sala della Sacrestia della Camera dei
Deputati a Roma., "L'atmosfera che si instaura durante quelle giornate trascorse al
servizio dei sofferenti costituirà sempre il
cuore pulsante dell'intera organizzazione.
Tuttavia – ha aggiunto – la speranza non è
un dono che si può offrire unicamente per
qualche settimana all'anno, ma deve essere
un valore in crescita, ed è per questo che
l'Unitalsi intende intensificare le sue iniziative nel campo sociale ed assistenziale.
Case famiglia, assistenza particolare per i
bambini e centri di consulenza saranno gli
strumenti con i quali l'associazione sarà,
maggiormente presente nel territorio".
Ad esempio, i barellieri e le dame dei tre-
31
ni bianchi ricopriranno anche ruoli di assistenti sociali, rimanendo vicini agli ammalati e ai disabili anche dopo i pellegrinaggi.
Fra i progetti in cantiere vi sono: tre case
famiglie per disabili soli nelle province di
Pisa, Potenza e Lecce, nelle quali gli ospiti, pur essendo costantemente assistiti dai
volontari, possono ritrovare la propria autonomia; l'ampliamento delle strutture di accoglienza nei pressi dei maggiori ospedali
pediatrici nazionali per i familiari di bambini ricoverati e la costituzione di cooperative sociali per il sostegno e l'integrazione
dei disabili nel mondo del lavoro. In ultimo, in collaborazione con il WWF, è compresa anche la realizzazione in alcune oasi
naturali italiane di percorsi adatti ai disabili, sia fisici che mentali.
Questi progetti saranno illustrati in questo fine settimana a Rimini durante un convegno al quale sono invitati, insieme a tutti gli associati, rappresentanti delle istituzioni. Poi, in aprile, sarà indetta la seconda
edizione della giornata nazionale dell'Unitalsi, durante la quale verranno distribuite,
in tutte le piazze italiane oltre 8000 piantine per il sostegno dei bambini poveri del
mondo.
Sempre a favore della solidarietà nei confronti dei piccoli, provenienti dai Paesi particolarmente poveri come l'Eritrea, l'Etiopia, la Palestina e la Nuova Guinea, le sezioni regionali dell'Unitalsi organizzeranno
a fine giugno un pellegrinaggio a Lourdes
dove, assieme ai bambini italiani, verranno
ospitati anche quelli provenienti da questi
Paesi. In occasione del viaggio verranno co-
stituiti dei gemellaggi con le istituzioni locali per avviare iniziative volte a migliorare le loro condizioni di vita.
Concluderà il calendario il tradizionale
pellegrinaggio di fine estate al quale, come
ogni anno, parteciperanno oltre duemila malati accompagnati da più di cinquemila volontari.
La nascita delle Case famiglia
Già da alcuni anni, comunque, l'associazione ha intensificato il suo impegno sociale
con l'istituzione nel 1995 a Lourdes, di una
struttura di accoglienza nella quale vengono ospitati circa 35.000 ammalati e disabili ogni anno.
Sono state create inoltre delle case famiglia presso gli ospedali pediatrici del
Bambino Gesù di Roma e del Santobono di
Napoli, e sono stati organizzati soggiorni
estivi ed invernali per disabili.
Secondo gli ultimi dati forniti dall'Unitalsi, nell'arco del 2001, ai pellegrinaggi organizzati dalle 19 sezioni regionali hanno
partecipato circa 90.000 persone, che hanno raggiunto Lourdes con 150 treni speciali, 56 pullman e 10 aerei.
«La carità, deve trasformarsi in uno stile di vita – ha sottolineato Mons. Luigi Moretti, padre spirituale dell'Unitalsi – un sostegno costante per chi soffre anche quando si ritorna a casa dopo il pellegrinaggio.
Riconosciuta oggi come un'associazione
pubblica di fedeli, l'Unitalsi rispecchia la
missione di solidarietà condotta dalla Chiesa e da tutti i credenti».
Rita Dietrich
2º Corso per i Volontari
IN CURE PALLIATIVE
“Assistenza al Malato Oncologico Terminale
presso l’Hospice “Villa Speranza”
Aula Didattica Hospice “Villa Speranza”
17.00-18.30
Roma, Settembre-Novembre 2004
Coordinatori: Turriziani Adriana, Scopa Anna
Iscrizione e segreteria: Patrizi Lucilla - Tel. 06.30154429 - Fax 06.3058721
E-mail: [email protected]
Sede del Corso: Aula Didattica - Hospice Oncologico “Villa Speranza”
Via Pineta Sacchetti, 235 - 00168 Roma - Tel. 06.3053262
32