Nr 40 Ottobre 2004
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Nr 40 Ottobre 2004
N. 40 ottobre 2004 ORGANO DELLA PASTORALE SANITARIA DELLA DIOCESI DI ROMA FAMIGLIA: un inno alla vita N. 40 ottobre 2004 S O M M A R I O La famiglia nei luoghi di cura Organo della Pastorale Sanitaria della Diocesi di Roma Direzione, Redazione e Amministrazione Vicariato di Roma P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/a 00184 Roma Tel. 06/69886227 - Fax 06/69886182 e-mail: [email protected] Direttore: @ Armando Brambilla Direttore Responsabile: Angelo Zema Coordinamento Redazionale: Dr. Sergio Mancinelli Comitato di Redazione: Don Sergio Mangiavacchi, Padre Carmelo Vitrugno, Elide Rosati Maria Adelaide Fioravanti Amministrazione: Diac. Oreste Caramanica Editore: Diocesi di Roma P.zza S. Giovanni in Laterano, 6/a 00184 Roma Tel. 06/69886227 - FAX 06/69886182 Versamenti sul conto corrente postale n. 31232002 Specificando la causale: “Pastorale Sanitaria 22-6-791” Periodico Trimestrale Registrato al Tribunale di Roma Reg. Stampa n. 200 del 12.4.95 Finito di stampare il 24.09.2004 per i tipi della PrimeGraf Tel. 062428352 (r.a.) - Fax 062411356 2 PAG 3 Testimonianze familiari 5 La famiglia, la Chiesa, la sofferenza 7 Medico, moglie e Madre Ha amato sino alla fine 8 La vita è un dono 10 La predica silenziosa 11 Verso l’anno dell’Eucaristia Visita di Sua Ecc. Mons. Brambilla alla casa di cura Pio XI 13 Suor Terenzia e Suor Natalina 14 Il rovescio del ricamo 16 Per la morte di Ida. - Omaggio ai volontari Lettera dalla clausura 17 La messa domenicale in una casa di riposo 18 Casa di riposo: sagrestia 19 Il Dalai Lama al Santa Lucia 20 La malattia nelle religioni 21 A conclusione dell’anno sociale 23 L’agire medico come atto d’amore cristiano 24 Verso l’anno dell’Eucaristia. Preghiera dell’infermiere 26 Psicologia, religione, paranormale: quale risposta alla malattia 27 La disabilità nell’anziano 28 Briciole di saggezza - La rete 29 L’intervento chirurgico 30 Un impegno tra i sofferenti che si protrae da cento anni 31 ABBONAMENTO ANNUO: € 50,65 Socio sostenitore: Comunità o Istituti: € 25,82 € 15,49 Ordinario: Sono sottoscrivibili abbonamenti cumulativi. La famiglia nei luoghi D opo la pausa estiva, riprendiamo il cammino per un nuovo anno pastorale che ci vedrà impegnati con tutta la Diocesi di Roma verso la famiglia, nell’ambito del programma triennale: “Ripartire da Cristo per una missione permanente nella città”. Sarà un anno importante quello che ci aspetta, anche perché il Papa Giovanni Paolo II, nostro Vescovo, l’ha proclamato “Anno Eucaristico”. Il Santo Padre invita tutti, ma soprattutto la famiglia chiamata a vivere l’esperienza dell’amore coniugale a “inabissarsi in un amore senza limiti”. “È in questo mondo che deve rifulgere la speranza cristiana! Anche per questo il Signore ha voluto rimanere con noi nell’Eucaristia, iscrivendo in questa sua presenza sacrificale e conviviale la promessa di una umanità rinnovata dal suo amore” (Ecclesia de Eucaristia, n. 20). Il Cardinale Vicario, Camillo Ruini, ha detto a conclusione del Convegno Diocesano di giugno: 1) Prima delle iniziative occorrono delle convinzioni che animino il nostro agire. Ma queste convinzioni per noi cristiani nascono anzitutto da Dio e perciò si alimentano in primo luogo con la preghiera personale e comunitaria. Anche negli Ospedali e nei luoghi di cura dobbiamo insistere che diventino luoghi sempre più di preghiera per gli di cura ammalati ma anche per le loro famiglie, per gli operatori sanitari, luoghi della convivialità Eucaristica, e perciò è importante mettere al centro della vita Ospedaliera la S. Messa, in modo particolare la domenica. 2) a - Il Cardinale Vicario propone di svolgere anche nei luoghi di cura una “Pastorale integrata”. Una prima integrazione riguarda il sentire e il vivere il piano pastorale della Diocesi in comunione con tutta la Chiesa italiana e universale, Chiesa che è impegnata in questo campo della famiglia per impulso del nostro Vescovo, il Papa. b - Una seconda dimensione è quella interna alla Diocesi dove le parrocchie e tutte le altre realtà associative, religiose, laicali (e quindi anche noi del mondo sanitario), devono integrarsi a livello di programma pastorale ma anche a livello di più vaste iniziative che la Diocesi promuove. La Diocesi risulta così un ambito fondamentale per tutto quello che noi cerchiamo di fare nei nostri ambienti sanitari. Gli Ospedali e i luoghi di cura devono perciò sempre più interagire con le parrocchie e le altre realtà perché dov’è possibile una collaborazione concreta si realizzi per il bene dei malati e delle loro famiglie ed anche degli operatori sanitari. È importante un lavoro comune, uno scambio di doni, di esperienze, di ricchezze, di aiuti, interloquendo con il territorio in cui vivono le 3 famiglie e sono posti gli Ospedali. Anche il Cardinale sottolinea che c - un altro livello di integrazione si mettere insieme questi due aspetti non deve realizzare con il Centro della Pa- è né semplice né facile, essendo in qualstorale Sanitaria Diocesana, ma anche che modo in tensione l’uno con l’altro. con altri uffici del Vicarato, oltre che fra Eppure è necessario tenerli insieme coi vari Ospedali e strutture sanitarie pre- me meglio si può e cercare di comporsenti nel settore, o dovunque esse sia- li in un equilibrio stabile e duraturo. no, purché disponibili alla collaboraNegli ambienti sanitari zione, allo scambio reciproco. Allora la pastorale della famiglia o “la promoPer quanto riguarda noi della Pazione della soggettività della famiglia” storale Sanitaria, nella misura che conpuò diventare una chiave decisiva per sentono le forze, durante il periodo di far maturare la nostra paQuaresima si vorrebbe ragstorale nel senso e nella digiungere il maggior numerezione della pastorale inro di famiglie che entrano tegrata, cioè della comuin Ospedale o Case di Cunione, della collaboraziora per far conoscere il mesne e della corresponsabisaggio di Gesù sul dolore, lità. la malattia, la sofferenza, d - l’ultimo, ma non la morte. meno importante livello di Sarebbe opportuno prepastorale integrata, è vedere delle iniziative coquello che si deve realizstanti che possano ripeterzare all’interno dell’Ospesi e progressivamente aldale fra i Cappellani e le largarsi. Dice ancora il Suore, i Volontari e i vari Cardinale: “Quando ci movimenti che operano nel poniamo in un atteggialuogo di cura, fra i medici mento missionario dobLa comunione familiare ha tra di loro e con gli infer- origine in Dio biamo essere fin dall’inimieri, e fra i vari reparti. zio consapevoli che il seLa pastorale serve anche per fare unità me che cerchiamo di spargere potrà tra le diverse realtà o persone che ope- portare frutto a secondo dei diversi rano nel mondo sanitario. Tutto ciò do- terreni su cui cade e pertanto dobvrebbe trovare un suo naturale punto di biamo essere contenti sempre, anche sintesi nel Cosiglio Pastorale e nella quando il riscontro non è quello che Cappellania. ci aspettavamo o speravamo”. 3) Altro aspetto che il Cardinale ViComunque, al di là degli aspetti orcaro indica è quello della missionarietà. ganizzativi, è fondamentale la convinLa Diocesi si propone nel periodo qua- zione dell’importanza della Missione resimale la “missione alle famiglie” per alle famiglie, perché avrà buon esito annunciare a tutti il Vangelo dell’amo- nella misura in cui noi per primi ci imre e della salvezza. pegneremo nella sua concreta realizzaa - la missione nasce dal desiderio zione. di arrivare a tutti, o almeno al maggior Buona Missione e auguri di buon lanumero di persone e di famiglie. voro pastorale a tutti. b - un secondo aspetto è quello di far diventare questa pastorale un “frutto duraturo”, così da costituire una ca✠ Armando Brambilla ratteristica permanente della nostra preVescovo delegato per la Pastorale Sanitaria senza nei luoghi di cura. 4 Testimonianze familiari puzzano addirittura di zolfo. Ma il piccolo Marco guarì. Gesù conosce bene il cuore dell’uomo e ... della donna. Aveva una fifa ... di affrontare la faccia e la disperazione della mamma di Marco e optò per la guarigione. Il coraggio di Anna e Roberto E il piccolo Marco guarì Il piccolo Marco era veramente malato. Diagnosi pesantissima: leucemia mieloide. Un punto a suo favore. Era robusto. Un autentico torello. La mamma era inavvicinabile. Disperata arrivò a urlare: “Dio mi ha maledetto. A mio figlio va tutto di traverso”. Veramente il figlio superò infezioni varie, un paio di bronchiti e sei mesi di camera sterile. Il papà è sicuramente un figlio legittimo di Giobbe. Una pazienza a prova di bomba atomica. Con serenità. Con il sorriso sulle labbra. Affrontava situazioni tremende. Una a una. Senza conoscere il “Sufficit diei malizia sua”, di Gesù. E papà Luigi, ritenne opportuno rivolgersi direttamente a Gesù Cristo. Giocò subito le sue carte: “Caro Signore, il matrimonio è indissolubile. Guarisci mio figlio. Se lo prendi, per infoltire i tuoi cori celesti, saranno disastri acidi per la mia famiglia. Mi sarà impossibile sopportare per una vita il “muso” di mia moglie. È, arrabbiata è dir niente, con te, con tuo Padre, con tua Madre. Il cappellano neppure lo saluta. Regala un decimo di sorriso sghimbescio alla suora caposala. Vedi tu”. Gesù si sentì punto sull’orgoglio e per autodifesa rispose: “Carissimo Luigi, tu hai una moglie. Io ho una madre. Devo dargliela sempre vinta. Duemila anni fà, per salvaguardare la pace famigliare, a Cana di Galilea, da carpentiere mi feci oste e riuscii a ricavare vino dall’acqua. Modestia a parte, un ottimo vino. Mi meritai persino i complimenti dell’architriclino, un buongustaio dell’epoca. Ti capisco. Come ti capisco. Se i medici falliscono, intervengo personalmente e salverò la pace della tua famiglia. Parola di Gesù Cristo”. Sono voci di corridoio. Per qualcuno Una coppia con vent’anni di matrimonio sulle spalle. Una vita familiare serena allietata dalla nascita di un figlio, più bello di Apollo ed una figlia più affascinante di Elena. Il figlio viene attaccato da un tumore maligno. Tutte le cure si rivelano inutili ed infine Carlo si rende conto della situazione. La rifiuta con tutte le sue forze. Si chiude ermeticamente in un dolente silenzio. Ti accetta solo se gli stai vicino zitto zitto. Per i genitori, per il personale medico e religioso fu una prova difficile. Si aveva però la chiara coscienza di accompagnare positivamente il suo dolore e la sua voglia di vivere. Ci lasciò all’improvviso la vigilia del suo diciottesimo compleanno. Alcuni mesi fa incontrai la coppia nella terapia intensiva. La figlia, Giada, stava in- 5 tarono. “Sappiamo vivere onestamente senza sfruttare vergognosamente la memoria delle nostre figlie”. Seguì un periodo di sdegno contenuto, di incertezze e di lacrime inghiottite silenziosamente. Presi il coraggio a due mani e, tra il serio ed il faceto inviai loro la lettera di Geremia agli esiliati di Babilonia. Capitolo 30 di Geremia. Ecco la sua parte più significativa. “Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele, a tutti gli esuli che ho fatto deportare da Gerusalemme a Babilonia: CoL’abbraccio di una madre è l’abbraccio dell’amore struite case e abitatele. Piantate cominciando lo stesso calvario di Carlo il orti e mangiatene i frutti. Prendete moglie e mettete al mondo figli e figlie. Scefratello. Anna e Roberto sono cattolici, aperti e gliete mogli per i figli e maritate le figlie. rispettosi, di fede semplice e parzialmente Costoro abbiano figlie e figli. Moltiplicapraticanti. Affrontano i loro problemi in un tevi lì e non diminuite. Cercate il benesprofondo amore di coppia. Sanno accettare sere del paese in cui vi ho fatto deportail loro dolore nella condivisione, senza sca- re. Pregate il Signore per esso, perché dal ricare la loro pena sull’altro coniuge, sui suo benessere dipende il vostro benessemedici, sugli infermieri, sul cappellano, su re”. Seguiva il capitolo quinto di Baruch. Dio. Dio li benedica. “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione. Rivèstiti dello splenLa fede di Manuele ed Elena dore della gloria che ti viene da Dio per Dio ha dato. Dio ha tolto. Sia lodato il sempre. Avvolgiti nel manto della giustinome del Signore. Manuele ed Elena. Una zia di Dio, metti sul capo il diadema di coppia piena di amore e di dolore, con po- gloria dell’Etemo, perché Dio mostrerà chi anni di matrimonio. Le figlie: Marta e il tuo splendore ad ogni creatura sotto il Giuseppina, hanno già raggiunto il seno di cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre Abramo. pace della giustizia e gloria della pietà. Marta per una malattia rara. Nessuno sa- Sorgi, o Gerusalemme, e stà in piedi sulpeva come curarla. Visse sempre in terapia l’altura e guarda verso oriente. Vedi i tuoi intensiva. In alcuni rari momenti di miglio- figli riuniti da occidente ad oriente, alla ramento passava qualche ora all’aperto. parola del Santo, esultanti per il ricordo Piangeva. Il suo ambiente “naturale” era il di Dio”. lettino della terapia intensiva. Il resto le era E nacque Giovannino. Settimino. Settecento grammi di peso. Fu forzato a nascere estraneo. Giuseppina lasciò i genitori in uno dei perché c’era il gravissimo rischio di aborto tanti terremoti d’Italia. Finì schiacciata tra naturale. La gravidanza alterava fortemendue pavimenti, per l’incompetenza o per la te tanti valori della salute fisica della macriminale responsabilità di amministratori, dre. Ancor’oggi si cura con difficoltà l’ipertensione. progettisti e costruttori. Oggi Giovannino è Giovannone per la Certe televisioni strappalacrime offrirono fior di milioni per sfruttare economica- gioia di mamma e papà e il cappellano ne è mente la disgrazia. Manuele ed Elena rifiu- associato con soddisfazione reciproca. 6 ei momenti della sofferenza (malat- voro, crisi della coppia, incomprensioni con tia, morte), che più volte hanno bat- i figli, discordie in famiglia...) un Sacerdotuto le ore per la mia famiglia fin da te che ne sia informato, dovrebbe farsi fiprima della mia nascita e poi lungo tutto il gura di quel Padre, sempre attento e precorso della mia vita, ci siamo trovati ac- sente, pronto a prenderti in braccio. canto, presente e solidale, la Comunità ecDirei molto di più. Chiesa siamo tutti noi clesiale, della quale sia i miei genitori ed io e non solo i Sacerdoti. Questo ruolo e queprima, mio marito, io ed i nostri figli dopo, sta responsabilità spetta a noi tutti. La mia siamo sempre stati, più o meno attivamen- proposta è che quell’attenzione, quelle ante, membri e partecipi. tenne sempre ritte che in Ospedale ci viene Non sempre, e non nella stessa misura, raccomandato di educare all’attenzione vici è stata vicina la Chiesa in gile e continua verso le persosenso più ampio e spersonaliz- La famiglia, ne che incontriamo, diventino zato, quando ci siamo trovati a stile di vita anche nei palazzi, gestire situazioni di sofferenza nei luoghi di lavoro, ovunque la chiesa, e di bisogno al di fuori o lonin modo da rendere la “Chietano dal nostro contesto par- la sofferenza sa” (cioè noi tutti) sempre rocchiale o quotidiano, laddopronta a farsi presente accanto ve, insomma, “nessuno ci conosceva”. ai fratelli. La medesima sensazione dì “servizio paForse per questo è però necessario, oltre storale dovuto” l’ho provata nei confronti che una disponibilità di cuore, anche un po’ di altre persone che vivevano similari si- di preparazione. Si potrebbe lavorare su quetuazioni negli ospedali, in circostanze di dif- sto: alla sensibilizzazione, all’approccio dificoltà, funerali, eccetera. screto, alla solidarietà attenta. È forse umano che un Sacerdote “amiUna preghiera? Signore, fa che i “fatti co” si comporti in modo diverso da un Sa- degli altri” siano sempre FATTI MIEI!! cerdote che non sa nulla di te e del tuo vissuto, ma sarebbe più giusto ricordarsi che Anna Maria Cardillo Volontaria Pastorale (ASVEP) proprio in certe circostanze (e non solo di presso l’Ospedale Sandro Pertini di Roma malattia e di lutto, ma anche difficoltà di la- N 1. Scopri la famiglia... D 6. la tua e quella degli altri. E L’amore sa scoprire sempre C nuove attese, nuove speranze! 2. Conosci la famiglia, A 7. la tua e quella degli altri, L di quella conoscenza di amore O che sa comprendere e donare. G 8. 3. Aiuta la famiglia, O la tua e quella degli altri. L’amore vero saprà dirti della che cosa fare per aiutare. F 4. Difendi la famiglia, A 9. la tua e quella degli altri: M ... il dono dell’unione profonda I e vera gioia in Gesù, sia la sua difesa e la sua gioia. G 10. 5. Senti la famiglia, L la tua e quella degli altri, I allora scoprirai un mondo stupendo: A io, tu, noi...uniti nel volerci bene! Accogli la famiglia, la tua e quella degli altri, con una generosità, dimentica di sé, che non conosca limiti nel donare. Sostieni la famiglia, la tua e quella degli altri. La vita conosce difficoltà e ansie: diffondi pace, accresci speranza. Godi della famiglia, della tua e di quella degli altri: aiuta a godere dei doni di Dio, perché intorno si irradi la luce. Ammira la famiglia, la tua e quella degli altri: perla preziosa nel campo del mondo, meraviglia della vita che corre nel tempo. Ringrazia per la famiglia per la tua e per quella degli altri... con te, altri si sentiranno “figli” del Padre che è nei cieli e, in Gesù, loderanno il dono che rimane in eterno 7 Medico, moglie e MADRE ha AMATO sino alla FINE Gianna Beretta Molla (1922-1962) Madre di famiglia proclamata Santa da Giovanni Paolo II Domenica 16 maggio 2004 ianna nacque a Magenta da genitori profondamente cristiani il 4 ottobre 1922, festa di san Francesco d’Assisi, e fu battezzata con il nome di Giovanna Francesca l’11 dello stesso mese. Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in giovane età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, missionario cappuccino in Brasile col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote nella diocesi di Bergamo; Virginia, religiosa canossiana missionaria in India. Il padre, Alberto, volle che tutti i figli si laureassero e fu loro di esempio cristiano: ogni giorno, prima di andare al lavoro, partecipava alla Messa. La madre, Maria De Micheli, fu donna umile e al tempo stesso energica: fu detto che correggeva i figli col solo sguardo. Fu loro sempre vicina: imparò il latino e il greco per seguirli meglio negli studi. G Educata all’essenziale e all’attenzione ai bisognosi In quella famiglia, Gianna si educò all’essenziale, all’attenzione ai bisognosi ed alle missioni, secondo la tipica spiritualità francescana. In questo clima spirituale, ricevette la prima Comunione a soli cinque anni e mezzo (4 aprile 1928) a Bergamo, dove la famiglia si era trasferita. Da quel giorno andò con la mamma tutte le mattine a Messa: la Comunione divenne «il suo cibo indispensabile di ogni giorno». Il 9 giugno 1930 ricevette la Cresima nel Duomo di Bergamo. Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai stare in ozio: amava le cose belle, la musi- 8 ca, la pittura, le gite in montagna. Nel 1937, la famiglia si trasferì a Quinto al Mare, presso Genova, a causa delle condizioni di salute del papà. Qui Gianna cominciò a frequentare l’Azione Cattolica ed il ginnasio-liceo classico, con impegno e risultati comuni a qualsiasi giovane. Intanto andava maturando in pienezza il suo cammino spirituale. Non si era limitata alla Comunione quotidiana: Gianna scelse la confessione settimanale dallo stesso sacerdote (un principio di direzione spirituale) e frequentò regolarmente corsi di esercizi spirituali. Proprio durante uno di questi (16-18 marzo 1938), quando aveva sedici anni, fece l’esperienza decisiva della sua vita. Nei suoi appunti scrive: «Voglio temere il peccato mortale come se fosse un serpente; mille volte morire piuttosto che offendere il Signore». Non le mancarono le prove: dovette interrompere gli studi per un anno a causa della salute (1938-39) e proprio nell’anno della maturità classica, perse la mamma (29 aprile 1942) e il papà (10 settembre). Gianna, che con fratelli e sorelle si era trasferita a Magenta, si iscrisse alla Facoltà di Medicina (prima a Milano e poi a Pavia), specializzandosi successivamente in pediatria. La sua spiritualità, intanto, andava affinandola: quotidianamente ella partecipava alla Messa; faceva la Visita al SS. Sacramento e la meditazione; recitava il Rosario. Si impegnò sempre di più nell’apostolato: amava Dio e desiderava e voleva che molti lo amassero. Così la vediamo partecipare alle Conferenze delle Dame di San Vincenzo, alla Federazione Universitari Cattolici Italiani (Fuci), all’Azione Cattolica. L’impressione che lasciava è riassunta da una sua compagna di liceo: «Gianna donava il suo sorriso aperto, pieno di dolcezza e di calma, riflesso della gioia serena e profonda dell’anima in pace». Pensò di andare missionaria laica in Brasile Gianna andava così preparandosi a rispondere alla sua vocazione, perché «dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna». Per un certo tempo pensò che la sua strada fosse andare come missionaria laica in Brasile, ma poi capì che la sua strada era il matrimonio. Nel 1954 incontrò l’uomo della sua vita, l’ingegner Pietro Molla, dirigente industriale, appartenente egli pure all’Azione Cattolica e laico impegnato nella sua parrocchia di Mesero. Amore coniugale vissuto alla luce della fede Si preparò a celebrare il «Sacramento dell’Amore» con un triduo di preghiera, che propose anche al futuro marito, al quale si unì in matrimonio il 24 settembre 1955 nella chiesa parrocchiale di San Martino in Magenta. Il loro amore coniugale fu vissuto alla luce della fede: «Ti amo tanto, Pietro, – gli scrive il 10 giugno 1955 – e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando, durante la santa messa, all’offertorio, offro, con il mio, il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante tutta la giornata fino alla sera». E poi ancora, per farci conoscere lo stile dei loro rapporti: «Come dovrei essere per renderti felice? - scrive ancora a Pietro -. Tu mi rispondi di continuare ad essere buona, affettuosa e comprensiva, come ora». Il suo sogno era di avere tanti bambini e in effetti nacquero: Pierluigi (19 novembre 1956), Maria Zita (Mariolina, 11 dicembre 1957), Laura Enrica Maria (Lauretta, 15 luglio 1959). Nel terzo mese della quarta gravidanza si presentò un fibroma all’utero. E fu l’inizio del suo olocausto. Si fece operare, chiedendo esplicitamente che il tumore fosse asportato senza compromettere la vita della creatura che aveva in grembo, pur consapevole del rischio mortale, che le si prospettava: «Non si preoccupi per me – disse al chirurgo che doveva operarla e che le presentava i pericoli cui si esponeva, continuando la gravidanza – basta che vada bene il bambino». Senza che le venisse meno il sorriso, visse in preghiera e disponibilità gli ultimi sei mesi, in attesa della nascita di Gianna Emanuela, che avvenne il Sabato Santo, 21 aprile 1962, nell’Ospedale San Gerardo di Monza. «Scegliete, e lo esigo, il bimbo. Salvate lui» Alcuni giorni prima del parto «mi disse esplicitamente – ricorda il marito –, con tono fermo e al tempo stesso sereno con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione; scegliete, e lo esigo, il bimbo. Salvate lui”. Dopo una settimana di lancinanti dolori per la peritonite settica, che era subentrata, Gianna fu riportata per suo desiderio nella sua casa di Ponte Nuovo qualche ora prima di morire alle 8 di sabato 28 aprile 1962. Sino all’ultimo nella sua agonia ripeté: «Gesù, ti amo. Gesù ti amo». Fu sepolta nel cimitero di Mesero, mentre rapidamente si diffondeva la fama di santità per la sua vita e per il gesto d’amore che l’aveva coronata. Il processo diocesano per la beatificazione si svolse a Milano (1980-1986) e a Bergamo (1980-1984). Intanto nel 1977 a Grajaù, in Brasile, era avvenuto un miracolo per sua intercessione: la guarigione di una mamma alla sua quarta gravidanza. Approvato il miracolo (1992) il Papa Giovanni Paolo II procedette alla beatificazione di Gianna il 24 aprile 1994 quale «madre di famiglia», che aveva amato sino alla fine. Durante l’anno santo del 2000, per sua intercessione, si ebbe un altro miracolo nella Diocesi di Franca (Sào Paulo, Brasile): una bimba, quarta figlia di una giovane coppia crebbe nel grembo materno, nonostante l’irrecuperabile perdita del liquido amniotico, nascendo perfettamente sana. 9 dalla lettera di Gianna al fidanzato Pietro Molla, 4 settembre 1955 La vita è un dono di Dio «Q o ancora qui davanti a me non solo dei letti e delle corsie di ospedali, dove persone malate giacevano, ma persone con ogni aspetto di povertà, cultura e stile di vita. Ognuno legato alla propria storia di dolore e di sofferenza. Alcuni di questi malati, oppressi dall'idea della malattia, vivendo l'eclisse della fede e soffocati dal rifiuto per la vita, divenivano moribondi arrabbiati con Dio fino a far la pazza proposta di eutanasia. Tuttavia tra queste persone alcune sapevano corrispondere all'altra. Dal loro letto di dolore sapevano con la sofferenza valorizzare e trarre prezioso beneficio corporale e spirituale per se e per gli altri. E la sfida dell'uomo con Dio, con il creato e con l'altro, il quale abbandonandosi a Dio ha la capacità di realizzare, elevare il dolore e sciogliere nel suo cuore l'inno di ringraziamento al Dio Creatore. Ho ancora davanti a me il lungo treno bianco pieno di malati in viaggio della speranza correre veloce sulle rotaie della ferrovia, verso la meta desiderata LOURDES luogo di solidarietà, di ritrovo spirituale, mondo di pace e di gioia profonda. Luogo della speranza cristiana! Molte di queste persone malate di ogni età e razza che ho avuto modo di incontrare e di assistere, ora non ci sono più, se ne sono andate silenziosamente, ma il loro ricordo rimarrà per sempre nel mio cuore, e nessuno mai potrà portarlo vita. L'Immacolata Maria, la samaritana delle anime, dal suo accoglieva e condivideva portando stretti con sè i disegni di Dio, e ad ogni singolo al tramonto della vita regalava il Cielo. Con questi sentimenti di affetto tessuto pian piano, giorno per giorno accanto all'ammalato, con loro e per loro anch'io dinnanzi alla Madonna Regina dei Cuori, ho sofferto, ho pregato, ho pianto. Dina Poliseno - Roma uando penso al nostro grande amore reciproco, non faccio che ringraziare il Signore. È proprio vero che l’amore è il sentimento più bello che il Signore ha posto nell’animo degli uomini. E noi ci vorremo sempre bene, come ora, Pietro. Pietro, vorrei poterti dire tutto ciò che sento e ho nel cuore, ma non sono capace, e tu che ormai bene conosci i miei sentimenti, sappimi leggere ugualmente. Pietro carissimo, sono certa che mi renderai sempre felice come lo sono ora e che il Signore esaudirà le tue preghiere, perché chieste da un cuore che Lo ha sempre amato e servito santamente... Così con l’aiuto e la benedizione di Dio faremo di tutto perché la nostra nuova famiglia abbia ad essere un piccolo cenacolo, ove Gesù regni sopra tutti i nostri affetti, desideri ed azioni. Pietro mio, mancano pochi giorni e mi sento tanto commossa ad accostarmi a ricevere il Sacramento dell’Amore. Diventiamo collaboratori di Dio nella creazione, possiamo così dare a Lui dei figli che Lo amino e Lo servano. Pietro, sarò capace di essere la sposa e la mamma che tu hai sempre desiderato? Lo voglio proprio, perché tu lo meriti e perché ti voglio tanto bene. 10 H La predica silenziosa “È facile parlare davanti alle telecamere, ma sono i fatti che contano. Questa sera sono stato io ad ascoltare una predica. Una predica senza parole, fatta di attenzione, sollecitudine, disponibilità, verso chi soffre, e mentre leggevate le motivazioni delle premiazioni, Qualcuno diceva: “L'avete fatto a me”. (Cfr Mt 25,40). C osì Padre Raniero Cantalamessa, la propria famiglia dalla quale, di fronte a gradita presenza alla VII edizione una difficoltà, ad una malattia, non si è indel premio “Il Buon Samaritano”, differenti, non si fugge. Questo ci hanno tesalutava i premiati e non, presenti alla ma- stimoniato le due famiglie premiate: quannifestazione che si è svolta il 23 maggio do c'è amore e dedizione, non si lascia soscorso alle ore 16,30, presso il teatro della lo un familiare bisognoso di sostegno, di affetto, e la condivisione, il dialogo nascono parrocchia 'La Natività” in via Gallia. Già all'inizio della festa, il Vescovo per spontanei. L'anno pastorale dedicato alla famila Pastorale Sanitaria, sua Ecc. Mons. Armando Brambilla, ideatore del premio, ave- glia, vuole farci riflettere proprio sul posto va salutato i presenti dicendo: “Il premio che, nella vita, diamo alla cura di essa. non viene dato ai superman ma a persone Quanto spazio dedichiamo all'ascolto reciproco. Come viviamo, con le persone della normali che fanno il bene tutti i giorni”. Ecco la carta di identità del “Buon Sa- nostra famiglia l'accoglienza, la tenerezza, maritano”, sia esso operatore sanitario, cap- il perdono, la preghiera. È quando si vivono questi valori che “si pellano, suora, volontario, genitore, figlio, vicino di casa, se ha il cuore attento e dona fa il bene tutti la sua presenza con disinteresse e amore, i giorni” che predica sarà capace anche di avvicinare gli altri, so- “si prattutto gli ammalati, con lo spirito pron- senza parlare”. to a cogliere il loro senso di disagio, il bi- È allora che sogno di attenzione, di un gesto di cortesia, fare il bene diventa uno stile di gentilezza. Per fare il bene non ci vogliono condi- di vita. “Sizioni particolari, non è necessario andare gnore quando negli ospedali, negli ospizi, o nelle carceri, ti vedemmo afecc... Certo questi sono luoghi dove più for- famato... assete si sente la solitudine, lo sconforto, e la persona che sa ascoltare, essere solidale, donare il suo tempo gratuitamente, che sa donare un sorriso, una carezza, è preziosa ed è accolta con riconoscenza e gratitudine. Ma luogo privilegiaPartecipanti al premio “Il Buon Samaritano” to può essere anche 11 tato... pellegrino... infermo... ?” (Cfr Mt 25,37-39). Queste persone hanno fatto il bene senza accorgersene, senza appartenere ad alcuna associazione, o essere contraddistinte da particolari segni e simboli. Numerosi i premi anche quest'anno: 37 di cui 6 alla memoria cioè a persone che non sono più tra noi fisicamente, ma che hanno lasciato l'impronta e il ricordo della loro esistenza generosa e disponibile. Tra i premiati, mi piace citare il Dott. Antonio Negro di 96 anni, medico omeopata, «... dedito al servizio e alla cura dell'ammalato con umiltà e serenità, continua ancora oggi la sua opera come strumento della divina misericordia per tante anime». Quando si vuole, la semina silenziosa del bene, dura tutta la vita anche se si è quasi centenari. La giornalista televisiva Matilde D'Erri- Il coro polifonico Going Gospel co, con abilità e garbo, ha presentato la manifestazione ed ogni premiato, leggendo le motivazioni del premio, sulla scheda personale di ognuno. Nelle due ore trascorse insieme, il coro polifonico “Going Gospel”, diretto dal M° Giacomo Dell'Orso, ci ha fatto dono di melodie e canti religiosi popolari afro-americani. Emilio, prestigiatore simpatico, spiritoso, ha saputo attirare la nostra attenzione con piccole magie e trucchi usando carte da gioco e coinvolgendo anche il pubblico. Alle 18,30 circa, dopo il saluto conclusivo del Vescovo, abbiamo chiuso la festa gustando i ...“soliti” buoni dolci e il gelato offerti da suore e volontari. Elide Rosati Alcune suore premiate 12 Volontaria ARVAS Ospedale Pertini Verso l’anno dell’Eucaristia Ciascuno di noi riceve Cristo Cristo riceve ciascuno di noi «L’incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale. Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi». (“Ecclesia de Eucharistia”, n. 22) Visita di Sua Ecc. Mons. A. Brambilla alla Casa di Cura Pio XI Il 9 maggio è stata una giornata di festa e di preghiera per le suore,per il personale,per i ricoverati e per i familiari dei pazienti della clinica Pio XI. Il Monsignor Brambilla,personalità di rilievo della Pastorale Sanitaria e uomo di grande spessore ed umanità è venuto in visita per celebrare la messa insieme al nostro cappellano,lo stimato Padre Augé. Nell'omelia Sua Eccellenza ci ha invitato alla gioia e alla misericordia come insegnamenti della Santa Pasqua e che ognuno di noi dovrebbe donare al prossimo. Il Monsignore al termine della celebrazione,ha voluto visitare uno ad uno tutti i Inabissati in un amore senza limiti «Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo corpo e nel suo sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza. Se di fronte a questo Mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti». (“Ecclesia de Eucharistia”, n. 62) Fondamento e anima della comunione familiare «In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa, l’Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l’anima della sua “comunione” e della sua “missione”». (Familiaris consortio, n.57) S.E. Mons. Armando Brambilla con la Madre Generale Maria Martinez (Cardenal Caprio) in visita alla Casa di Cura Pio XI nostri pazienti ricoverati, recandosi nelle loro stanze per dare loro la benedizione e per donare parole di conforto. La mattinata si è conclusa con la partecipazione di Sua Eccellenza alla colazione organizzata per l'occasione dalle religiose. All'evento conviviale ha partecipato anche la nostra Madre Generale, Madre Maria Martinez, che, nonostante le difficoltà derivanti dalla differenza di lingua ha affrontato con il Vescovo argomenti inerenti la vita della Congregazione verso la quale Sua Eccellenza ha dimostrato di nutrire un profondo e vivido interesse. Ringraziamo il Signore per averci dato l'opportunità di passare questa lieta giornata vissuta in fraternità e con gioia. Le Religiose di San Giuseppe di Gerona Casa di Cura Pio XI - Roma 13 e ne è andata lasciando un vasto rimpianto perché la sua è stata una presenza necessaria, preziosa, infatica- Suor Terenzia Brusola Buon Samaritano Il 23 maggio 2004 la diocesi di Roma nella persona di S. E. MONS. ARMANDO BRAMBILLA VESCOVO AUSILIARE PER LA PASTORALE SANITARIA ha consegnato il premio di Buon Samaritano alla memoria della indimenticabile e carissima Suor TERENZIA BRUSOLA Superiora della nostra Comunità delle Figlie di S. Camillo di Torpignattara e dell'Ospedale Madre Giuseppina Vannini, alla nostra Superiora Generale Madre Laura Biondo presente alla cerimonia con la sua vicaria generale Madre Serafina Dalla Porta. SUOR TERENZIA è stata fulgido esempio di amore per il Signore. Dei suoi 49 anni di vita religiosa, ben 41 li ha trascorsi a Roma dove ha svolto la sua opera di vera figlia di S. Camillo, come strumentista in sala Operatoria; dal 1976 Superiora della Casa Madre di Torpignattara. Per le sue sorelle aveva un cuore d'oro, provvedeva a tutte le loro necessità sia fisiche che spirituali. Aveva una grande carità verso i cari malati. Il suo stile era la discrezione; metteva in pratica il consiglio di Gesù "non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra". Nel 1979 il Signore le affidò il compito della trasformazione della Casa di Cura in Ospedale di Zona, un compito assai gravoso che accettò per il bene dei cari malati sull'esempio di S. Camillo che dal Crocifisso fu incoraggiato a continuare l'Opera che non era sua, ma di Gesù. Suor Terenzia si diede tutta anima e corpo sino alla fine. La sua morte fu l'eco della vita, provata duramente da una lunga malattia. Sostenne la dura lotta della morte con generosità e fiducia. Le sue ultime parole furono: Gesù vieni... confido in Te! Suor Saveria Corsi Figlia di S. Camillo 14 S bile. Era arrivata al Policlinico Gemelli nel 1981 come caposala, consolidando il già nutrito gruppo di suore di Maria Bambina che avevano fin dagli inizi atteso alla formazione del personale e all'organizzazione dei reparti che man mano andavano aprendosi. Una comunità di suore che si è sempre distinta per l'intensa vita spirituale, per lo spirito di dedizione e per la professionalità nel servizio infermieristico. Una comunità però segnata dalla sofferenza di dover assistere alla fine inesorabile di quattro consorelle consumate dal male, ma santificate dal dolore. Lei, suor Natalina ha vissuto questi ulti- Suor Natalina una memoria in benedizione mi cinque anni portandosi dentro un male incurabile, ma rivelando a tutti una inconfondibile serenità. Le forze non le consentirono più di gestire come caposala il reparto di medicina, per questo le venne affidato una straordinaria missione, sicuramente più idonea al suo carisma, quella dell'animazione umana e cristiana del Pronto Soccorso. Compito che svolse con encomiabile dedizione, con quella delicatezza materna che la faceva essere presente tra la folla dei pazienti, spesso in agitazione per le lunghe ore di attesa. Il suo sguardo si posava soprattutto sulle persone sole, sugli anziani e su chi vive- Gli ultimi mesi della malattia sono stati va l'angoscia per un familiare, in special mosommersi da sofferenze inaudite, dalla stesdo quando si trattava di bambini. Lei sola sa quante persone ha incorag- sa paura della morte, mentre le sue consogiato nel dramma della morte dei loro cari, relle le hanno riservato una continua assiquante mani di morenti ha stretto in quella stenza accompagnandola alla morte e racterapia intensiva dove il silenzio avvolge i cogliendone con grande sofferenza gli ultidegenti inchiodati al letto, sospesi tra la vi- mi respiri. La sua camera era diventata un piccolo ta e la morte. Una presenza carica di pazienza, ma an- santuario, dove nella preghiera, nel pianto che di supplica, perché i sanitari venissero e in una profonda fede si viveva insieme il aiutati a individuare le urgenze, ma anche mistero della morte, consegnando definitiad essere compresi nel loro difficile com- vamente nelle mani di Dio una vita tutta pito di attendere alle molte esigenze di co- consacrata a Lui. Possiamo dire che nella sofferenza di suor loro che arrivavano al Pronto Soccorso. Sapeva tessere rapporti di stima e di fi- Natalina una luce è restata accesa nella sua comunità, perché viducia con il personavo ne fosse il ricordo le medico e infermieNel Magnificat è presente la ten- e più viva la speranza ristico, partecipando ai loro eventi lieti o sione escatologica dell’Eucaristia. di nuove vocazioni tristi con qualche seOgni volta che il Figlio di Dio si ri- per le suore di Maria Bambina. gno particolare, non presenta a noi nella “povertà” dei Quel volto triste e ultima comunque una parola sempre illumisegni sacramentali, pane e vino, è sofferente nel dramnante. posto nel mondo il germe di que- ma della malattia, aveva con la morte Non si risparmiasta storia nuova in cui i potenti so- riacquistato la sua va specialmente al nuovo DEA, dove no “rovesciati dai troni”, e sono “in- dolcezza e la sua semattina e pomeriggio nalzati gli umili”. Maria canta quei renità, dono ancora per quanti sono paspassava le sue ore fat“cieli nuovi” e quella “terra nuova” sati a pregare davanti te di emozione, di trepidazione, di gratifiche nell’Eucaristia trovano la loro alla sua bara, esposta cazione a conferma anticipazione e in certo senso il lo- nella cappella del III piano del Policlinico della carità che espriro “disegno” programmatico. Gemelli. meva in ogni gesto. (“Ecclesia de Eucharistia”, n. 58) La veglia di preIn alcuni momenti ghiera, con la presensi apriva alla confidenza manifestando lo stupore e la com- za della Madre Generale e delle provinciamozione per le testimonianze di coraggio, li, affidava al Signore la vita religiosa che di fede che raccoglieva, ma anche per la sua con fedeltà suor Natalina aveva vissuto. Il solenne funerale, presieduto da mons. generosissima opera di carità capace di lasciare un segno anche nel cuore dei più lon- Sgreccia e da numerosi sacerdoti, con la presenza del Rettore dell'Università, il Prof. tani. Chi da lei non ha ricevuto del bene? Tut- Ornaghi, del Direttore di Sede, il dott. Cicti nei giorni della sua malattia ce ne hanno chetti, e di una numerosa folla, è stato una parlato, ricordando ognuno un particolare, testimonianza dell'affetto che tutti nutrono per le suore di Maria Bambina, che anche una parola, un episodio. Molti l'hanno definita al Pronto Soccor- in suor Natalina hanno rivelato la loro preso un angelo, evidenziando la sua parola ziosa e insostituibile missione di carità in dolce e delicata, il sorriso, la pazienza nel- mezzo a noi. l'ascoltare, ma anche la fermezza nell'interDecio Cipolloni venire. 15 Notizie sugli anni trascorsi in famiglia S r. Natalina Lazzaroni nacque a Sulzano (Brescia) il 10 giugno 1945, secondogenita di Abele Lazzaroni e di Dorina.... Prima di lei era arrivato Piero, ma ben presto la famiglia si ingrossava e arrivarono altri fratelli Giorgio, Giuseppe, Ermellina, Federica, Iole, Caterina. Erano anni difficili perché la guerra aveva lasciato nel paese i suoi segni di povertà. La famiglia pur avendo una modesta casetta e un appezzamento di terreno risentiva dei disagi e dei sacrifici del dopo guerra e la mamma spesso aiutava il marito nel lavoro duro dei campi e così a Natalina era riservato il compito di accudire i fratelli. Dal suoi racconti, coloriti sempre da aneddoti simpatici e piacevoli, emergeva la compattezza familiare, i sani principi morali, la grande fede e l'abbandono fiduciosa alla Divina Provvidenza. In questo clima sereno, ma anche bisognoso di aiuto economico Natalina venne stimolata in giovane età a procurarsi un lavoro per contribuire al sostentamento della famiglia. La scelta fu volta verso l'ambiente ospedaliero dove anche da religiosa concluderà la sua vita. Natalina aveva ricevuto come doni di natura una intelligenza pronta, era intuitiva, socievole con molta inventiva, capace di grandi atti di generosità, infaticabile nel lavoro, precisa, determinata. In famiglia ricevette un'educazione semplice, dai principi morali solidi che poi lei nel tempo seppe affinare e sviluppare in modo notevole. In contatto con la sofferenza e vicino alle suore di Maria Bambina sentì forte la chiamata verso una vita donata a Dio per i fratelli e il desiderio di vestire l'abito religioso. Tale desiderio si consolidò nell'anno 1969 mentre prestava servizio presso l'ospedale S. Anna di Como. Il rapporto con la famiglia restò sempre vivo e affettuoso; fu per loro di grande sostegno nelle necessità morali e materiali condividendo gioie, fatiche e lutti. 16 Il rovescio del ricamo in da piccola ho sentito parlare i miei genitori dei fini di Dio che sono imperscrutabili. Man mano che gli anni passavano mi rendevo conto sempre di più che i nostri disegni non sempre si identificano con i disegni di Dio. Un giorno mi hanno raccontato quanto diceva Padre Pio a questo proposito. Una mamma sedeva su una sedia e ricamava tenendo in mano un telaio, mentre la sua bambina su una sediola più piccola vedeva la parte del rovescio, perciò in tutto le sembrava molto brutto. La mamma girò il lavoro, che apparve agli occhi della bimba, in tutta la sua bellezza. Sarà così un giorno, quando andremo all'altro mondo Dio ci farà vedere e capire il senso della nostra vita dal Suo punto di vista. Ciò premesso, vorrei raccontare quanto è successo alla mia mamma: ha vissuto una vita accettando tutte le prove che Dio ha voluto mandarle. Ad ottantotto anni, per una banale caduta, si è rotta il femore. Ha dovuto subire un intervento, fatto per motivi epatici, senza anestesia totale, immaginiamo quelle tre ore in camera operatoria addormentata solo nel midollo spinale. Per grazia di Dio, la ripresa è veramente sorprendente, data l'età e i malanni. L'unico cruccio per lei: essere in clinica di riabilitazione proprio il giorno del quindicesimo anniversario della morte di papà e non potersi recare nemmeno in chiesa per offrire una Messa di Requiem. Ecco, secondo il mio modesto parere, l'intervento del cielo. Le suore della Clinica Mater Misericordiae, festeggiano il 50' della fondazione dell'istituto che opera tanto bene. Il Vescovo, che doveva presenziare la celebrazione Eucaristica, ha dato la sua disponibilità, per il giorno dieci. Su nostra richiesta è stato possibile applicare l'intenzione per il mio papà e mamma nell'istituto stesso, ha potuto assistere alla S. Messa. Una volta ancora, devo essere certa che mettersi ai piedi della Croce è l'unica norma di vita e Dio protegge chi confida in Lui. F La figlia della paziente Della Porta Gilda Ricoverata nella Clinica Mater Misericordiae Per la morte di Ida Petriconi Volontaria Vincenziana difficile dare l’addio ad una persona con la quale, sino a poche ore prima, eri insieme, ha condiviso momenti di gioia, di spiritualità; ci hai salutato dicendoci “ciao” e dopo due giorni la triste notizia. Ti prende un nodo alla gola che sembra soffocarti e tante domande vagano nel vuoto senza risposta. La morte di Ida Petriconi, nostra volontaria nell’opera S. Vincenzo de’ Paoli, ci lascia sgomenti. Uno sgomento reso ancora più cauto e doloroso per aver conosciuto la sua sensibilità, la sua disponibilità, pronta a rispondere ai bisogni di quelle persone ferite nella vita che tante volte, nel silenzio, invocano aiuto. Grazie, Ida, per l’impegno e per aver voluto condividere con noi progetti, gioie e preoccupazioni. Ti vogliamo dire “grazie” per la tua presenza materna e affettuosa nell’opera Vincenziana: sei stata una volontaria speciale. Grazie, Ida, ci rivedremo nel regno di Dio. Sarai sempre presente nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere. In questo momento così difficile, tutta l’associazione Vincenziana si stringe intorno a Claudio, ad Alessandro, a Rita e a tutti i parenti ed amici, per esprimere una commozione sincera e la partecipazione al vostro dolore. Le tue sorelle nel volontariato È Da una lettera di Suor Maria Benedetta Tenore, carmelitana di clausura Ostuni (Brindisi) C arissimo Padre Assistente Sanitario Ospedaliero, come stai? Come va la tua missione tra i malati, i medici e infermieri? Nel giorni scorsi abbiamo avuto in Ospedale una consorella (Sr. Teresa) e, facendo il mio turno di assistenza, mi sono resa conto di quanto bisogno c'è di conforto e carità tra i malati, e di buon esempio agli infermieri e ai medici. Si nota subito chi svolge questo lavoro non solo per lo stipendio, ma ce la mette tutta per aiutare chi soffre, come si nota (anche prima) chi opera con superficialità e male, e si accosta ai malati come ad oggetti, e senza rispetto per la dignità della persona. Quante volte i "pazienti" sono chiamati ad es- Omaggio ai volontari Ogni tanto senti parlar dei volontari ma è quando esperimenti l’amore che ti danno che apprezzi veramente tutto quello che fanno. Infatti se per caso sei inchiodato a un letto è proprio un gran sollievo avere un po’ d’affetto. Viene da quegli angeli e i loro bei sorrisi, sembra che ti dicano: “siamo tuoi amici!”. T’infondono coraggio un po’ come fa il sole, all’improvviso eccoli son raggi d’amore; non sanno chi tu sia però ti voglion bene come forse nessuno ancora ha fatto mai! Oreste Confalone serlo il doppio prima per la malattia e i disagi che comporta, e poi nel subire offese e atti di maleducazione. Scusami se mi sono soffermata su questi pensieri un po' di più ... è che in Ospedale, incontrando il Cappellano che veniva a portare la Comunione a Suor Teresa, mi sono ricordata di te e del tuo prezioso Apostolato. Mi sono resa conto di quanto è difficile e delicato avvicinarsi a una persona che soffre, e spesso stanno male non solo fisicamente ... E di Gesù Eucarestia che passava fra i reparti e i letti come un "clandestino", ... chi se ne accorgeva? Nessun raccoglimento, nessuna preghiera, nessuna parola per prepararsi e accogliere la Sua Presenza. Come fosse un pezzo di pane qualunque ad essere distribuito, non la Persona Viva di Gesù. Era ancora più "nascosto" tanto quanto è in chi è toccato dalla sofferenza. 17 È un capolavoro della bontà divina. Una ta e soprattutto semplice. Vogliono con tutavventura per la fede, la pazienza e ta la loro anima capire e ti seguono finché la pastorale del cappellano. ti capiscono. L'entrata in Chiesa dei miei fedeli si svolLe risposte: Rocco, testa di ferro, si è guage in pace e buon ordine. Arrivano alla spic- dagnato questo titolo sul campo. Il suo craciolata e quindi le occasioni di attrito sono nio, in primis, ha superato l'urto del verripraticamente nulle. Cesare ha l'esclusiva cello di una gru in un cantiere edile. In sedella distribuzione del libro dei canti e del- cundis, ha sfondato il vetro anteriore della lo stampato con i testi della Santa Messa, sua auto in uno scontro frontale. Eppure il corpo 20, venti. cervello funziona ancora benissimo, anche Le letture sono lette dai partecipanti. Ci se la lingua rivela un marcato accento abruzsono delle belle voci. Trovo lettrici e letto- zese. Quando prega, sembra un motore a ri per la prima lettura, il salmo responso- scoppio ritardato. C'è l'innesco della moriale, la seconda lettura e la preghiera dei glie, di cranio integro da traumi e di cervello fedeli. invidiabilmente operante, e il marito segue La notte di Pasqua abbiamo celebrato co- a tuono, ricominciando tutto daccapo. me Dio comanda. Le letture sono numeroSi ottiene così l'effetto speciale sonoro se ed allora divisi i vari brani della Scrittu- "a scoppio ritardato". Meglio lasciare perra in paragrafi. Su mia indicazione ognuno dere e rispondere con un sorriso. Grazie a leggeva la sua parte. Giuseppe si sentiva in Dio mi viene sempre spontaneo. Così ci sopiena forma. Attaccò con il primo pezzo del no brevi momenti felici per più persone. passaggio del Mar Rosso, si entuLa Comunione: Arrivano tutti siasmò e tirò dritto fino alla fiansiosi di ricevere il Corpo di La Messa ne. Ebbe fiato anche per il salGesù. Ti arrivano lenti e inemo responsoriale. Dovetti Domenicale in sorabili come i veterani di bloccarlo, se no raggiungeva Cesare. Se cerchi di mettere una casa di un la Terra Santa prima dei tempo' di ordine rischi di veriposo pi stabiliti dalla divina Provvinir travolto dalla falange delle denza. carrozzelle oppure, in seconda Per i Canti: San Pietro ha la cappella si- istanza, sei investito da robusti brontolastina e noi abbiamo la cappella si-stona. menti o da scandalizzate di ostacolare la deL'importante è il coraggio e tirare dritti fi- vozione del popolo di Dio. no alla fine. Nonostante le varie tonalità siaSi schierano all'antica, lungo tutta la limo sempre riusciti a portare a termine i va- nea frontale del presbiterio. Si procede alla ri brani musicali. La situazione si fa seria distribuzione delle sante Specie. Nelle ali quando qualcuno o qualcuna riesce a tirare estreme dello schieramento non ci sono profuori tono anche chi sta guidando l'assem- blemi: mi trovo davanti una sola fila. Il problea: allora si deve dare fiato ai mantici e blema è il centro. Ci sono tre o quattro file riportarla a stonature tollerabili. più o meno disordinate. Si deve assolutamente cantare. È la forIncomincio il rito dalle ultime file. Perma più semplice e più amata di lodare il Si- ché gli ultimi saranno i primi e perché se gnore. Qui bene cantat, bis orat. Sant'Ago- comincio dalla prima fila provoco un instino? O San Pio X? Sono i canti della non- gorgo di traffico da far concorrenza al racna e ... del nonno. Da una vita sono abitua- cordo anulare nelle ore di punta. Il modus ti a rivolgersi al Signore così e se rispettia- procedendi, a mio parere, è ineccepibile, ma mo la loro ... cultura, diamo loro un po' di provoca un brusio di disapprovazione, sbufgioia di vivere. L'anziano desidera ardente- fi e rimbrotti perché “noi siamo arrivati primente essere aiutato a gustare la vita fino ma". Un principio fondamentale mi sostiealla fine. Così la morte sarà veramente un ne: a tutti è concesso lo ius brontolandi. È passaggio a vita migliore. di istituzione divina. Borbottate pure, ma L’omelia è gradita se breve, corta, svel- qui comanda il prete. 18 Se per caso ritardo un millesimo di secondo a dare la comunione a Carolina, il relativo vocione mi intima: "Padre, ci sono anch'io". E una piccola rivincita a cui ha diritto. Era una calamità pubblica durante la messa. Un giorno la misi decisamente alla porta e ... si calmò. Quando mi arriva per la santa messa incrocia gli indici sulle labbra: è una chiara promessa di rispettare l'ordine liturgico. Quando le aggiungo una carezza, dice alla accompagnatrice: "Vedi come mi vuole bene". Vorrebbe anche le letture a caratteri cubitali. Ho provato a stamparle il Vangelo a corpo 72 (settantadue). È ancora troppo piccolo. La pace si raggiunge quando riesco ad intonare Ostia Divina oppure Inni e Canti. "Qui giochiamo in casa", mi fanno capire con gratitudine. E i miei simpaticoni riescono a tirar fuori anche l'ultimo refolo di fiato e si sentono ringiovanire di un paio d'anni. Seguono le preghiere finali, la benedizione e il saluto di commiato. Il canto finale si tralascia, perché il popolo di Dio si rimette subito in marcia, lento e deciso, verso nuovi traguardi. Alla fine qualcuno mi dice: "Una messa così dà proprio soddisfazione". Don Jean Giovanni Casa di riposo: sagrestia Dunque, Cesare ha l’esclusiva della distribuzione del libro dei canti e dello stampato con i testi della Santa Messa, corpo 20, venti. Il libro dei canti si merita una presentazione. Qualcuno li ha definiti i canti della nonna. Si parte “nel viaggio e fra i dolori” di “Andrò a vederla un dì”. Si passa “fra i tanti perigli del mortale sentiero, con la stella che guida il nocchiero” di “Vergin Santa, accogli benigna”. Purtroppo “Solchiamo un mare infido di un mondo traditore”. Grazie a Dio c’è “È l’ora che pia la squilla fedel le note ci invia dell’ave fedel”. Quando Rocco, testa di ferro, attacca questa canzone fa tremare i pilastri della Chiesa e massacra le orecchie di tutti, Madonna e Santi compresi, perché azzecca una nota su tre, quando va bene. “Dell’aurora tu sorgi più bella” è una romanza impegnativa, ma nessuna si tira indietro. Chissà perché cantano sempre “piui bella”. Vaglielo a spiegare! “Mira il tuo popolo” e “Mentre trascorre la vita” sono pezzi fondamentali per le nostre celebrazioni. Onoriamo Nostro Signore con il glorioso “Inni e canti sciogliamo fedeli”, “T’adoriam, Ostia Divina”, “A te, Signor, leviamo i cuori”. Tra i canti moderni, i più orecchiabili riscuotono il maggior successo. “Le tue mani son piene di fiori”, “Canto per Cristo che mi libererà”, “Vieni. Vieni, Spirito d’Amore”. Nelle case di riposo e negli ospedali dove ho avuto l’onore di svolgere la mia attività apostolica ho sempre composto un libretto di canti adattati all’ambiente. Credo di esserci riuscito perché i volumetti finivano sempre per diminuire. Certuni avevano la bontà di avvisare dell’appropriazione indebita, altri invece se li portavano a casa, presupponendo il permesso dell’autorità competente. E torniamo alla sagrestia. Elisabetta lavora alla retroguardia. Alla fine della Messa ritira e lava le ampolline. Spegne le candele e le lampadine dell’altare. La sua fede ne risulterebbe fortemente debilitata, se qualcuno ignorasse la sua specializzazione. Un giovane sacerdote commentò benevolmente ammirato: “Si tratta di un dogma di fede sconosciuto alla grande Chiesa”. La teologia di Carolina ha principi chiari: “La benedizione passa sette pareti”. “Preghiera nel letto, arriva fino al tetto”. “La benedizione di sette, dicesi sette, preti ottiene qualsiasi grazia da Dio Padre”. Nel mare magno della teologia medioevale si troverà sicuramente qualche appiglio di appoggio. Antonio invece ha una preghiera speciale quando le gambe fanno giacomo-giacomo: “O Gesù, tirami su”. E Gesù, per ora, lo sta puntualmente ascoltando. Quando confesso, scopro una ricca varietà di “Atti di dolore”. Qualcuno, già sù con gli anni, usa ancora il testo di San Pio X. La frase caratteristica sarebbe: “cagione della passione e morte del vostro divin figliolo”. E così Giuseppina mi chiese se Gesù fosse stato per caso di salute cagionevole. Suggeritemi una risposta, per favore. 19 Il Dalai Lama al “Santa Lucia” ome brezza di un vento veloce e leggero, tra le ore 15 e le 16 di venerdì 4 giugno, all’Ospedale S. Lucia sulla via Ardeatina, c’è stata la visita del Dalai Lama Tenzin Gyatso, monaco tibetano e guida spirituale dei buddhisti di tutto il mondo. Era di passaggio a Roma, diretto ad un meeting interreligioso di tre giorni presso il centro “Mariapoli” di Castelgandolfo. La Sua è stata come un’apparizione, senza formalità ufficiali, accompagnato in amicizia dal direttore generale del S.Lucia il dottor Luigi Amadio e dalla sorella Adriana, a cui si e unito il Presidente della Regione Francesco Storace. “Sua Santità” (titolo che nel 1973 gli è stato riconosciuto anche dal Papa Paolo VI) con molta semplicità ha fatto la prima sosta sotto il porticato dell’ospedale e nel campo, dove alcuni pazienti si stavano esercitando nella “terapia” del tiro con l’arco. È salito poi al secondo piano – il reparto che accoglie in particolare i post-comatosi – fermandosi a conversare con i degenti e con il primario la dott.ssa Rita Forinisano. È sceso quindi nella grande palestra sportiva ad incontrare la “valorosa” squadra di basket “Santa Lucia“ vincitrice di numerose com- C 20 petizioni anche a livello internazionale. Mentre stava per concludere il suo rapido giro – accompagnato dal cappellano don Carmelo -, ha salutato e abbracciato fraternamente il Cardinale Fiorenzo Angelini, che arrivava per il periodico incontro del Comitato Etico della Fondazione S. Lucia. In questa visita, anche per la rapidità e improvvisazione, non c’è stato alcun momento rituale di preghiera. Ma il Dalai Lama è passato tra noi respirando e facendo respirare la pace, l’equilibrio, la compassione: posando la mano sul capo, guardando negli occhi, incoraggiando. È uno stile che tutti possiamo imparare – come lui – nel raccoglimento che genera la pace interiore per affrontare la realtà: “cambiando ciò che è possibile cambiare e accogliendo ciò che non ci è dato di cambiare”. Egli ci ha testimoniato con naturalezza il “realismo” spirituale e umano, che sta al centro dell’esperienza buddhista. Punto di incontro in profondità fra tutte le persone, credenti e non credenti di buona volontà. Importante premessa per un autentico cammino di fede verso il Dio che è Amore. Don Carmelo Nigro Cappellano del S. Lucia Buddhismo Q uello che il mondo occidentale conosce come Buddhismo è un insieme di insegnamenti religiosi attribuiti ad una persona, Siddharta Gautama, che visse nel Nordest dell’India nel quinto secolo d.C. Dopo un cammino spirituale, all’età di 30 anni, divenne noto con il titolo onorifico di Buddha (L’Illuminato). Il Buddha non invoca influenze divine nei suoi insegnamenti che sono basati essenzialmente sulla “natura delle cose”. Per questa ragione, i suoi insegnamenti (Dharma) sono espressione di leggi immutabili di ordine naturale e morale. La realizzazione personale nel Buddhismo, quindi consiste nel vivere in accordo agli insegnamenti del Dharma, seguendo i quali si può pervenire alla particolare forma di spiritualità sperimentata dal Buddha stesso. Gli insegnamenti sono esposti nei quattro principi di base conosciuti come le “Quattro Nobili Verità”, che affermano che la vita che l’uomo conosce è imperfetta e insoddisfacente; che le cause di questa insoddisfazione sono la brama e l’ignoranza; che esiste uno stato di perfezione spirituale libero da tutte le insufficienze (Nirvana) e che la via di perfezione è il vivere rettamente, coltivando la formazione spirituale, la meditazione e la consapevolezza della vera natura della condizione umana. Il dolore (dukkha) è la base dell’intera speculazione religioso-filosofica del Buddhismo. Secondo la tradizione canonica, nel primo sermone Buddha spiega la sofferenza come la prima delle Quattro Nobili Verità: la nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza. Ma ancora, la presenza di elementi avversi è sofferenza; la separazione dalle cose amate è sofferenza; non ottenere quello che si desidera è sofferenza. Sono così sette le forme del dolore, quattro di tipo fisico e tre di tipo psicologico e le troviamo nell’intero arco della letteratura canonica del- la tradizione buddhista. Talvolta troviamo anche ulteriori espressioni per indicare il dolore, come pena, lamentazione, deiezione e disperazione. Incontestabilmente, una radicale comprensione della natura dell’esistenza costituisce l’approccio buddhista al significato della sofferenza. La visione buddhista della salute e della malattia ha basi ambivalenti. In accordo alla dottrina del Karma, l’esistenza di una persona è il risultato delle sue azioni nelle vite precedenti, ma esiste anche la possibilità di migliorare il proprio futuro stato mentale e fisico, in una vita successiva, attraverso un corretto atteggiamento mentale e attraverso una accurata attenzione ad una alimentazione semplice, ad una corretta digestione, ad uno stile di vita regolato. Nel complesso, i fedeli si mossero proprio su questi principi base non connessi con elementi dottrinali. 1 fedeli si rallegravano quando godevano buona salute, come insegna il Dhammapada (Il patto della virtù): «Noi viviamo veramente felici, liberi dalle indisposizioni tra le sofferenze. Tra gli uomini che sono sofferenti lasciateci vivere liberi dalle sofferenze!». La parola sofferenza (dukkha) include il dolore fisico, ma denota più radicalmente la profonda insoddisfazione di un modo di essere nel quale sono presenti la nascita e la morte. Questa insoddisfazione deriva proprio dal fatto che l’esistenza umana è costantemente esposta alla possibilità del dolore. In particolare, sulla base della dottrina del Karma e della rinascita in vite successive, è proprio lo sconforto che nasce dalla inevitabilità del rinascere e del rimorire con le conseguenti sofferenze, comprese il dolore e la malattia. Nessuno è immune dalla malattia. Anche il Buddha ebbe bisogno di cure mediche durante la sua vita. Il Buddhismo pone attenzione alle problematiche dell’esistenza umana non tanto per un patologico interesse per la sofferenza, quanto per incoraggiare un approccio realistico alla condizione umana. È solo da questa realistica consapevolezza che può cominciare la ricerca di un rimedio. La buo- La malattia nelle religioni 21 na salute e la libertà dal dolore sono aspetti del benessere umano altamente valutati dal Buddhismo. Quest’ultimo, in ultima analisi, vuole costituire “1a cura” per le afflizioni umane, una cura che non può essere solo condotta dalla medicina. Anche la malattia, però, ha un valore salvifico dal punto di vista spirituale. Nella prospettiva buddhista anche la malattia aiuta alla comprensione della precarietà che contraddistingue la vita umana, ove ogni realtà è in un costante stato di cambiamento, di dissolvimento, di sparizione. Comprendere questo significa comprendere la verità del non io o del non sé: nessuna permanente entità ontologica esiste in quei fenomeni corporei e mentali dell’esistenza che sono pertanto fraintesi come sé o come persona. Occorre tuttavia puntualizzare che il Buddhismo poi, calandosi nella cultura asiatica, subì l’influenza dei culti locali, in particolare di tradizioni e riti di carattere magico. La malattia, allora, poteva anche essere causata da agenti esterni alla persona, agenti soprannaturali come demoni o dei. Ancora, almeno per quanto riguarda la comunità in India e nel nord est asiatico, il Buddhismo arrivò a concepire la malattia come un malfunzionamento di elementi costitutivi del corpo umano. Un corpo umano visto come un microcosmo regolato da leggi naturali, così come l’universo è regolato da leggi di causa ed effetto. La malattia diventò così il risultato dell’iperattività o dello sconvolgimento di uno o più dei tre umori basici dell’organismo umano: Vata o Vayu (gas intestinale), Pitta (bile), Steshma o Kapha (muco). Occorre notare, in conclusione, che il Buddha stesso ebbe interesse per la medicina e, in senso più generale, per l’assistenza sanitaria. Si racconta infatti che trovato un monaco affetto da dissenteria giacente negli escrementi, insieme con il fedele discepolo Ananda ne lavò il corpo poi, successivamente, ai monaci riuniti spiegò: «Monaci, Voi non avete una madre, voi non avete un padre che possono occuparsi di voi. Se voi, monaci, non vi soccorrete sollecitamente l’un con l’altro, chi si occuperà di voi? Chiunque vuole seguire me, dovrebbe soccorrere il malato». 22 Induismo el pensiero indiano, le sofferenze umane non possono essere il frutto di un cieco destino; quest’idea non è infatti coerente con quella di una suprema coscienza divina, di una entità onnipotente e onnisciente che è puro essere, coscienza illimitata e felicità infinita (Saccidananda). Neppure l’idea di una Provvidenza divina può essere condivisa dall’Induismo, poiché non può spiegare come una tale Provvidenza possa costringere gli uomini a vivere una tormentata esistenza umana. L’Induismo risolve pertanto l’enigma affermando che il dolore è responsabilità di ciascuno, una responsabilità che è maturata, se non in questa vita, in una vita precedente. È la sequenza avidya-karma samsara, dalla quale deriva un insopprimibile desiderio di liberazione, che in sanscrito prende il nome di mumukshutva. In questa sequenza fondamentale la parola avidya significa essenzialmente “confusione”: di ciò che è permanente ed eterno con ciò che permanente ed eterno non è; di ciò che è puro con ciò che puro non è, di ciò che è gioia (sukha) con ciò che è angoscia (duhkka). Nascono così le varie soterologie indiane, che mirano a esorcizzare questa falsa identificazione, e vengono formulate le dottrine del karma e del samsara per spiegare l’origine del dolore dalle azioni dell’uomo. Il dolore è, insomma, “retribuzione”; è la conseguenza diretta dì azioni precedentemente compiute (karma), la cui potenzialità perdura, nelle innumerevoli esistenze fisiche nelle quali è destinata a trasmigrare l’anima che non ha raggiunto “1a liberazione” da queste reincarnazioni. Non si vive infatti una sola volta, ma un numero indefinito dì volte, finché per i propri meriti e per una serie di favorevoli circostanze non si giunga a conquistare la liberazione: essa, però, è un privilegio di pochi,anzi, di pochissimi, perché la grande maggioranza delle anime continuerà a vagare nel Samsara, cioè seguiterà a reincarnarsi. La liberazione, poi, non è conquista di un paradiso pieno di delizie, «ma condizione indefinibile, come una pagina bianca sulla quale solo chi l’abbia sperimentata potrebbe scrivere qualche parola», N ed è ottenibile solo con una strenua pratica spirituale. In questo quadro esistenziale, vediamo ora come si colloca la malattia. Alcune malattie hanno cause evidenti ed è meglio, perciò, classificarle fra le punizioni che tra le sofferenze. Ne consegue una diversità di effetti. La punizione, come è il caso della malattia con cause evidenti, non ha alcun valore salvifico. La sofferenza invece innalza subitamente la coscienza umana verso un misterioso fine superiore. Il castigo appartiene generalmente alla dimensione umana, mentre la sofferenza eleva ai piani della compassione e della grazia: è il mezzo più sicuro attraverso cui l’uomo arriva ad un più intimo contatto con Dio. Se, quindi, ci si chiede perché un uomo giusto patisca sofferenza e miserie e debba affrontare dei problemi di salute durante la vita, la risposta dell’induismo è che,egli stesso è stato agente del suo male nella sua vita attuale o nelle sue vite precedenti. Sì nasce ciechi, ad esempio, poiché si è peccato con gli occhi, in vita o in una vita precedente. Anche nell’induismo però coesistono al- tre concezioni sulle cause della sofferenza umana quali gli dei, il mondo materiale, l’egoismo, ecc. Quale sofferenza allora può avere valore salvifico in questa concezione negativa del dolore umano? La sofferenza autoimposta, la libera assunzione di rinunce, la pratica dì un ascetismo rigoroso possono essere espressioni di amore verso Dio e costituiscono quindi mezzi per la salvezza, cioè mezzi per “liberarsi” da un ciclo di vite e di morti. Questo sviluppo di pensiero è tuttavia successivo alle originarie concezioni dell’età dei Veda (i testi originari della rivelazione Indù) che vedeva nei riti la garanzia di prosperità e di felicità: riti purificatori ed espiatori, in particolare, provvedevano a bruciare quei “peccati” ai quali si connetteva strettamente il dolore e l’infelicità (il sanscrito enas, significa insieme “peccato” e “infelicità). Questo valeva anche per le malattie. Con il tempo però riti interiori e simbolici presero il sopravvento sui riti esteriori. M. Petrini A conclusione dell’anno sociale Per la chiusura dell’anno sociale 2003/04, noi volontari dell’Opera Ospedaliera S. Vincenzo de’ Paoli, il giorno 15 giugno eravamo presenti numerosi, guidati dalla neo presidente Lucia Di Chio e dal Sacerdote Camilliano Padre Mario Agasantis, che, con amore paterno, ci hanno guidati in pellegrinaggio a Bucchianico (Chieti), paese natio di S. Camillo. Il viaggio è stato comodo e rilassante ed abbiamo potuto osservare i prati lussureggianti e le brune montagne dell’Appennino abruzzese fra le quali si trova il piccolo e ridente Paese. Santuario del nostro S. Camillo, portatore del messaggio del Figlio di Dio e dell’amore verso i fratelli sofferenti. All’interno della Chiesa ci sono delle stupende vetrate con, al centro, la grande immagine del Santo. L’attenzione dei visitatore è colpita , in modo particolare, dalla statua lignea del Santo. L’espressione del viso di S. Camillo ci cattura al punto di avere l’impressione di essere seguiti dal suo sguardo ovunque si vada. Il Rettore del Santuario, un cordiale e simpatico sacerdote polacco, ci ha illustrato, in un perfetto italiano, oltre alla bellissima chiesa anche la Cripta con il Simulacro del Santo. Sempre nella Cripta abbiamo sostato davanti alla tomba del servo di Dio Nicola D’Onofrio, morto a soli 21 anni. Nel pomeriggio, dopo aver degustato uno squisito pranzo, siamo partiti per Manoppello (Chieti) alla Chiesa del Volto Santo, tenuta dai Frati Francescani. È stata,questa, un’esperienza indescrivibile che amerei ripetere. Il frate che ci ha illustrato la lunga storia del ritrovamento del Sacro Lino, ci ha ricordato che Gesù è con noi, presente tutti i giorni in “Carne e Sangue” nel SS. Tabernacolo ma anche in ogni fratello malato. Grazie, Signore, della gioia che ci hai dato in questo giorno vissuto nel Tuo amore con i nostri fratelli e sorelle dell’Opera Ospedaliera S. Vincenzo de’ Paoli. Letizia Orlanto 23 n esempio fulgido e recentissimo di che cosa significa essere medici ed essere cristiani. L’abbiamo nella vita di S. Giuseppe Moscati il medico santo, è un compendio vivente di etica cristiana vissuta nella professione. Tutto il suo agire è la testimonianza di una risposta ad una chiamata ritenuta speciale. Giuseppe Moscati, medico, primario ospedaliero, insigne ricercatore, docente universitario di fisiologia umana e di chimica fisiologica, visse i suoi molteplici compiti con tutto l'impegno e la serietà che l'esercizio della docenza richiedeva. Da questo punto di vista Moscati costituisce un esempio da ammirare e da imitare, non solo per gli operatori sanitari, ma anche per tutti coloro che direttamente o indirettamente sono impegnati nell'assistenza degli infermi, e per tutti gli scienziati in generale. Egli si pone come esempio anche per coloro che non condividono la nostra fede cristiana. Tuttavia fu proprio questa fede a conferire al suo impegno dimensioni e qualità nuove, quelle di uno scienziato laico ed autenticamente cristiano. Grazie ad esse gli aspetti professionali, nella sua vita, si sono integrati armoniosamente fra loro, e si sostenevano l'un l'altro, per essere vissuti come risposta ad una vocazione e quindi come collaborazione al piano creatore e redentivo di Dio. Per indole e per vocazione Moscati era innanzitutto un medico che curava: il rispondere alle necessità degli uomini ed alle loro sofferenze fu per lui un bisogno imperioso ed imprescindibile. Il dolore di che era malato, giungeva a lui come il grido del fratello per il quale, un altro fratello, il medico, doveva accorrere con sollecitudine ed amore. Il movente della sua attività non fu dunque solo il dovere professionale, ma la consapevolezza di essere stato posto da Dio nel mondo per operare secondo i suoi piani, per apportare con amore, il sollievo che la scienza medica poteva offrire a lenimento del dolore e riconquista della salute fisica. U Memore delle parole del Signore: "Ero malato e mi avete visitato" (Mt 25,36), Moscati vedeva Cristo stesso nel malato, che nella sua condizione di malattia, si rivolgeva a lui invocando attenzione ed aiuto. Vedeva una persona, non un corpo bisognoso di cure. Il medico non ha di fronte a sé una persona malata, ma ha l'intera umanità a cui deve rispondere o in termini di amore o in termini di rigetto. Ecco la polivalenza dell'insegnamento di Giuseppe Moscati. Nel costante rapporto con Dio, egli trovava la luce per meglio comprendere e diagnosticare le malattie e, nello stesso tempo, il calore umano per essere vicino a coloro che, soffrendo, attendevano il medico a cui potersi affidare. Da questo profondo e costante riferimento a Dio, egli traeva la forza che lo sosteneva e che gli permetteva di vivere con integra onestà e assoluta rettitudine sia nell'ambiente quotidiano che nell'amcristiano biente scientifico, di cui godeva del massimo rispetto. Egli era il "maestro", il Primario Ospedaliero che non ambiva a posizioni: se queste gli venivano attribuite era perché i suoi meriti non potevano essere negati, e quando occupò posti di rilievo, seppe esercitare l'autorità con grande rettitudine e generosità verso i colleghi, gli studenti ed i malati. Uomo integro e cristiano coerente, non esitava a denunciare gli abusi, adoperandosi per demolire prassi e sistemi che andavano a detrimento della vera professionalità e dello spirito scientifico, a danno degli infermi e degli studenti. A questi ultimi sentiva forte il desiderio di trasmettere il meglio delle proprie cognizioni. Gli studenti sono i medici del domani. Cosciente di ciò faceva di tutto affinché non venisse in alcun modo mortificata la loro preparazione e formazione. Preparazione e formazione che innanzitutto dovevano essere incarnate dall'esempio personale. Perfino la morte lo colse mentre stava visitando un'inferma. L’agire medico come atto di amore 24 Ogni aspetto della vita di questo "laico", medico e santo, ci appare animato da quella nota che è la più tipica del cristiano coerente alla propria fede: l'amore che Cristo ha lasciato ai suoi seguaci come "comandamento". Di questa sua personale esperienza del valore centrale del cristianesimo nella scienza e nella vita, egli ha lasciato numerose tracce nel suoi scritti. Sono parole che suonano come un testamento, da una parte, e come una grande dichiarazione etica dall'altra, e con le quali desidero chiudere questo paragrafo, cosciente anche io, con lui e come lui, di essere Suo strumento, parte di questo Suo grande progetto d'Amore: "Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo; solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza, ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più altro ascenso, se si dedicheranno al bene. La sofferenza umana, nel Diario di Padre Jordan Mi pare doveroso per un salvatoriano rappresentare il pensiero e la spiritualità, a tal proposito, del Servo di Dio Padre Francesco Maria della Croce Jordan, Fondatore di Salvatoriani e delle Salvatoriane. Egli, da subito, aveva avuto la profetica intuizione di quanto fosse importante l'apostolato dei laici nella Chiesa. Cercò in tutte le maniere di raccogliere intorno a sé tutte quelle categorie professionali che per la loro specificità potevano diventare fucine di formazione di autentici messaggeri di Cristo. Aveva in gran cuore i medici, gli imprenditori, gli educatori, gli amministratori dello stato, e perfino i ristoratori. Aveva in gran cuore, insomma, tutti coloro a cui sarebbe stato sufficiente testimoniare con la loro vita l'amore per Gesù, perché ciò fosse colto simultaneamente da tante anime in cerca del sollievo della fede. Ma Padre Jordan è stato anche un uomo che ha molto sofferto. La mole di lavoro e le difficoltà che sono insorte nel cammino di costruzione della sua imponente opera apostolica non lo avevano risparmiato sia nel corpo che nella mente, ma mai nello spirito. Saldo nella sua fede in Dio e nella Provvidenza ha sempre tirato diritto per la strada indicata dal Signore. Questa sofferenza diretta appare spesso nel Diario, ma non è la sua personale tribolazione che voglio mettere in risalto, bensì la sua sensibilità alla sofferenza degli altri ed il mandato che egli affida ai suoi figli spirituali per l'attualizzazione del messaggio evangelico. Nel suo Diario Spirituale egli così scrive: “Consola gli afflitti specialmente quelli che sopportano gravi mali psichici, non dimenticare mai che compi un'opera molto gradita a Dio; l'Eterno Padre ha invero mandato al Divin Figlio nell'orto degli ulivi, un angelo dal cielo per confortare il Salvatore, triste fino alla morte, e tu vorresti venire meno ai tuoi simili malati? In caso che tu ascolti confessioni, sii specialmente compassionevole e consolatore verso le anime molto provate”. Questa pagina da sola dice tutto! Il riferimento alle malattie psichiche non deve sviare dalla portata molto più ampia di questo testamento, e così pure il riferimento alla confessione che non deve essere visto solo in un'ottica sacramentale. Ognuno di noi, nel momento in cui visita un ammalato si trova di fronte ad un'anima tribolata nella mente, nel corpo e nello spirito. Come sento vicini fra loro San Giuseppe Moscati e Padre Jordan. Il primo interprete magistrale dell'amore di Cristo, il secondo potente motore spirituale. Volendo tradurre il passo del Diario SpiIl medico è sempre al servizio della vita 25 rituale in un messaggio esplicito, è come se Padre Jordan ci avesse lasciato questo mandato spirituale: “Solo vivendo il Vangelo nel mondo della sofferenza, facendosi Cristo Servo per l'uomo che patisce, si può trasformare una professione in una missione, un atto medico in un'opera apostolica”. In quanto tale sempre sottoposta alla supervisione di Colui il quale ci ha dato gli strumenti per compierla. Dobbiamo chiederci se vogliamo raccogliere la sfida del mondo secolare, se vogliamo brillare sopra il moggio in quanto cristiani ed in quanto operatori sanitari, se vogliamo, con semplicità, essere parte di questa opera apostolica, a cui Cristo malato e sofferente ci chiama. Per questo è importante il confronto, per donarci reciprocamente il nostro sapere mettendo al bando le chiusure e gli egoismi scientifici, per valutare che fare del domani. “Che tutti conoscano Te, l'unico vero Dio e Colui che hai mandato Gesù Cristo” (Gv 17,3) Per noi operatori sanitari, il quando ed il come questa missione può essere tradotta nella prassi, si può riconoscere nel passo del diario di Padre Jordan che da tutti i Salvatoriani è riconosciuto come l'icona del mandato spirituale. “Finché c'è un solo uomo sulla terra, che non conosce e ama Dio sopra ogni cosa, non t'è permesso riposare un momento. Finché Dio non sia glorificato dappertutto, non t'è permesso riposare un momento. Finché la regina del Cielo e della Terra non venga onorata dappertutto, non t'è permesso riposare un momento. Nessun sacrificio, nessuna croce, nessun soffrire, nessuna desolazione, nessuna tribolazione, nessun attacco, oh nulla ti sia troppo difficile con la grazia di Dio. Posso tutto in Colui che mi conforta”. Cristo sofferente ci attende: dietro l’angolo, nel nostro studio, nell’ospedale. A noi, e solo a noi, non rimane che dire: “Eccomi Signore, fammi strumento del tuo grande progetto d’Amore”. Dr. Ermes Luparia 26 VERSO L’ANNO DELL’EUCARISTIA Fate quello che vi dirà «Mysterium fidei! Se l’Eucaristia è mistero di fede, che supera tanto il nostro intelletto da obbligarci al più puro abbandono alla parola di Dio, nessuno come Maria può esserci di sostegno e di guida in simile atteggiamento. Il nostro ripetere il gesto di Cristo nell’Ultima Cena in adempimento del suo mandato: “Fate questo in memoria di me!” diventa al tempo stesso accoglimento dell’invito di Maria ad obbedirgli senza esitazione. “Fate quello che vi dirà”». (“Ecclesia de Eucharistia”, n. 54) Preghiera dell’infermiera Signore, che sai essere mio dovere assistere gli ammalati, fa’ ch’io li serva non con le mani soltanto, ma ancora col cuore; fa’ ch’io li ami. Signore, che hai avuto pietà per ogni umana sofferenza, rendi forte il mio spirito, sicuro il mio braccio nel curare gli infermi, nel medicare i feriti, nel sorreggere gli straziati e i morenti, ma conserva sensibile l’animo mio al dolore altrui; gentile la mia parola, dolce il mio tratto, paziente la mia veglia. Signore, che hai creato l’umana natura composta di anima e di corpo, infondimi rispetto per l’una e per l’altro, insegnami a consolare l’anima afflitta curando il corpo infermo. Signore, che hai detto essere fatto a Te il bene prodigato ai sofferenti, dammi di vedere Te in essi ed essi in Te. Signore, che hai promesso di non lasciare senza premio nemmeno un bicchier d’acqua dato per amor Tuo, riserva la ricompensa che Tu solo puoi dare a questo mio lavoro, ch’io voglio compiere con pietà e con amore. E Tu, Maria, consolatrice degli afflitti e salute degli infermi, sii anche per me maestra sapiente e madre benigna. Così sia. Psicologia, Religione, Paranormale: quali risposte alla malattia ia la risposta religiosa che quella psi- nesi e non verificabili al vaglio della ricercologica alla malattia, hanno un loro ca e alla luce della fede. Faccio riferimenfondamento di validità per consenti- to alla cosiddetta “altra medicina” che spare una guarigione, o nella ipotesi meno fa- zia dal guaritore occidentale allo sciamano vorevole, possono arrecare sollievo alla con- africano e che per lo più riconosce il suo dizione di sofferenza. Infatti la validità del- momento operativo nella capacità suggela risposta religiosa è riscontrabile non so- stiva che indubbiamente l’operatore poslo in quegli eventi eccezionali e numerica- siede e utilizza per influenzare, agendo sulmente assai limitati dalla grande prudenza la mente, le problematiche corporee. Tutt’aldella Chiesa, che vengono definiti “mira- tra cosa, ben s’intende, è tutto quel corredo coli”, perché danno luogo a guarigioni scien- di manifestazioni che possono esplodere in tificamente incomprensibili; ma anche nel- certe persone e che trovano la loro origine la forza della preghiera, nell’ascolto della in una altra dimensione, quella ultraterrena, parola di Dio, nel Sacramento della Unzio- e che si manifesta come presenza diaboline degli infermi e nelca. Quì è richiesto la Eucarestia. Queste l’intervento di un sapratiche assumono il cerdote esorcista, cui significato di potente la Chiesa affida lo valore terapeutico, per specifico mandato di il validissimo sosteliberare dalla possesgno che offrono al sofsione satanica. È noto ferente, nel suo lungo che questi casi rappercorso di recupero presentano una esigua della salute. La rispominoranza, se rapporsta psicologica, trovetati alla enorme prerebbe la sua motivavalenza di quelli rizione in quel meccaconducibili ai comuni nismo che regola le disagi psichici. La manifestazioni psico- La vita è come un fiore che sboccia Foto Wilson Chiesa riconosce il desomatiche che produmonio come essere cono alcuni quadri nosologici ben conosciuti determinato e non come semplice espresdalla clinica. L’attualità delle conoscenze, sione simbolica del male. La Chiesa consiin tema di psicosomatica, accredita il con- dera altresì il “satanismo”, che legge come cetto di “regressione riorganizzatrice” che una realtà negativa, sia nella sua manifeconsentirebbe l’attivazione di un processo stazione di culto del Maligno, sia nella sua di guarigione per alcune patologie. Sono realtà di gruppi dediti a quel culto, e lo afpersuaso che una collaborazione tra psico- fronta con un approfondimento della sua coterapeuta e direttore spirituale, pur nella op- noscenza attraverso uno studio rigoroso del portuna distinzione dei ruoli e degli ambiti fenomeno, per poi fornire una adeguata rispettivi, può essere assai utile per favori- informazione ai sacerdoti. Con questo atre il riequilibrio psico-emotivo di una per- teggiamento pastorale, la Chiesa, conscia sona turbata dalla sofferenza. Dirò con fran- della sua missione evangelizzatrice, partechezza, che a me sembra più ardua la com- cipa ai fedeli l’annuncio salvifico di Cristo prensione del fenomeno paranormale, la cui e li invita a rinunciare a Satana e quindi al incerta risposta proviene da mezze verità peccato. non facilmente identificabili nella loro geSergio Mancinelli S 27 ovvio che aumentando sempre più l’età sia inevitabile un correlativo incremento della disabilità, egualmente nei due sessi anche se le donne sembrino più facilmente colpite: in Italia oggi l’aspettativa di vita con disabilità è pari a 5,4 anni negli uomini ed a 6,7 nelle donne. Disabilità diversificate in rapporto a tre principali aree dello stato funzionale: 1) le attività basilari nella vita quotidiana (ADL: Activities of daily living); 2) le attività strumentali (IADL: Instrumental activities of daily living); 3) le attività avanzate (ADL: Avvanced activities of daily living). Tutte forme in sé molto limitative e quindi gravi per la libertà di movimento e che rendono necessaria la disponibilità di un’assistenza non potendo l’anziano vivere da solo e gestirsi la sua vita. Grave è quindi soprattutto la disabilità per la vita quotidiana, che purtroppo passa dal 14% circa nella fascia di età tra 6569 anni negli uomini fino ad oltre il 40% negli ultraottantenni, mentre nelle donne si giunge ad una prevalenza di circa il 50%. Il numero degli anziani che lamentano difficoltà nelle attività strumentali è ancora maggiore. Si distingue anche una “disabilità catastrofica”, ovvero immediata, dovuta ad un ictus, ovvero ad una frattura di femore, oppure una “disabilità progressiva”, che decorre lentamente ed in modo evolutivo, anche senza una causa ben precisa, prevalente nei grandi anziani. Oggi il rischio di una disabilità catastrofica è aumentato di sette volte, mentre quella progressiva di oltre venti volte per l’anziano, anche perché essa si accompagna ad un peggiore stato di salute, uno scadimento della qualità di vita, ad un ulteriore aumento del rischio per altre disabilità e quindi di mortalità, il tutto in un costo enorme dell’assistenza ospedaliera e principalmente domiciliare. Difficile è fare una classificazione delle disabilità per la variabilità e le combinazioni associative per organi ed apparati, però le cause sono più facilmente individuabili e È rientranti in tre moventi fondamentali: l’invecchiamento, le malattie, lo stile di vita inadeguato, inteso questo come sedentarietà, alimentazione scorretta con fumo ed alcool; il tutto in un contesto socio-economico ed ambientale, nonché in rapporto alle strutture sanitarie di cui può servirsi l’anziano. Disabilità che implicano la riduzione delle capacità funzionali dei diversi apparati e sistemi organici, quali soprattutto l’apparato cardiovascolare, il sistema nervoso, il complesso osteo-articolare e muscolare, la minore capacità aerobica caratteristica dell’anziano, il cui principale indice è il consumo massimo di ossigeno in rapporto all’efficienza dell’apparato cardio-respiratorio e muscolare insieme, tutti più o meno compromessi. Se l’invecchiamento e le malattie correlate hanno un peso alquanto significativo, lo stile di vita sedentario costituisce il punto di rottura a favore delle disabilità, vale a dire dell’immobilità e quindi della dipendenza. Numerosi studi epidemiologici evidenziano la correlazione positiva tra il livello di attività fisica e quelle di autonomia funzionale, dimostrando che uno stile di vita si associa con un minore rischio di disabilità nell’anziano, tanto che si può affermare che l’attività fisica rappresenta un farmaco estremamente promettente per la prevenzione della disabilità nell’anziano, ivi compresi anche gli aspetti psicologici e mentali, oltre che fisici: attività fisica che tanto concorre per il miglioramento del benessere generale. La disabilità è un problema sociale, che non va affrontato secondo la logica del mero assistenzialismo, ma soprattutto stimolando l’anziano alla partecipazione della vita attiva, favorendo l’accesso dei disabili agli strumenti informatici e promuovendo modelli comportamentali e stili di vita positivi e socialmente condivisi. Del resto i centenari hanno sempre condotto una vita salutare, seguendo con attenta scrupolosità la dieta mediterranea, astenendosi da fumo La disabilità nell’anziano 28 ed alcool (s’intende nei modi eccessivi) e mantenendo un buon livello di attività fisica. Già l’ONU nel 1992 deliberò che il 3 dicembre di ogni anno fosse dichiarato “Giornata Internazionale delle persone disabili; l’Unione Europea ha dichiarato il 2003 “l’Anno Europeo delle persone con disabilità”, ed a tal proposito si è già tenuta a Bari nel febbraio scorso la seconda conferenza nazionale sulle politiche della disabilità, e nel dicembre prossimo si terranno a Ro- ma le giornate conclusive, nel corso delle quali il Governo farà una prima verifica sullo stato di attuazione del programma di Bari. In Italia vi sono circa tre milioni di disabili; che non vanno affatto abbandonati e quindi emarginati: essi umanamente e con diritto richiedono la dovuta attenzione del Governo e della collettività tutta! Carmine Melino Docente Igiene Università “La Sapienza” Roma BRICIOLE DI SAGGEZZA Messaggio per un’aquila che si crede un pollo Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una gallina. L’aquilotto nacque insieme alla covata di pulcini e crebbe con loro. Per tutta la sua vita l’aquila, credendo di essere un pollo, fece ciò che facevano i polli: razzolava in cerca di vermi e insetti, chiocciava e faceva coccodè. A volte la notte sognava di volare in alto ad ali spiegate, sentiva che era quello il suo posto. Il cuore le batteva forte per la gioia e la sensazione di libertà. Si sentiva felice, ma poi si svegliava di soprassalto e con grande delusione si ritrovava nel pollaio in mezzo alle altre galline. “Che bel sogno” pensava... “Le mie ali sono più grandi di quelle degli altri polli, forse potrei provare...”. E quando nessuno la vedeva, tentava di alzarsi da terra e fare un piccolo volo, ma la paura di non riuscire e di rivelarsi diversa dagli altri le facevano subito cambiare idea. Gli anni passarono e l’aquila divenne vecchia. Un giorno vide molto alto sopra di lei nel cielo limpido un magnifico uccello che fluttuava maestoso e pieno di grazia, tra le forti correnti dei venti battendo di tanto in tanto le sue possenti ali dorate. La vecchia aquila lo osservò piena di reverenziale timore. “Chi è quello?”, chiese al suo vicino. “È l’aquila, la regina degli uccelli”, il vicino rispose. “Ma non ci pensare. Tu ed io siamo diversi da lei”. Così l’aquila non ci pensò più e morì pensando di essere una gallina. Rielaborato da Elide Rosati da "Riscopri te stesso e riprenditi la vita" di Anthony De Mello LA RETE Ma tu lo sai di cosa è fatta una rete? Una rete è fatta di vuoti, è fatta d’aria, è fatta di vento e di luce ... è fatta di un niente ... e poco altro ... Eppure... una rete sa abbracciare con dolcezza, sa trattenere pesci guizzanti, sa trascinare carichi e sollevare pesi incredibili, rimargina ferite, assorbe urti, imbriglia massi pericolanti, tiene insieme e non imprigiona, protegge, nasconde, salva ... Una rete è forte e leggera, sa far vedere senza essere vista, impedisce e consente, lega e non costringe ... A una rete ti aggrappi, ti sostieni, risali ... Ecco, la famiglia è una “rete”; quando si tace e quando si ha paura, quando si piange e quando si discute, quando in casa fa freddo e non si parla, quando da “uno” si diventa “tanti”, quando le braccia si tengono conserte, le mani sono chiuse e gli occhi bassi, quando la porta invoglia a andare via ... E se un filo si rompe a questa rete ... che un Buon Pastore mi raccolga e, seduto da parte sulla spiaggia, con pazienza ed Amore, mi ripari: sono una “madre”, quel “poco altro” di una rete .... Anna Maria Cardillo Volontaria ASVEP 29 Agli Operatori Sanitari della sala operatoria Ospedale Sandro Pertini L'intervento chirurgico L'esperienze de la vita già se sa so' diverse, so' a sorpresa. Te potrebbe capità che te devi operà. Stai attento, fatte furbo, nun annà da chi è de turno. Scej prima 'no spedale andò trovi er personale che è capace de curà e che cià l'umanità. Ar Pertini so' gajardi e so' pieni de riguardi. Vai tranquillo, sei curato, nun te senti trascurato e si proprio te va bene... esci sano e ... te conviene ... Tosta e stretta la barella ma ce sali, te sistemi e te viè er mar de reni Fai 'na bella scarozzata l'occhi fissi su ar soffitto e giù pensi che sei ... fritto...! Se spalancheno le porte: è la sala operatoria sei arivato! E' er traguardo! Co' la strizza che ciai sempre 'na preghiera è ricorente: "Dio me assista!" e incominci a incontrà l'anestesista. Te accarezza, te incoraggia nun te vo' vedè depresso e der braccio se impossessa. Co' tocco delicato la mejo vena ha già trovato Quanno er giorno è stabilito nun ce poi ripensà. C'è la strizza che t'affligge e è dura da sconfigge, ma te fingi coraggioso, forte, ardito e spiritoso. Alle sei de la matina quanno dormi e stai a sognà che te stanno già a tajà, te vengheno a svejà e te fanno spaventà. Ma è la prassi che a quell'ora la pressione co' la febbre te se deve controllà. Se avvicina er momento e te pija lo sgomento ma er pensiero tuo se perde quanno ariva er camicione verde. Er corpo denudato obbedisce, un po' scocciato ... nun azzarda resistenza, se fa' chiude ner saio de la penitenza. 30 Medico e medicina alleati per la persona umana mentre osservi e stai sicuro t'arifila er primo buco. 'Na bottija appesa in arto, goccia drento ar sangue tuo e se mischia co' la vita. E' la flebo che prepara l'organismo e lo mette in condizione de affrontà l'operazione. Doppo 'sti preliminari sei ridotto già 'no straccio, la schiena ce l'hai rotta e pe' daje nartra botta: vai o finì sur tovolaccio... Tutti attorno... sei accerchiato... Mani e piedi sei legato, è allora che te chiedi: "Ma chi me cià mannato!" Nun fai in tempo a avé paura già te fanno la puntura che te dà lo stordimento, te riduce all'impotenza, te fa perde conoscenza. Nelle nebbia scivolato te sei bell'e addormentato, nelle mani der chirurgo l'esistenza hai consegnato. Er risvejo è 'na tragedia! Te pare de tornà dall'ar di là... Te senti sgrullà, te senti chiamà e nur riesci a parlà ... Sei sbilenco, sei scassato...! Ma er peggio è passato. La mente è sollevata, soridi ancora alla vita e a chi te l'ha sarvata. Roma 28 maggio 2004 Elide Rosati Volontaria ARVAS Ospedale Pertini Un impegno tra i sofferenti che si protrae da cent’anni Sono trascorsi cento anni da quando nel 1903 i primi treni bianchi dell'Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali) sono giunti per la prima volta a Lourdes con il loro carico di sofferenza e di speranze; e dopo un secolo di attività, l'associazione celebra l'evento fra convegni e proposte per il futuro. La nascita dell'Unione L'Unitalsi, nata spontaneamente dall'iniziativa di un gruppo di laici di assistere i malati nel loro pellegrinaggio verso il santuario di Lourdes, ha raggiunto oggi i 300.000 associati fra volontari e disabili, ed è presente in ogni diocesi. In occasione del suo centenario, che coincide con l'Anno Europeo per la Disabilità istituito dall'Unione europea, l'Unitalsi ha organizzato incontri e progetti per definire una linea di interventi che possa essere innovativa, pur rimanendo nell'ambito delle attività tradizionali. I pellegrinaggi a Lourdes "Fulcro centrale dell'Unitalsi rimarranno i pellegrinaggi a Lourdes", ha spiegato Antonio Diella, presidente nazionale dell'associazione, durante la presentazione dei progetti che si è tenuta nei giorni scorsi presso la sala della Sacrestia della Camera dei Deputati a Roma., "L'atmosfera che si instaura durante quelle giornate trascorse al servizio dei sofferenti costituirà sempre il cuore pulsante dell'intera organizzazione. Tuttavia – ha aggiunto – la speranza non è un dono che si può offrire unicamente per qualche settimana all'anno, ma deve essere un valore in crescita, ed è per questo che l'Unitalsi intende intensificare le sue iniziative nel campo sociale ed assistenziale. Case famiglia, assistenza particolare per i bambini e centri di consulenza saranno gli strumenti con i quali l'associazione sarà, maggiormente presente nel territorio". Ad esempio, i barellieri e le dame dei tre- 31 ni bianchi ricopriranno anche ruoli di assistenti sociali, rimanendo vicini agli ammalati e ai disabili anche dopo i pellegrinaggi. Fra i progetti in cantiere vi sono: tre case famiglie per disabili soli nelle province di Pisa, Potenza e Lecce, nelle quali gli ospiti, pur essendo costantemente assistiti dai volontari, possono ritrovare la propria autonomia; l'ampliamento delle strutture di accoglienza nei pressi dei maggiori ospedali pediatrici nazionali per i familiari di bambini ricoverati e la costituzione di cooperative sociali per il sostegno e l'integrazione dei disabili nel mondo del lavoro. In ultimo, in collaborazione con il WWF, è compresa anche la realizzazione in alcune oasi naturali italiane di percorsi adatti ai disabili, sia fisici che mentali. Questi progetti saranno illustrati in questo fine settimana a Rimini durante un convegno al quale sono invitati, insieme a tutti gli associati, rappresentanti delle istituzioni. Poi, in aprile, sarà indetta la seconda edizione della giornata nazionale dell'Unitalsi, durante la quale verranno distribuite, in tutte le piazze italiane oltre 8000 piantine per il sostegno dei bambini poveri del mondo. Sempre a favore della solidarietà nei confronti dei piccoli, provenienti dai Paesi particolarmente poveri come l'Eritrea, l'Etiopia, la Palestina e la Nuova Guinea, le sezioni regionali dell'Unitalsi organizzeranno a fine giugno un pellegrinaggio a Lourdes dove, assieme ai bambini italiani, verranno ospitati anche quelli provenienti da questi Paesi. In occasione del viaggio verranno co- stituiti dei gemellaggi con le istituzioni locali per avviare iniziative volte a migliorare le loro condizioni di vita. Concluderà il calendario il tradizionale pellegrinaggio di fine estate al quale, come ogni anno, parteciperanno oltre duemila malati accompagnati da più di cinquemila volontari. La nascita delle Case famiglia Già da alcuni anni, comunque, l'associazione ha intensificato il suo impegno sociale con l'istituzione nel 1995 a Lourdes, di una struttura di accoglienza nella quale vengono ospitati circa 35.000 ammalati e disabili ogni anno. Sono state create inoltre delle case famiglia presso gli ospedali pediatrici del Bambino Gesù di Roma e del Santobono di Napoli, e sono stati organizzati soggiorni estivi ed invernali per disabili. Secondo gli ultimi dati forniti dall'Unitalsi, nell'arco del 2001, ai pellegrinaggi organizzati dalle 19 sezioni regionali hanno partecipato circa 90.000 persone, che hanno raggiunto Lourdes con 150 treni speciali, 56 pullman e 10 aerei. «La carità, deve trasformarsi in uno stile di vita – ha sottolineato Mons. Luigi Moretti, padre spirituale dell'Unitalsi – un sostegno costante per chi soffre anche quando si ritorna a casa dopo il pellegrinaggio. Riconosciuta oggi come un'associazione pubblica di fedeli, l'Unitalsi rispecchia la missione di solidarietà condotta dalla Chiesa e da tutti i credenti». Rita Dietrich 2º Corso per i Volontari IN CURE PALLIATIVE “Assistenza al Malato Oncologico Terminale presso l’Hospice “Villa Speranza” Aula Didattica Hospice “Villa Speranza” 17.00-18.30 Roma, Settembre-Novembre 2004 Coordinatori: Turriziani Adriana, Scopa Anna Iscrizione e segreteria: Patrizi Lucilla - Tel. 06.30154429 - Fax 06.3058721 E-mail: [email protected] Sede del Corso: Aula Didattica - Hospice Oncologico “Villa Speranza” Via Pineta Sacchetti, 235 - 00168 Roma - Tel. 06.3053262 32