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Ottobre '09
a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini
Numero Ottobre '09
Numero Ottobre '09
EDITORIALE
Anche quest’anno, come da tradizione, l’editoriale di ottobre è dedicato al premio “Fuori dal
Mucchio”, riconoscimento giunto ormai alla sua dodicesima edizione e riservato a quello che,
a nostro giudizio, è stato il migliore esordio discografico ufficiale sulla lunga distanza - e
quindi niente EP, CD-R, demo, MP3 o singoli - della stagione appena terminata, nello
specifico quella compresa tra settembre 2008 e agosto 2009.
A decretare il vincitore sarà una giuria composta dal nostro staff con l’aggiunta di alcuni
ospiti esterni tra i più attenti a quanto accade nell’ambito del rock tricolore.
Per quanto riguarda la lista delle venticinque nomination, vi rimandiamo ai primi giorni della
prossima settimana, quando sarà annunciata nello spazio delle news del nostro sito Internet.
Il nome del vincitore, invece, sarà rivelato nel prossimo editoriale di “Fuori dal Mucchio”,
mentre la premiazione, come sempre, avrà luogo nell’ambito del MEI di Faenza (RA), il
Meeting delle Etichette Indipendenti e delle produzioni, quest’anno in programma dal 27 al
29 di novembre.
Non ci rimane quindi altro da fare che darvi appuntamento a tra un mese, per scoprire titolo
e autore del disco che si andrà ad aggiunge a un Albo d’oro comprendente, nell’ordine,
“Ogni città avrà il tuo nome” dei Santa Sangre, “Tempo di vento” di Lalli, “Sussidiario
illustrato della giovinezza” dei Baustelle, “Rise And Fall Of Academic Drifting” dei Giardini di
Mirò, “Capellirame” dei Valentina Dorme, “The Mistercervello LP” degli es, “Pai Nai” dei
Methel & Lord, “Socialismo tascabile” degli Offlaga Disco Pax, “Setback On The Right Track”
dei Tellaro, “I Am The Creature” dei MiceCars e “Canzoni da spiaggia deturpata” de Le Luci
della Centrale Elettrica.
In bocca al lupo ai partecipanti, allora, buon lavoro ai giurati e, a voi tutti, buona lettura e
buoni ascolti.
Aurelio Pasini
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Numero Ottobre '09
Albanopower
Non è facile registrare un disco d’esordio che sia al tempo stesso convincente, propositivo e
godibile da ascoltare. Gli Albanopower ce l’hanno fatta. Il loro “Maria’s Day” (42
Records/Halidon) riesce ad essere un disco zeppo di citazioni musicali varie ed eterogenee
con un’anima è un progetto di un certo tipo alle spalle. Ne parliamo con Lorenzo.
Prima di tutto: complimenti. Tra i dischi italiani usciti quest’anno, “Maria’s Day” è
sicuramente quello più eclettico e con i riferimenti più variegati ed insoliti. Come siete
arrivati alla formula di questo disco? Riuscite a tracciare una sorta di percorso della
band?
Prima di tutto: grazie per il complimento. È vero, il disco è pieno di riferimenti e mi fa piacere
che qualcuno ogni tanto se ne accorga. “Maria’s Day” ha avuto una lunghissima gestazione
(un anno circa), i motivi sono vari. Lo abbiamo arrangiato, pensato, suonato, missato, amato
e odiato in due: io e Toti. Inizialmente con pochissime macchine, via via abbiamo arricchito
lo studio con pre-amp, nuovi microfoni e una miriade di strumenti e strumentini acustici ed
elettrici. Si è fatto un vero e proprio percorso di ricerca sonora, vedendo film, ascoltando
vecchi vinili, girando per Siracusa con gli iPod pieni zeppi di “rock”, leggendo libri, fumetti,
andando ai concerti, tutte cose che inconsciamente (e non) sono andate a confluire sul
disco in fase di registrazione.
Trovo che il punto di forza del disco siano i suoni. Spesso si ascoltano dischi poco
curati, volutamente sciatti. La vostra proposta invece vede il suono come elemento
quasi fondamentale. Pensate alla necessità di un “respiro internazionale” come un
modo per emanciparvi rispetto al magma dell’indie nostrano?
Sui suoni siamo maniacali, a volte paranoici. Abbiamo passato intere serate alienati a
filosofeggiare su quale suono dare al rullante, alle chitarre, al basso. Non lo facciamo per
emanciparci dal magma, lo si fa per passione, ci viene naturale parlare della differenza fra
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gli AC30 e i Twin, fra Celestion e JBL... per questo siamo single. La verità è che ci piace
“gasarci” riascoltando le nostre registrazioni! Il respiro internazionale che si percepisce credo
sia dovuto ai nostri ascolti più esterofili che “italioti”, anche se siamo dei campanilisti,
soprattutto in campo alimentare.
Il disco sottolinea soprattutto un processo di scrittura eterogeneo. Ascoltando
“Maria’s Day” mi sono venuti in mente molti nomi come Stereolab, Blonde Redhead,
Grandaddy solo per citarne alcuni. Come le vostre influenze confluiscono nella
scrittura? E, soprattutto, le vostre canzoni nascono come collettivo o come intuizioni
singole che magari portano determinati background rispetto ad altri?
Ecco, Stereolab, Blonde Redhead e Grandaddy non erano mai saltati fuori come riferimenti.
È fantastico. In ogni recensione di “Maria’s Day” si tirano in ballo dei nomi nuovi, alcuni che
non conosciamo neanche. Dall’uscita del disco a oggi saranno stati una quarantina i gruppi
coinvolti nelle critiche. Questo mi fa pensare che siamo, in parte, riusciti nel nostro intento:
spiazzare l’ascoltatore ma nello stesso tempo farlo sentire a “casa” tramite la forma
canzone. Come ti dicevo, le influenze confluiscono nella scrittura in modo naturale. Le nostre
canzoni non nascono come collettivo e non vengono fuori da session in sala prove. Nascono
fra il mio divano e quello di Toti e poi sviluppiamo le idee direttamente in studio con l’apporto
di Andrea, Carlo, Giuseppe e Grace. Il mio background e quello di Toti sono simili, quindi
raramente abbiamo diatribe nella scelta dei suoni o sugli arrangiamenti (uso dei riverberi a
parte, li ogni volta partono liti interminabili).
Com’è nata la collaborazione con la 42 Records?
Conosco Emiliano da prima della nascita della 42 Records. Alla base c’era già un’amicizia
che ci ha permesso una collaborazione più rilassata. Giacomo Fiorenza lo conoscevo di
fama. La sua esperienza con la Homesleep è stata fondamentale per lo sviluppo del rock
alternativo in Italia. C’è un rapporto bellissimo anche se viviamo a più di mille chilomentri di
distanza. Ci sentiamo costantemente anche per consigli extra-musicali. Con Emiliano
parliamo spesso di cucina mediterranea, per esempio. È stata una piccola scommessa, per
loro e per noi. In pratica l’abbiamo vista nascere. Un giorno Emiliano mi chiama e mi fa: sto
mettendo su un’etichetta, si chiamerà Catapult Records. Ecco come nasce la collaborazione
con la 42 Records. Anche se la canzone dei R.E.M. è sparita dal nome.
Le uscite dell’etichetta sono caratterizzate dal già citato “respiro internazionale”.
Pensate/sperate all’espatrio per cercare un bacino d’utenza più grande e, magari, più
ricettivo?
Non sono d’accordo sulla poca ricettività del pubblico italiano. È pigro, quello si. Però se si
trovano insieme in un locale con una buona acustica e l’impianto decente, si scatenano più
dei polacchi. Ma qui il discorso è parecchio complicato, dovremmo parlare dei gestori, dei
magazine, dei musicisti e di tutti gli addetti ai lavori. Ti dico solo che molte band italiane che
vanno all’estero suonano in buchi con trenta persone per 100 euro e tornano in Italia
sparando a zero su tutto solo perché hanno venduto 3 copie del disco a Dublino. Quindi si,
siamo pro-espatrio assolutamente, perché fuori il circuito è sicuramente più grosso, ma
bisogna procedere con i piedi di piombo.
Come viene percepita la vostra musica in Italia? Le recensioni sono molto positive e
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questo tipo di indie ha da tempo un terreno fertile nei “giri” di casa nostra.
Ti posso parlare della dimensione live della band, le ultime date sono andate benissimo e
abbiamo venduto parecchie copie del disco, siamo piaciuti pure ai mitici Kula Shaker
(abbiamo diviso il palco con loro a Castelbuono). Sicuramente il nostro punto di forza è il
live. Siamo in cinque sul palco ed ho l’onore di suonare con dei musicisti strepitosi. La
stampa ci ha accolto benissimo, poche critiche e tanti elogi, quindi al momento tutto OK. Il
terreno è fertile ma può dare di più in termini di resa.
Dov’è, secondo voi, l’ipocrisia del non parlare mai male di nessuno e l’apparente
situazione di stallo della musica italiana? Ve lo chiedo perché spesso quest’accusa
viene mossa a noi critici ma pare anche che tra le band si sia tutti amici...
Questo è un problema serio. Per quanto mi riguarda cerco di essere sempre onesto e dico
sempre ciò che penso (non è una canzone di Jovanotti e non è il solito cliché). Non ho
difficoltà ad affermare che quelli di Dente e de Le Luci Della Centrale Elettrica sono dei
dischi bellissimi, ma sono prodotti sopravvalutati, mentre un personaggio come Cesare
Basile, per esempio, che suona e scrive molto meglio (sempre secondo me) è sottovalutato
e non si becca né copertine, né Premi Tenco. Per non parlare poi della qualità di
registrazione e del live dei suddetti: con tutto rispetto, Parish non è Canali. Esempi
anglofoni? gran parte della scena pseudo-wave italiana con la cassa in quattro,
insopportabili! Inquinano i festival e i club ovunque con il Reason e le chitarre scordate!
Però: "Disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo" dal ”Trattato
sulla tolleranza” di Voltaire, pubblicato nel 1763. La maggior parte dei giornalisti musicali di
nuova generazione non ha un substrato adatto per dare giudizi, non ascoltano musica, o la
ascoltano sommariamente sul MySpace e per fare citazioni fighe all’interno delle recensioni
consultano Wikipedia. Molti arrivano sull’hype e si parla sempre di “gruppo rivelazione”
facendo parallelismi assurdi. Poi c’è la moda della “scoperta” sono tutti a caccia di geni.
Critiche del tipo: “i Disco Drive sono un gruppo fantastico e sanno suonare, ma sono la
brutta copia dei Q And Not U”, potrebbero essere più costruttive di slogan come: “è nata
una stella”! In questo caso il giornalista avrebbe una funzione pedagogizzante di
divulgazione della conoscenza e acquisterebbe più credibilità verso il lettore. Io compro
ancora i magazine ma sto pensando seriamente di smettere. Noto pure una certa tendenza
a stroncare le seconde uscite dei “geni”, come se ne servissero sempre di nuovi.
Tornando all’attualità. Adesso che il disco è pubblicato, cosa farete? Chiaramente
immagino sia solo il “primo” passo.
Suonare tanto dal vivo (anche se per noi siciliani è una tripla fatica rispetto ai colleghi
padani o laziali) e continuare a comporre. Noi siamo degli stacanovisti, quest’anno abbiamo
fatto le colonne sonore per due cortometraggi, un booktralier, svariati inediti e remix che
abbiamo sparso per blog, siti, compilation, pubblicato un libro dal titolo “Albanopower: storie
dal basso dei cieli” per la Melino Nerella Editore, e adesso ci siamo impelagati nella follia
Albanopumpkins (si tratta del rifacimento integrale di “Mellon Collie...”) che finiremo fra dieci
anni credo! A metà ottobre uscirà un nostro nuovo video a cartone animato e una cover di
Piero Ciampi per dicembre. Come vedi non ci annoiamo mai.
Contatti: www.myspace.com/albanopower
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Hamilton Santià
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Bud Spencer Blues Explosion
I Bud Spencer Blues Explosion sono Adriano Viterbini (chitarra e voce) e Cesare Petulicchio
(batteria e voce), un duo romano di suoni sporchi tendenti al blues più elettrico e duro. Dopo
un primo album autoprodotto del 2007 danno alle stampe per Yorpikus Sound “BSBE”, un
disco maturo e pieno di hit tirate al massimo. Forti della sorprendente esibizione al concerto
del Primo Maggio, che ha zittito anche i fan di Vasco più recalcitranti, i Bud Spencer Blues
Explosion si apprestano a uscire dall’ombra per lasciare un segno nel panorama nostrano.
Può andare come intro?
Precisazione: il titolo del disco è "Bud Spencer Blues Explosion" mentre il nome della band
ufficiale per l'uscita è BSBE.
Forse alcuni – vedendovi magari per la prima volta al concerto del Primo Maggio –
hanno pensato a voi come a gente nuova, invece siete sessionmen navigati nella
scena romana e come Bud Spencer Blues Explosion suonate già da tempo.
Raccontiamo al mondo la vostra storia di musicisti. E la gavetta, soprattutto la
gavetta.
Prima del "Primo" abbiamo suonato praticamente ovunque con i Bud e con svariate band
dell'underground. Abbiamo collaborato con molti artisti della scena indipendente e del pop
italiano, sia in studio sia dal vivo. Proprio mentre suonavamo con artisti diversi ci siamo
conosciuti e abbiamo deciso di suonare insieme e formare la band. Troviamo che nell'arte in
generale sia estremamente importante la fatica del percorso più che l'arrivo, sia per
l'esperienza di cui si può far bagaglio sia per capire se la strada che si è scelto di
intraprendere sia effettivamente quella giusta. In realtà la gavetta per noi non finirà mai.
Vogliamo imparare sempre di più.
Federico Guglielmi parla del vostro disco citando White Stripes e Hendrix in salsa
filo-grunge. Quali sono le vostre icone di riferimento?
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Siamo sicuramente accomunati dalla passione per il grunge anni ‘90 e il rock grezzo anni
‘70. Con i Bud ci piace l'idea di fondere il Delta blues di Blind Willie Johnson, con l'elettronica
dei Chemical Brothers, lo stoner dei Kyuss con il grunge di Nirvana e Dinosaur jr, l'hardcore
degli Helmet, con l'hard rock blues dei Led Zeppelin e la power psichedelia degli Hendrix
Experience. Tutto con testi in italiano.
Appunto, il cantato in italiano è una vostra peculiarità. Il suono, in fondo, è un hard
blues acido di provenienza americana, quindi come influisce la scrittura in italiano dei
testi sulla composizione di un genere così 'estero'?
Testi e musica nel nostro caso non vanno di pari passo: le parole in italiano vengono
aggiunte sempre dopo, plasmate proprio su una base dai forti connotati americani e quindi
caratterizzando fortemente il nostro mondo musicale.
Io ci sento anche qualche punta di funky (ad esempio in pezzo comi “Metereopatia” o
“Esci piano”)...
Il groove è per noi fondamentale, il funky di conseguenza.
È lecito accostarvi a gente come Ministri, Il Teatro Degli Orrori e i Fratelli Calafuria?
Cioè a gruppi che, ognuno a proprio modo, suonano ruvido, cantano italico e
mantengono una certa purezza compositiva nonostante il successo crescente e il
conseguente “hype” che gli si forma intorno?
Più che altro per noi è un onore essere accostati a queste band. Soprattutto a Il Teatro degli
Orrori di cui siamo veri fan, con tanto di locandina attaccata sul muro del corridoio di casa
nostra. La peculiarità di queste band sta proprio nell'avere un importante connotato musicale
che mixato con testi in italiano, senza i soliti compromessi delle produzioni italiane, rende
originale il proprio lavoro. In effetti, è proprio quello che cerchiamo di fare noi.
La scelta di due cover (“Hey Boy Hey Girl” dei Chemical Brothers ed “Esci piano” di
Alex Britti) d'acchito può sembrare azzardata, invece ve la cavate alla grande.
In realtà “Hey Boy Hey Girl” è venuta fuori per caso durante una delle prime prove, mentre
improvvisavamo su un riff di chitarra. Riguardo al brano di Britti, Adriano lo conosceva già da
tempo e amava suonarlo con l'acustica slide (come l'originale). Con i Bud è stato poi
reinterpretato elettrificato e potenziato.
“Hey Boy Hey Girl” è anche un video per la regia di Paolo Marchione. I “fratelli
chimici” lo sanno?
Anche se non sembra è stato molto faticoso girare il video tutto il giorno sulla spiaggia con il
vento forte – che in parte era vero – e i molteplici playback aspettando che il sole
tramontasse. A parte tutto ciò siamo contentissimi di aver lavorato con Paolo che si è
rivelato particolarmente sensibile nel rendere visiva la nostra versione del brano dei fratelli
chimici. Sinceramente non sappiamo come avvertirli del clip... Voi li conoscete?
Dicevamo che suonate dal vivo ormai da parecchio tempo. Come state in due sul
palco, specie se è grande come quello di Roma?
Sinceramente ci troviamo completamente a nostro agio on-stage, al di là delle dimensioni
del palco tendiamo sempre a suonare vicini, per favorire l'intesa soprattutto durante le
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frequenti improvvisazioni che caratterizzano i nostri live.
Un'ultima cosa: com'è stato zittire i fan di Vasco, al Primo Maggio? Insomma, quella è
gente che non si fa scrupoli a lanciare di tutto sul palco dei gruppi che suonano prima
del loro idolo...
Guarda, non ci siamo accorti di niente, eravamo talmente concentrati sul suonare che alla
fine della performance è stato come risvegliarsi dal più bel sogno. Felici.
Contatti: www.bsbemusic.com
Marco Manicardi
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Lady Vallens
Due terzi dei disciolti Brother James, Matteo Berghenti e Rodolfo Villani, hanno formato nel
2007 i Lady Vallens, una originale rilettura di certa attitudine new wave rivista con gli occhi
attuali di un rock virato alla sperimentazione elettronica, che in “Double Mirror”, disco
disponibile in licenza Creative Commons, sperimenta per la prima volta formula musicale. Di
questo e della net-label Second Family Records parliamo con i due protagonisti.
Partiamo dalla più classica delle domande, l'origine del nome del gruppo. Lo
dobbiamo intendere come un riferimento all'immaginario lynchiano? Le atmosfere del
disco, in effetti, trascinano spesso in quella direzione...
Il riferimento a Lynch (e soprattutto a Isabella Rossellini) è stato il punto di partenza,
entrambi eravamo affascinati dal personaggio di Dorothy Vallens, che in “Velluto blu” è il
punto di congiunzione fra due mondi, quello violento e selvaggio di Dennis Hopper e quello
ingenuo e avventuriero di Kyle MacLachlan. Detto questo non ci siamo imposti di mantenere
atmosfere che richiamassero esplicitamente quell'immaginario. In generale amiamo molto
tutto ciò che è ambiguo, duplice, biunivoco, contraddittorio e anche il titolo del nostro lavoro
“Double Mirror” richiama questo concetto.
Come nasce il progetto, e quali esigenze vi hanno spinto a concepirlo?
Dopo la fine del nostra precedente esperienza come Brother James avevamo voglia di
continuare e grazie alla tecnologia ci siamo detti, perché non fare tutto in due? All'inizio non
avevamo idea di dove saremmo finiti, non a caso i primi pezzi sembravano i Brother James
con una drum machine. Poi, prendendo maggiore confidenza con l’elettronica, anche il
processo compositivo è man mano mutato e così anche il nostro stile.
Passando alla materia strettamente musicale, mi pare che all'interno del disco si
manifesti una volontà di recuperare certe sonorità new wave algide e cupe, e allo
stesso tempo marcatamente sperimentali. Quale connessione vi ha portati a
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riappropriarvi di quei suoni e di quelle atmosfere, se ce n'è una in particolare?
Con la scelta della drum machine è naturale qualche accostamento con la musica degli anni
’80. Detto ciò, tuttavia, cerchiamo sempre di mischiare le carte e di far convivere spunti
diversi. Alla fine saremo sempre un gruppo rock che usa l'elettronica come strumento
creativo, anche se le ultime cose che stiamo facendo risentono indirettamente degli sviluppi
degli ultimi anni (dubstep, grime...).
Qual è il legame di questo progetto, se c'è, con l'esperienza passata nelle fila dei
Brother James? Essere un duo rende più facile lo scambio e il rimpallo delle idee?
Come si svolge il processo di assemblaggio dei brani?
Il legame con il nostro passato di trio rock non si può eludere. Oggi però il nostro processo
creativo è profondamente cambiato, il "rimpallo delle idee" fra due teste è molto diverso che
quello fra tre, paradossalmente ora siamo più creativi, più concentrati sul suono, e
soprattutto non ci poniamo limiti rispetto alla forma canzone. Il computer ci aiuta a
visualizzare più chiaramente ciò che vogliamo ottenere ma di cui abbiamo solo un'idea vaga,
un'immagine sfuocata. Certo, quando hai davanti uno strumento che ti dà così tante
possibilità bisogna sempre stare attenti a non eccedere e mantenere una direzione a volte
non è facile.

Per pubblicare questo lavoro avete dato vita ad una etichetta, Second Family
Records. La particolarità dell'etichetta sta nel fatto che si tratta di un progetto
esclusivamente legato al formato digitale. Credete anche voi che i supporti fisici
abbiano fatto il loro tempo? C'è chi sostiene che la crisi della discografia rappresenti
semplicemente la fine di uno dei tanti modi possibili di fruire la musica? Quali sono
stati i riscontri finora?
La crisi del supporto fisico è un dato di fatto, nonostante i vari ritorni (anche interessanti) al
vinile, alla cassetta o altro. Questo non significa che noi siamo contro il supporto fisico (il
nostro CD ce lo siamo stampato), semplicemente riteniamo che in questo momento storico
non si possa fingere di essere ancora negli anni 80 o 90 (prima dell'avvento di Napster per
intenderci). Nello specifico l’idea di dar vita a una netlabel ci è parso uno spunto interessante
per poter fare nostra la bandiera dell'autoproduzione facendo un ulteriore passo in avanti,
verso la condivisione totalmente libera e il superamento delle barriere del copyright. Il
download gratuito è già alla portata di tutti con o senza il consenso dei musicisti e allora
meglio facilitarlo e incoraggiarlo. Se poi qualcuno vuole la qualità del CD avrà il CD ai
concerti o per posta. Second Family Records è nata con Lady Vallens (per l’appunto) nel
dicembre 2008 e a pochi mesi di distanza siamo estremamente soddisfatti di come stanno
andando le cose, oltre ad aver dato spazio ad altri progetti che noi giudichiamo
estremamente interessanti, prossimamente parteciperemo come netlabel oltre che con i
nostri artisti a due eventi che riteniamo molto importanti per noi: il Creative Commons
Festival a Parma e, soprattutto, il Netaudio Festival a Berlino dall’8 all’11 ottobre.
Contatti: www.sfrecs.com
Alessandro Besselva Averame
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My Awesome Mixtape
Dopo un eccellente esordio “My Lonely And Sad Waterloo”, uscito due anni fa per My Honey
e I Dischi dell’Amico Immaginario, rieccoci a parlare di Maolo Torreggiani e i suoi amici. Ci
ha messo davvero poco per conquistare gli astanti presenti ai suoi concerti, le etichette
vicine alle sue sonorità preferite, i musicisti che lo accompagnavano, di cui alcuni (cinque
inossidabili) sono diventati parte integrante del progetto oggi, più semplicemente chiamato
MAM e nuovamente vivo e vegeto con questo secondo episodio della vita del gruppo
intitolato “How Could A Village Turn Into A Town” e uscito per la 42 Records (con
distribuzione Halidon). Ne parliamo con Maolo.
I My Awesome Mixtape, da tuo progetto personale è diventato un gruppo, a forza di
coinvolgere amici musicisti a fare live per presentare “in compagnia” le tue prime
canzoni. Come si sviluppa questo tuo senso di condivisione della musica composta
ed eseguita?
Considero il concetto di condivisione come un concetto fondamentale e primario della vita.
È
una sorta di filosofia di vita quella che ho adottato con i My Awesome Mixtape, secondo la
quale ciò che si può fare in cinque è sicuramente più stimolante e creativo di ciò che si può
fare da soli. Tuttavia reputo sempre e comunque importante il concedersi a delle esperienze
individuali, ecco perchè alla fine è nato il mio progetto personale Quakers and Mormons, ed
ecco perchè faccio il cuoco.
E’ stato facile trovare i musicisti giusti che rispecchiassero quello che avevi in
mente?
Mah, diciamo che non vi è stata una selezione mirata, ma è stato più un ambientarsi con
persone quasi sconosciute e condividere assieme a loro un sacco di momenti che hanno
fatto sì che si instaurasse una splendida amicizia; credo fortemente, infatti, che la forza dei
MAM sia più che altro focalizzata sul rapporto personale che intercorre tra noi, più che
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sull'esperienza e la conoscenza musicale.
Le dinamiche compositive come sono cambiate nei nuovi MAM?
Come ho detto prima, anziché essere una sola persona davanti a uno studio di
registrazione, eravamo cinque menti che componevano un lavoro assieme. Con in più un
elemento assolutamente essenziale alla produzione del disco, ovvero Bruno Germano dei
Settlefish, senza il quale molto probabilmente questo disco non sarebbe quello che è.
Il tuo modo di cantare molto tagliente si contrappone a volte ai cori e controcanti e
altre agli strumenti a fiato, creando una sinergia molto ricca e coinvolgente. La
tonalità a volte nasale del tuo canto è una delle mille che possiedi e quindi è
assolutamente un pregio. Come vivi la tua voce?
Eh eh, questa è una domanda molto particolare, sinceramente non me ne curo molto di
come sia la mia voce, molte persone mi dicono sia insopportabile, purtroppo però non posso
fare molto per cambiarla.
Se un giorno dovessi cambiare genere musicale, completamente intendo, su cosa
opteresti? Forse nell’hip hop?
Hip Hop sarebbe davvero “telefonata”, diciamo che se sapessi davvero suonare mi
piacerebbe tantissimo cimentarmi sul folk o sul country, due generi che amo e che ascolto
abitualmente forse anche più della musica hip hop.
Voi sicuramente non siete un gruppo che lascia spazi con silenzi o con non meno di
tre strumenti. Quanto è importante la pienezza del suono per i MAM? Se è proprio
vostra piena intenzione renderla tale.
In realtà il flusso compositivo nei My Awesome Mixtape è totalmente spontaneo e naturale,
tale pienezza che tu hai notato molto semplicemente è il nostro modo di sentire fluido un
pezzo o un groove, dunque credo che non ce ne si renda nemmeno conto.
Da dove parte la composizione del disco?
Quella musicale è partita tutta interamente da scheletri e bozze elettroniche registrate su un
computer di casa e poi riarrangiati dalle nostre cinque menti, mentre quella testuale è quasi
interamente personale. È sostanzialmente la summa di tutte le emozioni che la città e il
vivere sociale provoca sulle persone, in particolar modo su di me. Sono essenzialmente
piccole istantanee di luoghi circoscritti all'interno della città.
“I Put A Smile Upon Your Face” è una bella frase da dire in una canzone. Che
rapporto hai con i tuoi testi? Come te li vivi?
In realtà credo che tu abbia citato proprio il testo di cui vado meno fiero! Perché alla fine dei
conti riascoltandolo “Me & The Washing Machine” è un pezzo del tutto scanzonato, nel
senso letterale del termine, dunque il suo testo non è che sia una perla di saggezza
filosofica. Ci sono altri pezzi invece, all'interno del disco, che hanno sicuramente una
valenza molto più profonda e personale.
Chi spereresti amasse questo disco?
Beh, chiunque!!! Ma credo sia abbastanza impossibile.
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Dove l’avete registrato, con chi e come? Ma soprattutto alla luce del poi, soddisfatti?
Siamo soddisfattissimi, il disco come ho detto precedentemente è stato tutto interamente
pensato e congeniato da cinque menti più una esclusiva, ovvero quella di Bruno dei
Settlefish. Ci siamo affidati a lui oltre che per la produzione anche per la registrazione e per il
missaggio, poi il tutto è stato impacchettato e spedito negli States dove al West West Studio
di New York è stato tutto impreziosito da un'ottima masterizzazione.
Quante varianti ci saranno dei MAM per il tour di presentazione?
Nessuna. Oramai i MAM sono cinque, ovvero io, Andrea Mancin, Federico Spadoni,
Alessandro Scagliarini e Andrea Suriani, e cinque resteranno!!!
Contatti: www.myawesomemixtape.it
Francesca Ognibene
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Rusties
Dopo anni trascorsi a riproporre – alla grande, peraltro – il repertorio di Neil Young, sia dal
vivo che in studio, ora i Rusties hanno fatto il grande salto, e con “Move Along” (Tube
Jam/IRD) hanno realizzato il loro primo album di composizioni originali. Un’evoluzione in un
certo senso inevitabile, e artisticamente soddisfacente. A raccontarcene genesi e
motivazioni è stato Marco Grompi, voce e chitarra dell’ensemble.
Con questo nuovo album, “Move Along”, i Rusties prendono una loro strada ben
delineata, superando il concetto base di cover band... non credi?
Sì, decisamente. E a ben guardare non ci siamo mai reputati una “cover band”, bensì una
“tribute band” e la differenza è sostanziale. Abbiamo deciso di dedicarci al nostro materiale
per molti motivi, ma soprattutto anche perché tutti ci dicevano che avevamo una spiccata
personalità musicale anche affrontando il repertorio di Neil Young. Non credo che le nostre
interpretazioni siano mai state delle “repliche” degli originali, quanto piuttosto una
trasposizione secondo la nostra sensibilità, pur mantenendone lo spirito. Credo che “Move
Along” sia un album piuttosto sfaccettato ma con un certo tratto naïf che ci rappresenta
appieno. Mi piace pensarlo non come un disco rock italiano del 2009, ma dalla collocazione
spaziotemporale indefinibile.
So che un testo in particolare ha delle speciali attinenze con la realtà di questi giorni,
anche se la cosa non è voluta...
“The Show” è una canzone che descrive un mondo (o una società) in cui per sopravvivere
sei costretto a recitare una parte, a sopraffare il vicino e ad essere cinico fino al punto in cui
non puoi più avere fiducia nemmeno delle persone che dicono di amarti. E’ un modello
perfetto per la nevrosi, o, più in generale, l’infelicità. Nel testo si parla di un “Libro” che è il
copione dello show e, a seconda di come si preferisce interpretare, può essere letto come la
Bibbia, il Corano, il catechismo, la Costituzione, il manifesto della P2, la lista della spesa... A
qualcuno queste allusioni hanno ricordato qualcosa della scena politica italiana attuale, ma
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la prima bozza del testo di questo brano risale addirittura agli anni della “Milano da bere”
(toh! Che coincidenza...eh?).
Avete un’intensa attività live... dimmi dell’esperienza “Live In Germany”.
Dopo aver pubblicato l’album “Younger Than Neil” (2005) gli organizzatori dell’Orange
Blossom Special di Beverungen ci hanno invitato a partecipare alla decima edizione del
festival. L’OBS è una manifestazione ormai consolidata che funge da vetrina europea della
cosiddetta scena alt. rock di matrice “americana” di cui l’etichetta tedesca Glitterhouse è
stata tra le maggiori divulgatrici in Europa. Per noi è stato un grande onore essere la prima
band italiana invitata in dieci anni di festival, nonché suonare sullo stesso palco calcato
quell’anno da gente come Walkabouts, Steve Wynn, Willard Grant Conspiracy, Broken
Social Scene, Mofro, Jeb Loy Nichols e molti altri. La nostra performance è stata registrata
(un nostro brano, Ohio, è stato addirittura pubblicato in un doppio DVD della serie
Rockpalast che immortala l’evento) e quando l’abbiamo riascoltata ci è piaciuta a tal punto
che abbiamo deciso di pubblicarla così com’era... nuda e cruda... un CD “dal vivo”, appunto.
Quella singola performance ci ha aperto contatti che ci hanno portato a suonare in Germania
in numerose altre situazioni, tra cui la XII International RustFest di Stoccarda (raduno
annuale di fan younghiani provenienti da tutto il mondo) e diversi club e festival anche di
grande prestigio.
C'è ancora spazio per il rock in Italia nel 2009?
Lo chiedi a uno che del verso “rock & roll can never die” ha fatto quasi un dogma. Ma in
Italia è tutto difficile... e questo dipende da moltissimi fattori. Ormai tutti si fregiano della
parola “indipendente”, ma poi scopri che dietro a una realtà cosiddetta “indie” ci sono
distribuzioni gestite da multinazionali, uffici stampa ultraprofessionali, rodatissime agenzie di
booking, managers, produttori, investimenti. I Rusties invece fanno davvero tutto da soli ed è
qui che sta la nostra forza e debolezza. A volte è snervante e si ha la sensazione di
rimbalzare su un muro di gomma per quanto riguarda le inadeguatezze organizzative e il
pressapochismo di cui la scena rock italiana pullula... ma quando poi si suona passa tutto.
Oggi la musica sembra esclusivamente ragionata (e quindi anche promossa o, più in
generale, “lavorata”) solo come business. Se con la tua musica non “muovi” un certo
quantitativo di capitali, di persone, di birre, di T-shirts o di cocktails non ti dà retta nessuno.
Senza contare che molti musicisti sembrano semplicemente aspirare alla notorietà più che
alla qualità di ciò che fanno anche perché in Italia, per campare di musica, devi essere
necessariamente “noto”... sennò chi le paga le bollette? Emozionare la gente ai concerti o
con la musica contenuta nel tuo album è una cosa che non viene più presa in
considerazione dal “business musica”. Conta di più quante birre si vendono mentre suoni,
rispetto a quante persone ti ascoltano veramente, a quante si emozionano o a quante piace
davvero quello che stanno ascoltano. Mi piace pensare che i Rusties, nel loro piccolo e a
modo loro, combattano tutto questo.
Non posso non chiederti come vedi il nuovo Neil Young...
Lo vedo e lo sento carico, vitale, energico, proiettato e concentrato su mille fronti (dischi
nuovi, auto elettriche biocompatibili, diritti civili, gestione degli archivi, produzioni
cinematografiche), esplosivo sul palco come ai tempi di “Rust Never Sleeps” o “Weld”, ma
un po’ poco concentrato sulla Musa. Del resto la Musa (o ispirazione) fa visita con i suoi
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tempi e modalità imperscrutabili e, nel caso di Young, è stata già incredibilmente generosa.
Non dimentichiamo che quest’uomo è sulla scena a livelli altissimi (con “le discese ardite e le
risalite”, s’intende) da oltre 45 anni e ha avuto una vita (non solo artistica) davvero
incredibile... Auguro a lui (e a noi fans) un “crepuscolo” luminoso (magari finalmente scevro
da sofferenze) come quello di un Johnny Cash, che anche negli ultimi anni ha consegnato
lavori meravigliosi. In questo senso se, invece di realizzare dischi alla bell’e meglio in una
settimana, si affidasse a un produttore come Rick Rubin o Daniel Lanois, ne gioverebbe. Il
fatto che Young non abbia più saputo realizzare un vero “capolavoro” da quando non c’è più
al suo fianco un personaggio come David Briggs dovrebbe farci capire tante cose. In cuor
mio spero ancora in un ultimo epico album con i Crazy Horse e in almeno un altro grande
album “incollocabile” e “anomalo” come furono, in decenni diversi, “On The Beach”,
“Freedom” o “Sleeps With Angels”.
Contatti: www.myspace.com/rustiesband
Marco Quaroni
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Numero Ottobre '09
Action Dead Mouse
Revenge Of Doormats And Coasters
Greed Recordings
Cosa può esserci di più avvincente di una chitarra (Filippo Dionisi) una viola (Michele M.
Costantini), una batteria (Luca Bianconi) e un basso (Emanuele Giordano) che si raccontano
le minuzie del post-rock, lo sperimentalismo noise e l’elettronica più minimale? E così fanno
e fatturano un ottimo secondo album questi giovani bolognesi, sempre attaccati come nel
primo “Pets And Nerds Attack Planet Earth” - uscito nel 2007 ancora su Greed – a un certo
istinto che li porta a cercare la melodia più spregiudicata e tesa. I loro momenti migliori sono
proprio quelli più tesi come in “2nd Word Warhol” o “Dancing Paper Solo” dove il violoncello
di Michele Lanini contribuisce ad ammorbidire l’issarsi ispido della melodia pregna di una
spinta ridondante ed ipnotica. Ma le luci sono diverse e più intense, come in “25 Hours In A
Day” dove la stessa canzone è piena di chiaro scuri. E non è facile per un gruppo quasi
completamente strumentale raccontare solo servendosi delle note, eppure ci si perde in
questi intrecci canori, ciascuno con la propria storia che viene in su dalla memoria e
aumenta la bellezza, come sempre quando la musica diventa evocatrice. Un pezzo degli
A.D.M. può durare un minuto come dieci e anche questo è un punto a loro favore perché
significa che ha vinto la spontaneità della musica e non la pochezza della forma e della
giusta dimensione. Diversi altri strumenti di musicisti ospiti hanno poi arricchito il suono:
soprattutto fiati. E l’elettronica, i loop, la mano esperta di Bruno Germano che ha registrato il
disco al Vaccuum Studio di Bologna hanno completato in cerchio affinché ci sia un perché il
tutto suoni così bene.
Contatti: www.actiondeadmouse.com
Francesca Ognibene
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Numero Ottobre '09
Ammoniaka
30 agosto 2002
One Step Records/Venus
Indossano camicie in stile rude boys, ma ai pantaloni con le pence preferiscono quelli
arancioni cangianti degli operai stradali. Gli Ammoniaka si uniscono simbolicamente alle folle
metropolitane, ai lavoratori e alla gente comune, inseguendo un’ideale sociale sorretto dai
concetti di attivismo e di condivisione, che prende forma nella lotta contro i pregiudizi e
contro il “logorio della vita moderna”: “30 agosto 2002” non è solo un disco di protesta, ma
anche un modo originale per trovare soluzioni efficaci e per riflettere sulla società attuale.
Non a caso stiamo parlando di un concept album dalla trama non troppo intricata, che ha
come protagonista Luigi, un anti-supereroe dall’aspetto bizzarro arrivato sul pianeta Terra il
30 agosto del 2002, che affida proprio agli Ammoniaka il compito di discutere con il resto del
mondo i temi di carattere socio-politico che nella maggior parte dei casi non trovano spazio
all’interno dei palinsesti mainstream. Lo vediamo rappresentato in copertina, in sella a una
nuvola, occhiali e ciuffo biondo, mentre sventola la bandiera arancione con il logo del
gruppo.
La lotta assume le fattezze di un sound frenetico, per quanto spensierato, dove ska, raggae
e punk si mescolano assieme per formare uno ska-core d’impatto, incasinato quanto basta,
con fiati e liriche che si danno la parola e si alternano in modo goliardico. E tra rivisitazioni
del punk delle origini in stile Ramones (vedi “I dischi di mio padre”), omaggi alla musica
italiana degli anni 70 e 80 (“Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri) il disco scorre veloce e
in modo piacevole, grazie anche ai featuring che si alternano lungo tutta la sua durata.
Nonostante in alcuni punti la sensazione sia quella di “già sentito”, probabilmente a causa
della gran quantità di dischi ska usciti di recente, che riprendono più o meno le stesse
formule stilistiche, il lavoro degli Ammoniaka si distingue per la sua marcata anima sociale,
volutamente celata da toni scanzonati e freschi.
Contatti: www.ammoniaka.it
Federica Cardia
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Numero Ottobre '09
Andead
Hell's Kitchen
Rude
Se bazzicate almeno un pochino il mondo della musica “vera” italiana, il nome di colui che si
cela dietro il monicker Andead non vi sarà sconosciuto. Se ascoltate la radio lo avete sentito
in compagnia di Ringo, in televisione è uno dei volti di RockTV ed è anche il cantante dei
Rosko's: Andrea Rock. La sua vita è stata “salvata”, parole sue, dalla musica, e per rendere
omaggio ai suoi idoli ha pensato di far uscire un album solista, avvalendosi però dell'aiuto
dei molti amici incontrati in questo percorso ormai decennale. Un tributo al punk rock che
vede la collaborazione di Metius STP come di Ka dei Finley, di Tato dei Fratelli Calafuria e
DJ Aladin, un insieme eclettico ma capace di dare un senso unitario a questi quindici (più
uno) brani. Sarà autosuggestione ma è forte la vicinanza stilistica ai Social Distortion in un
brano come “Flowers On My Grave”, non a caso Mike Ness è oggetto di un vero tributo da
parte di Andead, ma non possiamo non sentire echi psychobilly e proto-surf affiorare in “I Kill
You Twice”. Al di là del singolo brano, la cui qualità non è sempre omogenea, mi preme però
sottolineare come “Hell's Kitchen” comunichi l'amore sincero verso questa forma
d'espressione. Del resto iniziare un disco con una invettiva, seppur per metafore, all'industria
culturale e chiuderlo con una cover dei Ramones fa capire molto di più di quel che può
sembrare. L'augurio migliore è che anche il prossimo disco di Andead - nel 2019? - riesca a
trasmettere tutto questo.
Contatti: www.ruderecorz.com
Giorgio Sala
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Numero Ottobre '09
Bangarang!
Bangarang! EP
autoprodotto
Se andate sul loro MySpace, salta subito all’occhio, alla voce “Record Label”, la qualifica
“unsigned”. Se avete ascoltato la loro musica, sapete bene che una circostanza del genere
suona abbastanza folle. In tempi in cui una etichetta non si nega neppure ai peggio zozzoni
(...sovraproduzione, questa conosciuta), è quasi irreale che un impasto sonoro così
fragrante, corposo e ispirato vaghi in giro senza nessuno che lo prenda per mano e lo
promuova. C’è comunque un ma: in realtà da qualche tempo i Bangarang! un’occupazione
ce l’hanno, manco piccola, ed è quella di backing band di Bugo. Anzi, a dirla tutta sono loro
che hanno fatto fare il salto di qualità ai live del “cantautore spastico”, per citare una
definizione data a suo tempo dall’ottimo collega Vignola (che di Bugo è uno degli scopritori,
tanto per rendere chiaro come l’aggettivo sia in realtà affettuoso e positivo). Impeccabili
come backing band, quindi, ma quando possono lavorare a briglie sciolte sono ancora
meglio. Questo EP infatti non solo è suonato da dio, ma soprattutto è lontano da ogni
autocompiacimento tecnicista da un lato, mentre dall’altro trova un perfetto equilibrio tra
citazionismo colto e spontaneità creativa, tra (auto)ironia ed intrigante profondità emotiva.
Sei brani in tutto, uno meglio dell’altro, tra (post) rock, psichedelia, venature funk e qualche
mattana sparsa. Se Bugo capita dalle vostre parti, andate subito a rompere le scatole ai
musicisti della band chiedendo una copia di questo “Bangarang! EP”; altrimenti, andate a
molestarli sul loro MySpace facendovi spiegare come mettere le mani sul prodotto suddetto.
“Unsigned”, “undistributed” (almeno per ora), ma davvero bravi e divertenti.
Contatti: www.myspace.com/bandbangarang
Damir Ivic
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Numero Ottobre '09
Chaos Physique
The Science Of Chaotic Solutions
Jestrai
Amaury Cambuzat (Ulan Bator, Faust) alla chitarra, voce e tastiere, Piero Mecca (FIUB) alla
batteria e Diego Geko (Sexy Rezy) al basso. Un trio particolare che ha tirato fuori dal cilindro
un disco a suo modo sorprendente in appena cinque giorni di registrazioni analogiche e in
libertà al Red House Recordings di David Lenci, uno degli studi di registrazione simbolo
dell’Italia underground che cerca di sfuggire alle definizioni per lasciarsi andare al fluire di
una musica pura in continua ricerca di espressione. “The Science Of Chaotic Solutions” si
propone come punto di contatto tra le tre esperienze passate dei componenti – dal
noise-kraut rock di marca Ulan Bator/Faust al garage rock’n’roll dei FIUB – e farle avanzare
attraverso una libertà assoluta e nessun progetto che non sia quello di suonare e vedere
dove il tutto può condurre. Il titolo del disco e il nome della band, quindi, sono significativi. Il
caos e le soluzioni che ne possono nascere. Otto canzoni tra strumentale e cantato in grado
di sfuggire alle definizioni proprio perché l’eclettismo diventa parte fondamentale. Si mette
dentro tutto. Non esistono regole e come va, va. Certo non è il primo disco nato in questo
senso e spesso le band che lo hanno fatto non ne erano semplicemente in grado risultando
vieppiù sgradevoli ma qui stiamo parlando di un’altra categoria. La Jestrai crede molto in
questo progetto low cost e assolutamente particolare e ne ha tutti i motivi.
Contatti: www.myspace.com/chaosphysique
Hamilton Santià
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Numero Ottobre '09
Eleven Project
Eleven Project
Elle
Obiettivo ambizioso e pure inusuale, quello di andare nei territori degli Zero 7, non certo i
più battuti fra chi esordisce nella scena indipendente italiana. Eleonora Matteucci ha però
dalla sua un amore e un rispetto molto tecnico nei confronti del fare musica; e questo è
importante, è una base di partenza non scontata e nemmeno tanto diffusa. Le piace lavorare
bene. Le piace curare, rifinire, levigare. Forse anche troppo; ma se difetto è, è un difetto che
si può correggere con l’esperienza, capendo che incisivo può (talora) essere più efficace di
curato, e che un andamento sempre sinuoso può diventare, alla lunga stucchevole, a meno
che non sia supportato da una capacità di scrittura suprema. Capacità che Eleonora ancora
non ha (e che gli Zero 7, tanto per tornare all’esempio di partenza, quasi sempre hanno), ma
le basi ci sono tutte. Deve lavorare di più nel trovare una sua voce, bandire almeno per un
po’ gli Air dai suoi ascolti, togliere qualche incrostazione da pop rock all’italiana (nel
mixaggio dei suoni, e non solo). Ma la qualità di base non manca, ed Eleven Project è un
esordio a dir poco incoraggiante. Dopodiché, chiaro, per il futuro non bisogna fermarsi qua, e
intanto sarà curioso (e formativo) vedere come e quanto funzionerà il lavoro dal vivo per
presentare questo album.
Contatti: www.elevenproject.com
Damir Ivic
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Numero Ottobre '09
Ephemeris
Evoluzioni
Black Fading
Gli Ephemeris sembrano appartenere ad una zona grigia in cui il folk celtico si avvicina alle
chitarre distorte ma tirate a lucido di certo pop-metal, in cui l'emo-rock di ampio consumo
sfuma – o vorrebbe sfumare – in qualcosa di più denso e profondo, dove la ricerca d'autore
si insinua in territori eminentemente rock, hard ma pure patinati, ammantando il tutto di una
atmosfera fiabesca. Mettiamola così: nel peggiore dei casi, soffermandosi sulle canzoni di
questo “Evoluzioni” (prodotto dall’ex Disciplinatha Cristiano Santini) sembra di ascoltare gli
Evanescence, nel migliore i Mellow Candle. Il fatto che dei secondi potrebbero esserci non
solo le ambizioni compositive e le dote vocali – la voce della frontwoman Sara Mazzer è
indubbiamente espressiva e duttile quanto basta, e le strutture prog-folk di alcuni brani, si
ascolti a tale proposito un pezzo come “Creatures”, sono effettivamente ingegnose a tratti –
non cancella purtroppo l'esistenza di arrangiamenti tirati a lucido e banalmente patinati, che
per la paura di sporcarsi annacquano le intuizioni in un generico suono radiofonico che
ammicca al mainstream, senza tuttavia avere (ancora?) le spalle abbastanza larghe per
incontrare le masse. Una stroncatura? Sì e no. Un appello, più che altro, a trovare una
dimensione più personale che al momento ancora manca.
Contatti: www.myspace.com/ephemerisrock
Alessandro Besselva Averame
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Numero Ottobre '09
Gerardo Balestrieri
Un turco napoletano a Venezia
Interbeat/Egea
Gerardo Balestrieri è emigrante di ritorno. Figlio di germanesi, italiani trapiantati in
Germania per lavorare in fabbrica, è nato in Westfalia e vanta esperienze diverse e ricche,
compresi due Premi Tenco. Il suo ultimo progetto utilizza lo sguardo di cui può godere una
mente aperta. E così Balestrieri rimescola le carte della memoria musicale partenopea,
rileggendo i classici con spirito ottomano. Senza mai tradire la tradizione, affida le radici
vesuviane alle cure dell’ensemble mediorientale di Arif Azerturk. Il tutto avviene a Venezia,
luogo dove il sincretismo si compie, la porta dell’est.
Secoli di mescolanza e di canzoni amatissime vengono riviste dalle voci di Balestrieri e di
Paola Fernandez Dell’Erba, argentina di origini lucane, e da musicisti armeni, tunisini,
iraniani, turchi; ma anche di Napoli, Venezia, greci... Da “Canzone appassionata” (1922) a
“Maruzzella” (1955), da “A Marechiare” di Salvatore Di Giacomo (1886) a un paio di classici
carosoniani anni ‘50, da “Guapparia” di Raffaele Viviani (1914) a “Nascette mmiezz ’o mare”
di Roberto De Simone (1975), il repertorio svaria liberamente, giocosamente.
In realtà l’immanenza turca dentro la musica napoletana è innegabile “a prescindere”, come
direbbe Totò. Pensiamo a certe melodie (“Scetateve guagliun‘e malavita” e molte altre), a
tante armonie; pensiamo a Carosone. Balestrieri porta in superficie una vena che sta(va) già
sotto, ne evidenzia i tratti. E, particolare non secondario, ne affida l’esecuzione a musicisti
dell’Asia Minore, con strumenti mediorientali: oud, bouzuki, saz, ney, kaval, santur.
Contatti: www.gerardobalestrieri.com
Gianluca Veltri
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Numero Ottobre '09
Goose
30:40
Seahorse/Audioglobe
Ci siamo occupati dei Goose già in passato, per l'esattezza tre anni fa in concomitanza con
la loro prima uscita su Seahorse, “Tutto come allora”. In quella occasione avevamo
evidenziato il più che volenteroso tentativo di coniugare nella nostra lingua modelli
compositivi legati al pop-rock di matrice angloamericana (quello più classico, ma anche
quello di nicchia, dal folk-rock al power pop diciamo), ma anche le incertezze nel portare a
compimento il progetto, l'assenza, fatta eccezione per alcuni brani particolarmente azzeccati,
di una vena autoriale del tutto convincente. Chiudevamo la recensione, lo si fa spesso,
dicendo che, viste le promesse, l'evoluzione in senso positivo di quelle potenzialità sarebbe
stata non solo auspicabile ma anche possibile. In questo caso è andata proprio così, perché
questo nuovo lavoro dei sassaresi riesce a tratti a sposare la lingua di Go-Betweens e Big
Star, tanto per fare due nomi da sempre nel cuore della band, con la tradizione italica in
modo eccellente, e dove non compie del tutto la fusione sciorina comunque una pletora di
canzoni di livello assai buono. Complice di questa maggiore solidità, azzardiamo, la scelta di
fornire un tema unitario ai pezzi, quella difficile terra di mezzo che è il decennio che
trasforma i trentenni in quarantenni, con tutto il suo portato di dubbi e quesiti senza risposta,
un argomento che, in un brano come “La vita a 34 anni”, ironia agrodolce in salsa
country-pop, viene affrontato con la leggerezza dei migliori Perturbazione. Un deciso passo
avanti.
Contatti: www.goosemusic.it
Alessandro Besselva Averame
Pagina 26
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Numero Ottobre '09
I Camillas
Le politiche del prato
I Dischi di Plastica-Marinaio Gaio-Tafuzzy-Wallace
A un ascolto superficiale o distratto, la tentazione di appiccicare al disco dei pesaresi
Camillas lo scomodo e impossibile da staccarsi adesivo di “demenziale” è fortissima. Perché
le loro sono storielle all’apparenza assurde, a volte al limite del nonsense, che parlano di
animali come di pane, di pandori e di palle che rimbalzano. A farlo, però, si finirebbe
inevitabilmente per appiattire una proposta che tutto è tranne che priva di sorprese o di
scarti, e di semplificare qualcosa che, nella sua ingenuità un po’ naïf, in realtà è
estremamente stratificato. Da una parte, il duo marchigiano pare trovarsi perfettamente a
proprio agio tanto con l’elettronica più povera quanto con l’estetica indie, con il punk d’antan
come con gli scenari acustici, all’insegna di una comunicazione sonora diretta ma non
banale, multiforme e assolutamente immediata senza però cadere mai nel dozzinale o nello
scontato. Dall’altra, Ruben e Zagor Camillas si servono sì del nonsense, ma in maniera
quasi mai gratuita, bensì, per costruire universi partendo da eventi talmente minimi da
sembrare risibili, mettendo in luce dettagli infinitamente piccoli e ingrandendoli fino a farne
canzoni in cui non mancano sfumature e spunti di originalità. E, in tutto questo, ricordando
con la stessa facilità gli Skiantos come certi scenari cosmici da krautrock anni 70,
l’elettro-pop più da cameretta e l’hardcore (anche se, va detto, il vocoder in “Maya” è da
fucilazione). Il punto, allora, non è se i Camillas facciano o meno sul serio, ma se e quanto
l’ascoltatore abbia voglia di mettersi in discussione entrando nel loro mondo, col rischio di
divertirsi come un pazzo ma anche di uscirne irritato. Un gioco che, per quanto ci riguarda,
vale tranquillamente la candela.
Contatti: www.myspace.com/camillas
Aurelio Pasini
Pagina 27
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ICO
Controverso
Supernatural Cat
La differenza tra questi ICO (Incoming Cerebral Overdrive) ed altri colleghi nazionali dediti,
come loro, a un post-metal-core di scuola Neurosi/Isis, è semplice: gli ICO sono una vera
band, suonano dal vivo, salgono su pulmini scassati e girano l’Europa a dimostrare quanto
valgono, per misurarsi con situazioni nuove, dove serve coraggio, mentre gli altri cercano
scusanti per spiegare la mancanza di crescita. “Non abbiamo suonato tanto, ma vedere
come si muovono i meccanismi all’estero serve a comprendere molte cose”; così il gruppo si
è espresso in un’intervista. Ed è per questo che “Controverso” appare come un netto passo
in avanti rispetto al pur ottimo esordio di “Cerebral Heat” del 2007. C’è da segnalare anche il
passaggio alla Supernatural Cat, label che trasformerà anche dal punto di vista grafico
questo album in un pezzo da collezione, con tanto di edizione in vinile limitata. In
“Controverso” (non tragga in inganno il titolo in italiano, i testi sono in inglese), ascoltiamo
otto brani che suonano taglienti come lame e pesanti come schiacciasassi, per
un’aggressione senza sosta, limitata a soli trentatré minuti, perché forse la mente umana
oltre non può reggere. Nonostante ciò negli ICO tutto scorre con matematica logica e
devastante lucidità, dall’apertura feroce di “Reflections” a “Science”. “Magic”, con il suo inizio
suadente, si trasforma poi in un rito musicale dai toni drammatici, con la voce di Samuele
Storai che si arrampica sulle note, mentre chitarre e synth sparano accordi in crescendo.
“Sound” tiene fede al titolo ed è un’incalzante cavalcata che non accetta pause, così come la
successiva “Colours”. in chiusura un allucinato giro di tastiere disegna un fraseggio
cinematografico in “There”, sorta di metal-core psichedelico del terzo millennio, prologo di
quello che potrebbe essere il futuro artistico del gruppo, che afferma di essere già pronto a
stupirci con un prossimo album. Attendiamo fiduciosi.
Contatti: www.myspace.com/incomingcerebraloverdrive
Gianni Della Cioppa
Pagina 28
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Io Monade Stanca
The Impossible Story Of Bubu
Africantape
C'è un estrema coerenza alla base del progetto Africantape, che parte dalle grafiche
minimaliste ed essenziali dei dischi pubblicati dall'etichetta e arriva alla musica dei gruppi
sponsorizzati. Quest'ultima un math-rock/noise razionale, riverberato, per sua natura poco
incline ai compromessi, come dimostrato anche dai pentagrammi di Three Second Kiss,
Aucan, Passe Montagne e Hey!Tonal. Alle formazioni citate si aggiunge ora anche Io
Monade Stanca da Cuneo, band che già all'esordio “In The Thermi Table” (Canalese Noise,
2007) aveva dimostrato di saperci fare e che qui contagia la naturale destrutturazione alla
base del genere con un approccio decisamente free. Idea che nella pratica si trasforma in
sette quasi strumentali – qualche rimbrotto di voce qua e là si coglie – tutti chitarre distorte,
bassi dispari e rullanti costantemente in divenire, per un suono elastico che nonostante
l'approccio energico di base, arriva a toccare i confini del jazz.
Fondamentale, in questi casi, diventa cogliere ciò che c'è di significativo oltre il muro che ci
si trova di fronte, lavorando per sottrazione, individuando le connessioni, magari esaltando le
potenzialità della sinestesia (un po' come si fa per il post-rock). Ciò che emerge da tale
processo di libera associazione è un disco dalla complessità affascinante, granitico, ma in
qualche frangente anche inevitabilmente autoreferenziale.
Contatti: www.myspace.com/iomonadestanca
Fabrizio Zampighi
Pagina 29
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Jonas First Date
Requiem To Rio
Bagana/Edel
Devo confessare una colpa: non ho un'idea precisa di questo disco. Ma partiamo prima
dalle certezze: “Requiem To Rio” è la seconda prova in studio dei Jonas First Date, ovvero
la band formata tra gli altri da due tra i più attivi fomentatori musicali della Liguria: Mike, un
tempo chitarra e anima dei Five O's, e Amee che degli indimenticati Danny's Wednesday era
la voce. Confermato il ruolo di produttore per Olly, e del resto la sua produzione ci sembra
molto marcata e riconoscibile. E qui finiscono le cosa facili: più difficile è infatti giudicare il
risultato finale. Da una parte trovo che in questo lavoro ci siano alcuni brani davvero belli e
riusciti, a partire da “A Phoenix On A Frozen Star”, in cui la voce un po' dark e venata di
malinconia ben si sposa con una solidità ritmica punk e una melodia quasi-pop. Un equilibrio
che però pare fragile, perché ad esempio in “It's Chinese Take Out” ho avuto la sensazione
di trovarmi al cospetto di un fenomeno usa e getta, e non di un gruppo rispettabile quali sono
i Nostri. E non mi piace nemmeno il costume attuale, in verità molto diffuso, di coverizzare
un brano di alta classifica come “I Kissed A Girl”. Nel complesso, “Requiem To Rio” è un bel
disco, molto attuale nel suono e ben arrangiato, ma quando la musica finisce c'è la
sensazione che si poteva fare di più. E che bastava molto poco per riuscirci.
Contatti: www.myspace.com/jonasfirstdate
Giorgio Sala
Pagina 30
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Numero Ottobre '09
JTR Sickert
You Deserv Panic
Bagana /Edel
I JTR Sickert, nati a Modena nel 2005, sono figli della folgorazione techno del batterista
Rez, già attivo in altri progetti dal taglio heavy metal, ma che in questo nuovo progetto
disegna un suono dai connotati crossover, con una mistura di metal, cadenze techno e
inserti che sembrano più colonne sonore per film horror che vere e proprie canzoni. La band
si assesta intorno alle voci di Tiziano Panini ed Erika Miraglia, alla sezione ritmica di Claudio
Mantovani (basso) e Federico Bonora (batteria), ma a consegnare un’identità solida al
gruppo sono le tastiere magnetiche - che rimandano persino ai Goblin - di Daniele Rezzaghi,
che si cimenta anche alla chitarra. Attivi con continuità in concerto, con contributi anche a
festival importanti, i JTR Sickert, che prendono il nome dal pittore ottocentesco Walter
Richard Sickert accusato di essere il serial killer Jack lo Squartatore, si fanno notare con un
demo di quattro pezzi, accolto con enfasi dalla critica ed oggi si apprestano a ricevere il
medesimo trattamento con questo album di esordio. Il motivo è semplice: “You Deserve
Panic” è colmo di musica moderna, apparentemente feroce, ma che gioca a rincorrere
melodie ruffiane e se il timbro di Tiziano adesca ruggiti, subito arriva la soave vocalità di
Erika a conferire un tocco adulatore, e in tale senso “The Birth Of The 20th Century” e
“Crystal Night” sono canzoni che documentano al meglio questo perfetto dualismo. Un riff
roboante contrappuntato da una tastiera luciferina e poi la voce eterea femminile che si
incastona in una melodia felicemente gotica, così si presenta “Portrait Of A Killer”, il brano
forse più significativo degli undici proposti, che hanno rimandi a Lacuna Coil, ma che
mantengono una propria identità costruttiva, come nell’ipnotica “Everything Is Growing Old”
e nella chiusura malinconica di “The Double Event”. Se c’è ancora un pubblico attratto dal
gothic metal, qui spruzzato di modernità vagamente dance, può avvicinarsi con curiosità a
questo album, troverà più di un motivo di interesse.
Contatti: www.jtrsickert.com
Gianni Della Cioppa
Pagina 31
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Numero Ottobre '09
Lomé
La ragione (non ce l’ha nessuno)
L’Eubage
Senti una traccia come “Marmobianco”, e i Lomé ti sembrano davvero quello di cui forse più
ci sarebbe bisogno ora nella musica italiana: classe, eleganza, cura strumentale, intensità,
capacità di scrittura. Cura contro le sciatterie e/o i modaiolismi. Antidoto contro chi inizia a
mettere su una band stando ben attento, prima di tutto, ad imbroccare il suono del momento.
I Lomé invece hanno una generosità creativa per cui diventa loro impossibile, del tutto
impossibile sincronizzarsi con l’ultrapresente. Generosità creativa, o prolissità – questione di
punti di vista: perché inutile nasconderselo, più che con Zappa (citato e omaggiato) i nostri
hanno più punti in comune con un’attitudine prog, o comunque con un cantautorato dotto
che tende verso il jazz. Alla Cammariere, sì, con la differenza che loro per fortuna uno non si
prendono così tremendamente sul serio, due (conseguenza del punto uno) amano prendersi
dei rischi, dialogando in modo serrato e ardente col pop nelle sue varie forme. Rischi
eccessivi quando infilano perfino la cassa in quattro in un paio di tracce (non è cosa loro e si
sente, ma soprattutto stona col resto del disco) o quando la vocalità diventa un po’ troppo
debordante (ecco, questo succede spesso, sarebbe da lavorarci sopra). Ma “La ragione (non
ce l’ha nessuno)” è nel suo complesso un album molto interessante e i pezzi azzeccati sono
più d’uno. Da tenere d’occhio: vanno ancora sgrezzati ed “essenzializzati”, ma i Lomé
rischiano di diventare un patrimonio piuttosto interessante sotto i cieli cantautoriali di casa
nostra.
Contatti: www.myspace.com/lomeband
Damir Ivic
Pagina 32
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Numero Ottobre '09
Lorenzo Bertocchini And The Apple Pirates
Uncertain, Texas
autoprodotto
Cantautore springsteeniano con due piedi ben piazzati nella musica americana più roots,
una frequentazione quest'ultima rafforzata da una lunga carriera iniziata nei primi anni
Novanta, collaborazioni prestigiose (un'amicizia di lunga data con Elliott Murphy ad esempio)
e chilometri macinati nei luoghi dove è nato un immaginario abbracciato con tanto fervore e
competenza: ecco Lorenzo Bertocchini, come da tradizione accompagnato da quegli Apple
Pirates che lo seguono dagli esordi. Ma il musicista di Varese non è solo questo. D'accordo,
Bertocchini si muove in un territorio battutissimo da generazioni, in cui è davvero difficile dire
qualcosa di nuovo. Ma, d'altra parte, non è neppure detto che ci sia una effettiva necessità di
dirlo, qualcosa di nuovo, e le canzoni hanno una loro autorevolezza poetica, al di là di una
buona capacità nel risultare credibile vestendo i panni del songwriter cresciuto con in mente
una certa America. Nulla a che vedere con il suono alt-country o con le contaminazioni più
recenti di quel luogo dell'immaginario: le canzoni si muovono sulle direttrici dei Dylan, dei
Petty, dei Mellencamp e, giustappunto, degli Springsteen, con un suono fitto di chitarre,
Hammond e fiati, e lo fanno al meglio. Magari non è roba per tutti, e non è detto che
piacciano ai fan dei Califone. Ma, lo ribadiamo ancora una volta, è materiale di
pregevolissima fattura, che si fa notare pur senza rubare la scena.
Contatti: www.applepirates.com
Alessandro Besselva Averame
Pagina 33
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Numero Ottobre '09
Marcilo Agro e il Duo Maravilha
Sono uscite le materie
Halidon
Seconda prova sulla lunga distanza – e terza in assoluto – per Marcilo Agro e il Duo
Maravilha; un lavoro, ancora una volta, giocato su un minimalismo che però non è sinonimo
di arrangiamenti poveri o anche solo scheletrici, ché il trio novarese sa farsi bastare due
chitarre e tre voci per creare intrecci strumentali ricchi di sfumature, in grado di creare una
soffice atmosfera di intimità su cui adagiare le parole. Parole studiate nei minimi dettagli,
ispirate a piccoli spaccati di vita quotidiana come alla “Divina commedia”, a vecchi diari di
scuola come alla Bibbia e a poesie irachene; magari un poco leziose in certi passaggi e in
determinate affettazioni nella pronuncia, e talvolta beffarde nell’alternare registri e toni.
Proprio qui, del resto, risiede a nostro avviso una delle caratteristiche salienti dello stile
dell’ensemble: nel dar vita ad avvincenti contesti sonori avvolgenti e romantico-malinconici
per poi intaccarne la trama con testi, se non assurdi, per lo meno spiazzanti come scelte
stilistico-lessicali o anche solo accostamenti di immagine. Il che, lo ammettiamo, non sempre
riesce bene (gli inserti delle seconde voci ne “Il vantaggio del meccanico”, per dire, non sono
esattamente memorabili), ma contribuisce comunque a costruire l’unicità della proposta dei
tre. I quali, nel corso di queste tredici tracce, spaziano in lungo e in largo riprendendo prima i
Pet Shop Boys di “It’s A Sin”, dedicando come d’abitudine una canzone al “Geonoa Cricket
& Foot-Ball Club”, chiudendo poi il discorso con una “Ed ora andate” che è un’invettiva
vetriolica e insieme col sorriso sulle labbra e, nel mezzo, regalando con “Ma in silenzio” una
perla rara di intensa delicatezza. Talentuosi e dispersivi, irritanti ma all’occorrenza capaci di
centrare il bersaglio senza sforzi apparenti: camminano su un filo sottile Marcilo Agro e soci,
e talvolta sembrano sul punto di cadere; il fatto che ciò non succeda è di per sé una prova di
carattere – e di talento – tutt’altro che da sottovalutare.
Contatti: www.marciloagro.com
Aurelio Pasini
Pagina 34
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Numero Ottobre '09
Me For Rent
No Fancy Style
Nerdsound/Ammonia
Sembravano spariti i Me For Rent. Un disco soltanto, molte apparizioni live e poi il silenzio.
Un percorso atipico che però pare riannodarsi come se nulla fosse; qualche concerto giusto
per riprendere affinità con la materia - meglio se in compagnia di gente come Hives o
Turbonegro - e poi dritti in studio per confezionare “No Fancy Style”. Una dichiarazione
d'intenti in musica, che pare tale anche dalla scelta di un tale Jack Endino, che dopo aver
lavorato con Mudhoney e Soundgarden si è occupato del mixaggio di questo lavoro. Chissà
se a convincerlo è stato l'attacco fulmineo di “The Reaver” o il rock’n’roll stradaiolo di “Shake
It Up”. Magari, più semplicemente, s'è accorto che qui c'è energia da vendere al servizio di
un suono a metà tra garage e rock, che guarda anche al Nord Europa ma lo fa con un gusto
più rumoroso e meno pulito. I pezzi sembrano un fiume in piena, ed il punk si confronta con
gli assolo di chitarra senza un attimo di sosta. Se poi come cover si sceglie “This Is
Rock’n’Roll” il manifesto programmatico è completo. E se vi lagnate della mancanza di una
ballata o di un mid-tempo, e “Let Sleeping Dogs Lie” non vale, allora questa musica non fa
per voi. Se con questa musica vuoi incontrare il successo di massa prima o poi devi ripulire
suono e atteggiamenti, ma se vuoi divertirti e divertire basta fare quello che han fatto i Me
For Rent. Qualcosa solo in apparenza facile, ma che in “No Fancy Style” sembra addirittura
banale.
Contatti: www.nerdsound.com
Giorgio Sala
Pagina 35
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Numero Ottobre '09
Mimes Of Wine
Apocalypse Sets In
Midfinger
Laura Loriga è il seme, l’acqua e il sole di questa formazione bolognese. Me la ricordo allo
Zò Caffè di Bologna quando con Francesco Begnoni e Zeus Ferrari, rispettivamente chitarra
e batteria di Juniper Band, esordì con questo progetto, e ammetto che non ne rimasi colpita
allora perché erano ingredienti standard che avevo già ascoltato da altri, oppure forse non
avevo quella sera un po’ di quello spirito guerriero del talent scout che tutto scorge, tutto
percepisce. Sono felice adesso di ritrovarmi di fronte ad una crescita esponenziale o
semplicemente di ascoltare queste canzoni e arrivare a stupirmi per il riuscito creare in un
clima, in un atmosfera di dolcezza assoluta questi gioielli emozionali. A cominciare da
“Julius” Laura si affaccia con la sua voce verso tutta una serie di crescendo che si rivolgono
a un coro esaltando, premendo dentro, sfiorando. In “K” la sua voce parla col suo stesso
pianoforte e una certa turbolenza sembra affiorare, ora estrema, ora calmante. “Bolivar”
sembra pensare al momento della fine di qualcosa a cui ci sentivamo ancorati per quanto la
ragazza sa essere straziante, come anche quello scricchiolio della sua voce in “Oberkampf”
nel momento più veloce. Suonare facendosi trasportare ma controllarsi per mettere dritte le
emozioni e poi cantare non deve essere facile. La naturalezza che invece utilizza Laura
lascia di stucco perché ascoltandola giureresti che la sua voce sarà rotta dall’emozione, e
invece essendo in pace, nel suo stato ideale, è lei alla guida di questo camion di sussulti,
gioia e lacrime vissute, tradite, respirate e asciugate.
Contatti: www.myspace.com/mimesofwine
Francesca Ognibene
Pagina 36
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Numero Ottobre '09
Murièl
Cosa decide?
Trydog Lab/A Buzz Supreme
I Murièl tornano con un album che, pur ponendosi a partire dal titolo parecchie domande,
fornisce soprattutto delle riposte. Risposte che mettono in luce la robustezza, quantunque
pervasa da molteplici sfumature, del rock emozionale proposto dal quintetto di Prato. Dopo il
debutto “Il movimento necessario” del 2007 e l’EP “Neppure un volto” dello scorso giugno,
“Cosa decide?” unisce al meglio elettricità e trame sintetiche rivelandosi al contempo
coinvolgente nelle sue tinte di accesa malinconia e sufficientemente moderno. Maurizio
Mangoni (voce, chitarre, basso ed elettronica), Mirko Bertolucci (chitarre, rumori e
suggestive parole in italiano), Fabio Mazzei (batteria ed elettronica), Gianni Sarchi (cori,
chitarre e piano) e Danilo Scuccimarra (basso e synth) hanno perfezionato la propria formula
stilistica, tanto che è inutile citare una canzone piuttosto che un’altra vista la buona riuscita
del tutto. Gli ospiti sono numerosi e di alto profilo, perfettamente calati nel contesto e mai
invasivi: Guglielmo Ridolfo Gagliano suona vari strumenti e si occupa della produzione
artistica, Paolo Benvegnù – prezioso collaboratore di vecchia data – canta nella title track e
Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione compare al microfono in “Il senso che si dà”, mentre
Serena Altavilla e Mirko Maddaleno dei Baby Blue prestano rispettivamente la voce
nell’avvolgente “Confondersi” e la chitarra qua e là. Qualità, apertura verso l’esterno e un
futuro che potrebbe riservare ulteriori evoluzioni.
Contatti: www.murielmusic.it
Elena Raugei
Pagina 37
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Numero Ottobre '09
Nexus
EP
Vrecords
Con questo EP destinato solo alla promozione e alla vendita nei concerti, che anticipa di
alcuni mesi la pubblicazione dell’album di esordio, i veronesi Nexus, attivi da anni e capaci di
reggere il palco anche in occasioni importanti, desiderano focalizzare l’attenzione sulla
nuova line-up, che vede l’ingresso del frontman italoamericano Christopher Tooker, giovane
musicista tuttofare, capace di presentarsi al suo primo concerto nelle vesti di cantante,
chitarrista e batterista, senza mostrare il minimo segno di imbarazzo. Abile lui, ma anche
fortunato, perché si è inserito in un contesto già rodato e vincente, che come trio aveva
mostrano tutto il suo valore in tante altre occasione. Grazie alla rinnovata formazione, i
Nexus ora possono permettersi maggiori varianti compositive ed in concerto appaiono
realmente una macchina rock perfetta, supportati dalla chitarra trita riff di Diego Dalkodo, dal
basso di Andrea Veronesi e dal batterista/cantante Cristiano Macchi, autentico showman da
palco. Ma la forza del gruppo è che i protagonisti si scambiano di ruolo, in un gioco a
incastro che in concerto, diventa uno spettacolo nello spettacolo. Con simili presupposti la
musica dei Nexus non poteva che essere adrenalinica e coinvolgente, ma le melodie sono
ben salde nella struttura e “Do It!” e “Motorama” sono documenti rock che attestano una
capacità di scrittura non facile a trovarsi. Sa segnalare in “Corri corri principino” la presenza
al canto di Leila Gharib dei Bikini The Cat, che amplifica la duttilità espressiva del brano.
Attendiamo fiduciosi, certi che l’imminente album potrebbe permettere ai Nexus
quell’auspicato salto di qualità che tanta perseveranza e ardore meritano di certo.
Contatti: www.myspace.com/nexus8kmband
Gianni Della Cioppa
Pagina 38
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Numero Ottobre '09
Octopus
EP 2009
Seven Muzak/Self
Gli Octopus esordiscono con un EP autoprodotto, a seguire centinaia di concerti macinati in
giro per l’Italia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Il trio milanese predilige difatti energia e
sonorità sanguigne, espresse al meglio sul palcoscenico. Non è un caso che la scaletta
presenti due canzoni catturate dal vivo (“Desire” e la cover “Crosstown Traffic” di Jimi
Hendrix), ad aggiungersi a tre brani incisi in studio: “King Of The Night”, “The Sausketo
Funk” e “Lemon Kiss” shakerano groove ed elettricità con dinamica coerenza. Siamo dalle
parti di un rock-funk che discende dai Red Hot Chili Peppers, cantato in inglese e pervaso
da affondi crossover e occasionali rimandi blues. È indubbio che il trio milanese – composto
da Reepoman alla voce e alla chitarra, l’ex-Vibrazioni Garrincha al basso e Mr. Zed alla
batteria – ci sappia fare strumenti alla mano risultando poderoso e compatto, ma a mancare
è un pizzico di quell’originalità che permetterebbe di scacciare un inevitabile retrogusto
revivalistico. Il dischetto offre anche tre filmati video, suddivisi in un paio di ulteriori episodi
live – “Miami Airport” e “Party (On Your Pussity)”, estratte dal DVD “Octopus Live 2009” - e il
clip di “Desire”, ottimamente girato a dispetto dello stereotipo dei musicisti che si
scalmanano a torso nudo. Prendiamo quello che c’è di buono, in attesa di appurare se la
prima prova sulla lunga distanza sarà in grado di fugare le perplessità.
Contatti: www.octopustrio.com
Elena Raugei
Pagina 39
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Numero Ottobre '09
Papik
Rhythm Of Life
Irma
La buona vecchia lounge music: passata la sbornia di metà anni Novanta, come ogni
genere di nicchia che improvvisamente si metta a dettare il trend, la lounge è rientrata nei
ranghi, lasciando in eredità qualche spezia e qualche soluzione entrata nell'uso comune,
soprattutto nel campo dell'elettronica e dei suoi immediati dintorni. Ma continuando a
produrre, è il caso di una etichetta storicamente impegnata a promuoverla come la
bolognese Irma, materiali di buon livello, certamente destinati al loro pubblico d'elezione ma
mai relegati al ruolo di pura e semplice tappezzeria sonora da cocktail. Questo disco di
Papik, tastierista e arrangiatore di stanza a Roma, propone la più classica della scalette,
alternando brani celebri altrui ad una nutrita manciata di pezzi autografi. Tra i primi una
convenzionale ma piacevole “La chiamano estate” di Bruno Martino e una più significativa
resa di “Crazy” degli Gnarls Barkley, valorizzata dalla voce dell'ospite Alan Scaffardi, tra i
secondi una elegante “Rhythm Of Life”, ingredienti un ritmo che batte il tempo della
bossanova, un agile piano elettrico, fiati, sottili linee orchestrali e una voce femminile da
manuale. Nulla di nuovo, nessuna pretesa sperimentale e neppure il minimo tentativo di
retrofuturismo, ma un disco di genere decisamente buono. A volte è più che sufficiente.
Contatti: www.myspace.com/papikmusic
Alessandro Besselva Averame
Pagina 40
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Numero Ottobre '09
Perlé
Il blu e il nero
La Rosa/Venus
Già cantante nei Konya Dance e nei Bête Noir, Gianluigi Scamperle, ai secoli Perlé,
ha fatto soprattutto molta strada insieme ai Kasanova. È da qualche anno che il cantautore e
musicista veronese ha intrapreso un cammino solitario, e “Il blu e il nero” ne è il primo frutto.
La cifra sonora del disco, la cosa migliore - il suono - più della scrittura o delle soluzioni
melodiche, è un muro scuro denso, “il blu e il nero” appunto. Muro eretto da ben tre chitarre
elettriche più o meno stabilmente in organico (Perlé + Diego Spezie + Andrea Sarasini o
Marco Vignuzzi), cui si aggiungono sezione ritmica e a volte hammond e pianoforte. Un
valido esempio di questa grana del suono è offerto da “Un’onda dipinta di blu”, il singolo che
ha anticipato l’album, con una chitarrina in vibrato in evidenza che sa di anni 60 e di primi
Stones. Per restare a riferimenti più vicini nel tempo e nello spazio, “Fuoco spento” richiama
certi CSI (elettrificati, of course), mentre in “Veleno” è come se Pelù venisse mixato con
Manuel Agnelli. Un momento di sospensione è offerto dai due intermezzi “Bête Noir
Intro” e “Bête Noir” - la vecchia band non si scorda mai -, sorta di divertissement da
studio realizzati con John Agnello e John Parish, i due blasonati produttori responsabili della
maggior parte dei missaggi.
Perlé è un artigiano del rock, uno di quelli che amano la vecchia scuola, come testimonia
“Caroline Says”, dal Lou Reed berliniano, rivisitata con buon piglio e ottimamente arrangiata.
Contatti: www.myspace.com/gperle
Gianluca Veltri
Pagina 41
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Numero Ottobre '09
Roberta Carrieri
Dico a tutti così
X-Beat/Goodfellas
Già elemento dei Quarta Parete e performer e attrice nella compagnia di teatro “Kismet” di
Bari - la sua città - nonché voce dei Fiamma Fiumana, la Carrieri si segnala per un album
fresco ma anche di sostanza, classificatosi nella cinquina dei finalisti al Tenco, sezione
esordienti.
Il ritornello dell’iniziale “Vorrei” ha un giro armonico già sentito; ma ben presto cambiano le
regole. La tenerezza di “Mia madre”, in cui la dichiarazione d’amore, su una godibilissima
pseudo-bossanova, è giocata sulla sottrazione (“come dirle che le voglio bene/ se non mi ha
insegnato a dirlo”). “Tu che sei” è un trascinante pop-rock che unisce un’Alice in vena di
celie a una Rettore divenuta matura. Le soluzioni alle quali ricorre la cantautrice pugliese
sono sorridenti, a onta di una malinconia di fondo: come quando in “Bianca” un coro
doo-wop sottolinea la necessità di una piena presa di coscienza; o quando da brava
meridionale Roberta si auto-sfotte sull’uso delle “o” chiuse; o quando si apre la tavolozza in
“Sereno di pioggia” (fischiano le orecchie a Cristina Donà?), con chitarra e armonica
american style by Cesare Basile, al banjo e al dobro anche in altre due tracce. Oltre al
gruppo stabile della Carrieri, occorre almeno menzionare la partecipazione di Cesare
Dell’Anna alla tromba, Rodrigo D’Erasmo al violino e Mauro Ermanno Giovanardi al canto.
Angusto, trovare solo riferimenti italiani per questa artista la cui carriera solista andrà seguita
con molto interesse: “Angelo bianco dagli occhi cerchiati” è spiazzante come un pezzo di
Joni Mitchell, e “Non ci sei mai”, che suggerisce un link con i Cocteaw Twins di Elizabeth
Frazer - versante più etereo e intimista -, fa pace con le origini artistiche di Roberta, che
sono di amore per sonorità made in England, specie scozzesi.
Contatti: www.robertacarrieri.com
Gianluca Veltri
Pagina 42
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Numero Ottobre '09
Spread
Anche i cinghiali hanno la testa
autoprodotto
Quando è partito il riff dell’iniziale “Tum l’aspirapolvere” ho avuto un sussulto, che si è fatto
fremito di piacere con l’ingresso dell’ugola virile di Roby: per un attimo mi è apparso il
fantasma dei primi Soundgarden, e Chris Cornell si è materializzato davanti a me, e la cosa
si è quasi ripetuta in “Spremute di cazzo” (si avete letto bene!). Purtroppo, salvo sporadiche
situazioni, nei restanti otto brani, per un totale di poco più di trenta minuti, i bergamaschi
Spread non sono riusciti a ripetere il miracolo e hanno preferito girovagare nei meandri di un
rock ora stoner, ora psichedelico, ora indefinibile che – chiariamo – non sempre è sinonimo
di originalità (“Faccia di bronzo” sembra un omaggio agli Afterhours), piuttosto che
concentrarsi in un approccio hard stoner che sembra davvero essere nelle loro corde.
Dispiace perché “Togheter One” con le sue cadenze sabbathiane, gli arpeggi immortalati in
“Candida”, il riff desertico di “Cova l’Arabia” e la sempre convincente vocalità del cantante,
potevano trovare sviluppi più interessanti e meglio definiti. La sensazione è che gli Spread,
nonostante dieci anni di attività con qualche interruzione, numerosi concerti, concorsi vinti e
persi ed alcuni apprezzati demo tape, non siano riusciti a focalizzare al meglio le proprie
energie, preferendo il colpo ad effetto, piuttosto che un bel tiro secco in porta. Mossa
apprezzabile, ma che qui non sempre trova la giusta definizione. Purtroppo c’è da
annoverare anche, a mio avviso, una delle copertine più brutte degli ultimi mesi. Bene la
difesa e l’attacco, da registrare il centrocampo.
Contati: www.mypace.com/spreadrock
Gianni Della Cioppa
Pagina 43
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Numero Ottobre '09
The Art Of Wind
The Art Of Wind
In The Bottle
Se pensiamo a quello che c’è sotto restiamo intrappolati in gabbie che non ci appartengono,
e finisce che non gustiamo a modo i frutti dell’arte e dell’eccellenza, perché di questo si
tratta. Un ragazzo di una semplicità disarmante alla voce e al canto partecipa a ordinare
insieme il flusso perfetto delle note suggerite da un elfo che vive tra i suoi riccioli. Art Of
Wind, o se preferite Marco Degli Esposti, con questo primo album senza titolo appena uscito
per la In The Bottle, cresce da quel primo EP “The Boy, The Wolf And The Riverland Trees”
che aveva aperto il suo percorso musicale e accumula l’esperienza di trovarsi con se stesso
e con un suo pubblico che lo ascolta. La composizione non è più un esperimento ma si
ritrova, si comprende e si accetta, e qui l’eleganza delle melodie e un spirito carezzevole
mettono a lucido l’espressività emozionale. Mentre scorrono le tracce non si può far altro che
chiudere gli occhi lasciandosi trasportare dall’oltrepassare i confini della serenità per arrivare
a toccare quelli della contentezza. E tutto questo si ha nella calma e rilassatezza più
assoluta. “The Lonesome Boy”, dove il canto sembra rotto dal pianto all’inizio, prosegue con
una voce che si fa sempre più sicura e chiara mano a mano si arriva a dichiarare i propri
intenti. Diversi ospiti impreziosiscono ancora di più l’andamento della melodia, tra i quali
segnalo Francesca Morello che in duetto con Marco in “Seven Ghosts And Marion”dal primo
istante all’ultimo contribuisce non poco a farmi definire meraviglia questi “respiri”musicali.
Contatti: www.myspace.com/theartofwind
Francesca Ognibene
Pagina 44
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Numero Ottobre '09
The Barbacans
God Save The Fuzz
Boss Hog/Go Down
Il fuzz è un pedalino stupendo, ma al giorno d'oggi è anche un concetto. Il punto di svolta,
da suono a concetto, lo danno i Fuzztones a metà degli anni 80 rifacendo i Sonics. Da lì in
poi è tutta una specie di fuzz revival, con l'organo allo stesso volume delle chitarre sporche
in un delirio di garage edulcorato ma ancora fuzz, come concetto e come pedalino. “God
Save The Fuzz”, primo lavoro completo dei Barbacans, si attiene al canone forse troppo
pedissequamente. Chitarre e batteria fanno il loro sporco mestiere, il Farfisa è attento agli
stacchi tonanti durante i quali viene lasciato solo e nei lunghi assolo lisergici che sono un po'
una firma di genere (pezzi come “Jude The Honest” e l'incipit “Kick The Children” sono da
manuale). Il cantato sembra troppo svogliato, ma il garage tutto sommato tira e funziona, ora
veloce, sbarazzino, cantilenante e lercio (“What's Fantastic”) ora al limite della psichedelia
più movimentata (“Turn Away”, “Walking On Newspaper”). Alle manopole del mixer di “God
Save The Fuzz” troviamo tale Jorge Explosion, nume tutelare del genere e produttore di una
lista infinita di bands garage/fuzz in tutto il pianeta. The Barbacans hanno altresì un
curriculum di tutto rispetto che annovera spalleggiamenti live a gente come The Morlocks e
The Seeds, e ciò basta perché si corra a vederli dal vivo, dove immagino che la loro
dimensione esplosiva possa raggiungere l'apogeo. Quindi, in ogni caso, Dio salvi i
Barbacans e Dio salvi pure il fuzz. Il concetto e il pedalino.
Contatti: www.myspace.com/thebarbacans
Marco Manicardi
Pagina 45
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Numero Ottobre '09
Yu Guerra!
Messaggio inutile
Ansaldi/Goodfellas
Un luogo comune abbastanza diffuso nel mondo delle sette note è quello che vede, col
passare degli anni, molti artisti perdere almeno parte della loro ruvidezza iniziale in favore di
un piglio meno aggressivo e rabbioso. La si chiama maturità, tante volte. Non è il caso di Yu
Guerra!, che, pur attivo nell’ambito bolognese fin dagli anni 80, col suo nuovo lavoro – il
secondo a proprio nome, due anni dopo il riuscito “Odio vero”, di cui viene qui ripresa la title
track – tutto pare tranne che privo di tensione e di motivi per incazzarsi. Le sue canzoni,
compresa una buona ripresa di “Live In Pankow” dei CCCP – Fedeli alla Linea, vibrano di
un’elettricità nervosa, piena di rabbia e di insoddisfazione: quelle di chi, arrivati gli “anta”, si
accorge che i propri sogni per un mondo e una vita migliori sono destinati a rimanere tali, ma
invece di rassegnarsi senta l’irresistibile desiderio di gridare al mondo la propria frustrazione
a suon di rock’n’roll. Un r’n’r potente, distorto, roccioso nella ritmica e nelle chitarre, ma non
per questo privo di dolcezza e intimismo, specie nelle ballate dal piglio più romantico (“La
vanità”). Un lavoro assolutamente classico, pertanto in certi momenti abbastanza
prevedibile, ma non per questo meno onesto e sanguigno. Produce Marzio Manni dei
Valentines, mentre il chitarrista della band è Wilko dei Rats: due nomi che aggiungono
spessore e inquadrano ancora meglio una proposta lontana dalle mode proprio perché
nasce dal cuore.
Contatti: www.yuguerrra.com
Aurelio Pasini
Pagina 46
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Numero Ottobre '09
Mquestionmark
Mattatoio Culture Club, Carpi (MO), 18 settembre 2009
“Questa è la presentazione di un disco, anche se i primi due pezzi di stasera, nel disco, non
ci sono”. Laura Sghedoni avvicina al palco il pubblico compresso nella sala interna del
Mattatoio. Fuori il “Festival di Filosofia” impazza per le vie del centro, Vinicio Capossela ha
appena terminato una sottospecie di reading qualche centinaio di metri più in là e drappelli di
anime continuano a riempire il locale dal quale escono le note concitate di due bassi frenetici
e i colpi di una batteria percossa ossessivamente. Il primo pezzo di “One For All All For One”
è il terzo in scaletta, “My Friend”. Da lì in poi gli Mquestionmark (in formazione a quattro con
Filippo Rosi alla chitarra e alle tastiere) sparano una tirata dai tratti pop e post-punk che fa
arrossare le mani di un pubblico plaudente in continua crescita. Il caldo soffoca la sala
rivestita in legno del Mattatoio (siamo pur sempre in estate), ma la calca rimane, soffre e
sorride ai vortici di “Banana Bee”, “I Hate My Work” e tutto il resto del nuovo lavoro degli
Mquestionmark, stasera anche in vinile 180 grammi. Pochi i brani presi dal vecchio
“Absolutely Pizza”, tra cui spicca il bis esplosivo di “And The Winner Is”, il vecchio singolo
strappamutande che nelle province di Modena e Reggio Emilia conoscono un po' tutti.
È bello vedere che musicisti navigati come quelli sul palco stasera riescono ancora a morire
di paura prima di attaccare gli strumenti, rimangono tesi e rigidi nei primi due o tre pezzi,
sciogliendosi man mano, coinvolti e coinvolgenti, per arrivare alla fine del concerto in aria di
festa e delirio, sudati e soddisfatti come un gruppo di pischelli. In fondo questa è la
presentazione di un disco. Un gran bel disco, peraltro.
Marco Manicardi
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Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it