Proverbi, adagi, motti e detti milanesi

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Proverbi, adagi, motti e detti milanesi
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Proverbi, adagi, motti e detti milanesi
Fra le varie scartoffie che arricchiscono la mia biblioteca, ho
rinvenuto un volumetto, ormai datato in cui sono elencati i modi dire,
gli adagi e quant’altro, in vernacolo “meneghino”, per chi lo sapesse
Meneghino è il diminutivo di Domenico, ed è la maschera tipica di
Milano a cui si accompagna la sua Cecca (Francesca). Questa
espressioni tipiche della città lombarda e dei suoi abitanti, almeno è da
sperare che via sia ancora qualche milanese che sappia parlare in
dialetto, cosa alquanto dubbia, proveremo ad esporle con buona pace
di chi milanese non è, e con la speranza che trovino qualche buon
diavolo che insegni loro il nostro dialetto e chissà che in mezzo a tutta
quella mescolanza etnica in cui si trova ora la città ambrosiana, non
salti fuori qualcuno di questi che parlino un po’ in milanese.
E’ altrettanto vero che i dialetti sono un patrimonio culturale di tutte le
regioni e di tutti i paesi, è altresì vero che con il progredire dei tempi,
con le nuove scoperte scientifiche, con l’avanzamento industriale, con
l’arte che si adegua alle novità, anche i dialetti si conformano a queste
situazioni. Però ritengo più consono e più divertente riproporre questi
motti e detti dialettali nella loro forma originale e inerenti alla Milano
di un tempo, la cui composizione grammaticale risale al XIX secolo,
un periodo storico fantastico, con personaggi più o meno illustri di
grande valenza sia per Milano e la Lombardia, ma anche per l’Italia
stessa. Dobbiamo obbligatoriamente rammentare che spesso
l’accaduto cui si riferiscono questi adagi, spesso si perdono nella notte
dei tempi e il risalire alle origine è impresa impossibile, sono le
cosiddette tradizioni orali che si tramandano di generazione in
generazione, resta allora una certa curiosità e talvolta si è anche
stimolati per iniziare una ricerca.
Proverbi, adagi, lettera – U/V/Z –
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Uga bianca, uga negra, rara de grann, spessa de grann. In ogni
città o paese, piccoli o grandi, settimanalmente si svolgono i mercati
ambulanti, una volta la merce era stivata su carretti, spesso trainati da
cavalli che non erano certamente dei purosangue, oppure erano dei
furgoni a pedale, ora invece vi sono delle vetture a motore
appositamente attrezzate per diventare autentici negozi durante le ore
di mercato. Nei tempi passati chi esponeva la propria merce, lanciava
a voce dei messaggi che la pubblicizzavano, esaltandola, fra i
messaggi più noti, erano quelli dei fruttivendoli, come quello
sopracitato che chiaramente accennava al fatto che gli acini (grana)
dell’una bianca sono più radi, mentre quelli dell’uva nera sono più
numerosi; sempre i fruttivendoli avevano anche un altro grido come:
“Uga, uga, vardè che uga!” Questo ritornello, che era ripetuto in
continuazione, divenne poi sinonimo di noiosità, seccatura, tanto è
vero che quando una persona ripete spesso la stessa cosa, sino a farla
diventare odiosa a chi ascolta, quest’ultimo esclama, non potendone
più: “Basta! ma che uga!”
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Usell. Non credo sia necessaria la traduzione per questa parola. Qui a
Milano, proveniente dalla “Bassa,” c’è un proverbio, che prima di
trascriverlo ho esitato un po’, però è anche divertente conoscere certe
“grasse” allusioni, perciò facciamoci una bella risata, e continuiamo
senza perseverare nella lussuria. Il proverbio così dice: “l’è mei on
usell in man, che cent che vola”. Il significato è quello di ricordarsi
che tante volte si vuole troppo e poi non si riesce ad avere nulla,
quindi, è meglio accontentarsi del poco, ma sicuro, che abbiamo (mei
on usell in man…). Visto che non c’era nulla di scandaloso? Un ultima
cosa: parecchi anni orsono, parlando del più e del meno con una
ragazza, accennai a questo proverbio, la fanciulla mi guardò negli
occhi, fece un sorrisetto, e disse: “Sarà…!” quella meravigliosa
fanciulla divenne poi mia moglie.
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Và Bagg a sonà l’orghen. Questo è un modo di dire risalente a oltre
un secolo fa, e ancora oggi lo si sente pronunciare, magari non
conoscendo la sua storia, però è ancora in uso. Baggio, a quei tempi
era un paesino vicino a Milano, ora è un rione inglobato nella
metropoli, ma allora come tutti i paesini aveva la sua brava chiesa, una
chiesa povera, dove il parroco per raggranellare qualche centesimo
faceva letteralmente i salti mortali, egli era desideroso rendere anche
più bella la sua chiesina, magari con l’installazione di un organo, certo
che con le somme racimolate durante le questue delle messe
domenicali c’era ben poco da sperare, allora cosa fece? Con i pochi
quattrini che disponeva fece dipingere su un muro interno della chiesa
un organo, la cosa divenne subito nota e la gente rideva di questa
sbruffonata, che alla fine divenne un modo di dire riferito a quei
seccatori che sono solo parole e niente fatti; quindi se fossero così
bravi come loro sostengono di essere, lo dimostrino andando a
suonare l’organo quello dipinto all’interno della chiesa di Baggio. Ora
il rione ha una sua bellissima chiesa eretta nel 1875 dedicata a
Sant’Apollinare, con un bellissimo organo, ma di quelli veri.
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Và a Biegrass a fa i stecch. “Vai ad Abbiategrasso a fare gli
stuzzicadenti”, questo è il significato del proverbio. Nella città di
Abbiategrasso, si era verso la fine del XVIII secolo, sorgeva una casa
che ospitava poveri e disabili, per tenerli occupati i dirigenti di allora
di questo istituto trovarono un modo semplice che però procurava
qualche soddisfazione a quei poveretti; gli fecero fare gli stuzzicadenti
ritagliandoli da forme di legno, sembrerebbe una cosa ridicola, ma
pensiamo all’epoca in cui fu pensata e messa in atto, era sempre una
dimostrazione di affetto e di considerazione verso i più sfortunati. Ora
il proverbio riguarda coloro che hanno poca o nessuna voglia di
lavorare, di impegnarsi, e il loro unico pensiero è quello di vivere alle
spalle degli altri.
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Và a onges. E’ un detto alquanto originale, anche se orribile; nasce
durante l’epidemia di peste cui fu purtroppo soggetta Milano nel XVI
secolo e descritta dal nostro Alessandro Manzoni nei “Promessi
Sposi”. Quando abbiamo a che fare con una persona sgradevole,
fastidiosa, insopportabile, ecco che scatta il detto che significa: “Vai a
ungerti”. All’epoca della pestilenza citata era diffusa la credenza che il
morbo fosse causato dai cosiddetti “untori”, gente malefica che girava
per Milano ungendo le porte di casa, sui muri, dove poteva capitare,
con delle schifezze che causavano l’esplodere del morbo.
La peste a Milano: dai Promessi Sposi,
del don Lisander
Alexandre Yersin, lo scienziato
scopritore del bacillo della peste.
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Vantes cavagna ch’el manegh l’è rott. Vecchio proverbio che
testimonia di certi atteggiamenti, anche involontari, che talvolta si
compiono. Chi di noi almeno una volta nella vita non si è lodato di un
proprio gesto o azione, la cosa è umanamente da capire, e per una
volta passi, però se la cosa diventa senza limite, essa può dare un
certo fastidio, perché immaginando che una cesta (la cavagna) che
può contenere un determinato numero di oggetti e anche di peso, se si
oltrepassano questi limiti il manico (el manegh) si rompe e tutto il
contenuto cadendo per terra può andare in frantumi, è quello che può
succedere, a una persona quando continua a vantare i propri successi,
prima o dopo si scoprono le fandonie, e tutto il suo dire si rompe e non
si può più ripararlo, in pratica costui ha perduto ogni considerazione e
stima.
Il manico
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Var pussè la lappa che la sappa! “Bla-bla-bla-bla-bla………………”
Non credo occorra altro per spiegare questo vecchio e sempre più che
mai valido e attuale, proverbio. Sapientissimi docenti coloro che
siedono sugli scranni di Camera e Senato e via discorrendo. Ah! Non
dimentichiamo giornalisti, avvocati, intrattenitori vari………………...
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Var pussèe la tolla de l’or. Sotto certi aspetti, questo adagio pur
vecchio che sia, dimostra ancora la sua piena attualità. La “tolla” è la
latta, un lamierino di ferro sulla cui superficie è stato depositato un
sottile strato di stagno; un oggetto fabbricato con questo materiale non
assume il valore dell’oro, però ha una particolarità, è duttile, robusto
e mantiene una certa consistenza contro la corrosione. Per queste sue
caratteristiche, i milanesi hanno metaforicamente individuato quelle
persone dotate di robustezza e resistenza alle contrarietà della vita e
che coraggiosamente l’affrontano, altresì, alle volte bisogna
dimostrare anche una certa intraprendenza, magari insistendo e
proprio per questo simpaticamente si definisce questo individuo,
amico o parente o semplice conoscente: “a l’è ona bella faccia de
tolla”.
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Var pussèe on andà, che cent andemm. Uno dei più belli e veritieri
adagi meneghini. Quante volte abbiamo sentito gente di una certa
posizione arringare le masse e far capire che bisogna muoversi, non si
può restare inerti. Ricordo un opera, il Nabucco, dove il testo così
recita: Nabucco vedrem tutto rifulgere di mia corona al sol,
Abdallo, Coro per te,
Nabucco di mia corona,
Abdallo, Coro per te,
Nabucco corona al sol, ah
Abdallo, Coro Per te vedrem,
Nabucco Di mia corona al sol,
Abdallo, Coro| vieni, vieni, vedrem rifulgere sovra l'Assiria il sol,
vieni, vieni, vedrem rifulgere sovra l'Assiria il sol,
andiam, andiam, andiam, andiam.
Nabucco andiam, vedrem rifulgere di mia corona al sol,
andiam, vedrem rifulgere di mia corona al sol,\ andiam.
Al che il mio vicino di poltrona, esordì: “Sì, sì… van, van, ma in
semper lì”. La spiegazione del detto è questa: alle volte si dicono cose
anche interessanti, che si potrebbero e dovrebbero fare e si continua su
questo tono per parecchio tempo, però alla fine non si conclude nulla,
quindi, è meglio muoversi senza temporeggiare, altrimenti si rischia
una meschina figura, tipica di chi si muove solo di lingua.
Qui sta andando nell’azzurro
spazio il meraviglioso, stupendo
“Va, pensiero…”
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Vegnì giò de la pianta. Simpatico questo detto, facilmente udibile
ancora di questi tempi. Sarebbe come dire che qualcuno è sempre sulla
pianta, come la gente che abita le campagne limitrofe alla città, e che
questa gente svolge il suo lavoro con la classica calma e avvedutezza
tipica dei campagnoli, mentre la gente di città è più svelta, si occupa
di svariate cose anche contemporaneamente, insomma i ritmi della
metropoli sono più indiavolati; proprio per questo fattore l’adagio è
rivolto a chi deve svolgere un incarico e lo esegue con esasperata
lentezza, perciò è redarguito bonariamente con: “Dài, l’è ora de
svegliass, ven giò de la pianta”.
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Via la gatta…… ballen i ratt. Semplice ed efficace questo proverbio,
che certo non ha bisogno di spiegazioni. Solo un’annotazione, chissà
perché è citata la gatta e non il gatto, al maschile. Potenza della
FEMMINA!
Indovinate chi è comodamente sdraiata sul
divano? Ovviamente la gatta; mentre il
povero gatto deve starsene in equilibrio sul
bracciolo.
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Ziffolott de menta. L’espressione risale a quando sulle bancarelle di
dolciumi presenti in occasione di fiere, sagre, mercati rionali, si
vendevano caramelle alla menta, somiglianti a un fischietto (ziffolott);
per rendere appetitoso l’acquisto, il fabbricante aveva creato anche
una cassa armonica, dove nel fischietto vero c’era una cavità con una
pallina bianca, che emetteva il trillante sibilo, mentre in questo di
menta c’era una piccola caramellina, e ovviamente non emetteva alcun
suono. Da questa somiglianza solo estetica derivò il detto, facendo
riferimento a persone non sono troppo sveglie, ottime, ma un po’
impacciate.
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Zucch e melon a la sua stagion. Questo è un tipico proverbio
figurato dove le zucche e i meloni debbono essere consumati quando è
la loro stagione, perciò immaginatevi la figura di signore di una certa
età, grigio e un po’ stempiato nei capelli, una certa pancetta che gli
impedisce di allacciarsi la giacca, magari olezzante di un profumo che
gli hanno garantito una strage di cuori femminili e con la moglie che
sa di queste trame del marito, ma è anche sicura che combinerà nulla,
perché gli ha bloccato il “Bancomat”; ebbene il senso del proverbio è
proprio questo, le cose vanno fatte a tempo e luogo, e nel caso di
questo zerbinotto il tempo e il luogo sono ormai passati e non
torneranno più. Ehi! Sia chiaro che questo non è lo scrivente!
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Siamo così giunti alla fine, ma di adagi, proverbi, metafore
milanesi e lombarde ce ne sono ancora tantissimi che con la
dovuta quiete continueremo a proporre. Comunque sappiate che
la vita è bella, che vale la pena di viverla, nei momenti brutti e in
quelli belli, il fascino dell’esistenza risiede proprio in questo.
E come sempre: VIVA LE DONNE!
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