QUI - Camera di Commercio di Parma
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3 economica 2012 PARMA € 5,00 Poste Italiane - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 DCB Parma - Rivista quadrimestrale, n° 3-2012 QUADRIMESTRALE della camera di commercio industria artigianato agricoltura di Parma Fondato nel 1869 Alla ricerca del futuro La Stazione Sperimentale per l'Industria delle Conserve di Parma è un modello di eccellenza da 90 anni Made in Italy alimentare Un patrimonio unico, ma tutelato con troppi ritardi Prodotti tipici e marketing La promozione del ParmigianoReggiano dalle origini agli anni ‘70 L’Oltretorrente ai tempi del fascismo La storia del popolare quartiere cittadino durante il Ventennio Borsa Merci Parma La Borsa Merci di Parma è stata istituita dalla Camera di Commercio nel 1967. Prima di spostarsi nell’attuale sede presso Fiere di Parma, dove sono ospitate anche le CUN, ha operato all’interno della stessa Camera di Commercio. È aperta il venerdì, dalle 9 alle 15. Nel corso delle contrattazioni sono rilevati i prezzi di undici tipologie di prodotti agroalimentari: salumi, carni fresche suine, suini, carni grassine, derivati del pomodoro, foraggi, granaglie farine e sottoprodotti, zangolato, siero di latte, formaggio e uve. Numero e qualità dei prodotti rilevati ben rappresentano l’importanza della piazza di Parma legata alla straordinaria vocazione agroalimentare del suo territorio. I listini settimanali dei prezzi rilevati sono pubblicati sul sito Internet www.borsamerci.pr.it. Presidente delle Commissioni Prezzi della Borsa Merci è il Segretario Generale della Camera di Commercio o un suo delegato. L’Ufficio Borsa Merci si trova nella sede della Camera di Commercio di Via Verdi, nel centro storico di Parma. Modalità di ingresso alla nuova Borsa Merci di Parma Da venerdì 15 aprile 2011, in concomitanza con l’istituzione delle Cun ”Tagli di suino” e “Grasso e Strutto”, la Borsa Merci della Camera di Commercio si è trasferita presso Fiere di Parma, all’interno del padiglione 8 del complesso fieristico. Nella nuova localizzazione, di 1.200 mq, sono disponibili: • n. 400 posti auto • oltre 80 box • area ristoro • sportello bancario (di prossima attivazione) Le condizioni di accesso sono le seguenti: Le condizioni di accesso sono le seguenti: • biglietto di ingresso singolo: € 10,00 •• biglietto di ingresso singolo: € 10,00 • abbonamento dal 15/4/2011 al 31/12/2011: •• abbonamento anno 2012: € 450,00 € 300,00 (250,00 + Iva) Sede contrattazioni: Borsa Merci della CCIAA di Parma presso ENTE FIERE - Padiglione n° 8 Via Fortunato Rizzi 67/a 43126 Parma Le Commissioni Uniche Nazionali Il 15 aprile 2011 si sono insediate a Parma la “Commissione Unica Nazionale dei tagli di carne suina” e la “Commissione Unica Nazionale grasso e strutto”. Le Commissioni Uniche Nazionali (CUN) nascono in attuazione del Protocollo d’intesa sottoscritto il 5 dicembre 2007 dal tavolo tecnico della filiera suinicola. Le due CUN operano il venerdì mattina parallelamente alle attività della Borsa Merci; il loro compito è di prendere atto di una panoramica del mercato dei tagli di carne suina e di grasso e strutto, fissandone i relativi prezzi per la settimana successiva. L’attività di segreteria è svolta da Borsa Merci Telematica Italiana, su incarico del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e forestali. http://www.borsamerci.pr.it/ sommario Associata all'Unione Stampa Periodica Italiana (U.S.P.I.) PARMA ECONOMICA N° 3/2012 Chiuso in redazione il giorno 4 febbraio 2013 FOCUS 2 16 Giancarlo Gonizzi Da 90 anni un modello di eccellenza Giancarlo Gonizzi Una finestra sul futuro ECONOMIA E TERRITORIO 21 32 44 Giordana Olivieri A Parma assume solo il 13,2% delle imprese Stefano Magagnoli Prodotti tipici e marketing: il Parmigiano-Reggiano Monica Domenichelli Parma e il cavallo: dall’allevamento alla cucina ECONOMIA E società 53 66 Orietta Piazza Volontariato: lo sforzo più grande è crederci Tommaso Meli Project financing: come investire in tempo di crisi mercati esteri 73 82 90 Sabrina Sabatini La tigre ha il fiato corto? Maurizio Caggiati Il fattore energetico nella competizione internazionale Barbara Bocci I ritardi del made in Italy alimentare nella sfida tra globale e locale cultura e territorio 102 109 116 120 Stefania Delendati Un vanto rosa per la città William Gambetta L’Oltretorrente ai tempi del fascismo Rita Guidi Il grande fiume Po Marco Epifani Il re dei formaggi Direttore responsabile Andrea Zanlari Comitato di redazione Lorenzo Bonazzi Paolo Cavalieri Gianpaolo Faggioli Gianpaolo Gatti Marco Granelli Gian Paolo Lombardo Enzo Malanca Giancarlo Menta Giovanni Mora Coordinamento redazionale Isabella Benecchi Segreteria di redazione Orietta Piazza; Andrea Della Valentina Sec; Chiara Paratico - Sec. Ha collaborato Elena Olloqui Redazione presso Camera di Commercio I.A.A. Via Verdi, 2 – Parma Tel. 0521 210249 Fax 0521 282168 e-mail [email protected] Pubblicità Casa Editrice Edicta s.c. a r.l. Via Torrente Termina, 3/B - Parma Tel. 0521 251848 Fax 0521 907857 e-mail [email protected] Abbonamento 2012 euro 12,00 Copie singole euro 5,00 I canoni di abbonamento possono essere versati sul C/C postale n. 00198432 intestato alla C.C.I.A.A. Via Verdi, 2 - 43100 PARMA oppure direttamente presso gli uffici camerali. Spedizione in abbonamento postale Registrazione Tribunale di Parma n. 324 del 21 marzo 1960 Stampa Mattioli 1885 srl - Fidenza (PR) Copertina Il manifesto in copertina si riferisce alla V mostra internazionale delle conserveParma 8-25 settembre 1950 Gli articoli firmati o siglati rispecchiano il pensiero degli autori e non impegnano la Direzione della rivista né la Camera di Commercio. È vietata la riproduzione anche parziale degli articoli e delle illustrazioni senza la citazione della fonte. La redazione si riserva la scelta degli articoli che verranno inviati; i manoscritti non vengono restituiti. Questa rivista viene inviata in omaggio agli addetti commerciali presso le rappresentanze diplomatiche e alle Camere di Commercio estere in Italia e italiane all’estero, nonché a numerosi enti ed associazioni italiani ed esteri. focus economia Da 90 anni un modello di eccellenza Excursus sulla storia della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve, fiore all’occhiello della ricerca alimentare, che si avvia verso il secolo di vita con rinnovato slancio Giancarlo Gonizzi L a Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari compie 90 anni di vita. Istituita ufficialmente il 2 luglio 1922 con il Regio Decreto 1396, la Regia Stazione Sperimentale, all’atto della sua nascita, è un vanto per l’Italia e soprattutto per Parma ed è considerata un vero e proprio fattore di progresso. Costituita dopo un lungo iter - già tracciato in un precedente numero di Parma Economica1 - che ha coinvolto, sotto la guida della Camera di Commercio e del suo presidente, l’ingegner Romano Righi Riva (18731956)2, le principali istituzioni locali, riceve il battesimo ufficiale il 12 maggio 1923, alle ore 15, quando, presso la sede della Camera di Commercio di Parma, in Borgo Zaccagni 3, si riunisce per la prima volta il consiglio di amministrazione alla presenza di tutti i suoi componenti: Romano Righi Riva, presidente e delegato del governo; il cavalier Ercole Azzali (1870-1936), industriale conserviero, consigliere e La mission della delegato della Provincia di Parma; SSICA come fattore il cavalier Ferdinando Magnani di progresso per (1870-1957), consigliere e dele- l’Italia è chiara fin gato del Comune di Parma; l’in- dalla fondazione gegner Carlo Brizzolara (18781953), consigliere e delegato della 1 G. Gonizzi, Conserve alla parmiCamera di Commercio di Parma; il presigiana: la nascita della Stazione Sperimentale, in «Parma Economica», II dente onorario (e futuro podestà di Par(2011), pp. 70-79. ma), commendator Giuseppe Mantovani 2 Romano Righi Riva (1873-1956) è modenese di nascita. La sua attività è (1888-1972); il cavalier Umberto Cavatore, sempre stata legata all’industria meccanica e a quella delle arti grafiche. segretario. Nel 1900 fonda le Officine MeccaDalle parole del presidente Righi Riva, niche Reggiane e successivamente diventa amministratore delegato trascritte fedelmente dal segretario, tradelle Arti grafiche di Reggio Emilia e consigliere di amministrazione della pela l’emozione per avere finalmente dato Società Emiliana Esercizi Elettrici. avvio a un’iniziativa perseguita tenaceSi trasferisce a Parma per assumere la direzione della Società Parmense mente nel corso dei decenni precedenti Conserve Alimentari, divenuta, in ma, fino a quel momento, mai realizzata seguito alla fusione con la Società Parmigiana Prodotti Alimentari, la concretamente: l’organizzazione scientifiIndustrie Parmigiane Conserve Alimentari. Nel 1919 viene eletto preca e tecnica dell’industria alimentare considente dell’Associazione Nazionale serviera italiana. produttori di conserve alimentari. Parallelamente promuove la creazione della Società Cooperativa di Esportazione del Doppio Estratto di Pomodoro (Scedep). In questo ambito crea la prima fabbrica di scatole di latta litografata del Parmense, importando direttamente dalla Germania i macchinari automatici, e la presiede dalla fondazione, nel 1919, fino al 1952. È anche presidente della Camera di Commercio di Parma (1923-1924) che dota della nuova sede di via Cavestro, decorata dai pittori Paolo Baratta (allegoria del commercio, affreschi esterni, 1924) e Daniele de Strobel (sala del consiglio, 1924-1925). Nel 1929 è anche presidente per un anno della Cassa di Risparmio di Parma. La sua opera è legata soprattutto alla formazione ex novo della legge sulle conserve alimentari e alla creazione della Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari in Parma, di cui è fondatore e primo presidente. Nel 1919 gli è conferito il titolo di Cavaliere del Lavoro al merito del lavoro Industriale. Muore a Parma il 27 novembre 1956. Una immagine della palazzina uffici della Stazione Sperimentale, ricavata dalla sistemazione di un preesistente corpo delle Officine Callegari, alla fine degli anni Venti del Novecento (archivio SSICA, Parma). 2 PARMA economica focus ECONOMIA Il prospetto per la sistemazione della palazzina uffici della Stazione Sperimentale del 1925 firmato dall’ingegner Pilade Colla (archivio SSICA, Parma). 3 «Industria delle Conserve», (1925), p.7. 4 Disposizioni per l’industria e il commercio delle conserve alimentari preparate con sostanze vegetali. Fra le disposizioni più significative figurano: «È vietato di fabbricare conserve alimentari in locali in cui non siano osservate e mantenute le necessarie condizioni igieniche e sanitarie; con sostanze vegetali non genuine, guaste, infette, colpite da malattia, che ne alteri la composizione, o comunque non adatte alla alimentazione; con un processo di lavorazione che non garantisca la igienica preparazione e la buona conservazione del prodotto; con aggiunta di antifermentativi, edulcoranti artificiali, acidi, coloranti nocivi e qualunque altra sostanza nociva alla salute. Ogni fabbricante di conserve alimentari è tenuto a far analizzare annualmente la sua produzione da uno dei laboratori chimici autorizzati dallo Stato. Le conserve di provenienza estera destinate al consumo interno devono vendersi con il loro nome di origine. Esse non potranno essere messe in commercio nel Regno, se non riconosciute rispondenti a tutti i requisiti voluti dal presente decreto». L’industria alimentare italiana La giovane industria italiana, nata nella seconda metà dell’Ottocento, pur avendo conosciuto un grande sviluppo, determinato dalle fortunate condizioni ambientali e dall’ottima qualità dei prodotti, manca ancora di un coordinamento e di una disciplina capaci di migliorarne la produzione dal punto di vista igienico e tecnologico. La creazione di un organismo tecnico per la risoluzione dei problemi specifici dell’industria, come la Stazione Sperimentale, vuole porre termine al disordine esistente nelle fabbriche e nei mercati, aspirando a diventare il centro di attenzione degli industriali che vogliono migliorare la qualità delle produzioni. A quell’epoca le conoscenze scientifiche sui principi della conservazione degli alimenti sono ancora a uno stadio rudimentale e la produzione si avvale soprattutto di nozioni di carattere empirico. Per quanto possa sembrare strano, manca perfino la definizione stessa di “conserve alimentari” che non è ancora contemplata nella legislazione. Obiettivo della Stazione Sperimentale è risolvere in maniera definitiva il problema della sicurezza dei prodotti alimentari conservati e trasformare la tecnologia alimentare in una vera e propria scienza. In Europa e negli Stati Uniti, già da tempo ormai, si assiste alla diffusione di pubblicazioni di importanti riviste specializzate che affrontano i problemi della conservazione degli alimenti dal punto di vista te- orico e scientifico, ma l’Italia è, da questo punto di vista, molto più arretrata rispetto agli altri Paesi europei e, soprattutto, rispetto al suo concorrente più temibile, gli Stati Uniti d’America. Occorre far maturare negli industriali la convinzione che l’indubbia superiorità qualitativa dei prodotti italiani non è, di per sé, sufficiente a dominare il mercato, se non accompagnata da un adeguato processo igienico di lavorazione. La Regia Stazione di Parma richiede l’applicazione per le conserve italiane di una legge analoga alla legge Howard, o legge dei microbi, varata nel 1906 negli Stati Uniti d’America, affinché i prodotti italiani siano competitivi anche all’estero3. Il R.D. 501 dell’8 febbraio 19234 costituisce un passo avanti in materia di disposizioni legislative sulle conserve alimentari e la sua applicazione porta immediati benefici, ma la strada da compiere è ancora lunga. I primi passi della Stazione Sperimentale Il consiglio d’amministrazione della SSICA affronta nella sua prima seduta i due problemi più urgenti: la scelta del professionista da mettere alla guida dell’istituto e l’individuazione dei locali per la propria sede. Per poter imprimere alla Regia Stazione un indirizzo non solo scientifico ma pratico, che consenta di affrontare e risolvere i problemi a carattere industriale, la scelta dovrebbe cadere su una persona dotata di PARMA economica 3 focus economia queste competenze e con una formazione adeguata. Ma si deve ammettere unanimemente che una figura professionale in grado di assumere la direzione dell’ente non esiste ancora in Italia, dove manca ogni preparazione al riguardo per i giovani laureati. Il consiglio - con scelta di grande lungimiranza che prefigura scenari per noi attuali - decide di istituire due borse di studio per due giovani ingegneri, che possano recarsi all’estero per completare i loro studi e acquisire quelle conoscenze e competenze non ancora disponibili nel nostro Paese. I due prescelti, come dettagliatamente descritto nel regolamento delle borse di studio5, devono recarsi negli Stati Uniti per studiare i metodi di coltura e i trattamenti agricoli, i processi di selezione delle migliori qualità e di maggior rendimento agricolo-industriale, i sistemi di approvvigionamento delle materie prime, i sistemi di trasporto e di ricevimento nelle fabbriche, la preparazione delle conserve, la conservazione prima della lavorazione, i mezzi meccanici di lavorazione e di utilizzazione dei sottoprodotti e quelli relativi ai prodotti ausiliari, i metodi di analisi, le sofisticazioni e le adulterazioni dei vari prodotti, i controlli sulla produzione e sullo smercio, la legislazione sanitaria e industriale, i trattamenti doganali, la normativa e i dati sulla produzione, i programmi delle scuole di formazione tecniche e scientifiche, le pubblicazioni e le organizzazioni industriali. Dopo un’accurata selezione, la scelta cade su due candidati, entrambi laureati in ingegneria, il siciliano Francesco Emanuele e il barese Nicola Ric- Prima di insediarsi, co. Entrambi partono per la Ca- il primo direttore lifornia per un periodo di studio, è mandato negli alla fine del quale devono compi- USA ad apprendere lare una relazione contenente un le competenze programma di massima da svol- necessarie gersi dalla Regia Stazione e un progetto per il suo funzionamento. I lavori presentati dai due ingegneri evi5 Verbale del consiglio di amministrazione della R. Stazione Sperimendenziano le criticità del settore consertale, 1923 (archivio SSICA, Parma). viero italiano e forniscono al consiglio gli 6 Francesco Emanuele (1896-1976), nato ad Alcamo (Trapani), si laurea elementi per la formazione del programin ingegneria chimica industriale nel 1922 al Politecnico di Torino. Nel ma dell’istituto, che si può sintetizzare in corso dello stesso anno, sempre al tre direttive: organizzare i produttori e gli Politecnico, ottiene un diploma di specializzazione in “chimica coloniaindustriali con leggi coercitive; dettar loro le” e il 2 luglio partecipa a Parma al norme di coltivazione del frutto e prepaconcorso per la borsa di studio indetto dalla Regia Stazione Sperimentale razione del prodotto lavorato; insegnare per l’Industria delle Conserve, vincendolo. Trascorre così due anni negli come si vende e fornire il maggior numero Stati Uniti, dove entra a contatto con di notizie sui Paesi di esportazione. la realtà dell’industria del pomodoro e della tecnologia conserviera di quel Alla fine la scelta del consiglio di ammiPaese. Rientrato in Italia, e vinto il nistrazione cade sull’ingegner Francesco concorso da direttore della Stazione Sperimentale, si stabilisce a Parma. Emanuele6 che, dal 1° gennaio 1925, viene Le sue competenze tecniche, unitachiamato a dirigere la Regia Stazione in mente all’esperienza acquisita negli USA e all’analisi della situazione delle via di esperimento per un anno, al termine fabbriche, portano Emanuele a ideare il prototipo di una nuova macchina del quale il consiglio si riserverà se confer“separasemi”; costituirà la soluzione marlo o licenziarlo. a un serio problema tecnologico provocato dai sistemi di lavorazione Il confronto con la realtà dell’industria del pomodoro. Emanuele, nella conserviera americana porta Emanuele sua qualità di direttore, è uno degli ideatori dell’Ente per la Mostra delle all’elaborazione di un programma di laConserve, luogo privilegiato per l’incontro e lo scambio delle esperienze voro da utilizzare, una volta rientrato in più avanzate sul versante tecnologico patria, per l’industria conserviera del Pare alimentare. La manifestazione, che prende il nome di Prima Mostra delle mense. Si tratta di un semplice foglietto Conserve Alimentari, viene inaugurata a quadretti, con tracciati cinque punti esil 1° settembre 1942 e dà inizio alla tradizione fieristica alimentare di Parma. Nel 1952 l’ingegner Emanuele, dopo 30 anni, lascia la direzione della Stazione Sperimentale, accettando l’incarico ministeriale di coordinatore del Comitato Nazionale Produttività. Questo nuovo compito lo porta a Roma, dove trascorre gli ultimi 22 anni della sua vita. Si spegne il 10 agosto 1976 ad Ardea (Roma) all’età di 80 anni. Il 25 settembre 2010 il Comune di Parma gli intitola una strada nella zona di Vicofertile. Sul suo ruolo si veda: G. Gonizzi, Fantasia e imprenditorialità. Francesco Emanuele e i progetti per il comparto conserviero parmense, in «Parma Economica», (settembre 2000), pp. 49-90; G. Gonizzi, Una vita all’insegna del pomodoro. Francesco Emanuele e lo sviluppo parmense delle conserve di pomodoro, in «Cibo buono da vivere», II (2011), p. 3. Una veduta d’insieme della “fabbrica” della Stazione Sperimentale con i laboratori tecnologici e gli impianti sperimentali in una foto panoramica degli anni Trenta del Novecento (archivio SSICA, Parma). 4 PARMA economica focus ECONOMIA senziali, che informerebbero l’intera attività di Emanuele alla Stazione Sperimentale: 1) migliorare geneticamente le specie di pomodori utilizzati, grazie a un’attenta selezione delle sementi e delle modalità di lavorazione dei terreni, in collaborazione con i “Campi sperimentali”; 2) migliorare le tecnologie di produzione della conserva, attraverso l’innovazione dei sistemi di produzione dell’industria meccanica, materiali, e delle macchine; La prima sede è l’ex dei 3) migliorare l’igiene e il procesfabbrica Callegari, so di lavorazione all’interno delle opportunamente aziende conserviere; 4) contribuirestaurata re alla crescita (qualitativa e quantitativa) dell’industria del settore, attraverso appositi incontri, congressi scientifici, manifestazioni, esposizioni; 5) promuovere la divulgazione scientifica e tra gli addetti ai lavori attraverso la creazione di appositi canali (rivista periodica specializzata, convegni, ecc.)7. Il primo verbale del consiglio di amministrazione della Stazione Sperimentale, 12 maggio 1923 (archivio SSICA, Parma). 7 G. Gonizzi, Fantasia e imprenditorialità. Francesco Emanuele e i progetti per il comparto conserviero parmense, in in «Parma Economica», (settembre 2000), p. 57. 8 Verbale del consiglio di amministrazione della R. Stazione Sperimentale, 1923 (archivio SSICA, Parma). 9 B. Zilocchi, M. Iotti, Gli anni del Liberty a Parma, Parma, Battei, 1993, pp. 128-129. La prima sede Per quanto riguarda la scelta della sede, abbandonata l’idea della costruzione di un nuovo edificio sul terreno all’angolo tra viale Milazzo e viale Villetta inizialmente messo a disposizione dal Comune di Parma, perché giudicata troppo onerosa, si procede all’acquisto dello stabilimento che ha ospitato le ex officine Callegari, contraendo un mutuo trentennale di 1.200.000 lire con la Cassa di Risparmio di Parma8. La Stazione Sperimentale ha così a disposizione un grande fabbricato e un ampio terreno circostante per il suo futuro sviluppo. Il primo obiettivo è ora quello di ristrutturare la fabbrica per le esigenze del nuovo istituto. Il presidente Righi Riva incarica così l’architetto Alfredo Provinciali (1869-1929), che nel 1923 ha curato su mandato dello stesso Righi Riva la trasformazione della nuova sede della Camera di Commercio (nell’attuale via Cavestro, oggi ceduta alla Cassa di Risparmio), di redigere un progetto con relativo computo e preventivo di spesa per la costruzione della sede della Stazione Sperimentale. Il progetto prevede la trasformazione dell’edificio civile già esistente, la demolizione della tettoia aperta centrale, la parziale demolizione della seconda tettoia e la costruzione di un nuovo edificio per gli uffici, la presidenza, la direzione e la biblioteca. Il progetto del nuovo edificio, presentato dall’architetto Provinciali il 20 settembre 1924, sconosciuto ai repertori,9 è conservato presso l’archivio della SSICA e presenta una pianta a forma di H con distribuzione degli spazi intorno al vestibolo centrale e a un corridoio ortogonale. Gli stilemi, venati di un certo eclettismo, sono quelli propri del liberty, di cui Provinciali ha dato già eccellenti espressioni in città con le Case Bormioli presso il parco ducale (1905), il padiglione agricolo della mostra verdiana (1913), la tipolitografia Zafferri in via Farini (1920), il palazzo Battioni su piazza della Steccata (1923). L’operazione, tuttavia, è valutata troppo costosa per le casse dell’ente. Si apre un contenzioso con il progettista e, abbandonata momentaneamente l’idea della nuova costruzione, il lavoro di adattamento dell’esistente è affidato a un altro professionista, l’ingegner Pilade Colla (1871-1957) laureatosi a Bologna nel 1897, che ha studio in via Romagnosi. Gli interventi, affidati alla ditta Roberto Cavazzini di Parma, sono contenuti al minimo e prevedono solo la ristrutturazione degli immobili esistenti: iniziati nel 1925, si concludono nel 1926. L’ex fabbrica Callegari diventa così la sede della Regia Stazione Sperimentale e dei nuovi laboratori industriali, che comprendono un impianto di produzione di vapo- PARMA economica 5 focus economia re, di derivazione di forza elettrica, di trasmissione del moto; gli impianti speciali per ogni ricerca a carattere industriale e i laboratori per allievi. Solo in una fase successiva si procede alla costruzione dei laboratori scientifici veri e propri strutturati in sezione analisi generale, sezione ricerche, sezione microscopia e batteriologia, sezione casearia. Gli uffici amministrativi comprendono i locali della direzione generale, della presidenza e del consiglio d’amministrazione, nonché quelli dell’amministrazione finanziaria, la biblioteca e la sala per le conferenze. I laboratori sono inaugurati il 19 aprile 1926 in occasione del 1° Congresso nazionale degli industriali conservieri, un evento particolarmente significativo per la città. L’inaugurazione ha luogo alla presenza del prefetto e delle autorità locali10. Per l’occasione viene commissionato al noto fotografo Marcello Pisseri (1882-1961) un servizio sulla manifestazione e sui nuovi laboratori11. Nel 1926, dunque, inizia l’attività della Regia Stazione Sperimentale nei nuovi locali e laboratori in viale Tanara, sotto la direzione dell’ingegner Emanuele e del nuovo presidente Antonio Bizzozero12, subentrato a Righi Riva alla guida del consiglio di amministrazione. Con il 1926, dopo il numero unico di prova compilato da Emanuele nel dicembre del 1925, inizia anche la pubblicazione mensile del bollettino Industria delle Conserve, che riporta l’attività dell’istituto e gli articoli più importanti sulla ricerca nel mondo, ancor oggi autorevole voce della Stazione. Viene anche approvata la prima pianta organica del personale dell’istituto, che comprende il direttore, un capo chimico, un assistente chimico, un segretario, un vicesegretario economo, un capofficina, un custode e due inservienti. La crisi finanziaria Ma la Stazione Sperimentale è afflitta da seri problemi economici e il 1926, primo anno di effettivo funzionamento dell’istituto, si chiude con un grave deficit di bilancio a causa della criticità del meccanismo di finanziamento da parte della aziende conserviere. Criticità che si protraggono anche nel 1927, così che l’istituto rischia la chiusura prima ancora di veder pienamente avviata la sua attività. Il 3 dicembre 1927, il consiglio di amministrazione rassegna le dimissioni con il preciso scopo di agevolare la definitiva sistemazione economica dell’ente. Al consiglio dimissionario subentra un commissario straordinario nella persona del marchese Lupo Corradi Cervi13, già vicepresidente del Consiglio provinciale dell’Economia. Sotto la sua guida vengono finalmente messi a punto i ruoli di contribuzione degli industriali e risolti i problemi di finanziamento così che, seppur lentamente, la situazione si avvia a una normalizzazione. 10 Il congresso nazionale dei conservieri, in «Gazzetta di Parma», (20 gennaio 1926), p. 2; «Industria delle Conserve», IV (1926), pp. 1-17. 11 Il servizio fotografico verrà poi pubblicato sulla rivista L’industria italiana delle conserve alimentari nel corso del 1927, un’immagine per ogni fascicolo: 1-2, 3-4, 5, 6-7, 8-9, 10-11 con esclusione del numero 12. Le tavole con le immagini non sono numerate. 12 Antonio Bizzozero (1857-1934), nato a Sant’Artien (Treviso) l’8 ottobre 1857, si diploma alla scuola superiore di agraria di Milano dedicandosi poi all’insegnamento e alla sperimentazione presso la scuola agraria di Lonigo (Vicenza). Nel 1892 è chiamato a dirigere la cattedra ambulante di agricoltura di Parma, fondata in quell’anno dall’onorevole Cornelio Guerci (1857-1949), che guiderà per un trentennio. Insegna scienze naturali e agraria in varie scuole di Parma. È un propagandista delle idee di Stanislao Solari (1829-1906), promotore a Parma della riforma agraria. Nel 1893 fonda il Consorzio Agrario Cooperativo che diventa uno dei più importanti d’Italia e tra le primissime realtà economiche della provincia di Parma. È tra i fondatori della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma e ne diventa presidente dal 1925 al 1927. Viene eletto cittadino onorario di Parma e nominato cavaliere del lavoro. Muore a Cles (Trento) il 15 ottobre 1934. Nel 1951 il Comune di Parma gli intitolerà un viale nella zona Sud della città ove si estendevano, all’inizio del secolo, i campi sperimentali da lui stesso voluti. In suo ricordo nel 1967 viene fondata presso l’ispettorato dell’agricoltura di Parma la Biblioteca Antonio Bizzozero, specializzata nelle tematiche agricole, gestita dal 1981 dal Comune di Parma. Una veduta aerea del complesso della Stazione Sperimentale nel 1935. Sulla sinistra il grande edificio dei laboratori tecnologici con la ciminiera, a destra il reparto biologico e, di fronte, oltre il cortile, la palazzina degli uffici (CSAC, Parma). 6 PARMA economica focus ECONOMIA Il laboratorio di microscopia nel 1926 (archivio SSICA, Parma). 13 Lupo Corradi Cervi (1892-1984), figlio di Alberto, della nobile casata dei Corradi Cervi, nasce a Parma il 3 gennaio 1892. È presidente della Camera di Commercio di Parma. Presidente della Federazione Provinciale degli Industriali di Parma dal 1923 al 1944, nel 1929 è vicepresidente del Consiglio Provinciale dell’Economia Nazionale. È presidente della Stazione Sperimentale di Parma dal 1931 al 1944. Muore a Parma il 18 dicembre 1984. Riposa nella cappella di famiglia nella galleria Nord inferiore del cimitero monumentale della Villetta di Parma. 14 La visita di S.E. Bottai alle zone petrolifere della nostra provincia, in «Gazzetta di Parma», (21 novembre 1929), p. 3. 15 Il Ministro Rossoni visita la Mostra del Correggio e importanti istituti di credito e agricoli della Provincia, in «Gazzetta di Parma», (21 maggio 1935), p. 3. 16 La conferenza di S. E. Lantini al Regio. La visita del Ministro alla R. Stazione Sperimentale di Conserve Alimentari, in «Gazzetta di Parma», (12 luglio 1938), p. 4. 17 R.D.L. 25 agosto 1932, n. 1260. Disciplina della conservazione degli estratti o concentrati e dei succhi di pomodoro (convertito in legge dalla legge 2057 del 20 dicembre 1932). Alcuni passaggi della normativa ci paiono ancor oggi significativi: «Gli estratti o concentrati di pomodoro in conserva e i succhi di pomodoro debbono essere prodotti direttamente dal frutto fresco, maturo, sano e ben lavato, e conservati, subito dopo la produzione, e, in ogni caso, non oltre il 31 ottobre di ciascun anno, in recipienti di bande stagnate o di vetro, idonei, ermeticamente chiusi, di capacità non superiore ai litri 20 […]. I residui della lavorazione dei pomodori pelati dovranno essere immediatamente ed esclusivamente utilizzati dalla stessa fabbrica produttrice di pomodori pelati […]. I prodotti semilavorati non possono essere messi in commercio per la preparazione successiva di conserve». Il 20 novembre del 1929 i laboratori della Stazione Sperimentale vengono visitati dal ministro delle corporazioni, Giuseppe Bottai (1895-1959), in città per sopralluoghi agli impianti petroliferi del Parmense14. Le cronache registrano negli anni successivi la visita di altri due ospiti illustri: il 19 maggio 1935 il ministro dell’agricoltura, senatore Edmondo Rossoni (1884-1965), a Parma per la mostra del Correggio15, e l’11 luglio 1938 il ministro delle corporazioni, Ferruccio Lantini (1886-1958), oratore a una conferenza sulla Autarchia produttiva organizzata al Teatro Regio16. Il commissariamento della Regia Stazione cessa nel 1931, quando ormai i problemi finanziari dell’istituto possono considerarsi superati e l’attività scientifica definitivamente decollata. Il marchese Lupo Corradi Cervi è confermato presidente del nuovo consiglio di amministrazione. I primi anni di attività L’attività scientifica e tecnica, nonostante i problemi finanziari, non si arreLa ricerca aiuta sta mai e i servizi della Stazione in quel periodo più subito a migliorare sicherivelano mai utili all’industria consergli standard igienici viera, i cui problemi di carattere delle imprese, igienico provocano gravi danni agevolandole economici, soprattutto per l’edelle conserve italianell’export sportazione ne all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Nella seduta del 3 settembre 1931, il consiglio di amministrazione, sentita la rela- zione tecnica del direttore, ingegner Emanuele, considerato che l’uso dei fusti di legno è causa di grave danno all’economia in quanto deteriorano gravemente le conserve, decide di trasmettere al Ministero richiesta affinché emani urgentemente un provvedimento per la proibizione dell’uso dei fusti e imponga la sostituzione con bidoni di latta non permeabili a chiusura ermetica. Nel 1932 viene promulgato il R.D.L. 1260 (convertito successivamente nella legge 2057) che disciplina la conservazione degli estratti e dei succhi di pomodoro17. L’esigenza di garantire prodotti conservati, sicuri dal punto di vista igienico-sanitario, fa convergere la ricerca sullo studio dei metodi di sterilizzazione e sui contenitori. I reparti imballaggi e microbiologia registrano, assieme al settore agronomico legato al pomodoro, i maggiori interventi di potenziamento. Nel 1933 viene così inaugurato il nuovo reparto biologico, interamente predisposto per lo studio dei problemi microbiologici degli alimenti e dei metodi di sterilizzazione più all’avanguardia per la sicurezza e il mantenimento della qualità degli alimenti. Ma i nuovi problemi dell’industria conserviera e soprattutto dell’economia nazionale fanno convergere le ricerche sullo studio degli imballaggi. Dopo la guerra d’Etiopia del 1935, a causa della quale l’Italia subisce le sanzioni economiche da parte della Società delle Na- PARMA economica 7 focus economia zioni, il regime impone l’autarchia, cioè il raggiungimento della massima autonomia economica; anche se nel 1936 le sanzioni economiche sull’Italia sono rimosse, la politica di indipendenza economica non viene mutata e le importazioni sono scoraggiate. Per l’industria delle conserve alimentari diventa difficile procurarsi lo stagno e i metalli per la fabbricazione dei contenitori e le scatole di latta o lamierino stagnato, fino a quel momento largamente usato, devono essere sostituite con lamierino nero verniciato da speciali vernici inattaccabili dalle varie conserve o con recipienti di altra natura. Su questo indirizzo si concentra l’attività della Stazione che porta un contributo non indifferente alla soluzione del problema che interessa l’economia nazionale e l’alimentazione in tempo di guerra. Con l’entrata in guerra dell’Italia il problema riveste un carattere di sopravvivenza, essendo le conserve alimentari più che mai necessarie all’alimentazione della nazione e dell’esercito. La Stazione si fa portavoce di queste esigenze e, oltre a mobilitare ogni sua attività di laboratorio, pur nelle circostanze disagiate del momento, indice una Mostra 8 PARMA economica Autarchica dello Scatolame e degli Imballaggi per Conserve Alimentari. L’iniziativa raggiunge i suoi obiettivi e la manifestazione, sorta da un problema tecnico, si evolve nella prima Mostra delle Conserve di Parma18. La situazione postbellica è disastrosa ma tutti concordano: rilanciare la SSICA è essenziale per l’industria e il Paese Dalla guerra alla ricostruzione Ma gli anni del conflitto sono particolarmente difficili per l’industria alimentare che deve sottostare ai condizionamenti bellici e la Stazione Sperimentale, privata dei contributi degli industriali, deve affrontare nuovamente la crisi finanziaria e altri commissariamenti. Dalla fine della guerra il primo consiglio è convocato nell’ottobre 1947 a Roma, presso la sede del Consiglio Superiore di Sanità: l’ingegner Luciano Fantelli19, commissario straordinario uscente, lascia la guida della Stazione Sperimentale al professor Domenico Marotta20, nominato nuovo presidente. La sede di Parma, posta non lontano dalla ferrovia, a causa degli eventi bellici versa in condizioni disastrate, il bilancio dell’istituto presenta un gravissimo deficit finanziario, ai dipendenti non sono state pagate diverse mensilità e, nonostante i sacrifici compiuti dal personale per svolgere la normale attività, appare evidente a tutti che senza adeguati contributi la vita dell’ente non può proseguire. Ma l’opinione condivisa è che la Stazione Sperimentale deve vivere e che il suo ruolo è più che mai fondamentale per il rilancio di quell’industria alimentare da cui dipendono le sorti del Paese uscito distrutto dal conflitto mondiale. Per favorire lo sviluppo dell’industria conserviera meridionale si propone, inoltre, l’istituzione di due sezioni meridionali della Stazione Sperimentale, a Salerno e in Sicilia. La proposta, già avanzata dalla Camera di Commercio di Salerno, ottiene l’unanime approvazione del consiglio di amministrazione. Per il rilancio della Stazione Sperimentale, si fa esplicita richiesta al ministro per l’Industria e il Commercio perché i contributi industriali siano riscossi direttamente dalla Stazione Sperimentale e non più attraverso il contributo dell’Istituto Nazionale per le Conserve Alimentari di Roma. La risposta del Ministero, nonostante ripetute sollecitazioni, si fa attendere e nel giugno 1948 il professor Marotta comunica le sue dimissioni da presidente del consiglio 18 Chiusa la triste parentesi della guerra, l’Ente Mostra gradatamente estende la sua attività all’esposizione delle materie prime, delle macchine di trasformazione, dei prodotti finiti e degli imballaggi con le relative macchine di produzione. Viene così realizzato un nuovo tipo di mostra comprendente tutto il ciclo industriale della produzione conserviera che in pochi anni può contare sull’adesione di Paesi stranieri industrialmente all’avanguardia. Il successo della Mostra delle Conserve porrà i presupposti per la nascita, nel 1985, della manifestazione internazionale Cibus, ancor oggi ospitata a cadenza biennale dalle Fiere di Parma. 19 Luciano Fantelli (1908-1972), nato a Parma il 1 gennaio 1908, secondogenito di Gisella Palmieri e di Mario, uomo politico intelligente e moderato, nel dopoguerra è per molti anni vicesindaco della città e presidente della commissione teatrale del Regio. Laureatosi in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano negli anni Trenta, in virtù delle sue competenze presta il servizio militare nel Genio pontieri a Piacenza. Nel 1939 sposa Lucilla Beduzzi, da cui ha due figli, Mario e Renata. Richiamato nel Genio durante la seconda guerra mondiale, viene fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre 1944 e internato in campo di concentramento in Germania. Rientrato a Parma con la fine del conflitto, vi esercita la libera professione per oltre 20 anni, dedicandosi prevalentemente, in una città che ha bisogno di ricucire le ferite della guerra e di espandersi, alla progettazione civile. Tra le sue principali realizzazioni si ricordano i cinema cittadini Centrale, Pace e Roma e la progettazione di un importante complesso saccarifero in Piemonte. Sua anche la sede dell’Artegrafica Silva ai Cavalli di Collecchio. Poco dopo il suo rientro a Parma è nominato presidente della Stazione Sperimentale dall’ottobre 1945 all’ottobre 1947. Di carattere riservato ma gioioso, eredita la passione per la musica dal padre: melomane assiduo, frequenta la stagione lirica del Teatro Regio e suona con abilità il mandolino. Insegna per qualche tempo materie tecniche all’istituto di avviamento professionale cittadino. Muore a Parma il 23 marzo 1972. 20 Domenico Marotta (1886-1974), nato a Palermo il 28 luglio 1886, conseguita la laurea in chimica nel 1910 all’Università della sua città, diventa chimico e scienziato di fama. Nel 1911 viene assunto presso l’Istituto di Sanità Pubblica. Dopo aver vinto per concorso la cattedra di chimica analitica all’università di Firenze, il 25 luglio 1935 è nominato direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, che guida fino al 29 luglio 1961. Marotta è considerato l’inventore dell’ISS, del quale durante i 26 anni di direzione ottimizzerà la qualità e la quantità dei risultati del lavoro di ricerca. Marotta, inoltre, fonda nel 1938 la prestigiosa rivista scientifica Rendiconto dell’Istituto Superiore di Sanità, ribattezzata nel 1965 Annali dell’Istituto Superiore di Sanità. Alla fine della Seconda Guerra focus ECONOMIA La sala apparecchi di precisione della Stazione Sperimentale nel 1926 (archivio SSICA, Parma). Mondiale Marotta gestisce l’Istituto Superiore di Sanità risollevandone il prestigio e modernizzandone le attrezzature. Porta in Italia figure importanti quali i premi Nobel Ernst Boris Chain e Daniel Bovet e crea il Centro Internazionale di Chimica e Biologia che, dopo la costruzione nel 1948 del cosiddetto “fermentatore” (un impianto pilota per la produzione della penicillina), dal 1951 diventa operativo a pieno ritmo. È presidente della Stazione Sperimentale di Parma dal 1947 al 1950. Muore a Roma il 30 marzo 1974. 21 Francesco Marchini Càmia (18911960), nato a Borgo Val di Taro (Parma) il 28 febbraio 1891 da una delle più antiche e stimate famiglie del luogo, dopo avere perso entrambi i genitori in tenera età, trascorre gli anni della giovinezza a Bologna dove si laurea in giurisprudenza. Partecipa alla prima guerra mondiale, prima come soldato nell’artiglieria alpina e poi come ufficiale di artiglieria da campagna. È promotore del Partito Popolare, sin dal sorgere del movimento di don Sturzo. È sindaco di Borgotaro dal 1920 fino all’avvento del fascismo. Durante il ventennio si ritira dalla vita politica e si dedica attivamente all’Azione Cattolica, promuovendo lo sviluppo di opere assistenziali quali le Conferenze di San Vincenzo e attivandosi per salvare alcune opere del patrimonio culturale di Borgotaro, come il castello, il teatro settecentesco e la chiesa di San Rocco. Nel 1927 si laurea anche in farmacia aprendone quindi una a Borgotaro in via Nazionale. La Resistenza segna per lui il ritorno al mondo della politica e a guerra finita è consigliere provinciale e di nuovo sindaco di Borgotaro; nel 1948 viene eletto senatore per la Democrazia Cristiana nel collegio di Borgotaro-Salsomaggiore, dove viene rieletto fino al 1960, anno della sua scomparsa. È presidente della Stazione Sperimentale di Parma dal 1950 al 1952. Dal 1956 è sindaco di Valmozzola e si impegna anche nelle organizzazioni di categoria in campo agricolo e industriale. Muore a Roma il 28 febbraio 1960. 22 Rolando Cultrera (1906-1984), nato a Caltagirone (Catania) il 7 gennaio 1906, si laurea in chimica presso l’università di Parma nel 1928 ed entra l’anno dopo come sperimentatore di ruolo alla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari, dove rimane fino al 1934, per trasferirsi a Modena come vicedirettore della locale Stazione Agraria (19351940). Dopo una lunga esperienza nel campo dell’industria alimentare e dell’insegnamento universitario, nel 1952 viene nominato presidente della Stazione Sperimentale (fino al 1983) con funzioni anche di direttore (fino al 1970). A lui si devono lo sviluppo e la completa trasformazione della sede di Parma e la realizzazione della sede meridionale di Angri (Salerno), fondamentale presidio per le industrie conserviere del Mezzogiorno. Tra gli incarichi di maggior prestigio si ricorda la sua attività di membro della Commissione Economica del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno (1951), di vicepresidente del Comité International permanent de la Conserve (1954-1968), del Comitato esperti per lo studio del ritardo tecnologico europeo (1962) e del Comitato consultivo del Ministero dell’Industria per i problemi della piccola e media industria (1972). Muore a Parma il 30 giugno 1984. Il 25 settembre 2010 il Comune di Parma gli intitola una strada nella zona di Vicofertile. di amministrazione, constatando l’inutilità della sua carica e ritenendo la sua opera esautorata dal silenzio del Ministero. A questo punto il Ministero risponde invitandolo a ritirare le sue dimissioni e varando un provvedimento mirante all’autonomia amministrativa della Stazione Sperimentale. La Stazione Sperimentale raggiunge l’obiettivo da tempo auspicato della propria autonomia finanziaria, ma i suoi problemi non sono terminati: l’indebitamento che deve sostenere è diventato altissimo, l’Istituto Nazionale per l’Industria delle Conserve non si dimostra collaborativo, i rapporti con il personale e, in alcuni casi, con gli industriali sono diventati molto conflittuali e il percorso da compiere è ancora molto lungo. Rinnovando un’attenzione del governo all’attività della Stazione Sperimentale, il 12 settembre 1951 il ministro dell’Agricoltura, Amintore Fanfani (1908-1999), a Parma per l’inaugurazione della IV Mostra delle Conserve, visita laboratori e reparti della Stazione Sperimentale accompagnato dal direttore Emanuele. Intanto, il 6 aprile 1950 la presidenza della Stazione è assunta dal senatore Francesco Marchini Càmia21 che, dopo soli due anni, nell’ottobre del 1952 si dimette per facilitare la risoluzione delle difficoltà sorte nei rapporti tra il consiglio uscente e quello nuovo. Il 15 ottobre il professor Rolando Cultrera22 è nominato nuovo presidente. L’1 novembre del 1952, dopo 27 anni di servizio, Francesco Emanuele lascia la direzione della Stazione Sperimentale, chiamato a Roma dal ministro dell’Economia a dirigere il Comitato Nazionale Produttività. Gli succede lo stesso Cultrera che somma così le due cariche di direttore e presidente fino al 1970. Con lui si pongono le basi per la “ricostruzione” dell’istituzione: è ricostituito il consiglio di amministrazione, che si riunisce per la prima volta il 9 novembre 1952, con la partecipazione del direttore generale della produzione industriale del Ministero dell’Industria e del prefetto di Parma a sottolineare la volontà del governo di far risorgere l’istituto. Lo sviluppo del dopoguerra L’apporto della Stazione Sperimentale è fondamentale per la piccola e media industria che non possiede laboratori propri e che ha bisogno di risolvere continuamente nuovi problemi; ma anche alle imprese industriali modernamente attrezzate, con tecnici di valore e laboratori sperimentali di primo piano, la Stazione Sperimentale può offrire il frutto di nuovi risultati sperimentali e rimane comunque la sede più opportuna per realizzare un’ampia collaborazione tra ricercatori e tecnici. Da questo momento i consigli di amministrazione si susseguono con regolarità e PARMA economica 9 focus economia Il laboratorio imballaggi negli anni Sessanta, nel nuovo edificio dei laboratori (archivio SSICA, Parma). senza fratture. Del consiglio fanno parte ininterrottamente dal 1952 e per i successivi 25 anni, oltre al professor Cultrera, gli industriali Amilcare Bertozzi, Giovanni Locatelli, Paolo Negroni e per 22 anni Aldo Barattini, dimessosi nel 1974 per ragioni di salute. Si tratta di un nucleo compatto che condivide una certa visione e un ideale della Stazione che portano in breve tempo a trasformare la vecchia sede in un istituto perfettamente attrezzato per qualsiasi ricerca scientifica e tecnica nel campo dell’alimentazione, rinomato a livello universitario e con un prestigio nazionale e internazionale. Nel maggio 1953 inizia la costruzione del nuovo edificio per laboratori e uffici, nonché la sistemazione del vecchio fabbricato posto a sinistra dell’ingresso, per adattarlo a portineria, casa del custode, servizi vari. La ristrutturazione fisica della sede della Stazione Sperimentale costituisce l’occasione per creare e differenziare i vari reparti di competenza con dotazione specifica e personale altamente specializzato. Il 1954, oltre a registrare la ristrutturazione dei laboratori, vede partire l’iter per la costituzione della tanto auspicata sezione meridionale della Stazione Sperimentale, che ha la sua sede in Salerno e che entra in funzione nel 195723. Nello stesso anno, a complemento dei reparti industriali già esistenti, apre presso la sede di Parma un nuovo reparto per la lavorazione delle carni, costituito da una sala principale per lo spolpo e la prepara- 10 PARMA economica 23 La sezione di Salerno viene zione degli impasti, soprattutto insaccati, costituita grazie a una convenzione da una moderna cella per la cottura delstipulata tra la Stazione Sperimentale, il Comitato Nazionale per la Prole mortadelle, da una cassa termica per la duttività e la Camera di Commercio cottura dei prosciutti, da due celle di stadi Salerno, in locali attrezzati per lo svolgimento dell’attività chimica, gionatura, da un frigorifero con tre celle a microbiologica e agronomica. Il laboratorio verrà inaugurato ufficialmente varia temperatura e da normali attrezzatuil 27 aprile 1958 in occasione del 1° re ausiliarie. convegno meridionale sull’industria delle conserve vegetali alla presenza Nel 1961 vengono realizzati i nuovi ladell’onorevole Fiorentino Sullo boratori per le conserve vegetali e per gli (1921-2000), sottosegretario al Ministero per l’Industria ed il Commercio. imballaggi e nuovi laboratori di analisi 24 Inaugurati i nuovi laboratori della strumentale. Il nuovo edificio che li ospiStazione Sperimentale delle Conserve, in «Gazzetta di Parma», (2 dicembre ta, progettato dall’ingegner Otello Popoli 1961), p. 5. (1906-1997), è inaugurato il 1° dicembre 1961, alla presenza dell’ispettore generale del Ministero dell’Industria, Morgetano, di industriali, tecnici e studiosi. Nell’occasione, gli industriali italiani consegnano al professor Cultrera una medaglia d’oro opera dello scultore reggiano Armando Giuffredi (1909-1986)24. Nel 1968 sono poi ampliati la biblioDal 1952 si insedia teca e gli uffici direzionali. un cda compatto Grande impulso è dato allo studio che eleva la SSICA delle conserve animali, vera novità a centro di prestigio della ricerca della Stazione Speriinternazionale mentale negli anni Sessanta. La collaborazione tra Consorzio del Prosciutto di Parma (istituito nel 1963) e Stazione Sperimentale porta nel 1970, dopo anni di studi, al riconoscimento giuridico del nome Prosciutto di Parma e alla legge di tutela della denominazione di origine. L’istituto ormai vive immerso nel clima industriale e su questo terreno svolge la delicata funzione della sperimentazione, della raccolta e divulgazione delle notizie focus ECONOMIA riguardanti i progressi tecnici realizzati in tutti i Paesi, dell’assistenza nello studio dei problemi che singoli industriali o gruppi d’industrie possono proporre. Vanno ricordate in questi anni anche le visite di due ministri, a Parma per l’inaugurazione della Mostra delle Conserve, che varcano i cancelli della Stazione Sperimentale accompagnati dal Il terremoto del professor Cultrera: il ministro senatore Giu1971 impone la dell’Agricoltura, seppe Medici25 (1907-2000), il costruzione di una 20 settembre 1964, e il ministro nuova sede, più dell’Industria, senatore Carlo moderna e adeguata Donat Cattin (1919-1991), il 18 settembre 1976. ai tempi 25 Il ministro Medici esalta la Mostra delle Conserve, rassegna pilota nel settore dell’alimentazione, in «Gazzetta di Parma», (21 settembre 1964), p. 5. 26 Antonino Porretta (1927-), nato a Sciara (Palermo) il 14 ottobre 1927, si laurea in chimica presso l’università di Palermo. Dal 1952 al 1954 è assistente ordinario presso l’istituto di chimica agraria dell’università di Palermo. Dal 1954 presta servizio presso la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma e già dal 1964 ricopre la qualifica di vicedirettore. Nel 1962 è abilitato alla libera docenza, confermata definitivamente nel 1968, in tecnologia della conservazione degli alimenti. Dal 24 novembre 1970 diventa direttore della Stazione Sperimentale di Parma ricoprendo l’incarico fino al 1992. Dal 1992 al 1996 è consigliere di amministrazione della Stazione Sperimentale, per conto del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato. Dal 1970 al 1995 è stato consigliere di amministrazione dell’Ente Fiere di Parma. L’attività negli anni Settanta La Stazione Sperimentale apporta contributi di ricerche originali attraverso la partecipazione a congressi o comitati di studio, confrontandosi anche con il mondo della tecnologia internazionale per verificare il livello di preparazione e la qualità del lavoro dell’istituto. Al momento in cui, nel 1970, il professor Cultrera rinuncia all’incarico di direttore a favore del professor Antonino Porretta26, l’istituto sta vivendo il suo periodo di massima grandezza che continua per altri due decenni. Nel luglio del 1971, una forte scossa di terremoto danneggia seriamente la vecchia fabbrica della Stazione Sperimentale. Poiché la riparazione sarebbe ben più onerosa, si decide per la sua demolizione e per la costruzione con moduli prefabbricati di una nuova fabbrica moderna e adeguata ai tempi, comprendente i nuovi laboratori per le conserve animali, per le conserve di pomodoro e per i prodotti vegetali. Sono allestiti al suo interno anche un nuovo laboratorio per la ricerca e le analisi dei prodotti ittici e un reparto interamente dedicato alle problematiche degli effluenti industriali: acque di scarico, depurazione dei fanghi. La crescente importanza nell’economia territoriale del prosciutto e dei salumi stagionati porta a un incremento della ricerca e alla necessità di ampliamento dello spazio destinato al reparto dei prodotti carnei. Così nel 1985 viene costruito e inaugurato un altro edificio che ospita i nuovi e moderni laboratori tecnologici delle conserve di carne. La nuova sede di Angri Nel 1979, per colmare la disparità di trattamento delle industrie del Mezzogiorno, il consiglio di amministrazione decide l’ampliamento della sede meridionale della Stazione Sperimentale27 e nel 1981 approva il progetto esecutivo della costruzione della sede della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari in Angri (Salerno). Nel dicembre 1982 iniziano i lavori di costruzione e contemporaneamente viene effettuata la selezione del personale tecnico, costituito da 22 unità da addestrare presso la Stazione di Parma e da trasferire, dopo un triennio, alla 27 Nel 1979 la Stazione fa istanza alla Cassa per il Mezzogiorno per un adeguato potenziamento del laboratorio di Salerno, nel quadro del progetto speciale Ricerca scientifica e applicata nel Mezzogiorno, approvato dal CIPE il 20 luglio 1979. Il consiglio di amministrazione della Casmez nel 1981 approva il progetto esecutivo della “Costruzione della Sezione meridionale della Stazione sperimentale per l’industria delle conserve alimentari” in Angri (Salerno). Una veduta della sede di Angri (Salerno), sorta su un’area di 30.000 mq, di cui 3.600 coperti, destinati ad accogliere uffici, servizi, laboratori chimici e industriali (archivio SSICA, Parma). PARMA economica 11 focus economia sede di Angri. La nuova sede di Angri28 entra in funzione nel maggio 1987; sorge su un’area di circa 30.000 mq e si sviluppa su una superficie costruita di circa 3.600 mq destinati a uffici, servizi, laboratori chimici e strumentali. Lo scenario degli anni Ottanta e Novanta Nel frattempo il consiglio di amministrazione della Stazione Sperimentale cambia in seguito alle dimissioni del professor Cultrera che, per motivi di salute, lascia l’istituto dopo 30 anni di ininterrotta attività. Lo scenario politico e sociale del Paese sta cambiando ancora e l’economia nazionale entra in una fase diversa, coinvolgendo anche gli assetti industriali. L’epoca che si vive negli anni Ottanta e Novanta è considerata come una fase di transizione che prelude a un nuovo ciclo di sviluppo economico. Si pensa che un adeguato sfruttamento delle potenzialità dell’informatica e di altre risorse energetiche possa dare L’origine delle stazioni sperimentali italiane Nella seconda metà dell’Ottocento l’industria napoletana del guanto, già floridissima, attraversa una crisi molto acuta a causa della perdita progressiva dei mercati esteri e perfino di quello interno, che vengono, a mano a mano, conquistati dalla migliore produzione tedesca e francese. La gravità della situazione ha echi in Parlamento con la proposta di inviare in Austria degli operai, accompagnati da tecnici, per studiare i metodi per la concia, la tintura, il taglio e la cucitura dei guanti. L’iniziativa trova scarse adesioni da parte dei fabbricanti, che accolgono invece favorevolmente la proposta del ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio per la creazione di un istituto che fornisca insegnamenti tecnici e pratici sull’industria delle pelli. Sorge così, con il finanziamento dello Stato e degli enti locali, la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli, istituita con R.D. 1596 dell’8 febbraio 1885, con il compito di «fornire insegnamenti tecnici e pratici a coloro che si dedicano ai diversi rami dell’industria guantaria e di eseguire esperimenti e ricerche sulla concia e la coloritura delle pelli, esami e saggi di materie concianti e tintoria». A distanza di alcuni anni, anche l’arte della seta lombarda viene dotata di una specifica stazione sperimentale, trasformazione istituzionale del Laboratorio di studi ed esperienze sulla seta, istituito nel 1894 presso la cooperativa per la stagionatura e l’assaggio delle sete a Milano. Attraverso il D.L. 896 del 10 maggio 1917, che autorizza il governo a istituire stazioni sperimentali1 per tutti i settori industriali, con l’unica esclusione delle «industrie che hanno per solo scopo la produzione di energia elettrica e di 12 PARMA economica forza motrice», il tema riceve un inquadramento normativo generale. Lo stesso decreto legge detta, tra le norme di organizzazione, quella che assicura il finanziamento degli istituti «chiamando a contribuire anche le industrie dei settori rispettivi». Sulla base delle disposizioni del decreto legge vengono riordinate le due stazioni Sperimentali esistenti e, negli anni successivi, ne sono istituite altre quattro: essenze e derivati dagli agrumi, a Reggio Calabria; oli e grassi, a Milano; conserve alimentari, a Parma; e carta, a Milano. Norme più particolareggiate sulle stazioni sperimentali per l’industria vengono poi emanate con i due testi legislativi fondamentali, e cioè il Regio Decreto 2523 del 31 ottobre 1923, concernente il riordinamento dell’istruzione industriale, e il relativo regolamento d’applicazione, approvato con il Regio Decreto 969 del 3 giugno 1924. A quelle sei stazioni se ne aggiungono poi, in oltre 40 anni, solo due: quella sui Combustibili, a Milano, che risponde a una necessità primaria anche per l’influenza che ha sulla vita economica di tutte le altre aziende, oltre che sulla salute pubblica; e quella del vetro, un’attività tradizionale del nostro Paese, almeno per la parte artistica, tanto che, anche con un po’ di romanticismo, la stazione sorge a Murano, dove il vetro ebbe la sua gloria europea e dove, ancora oggi, trova la possibilità di aggiornarsi al gusto e alla tecnica più moderni. 1 Sulla genesi delle Stazioni Sperimentali in Italia, si rimanda a E. Carbone, Le Stazioni Sperimentali per l’industria, in «Industria Conserve», LXI (1966), pp. 73-81, e R. Cultrera, Le Stazioni Sperimentali per l’industria nel quadro della ricerca scientifica e tecnologica in Italia, in «Industria Conserve», LXI (1966), pp. 81-87. 28 F. Caiazzo, Angri: una realtà al servizio delle industrie, Angri, Il gabbiano, 2010. 29 Demetrio Corno (1924-), nato a Carnate (Milano), l’8 novembre 1924, ricopre la carica di sindaco del suo paese natale nel corso degli anni Ottanta del Novecento. Amministratore delegato della Star con vasta competenza nelle tematiche dell’industria alimentare e vicepresidente della Stazione Sperimentale durante il mandato del professor Rolando Cultrera, con le sue dimissioni per motivi di salute subentra alla guida dell’ente dal 1983 al 1985. Ricopre numerosi incarichi in ambito confindustriale ed è presidente dell’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA) dal 1999 al 2000, vicepresidente di Federalimentare (2000-2002) nonché presidente di Federalimentare Servizi e di Tecnoalimenti. 30 Antonio Braibanti (1927-) nasce a Parma, il 5 maggio 1927, dove compie i suoi studi laureandosi in chimica presso la locale università. Dal 1951 al 1974 tiene i corsi di chimica generale e inorganica, di fisica tecnica (per chimici) e di chimica (per ingegneri) presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Parma. Ordinario di chimica fisica nella facoltà di farmacia dell’Università di Parma, dove tiene la cattedra di metodi fisici in chimica organica dal 1973 al 1981, è autore di oltre 120 pubblicazioni scientifiche nei campi della strutturistica chimica, della termodinamica delle soluzioni, della biotermodinamica e della bioenergetica. Fa parte degli organi direttivi di diverse associazioni scientifiche nazionali. È membro del consiglio di amministrazione dell’università di Parma dal 1975 al 1978 e dell’Opera universitaria di Parma dal 1978. Dal 1985 al 1990 è presidente della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari. 31 Mario Pretti (1929-2004) nasce a Milano, l’11 luglio 1929, dove consegue il diploma in ragioneria. Nel corso delle sue molteplici attività legate in prevalenza all’industria alimentare, approfondisce maggiormente le aree riguardanti la programmazione strategica, la ricerca, la determinazione del potenziale sviluppo dei segmenti di mercato e l’integrazione agricoltura-industria. Nel 1960 è chiamato a interessarsi della società Spica di Napoli, produttrice di gelati industriali; il l° gennaio 1964 entra a far parte del consiglio di amministrazione e nel giugno 1966 diventa amministratore delegato e direttore generale della stessa società. Nel 1967, in seguito all’alleanza della Spica con il gruppo Eldorado, è nominato amministratore delegato della Vallese-Eldorado e della Eldorado Sud. Nel 1968 diviene amministratore delegato della Genepesca, Società Generale per la pesca, e nel novembre dello stesso anno della Società Invito, produttrice di surgelati. All’inizio del 1969 è nominato amministratore delegato della Findus Commerciale, con sede a Milano, e della Findus, con sede a Cisterna (Latina). Nel 1974 è nominato amministratore delegato della Toseroni con sede in Roma. Infine dal 1980 fino al 1989 è presidente del consiglio di amministrazione delegato della Società Alimentare Generale Italiana (SAGIT) che gestisce nell’area di Napoli, lo stabilimento più grande del mondo per la produzione di gelati e in provincia di Latina uno dei maggiori d’Europa per la prepara- focus ECONOMIA luogo a profonde trasformazioni dell’organizzazione sociale, portando a una società opulenta. Ci si attende quindi una seconda rivoluzione industriale che rafforzi il legame tra scienza e tecnologia. Ma cominciano anche a emergeDagli anni ’80, la re i nuovi Paesi industrializzati globalizzazione mina che attuano la concorrenza attraalla base il sistema verso la riduzione dei prezzi. Il comparto conserviero italiano è agroalimentare e gravato dai costi elevati delle maSSICA continua a terie prime e le aziende conserstare al fianco delle viere sono, per lo più, di piccole aziende o medie dimensioni e prive al loro interno di laboratori necessari per la ricerca; tuttavia, l’unica strada da percorrere per l’affermazione del prodotto nazionale è quella che punta all’innovazione e alla qualità. La Stazione Sperimentale, attenta alle esigenze dell’industria, si presenta, ancora una volta, come un tramite per affrontare e risolvere i problemi tecnologici della conservazione, senza trascurare gli aspetti analitici e qualitativi. Ma nella società moderna le cose cambiano molto rapidamente e in modo non zione dei surgelati. Negli stessi anni è anche vicepresidente dell’associazione sempre prevedibile. La globalizzazione dei italiana industriali prodotti alimentari mercati mina le fondamenta del sistema surgelati. È presidente della Stazione Sperimentale di Parma dal 1990 agroalimentare che un secolo prima ha al 1995. Diviene quindi presidente portato all’industrializzazione parmense e dell’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (fondato nel 1963) che guida fino nazionale. Il mutare delle abitudini e dei alla sua scomparsa. Pretti muore a Roma il 4 luglio 2004. consumi alimentari, indirizzati verso al32 Stazione Sperimentale, festa dei 75 tri prodotti più adatti ai moderni stili di anni: bilanci e progetti. La ricerca per la consumo, porta i salumi, i formaggi e il qualità, in «Gazzetta di Parma», (20 giugno 1999), p. 8 [inserto speciale di pomodoro a una crisi di sovrapproduzio«Industria Conserve», III (1999)] La Stazione Sperimentale oggi: veduta d'insieme degli uffici e dei laboratori della sede di Parma (archivio SSICA, Parma). ne e l’industria delle macchine alimentari, dopo essere stata in gran parte acquisita da imprese multinazionali, deve fare i conti con la globalizzazione delle produzioni. La crisi dell’industria alimentare coinvolge anche la Stazione Sperimentale che deve iniziare ad affrontare una fase discendente. In questi anni si succedono, alla presidenza dell’istituto, Demetrio Corno29 (19831985), già vicepresidente della SSICA, con vaste esperienze in ambito imprenditoriale, il professor Antonio Braibanti30 (1985-1990), docente di chimica all’università di Parma, e Mario Pretti31 (19901997), con ampia esperienza in campo industriale alimentare. Verso il nuovo millennio Nel 1999, alle soglie del nuovo millennio, entra in funzione il nuovo, modernissimo reparto di microbiologia della Stazione Sperimentale. Il 19 giugno la SSICA celebra il compimento del settantacinquesimo anno di attività. L’occasione per celebrare degnamente l’anniversario è offerta dall'inaugurazione, alla presenza del sottosegretario al Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Gianfranco Morgando, del nuovo dipartimento di microbiologia, intitolato alla memoria del professor Rolando Cultrera, suo storico presidente32. Il nuovo laboratorio di microbiologia occupa una superficie di 532 mq e si estende su due piani e un locale seminterrato, per una superficie complessiva di 767 mq, dei PARMA economica 13 focus economia quali 520 destinati a laboratori e 120 a uffici, sale riunioni e aule di addestramento. Il complesso, che ospita 11 differenti laboratori, è progettato da un gruppo associato formato dall'architetto Quintilio Prodi e dagli ingegneri Giovanni Borrini, Gian Luigi Capra, Ubaldo Nocera e Luciano Zanni. La realizzazione, opera dell'impresa Colgem di Roma, richiede un investimento complessivo di 4.100 milioni di lire (circa 2,5 milioni di euro attuali). Nel 1999 viene anche emanata una nuova normativa di riforma delle Stazioni Sperimentali33, che vengono giuridicamente trasformate in enti pubblici economici sottoposti alla vigilanza del Ministero dell’Industria, Commercio e Artigianato. Le fonti di finanziamento rimangono sostanzialmente le stesse previste dalle normative precedenti e viene confermato il principio dell’obbligatorietà dei contributi a carico dell'imprese, così come il principio dell’autonomia del consiglio di amministrazione nel fissare l’ammontare di tali contributi. In concreto, non si registrano variazioni sostanziali all’attività della Stazione Sperimentale, che continua a confermarsi, sotto la presidenza dell’ingegner Franco Santini34 prima (1997-2000) e del professor Giovanni Ballarini35 poi (2000-2010), fra le più importanti istituzioni europee di ricerca applicata nel settore della conservazione degli alimenti. Il trasferimento del reparto di microbiologia nella nuova sede Nel 2010 la rende disponibili i locali occupati SSICA diventa in precedenza, consentendo l’ela- azienda speciale borazione di un nuovo progetto della Camera di di ristrutturazione che riguarda Commercio di Parma la biblioteca36 e i gli uffici amministrativi. Viene così conferito mandato37 all’ingegner Giovanni Borrini di stendere il progetto preliminare di trasformazione e messa in 33 D. Lgs. 540/1999. sicurezza, approvato dal consiglio di am34 Franco Santini (1941-), nasce a ministrazione nella seduta del 24 giugno Demonte (Cuneo) il 16 luglio 1941. 2003. I lavori hanno luogo nel corso del È presidente di Aiman ed Efms (European Federation Maintanance 2003 e i nuovi uffici e la nuova biblioteca, Society) e chairman del Technical Committee TC 319 Maintenance del trasferita a piano terreno, entrano in funComitato Europeo di Normalizzaziozione all’inizio del 2004. ne (CEN). Ricopre incarichi direttivi Le ultime trasformazioni Poco più di un decennio dopo, nel 2010, il governo stabilisce la soppressione delle stazioni sperimentali38 e identifica nelle Camere di Commercio territoriali le nuove amministrazioni subentranti nell’esercizio dei relativi compiti e attribuzioni. In base al decreto ministeriale, le Camere di Commercio devono tenere conto delle specificità delle attività già svolte dalle stazioni sperimentali, garantendo l’apporto delle relative competenze tecniche. La Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari diventa così azienda speciale della Camera di Com- in Petrofina, Dow Chemical, Uniliver italiana, Nestlé e Star. Autore di numerose memorie, svolge attività di consulenza industriale e di docenza in master e seminari. È presidente della Stazione Sperimentale dal 1997 al 2000. 35 Giovanni Ballarini (1927-) nasce a Roma il 25 dicembre 1927 da una famiglia originaria di Bologna. Si laurea in medicina veterinaria presso l’università di Bologna nel 1949 e si abilita alla professione di medico veterinario. Dal 1958 è libero docente di patologia speciale e clinica medica. È preside della facoltà di medicina veterinaria dell’università di Parma dal 1987 al 1993. È autore di oltre 900 pubblicazioni scientifiche. Da oltre 20 anni s’interessa di storia, antropologia e alimentazione umana, con particolare attenzione agli aspetti antropologici. Dal 2000 al 2010 è presidente della Stazione Sperimentale. Svolge un’intensa attività di divulgazione sui temi dell’alimentazione, collaborando con quotidiani e partecipando a trasmissioni televisive. Dal 2008 è presidente dell’Accademia Italiana della Cucina. 36 Sorta per volontà e cura del primo direttore, l’ingegner Francesco Emanuele, in 20 anni era venuta a custodire diverse migliaia di volumi sia italiani che stranieri e oltre 200 testate periodiche scelte tra le più significative su scienza dell’alimentazione e industria conserviera pubblicate nel mondo. Nel dopoguerra si era ulteriormente arricchita, ma la sua natura era venuta cambiando nel corso degli anni, con l’evolversi della ricerca. Nel 1968, a fianco della biblioteca principale, era stata allestita ex novo un’elegante biblioteca con la raccolta dei volumi più antichi e prestigiosi, utilizzata anche per le riunioni e le sedute dei consigli di amministrazione. La nuova struttura (progettata dell’architetto Luigi Varvaro e realizzata dalla ditta Primo Camellini) era stata finanziata dall’industriale e consigliere Amilcare Bertozzi (1899-1986), in memoria del fratello Carlo (1896-1962), e inaugurata il 26 Una veduta d'insieme delle attrezzature industriali della fabbrica della Stazione Sperimentale (archivio SSICA, Parma). 14 PARMA economica focus ECONOMIA novembre 1968 [cfr. «Industria Conserve», XLIII (1968), p. 284]. Negli anni Ottanta la biblioteca arriverà a disporre di oltre 5.000 testi scientifici e 300 abbonamenti a periodici. 37 Verbale della riunione del CdA del 24 giugno 2003. 38 D.L. 78 del 31 maggio 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122 del 30 luglio 2010 e quindi dal D.M. concertato tra il ministro dello sviluppo economico e il ministro dell’economia e delle finanze, pubblicato sulla G.U. 141 del 20 giugno 2011. 39 Andrea Zanlari (1951-), nasce a Parma il 26 novembre 1951. Si laurea in giurisprudenza. È titolare di uno studio di consulenza aziendale in strategie d’impresa. è consigliere di AIDA (1992-1998), membro della giunta camerale dal 1987 e dal 1999 è presidente della Camera di Commercio di Parma. È anche presidente dal 2003 al 2011 di Unioncamere Emilia Romagna, di Parma Alimentare (1999-), della Fondazione Collegio Europeo di Parma (2010-) ed è consigliere e componente del comitato esecutivo di Unioncamere (1999-) e della Camera di Commercio internazionale ICC Italia. È membro permanente dell’Advisory Group on Food Chain and Animal and Plant Health presso la Commissione Europea di Bruxelles. Presidente di Camcom Universitas Mercatorum (2008-) e vicepresidente di Borsa Merci Telematica Italiana (2000-). Siede anche nel consiglio di diverse società del parmense: Aeroporto di Parma (1995- 2001); Centro AgroAlimentare di Parma (1997-2002); Autocamionale della Cisa (2002-); Consorzio del Parmigiano Reggiano (2002-2012); ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana (2006-). Membro del consiglio di amministrazione della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma dal 1993 al 2000, dal giugno del 2010 ne è presidente. mercio di Parma, creata dalla giunta della Camera di Commercio. L’azienda speciale, divenuta operativa il 1° giugno 2010, ha i medesimi compiti e funzioni della cessata SSICA, mantenendo lo stesso personale e garantendo la continuità dell’attività nelle stesse sedi. La decisione è presa in sintonia con le indicazioni dell'Unioncamere nazionale e il coordinamento delle varie Camere di Commercio (Milano, Venezia, Napoli, Reggio Calabria), alle quali il decreto legislativo ha trasferito le competenze delle otto stazioni sperimentali presenti in tutta Italia. Essendo l'azienda speciale un'emanazione dell'ente camerale, l'amministratore unico della Stazione Sperimentale di Parma diventa il presidente della Camera di Commercio, Andrea Zanlari39. La Camera di Commercio di Parma, che nel lontano 1919 è la protagonista del comitato promotore per l’istituenda Stazione Sperimentale in Parma, ne raccoglie ora l’eredità. Quasi un ritorno alle origini per affrontare le sfide del futuro. Nota - Alla storia della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari è stato dedicato un volume, con testi di M. Gloria Attolini, Marta Dall’Orto e Andrea Zanlari, curato da Giancarlo Gonizzi, in corso di pubblicazione, di cui il presente lavoro è una sintetica rielaborazione. Bibliografia SSICA, Verbali dei Consigli di Amministrazione, 1925-1950 (archivio SSICA, Parma). Industria delle conserve, 1925-1952. B. Righi, L’industria delle conserve ed il consorzio obbligatorio parmense, in «La riforma Agraria», (febbraio 1920). Il compito della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve alimentari a Parma, in «Gazzetta di Parma», (24 marzo 1927), p. 3. Mazzotta, La R. Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari, in «Parma», III (1933), pp. 134-140. M. Dall’Acqua (a cura di), Enciclopedia di Parma: dalle origini ai nostri giorni, Milano, Franco Maria Ricci, 1991, p. 638. F. Gennari Daneri, Il processo di industrializzazione a Parma tra Ottocento e Novecento, Parma, Tecnografica per Comune di Parma, 1992. Saguatti, Le origini della formazione di un polo agro-alimentare nella provincia di Parma, in «Parma Economica», II (1994), pp. 25-29. L. Farinelli, G. Pelosi, G. Uccelli, Cento anni di associazionismo industriale a Parma, Parma, Silva, 1996, pp. 66, 88, 173, 180, 185, 211, 240, 276, 406. Omaggio alla Stazione Sperimentale. Il Consiglio dice sì all’intitolazione di due strade a Emanuele e Cultrera, in «Gazzetta di Parma», (12 marzo 2005), p. 6. G. Gonizzi, Dalla terra alla tavola. La tradizione gastronomica parmense nella storia, in Storia di Parma I: i caratteri originali, Parma, MUP, 2008, pp. 449-450. G. Ballarini, M. Gelati (a cura di), Le tecnologie agroalimentari nel Parmense, Parma, Edicta, 2009, pp. 11-13. G. Gonizzi (a cura di), Alla ricerca del futuro. I novant’anni della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari, Parma, Edicta, 2012. Il 19 giugno 1999, in occasione del 75° anno di attività della SSICA, viene inaugurato il nuovo dipartimento di microbiologia intitolato alla memoria del professor Rolando Cultrera, suo storico presidente (archivio SSICA, Parma). PARMA economica 15 focus economia Una finestra sul futuro Le riflessioni del presidente della Camera di Commercio, Andrea Zanlari, sulla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari Testo raccolto da Giancarlo Gonizzi «P er “vedere” il futuro della Stazione Sperimentale sono tornato nelle stanze dove era nata l’idea della sua creazione. Ho salito lentamente i gradini della scala monumentale della vecchia sede della Camera di Commercio di Parma. Mi ha accompagnato la bella ringhiera in ferro battuto, opera degli artigiani locali eredi di quei maestri d’arte al servizio di una corte di livello europeo, per secoli artefici del gusto e della bellezza, e ho varcato la soglia della vasta Sala del Consiglio, dalle eleganti boiserie in legno intagliato e dalle pareti dipinte con monumentale ed enfatico realismo da Daniele de Strobel (1873-1942) secondo un preciso programma iconografico. Il trasporto del latte verso il vicino caseificio per la trasformazione in formaggio Parmigiano, e la raccolta del pomodoro destinato alla non lontana industria di trasformazione che segna l’orizzonte con la solida ciminiera, raffigurati sulle pare- 16 PARMA economica ti, raccontano ancor oggi, a distanza di 90 anni, l’economia del territorio. In questo ambiente dall’atmosfera agreste, dove il tempo pare essersi fermato, è forse possibile ragionare con intelligenza sulle strategie e gli obiettivi che i tempi attuali ci chiedono pressantemente per disegnare il nostro domani. Può forse parere strano che Romano Righi Riva (1873-1956), capace imprenditore chiamato a guidare le sorti della Camera di Commercio nei primi decenni del Novecento, artefice di questa sede e primo presidente della Stazione Sperimentale - dapprima sognata e poi tenacemente realizzata - avesse chiamato degli artisti per illustrare le glorie dell’economia parmense, quasi che l’ideale umanistico del Rinascimento giungesse, ininterrottamente, fino alle soglie del “secolo breve”. La stessa persona che aveva tenacemente cercato i finanziamenti per far nascere la Stazione Sperimentale non aveva avuto In questa pagina e in quelle seguenti i dipinti di Daniele De Strobel per la Sala del Consiglio della Camera di Commercio terminati nel 1925 con le scene agresti raffiguranti il trasporto del latte al caseificio e la raccolta del pomodoro (per gentile concessione Collezioni d’Arte Cariparma – Crédit Agricole) focus ECONOMIA dubbi a destinare all’arte - agli affreschi di Paolo Baratta (1874-1940) nei riquadri delle facciate esterne, agli squillanti dipinti di De Strobel nella Sala del Consiglio importanti risorse economiche. Perché è la cultura che muove tutto. Sempre. E la penombra della sala illumina, con i suoi linguaggi e le sue visioni, un lungo cammino che nella sua ciclicità virtuosa pare tornato sui propri passi: la Stazione Sperimentale, sorta per l’impegno della Camera di Commercio, unitamente ad altri enti e intelligenze locali, dopo 90 anni torna alla sua origine, nell’ambito camerale, senza perdere il suo ruolo a livello nazionale. E anche noi, ora, siamo chiamati a disegnarne il futuro - quasi una seconda fondazione - partendo, ancora una volta, dalla cultura. Nella mutata realtà del Duemila, Riproporre il valore a darci quella solida base cultudi partenza indispensabile a della scienza e dello rale delineare il futuro della Stazione studio è l’impegno Sperimentale non saranno più, della SSICA forse, i dipinti, ma strumenti di anche nel tempo comunicazione della cultura alo forse ancor più effidella modernità trettanto caci: una scuola internazionale tecnologica di cucina - ALMA - che promuove il saper fare della nostra gastronomia sugli scenari internazionali e un circuito museale - i Musei del Cibo - che raccontano identità, storia e valore dei nostri prodotti al turista e alle giovani generazioni. Il primo grande impegno che attende oggi la SSICA in una modernità tecnologica sì, ma disillusa, avara di coraggio e pove- ra di speranze e di passione per l’avvenire, è riproporre con fermezza la fiducia nel valore della scienza e dello studio per la vita dell’uomo e della Terra. Le proiezioni ci dicono che a metà del nostro secolo 10 miliardi di uomini abiteranno il pianeta. Solo la scienza e lo studio potranno consentire di migliorare e risolvere il problema dell’approvvigionamento alimentare e idrico dell’umanità, attraverso una revisione radicale delle attuali tecnologie produttive e distributive, e l’inserimento del controllo della filiera nelle procedure abituali. La Stazione Sperimentale stessa è destinata a divenire una delle tappe necessarie della filiera alimentare italiana. Se oggi, dopo 90 anni di ricerca e sperimentazione, l’industria alimentare italiana ha acquisito tecnologie in grado di assicurare una sicurezza alimentare di elevato livello, ora si spalanca l’orizzonte delle ricerche destinate a individuare nuove soluzioni per l’alimentazione delle future generazioni. Lo sfruttamento delle risorse naturali ha superato il limite di sostenibilità. È necessario lavorare per individuare metodiche di produzione a impatto zero e tecnologie di integrazione degli alimenti adeguati ai mutati sistemi di vita. Nel giro di pochi decenni si è trasformato lo stile di vita, caratterizzato per millenni da una forte attività fisica e manuale, oggi sostituita dall’attività intellettuale e da una spiccata sedentarietà. Nello stesso periodo è “nato” il tempo libero, quel tempo liberato dalla necessità ossessiva di placare la fame, grazie alla evoluzione dell’agricoltura, alla nascita dell’industria PARMA economica 17 focus economia di trasformazione, alle nuove tecniche di conservazione e alla conseguente abbondanza delle disponibilità alimentari. Ma il punto di equilibrio è scivolato rapidamente verso l’eccesso alimentare e calorico e i problemi dell’obesità, oggi vera piaga sociale dell’Occidente. La ricerca dovrà condurci a una rimodulazione degli stili alimentari e a una nuova definizione nutrizionale degli alimenti, ridimensionati nell’apporto calorico e opportunamente integrati con elementi destinati a favorire la salute del nostro organismo. La “nutriceutica” si propone di consentire all’uomo di curarsi nutrendosi, di conservare la salute attraverso un'alimentazione equilibrata, capace di trasformare in realtà quotidiana l’insegnamento della gloriosa scuola salernitana e di prevenire le malattie degenerative integrando le componenti alimentari. Alla ricerca si apre l’opportunità di raggiungere questi traguardi, sgretolando la componente “punitiva” che ancor oggi viene percepita dal consumatore in tutti gli alimenti dietetici, orientando la produzione verso cibi rispettosi del sapore, a elevata qualità reale e percepita, in cui il legame con il territorio e la sua tradizione gastro- 18 PARMA economica nomica vengano salvaguardati ed esaltati. Parallelamente si amplierà la ricerca sugli imballaggi, che oggi costituiscono una percentuale elevatissima dei nostri “rifiuti domestici”, per ridurne l’impatto ambientale, facilitarne il recupero con azioni economicamente sostenibili, amplificarne le funzioni di servizio, allungare la vita del prodotto. Anche la consumer science giocherà un ruolo significativo nell’attività di ricerca, per raggiungere l’obiettivo di soddisfazione del consumatore e offrire una qualità, oggettiva ma percepibile, nei prodotti. È, infatti, sul tema della qualità che si gioca il nostro futuro. Abituati da secoli a garantire la qualità delle nostre produzioni tradizionali, nate dall’intelligente impiego delle risorse nel rispetto della natura e dei suoi cicli, dovremo puntare a trasformare questa “capacità di produrre qualità” in brevetti In futuro servirà rimodulare gli esclusivi. Le condizioni geografiche di stili alimentari, altre zone del mondo consen- limitando le calorie tono produzioni estensive, con e introducendo costi decisamente inferiori, per elementi salutari noi impossibili. La tutela delle produzioni di qualità attraverso specifici brevetti, frutto della ricerca scientifica applicata, difendibili sull’orizzonte internazionale, potrà consentire all’industria agroalimentare italiana di consolidare una posizione specifica e non conflittuale e di tornare alla guida del segmento agroalimentare di qualità. Il comparto dei derivati del pomodoro, ferito nel recente passato dai colpi di una politica comunitaria che ha rimesso in discussione la convenienza agricola legata alla coltivazione dei frutti e da una concorrenza straniera non sempre leale e competitiva, ha bisogno di una forte azione di sviluppo di nuovi prodotti e dell’aggiornamento degli attuali, come peraltro hanno saputo fare comparti merceologici altrettanto maturi (latte, succhi di frutta), per ritornare nella posizione di leadership qualitativa a livello mondiale. Un’azione che sia capace altresì di soddisfare e d’interpretare le mutate esigenze del consumatore verso prodotti pur sempre legati alla tradizione e al territorio, ma con maggiori contenuti di servizio e attenzione ai temi della sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda il settore delle carni, temi etici come il benessere animale, l’im- focus ECONOMIA patto sulla salute e sull’ambiente, possono avere una duplice lettura e, grazie a ricerca e sperimentazione, diventare punti di forza del settore. Indicatori di benessere animale e di sostenibilità di processo riconoscibili dal consumatore, conversione di prodotti di scarto in nuovi prodotti edibili, individuazione di principi attivi delle carni con prospettive favorevoli per la salute, introduzione di estratti vegetali nei prodotti carnei per alimenti con una demarcazione meno netta tra animale e vegetale, sono solo alcuni dei temi in cui il settore carni dovrà impegnarsi. Dovrà mantenere un ruolo centrale il supporto scientifico alle produzioni tipiche italiane, periodicamente al centro di criticità legate alla filiera, alla qualità e alla sicurezza, cardini su cui si basa il successo sia dei consumi interni che dell’export. La filiera dei prodotti ittici, a partire dal pesce fresco fino al trasformato, oltre a valorizzare i cicli produttivi tradizionali che hanno segnato profondamente l’economia del Paese, si è impegnata nello stesso tempo per creare parchi marini naturali e oasi idriche protette dove implementare acquacoltura. Un notevole sforzo è stato fatto per la valorizzare di alimenti che, anche se conservati, preservassero le caratteristiche di freschezza tipiche del pesce non prescindendo dalla sua sicurezza. Inoltre, ad oggi, la ricerca ha implementato l’utilizzo delle mild technologies (tecnologie minimali) nel settore della trasformazione dei prodotti ittici, e, in un’ottica sempre più esigente di regimi alimentari a basso contenuto di grassi, ha favorito sistemi di conservazione che riducono l’aggiunta di grassi e altri additivi. Le aziende di trasformazione dei prodotti ittici saranno sempre più interessate al recupero e alla valorizzazione degli scarti e dei prodotti secondari di lavorazione per ridurre l’impatto ambientale e sgravare il costo che deriva dal loro smaltimento, proponendo soluzioni a un mercato che ha sempre minori risorse, ma che non può e non deve rinunciare all’approvvigionamento di alimenti sicuri e nutrizionalmente validi. Anche la comunicazione giocherà un ruolo essenziale nel futuro della ricerca scientifica e della Stazione Sperimentale. Se il glorioso bollettino a stampa Industria delle conserve, nato nel 1925 e oggi autorevole punto di riferimento internazionale per la ricerca agroalimentare, resterà uno PARMA economica 19 focus economia strumento “storico” per segnare le tappe dell’evoluzione tecnologica, dovrà essere affiancato da mezzi più veloci, che trovano nel web l’infrastruttura di servizio ottimale per la rapida diffusione delle idee: una newsletter capace di inserirsi con rapidità nel dibattito scientifico internazionale e uno spazio di social network, riservato ai soci della Stazione Sperimentale, per favorire il confronto sulle problematiche scientifiche e l’incontro tra necessità della produzione e risposte della ricerca applicata. L’inserimento della Stazione Sperimentale nella rete camerale italiana, con 104 sedi italiane e 76 internazionali, consentirà di estendere il ruolo operativo della SSICA, avvicinando gli sportelli Unioncamere alle imprese del territorio e veicolando in maniera coordinata le esigenze del mercato al polo sempre più specializzato della ricerca. In quest’ottica si apre la possibilità che la ricerca di base sia gestita dalle imprese stesse o da laboratori privati, diffondendo così i luoghi dell’attività scientifica sul territorio e destinando alla SSICA e a organismi paralleli presenti in altri Paesi la ricerca d’alto livello e la specialistica. Questa diffusione della “ricerca di base”, oltre che vantaggiosa dal punto di vista economico, avrà ricadute significative anche sulla diffusione della cultura scientifica sul territorio italiano. In quest’ottica, i laboratori della Stazione Sperimentale dovranno aprirsi periodicamente al mondo della scuola e della didattica universitaria, per favorire la diffusione del potenziale scientifico nelle nuove generazioni - vero investimento per il Paese - e nel contempo comunicare al territorio il proprio ruolo e la propria funzione: solo dalla condivisione possono scaturire le risorse per il lavoro futuro. Un ulteriore ambito di sviluppo della ricerca della Stazione Sperimentale sarà la tutela ambientale, con particolare riferimento all’industria agroalimentare: il contenimento dei consumi energetici nei processi di trasformazione, la riduzione delle attività inquinanti, con recupero di CO2 e riutilizzo dei reflui porterà a definire imprese alimentari sempre più “verdi”, con bilancio energetico a pareggio, anticicliche ed essenziali per il sostegno economico del territorio. Un raggio di luce, rosata dal tramonto ormai imminente, filtra dalle finestre e 20 PARMA economica colpisce sul muro l’immagine dipinta di Mercurio, messaggero e patrono del commercio. Alle sue spalle robuste navi con le vele gonfie di vento e le stive sature di merci sono pronte a salpare verso lidi lontani. E a portare il nostro “saper fare” al mondo. La “visione” di Romano Righi Riva è anche la mia. Il “sistema Italia” potrà riconquistare, all’insegna della qualità, i suoi spazi nello scenario internazionale. La Stazione Sperimentale saprà confermarsi un pilastro nell’ambito L’ingresso nella rete agroalimentare e il suo lavoro camerale estenderà permetterà alle imprese di aprire, il ruolo operativo proprio con l’alta qualità dei pro- della SSICA, dotti, nuove opportunità, nuovi avvicinandola alle imprese mercati, nuove sensibilità. Ancora una volta sarà la cultura quella fatta di identità, competenza e storia - a tracciare le rotte per il nostro futuro. È ora di andare. Mentre chiudo la porta, lo sguardo si posa sulla parete: un branco di oche candide starnazzano sulla riva dello stagno. Dopo 90 anni sono ancora lì. Il domani è oltre la porta…». ECONOMIA E TERRITORIO A Parma assume solo il 13,2% delle imprese I risultati dell’indagine Excelsior parlano chiaro: il quadro occupazionale è in deciso peggioramento. Ma cresce la domanda di laureati e diplomati Giordana Olivieri L’ incertezza circa gli esiti della crisi dell’area euro e gli scenari dei mercati si ripercuote sulle scelte occupazionali delle imprese. La fotografia scattata quest’anno dal Sistema Informativo Excelsior evidenzia un quadro occupazionale in deciso peggioramento. Nel 2012 nessuna provincia evidenzia saldi positivi e per ben 85 province il saldo previsto risulta peggiore di quello del 2011. In flessione la propensione ad assumere Dopo la ripresa registrata nel 2011 si ridimensiona nettamente la quota di imprese che prevede di assumere nel corso del 2012. In provincia di Parma tale quota si è infatti ridotta dal 25,9% circa Solo il 9% delle (previsioni 2011) al 13,2% nel assunzioni è 2012. Si tratta di una caduta particolarmente significativa che fa legato a strategie registrare la minor propensione di espansione sul da parte delle imprese parmensi mercato ad assumere personale nel corso dell’ultimo decennio. Il dato è ancora più basso nelle imprese artigiane, fermo all’8,6%, e nel settore delle costruzioni e del commercio, rispettivamente al 7,7% e 7,6%. In ambito regionale e nazionale la quota diminuisce meno intensamente e si attesta a oltre il 14%. Le assunzioni programmate dalle imprese sono soprattutto di natura “sostitutiva”: il 45,2% sono indirizzate alla sostituzione di dipendenti in uscita o temporaneamente assenti (maternità, ferie, malattie o aspettative), mentre per il 22,3% sono legate a una domanda in crescita o in ripresa. La maggior parte delle assunzioni preventivate nel 2012 dalle imprese parmensi è dunque legata a esigenze organizzative interne o all’andamento stagionale delle attività, mentre coprono un ruolo minore le strategie di espansione sul mercato (9%). Con riferimento alla dimensione aziendale sono prevalentemente le imprese di maggiore dimensione (oltre 50 dipendenti) a ricorrere a nuovo personale, con una quota che arriva al 73,7%. PARMA economica 21 ECONOMIA E TERRITORIO Forte calo per le assunzioni previste In base alle previsioni delle imprese, in Italia nel 2012 si perderanno oltre 130mila posti di lavoro, con un tasso di ingresso pari al 5,5% (corrispondente a 631mila unità) e d’uscita del 6,7% (circa 762mila unità). Il saldo che ne deriva continua a essere negativo (-1,1%) e peggiora rispetto allo scorso anno (era a -0,7%). Risulta analoga la flessione attesa in Emilia-Romagna (-1%), equivalente a una perdita di circa 11.230 unità. Le imprese dell’industria e dei servizi della provincia di Parma prevedono di effettuare 5.590 assunzioni a fronte di 6.330 uscite, con un corrispondente calo di 740 unità di lavoro dipendente sullo stock di fine 2011, pari a una variazione percentuale del -0,7%. Il tasso di entrata atteso nel 2012 (vale a dire le entrate nel mercato del lavoro ogni 100 dipendenti occupati al 31 dicembre dell’anno precedente) nella provincia di Parma dovrebbe diminuire di oltre 3 punti percentuali rispetto all’8,1% nel 2011, e attestarsi al 5%, mentre il tasso di uscita provinciale calerebbe di 2 punti percentuali, fermandosi al 5,6%. Nessuna provincia evidenzia saldi positivi e per ben 85 province il saldo previsto nel 2012 risulta più pesante rispetto a quello del 2011. Per la nostra provincia il tasso di variazione occupazionale ritorna negativo: -0,7%, e risulta il più pesante registrato dal Sistema Informativo Excelsior, arrivato alla sua quindicesima annualità. Dopo due anni (2009 e 2010) di decisa contrazione della base occupazionale, coincisi con il calo del Pil a livello nazionale, Parma nel 2011 aveva, infatti, invertito la tendenza con un tasso di crescita positivo di circa mezzo punto percentuale. 22 PARMA economica Il calo occupazionale più intenso in valore assoluto è nell’industria, dove si prevede un saldo a fine anno di -700 unità, di cui 330 nell’industria in senso stretto e 370 nelle costruzioni. Le imprese edili, che risentono pesantemente della crisi, segnano un tasso di variazione occupazionale del -4,3%. I servizi operativi esprimono un saldo positivo di 230 unità, che compensa le perdite previste nei settori del commercio e di alberghi e ristoranti. Quasi la metà del saldo negativo è espresso dalle imprese artigiane (-330 unità) e il tasso di variazione oc- Le imprese cupazionale risulta il più pesante degli ultimi cinque anni (-2,4%). edili accusano Nei quattro anni (2009-2012) pesantemente la successivi alla crisi finanziaria crisi e il tasso di globale le previsioni delle im- occupazione segna prese di Parma implicano una riduzione complessiva di 1.780 -4,3% lavoratori dipendenti nei settori coperti dall’indagine Excelsior, il cui campo di osservazione riguarda la quasi totalità dell’economia con esclusione del settore agricolo, della pubblica amministrazione, delle istituzioni non profit e delle libere professioni. Si tratta di dati di previsione, dunque con ampio margine di imprecisione, e non di risultati verificati a consuntivo. La rilevazione presso le imprese risale al periodo marzo-aprile di quest’anno, e l’accentuarsi della crisi nei mesi successivi potrebbe comportare un ulteriore ridimensionamento dei programmi di assunzione. Quasi il 73% delle assunzioni di non stagionali avverrà nei servizi, principalmente nel comparto degli “altri servizi” con 2.600 assunzioni previste e una quota sul totale pari al 63,3%. ECONOMIA E TERRITORIO Opportunità per diplomati e laureati Con riferimento ai livelli di istruzione, rispetto al 2011 la provincia di Parma registra un aumento di 9 punLa richiesta di ti percentuali della domanda di diplomati e la quota raggiunge il personale laureato 43% del totale delle assunzioni di vale il 15,2% del non stagionali: la più alta rilevata totale: la quota più dal Sistema Informativo Excelalta da 5 anni sior, nei suoi 15 anni di indagini. La richiesta di personale laureato cresce di oltre 4 punti percentuali rispetto allo scorso anno e arriva a rappre- sentare il 15,2%, quota più elevata degli ultimi cinque anni. Nel contempo si riduce notevolmente la richiesta di lavoratori con qualifica professionale, che passa dal 18,1% del 2011 al 6,2% del 2012, mentre risulta pressoché stabile quella di persone senza formazione specifica. Nel confronto con l’Emilia-Romagna e l’Italia, la provincia parmense evidenzia una quota maggiore di richiesta di laureati e diplomati e minore di personale con qualifica professionale. Sono previsti 620 ingressi di laureati nel PARMA economica 23 ECONOMIA E TERRITORIO 2012 (contro 720 dei 12 mesi precedenti) e la richiesta si orienta per il 27,4%, pari a 170 unità, verso gli indirizzi di ingegneria, e per il 24,2%, pari a 150 unità, verso l’indirizzo economico. Rispetto al 2011 si mantiene stabile la domanda di ingegneri, mentre si riduce di oltre il 53% quella dei laureati a indirizzo economico. 24 PARMA economica La domanda di 1.760 diplomati rappresenta la quota più alta delle 4.090 assunzioni di non stagionali previste dalle imprese parmensi. In un contesto di forte calo delle entrate (-34,3% rispetto al 2011), la richiesta di diplomati subisce una flessione minore (-18,1%). È soprattutto il comparto dei servizi a richiedere diplo- ECONOMIA E TERRITORIO mati, per 1.260 unità, mentre l’industria prevede solo 500 ingressi. Gli indirizzi più richiesti sono quelli amministrativo-commerciale (380 unità), turistico-alberghiero (240 unità) e socio-sanitario (230), ma la richiesta più numerosa riguarda 570 diplomati senza indirizzo specifico. Risulta in forte calo la domanda di risorse umane munite di qualifica e formazione professionale: 250 unità contro le 1.130 del 2011, vale a dire quasi il 78% in meno. La richiesta si orienta Cresce la domanda verso gli indirizzi socio-sanitario di professioni (110 unità) e meccanico (80). intellettuali, Permane stabile al 35,6%, invece, diminuisce quella di la quota di personale meno qualificato, dotato solo della scuola professioni tecniche dell’obbligo: in totale saranno 1.460 lavoratori. Come cambia la domanda di professioni Nonostante il contesto generale di forte riduzione, in termini assoluti, delle assunzioni non stagionali previste per il 2012, i risultati dell’indagine Excelsior per la provincia di Parma evidenziano alcune positive novità nelle strategie di acquisizione di nuovo personale da parte delle imprese, spesso diverse in base all’attività economica o alla dimensione di impresa. Nella provincia di Parma si prevede che il 17,6% rientri nel gruppo con maggiore specializzazione, ovvero dirigenti (0,4%), professioni intellettuali scientifiche (7,8%) e ruoli tecnici di alto profilo (9,4%). Si tratta di un risultato inferiore al dato regionale (22,6%) e nazionale (21,7%). Cre- sce la domanda di professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, che in totale saranno 320 unità, mentre diminuisce il ricorso a professioni tecniche: solo 380 unità (erano 670 lo scorso anno). Le professioni intellettuali e scientifiche presentano percentuali decisamente superiori alla media provinciale nell’industria (dove rappresentano l’11,5% del totale delle nuove assunzioni previste), in particolare nel settore della chimica-plastica, metallurgia, estrazione e lavorazione minerali non metalliferi (27,1%). Le professioni tecniche assumono particolare rilievo nelle industrie alimentari (21%) e fabbricazione di macchinari e apparecchiature (22,2%). Si mantiene elevata la domanda di professioni esecutive d’ufficio e quelle qualificate del commercio e servizi. La richiesta di 1.910 «impiegati e professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi» arriva a rappresentare il 46,7% del totale delle assunzioni previste. La quota che tale gruppo rappresenta nella regione EmiliaRomagna si ferma al 41,5% e nell’intero Paese al 40,9%. All’interno del gruppo professionale si nota un calo degli impiegati (750 assunzioni contro 1.100 del 2011) mentre si mantiene, pur in flessione, la previsione di 1.160 professioni qualificate nel commercio e nei servizi. Tali assunzioni si concentrano, com’è facile immaginare, nelle imprese del commercio all’ingrosso e al dettaglio e nella categoria degli alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e turistici. PARMA economica 25 ECONOMIA E TERRITORIO Cala dal 30,2% al 17,1% la quota di operai specializzati e conduttori di impianti e macchine: saranno 430 operai specializzati e 270 conduttori di impianti e addetti a macchinari fissi e mobili. I primi sono richiesti in tutti i settori dell’industria ma le richieste superiori alla media sono per la fabbricazione di prodotti in metallo (63,8%), la fabbricazione di macchinari e apparecchiature (51,1%) e le costruzioni (42,3%). La domanda di professioni non qualificate si mantiene stabile, con una previsione di assunzioni di 760 unità. Oltre ai servizi operativi, dove le professioni non qualificate raggiungono il 70,8% del totale delle nuove assunzioni previste nel 2012, si devono segnalare anche i trasporti (46,6%). 26 PARMA economica Più facile trovare profili idonei A livello nazionale, nel 2012 la maggior disponibilità di offerta nel mercato del lavoro ha determinato una diminuzione di oltre 6 punti percentuali della quota di assunzioni previste non stagionali di difficile reperimen- Poiché la domanda to (15,5% rispetto al 21,8% del di lavoro supera 2011). Nella provincia di Parma l’offerta, per le tale fenomeno si accentua, evi- imprese è più facile denziando per l’anno in corso una diminuzione di oltre 15 punti trovare profili idonei percentuali: il 12,4% delle nuove assunzioni comporterà qualche difficoltà di reperimento dei profili idonei e rispondenti alle esigenze professionali, contro il 27,9% nel 2011. ECONOMIA E TERRITORIO Si tratta nel complesso di 510 posizioni, che richiedono mediamente un tempo di ricerca per le imprese di quattro mesi. Le difficoltà di reperimento sono imputabili sia all’inadeguatezza (6,3%) che al ridotto numero di candidati (6,1%). Maggiori difficoltà sono segnalate dall’industria, dove la percentuale sale al 26,1% delle assunzioni previste nel comparto ed è dovuta, nel 15,7% dei casi, all’inadeguatezza dei candidati. I contratti offerti dalle imprese Per quanto riguarda le tipologie contrattuali offerte dalle imprese per le assunzioni di personale non stagionale, in provincia di Parma registrano un calo i contratti a tempo indeterminato (1.670 nel 2012 rispetto ai 2.980 del 2011) con un’incidenza sul totale delle assunzioni in flessione del 40,8%. Diminuiscono anche i contratti a tempo determinato (1.660 nel 2012 contro 2.890 nel 2011) che scendono al 40,6% del totale. I contratti a tempo determinato arriveranno, invece, a rappresentare la quota più alta in Emilia-Romagna: 51,2%, rispetto al 45,3% dell’Italia. Tra le diverse tipologie di contratti a tempo determinato utilizzate dalle imprese parmensi spicca il deciso calo dei contratti finalizzati alla sostituzione temporanea di personale, dalle 1.360 unità previste nel 2011 alle 420 del 2012, con la quota sul totale delle assunzioni che scende al 7,5% (era al 21,8% nel 2011). Altra casistica da analizzare è il ricorso a contratti a tempo determinato finalizzati alla prova di nuovo personale in vista della loro potenziale integrazione a titolo definitivo: nella provincia di Parma il 7,1% delle assunzioni va in questa direzione, in Emilia-Romagna la quota sale al 7,3% mentre in Italia scende al 6,5%. I contratti di apprendistato, circa 470, pesano per l’11,5% delle assunzioni di non stagionali; le “altre forme contrattuali” valgono il 7,1%. In base alla dimensione d’impresa, sono le grandi imprese a prevedere maggiormente l’utilizzo del contratto a tempo indeterminato (51,5%) mentre la quota scende al 29% nelle medie imprese (10-19 dipendenti) e solo al 20% nelle piccole imprese (fino a 9 dipendenti). Quindi, nel complesso del totale di 5.590 assunzioni previste, il 73,2%, pari a 4.090 unità, saranno lavoratori non stagionali. Le assunzioni a tempo parziale Aumenta, rispetto allo scorso anno, il ricorso ad assunzioni a tempo parziale. Probabilmente le imprese utilizzano maggiormente questo strumento per alleggerire i costi destinati al personale senza disperdere le competenze o privarsi di figure importanti per lo svolgimento delle proprie attività. In base alle previsioni effettuate dalle imprese della provincia di Parma, nel 2012 vi saranno complessivamente 1.240 assunzioni part-time, ovvero il 30,3% del totale, quota superiore rispetto al 22,2% del 2011. Nel corso degli anni la richiesta di assunzioni a tempo parziale nei diversi settori economici ha mostrato un andamento variabile, anche se i servizi hanno sempre evidenziato una propensione superiore rispetto all’industria. Il terziario, infatti, negli ultimi tre anni ha registrato percentuali attese di assunzioni part-time sul totale delle assunzioni stabilmente al di sopra del 30%, superando il 39% nel 2012, mentre l’industria si trova al 5,8%. PARMA economica 27 ECONOMIA E TERRITORIO Nel 2012 è il settore dei servizi operativi che, nella provincia, presenta le richieste maggiori: 440 unità, pari al 56,1% del totale delle proprie assunzioni. Seguono alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e servizi turistici, con 410 richieste (57,3%), e il commercio, con 170 unità (45,5%). Con riferimento alla dimensione aziendale, sono le imprese della classe intermedia (10-49 dipendenti) a manifestare l’interesse minore, visto che l’incidenza sul totale delle loro assunzioni si ferma al 10,1%. Per le imprese con meno di 10 dipendenti e per quelle con oltre 50 dipendenti, viceversa, tale percentuale è rispettivamente al 30,8% e 34,7%. Inoltre, il ruolo dei giovani in questi inserimenti è piuttosto rilevante, visto che il 27,9% delle assunzioni part-time riguarda persone fino a 29 anni e che, come nel caso di alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e servizi turistici, questo fatto diventa 28 PARMA economica maggioritario (50,2%). In conclusione, le previsioni di assunzioni part-time risultano in crescita sia a livello provinciale che regionale e nazionale; in particolare, l’utilizzo di questa forma contrattuale appare più marcato a livello regionale e provinciale, dove si attesta rispettivamente al 30,3% e 31,2%, mentre in Italia la quota non arriva al 27% del totale assunzioni. Le imprese parmensi sono di nuovo propense ad assumere personale con meno di 30 anni Giovani, aumentano le opportunità Torna a crescere, nelle previsioni delle imprese parmensi, la propensione ad assumere personale con meno di 30 anni. La quota delle assunzioni non stagionali di giovani supera il 35% del totale, livello superiore di circa 8 punti rispetto al 2011. Si tratta di un balzo significativo con il quale la provincia di Parma supera il dato ECONOMIA E TERRITORIO registrato a livello regionale ed eguaglia la quota nazionale. La domanda di personale sotto i 30 anni cresce nei servizi, dove la quota arriva al 37,1%, mentre scende al 31,7% nell’industria. Sono le piccolissime imprese (fino a 9 dipendenti) le più propense ad assumere i giovani, che registrano un forL’assunzione di te aumento della percentuale in superiore al 61%. Nelle under 30 vale oltre il entrata, imprese di media dimensione la 35% del totale: +8% quota si attesta al 39% e scende rispetto al 2011 al 24,8% nelle imprese con oltre 50 dipendenti. La richiesta di personale straniero Nella nostra provincia, in termini assoluti, rispetto al 2011 diminuisce del 31,3% la domanda di personale con nazionalità non italiana, ma la flessione risulta inferiore al calo complessivo delle assunzioni di non stagionali previste dalle imprese (-34,3%). Delle 990 assunzioni di personale immigrato, il 29,1% non ha bisogno di un’espe- rienza specifica e ben il 94,6% necessita di ulteriore formazione. Altro dato interessante è che solo il 10,8% di questi lavoratori è cercato fra i giovani con meno di 30 anni. Questi elementi esprimono una richiesta di professionalità non particolarmente qualificate. Le assunzioni di personale immigrato saranno al massimo 140 nell’industria e 850 nei servizi, rappresentando rispettivamente il 12,1% e il 28,6% del totale delle assunzioni di non stagionali dei due macro settori. Nel terziario la richiesta di immigrati è particolarmente elevata nei servizi alle persone (48,6%) e nei servizi operativi (40%). Emergono particolari differenze nelle previsioni di assunzioni di personale immigrato in base alla dimensione d’impresa: si passa dall’8% relativo alle imprese fino a 9 dipendenti al 21,8% di quelle con un numero di dipendenti fra 10 e 49, per arrivare alla previsione del 30,9% per le imprese con oltre 50 dipendenti. Sempre più necessaria la formazione post entry Cresce la necessità delle imprese di dare una formazione ulteriore dopo l’ingresso in azienda, attraverso corsi interi o esterni: la quota, che nel 2010 era intorno all’80%, sale nel 2011 al 90,7%. Il dato appare alto e conferma come molto spesso gli imprenditori avvertono una lontananza tra i fabbisogni lavorativi aziendali e le competenze in possesso dei neoassunti. Si mantiene elevata la quota di imprese che, con diverse modalità, hanno effettuato nel 2011 corsi di formazione per il proprio personale. Nel 2011 il 44,5% delle PARMA economica 29 ECONOMIA E TERRITORIO na l’11,5% delle piccole. Come per altri aspetti, è proprio la dimensione stessa che rende più possibili e fruttuose queste collaborazioni, considerate anche come un possibile canale di reclutamento del personale. Il numero di tirocini e stage attivati dalle imprese nel 2011 è pari a 2.880, mentre il numero medio per impresa è pari a 1,4 (riferito solo alle imprese che li effettuano anziché al totale delle imprese). imprese della provincia di Parma vi ha fatto ricorso. È un segnale che mostra come esse credano fortemente che la formazione sia uno dei punti fondamentali nel quale continuare a investire nonostante le difficoltà dell’attuale congiuntura economica. L’anno precedente, infatti, il 40% delle aziende aveva effettuato corsi di formazione ai propri dipendenti e la nostra provincia continua ad evidenziare anche nel 2011 un dato più elevato rispetto alla media regionale (38,2%) e nazionale (35%). Sono soprattutto le imprese di maggiore dimensione, con più di 50 dipendenti, a fare corsi di formazione: qui la percentuale supera il 78% mentre nelle imprese con meno di 10 dipendenti scende al 39,5%. Nel corso del 2011 il 36,5% dei dipendenti ha partecipato a corsi di formazione effettuati dalla propria impresa. Il 16,1% delle imprese parmensi ha ospitato persone esterne per un periodo di tirocinio oppure per uno stage (17,9% nel 2010); si tratta quasi sempre di studenti delle scuole secondarie e dell’università o di partecipanti a corsi di formazione professionale post scolastica. Sono soprattutto le grandi imprese a rendersi disponibili per questo approccio al mondo del lavoro e infatti il 57,8% delle stesse ha ospitato personale in tirocinio a fronte di appe- 30 PARMA economica Più contratti atipici Nel 2012 le imprese parmensi utilizzeranno un numero rilevante di lavoratori con contratti atipici (5.010 unità), con i quali hanno già stipulato o stipuleranno un contratto secondo la normativa vigente, e cioè: lavoratori interinali (dipendenti dalle agenzie di somministrazione), collaboratori a progetto e altri lavoratori (a partita IVA, occasionali) non alle dipendenze. Il 4,2% delle imprese di Parma (contro il 7% nel 2011) ha dichiarato che utilizzerà nell’anno complessivamente 2.410 lavoratori interinali (erano 3.120 nel 2011), 1.240 nell’industria e 1.170 nei servizi. I collaboratori a progetto previsti, con contratto in corso e nuovi ingressi, sono in tutto 1.270 nel 2012, in aumento rispetto alla precedente previsione (1.110 nel 2011). Le imprese che intendono farvi ricorso sono il 5,2% del totale, contro il 6% della scorsa 9 neoassunti su 10 rilevazione. Si tratta in buona misura di figure professionali di ricevono formazione, alta qualificazione: per il 39,1% a conferma del è previsto un livello d’istruzione distacco tra universitario. competenze cercate L’indagine di quest’anno ha permesso anche di precisare per la e competenze in prima volta il fabbisogno di “altri possesso lavoratori non alle dipendenze” (collaboratori a partita IVA e occasionali): si tratta di 1.330, un flusso consistente nei servizi (840) e in misura minore nell’industria (490). Infine i tirocinanti e gli stagisti retribuiti previsti nel corso del 2012 saranno 790. Dato il carattere temporaneo e la durata spesso limitata dei contratti atipici utilizzati dalle imprese, i contratti attivati, cioè i nuovi ingressi previsti nel 2012, rappresentano una quota elevata dello stock. Considerati insieme alle assunzioni di dipendenti, i nuovi “atipici” - 740 collaboratori a progetto, 1.680 lavoratori interinali ECONOMIA E TERRITORIO e altri 690 “non dipendenti” - costituiscono più di un terzo (35,7%) del totale dei nuovi ingressi previsti nel 2012. Conoscenza diretta e banche dati, i canali più usati Il principale canale utilizzato nel corso del 2011 per la selezione del personale è la conoscenza diretta dei candidati (46,6% dei casi). Assimilabili a questo tipo di reclutamento anche le “segnalazioni da conoscenti e fornitori”, utilizzate nell’11,9% delle assunzioni effettuate. La rete informale delle conoscenze personali è molto meno rilevante nelle imprese di maggiore dimensione, che vi fanno ricorso solo per il 10,4% delle assunzioni, contro quote del 51,3% tra le imprese minori e del 38,4% per le imprese di medie dimensioni. Alle banche dati aziendali, dove vengono conservati i curriculum dei candidati, si è fatto ricorso nel 23,7% dei casi, ma il peso di questo canale è marcato (44,6%) per le imprese con oltre 50 dipendenti. Queste ultime ricorrono anche con maggior frequenza delle altre alle società di lavoro interinale (16,4%) e a società di selezione del personale, associazioni di categoria o internet (15,2%), canali scarsamente frequentati dalle imprese più piccole. Quotidiani, stampa specializzata e centri per l’impiego sono utilizzati rispettivamente nel 3,2% e 3,7% delle assunzioni effettuate lo scorso anno. PARMA economica 31 ECONOMIA E TERRITORIO Prodotti tipici e marketing: il Parmigiano-Reggiano La crisi produttiva tra '700 e '800 ha richiesto una lunga campagna di rilancio dell’immagine del formaggio, che ha fatto leva sulla genuinità e la tipicità territoriale Stefano Magagnoli L’industria di fronte ai prodotti tipici A cavallo tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale l’industria agro-alimentare italiana conosce una fase di significativa espansione, che si collega strettamente agli albori della cosiddetta retailing revolution. La transizione dei prodotti alimentari da produzione artigianale a industriale porta con sé numerosi elementi d’innovazione, che abbracciano sia le modalità con cui i consumatori si pongono di fronte al “cibo” diventato “prodotto alimentare”, sia 32 PARMA economica le strategie comunicative dei produttori, chiamati a elaborare nuovi schemi con cui presentare i propri beni in un mercato caratterizzato da un numero crescente di referenze; strategie che in molti casi rappresentano un punto d’incontro, una sintesi, tra tradizione e innovazione. La necessità di individuare nuove strategie comunicative riguarda in modo particolare quei prodotti che hanno nella “tipicità” il proprio principale punto di forza, e che dal rapporto strettissimo con uno specifico territorio (con cui condividono storia, ECONOMIA E TERRITORIO tradizione, simboli) traggono le proprie peculiarità in termini di “reputazione” e capacità competitiva. L’industrializzazione del prodotCon la retailing to alimentare, e in particolare di quello “tipico”, determina quindi revolution divenne una situazione in cui il prodotto fondamentale tipico potrebbe entrare nel cono trovare strategie d’ombra dell’anonimato. Rischio che porterebbe alla dicomunicative per i rilevante, spersione di quell’universo di vaprodotti tipici lori immateriali e simbolici intorno a cui si definisce l’identità dei prodotti tipici, determinato da tre fattori complementari: 1. la serialità e la moltiplicazione numerica (che supera il vincolo secolare della scarsità del bene offrendo al produttore nuove opportunità di profitto) garantiscono uniformità e ripetizione costante dei risultati, ma inevitabilmente si oppongono all’unicità e all’individualità, rendendo il prodotto anonimo e meno associabile a precise specificità territoriali; 2. l’affermarsi di un nuovo modello distributivo comporta la necessità di confezionamento del prodotto, processo che cela il contenuto agli occhi del consumatore e lo disperde negli affollati punti vendita di un mercato geograficamente sempre più ampio, e proprio per ciò proporzionalmente sempre meno capace di distinguere e apprezzare le specificità di un prodotto tipico; 3. il prevalere della marca sul prodotto, e sul nome del produttore: si tratta di un’evoluzione capace nel tempo di produrre valore, ma che nelle fasi iniziali rischia di mettere in ombra, di occultare, il differenziale positivo di un prodotto tipico. L’industria agro-alimentare di prodotti tipici si trova dunque a fronteggiare questa situazione in numerosi modi, variabili a seconda della natura del prodotto e dello specifico momento storico, tenendo conto delle continue e rilevanti trasformazioni che abbracciano l’arco del Novecento. Prima di vederli nel dettaglio, possiamo però enunciarli in modo sintetico: la costante innovazione dell’imballaggio, trasformatosi via via in packaging dotato in modo crescente di specifiche valenze “comunicative”; il crescente ricorso alla comunicazione pubblicitaria per “mostrare” ai consumatori le “virtù” del prodotto; la costruzione di un canone narrativo (che abbraccia i linguaggi del packaging comunicativo come pure della comunicazione pubblicitaria) fondato sulla presentazione dei valori della tradizione (che permeano il prodotto) e del richiamo alla sedimentazione di una “storia lunga” (che ha generato il prodotto) ancorata a un preciso territorio. PARMA economica 33 ECONOMIA E TERRITORIO Gli elementi costitutivi di questo canone sono ovviamente il prodotto di un disegno strumentale, spesso risultano “inventati”, frequentemente sono invece il risultato di un “adattamento” che miscela valori evocativi molti forti, quali antichità, storicità e naturalità, rappresentati e trasferiti al consumatore da paesaggi, racconti, volti del passato, luoghi storici. Il marketing del Parmigiano-Reggiano L’evoluzione degli strumenti di marketing del Parmigiano-Reggiano nell’età contemporanea può essere suddivisa in due macro-periodi: dagli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento sino alla vigilia della seconda guerra mondiale, in cui si registra l’inizio della produzione industriale del formaggio e la lenta ripresa della sua diffusione sui mercati dopo l’arretramento settecentesco; dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, fase in cui ha inizio la ripresa dei mercati dopo la brusca battuta d’arresto (misurabile sia in quantità che in qualità) provocata dagli eventi bellici. In linea di estrema sintesi, si può affermare che in ambedue i periodi l’esigenza principale cui ci si trova a dover fornire risposta è sostanzialmente la medesima: riaccreditare il prodotto dopo una fase di difficoltà, rivitalizzare il settore produttivo locale, riconquistare la fiducia dei mercati attraverso la promozione pubblicitaria del prodotto. 34 PARMA economica Di fronte a esigenze sostanzialmente similari (benché diverse ne siano le cause) si assiste però a strategie comunicative relativamente difformi, da contestualizzare tuttavia all’interno delle specifiche situazioni determinate dal differente livello di integrazione dei mercati e dalla diversa strutturazione del sistema dei consumi. La ripresa produttiva dell’Ottocento L’espulsione dei gesuiti dal ducato di Parma, nel 1768, arreca gravi danni al sistema di produzione del formaggio grana di Parma. Abili innovatori delle tecniche produttive, essi avevano dato L’espulsione dei un impulso importante alla produzione e al miglioramento della gesuiti dal ducato e il qualità del prodotto. L’economia dominio napoleonico parmense, peraltro, è esposta per furono un danno per tutto il Settecento alla crescente la filiera del grana competizione del ducato di Modena, che modernizza le tecniche di produzione, permettendo all’agricoltura modenese e reggiana di divenire un’agguerrita concorrente di quella parmense, che perde in competitività e vede diminuire quantità e qualità del prodotto. L’amputazione territoriale subita con la dominazione napoleonica arreca ulteriori danni alla filiera produttiva del grana di Parma, poiché sottrae al dominio ducale i territori del lodigiano e del bibbianese (corona pedemontana di Reggio Emilia), due aree che storicamente ECONOMIA E TERRITORIO avevano contribuito alla reputazione del prodotto. Una parziale ripresa si registra nei primi decenni dell’Ottocento, caratterizzati da un’evoluzione delle tecniche agricole cui corrisponde un significativo incremento della resa lattea del bestiame (da 750 a 1.600 kg/annui per vacca), grazie anche all’introduzione della razza bruna svizzera. Pur in presenza di un significativo rinvigorimento del settore caseario, per tutto l’Ottocento continua a spiccare sui mercati la qualità di grana “reggiano” e in particolare dell’area di Bibbiano, dove nel 1868 operano 14 caseifici sostenuti dall’attività della Società Obiettivo storico bibbianese per il commercio del della promozione formaggio, che si fa carico deldel Parmigiano è la la promozione del prodotto nel ricostruzione della mercato interno e in quello internazionale. sua immagine In realtà, sul finire del xix secolo, coesistono sul mercato del grana due prodotti sostanzialmente equivalenti, cui si affiancano le “imitazioni” (molto simili peraltro) realizzate nel modenese e in alcune aree del bolognese e del mantovano. Una situazione di ambiguità e frammentazione che rischia di indebolire il potenziale competitivo del prodotto, superata soltanto negli anni Trenta del Novecento con la costituzione del Consorzio del Grana Tipico. Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste dunque alla ripartenza del settore produttivo del formaggio grana, messo di fronte a una duplice necessità: a) l’introduzione di profonde innovazioni delle tecniche di lavorazione; b) la definizione di un’efficace strategia comunicativa per riposizionare il prodotto sui mercati incentrandosi sulla valorizzazione della sua “reputazione”. Per tutta questa prima fase la strategia adottata fa leva sul prestigio del marchio del singolo produttore. Le forme di grana sono ancora le “forme nere” della tradizione, sulle quali viene affissa una piccola placca metallica con il nome dell’impresa produttrice. Rilevanti appaiono gli investimenti nel campo della cartellonistica nei primi decenni del Novecento, tra cui spiccano alcune vere e proprie opere d’arte, come quelle di Achille Luciano Mauzan per la ditta Bertozzi e di Gino Boccasile per la ditta Tavella. Senza dimenticare le affiche anonime, ma di spiccato buon gusto, realizzate per la ditta Pelagatti, che si configura come l’impresa pioniera nel campo della commercializzazione del Parmigiano in età contemporanea. Gli stilemi comunicativi di Mauzan e Boccasile, antesignani del futuro marketing, si caratterizzano per un’insistenza quasi maniacale sull’elemento sensoriale dell’olfatto. Nella pubblicità di Boccasile è il cuoco dal viso porcino a perdersi estasiato tra le braccia della forma di Parmigiano. Occhi chiusi per conferire al senso olfattivo assoluta priorità, lo chef sembra aprirsi alla concupiscenza carnale col Parmigiano, pregustando col naso quegli aromi sapidi e speziati che più tardi avrebbero soddisfatto anche il suo gusto, metaforicamente rappresentato dalle labbra strette e protese a invocare dal pro- PARMA economica 35 ECONOMIA E TERRITORIO co porcino” col tocco di Boccasile. Lusso e distinzione – ma anche evocazione di un affresco parigino, col muretto in mattoni su cui stanno accucciati una forma di grana e un gatto bianco dallo sguardo malizioso – che sono comunicati anche con le medaglie dei premi ottenuti e le onorificenze, come mostra la cartolina dell’impresa Pelagatti, che sulla reputazione basa molta parte della propria strategia comunicativa. dotto il bacio tanto atteso. Nell’altrettanto suggestivo manifesto di Mauzan (dedito in questi anni a un’intensa attività pubblicitaria sia in Italia che all’estero; attività che ci ha consegnato numerose decine di prodotti dall’elevatissimo spessore comunicativo) troviamo invece il Parmigiano al centro dell’attenzione olfattiva di tre uomini dal naso enorme. Evocativa come la precedente, questa scena si caratterizza per una maggiore “materialità”. I volti dei tre uomini, che evocano inconsciamente protagonisti rabelaisiani se non addirittura gli anziani viziosi dei racconti del marchese De Sade, appaiono infatti accaldati ed eccitati dall’odorosa vicinanza del formaggio. Pronti a sfamarsene, appagano però prima collettivamente i loro bisogni olfattivi che fanno crescere il desiderio del consumo. La pubblicità di Pelagatti propone invece una stretta equivalenza tra Parmigiano e lusso. Si tratta di un’assonanza esplicita, che mostra il maître di un ristorante per l’alta borghesia che grattugia un’abbondante spolverata di formaggio su una pietanza, probabilmente proprio quella “pasta al sugo” che a cavallo tra Otto e Novecento cessa di essere prerogativa della cucina popolare e viene ammessa tra le ricette della “buona” società borghese. Lusso che diviene quindi un importante strumento di comunicazione. Mercato del lusso che in questa fase storica è probabilmente il target primario dei produttori e commercializzatori delle “forme nere” marchiate e cui in fin dei conti allude anche la figura del “cuo- 36 PARMA economica Il marketing del Dopoguerra L’inizio di un’effettiva strategia comunicativa del prodotto si registra agli inizi degli anni Sessanta, in concomitanza con l’allargamento dei mercati determinato dal boom economico, facendo leva anche sui “nuovi media” quali radio e televisione. Tuttavia, già verso la metà degli anni Cinquanta sono da registrare alcuni importanti segnali della volontà del Consorzio di promuovere l’imLe prime pubblicità magine del Parmigiano sui mercati. Possiamo comunque notare degli anni ’50 che si tratta di forme comuni- restavano cative ancora molto “primitive”, “primitive”, basate incentrate su un generico richiamo alla genuinità e al rapporto di sul generico richiamo fiducia face-to-face tra venditore e alla genuinità consumatore e imperniate su tre elementi fondamentali: a) la reputazione universale del prodotto (“tutto il mondo conosce e apprezza il Parmigiano-Reggiano”); b) il richiamo alla genuinità della lavorazione artigianale (“la buona riuscita di una ricetta dipende […] dalla genuinità delle materie prime”); c) la garanzia offerta dal marchio collettivo del Consor- ECONOMIA E TERRITORIO zio (“solo il marchio di garanzia garantisce l’origine e l’autenticità”). Si può tuttavia osservare come gli strumenti di persuasione siano molto flebili. Assente è la definizione precisa di un canone comunicativo in grado di scongiurare il rischio dell’anonimato del prodotto. Nel 1953 non c’è nessuna immagine; nel 1954 si riproduce quella del formaggiaio tradizionale che offre alla consumatrice un anonimo pezzo di formaggio. Assente appare inoltre un richiamo esplicito alla dimensione territoriale. Dove sono Parma, Reggio Emilia o il resto del comprensorio? L’indirizzo del Consorzio è confinato in un pay-off dall’efficacia discutibile, che più che a una funzione evocativa o suasiva sembra corrispondere alla funzione di “firmare” la comunicazione, così come si firmano le fatture di vendita o la carta intestata. Da sottolineare infine l’assenza di qualsiasi richiamo alla lunga tradizione del prodotto. Probabilmente si tratta della scelta di “destoricizzare” il prodotto nella convinzione che un packaging pubblicitario “industriale” possa risultare più efficace, tanto più in un momento storico in cui le campagne, simbolo del passato, stanno scomparendo. Celebrazione del progresso, dunque, affidata all’immagine di un prodotto “moderno”, acquistato da una donna della borghesia cittadina. In filigrana, la rappresentazione della città che sta soppiantando la campagna. «ballata di un antico e nobile formaggio da sette secoli famoso […] con due secchi di buon latte si fa un chilo di formaggio genuino e prelibato […] chi lo mangia è un uomo saggio, son le forme garantite da un inciso marchio a fuoco, è il marchio che più vale, ce lo dice ogni buon cuoco». Al di là dell’impianto metrico un po’ claudicante, tre sono gli elementi da segnalare: il richiamo al suo antico lignaggio di prodotto di lusso; la sottolineatura della genuinità e delle tecniche di lavorazione artigianali; il prodotto è garantito dal Consorzio con la marchiatura a fuoco. Più sofisticata appare la comunicazione dei cartelloni pubblicitari e delle inserzioni sulla stampa. Nella campagna del 1963 compare esplicitamente il richiamo alla tradizione («da sette secoli un gran formaggio»). Non è ancora un canone narrativo compiuto, ma si colmano le lacune del passato. Al moderno si affianca la tradizione, raffigurando per la prima volta un esplicito sincretismo tra tradizione e innovazione. Complessivamente, è un manifesto molto elegante ed estremamente equilibrato. La parte testuale riporta un’unica headline: «Parmigiano-Reggiano: da sette secoli L’universo comunicativo del boom economico Nel 1962, uno dei primi passaggi radiofonici associa il Parmigiano-Reggiano alla PARMA economica 37 ECONOMIA E TERRITORIO un gran formaggio». Da notare che non ci sono elementi testuali che distraggano da quest’asserzione, che apostrofa molto schiettamente il consumatore, lasciando implicita l’ipotetica conclusione («… e quindi vedete voi…»). Significativa anche l’elisione della sillaba finale di “grande”. Quel «gran» utilizzato nel testo non solo conferisce musicalità e ritmo alla frase, ma “gioca” anche con l’allusione a “Grana”, storica denominazione del Parmigiano, ma anche il nome di quello che ne sarebbe diventato il principale concorrente (Grana padano). Cromaticamente, le tre componenti (nero della crosta, giallo paglierino del formaggio, rosso della campitura di sfondo) si “impastano” molto bene tra loro, risultando molto eleganti e facendo sì che l’insieme iconografico evochi inconsciamente la percezione visiva di un interno abitativo borghese. È in questo modo che la tradizione (rappresentata nel testo) e l’innovazione (rappresentata dalla tipologia di consumatore) si incontrano felicemente e verosimilmente con notevole efficacia comunicativa. Il messaggio del 1964, in cui si ha un significativo ricorso al tradizionale black&white, appare invece di notevole complessità. Numerosi sono infatti gli elementi da sottolineare: 1. si dissocia il gradimento del gusto dall’azione del consumo («comprarlo è già pregustarlo»). Prima ancora di uti- 38 PARMA economica lizzare la sensorialità gustativa, il consumatore trae piacere dall’atto dell’acquisto. Non siamo ancora al packaging che conferisce identità al prodotto, quel packaging capace di definire gusto e qualità prima o in assenza dell’atto del consumo, ma l’incipit del messaggio testuale vorrebbe persuadere il consumatore che è proprio così; 2. utilizzo dell’allusione alla memoria («vi ritrovate in bocca quel suo sapore […] così stuzzicante anche alla memoria»). C’è un evidente richiamo a Proust in questa affermazione. Addentato un boccone di Parmigiano-Reggiano il sapore stuzzica nel consumatore una madeleine: in questo modo il consumatore è attratto dal gusto del prodotto, ma anche dall’associazione a qualche emozione positiva del passato; 3. il prodotto si “sdoppia” («come condimento o come formaggio da tavola»): al tempo stesso il Parmigiano è cibo e condimento; specie per i consumatori geograficamente più lontani si tratta di un piccolo “manuale d’uso”; 4. un prodotto familiare («perché voi lo conoscete bene»): la frase suggerisce estrema familiarità, propone cioè l’immagine di un alimento conosciuto, appartenente alla memoria di tutti; 5. richiamo alla naturalità («è un prodotto naturale, fatto oggi con gli stessi sistemi artigianali di sette secoli fa»): in questo modo si dichiara che il prodotto non solo ha sette secoli di storia, ma che anche le tecniche di lavorazione sono rimaste invariate; ECONOMIA E TERRITORIO 6. sottolineatura dell’unicità («unico al mondo»): il Parmigiano-Reggiano è “unico” ed “eccezionale”. Si intende far leva anche su questo fattore di competizione: gli altri formaggi (i competitor) possono essere buoni, ma non sono unici; 7. fattore prezzo («e lo pagate volentieri»): il prodotto costa più dei concorrenti. Si chiede al consumatore lo sforzo di corrispondere un premium-price perché il prodotto gratifica il consumatore e gli conferisce status sociale. Complessivamente, il cartellone è complesso e di non immediata lettura, anche in virtù del fatto che tutti questi elementi comunicativi sono affidati al testo scritto, che risulta particolarmente lungo. Non si presta, cioè, a una decifrazione immediata. Occorre smontarlo, analizzarlo e ricomporlo. L’impressione è che l’efficacia rispetto alla funzione comunicativa sia blanda se non addirittura scarsa. Possiamo considerarlo come la summa L’evoluzione della però programmatica dell’universo cosocietà negli anni municativo del Consorzio in que’60 obbliga la sto scorcio iniziale del decennio. comunicazione a Nel 1965, sempre con l’utilizzo di un elegante bianco e nero, è variare di continuo da segnalare una campagna pubblicitaria che fa leva su alcuni elementi significativi. Da una parte, il già evocato radicamento in una “storia lunga” («il Parmigiano ha compiuto i sette secoli»), che conferisce al prodotto quell’aura di tradizionalità che, in questa fase, si intende utilizzare quale arma principale di competizione sui mercati. Tra le altre cose, in questo prodotto pubblicitario si fa esplicito riferimento alla presenza del Parmigiano-Reggiano nella letteratura. Citando un non meglio identificato scrittore elisabettiano del 1600, si sottolinea come la reputazione del prodotto fosse in quell’epoca già consolidata, tanto da spingere i profughi di una città in fiamme, protagonisti dell’opera, a cercare in ogni modo di mettere in salvo le forme di “parmesan cheese”. Dall’altra, è degna di nota la sottolineatura che il prodotto debba essere inteso come un ingrediente importante per la realizzazione di preparazioni alimentari. Rotoli di prosciutto, tartellette al formaggio e asparagi al formaggio diventano così le portate consigliate dai produttori di Parmigiano, che iniziano a sostituire i piatti più grevi delle tradizioni della cucina regionale italiana, segnando un punto a favore del progressivo rinnovamento dei comportamenti alimentari della nazione, alla ricerca di pasti più leggeri e più adatti alla nuova organizzazione del tempo di una società in via di rapido sviluppo. Un processo di rinnovamento in cui il Parmigiano-Reggiano intende giocare un ruolo importante. L’head-line del manifesto comparso nel 1966 è molto netta e introduce alcuni elementi di novità. Con la dicitura «il Parmigiano-Reggiano è il marito della cucina italiana» il prodotto diviene sessuato e acquisisce una precisa identità associata al ruolo sociale di “marito”. Giocando sulla funzione evocativa radicata nella cultura tradizionale, il prodotto si carica così di un ruolo importante, qual è quello che in questi anni è attribuito al “marito capofamiglia”. Si tratta di una mimesi imperniata sul messaggio metaforico, ulteriormente rafforzata dalla comunicazione iconografica, che rappresenta il Parmigiano-Reggiano “marito” accanto a una curata figura femminile, sorridente casalinga di una famiglia cittadina, alle prese con la pentola di coccio del ragù e il mestolo di legno. Testo e immagine appaiono strettamente legati, dando vita a un messaggio “rassicurante” incentrato sui valori tradizionali della famiglia. Richiamo alla tradizione, quindi, che si incarna nel prodotto pubblicizzato. Parmigiano-marito, che si fa garante degli equilibri tradizionali a difesa dell’integrità di un modello sociale in via di progressivo sgretolamento, nel quadro di quell’ondata di trasformazioni culturali che fanno seguito al boom economico e PARMA economica 39 ECONOMIA E TERRITORIO precedono gli eventi del Sessantotto. Emblematica anche la rappresentazione iconografica. L’accostamento del prodotto a una pentola e a un mestolo sta a indicare una precisa opzione di consumo: prima ancora che alimento primario, il Parmigiano-Reggiano deve essere inteso come condimento, con cui “completare” preparazioni gastronomiche. Richiamo e indicazione del resto già presentati nelle campagne pubblicitarie degli anni precedenti. Due anni dopo si registra un ulteriore sviluppo rispetto alla campagna del 1966, pur rimanendo all’interno dello stesso paradigma culturale. «Per lui che merita il meglio questo è il formaggio da tavola». Il testo, che si sviluppa occupando sia l’headline che il pay-off, si collega strettamente alla grafica del manifesto, che presenta due elementi centrali: il torso di un uomo seduto davanti a una forma di Parmigiano, sovrastata da un piatto con uno spicchio di formaggio e il coltellino per frantumarne piccoli pezzi, e le braccia di una donna – verosimilmente la moglie – che gli cinge amorevolmente le spalle con le braccia. Singolare è l’assenza dei volti dei due personaggi, che occupano solo una piccola parte della scena ed esclusivamente con alcuni dettagli. Pur nell’incompletezza della rappresentazione (che conferisce però centralità alla forma e al piatto), molto chiare appaiono le identità dei protagonisti. Giacca e cravatta testimoniano che l’uomo appartiene al ceto borghese cittadino, impegnato in un lavoro d’ufficio di una certa 40 PARMA economica responsabilità e di altrettanto prestigio. In realtà, altro non è che un altro modo di rappresentare il “marito” comparso nel linguaggio scritto nel 1966. Accanto a lui la moglie amorevole, tratteggiata con pochi segni, che indicano l’identità della figura femminile. La fede nuziale testimonia del suo status di coniuge; il bracciale all’avambraccio destro quello di donna di famiglia benestante; le sue mani curate e le unghie smaltate, infine, dicono che non sono quelle di una persona che si occupa di lavori manuali. Con la modernità Le innovazioni comunicative sono molteplici, ma analogo ri- il Parmigiano mane il solco culturale entro il si sgancia dalla quale si collocano. L’evocazione pasta diventando della dimensione familiare rimaingrediente ne esplicita sebbene l’impianto comunicativo appaia più “raf- autonomo di pasti finato”, facendo leva su alcuni leggeri elementi visivi di “dettaglio” (la fede, la cravatta, ecc.), e concentrando nell’incipit «per lui» la funzione associativa Parmigiano-marito, troppo esplicita e grossolana nella precedente campagna. Un certo rilievo è invece da attribuire alla “chiusa” del testo concentrata nel pay-off, che appare in sostanziale controtendenza rispetto al passato. In questo caso il prodotto non è più proposto al consumatore esclusivamente come condimento, ma quale alimento da consumarsi come piatto principale. Si cavalca così l’onda della “modernità”, che, soprattutto per le persone non più occupate in gravosi e faticosi ECONOMIA E TERRITORIO lavori manuali, suggerisce lunch sempre più leggeri, e compatibili con lo svolgimento di attività professionali intellettuali nelle ore pomeridiane. Il Parmigiano-Reggiano si dissocia quindi dalla pasta al sugo, e acquisisce una propria identità di “portata principale”, che, magari accompagnata da una porzione di verdure o di frutta, può costituire da solo un pasto completo. Nel 1969 l’Italia è attraversata da un’ondata senza precedenti di proteste operaie, che fanno seguito alle perturbazioni sociali dell’anno precedente determinate dalle grandi contestazioni studentesche. Nello stesso anno la comunicazione pubblicitaria del Parmigiano sembra strizzare l’occhio a quella parte “silenziosa” del Paese, avversa sia all’una che all’altra manifestazione di contestazione. «A tavola fa pranzo»: in quest’unico elemento testuale si coglie il messaggio comunicativo della camNegli anni ’70 la pagna, che segna una sostanziale pubblicità fa leva per discontinuità rispetto agli stilemi la prima volta sulle del passato. Sparisce l’issue della come pure la centralità virtù del territorio famiglia, della figura maschile del marito quale perno della comunicazione. Nel bel mezzo della protesta sociale si assiste a un ribaltamento di piani, con la comparsa nel manifesto pubblicitario di un gruppo di uomini disposti lungo un tavolo su cui troneggia una forma di Parmigiano-Reggiano. Numerosi sono gli elementi da sottolineare: 1. si tratta di uomini adulti vestiti in abito scuro da sera, camicia bianca e papillon nero. Uomini d’affari, colti e benestanti, che si ritrovano a un convivio gastronomico a margine di una riunione d’affari (la mancanza di personaggi femminili accredita quest’ultima considerazione: non solo si registra l’assenza delle “mogli”, ma anche delle “segretarie” escluse di norma dalle cene di lavoro “ai vertici”); 2. l’iconografia allude però alla tradizione, riproducendo l’immagine classica dei matrimoni o degli incontri familiari dell’epoca, in cui la comitiva era ripresa dal posto del capotavola; 3. la forma di Parmigiano siede al posto dell’ospite più importante (il capotavola) e conferisce al prodotto un’“autorevolezza” mai attribuitagli in passato. Il Parmigiano-Reggiano si fa ospite divenendo alimento che siede a tavola “alla pari” con gli altri invitati importanti. E tutto ciò avviene in un convivio di “alto rango”, testimoniando così dell’importanza e del lignaggio che s’intende conferire al prodotto; 4. propone un preciso target di consumatori: professionisti “in carriera”, del tutto insensibili al fattore prezzo del prodotto. L’isola del tesoro Nel 1971 viene varata la prima campagna pubblicitaria che, in modo esplicito, fa leva sulle “virtù” del territorio per promuovere il prodotto. È una campagna articolata su diversi livelli: da una parte la tradizionale comunicazione cartellonistica; dall’altra il ricorso, come negli anni passati, al format televisivo Carosello proponendo uno spot televisivo, però, che questa volta appare in piena sintonia con i contenuti della comunicazione a stampa. L’impianto comunicativo è semplice ma al contempo sofisticato: la forma di Parmigiano-Reggiano, già tagliata per mostrare la grana sabbiosa della pasta del formaggio, è adagiata su una pergamena che riproduce la mappa della zona d’origine del prodotto, che comprende i territori di Parma, Reggio Emilia, Modena, una parte del mantovano e del bolognese. Pochi elementi, che conferiscono tuttavia grande forza comunicativa allo strumento pubblicitario, che fa leva su alcuni elemen- PARMA economica 41 ECONOMIA E TERRITORIO ti simbolici per trasmettere al consumatore il senso di “tradizione” e di “lunga storia” del prodotto. Pochi elementi-chiave, decisivi però per mostrare che non si tratta soltanto di un prodotto alimentare, ma che si sta “celebrando” un’entità su cui convergono le virtù migliori di un territorio ricco e prosperoso, immortalato da numerosi resoconti di viaggio già nell’epoca del Grand tour in Italia. La frase dell’head-line («l’isola del tesoro: la zona d’origine del Parmigiano-Reggiano») è evidentemente assertiva e può essere compresa solo se messa in relazione con l’immagine sottostante. È tuttavia significativo che a tale frase sia assegnato il compito di definire il “genere” comunicativo, fornendo al destinatario della pubblicità gli strumenti necessari per decifrare e interpretare i segnali metaforici proposti dall’iconografia: 1. si noti anzitutto la mappa: è un rotolo di pergamena antica (aperto solo in parte con il formaggio a impedirne l’arrotolamento) su cui è disegnata (con i tratti e i colori degli antichi mappali) la zona di produzione del ParmigianoReggiano. L’effetto è di sicuro impatto emozionale: l’isola del tesoro – si afferma tra le righe – non è una componente del messaggio pubblicitario, ma rappresenta un oggettivo e inconfutabile dato storico, con profondi ancoraggi nella memoria e nella storia; 2. un elemento di potente associazione evocativa è costituito dal contrasto creato tra il colore pastoso e un po’ irregolare della pergamena e la sabbiosità altrettanto irregolare del ParmigianoReggiano. Si tratta di un’associazione evocativa che si intende suscitare nell’inconscio del consumatore sotto forma di assonanza cromatica. La triangolazione è semplice: la mappa testimonia del radicamento del prodotto in un dato territorio che ha alle spalle una “lunga storia”, fatta di simboli e tradizioni. Tutto ciò trova conferma nella pergamena antica mostrata su cui è adagiato il prodotto tagliato, il cui “cuore” – la parte destinata ad appagare il gusto del consumatore – si presenta con gli stessi colori e sembra quasi costituito della stessa materia della pergamena. O meglio, in un processo di mimesi, è la pergamena che sembra fatta di parmigiano. Alla fine di questo processo mentale il cerchio si chiude, 42 PARMA economica e l’obiettivo di “vendere” la tradizione prima ancora del prodotto è sostanzialmente raggiunto. Una rielaborazione della campagna del ’71, con l’aggiunta di alcuni nuovi elementi evocativi, fa la sua comparsa nel 1973, con l’utilizzo di un testo che esplicita quali siano le ricchezze disponibili nell’isola del tesoro: «Dall’isola del tesoro l’antica genuinità del Parmigiano-Reggiano». L’elemento innovativo è rappresentato dalla stretta associazione proposta tra tradizione, genuinità e territorio. La ricchezza dell’isola, quindi, va oltre l’elemento sensoriale del gusto e abbraccia anche gli aspetti legati alla salubrità del prodotto. Del re- Il consumatore, sto, è proprio in questi anni che il consumatore, dopo essersi saziato “saziato” dal boom con abbondanza durante il boom economico, inizia economico, sta iniziando a inter- a interrogarsi sulla rogarsi sui contenuti salutistici genuinità degli degli alimenti. Un cambiamento ovviamente molto importante, alimenti che viene colto dai produttori di Parmigiano e che accompagnerà anche alcune campagne negli anni successivi. L’iconografia della campagna del 1973 presenta però altre innovazioni, che è importante sottolineare, sia per la loro valenza evocativa, sia per il comportamento alimentare che suggeriscono. Osservando la fotografia si può infatti notare la presenza, accanto alla punta di formaggio, di altri alimenti: un grappolo d’uva, una noce, una ECONOMIA E TERRITORIO nocciola, una pesca e alcune bacche di ribes. Si tratta ovviamente di un’indicazione gastronomica (che suggerisce peraltro un consumo del Parmigiano estremamente innovativo, destinato a essere protagonista non solo di pasti “convenzionali”, ma anche di momenti conviviali meno formali in cui il formaggio può assumere la funzione di appetizer o di complemento di un happy hour fuori programma) ma non solo. L’accostamento di questi prodotti alimentari – oltre all’innegabile efficace cromatica – ha infatti la capacità di evocare rappresentazioni pittoriche del passato, suggestive, come La crescita del estremamente lo sanno essere tutte le nature Consorzio impone morte della tradizione figurativa lo sbarco sulla europea. In questo caso, però, il televisione di stato messaggio subliminale contenuto nella fotografia trascende l’emocon uno spot ad hoc zionalità contenuta in una “natura morta”, insinuando nel consumatore la curiosità di accostare alla sapida dolcezza di una scaglia di Parmigiano il retrogusto amarognolo del gheriglio di noce, per sperimentare nuove sensazioni gustative. In realtà, si tratta di un messaggio iconografico che cerca di stimolare curiosità: quale sarà il gusto della pesca con il Parmigiano? E quello della nocciola? E attraverso queste curiosità gettare una nuova passerella tra tradizione e innovazione, suggerendo inoltre l’estrema versatilità del formaggio di Parma. Tesori e pirati negli sketch di Carosello Sulla scia della spenta serie Il torneo, trasmessa da Carosello nel 1968 (siparietti in cui sono rappresentate improbabili analogie tra il mondo d’oggi e i tornei medievali: comunque un tentativo di creare un ponte virtuale per ancorare il prodotto all’olografia del passato), tra il 1969 e il 1972 il Consorzio del Parmigiano-Reggiano proietta il binomio comunicativo Parmigiano-tesoro sulla scena televisiva, commissionando prima all’agenzia Linea e poi alla Lambert la realizzazione di una nuova campagna promozionale da trasmettere sempre dentro il principale contenitore pubblicitario della televisione di Stato. Si tratta della serie a cartoni Briganti mattacchioni, impersonata da quattro improbabili briganti della tradizione italiana (l’oculista di Benevento, l’indovino di Gallarate, ecc.) alla costante ricerca di un tesoro da rubare. I protagonisti tentano di realizzare il proprio intento introducen- dosi in un accampamento di soldati per rubare le paghe, oppure cercando di forzare il portone d’ingresso di una fortezza, o anche provando a introdursi in una piramide egizia per forzare la stanza segreta del tesoro. I quattro briganti mattacchioni, però, incarnano in realtà la figura classica degli antieroi dei cartoon e, come il più celebre “Wile il coyote”, finiscono sempre vittima di ciò che hanno escogitato. Pestati, rincorsi e malconci dopo un’esplosione imprevista, i quattro mattacchioni si danno a una rapida fuga, lasciando spazio al “codino” finale dello spot nel quale vengono esaltate le vere virtù della padana “isola del tesoro”, che da tanti secoli rappresenta la patria del Parmigiano-Reggiano. L’unico vero “tesoro” per cui valga la pena darsi così tanto da fare. L’efficacia della serie è molto elevata, grazie soprattutto alla bellezza delle musiche, all’originalità delle avventure e alla grande originalità dell’idea comunicativa. Forte ed esplicito risulta il canone narrativo generale, che fa appello alla storia e alla tradizione per apostrofare il consumatore, senza tuttavia rinunciare all’ironia (incarnata nelle disavventure dei protagonisti) e alla giocosità, riuscendo perciò a proiettare nello strumento pubblicitario quei segni che indicano l’ancoraggio del prodotto alla tradizione senza scadere nel retorico e nell’artefatto. Understatement comunicativo estremamente efficace e suggestivo, come è del resto testimoniato dalla vita relativamente lunga della serie. PARMA economica 43 ECONOMIA E TERRITORIO Parma e il cavallo: dall’allevamento alla cucina Non solo parte delle tradizioni alimentari locali, ma anche specie da tutelare e valorizzare. Storia di un rapporto secolare tra uomo e animale Monica Domenichelli I l cavallo è un animale importante nella storia, nella cultura e nell’economia del nostro territorio. Lo testimoniano la tradizione culinaria ad esso legata, che trova nel “cavallo pesto” la sua espressione più celebre, ma anche l’allevamento, grazie a cui, in particolare, è stata recuperata la razza autoctona del bardigiano. Un piatto tipico regionale riconosciuto Parma è considerata una delle capitali mondiali dell’alimentazione e della buona tavola; non a caso, infatti, il 13 dicembre 2003 è stata scelta come sede permanente dell’Autorità Europea per la Sicurez- 44 PARMA economica za Alimentare (EFSA), che fornisce alla Commissione Europea consulenze scientifiche su tutto ciò che ha ripercussioni sulla sicurezza alimentare. Con la sua vocazione gastronomica e alimentare, la nostra provincia si è guadagnata l’appellativo di food valley, in quanto terra di sapori per eccellenza e con tradizioni secolari. Nel corso degli anni queste tradizioni sono state via via affiancate dalla moderna industria agroalimentare, in un sapiente equilibrio teso a cogliere le diverse opportunità del mercato e a tutelare la qualità e le proprietà alimentari dei prodotti tipici. ECONOMIA E TERRITORIO Il cavallo pesto è riconosciuto tra i piatti tipici regionali emiliani La cucina parmigiana, di antichissima tradizione, è una cucina sostanziosa ma non pesante, ricca di sapori e profumi, e comprendente specialità che la rendono famosa in tutto il mondo. Le specialità locali abbinano la genuinità dei prodotti tipici alla bravura e alla passione delle rezdore, ossia le vecchie massaie parmigiane, con piatti ricchi e gustosi. Tra i suoi piatti cult, non si può non annoverare il famosissimo “cavallo pesto”, chiamato in dialetto parmigiano caval pist, ossia carne di cavallo macinata, da mangiare cruda e condita semplicemente con sale, pepe e un filo d’olio e/o limone. È sicuramente un piatto amatissimo dai parmigiani: molti di loro sono soliti recarsi in macelleria il sabato mattina per consumare il pesto come piatto unico a pranzo, un pasto veloce, fresco e invitante. Il macellaio esperto prepara un cavallo pesto di prima scelta e uno di seconda scelta: la differenza riguarda la percentuale di grasso e la scelta del taglio destinato alla macinatura. Il pesto di prima scelta è decisamente più magro e lo si riconosce dal colore rosso vivo, dal gusto delicato e dalla consistenza più compatta, mentre quello di seconda scelta risulta più grasso e più morbido, ha una nuance di rosso meno intenso, vagamente tendente al rosa e si scioglie in bocca con più facilità. Un’ulteriore nota di merito: il cavallo pesto è stato ufficialmente incluso nell’elenco dei piatti tipici regionali dell’Emilia Romagna: riconoscimento che riempie di gioia i tanti parmigiani cresciuti a pane e caval pist! L’assessorato regionale all’agricoltura, infatti, ha accettato la richiesta dell’Associazione per la Tutela del Cavallo Pesto di Parma e della Fiesa Confesercenti di Parma, col sostegno della Provincia di Parma. Alla notizia, Fabio Ferraroni, presidente dell’Associazione per la Tutela del Cavallo Pesto, ha espresso grande soddisfazione per il risultato raggiunto, dichiarando: «Parma ora ha un’altra eccellenza gastronomica di cui vantarsi, un marchio di tradizione importante che mettiamo a disposizione del territorio». Tutte le rivendite che aderiranno al rigoroso protocollo di produzione, quindi, potranno fregiarsi del marchio dell’associazione. Domandando consigli alle vecchie signore parmigiane, vi verrà insegnato che il pesto di cavallo può anche impreziosire la tradizionale vècia alla pramzana: un secondo piatto particolarmente ricco e so- PARMA economica 45 ECONOMIA E TERRITORIO stanzioso, dove la carne equina viene scaldata e abbinata a un contorno fumante di pomodoro, patate, cipolle, peperoni e sedano. Il tutto accompagnato da un robusto vino rosso. L’uso di alimentarsi con la carne di cavallo è molto recente e dovunque ha trovato forte opposizione per tabu alimentari perpetuati nel tempo che ne resero difficile l’introduzione e il consumo. La prima macelleria aperta in Italia - a Torino, nel 1865 - fu assalita dalla popolazione e difesa a stento dalle guardie. A Parma, il Comune aveva autorizzato fin dal 1873 la macella- con la reclusione. Tale divieto andrebbe a ripercuotersi in maniera pesante sulle attività commerciali locali, generalmente a conduzione famigliare, che si vedrebbero costrette a cessare l’attività, da anni portata avanti attraverso un naturale passaggio generazionale, di padre in figlio. Sarebbe auspicabile, quindi, condurre un progetto di comunicazione affinché sia mantenuta intatta questa importante realtà, storicamente riconosciuta. Le caratteristiche della carne di cavallo La carne di cavallo possiede alcune caEsemplare di cavallo bardigiano zione di carne equina, ma solo nel 1881 un certo Orlandelli aprì la prima beccheria in via Farnese, nell’Oltretorrente, dove si trova ancora, sormontata da una scultura di testa di cavallo. Da allora, i consumi sono aumentati e non manca chi non disdegna di usarla anche per gli anolini. Attualmente, le macellerie equine nella nostra provincia sono oltre 40 e rappresentano un’importante e radicata realtà per il territorio. La categoria è stata, negli ultimi anni, oggetto di diverse proposte di legge che ostacolerebbero l’attività di macellazione e di vendita di carne equina. “Norme per la tutela degli equini e loro riconoscimento come animali d’affezione” è il titolo della bozza della proposta di legge dell’onorevole Paola Frassinetti, che prevede sanzioni salatissime per i trasgressori che potrebbero essere anche puniti 46 PARMA economica ratteristiche che la differenziano nettamente dalla carne bovina e Il consumo del ha un valore nutritivo tale da poter giustificare un aumento del cavallo fu a lungo suo consumo, ancor oggi poco osteggiato: la prima diffuso. Ha un’umidità piuttosto macelleria equina elevata e alto è anche il contenu- aprì nel 1865 fra le to proteico, a conferma del suo valore nutritivo. Adatta a tutti, è proteste fondamentale per l’alimentazione di molte categorie di persone: per il suo alto contenuto di proteine e di aminoacidi essenziali (che l’organismo cioè non è in grado di produrre) è ottima per la crescita e lo sviluppo dei bambini, per l’aumento delle masse muscolari degli atleti e per sopperire alla perdita di efficienza del ricambio azotato nelle persone anziane. Per le stesse categorie di persone, inoltre, il suo elevato contenuto di vitamina D e di vita- ECONOMIA E TERRITORIO Un esemplare di razza avelignese mine del gruppo B la rende preziosa nel mantenere l’efficienza del metabolismo corporeo. Poiché negli adolescenti e nei bambini di pochi anni si assiste spesso a una diffusa sindrome ferrocarenziale, la carne equina influisce positivamente fornendo alti livelli di ferro assimilabile. L’elevato tasso di ferro (valore medio 4,5 mg/100 g) influisce sul rapido imbrunimento della carne di cavallo quando viene a contatto con l’aria. Possiede inoltre una difesa naturale contro lo sviluppo batterico, costituita dall’acido lattico, presente in quantità due o tre volte più elevata di quella riscontrabile nelle carni di altri animali da macello. Infine, si differenzia dalle carni rosse per il tasso zero di colesterolo e il basso contenuto di grassi, quindi è ideale per chi è a dieta, per gli anemici, per chi ha problemi di colesterolo alto e pressione bassa. La caratteristica più apprezzata dal consumatore è senza dubbio la tenerezza. Tuttavia, occorre fare molta attenzione nella scelta del macellaio da cui acquistare carne equina. Esistono infatti cavalli allevati solo per produrre carne, destinati al macello in giovane età e pertanto in ottimo stato di nutrizione e sviluppo muscolare. Al contrario, numerosi controlli posti in essere dalle Ausl hanno evidenziato l’esistenza di vaste organizzazioni che destinano la carne di cavalli da cor- sa a fine carriera al consumo umano, con tutto quello che essa può contenere dopo anni di “bombe” a base di cortisonici, antinfiammatori, broncodilatatori e altri cocktail dopanti. Tutto ciò si accompagna all’ingresso fraudolento di cavalli dall’Est europeo, dove malattie come la salmonellosi e la terribile trichinellosi non sono oggetto di controlli con standard europeo e dove quasi ogni farmaco è legalmente utilizzabile a discrezione del proprietario dell’animale. Le razze più diffuse e il caso Ortalli Premesso che per razza si intende un nucleo di soggetti della stessa specie aventi caratteristiche simili e proprie che saranno trasmesse alle successive generazioni, possiamo affermare che esistono due possibilità in merito alla formazione della stessa: la cosiddetta selezione naturale, dovuta principalmente a fattori di tipo climatico, e la selezione operata dall’uomo per ottenere nuove specie in grado di soddisfare meglio le sue esigenze. I cavalli hanno da sempre dimostrato una peculiare facilità di adattamento alle condizioni imposte dalla natura e dal clima in particolare. Di questa importantissima caratteristica si ebbe coscienza già nell’antichità, quando si comprese come razze provenienti da zone diverse presentassero aspetti fisici diversi, che si prestavano a impieghi differenti. PARMA economica 47 ECONOMIA E TERRITORIO Da queste considerazioni presero spunto i tentativi di incrocio di razze, con l’obiettivo di creare soggetti dotati delle caratteristiche volute. Per quanto riguarda le razze più diffuse in Italia, possiamo senza dubbio citare il cavallo maremmano, le cui origini risalgono al tempo degli antichi etruschi. Ori- La doma del cavallo Dalla conoscenza del comportamento del cavallo, di come vive in natura, di come si relaziona con i suoi simili e di come comunica con essi, si può trarre spunto per cercare di instaurare un rapporto diverso con questo animale. Proprio su questo si basa la cosiddetta “doma etologica”, detta anche “doma dolce”: una tecnica che negli ultimi anni ha suscitato un interesse sempre maggiore, grazie anche alla crescente attenzione verso il benessere dell’animale. Questa tecnica prevede di instaurare un dialogo tra uomo e cavallo, utilizzando comportamenti analoghi a quelli che usano i cavalli tra di loro allo stato selvatico; in particolare, l’uomo adotta il comportamento di soggetto dominante. Il cavallo è per natura un animale gregario e si sente in pericolo quando è isolato dal branco: nella doma etologica l’uomo rappresenta il branco a cui il cavallo decide di aggregarsi per non rimanere solo e per cercare protezione. Questo tipo di doma non prevede metodi coercitivi e l’animale durante il lavoro è sempre libero di mettere in atto la fuga, che in natura è il mezzo di difesa primario. In questo modo, è il cavallo che decide di stare con l’uomo, senza che ne sia obbligato con la forza. Il centro del tondino rappresenta il luogo dove può aggregarsi all’uomo, ricevere carezze e sentirsi al sicuro. Il metodo cerca di realizzare un legame basato sulla fiducia e sull’accettazione da parte del cavallo della leadership umana. Per ottenere ciò, l’uomo deve adottare atteggiamenti comprensibili dall’animale, non potendo pretendere che sia il cavallo ad adeguarsi al suo modo di comunicare. Questa tecnica, che si svolge con un solo cavallo per volta all’interno del tondino, prevede varie fasi: allontanamento del cavallo, avvicinamento, contatto e associazione. Nella prima fase l’addestratore si posiziona al centro del tondino e mediante particolari posture e movimenti 48 PARMA economica induce l’animale a correre alla periferia del recinto (reazione di fuga) finché non manifesta la volontà di “dialogare” con lui attraverso vari atteggiamenti, come movimenti di masticazione, abbassamento della testa verso il terreno, orecchie portate leggermente di lato e rivolte verso l’addestratore, gambe anteriori divaricate, ecc. La successiva fase di avvicinamento consiste nel permettere al cavallo di avvicinarsi all’uomo al centro del tondino e di annusarlo. In seguito si ha il contatto tramite carezze da parte dell’addestratore, prima sulla testa, poi su collo, torace e infine posteriore. L’ultima fase si ha quando il cavallo palesa la volontà di stare vicino all’uomo, e lo segue quando questi cammina. Tale fase indica che l’animale riconosce l’uomo come capobranco ed è disposto a collaborare con lui. Durante i vari stadi, se il cavallo si distrae o rifiuta di relazionarsi, l’addestratore lo allontana e lo induce di nuovo a correre lungo il perimetro del tondino ponendolo in una situazione di disagio, finché non mostra di essere disposto a collaborare. Con la doma dolce, quindi, si porta il cavallo a obbedire all’uomo attraverso l’acquisizione di una fiducia che andrà man mano crescendo, assieme alla consapevolezza che l’uomo non rappresenta un pericolo o un predatore. Senza considerare che in questo modo il cavallo subisce uno stress molto inferiore a quello della doma tradizionale, basata su premi e punizioni a volte anche violente. In quest’ultima, infatti, solitamente si procede con l’isolamento del cavallo dal branco. L’animale viene poi chiuso in un box in modo che non possa fuggire, situazione che gli crea molta tensione e paura perché non può mettere in atto la sua risposta naturale, cioè la fuga. Le fasi successive prevedono l’imposizione progressiva dei finimenti, ai quali il cavallo si ribella ma che dovrà accettare per forza di cose. ECONOMIA E TERRITORIO ginario della Maremma tosco-laziale, è il tipico cavallo impiegato dai butteri per la gestione del bestiame bovino allevato allo stato brado. Recentemente ingentilito mediante l’incrocio con il purosangue inglese per aumentarne la taglia e farne un animale da sella, ha in parte perso la sua tipica rusticità. Robusto e resistente alla fatica e alle condizioni climatiche avverse, è adatto, come cavallo da sella, ad adeguarsi alle più svariate esigenze. Per la sua docilità è molto apprezzato come compagno per escursioni e passeggiate sia per adulti che per bambini. È diffuso ormai non solo in Maremma ma anche in pianura padana ed è senza dubbio un cavallo che ha bisogno di essere rilanciato, Robusto, versatile e avendo grandissime potenzialità. docile, il maremmano Merita di essere citato il cavallo è tra le razze più avelignese, originario di Avelendiffuse in Italia go, in provincia di Bolzano. Tale razza presenta caratteri straordinari di docilità, intelligenza e capacità di apprendimento. Le caratteristiche di resistenza, robustezza, rusticità e la capacità di produrre buona carne fanno sì che possa essere definito a triplice attitudine: lavoro, turismo equestre e produzione di carne. È invece originario degli Usa il cavallo appaloosa. Resistente e duttile, viene im- piegato nei rodei e negli spettacoli equestri, oltre a essere un eccellente cavallo da turismo. Abbiamo poi il cavallo murgese. Originario delle Murge (Puglia), ha origini arabe e berbere che risalgono ai tempi della dominazione spagnola. Razza rustica, allevata spesso allo stato brado, è utilizzato come cavallo da sella. Per la sua robustezza e il suo carattere vivace ma docile, è attualmente utilizzato per il turismo equestre e il tiro leggero. Molto diffuso è il franches-montagnes, originario della Svizzera, la cui storia risale alla fine dell’Ottocento. L’eccellente carattere dei franches-montagnes è sicuramente la loro principale qualità, frutto di una rigorosa selezione. Vicino a Scandiano (Re) la famiglia Ortalli ha avviato dalla fine degli anni ’60 il più grande allevamento privato italiano di questa razza. È una storia lunga e affascinante quella degli Ortalli: a metà degli anni Sessanta, allora poco più che ventenne, Vittorio Ortalli decise di lasciar perdere le vacche da latte e i suini per percorrere una via nuova. Alla ricerca, dunque, di una valida alternativa economico-produttiva per la sua azienda di media collina, con terreni poveri ed argillosi, Ortalli prima provò con l’allevamento di pecore da lat- Cavallo di razza maremmana PARMA economica 49 ECONOMIA E TERRITORIO te, ma capì subito che era una strada senza prospettive. Allora pensò ai cavalli, anche se l’inizio non fu affatto promettente: cominciò con una razza della zona, il massiccio tiro pesante rapido (Tpr), poi con l’avelignese e il murgese, ma nessuno di questi equini si adattava alle condizioni pedo-climatiche dell’appennino, con pascoli poveri e grandi sbalzi termici tra estate e inverno. L’imprenditore modenese non si scoraggiò davanti alle prime difficoltà; riprese in mano i libri, si documentò a destra e manca, viaggiò molto alla ricerca dell’idea giusta e alla fine, dopo tanto penare, si imbatté nel franches-montagnes, il cavallo che sembrò proprio fare al caso suo: docile, frugale, massiccio, ottimo da lavoro e al tempo stesso idoneo anche per la sella. Con in più un requisito fondamentale: si adattava bene alla difficile vita all’aria aperta nelle zone calanchive dell’appennino emiliano, dalle caratteristiche per molti versi simili a quelle della sua terra d’origine. Da allora fu un crescendo. Oggi l’azienda Ortalli vanta una mandria di alcune centinaia di franches-montagnes puri, tutti iscritti al libro genealogico. Si fa pure vanto di aver “piazzato” un suo cavallo presso lo “squadrone” dei Corazzieri del Quirinale. Ci sono cavalli e persone che passano nella nostra vita troppo velocemente. Regalano uno sguardo, un’emozione che agguantiamo al volo: una di queste me- 50 PARMA economica teore capaci di regalare sorrisi ha il lustro mantello baio di una puledra franchesmontagnes e il bel nome di Fleur de Lys: il geometra Vittorio Ortalli la regalò a papa Giovanni Paolo II nel 1988 in occasione di una visita pastorale a Modena e sarà difficile per chi era presente dimenticare la gioia stupita di Karol Woityla, quando per un attimo era sembrato tornare bambino ed esclamava: «Pensate, mi hanno regalato un cavallo!». Il bardigiano, prezioso per l’Appennino Le prime notizie sulle origini del cavallo bardigiano risalgono al 1864, con descrizione da fonte storica di una varietà di cavalli, sufficientemente omogenea, che si estendeva dall’appennino dell’Emilia occidentale sino alla Lunigiana. La popolazione era fornita di qualità eccellenti per robustezza e resistenza, testa leggera, orecchie corte, folta criniera, zampe robuste e forti. Dalla zona di origine, Bardi, in provincia di Parma, la razza prende il Diffusione estesa nome. Questa antica razza equina deve e valorizzazione il suo recupero allo sforzo com- economica sono piuto dall’Associazione Provin- i primi obiettivi ciale Allevatori (APA) di Parma, dell’allevamento del in collaborazione con le APA di Piacenza, Genova, La Spezia e bardigiano Massa Carrara, oltre che con le comunità montane parmensi e piacentine, per salvarlo dall’estinzione e dalla conta- ECONOMIA E TERRITORIO Una storia di coppia Fra i molti animali domestici che hanno affiancato l’uomo nella sua evoluzione e nella storia, il cavallo ha avuto indubbiamente il ruolo di protagonista. Inizialmente considerato alimento, alla stregua di tutti gli animali predati, col tempo è divenuto il principale strumento del progresso dell’uomo. Possiamo dire con certezza che, senza il suo contributo, il corso dell’evoluzione e della storia umana sarebbe stato diverso. Come per gli altri animali sottomessi, anche sul cavallo l’intervento dell’uomo ha influito in modo sostanziale sull’evoluzione delle razze, avvenuta seguendo anche in questo caso un concetto prettamente utilitaristico. Pensiamo a tutte le attività in cui il cavallo ha affiancato l’uomo: il lavoro nei campi, il trasporto di persone e cose, la guerra e la conquista, l’arte e la cultura. Per non dimenticare che il cavallo viene, ancora oggi, utilizzato come alimento. Nei Paesi in via di sviluppo, tutto ciò è ancora di attualità (tranne l’utilizzo nelle guerre), mentre nei Paesi occidentali il cavallo ricopre oggi sostanzialmente una dimensione ecologica, sportiva ed economica. Guardando il comportamento naturale del cavallo, si percepisce che è un animale dalle complesse e raffinate capacità comunicative, per il quale le relazioni sociali hanno una notevole importanza. Nel suo rapporto con l’uomo, dimostra notevoli capacità di adattamento: riesce infatti a stringere forti relazioni con esso, a vivere confinato in spazi limitati e a lavorare in minazione con altre razze. I cavalli bardigiani addestrati per l’utilizzo da sella sono ancora, percentualmente, troppo pochi e soprattutto ancora da affermare è la mentalità che vede nel bardigiano un ottimo candidato per lo sport equestre. È inoltre necessario adeguare anche le strutture e la professionalità degli allevatori, per selezionare e produrre animali di elevata tipicità e di corretta conformazione o attitudine, per poterli vendere a un giusto prezzo. Il tradizionale allevatore di bardigiani, generalmente non più in giovane età, raramente svolge questa attività come maniera molto intensa, dimostrando una grande generosità e volontà di collaborare. È un animale mite, docile e stupisce davvero come si adatti ad attività di tipo competitivo, lontanissime dalla sua natura. Se si desidera avere con lui una relazione rispettosa, è necessario riconoscere e comprendere le sue esigenze essenziali, senza le quali la sua qualità di vita non si può considerare accettabile. Tali esigenze riguardano il cibo, che deve essere costituito prevalentemente non da mangimi ma da foraggi freschi o essiccati, cui il cavallo deve poter accedere liberamente. Un’altra esigenza fondamentale è la socializzazione con altri cavalli, con l’uomo o con altri animali. È impensabile tenere un cavallo in solitudine. Ci sono varie patologie comportamentali legate alla noia e allo stress della vita in box, come la gastrite o problemi cutanei. Importantissime sono l’igiene, la cura del corpo e dello zoccolo e l’utilizzo di selle e finimenti adatti al tipo di costituzione fisica. Il cavallo ha una stupefacente capacità di sopportare dolore, fatica, cambi di ambiente e di relazione e per questo è dovere dell’uomo essere responsabile del suo benessere. Questo animale rappresenta per molti di noi energia, movimento, competitività nelle attività sportive, emozioni condivise. Ma cosa rappresentiamo noi per lui? Il cavallo vive profonde emozioni, è sensibilissimo e quindi stressabile. Sta a noi trattarlo con rispetto, al fine di garantirgli una condizione di vita ragguardevole. principale; normalmente l’allevamento del cavallo avviene in aziende di piccole dimensioni nelle aree di montagna marginali e più svantaggiate, interessate in questi ultimi anni da intensi processi di abbandono dell’agricoltura, ed è spesso subordinato ad altri tipi di allevamento e ad altre coltivazioni, altrimenti sarebbe antieconomico in quanto l’attività tradizionale dell’impiego del bardigiano nel lavoro risulta ormai scomparsa e la produzione di carne sempre meno remunerativa. Sono questi i presupposti alla base della più recente azione degli enti preposti alla salva- PARMA economica 51 ECONOMIA E TERRITORIO guardia e allo sviluppo del cavallo, la quale, attraverso un rinnovato impulso all’attività di selezione e controllo e per mezzo di iniziative promozionali e di valorizzazione, intende incrementare lo spazio del bardigiano all’interno del mercato dell’equitazione, per creare nuove opportunità di reddito, per promuovere il territorio e per favorire la permanenza delle attività di allevamento nelle zone montane dell’appennino. Durante il primo weekend di agosto si svolge, in località Lago Monti, a Bardi, la mostra nazionale del cavallo di razza bardigiana. La manifestazione, che beneficia del contributo finanziario del Ministero per le Politiche Agricole, è organizzata per far conoscere il livello selettivo raggiunto dal cavallo bardigiano e promuovere la sua diffusione e valorizzazione economica. I risultati si possono constatare in base alle valutazioni morfologiche effettuate in questa occasione da una giuria di esperti. All’organizzazione collaborano il Comune di Bardi, la Comunità Montana Valli Taro e Ceno, la Camera di Commercio di Parma, la Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Parma e le APA associate. Un’altra rassegna del cavallo bardigiano si tiene ogni anno in maggio nel comune di Bedonia, sempre in provincia di Parma. Si tratta di un appuntamento fisso per agricoltori e contadini, ma soprattutto per allevatori e appassionati di cavalli. A questo punto non si può non menzionare un’altra fiera-mercato della provincia parmigiana, anche se non riguarda esclusivamente i cavalli bardigiani. Si tratta della famosa fiera di Pianadetto, organizzata ogni anno in settembre con la collaborazione di Comune di Monchio, Parco dei Cento Laghi, Associazione Monte Navert, e con il patrocinio di Provincia e Distretto Turistico Parma Est. Per due giorni, Pianadetto viene trasformata nell’ombelico del meraviglioso mondo equestre. Akhal-teke, cavallo celeste L’akhal-teke è una delle più belle e antiche razze equine del mondo e discende direttamente dal cavallo turcomanno, oggi estinto. È stata creata dalle tribu tekè che vivevano nelle oasi del deserto del Turkmenistan, dove è un simbolo nazionale. Allevato in zone molto aride, in condizioni di vita molto dure, l’akhal-teke risulta un cavallo molto agile e resistente, ottimo per varie discipline quali l’endurance, il trekking e il salto ad ostacoli. In occidente è 52 PARMA economica apprezzato per la sua eleganza e per la tipicità del suo pelo il quale nei secoli ha assunto una particolare forma conica che gli permette di riflettere i raggi solari in modo spettacolare. Si dice che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un akhalteke. Il più grande allevamento di cavalli di razza akhal-teke in Italia, di proprietà della famiglia Ferraguti, si trova sulle prime colline dall’appennino parmense, nel comune di Medesano. Il loro obiettivo è quello di allevare cavalli da impiegare, anche in Italia come nei suoi Paesi d’origine, negli classici sport quali l’endurance, il completo (una disciplina sportiva equestre olimpica, ndr) e il salto ostacoli, cercando di mantenere il più possibile la tipicità che contraddistingue questa meravigliosa razza. Webgrafia www.cavalli.it www.asetra.it www.armoniabenessere.it www.aromatario.it www.agraria.org www.tesionline.it www.valcenoweb.it www.carniequine.it www.pubblicitaitalia.com www.turismo.comune.parma.it www.gazzettadiparma.it ECONOMIA E società Volontariato: lo sforzo più grande è crederci Complici la crisi del pubblico e l’indifferenza del mercato, il terzo settore cresce, soprattutto nell’assistenza e nell’autorganizzazione. Anche a Parma, da sempre terra di associazionismo e solidarietà Orietta Piazza S e stiamo male chiamiamo la Pubblica Assistenza. Magari abbiamo in casa un cane adottato, che viveva in un canile. Oppure nostro figlio va a giocare a calcio con la squadra locale. O, ancora, leggiamo un libro preso a prestito dalla biblioteca di quartiere. Ci sono mille “servizi” che rendono la nostra vita quotidiana più sicura, più piena socialmente o culturalmente, e ai quali magari accediamo senza nemmeno riflettere più di tanto su come e da chi sono stati organizzati e resi pubblicamente fruibili. Molti vengono dal mondo Il volontariato colma del volontariato o del cosiddetto lacune nei servizi “terzo settore”, una galassia di che il pubblico non organizzazioni non sempre così e strutturate, come la Croce sempre può o vuole note Rossa, la Pubblica Assistenza, o gestire la Lega antivivisezione. Anzi, ve ne sono di piccolissime e magari inspiegabilmente efficienti nonostante la scarsità di fondi, strutture e personale a disposizione. A volte davvero il mondo del volontariato opera piccoli “miracoli”, andando a colmare lacune nei servizi che il pubblico non sempre può e vuole gestire, a maggior ragione in tempi di spending review, quando la spesa pubblica è falcidiata dalle logiche dei tagli imposte dalle istituzioni europee. E si sa: le spese le fa il cittadino, che sempre più deve “inventarsi” un modo per resistere e organizzarsi. Allora il volontariato esce anche dai binari più “tradizionali”, come quelle dell’assistenza a uomini e animali o della diffusione della cultura: e ci si inventa le “banche del tempo”, o i gruppi di acquisto solidale, per fare fronte al sempre maggiore carico di stress che consegue al moltiplicarsi degli impegni lavorativi e sociali. Il volontariato al servizio dei bambini PARMA economica 53 ECONOMIA E società Perché si fa volontariato Non sempre il volontariato è mosso da motivazioni esclusivamente altruistiche, anzi esistono anche dinamiche di pro- tagonismo personale che certo possono danneggiare il servizio che si rende. Coloro che, a qualsiasi titolo, si avvicinano al contesto del volontariato, molto proba- Il progetto Tutti Dentro E LA GUIDA "PAGINE APERTE" è stata presentata nel giugno 2012 Pagine Aperte, una guida al volontariato parmense realizzata dalla Provincia con Forum Solidarietà (il Consorzio delle Associazioni di volontariato di Parma), dove hanno trovato posto 456 associazioni censite e operanti sul territorio, con una platea di volontari che raggiunge quota 27mila, di cui almeno la metà attivi. Una guida al passo con i tempi, non di carta ma su chiavetta usb (disponibile gratuitamente all’Assessorato provinciale alle Politiche sociali o scaricabile dal sito www.sociale.parma.it) e tradotta in cinque lingue: oltre all’italiano, francese, inglese, rumeno e arabo. «Dalla prima edizione di Pagine Aperte, vent’anni fa, sono cambiate molte cose. Nel 1992 le associazioni erano 220, per circa 7mila volontari: il volontariato in questi vent’anni è cresciuto, si è rafforzato, si è differenziato, ha saputo moltiplicarsi andando a coprire segmenti scoperti e intercettando bisogni», ha osservato alla presentazione Arnaldo Conforti di Forum solidarietà, rimarcando che «Pagine Aperte ha una funzione strategica molto significativa: si rivolge soprattutto ai giovani, che speriamo siano anche i volontari di domani. Auspichiamo che molti giovani decidano di diventare corresponsabili del nostro territorio, perché questo è veramente molto importante». Lo scorso 2011 correva l’anno europeo del volontariato, e così il progetto Tutti Dentro, promosso dalla Provincia nell’ambito del Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi (FEI), è partito con lo scopo di far incontrare le nuove generazioni con quel mondo, coinvolgendo più di 2mila giovani. In particolare, il progetto ha avuto come protagonisti privilegiati i giovani immigrati, per i quali l’associazionismo può costituire un ponte per il radicamento nella nostra realtà. Oltre a Pagine Aperte vi sono stati diverse iniziative e prodotti, realizzati in collaborazione con le scuole e le asso- 54 PARMA economica ciazioni di volontariato. Fra questi Giornate Aperte (dal 12 al 18 ottobre 2011), in cui più di 1.000 studenti provenienti dagli istituti scolastici del territorio hanno potuto ascoltare e intervistare i testimoni di una cinquantina di associazioni di volontariato. Dal 23 aprile al 9 maggio si sono anche tenute le Gite del volontariato: visite guidate dentro 25 associazioni, cui hanno partecipato 683 studenti di sei istituti superiori. Il progetto Tutti Dentro ha poi coinvolto 2.000 allievi degli istituti secondari di secondo grado di Parma e provincia. Un video dei momenti più significativi di Tutti Dentro è stato realizzato dalla classe IV B del Liceo Toschi, seguita dal professor Michele Putorti. Qualche curiosità dalla guida Pagine Aperte. • 401 sono le associazioni iscritte al registro provinciale, per un totale di circa 27.000 volontari, di cui si stima che gli attivi siano 13.500. • Delle 401 associazioni, 359 sono nate dopo il 1950, mentre 10 sono quelle costituite prima del 1950. Le due più “vecchie” sono nate nel 1902: l’Assistenza Pubblica di Parma e l’Acisjf - Protezione della Giovane. La più recente è Donne di qua e di là, iscritta al registro provinciale a maggio 2012 con l’obiettivo sostenere e valorizzare i diversi saperi culturali e promuovere il ruolo delle donne migranti come attrici di comunicazione socio–culturale. • 8 sono le associazioni fondate da giovani under 30. • 38 quelle fondate da stranieri: di queste 17 sono iscritte al registro provinciale con oltre 1.130 volontari; toccano quota 22 le associazioni di promozione sociale (Aps) fondate da stranieri iscritte al registro provinciale con 1.900 volontari. Avis Provinciale segnala una presenza sul territorio di 694 donatori stranieri, di cui 322 donne, mentre i tesserati stranieri Aido a Parma e provincia sono il 10%. ECONOMIA E società Cane da soccorso in esercitazione tra le macerie bilmente stanno cercando una dimensione esistenziale alternativa a quella della società contemporanea. Si può arrivare a questi ambiti per cercare un “rimedio” a risultati deludenti ottenuti nella propria esistenza: non è infatti negabile che alcuni tipi di volontariato presuppongano organizzazioni di tipo gerarchico quasi “militare” (con tanto di uniformi, gradi, ecc.) che possono dare l’illusione ai militanti di giocare un ruolo di prestigio e che si distingua per carattere e capacità. Molto spesso in questo tipo di organizzazioni, che pure svolgono la propria opera in ambiti molto particolari che presuppongono capacità specifiche, vengono affidati ai volontari compiti molto ripetitivi e c’è una gestione dell’organizzazione di tipo molto Il valore della gratuità Luca Stanca, economista dell’università di Milano Bicocca, è autore di una ricerca il cui obiettivo di partenza è misurare quello che per definizione è incommensurabile: il valore della gratuità. E lo studio, basato su indici di “life satisfaction” registrati nelle città di tutto il mondo, ha degli esiti che fanno riflettere. Ad esempio, a Milano e Roma, le prime due città d’Italia, le reti di amicizia, di volontariato e di relazioni disinteressate sono più fragili che nel resto d’Italia. E questo si traduce in un minore livello di soddisfazione della popolazione, che è risultato più alto in città come Isernia, Vibo Valentia e Ragusa, non certo nella top ten italiana quanto a livello di reddito, sviluppo, servizi. Ma si sa, il bisogno aguzza l’ingegno e così accade che si tende a unirsi in reti volontarie per supplire a quello che in loco non si trova: e, forse inaspettatamente, rispetto a un indice di soddisfazione medio, risulta che la popolazione mondiale che ha un ruolo nel terzo settore si sente più felice rispetto agli altri, ottenendo un valore dell’indice che l’economista valuta in 1,17 punti. Più di quanto non accada a chi ottiene un aumento salariale di 8mila euro l’anno, che ha un punteggio di soddisfazione dell’1,15. Se il valore cardine resta la salute, che quadruplica il livello di soddisfazione della propria vita, un forte incentivo alla felicità è anche il matrimonio, a cui Stanca attribuisce il valore di 3,67. Al contrario, la disoccupazione segna un valore negativo dell’indice pari a –3,94, la voce più consistente tra i fattori che creano infelicità. Certo, in momenti di forte crisi come questo, quando nessuna certezza occupazionale né di reddito si profila all’orizzonte, viene da chiedersi se questi valori possano ancora essere quantificati in questo modo. Ma tant’è. E comunque il ricercare occupazioni solidali e volontarie può certo aiutare a percepire meno il vuoto e la disperazione. Dentro il contenitore del volontariato, è la solidarietà pura ciò che crea più soddisfazione (il valore dell’indice è 1,78), seguita dalle azioni nelle comunità religiose (1,14). Molto più contenuta la soddisfazione di chi si dedica alla politica (0,14): «Segno che quanto più l’attività è gratuita e meno strumentale, tanto più il suo effetto è positivo», commenta Stanca. Fonte: Redattore sociale. PARMA economica 55 ECONOMIA E società gerarchico. Nulla di male se l’organizzazione non punta su un fattore del genere per reclutare i suoi volontari (e ce ne sono diverse) creando ambiti chiusi e che poco arricchiscono la società. Certamente c’è da dire che risulta molto funzionale, a quei poteri che governano il sistema e che detengono le leve economiche, dare un ruolo sociale a organizzazioni e individui che non hanno alcuna capacità o intenzione di mettere in discussione chi sta nella “stanza dei bottoni”: così è più facile emarginare e controllare quegli individui che si sentono fuori o delusi dal sistema e che potrebbero alimentare il dissenso. D’altro canto, esiste una tipologia di persone che non intendono “darsi una calmata”, ma vogliono, al contrario, capire, affrontare direttamente i problemi e cercare soluzioni nuove. Per costoro, solo un’organizzazione aperta all’esplorazione e all’aggressività insita nei processi di cambiamento può fornire gli strumenti, i programmi e gli spazi di dibattito che canalizzino gli sforzi individuali verso un prodotto di autentica rilevanza sociale. Per concludere questi pochi accenni alle problematiche di tipo socio-relazionale che stanno dietro alle scelte individuali è utile sottolineare come, in ogni caso, senza il volontariato la qualità della nostra vita privata e sociale sarebbe davvero molto sminuita. E questo vale soprattutto per Parma e l’Emilia-Romagna, da sempre terre di solidarietà fattiva e associazionismo spontaneo in tutti i settori: dalla protezione civile1 all’ambito sanitario, da quello culturale o della solidarietà a quelli che soddisfano i bisogni più vari. Ma prima di dare un’occhiata a questo complesso e variegato universo cerchiamo di capire cosa si intende per il cosiddetto “terzo settore”. Ci facciamo aiutare da Wikipedia, l’enciclopedia libera, anch’essa frutto di un lavoro volontario e condiviso. Cos’è il terzo settore Secondo Wikipedia, «il terzo settore è quel complesso di istituzioni che all’interno del sistema economico si collocano tra lo Stato e il mercato, ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro; sono cioè soggetti organizzativi di natura privata, ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, ONLUS, 56 PARMA economica ecc.)». L’espressione terzo settore è nata per differenziare questo Il terzo settore macrocosmo dal primo (lo Stato) identifica quei che eroga beni e servizi pubblici, e dal secondo (il mercato, o set- soggetti privati che tore for profit) che produce beni producono beni o privati destinati alla vendita per servizi di interesse profitto. Azione volontaria, terzo sistema, economia civile, terza pubblico, non a dimensione, privato sociale, set- scopo di profitto tore non profit sono le diverse denominazioni attribuite al terzo settore. In Italia, almeno nel linguaggio istituzionale, ha prevalso l’espressione “terzo settore”. Non esiste una chiarezza totale riguardo a quali organizzazioni o gruppi lo rappresentino: alcuni vi comprendono un po’ tutte le organizzazioni che offrono servizi che colmano le lacune dello Stato e del mercato; altri, invece, ritengono che solo le organizzazioni di privato sociale, come le associazioni di volontariato, le associazioni di famiglie, le cooperative sociali, le fondazioni, le banche etiche, ne siano reali rappresentanti. Si tratta, in ogni caso, di una realtà sociale, 1 Ne abbiamo parlato sul numero economica e culturale in continua evolu3/2011 di questa rivista. ECONOMIA E società zione, piuttosto refrattaria, anche per sua stessa natura spontaneistica, alle definizioni. L’Istat prova a fornire un quadro il più possibile completo con il 9° Censimento generale dell’industria e dei servizi, che nel 2012 è stato abbinato al Censimento delle istituzioni non profit. La scelta di unificare le due indagini, se pure impegnativa per le piccole organizzazioni, può d’altro canto suonare come un riconoscimento all’evidenza che il terzo settore fornisce al benessere della società un contributo non inferiore, anche se di natura diversa, da quello di Stato e mercato. Infatti, non a caso, se il volontariato è stato sempre una realtà importante per i nostri territori, le ricerche basate sul concetto di terzo settore si sviluppano soprattutto a partire dagli anni della “crisi del welfare” e in Italia l’espressione si è diffusa verso la fine degli anni Ottanta, attirando su di sé l’interesse degli studiosi che si occupano delle organizzazioni non profit (Onp); tanto che molti economisti ne hanno studiato e ne Un emporio contro la povertà Emporio solidale è un progetto per contrastare le nuove povertà. L’idea nasce in seno a un gruppo di associazioni di volontariato, in collaborazione con il Centro di Servizi per il Volontariato in Parma - Forum Solidarietà, ed esce dai confini locali per raggiungere valenza regionale, ma è un’esperienza che si vive in molte province italiane. Perché Emporio solidale ha come obiettivo primario il contrasto delle povertà, vecchie e nuove, attraverso le competenze, gli strumenti e le sensibilità proprie del volontariato, in sinergia con le realtà del pubblico e del privato. A livello locale le associazioni di volontariato, che da anni si occupano di povertà, si sono riunite per dar vita a un coordinamento che ha prodotto un progetto operativo originale, condiviso con la città, che trova consenso e collaborazione a livello istituzionale e di privato sociale. Anche un territorio attivo e industrializzato come quello di Parma sta soffrendo il perdurare di una situazione economica critica. Il Rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale, a cura di Fondazione Zancan e Caritas, mette in luce alcuni dati preoccupanti, come la riduzione dei fondi pubblici a disposizione per il sostegno delle povertà assolute, o la richiesta di supporto, anche dopo anni di presenza in Italia, da parte dei cittadini immigrati che sono colpiti dal drammatico aumento di incidenza dell’usura, viste le loro difficoltà ad accedere ai finanziamenti del settore bancario. Dall’inizio della crisi (ottobre 2008) sono andati persi migliaia di posti di lavoro, in parte senza ammortizzatori sociali. Si tratta di migliaia di potenziali concittadini in difficoltà che si aggiungono a quelli già esistenti. Gli attori Dall’inizio del processo progettuale a oggi è stata costruita una rete a supporto del progetto che vede il coinvolgimento di importanti soggetti del nostro territorio, che partecipano con ruoli differenti: Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su Pegno di Busseto; Coop Consumatori Nordest; Provincia di Parma; Comune di Parma; Caritas parmense; Forum Solidarietà - Centro Servizi al Volontariato nella provincia di Parma. È stato anche aperto un dialogo con gli industriali e le loro associazioni di categoria; con le rappresentanze sindacali si è già avviata una collaborazione operativa per l’individuazione delle persone e delle famiglie che potrebbero fruire delle opportunità offerte dall’Emporio e si sta lavorando in sinergia intorno ai temi della casa e del lavoro. Partner e supporto Emporio conta, da luglio 2010, numerose collaborazioni con aziende molto note che garantiscono l’approvvigionamento (ad oggi) di circa 700 nuclei familiari (quasi 2.500 persone), con un numero di richieste di supporto pervenute di quasi il doppio. Ci sono difficoltà a garantire in quantità sufficienti alcuni generi di prima necessità. Emporio lancia quindi un appello alle aziende del settore food che vogliano diventare fornitrici solidali. È sufficiente la disponibilità a donare i propri prodotti in eccedenza o non più destinabili alla grande distribuzione perché in via di scadenza o danneggiati nella confezione. Le donazioni di prodotti effettuate a favore di Emporio - CentoperUno onlus godono di benefici fiscali. La cessione gratuita di beni prodotti o commercializzati dall’impresa non è considerata reddito (ed è esente anche da IVA). Tutti i contatti e le modalità si trovano sul sito www.emporioparma.org. Un appello alla città Nel dicembre scorso il Progetto Emporio ha lanciato un forte appello alla città, perché a Parma oltre 1.000 famiglie vivono il dramma della fame. E Parma ha risposto: nell’arco di soli quattro mesi, infatti, sono state raccolte oltre 26 tonnellate di generi alimentari di prima necessità, a disposizione gratuita di famiglie e persone in grave difficoltà economica. Ma la crisi continua per molte famiglie: altre 1.500 persone si sono rivolte a Emporio e le domande aumentano al ritmo di 15 alla settimana. Per questo i volontari di Centoperuno onlus (l’”associazione di associazioni” nata dalla sinergia di 15 organizzazioni parmensi) rinnovano l’appello alla città affinché Emporio possa far fronte alla crescente richiesta di aiuto. PARMA economica 57 ECONOMIA E società La nuova sede di Forum Solidarietà. Ciac, gli stranieri in scena Ciac, ovvero Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale di Parma e provincia, è un’associazione che offre servizi ai cittadini stranieri. Queste sono le pratiche per cui ci si può rivolgere a Ciac: accoglienza, regolarizzazione, permesso di soggiorno, ricongiungimento familiare, compilazione modulistica per vari uffici pubblici, consulenza legale, mediazione. Una funzione preziosa e fondamentale, visto che è sempre più difficile per i cittadini stranieri, precari con la casa e il lavoro, in difficoltà con la lingua, orientarsi nei meandri della nostra burocrazia. Che per loro è, magari anche volutamente, molto complessa. Ciac è attivo da giugno 2000 ed è stato promosso da: Associazione Immigrati Parma e Provincia (Aipp), Associazione di donne immigrate e italiane (Mwasi), Coordinamento pace e solidarietà, Gruppo Volontariato Civile (Gvc), Consorzio Italiano di Solidarietà (Ics), Ufficio immigrati Cgil, Anolf-Cisl. Aderisce all’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi). Oggi Ciac supporta, avvalendosi di uno staff di legali esperti in materia, 22 sportelli comunali rivolti agli stranieri per l’orientamento, l’aiuto 58 PARMA economica e l’informazione giuridica, aperti nei Comuni di: Busseto, Collecchio, Felino, Fidenza, Fontanellato, Fontevivo, Fornovo Taro, Langhirano, Lesignano Bagni, Montechiarugolo, Noceto, Polesine Parmense, Roccabianca, Sala Baganza, Salsomaggiore Terme, San Secondo Parmense, Sissa, Soragna, Tizzano Val Parma, Traversetolo, Trecasali, Zibello. È poi ente gestore del progetto Terra d’asilo, cui partecipano 27 comuni della Provincia di Parma, che rientra nel sistema nazionale di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Ma il Ciac è anche un centro di documentazione sui temi dell’immigrazione, asilo e cooperazione internazionale; promuove inoltre attività di formazione e aggiornamento professionale degli operatori pubblici e privati del mondo dell’immigrazione. Altra, fondamentale funzione sono la promozione e il sostegno delle politiche per l’asilo e la realizzazione di momenti di informazione giuridica rivolta agli immigrati. Un’attenzione particolare è rivolta alle problematiche del Sud del mondo, tramite la solidarietà e la cooperazione internazionale, anche con la Provincia e Amnesty International. ECONOMIA E società studiano il ruolo all’interno del sistema di welfare, soprattutto in termini di servizi di cura e accudimento delle fasce deboli della popolazione. Si analizzano inoltre le fonti di finanziamento delle Onp e i flussi economico-finanziari intercorrenti tra queste e gli enti pubbliOggi tutti ci. Per i dati sulla consistenza del concordano: terzo settore nel nostro Paese, si l’attuale legge sul confronti il riquadro Qualche volontariato è datata numero sul terzo settore in Italia. La legislazione italiana ha finoe va modificata ra disciplinato alcuni aspetti del terzo settore ma non li ha definiti unitariamente dal punto di vista giuridico. Studi recenti hanno evidenziato delle caratteristiche comuni alle organizzazioni che operano nel terzo settore: 1) assenza di distribuzione di profitti, che è il criterio principale di distinzione dal mondo delle imprese, e presenza di una certa quota di lavoro volontario; 2) natura giuridica privata (anche se alcune organizzazioni hanno ancora un forte controllo pubblico); 3) atto di costituzione formale e base democratica (elezione delle cariche e partecipazione effettiva degli aderenti). In effetti la legge-quadro non prevede al- QUALCHE NUMERO SUL TERZO SETTORE IN ITALIA Numero di associazioni Il terzo settore in Italia, sulla base dei dati Istat, conta oltre 235mila organizzazioni non profit, pari al 5,4% di tutte le unità istituzionali. Personale coinvolto Circa 488mila lavoratori, pari al 2,5% del totale degli addetti e di circa 4 milioni di volontari. Entrate Un recente studio effettuato dalla fondazione Unicredit (Ricerca sul valore economico del Terzo Settore in Italia) quantifica un volume di entrate stimato di 67 miliardi di euro, corrispondente al 4,3% del Pil, in deciso aumento rispetto ai dati Istat del 2001 - 38 miliardi di euro, il 3,3% del Pil. Nelle organizzazioni di volontariato le entrate provenienti dal settore pubblico rappresentano poco meno della metà di quelle complessive, nelle associazioni di promozione sociale i contributi pubblici si attestano attorno al 7%. L’articolazione del settore e la difficoltà di reperire le informazioni rendono complesso il confronto di dati provenienti da fonti e studi differenti: l’ultimo Censimento delle attività economiche, che comprendeva anche il no profit, dovrebbe fornire dati più precisi. L’osservatorio Unioncamere sul terzo settore – circoscritto alle organizzazioni con addetti e limitato agli ambiti dell’educazione, ricreativo-culturale, sociale, sociosanita- rio e sportivo – individua, a fine 2010, circa 3.600 organizzazioni distribuite in quasi 6.000 unità locali per un numero complessivo di addetti prossimo alle 52mila unità, di cui circa tre quarti riconducibili a cooperative sociali. Dati più aggiornati sono disponibili per le cooperative sociali. A fine 2011 ne risultavano attive in regione 890 con un numero di dipendenti pari a 37.537 unità. In questi anni di crisi economica la cooperazione sociale ha evidenziato una maggior tenuta rispetto al sistema produttivo e il confronto con il 2010 lo conferma: le cooperative sociali sono aumentate del 3,4%, gli addetti del 4,5%. A crescere maggiormente le cooperative di tipo A (comprendente quelle che gestiscono servizi socioassistenziali, sanitari ed educativi) e quelle di tipo B (inserimento lavorativo delle persone svantaggiate). Un’analisi effettuata sulle cooperative sociali di Brescia ha evidenziato che per ogni soggetto svantaggiato inserito la cooperativa produce un valore (più correttamente, garantisce un risparmio) medio alla pubblica amministrazione di 7.717 euro. In Emilia-Romagna vi sono circa 2.700 lavoratori svantaggiati inseriti nelle cooperative sociali, vale a dire un risparmio per la Pubblica amministrazione regionale quantificabile in oltre 20 milioni di euro. Fonte: Rapporto 2012 sull’economia regionale (Unioncamere Emilia Romagna e Regione) PARMA economica 59 ECONOMIA E società cun obbligo di registrazione per le organizzazioni di volontariato: la scelta viene lasciata alla libera iniziativa di ognuna di esse, purché ci siano i requisiti della volontarietà, dei fini solidaristici, della trasparenza con l’obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell’assemblea degli aderenti. La forma giuridica assunta è indifferente, a patto che tale forma sia rispettosa del limite di compatibilità con lo scopo solidaristico. La stessa legge, però, stabilisce che se un’organizzazione vuole convenzionarsi con lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici, e godere di tutti gli altri vantaggi previsti, è necessario che si iscriva in un apposito registro – il registro generale delle organizzazioni di volontariato – istituito e tenuto dalle regioni e dalle province autonome. La legge quadro sul volontariato, approvata dal Parlamento italiano nell’agosto del 1991 con la finalità di regolare i rapporti tra le organizzazioni di volontariato e lo Stato, è stata, per alcuni, una delle legislazioni più avanzate in Europa, ma non per questo è stata esente da pesanti critiche: per esempio, avrebbe “ingabbiato” il volontariato con pastoie burocratiche e procedure senza senso. Su un fatto, comunque, da due anni a questa parte, tutti concordano: la legge ha fatto il suo tempo e va modificata. È stato lo stesso mondo del volontariato a porre la questione convocando appositi convegni sull’argomento; il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha così nominato una commissione mista, che ha redatto una bozza di modifica della legge. La realtà di Parma Nel 1993 nasceva il Registro Regionale delle Associazioni di Volontariato previsto dalla legge 266/1991. Successivamente, nel 1996, la Regione Emilia-Romagna istituì anche il Registro Provinciale delle Associazioni di Volontariato, per mappare tutte le associazioni che operavano a livello locale (legge regionale 37/1996). Il registro rimane uno strumento importante a tutela delle associazioni di volonKuminda, che si tiene ogni anno a Parma, è il primo festival in Italia dedicato al cibo equo, critico e sostenibile 60 PARMA economica ECONOMIA E società La nuova sede di Forum Solidarietà 1 Cfr. sempre il numero 3/2011 di questa rivista. tariato, pur nel limite di essere solo un “elenco” parziale rispetto al vasto panorama di organizzazioni con fini di solidarietà e sostegno sociale. L’iscrizione al registro per le organizzazioni significa anche che si è compiuto un lavoro organizzativo per rispettare i requisiti vigenti e rendersi più trasparenti e magari efficienti; in altre parole, l’iscrizione al registro provinciale può essere intesa come il «riconoscimento di un marchio di qualità o di responsabilità sociale dell’associazione» da parte della pubblica amministrazione (sono parole della Provincia stessa scritte sulle Pagine aperte 2012); un riconoscimento importante e di garanzia nei confronti della società civile, visto il ruolo irrinunciabile che il volontariato è chiamato ad assumere a supporto delle istituzioni, sempre più a corto, come già si diceva, di mezzi economici e strumenti per fornire i servizi alla comunità. Bisogna infatti considerare che non sempre il pubblico può avere a disposizione quel patrimonio di conoscenze specifiche e di attrezzatura e motivazione che il volontariato riesce a mettere in campo in molti settori, dalla ricerca alla protezione civile all’accoglienza e sostegno sociale in situazioni complesse e delicate, come quelle che si vanno creando in seno a una società sempre più fragile e multietnica. A conferma di questo ruolo così delicato e sempre più importante possiamo sottolineare come in Emilia-Romagna la legge che disciplina i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni (legge re- gionale 12 del febbraio 2005), riconosce al volontariato nel nuovo sistema integrato dei servizi un ruolo proprio nella capacità di auto-organizzazione della società civile, improntato alla piena applicazione del principio di sussidiarietà. Ma tornando alla nostra provincia, che quadro fotografa il Registro Provinciale delle Associazioni di Volontariato, gestito dal 2007 dalla Provincia? Al 31 dicembre 2011 erano state iscritte 457 associazioni e ne sono state poi cancellate 56, per un totale attuale di 401. Dalla tabella 1 si evidenzia un andamento in crescita nei diversi anni, con una stabilizzazione nell’ultimo triennio. L’elevato aumento registrato negli anni 2005 e 2007 è dovuto in parte al trasferimento del registro dalla Regione Emilia–Romagna alle province. Importante evidenziare l’alto numero di cancellazioni nel 2010 e nel 2011, avvenute a seguito della revisione del registro attuato in occasione del censimento Istat/revisione 2008, e il costante trend all’aumento delle iscrizioni. Le associazioni iscritte operano per la grande maggioranza negli ambiti delle attività socioassistenziali (140) e sanitarie (143): segue la protezione civile, con 37 associazioni iscritte, formate a loro volta da molti gruppi operanti in svariate specializzazioni1 e le attività di tutela e valorizzazione dei diritti con 29; immediatamente dietro la tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale; poi, in numero di qualche unità ciascuno, gli ambiti di attività culturali e di tutela e valorizzazione dei beni culturali, PARMA economica 61 ECONOMIA E società centri di servizio e organi di coordinamento, le attività educative e, infine, quelle di profilassi e prevenzione veterinaria. L’associazionismo volontario è una realtà presente un po’ in tutta la provincia, anche se ovviamente in percentuale maggiore in città: il 57,35% delle realtà (230) sono attive nel distretto di Parma; il 20,95% (84) in quello di Fidenza; segue, con percentuali più basse, la zona montana dove 53 associazioni operano nel distretto Sud-Est e 34 nel distretto Valli Taro-Ceno. Sono comunque presenze importanti, che testimoniano come anche le nostre vallate montane registrano presenze di impegno sociale importanti e L’associazionismo diffuse. volontario è una Rispetto alla situazione regionale, possiamo dire che nella banca realtà presente in dati del portale “Emilia-Roma- tutta la provincia, gna Sociale” risultavano iscritte, incluso l’Appennino all’1 marzo 2012, 2.923 associazioni di volontariato sia regionali che provinciali, così suddivise: 608 a Bologna (20,8%), 401 a Parma (13,72%), 368 a Modena (12,59%), 316 a Forlì-Cesena (10,81%), 272 a Ravenna (9,31%), 273 a Reggio-Emilia (9,34%), Volontariato è anche l'impegno con le Ong che operano nelle zone di conflitto ricordo di Vittorio Arrigoni 62 PARMA economica ECONOMIA E società 257 a Ferrara (8,79%), 231 a Piacenza (7,9%), 197 a Rimini (6,74%). Rapportando questo dato al numero abitanti di ogni provincia si evidenzia come la provincia di Parma risulta essere seconda in Regione per numero di Associazioni di Volontariato iscritte nel registro, con una percentuale a livello regionale del 13,72%. La provincia di Parma inoltre si conferma come il territorio con il maggior numero di associazioni in relazione al numero di abitanti. Parlare, anche solo in sintesi, del complesso e articolato universo di attività di queste nostre preziose realtà, parallele al sistema della pubblica amministrazione e delle imprese che rendono particolarmente attiva e socialmente inclusiva la provincia di Parma, è difficile. Scorrendo le pagine aperte della guida si leggono nomi affascinanti, come Sulle ali delle menti o Timbuctu cani e dintorni. C’è chi si occupa di disagio, chi di tutela di animali, domestici e non, ma c’è anche l’archeoclub o l’unione somala di Parma. Ogni realtà è rappresentata davvero, a ogni bisogno si cerca di dare una risposta. Quello che possiamo fare in questo spazio è tratteggiare alcune esperienze originali e significative (cfr. anche i riquadri in questo articolo). Vogliamo concludere dedicando il giusto spazio a quella struttura che coordina e sostiene l’attività di questo arcipelago di attività volontarie: il Forum Solidarietà, un’associazione di associazioni di volontariato, costituita da circa 100 realtà di Parma e provincia. Ha esclusivi fini di solidarietà ed è priva di scopo di lucro; l’attività inizia nel febbraio del 1994, mentre è del gennaio del 1997 l’idea di iniziare a gestire il Centro di Servizi per il volontariato per la provincia di Parma. Una storia nata dal basso: Forum Solidarietà nasce con un censimento delle associazioni di solidarietà del territorio. La ricerca, condotta da volontari obiettori di coscienza in congedo, inizia nel 1990 e si conclude nel giugno del 1992 con la pubblicazione di Pagine Aperte, che raccoglie i profili di 200 gruppi. Nell’aprile del 1993 si svolge Giornate Aperte, la prima mostra-convegno del volontariato parmense, della durata di tre giorni, con la partecipazione di 90 associazioni: un’occasione che rende il volontariato protagonista di dibattiti, tavole rotonde, spettacoli e animazione per un intero mese. È del febbraio del 1994 il progetto Forum, che prevede la nascita di un organismo di collegamento per favorire il dialogo tra le associazioni locali, per rispondere alla loro richiesta di servizi e strumenti operativi. E così, già nel primo anno nasce Forum Notizie, il mensile inviato alle associazioni per informare su normative, iniziative e servizi. Poi vengono aperti sportelli di consulenza giuridica e fiscale e si avvia il settore formazione. Si organizzano giornate di studio. Come coronamento di quest’intensa attività, nell’aprile del 1995 l’assemblea provinciale delle associazioni delibera la costituzione dell’Associazione Forum Solidarietà, ispirandosi ai principi della legge 266 del 1991 e alla normativa regionale (legge 26 del 1993). Oggi, Forum Solidarietà si riconosce pienamente nella carta dei valori del volontariato e opera in stretta collaborazione con le organizzazioni di volontariato (oltre 100, in svariati settori: sanitario, disagio sociale, accoglienza, ecc.) con le quali definisce programmi e progetti. Lavora in rete e favorisce la nascita di reti tra le organizzazioni di volontariato e altre realtà pubbliche e private. Altra, importante funzione del Forum è quella di fornire servizi professionalmente qualificati e fruibili da parte di ogni organizzazione di volontariato. È un coordinamento presente in tutta la provincia: la sede principale è a Parma, ma ci sono sportelli periferici a Borgo Val di Taro, Fidenza e Traversetolo. Il senso di quest’esperienza ce lo restituisce il presidente Fabio Fabbro, che ci parla anche di cosa ci si può aspettare dal futuro: «Di fronte a una società sempre più in crisi, il nostro sistema economico e sociale scricchiola e mostra una grande fragilità. Il volontariato si trova ad accogliere e sostenere un carico di sofferenze sempre più grande. La sfida è quella di dare sì risposte pertinenti a bisogni anche nuovi e sempre più urgenti, ma anche quella di moltiplicare la ricchezza che sta nelle relazioni, accrescendo il capitale sociale. Il volontariato deve testimoniare in modo concreto la cultura del dono e della gratuità, infondere speranza e costruire fiducia e attenzione al prossimo, a partire dal più debole». Webgrafia www.volontariato.org www.sociale.parma.it www.forumsolidarieta.it PARMA economica 63 Unifidi opera sul territorio attraverso le proprie Filiali, una in ogni provincia della regione. La Filiale di Parma è ubicata presso la Camera di Commercio in Via Verdi, 2 Per la diffusione dei propri prodotti, Unifidi si avvale di una rete promozionale di vendita rappresentata dalle Agenzie in attività finanziaria Le Agenzie, valutate le esigenze finanziare dell’impresa, raccolgono ed istruiscono le pratiche di richiesta di garanzia per conto di Unifidi. Le Agenzie operanti in provincia di Parma sono le seguenti: Confartigianato APLA Servizi Finanziari Viale Mentana, 139/A – Parma Tel. 0521 219277, 0521 219289 GIA Strada Al Ponte Caprazucca, 6/A – Parma Tel. 0521 226469, 0521 226473 Prefina Via Spezia, 75 – Parma Tel. 0521 227244, 0521 227292, 0521 227283 ECONOMIA E società Project financing: come investire in tempo di crisi Un convegno presso la CCIAA ha sviluppato il tema del partenariato pubblico-privato, in provincia di Parma ma non solo, mettendo in luce opportunità e prospettive di sviluppo e raccontando alcuni casi del territorio Tommaso Meli Il convegno di Parma Il 25 settembre 2012 si è tenuto a Parma, presso la Camera di Commercio, un seminario dal titolo Il project financing e il partenariato pubblico-privato (PPP) nella Provincia di Parma, con la finalità di focalizzare le prospettive di sviluppo dello strumento e analizzare i progetti che si sono realizzati nel territorio parmense e in Emilia-Romagna. I relatori hanno presentato temi di grande interesse per un confronto tra istituzioni e soggetti privati, perché la finanza di progetto è in grado di muovere capitali ingenti e quindi di sostenere l’economia. Riprendiamo i temi fondamentali degli interventi per alcuni spunti di approfondimento e riflessioni. Nella relazione di Lorenzo Bellicini, direttore del Centro ricerche economiche e sociali e di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), l’Emilia-Romagna appare attiva nell’utilizzo di forme di PPP, guadagnando il quarto posto per il periodo gennaio-agosto 2012 con 158 gare 66 PARMA economica bandite, restando in vetta alla classifica anche delle gare aggiudicate, nello stesso periodo, con il dato di 45. A Parma le aggiudicazioni censite sono cinque, con gare bandite per oltre 15 milioni di euro; questo rende l’idea di come lo strumento possa creare opportunità di lavoro. Nel periodo gennaioagosto 2012 l’EmiliaRomagna era al quarto posto per gare bandite (158) La finanza di progetto: caratteristiche e presupposti di sostenibilità Ma cos’è il project financing? Per i non addetti ai lavori è bene illustrarne, con parole semplici, le caratteristiche, perché è uno strumento che, normalmente, non è conosciuto. È un modello giuridico a struttura complessa, che consente di finanziare e realizzare opere senza oneri per la pubblica amministrazione. Particolarmente utile in situazioni di carenza di fondi pubblici, criticità infrastrutturali e congiunture economiche negative, è un’operazione economica e finanziaria che consente, attraverso ECONOMIA E società il partenariato pubblico-privato, di realizzare un investimento pubblico senza gravare di spese dirette sui bilanci degli enti. Il privato, infatti, si impegna sul fronte del finanziamento e della realizzazione delle opere, contando sugli utili derivanti dall’attività economica che l’opera farà realizzare. Vengono così soddisfatti due presupposti: l’utilità pubblica dell’opera per la comunità amministrata dall’ente e l’interesse economico del privato. La materia è regolata dalla legge che, al fine di promuovere l’utilizzo del project financing, ha previsto nell’ambito del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) l’istituzione dell’Unità tecnica finanza di progetto (Utfp). Si tratta di un organo di tipo tecnico, investito del compito di promuovere, all’interno delle pubbliche amministrazioni, l’utilizzo di tecniche di finanziamento di infrastrutture con ricorso a capitali privati. Nel convegno del 25 settembre è intervenuta in proposito un’autorevole relatrice, Giuliana Bo, che ha illustrato il ruolo dell’Utfp quale struttura in ambito Cipe (dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica) e la sua missione di accompagnamento della pubblica amministrazione in percorsi di realizzazione efficace di investimenti, dalla fase della programmazione a quella di gara. Un aspetto non trascurabile è la sostenibilità del progetto dal punto di vista delle aspettative, sia pubbliche che private. L’opera deve, una volta finanziata e realizzata, produrre utilità sociale ed economica, quindi occorre prevedere flussi di entrata attraverso ipotesi tariffarie e di oneri per l’utenza. Per questo, come emerso durante il convegno, le opere che sono comprese in queste ipotesi o che sono già state realizzate riguardano principalmente impianti sportivi, parcheggi, teatri, cinema, cimiteri, erogazione di energia alternativa. Tutte infrastrutture che possono assicurare un ritorno economico proveniente dall’utenza. Anche nel campo dell’energia sostenibile Capitali privati in soccorso del pubblico Per Andrea Baghi, vicepresidente di ANCE Parma, il punto di forza primario del project financing è la capacità di raccogliere risorse destinate a realizzare opere per la collettività. Ecco il punto di vista dei costruttori edili. A cura di Andrea Della Valentina Tradizionalmente il project financing è stato applicato proprio nel settore delle costruzioni, più che in altri: quali sono secondo lei i punti di forza di questo strumento e quali invece i limiti? Il principale punto di forza dello strumento del project financing è proprio il coinvolgimento del capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche: laddove mancano le risorse pubbliche il coinvolgimento del privato è fondamentale per mantenere un livello accettabile di infrastrutturazione del Paese. I limiti sono quelli tipici del “sistema Italia”: la farraginosità della normativa; i tempi lunghi di esecuzione delle procedure concorsuali; l’incompetenza diffusa nell’applicare tale strumento normativo. Com’è la situazione attuale in ma- teria, vista la congiuntura sfavorevole, e quali invece le prospettive nel breve, medio e lungo periodo? Attualmente la crisi finanziaria che ha colpito l’area euro, e l’Italia in particolare, ha messo in grave difficoltà gli istituti di credito costringendoli, anche in applicazione delle regole di Basilea 3, a “faticose” ricapitalizzazioni: questo ha determinato pressoché un blocco delle procedure di project financing, sostanzialmente per l’impossibilità degli stessi istituti a pianificare la provvista economica per lunghi periodi di tempo. Di fatto nel breve e medio periodo non si intravvedono soluzioni a tale blocco: nel lungo periodo (oltre i 5 anni) può essere che il sistema finanziario europeo, insieme all’Unione Europea e alla Banca Centrale Europea, trovino le modalità operative per tornare a finanziare le opere pubbliche tramite lo strumento del project financing. Può raccontare e descrivere brevemente qualche caso concreto particolarmente significativo che ha interessato/sta interessando la provincia di Parma? Ad esempio la riqualificazione di piazza Ghiaia a Parma è un caso concreto - nella fattispecie si tratta di una concessione di costruzione e gestione. Un intervento del valore di 30 milioni di euro, finanziato solamente per il 10% dall’amministrazione comunale. Tengo tuttavia a precisare che la gara pubblica è del 2006 mentre i lavori, per vicissitudini varie, sono stati ultimati nel 2012. Non sono invece a conoscenza di iniziative attivate dopo la crisi finanziaria che ha colpito l’Italia a partire da luglio 2011. PARMA economica 67 ECONOMIA E società si stanno realizzando partenariati pubblico-privato, come è emerso nell’intervento dell’assessore provinciale Giancarlo Castellani, che ha presentato il progetto della Provincia “Fotovoltaico Insieme”, nel cui ambito si prevede, quale corrispettivo per l’attività di realizzazione e di gestione, che i comuni cedano al concessionario, per i 20 anni di gestione, il credito derivante dal Conto Energia e i proventi della vendita dell’energia prodotta sul libero mercato. Non a caso sono ritenute meno fattibili in PPP opere nel settore della cultura o del sociale, ove le entrate spesso non coprono i costi della gestione. L’intervento di Giuliana Bo ha ben rappresentato i due aspetti imprescindibili della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, intendendo per il primo la capacità di creare valore e di generare un livello di redditività del capitale investito, e per il secondo la capacità di creare flussi monetari sufficienti a garantire il rimborso dei finanziamenti e la remunerazione degli investitori privati. Scopo e opportunità di sviluppo In questi anni gli enti locali hanno dovuto fare i conti con i rigidi vincoli del Patto di stabilità interno, che obbligano a perseguire saldi finanziari (in estrema sintesi, differenza tra entrate e uscite) pre-definiti, rispetto ai quali le spese per investimenti incidono negativamente. La principale finalità di queste regole è la riduzione complessiva del debito pubblico nazionale, inducendo quindi la pubblica amministrazione a una drastica riduzione del ricorso a mutui e a utilizzare le proprie entrate esclusivamente per erogare servizi pubblici indispensabili o per autofinanziare infrastrutture (ipotesi, questa, di difficile realizzo, date le scarse risorse comunali). L’economia italiana ha fortemente risentito di questo blocco totale di progettualità, con una crisi avvertita soprattutto nell’edilizia. Anche i vincoli del Patto di stabilità hanno drammaticamente influito sulla liquidità delle imprese, con un mancato ciclo di flussi monetari e ritardi nei pagamenti, causando la violazione delle regole europee in materia di termini di pagamento. Il project financing può costituire una via d’uscita da questa palude economica, con la cautela che ogni strumento finanziario deve indurre a utilizzare. Gli attori 68 PARMA economica Una volta terminata, l’opera deve produrre utilità sociale ed economica ECONOMIA E società Le iniziative della Provincia di Parma Il progetto “Fotovoltaico insieme” sostiene i Comuni nel realizzare impianti a energia solare di proprietà pubblica con ricorso a capitali privati Andrea Della Valentina Al convegno dello scorso 25 settembre è intervenuto anche Giancarlo Castellani, assessore all’Ambiente, Energie alternative e Società partecipate della Provincia di Parma, che ha presentato le iniziative provinciali per la realizzazione di opere in partenariato pubblico-privato. In particolare, la case history al centro dell’intervento è stata quella del progetto “Fotovoltaico insieme”, nato per sostenere i comuni nella realizzazione di impianti fotovoltaici di proprietà pubblica con ricorso a capitali privati e mediante selezione pubblica del promotore finanziario. L’iniziativa, sorta in seno alla giunta provinciale, ha previsto la stipula di un’apposita convenzione tra Provincia di Parma e i comuni interessati, con la possibilità per questi ultimi, ai sensi del Codice Appalti, di avvalersi delle competenze tecniche del servizio Ambiente, Parchi, Sicurezza e Protezione Civile della Provincia di Parma per la progettazione, la direzione dei lavori e lo svolgimento delle fasi d’appalto. La Provincia ha curato, con personale interno specializzato, la redazione dei progetti definitivi delle opere, il rilascio dell’autorizzazione, la predisposizione delle pratiche di connessione alla rete elettrica, le procedure di gara, l’aggiudicazione provvisoria, la direzione lavori e il collaudo finale. Hanno aderito all’iniziativa i comuni di Bore, Busseto, Colorno, Fidenza, Fontanellato, Medesano, Mezzani, Noceto, Pellegrino Parmense, Polesine Parmense, Roccabianca, Sala Baganza, Salsomaggiore Terme, San Secondo, Sissa, Solignano, Sorbolo, Terenzo, Trecasali, Valmozzola, Varsi e Zibello, oltre alla società pubblica Emiliambiente. Finora sono stati realizzati 21 impianti, per una potenza complessiva installata di circa 21 MW e un investimento di oltre 60 milioni di euro. Tutti gli impian- ti sono connessi alla rete e ammessi all’incentivo del Gestore dei Servizi Energetici (GSE), tranne uno che è in via di ultimazione. Le modalità di realizzazione Gli impianti sono stati realizzati attraverso bandi di concessione di costruzione e gestione con progettazione esecutiva e ricorso a capitali privati. Sin dalla realizzazione, gli impianti sono di proprietà dei comuni. Tutti gli oneri relativi alla realizzazione e alla gestione dell’impianto sono a carico del concessionario, che si è assunto anche il rischio di impresa relativo alla mancata ultimazione degli impianti nei termini previsti dal cronoprogramma approvato. I bandi prevedevano un doppio criterio di valutazione delle offerte presentate: una valutazione economica dell’importo annuale offerto ai comuni, e una valutazione tecnica delle migliorie apportate in fase di redazione del progetto esecutivo presentato in gara. Nel primo caso si è proceduto a valutare l’offerta in rialzo rispetto a un valore iniziale posto a base di gara e indicato nel piano finanziario dell’opera (tale importo sarà corrisposto ai comuni per la durata ventennale di gestione dell’opera pubblica). La valutazione tecnica delle migliorie apportate ha considerato l’aumento della potenzialità dell’impianto o diminuzione della superficie occupata, la qualità dei componenti forniti e le proposte migliorative. Quale corrispettivo per l’attività di realizzazione e di gestione i comuni cedono al concessionario, per i 20 anni di gestione, il credito derivante dal Conto Energia, nonché i proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta sul libero mercato. Al termine del periodo di gestione i Comuni potranno decidere se proseguire nella gestione dell’impianto, rinnovando il contratto al concessionario; se proseguire autonomamente nella gestione dell’impianto; oppure se dismettere definitivamente l’impianto, con oneri di ripristino a carico del concessionario. Infine, dal punto di vista dei benefici ambientali la realizzazione degli impianti fotovoltaici pubblici consentirà una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 10.200 tonnellate l’anno per i prossimi 20 anni. Consentirà, inoltre, di risparmiare ogni anno circa 4.516 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP), 9,5 t di SO2, 10 t di NOx e 483 kg di polveri. PARMA economica 69 ECONOMIA E società La finanza di progetto prevede una collaborazione fra diversi attori abbastanza complicata, che fa prevedere una struttura giuridica multi-contrattuale a cui partecipano di norma il promotore, l’ente titolare del progetto, il privato che ha interesse al ritorno economico, il finanziatore, la società di progetto. Per questa stratificazione di soggetti è necessario curare particolarmente l’aspetto contrattualistico e le forme di tutela. I cittadini sono pure attori del progetto, anche se non titolari di rapporti contrattuali: sono nello stesso tempo portatori di interesse e finanziatori finali del progetto. Occorre quindi prevedere una costante rendicontazione sociale dell’investimento in tutte le fasi, dalla programmazione all’iter, dall’avanzamento alla gestione del bene e dei servizi pubblici correlati. La trasparenza nei flussi e nel rapporto costobenefici è fondamentale, perché il ruolo del contributo pubblico dell’utente è essenziale e imprescindibile. Coloro che hanno approcciato o guardato da vicino questo sistema sono molto prudenti nel giudizio, perché molte sono le variabili da considerare per giudicare la validità progettuale: interesse pubblico e sociale dell’opera, salvaguardia del ruolo dell’ente locale, affidabilità dei privati, 70 PARMA economica sponsor e imprese coinvolti, equo rapporto tra “futuri guadagni” dei finanziatori e “future contribuzioni” dell’utenza. I reciproci vantaggi e rischi L’ente che promuove il progetto ha il vantaggio già citato di programmare l’investimento di un’opera pub- L’ente che promuove blica senza gravare il proprio bilancio di oneri e di flussi finan- il progetto non grava ziari. Si può avvalere di un per- il proprio bilancio corso condiviso con altri soggetti di oneri e flussi per sostenere nello stesso tempo finanziari l’economia del proprio territorio, la qualità dei servizi rivolti ai cittadini e anche migliorare il loro benessere sociale. Fondamentale il collegamento tra l’opera e la sua funzione. Un’opera pubblica destinata a servizi sociali, con utenza a reddito tale da non garantire i costi dell’opera e la sua gestione remunerativa, non può essere considerata appetibile per il modello di project financing. Di contro, tutti gli investimenti che verranno utilizzati per servizi che consentono di svolgere un’attività imprenditoriale, con costi e ricavi e ipotesi di “guadagno nella gestione”, diventano interessanti per questo modello di realizzazione e di partenariato. Poiché i flussi di cassa non transitano dal ECONOMIA E società Un’opportunità per tutti Il project financing può portare vantaggi alla PA, agli investitori e ai cittadini. Intervista a Luca Clarizia, responsabile dell’ufficio Origination e Sindacazione di Cariparma Crédit Agricole A cura di Andrea Della Valentina Dal vostro punto di vista quali sono gli elementi di forza del project financing e quali invece i limiti? Il project financing rappresenta un’opportunità che avvantaggia molteplici soggetti: la pubblica amministrazione perché consente di incrementare, a parità di risorse pubbliche impiegate, la capacità di dotare il Paese di nuove e più efficienti infrastrutture; il settore privato in quanto può svolgere la propria attività imprenditoriale potendo preordinare una giusta remunerazione del capitale investito; gli utenti perché possono godere di servizi efficienti senza che ciò determini un aggravio fiscale. Il principale limite del project financing risiede probabilmente nella complessità intrinseca di tali operazioni e nei costi elevati in termini di tempo e risorse finanziarie da sostenere già nelle fasi preliminari di implementazione dei progetti. I costi di consulenze tecniche, finanziarie e fiscali possono risultare spesso difficilmente sostenibili per i progetti più piccoli. Una recente indagine ha rivelato che in Italia su 100 bandi pubblicati da enti pubblici per realizzare opere in partenariato con i privati 66 vengono aggiudicate; 38 arrivano ai lavori; 25, infine, li concludono e avviano la gestione privata dell’opera. In pratica il 75% delle iniziative si perde per strada. Quali sono a suo avviso le cause? La selezione è figlia sia della complessità intrinseca del project financing sia della non corrispondenza, a volte, tra le proposte degli enti pubblici e le esigenze dei privati - sponsor e finanziatori. In altri termini quali caratteristiche devono avere le operazioni e i progetti per attrarre l’interesse degli investitori? A quali condizioni è possibile oggi per un investitore allocare fondi su un investimento infrastrutturale? La giusta ripartizione dei rischi/opportunità tra pubblica amministrazione, sponsor privati e finanziatori è un ottimo punto di partenza. La scelta di sponsor adeguati è fondamentale. Per applicare le tecniche del project financing è necessario che la componente gestionale del progetto sia preponderante e che i flussi di ricavi siano facilmente prevedibili. Su queste basi, ad oggi è stato più agevole finanziare opere quali parcheggi, strade, asili, i cui flussi di ricavi sono (relativamente) facili da prevedere. L’attenzione verso il finanziamento delle infrastrutture sembra concentrarsi sugli strumenti finanziari, tra cui i project bond: di cosa si tratta e qual è la loro importanza? I project bond sono nuovi strumenti finanziari (obbligazioni) promossi dalla Commissione Europea il cui obiettivo è quello di stimolare gli investimenti in alcuni settori chiave delle infrastrutture: trasporti, energia, comunicazione e IT. I project bond, pensati soprattutto per opere di medie e grandi dimensioni, hanno l’ulteriore obiettivo di ampliare la platea di possibili finanziatori dei progetti (oggi solo banche, domani investitori qualificati) grazie a un trattamento fiscale di favore e al miglioramento del merito creditizio delle società veicolo, attraverso un meccanismo di garanzia esterna. Come si profila quindi il ruolo delle banche nelle operazioni di finanza di progetto e come è destinato a evolversi? Con riferimento ai project bond, la materia è ancora in evoluzione e il successo dello strumento dipenderà da fattori oggi ancora non del tutto ponderabili. Le banche - e qui intendiamo banche d’affari - si occuperanno della valutazione del progetto, della creazione e della successiva distribuzione del project bond. Com’è la situazione attuale in materia, vista la congiuntura sfavorevole, e quali invece le prospettive nel breve, medio e lungo periodo? Il mondo del project financing in Italia paga la dimensione relativamente contenuta dei progetti e la crisi finanziaria internazionale degli ultimi anni, che ha impattato negativamente sul settore mettendo in difficoltà molti progetti. Siamo tuttavia convinti che il comparto abbia margini di crescita e possa risultare fondamentale per il rinnovamento e potenziamento delle infrastrutture del Paese. Come si sta muovendo Cariparma su questo terreno? Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole aggrega tre banche commerciali - Cariparma, Carispezia e FriulAdria - tutte con forte radicamento nelle proprie aree di presenza. Siamo attenti alle esigenze dei nostri territori e vogliamo favorire la realizzazione di progetti, ad esempio, nei settori dell’energia rinnovabile, ambiente o dei trasporti e viabilità, come i parcheggi. Il nostro team di finanza d’impresa, costituito da professionisti specializzati, si occupa di strutturare operazioni di project financing di media e piccola caratura. Per le operazioni maggiori ci coordiniamo con Crédit Agricole Corporate and Investment Banking, la società della capogruppo specializzata nelle operazioni di project financing. PARMA economica 71 ECONOMIA E società bilancio dell’ente, l’investimento non incide sui fattori rilevanti ai fini del rispetto del Patto di stabilità, vincolo temuto e criticato da tutti i sindaci italiani, in quanto spesso vanifica le promesse elettorali, le necessità delle città e i giusti diritti delle imprese a essere pagate in tempi ragionevoli per il lavori effettuati. Questo è un aspetto di assoluta rilevanza da valutare rispetto ai fattori positivi del modello PPP. L’operazione, essendo di natura pluriennale nella sua realizzazione, può presentare aspetti di rischio e di aleatorietà che pure vanno valutati. I flussi monetari vanno previsti realisticamente, perché il progetto deve essere dotato di un piano economico a pareggio. I piani tariffari e gli oneri per gli utenti devono essere equi, appetibili per i partner privati, ma non eccessivamente gravosi per i cittadini che, come utenti finali, rappresentano l’anello più debole nell’organigramma degli attori. Fondamentale è anche la valutazione dei vincoli paesaggistici, di destinazione, architettonici e archeologici contenuti in normative e piani strutturali comunali. Abbiamo esempi di progetti in ritardo di anni per problemi legati a tali vincoli o a cambi di destinazione di beni monumentali, ricorsi di associazioni, indagini delle procure sulla correttezza delle procedure. I ritardi nelle realizzazioni possono pregiudicare la sostenibilità economica dei progetti e alterare le previsioni dei flussi. Esempi di questo tipo sono presenti purtroppo anche nella nostra città: uno per tutti, l’Ospedale vecchio. Diffusione della finanza di progetto: diffidenze e condivisioni La complessità della finanza di progetto, la molteplicità degli attori, le dinamiche economiche e del mercato finanziario, l’interesse dei cittadini, i piani tariffari e dei flussi monetari richiedono un approccio ad alto contenuto specialistico, nell’ambito del quale senza dubbio si inserisce con indubbio vantaggio il supporto dell’Unità tecnica finanza di progetto, oltre che le indispensabili e alte specializzazioni degli attori coinvolti e dei partner pubblici. L’iter burocratico è un altro aspetto rilevante. Il recente Decreto sviluppo ha cercato di semplificarlo, introducendo modifiche al Codice dei contratti pubblici nell’intento di «incentivare maggiormente l’intervento di capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche, attraverso 72 PARMA economica l’introduzione di una procedura caratterizzata da snellezza e celerità». Sono stati introdotti anche incentivi fiscali per i concessionari e l’obbligo di indire una conferenza di servizi in fase di studio di fattibilità del progetto presentato dal promotore. La novità è importante, perché permette di anticipare prima della gara osservazioni o eventuali conflitti istituzionali relativi al progetto infrastruttuLa complessità rale. Affrontare le problematiche con eventuali modifiche allo del tema richiede stesso studio di fattibilità prima un approccio ad che questo sia messo in gara con- alto contenuto ferisce maggiore certezza dell’inspecialistico vestimento. Salvaguardia dell’interesse pubblico Gli spunti che abbiamo offerto si pongono l’obiettivo di “ragionare” su un’opportunità notevole in uno scenario di sviluppo preoccupante e in forte stallo, per cui si pensa che gli aspetti positivi prevalgano senza dubbio sulle diffidenze ai fini di realizzare progetti che consentano di rivitalizzare il lavoro e i servizi. Ma un principio al quale gli attori non si devono sottrarre è quello di considerare il più centrale possibile il ruolo dei cittadini-fruitori, con la tutela del loro interesse sociale e soprattutto di un livello sostenibile del loro contributo economico. mercati esteri La tigre ha il fiato corto? Dopo la crescita dirompente nel primo decennio del Duemila, l’India appare oggi in rallentamento. Colpa della crisi, ma soprattutto di mali storici che continuano ad affliggere il Paese Sabrina Sabatini E conomia in frenata e riforme bloccate nel mezzo di una profonda paralisi politica. Dopo oltre 10 anni di rapida crescita l’economia indiana rallenta parzialmente il suo corso, attestandosi attualmente intorno al 5%. La causa? Burocrazia lenta e macchinosa, riforme promesse e mai realmente implementate, scandali e corruzione. Tutte le principali economie emergenti stanno affrontando indebolimento della domanBurocrazia, mancate un da esterna, ma la congiuntura riforme, corruzione: dell’India è stata inasprita da un i problemi storici calo degli investimenti che rifletdell’India sono te una più profonda mancanza di direzione ufficiale e fiducia delle ancora sul tavolo imprese. Anche le previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) di un miglioramento modesto nel 2013 si basano sulla capacità del governo La notte di Mumbai, di dare vita a una gran quantità di riforme capitale dello stato del economiche in stallo. Gli investitori sono Maharashtra, in India occidentale diffidenti: gli investimenti stranieri, a con- fronto con il 2011, sono diminuiti pesantemente nel primo trimestre del 2012. La politica ha risposto in maniera inadeguata, tra le proteste della popolazione in diverse parti del Paese. La più grande democrazia al mondo e la terza economia asiatica dopo Cina e Giappone è sotto pressione, deve dimostrare che non rimarrà indietro rispetto agli altri Paesi emergenti. Deve tornare a crescere, politicamente ed economicamente. Fenomeni quali la corruzione e forse un uso un po’ “disinvolto” dei fondi pubblici non rappresentano una novità per il Paese, ma erano sinora stati offuscati da una crescita economica che dal 1997 al 2011 si era attestata su una media del 7%. Lo scorso inverno, invece, si è registrato un primo rallentamento, confermato anche nel periodo successivo. Nel 2012, il livello di crescita non dovrebbe superare il 6%, valore in gran parte neutralizzato dallo sviluppo demografico della popolazione. Troppo poco per uno stato in PARMA economica 73 mercati esteri cui circa il 20% degli abitanti vive ancora in una situazione di forte insicurezza alimentare e il 40% continua a non avere accesso alla rete elettrica. Il terribile black out (l’ultimo di una serie) dell'estate 2011 ha lasciato al buio mezza India, sintomo di spaventosi ritardi nelle infrastrutture (energia, ma non solo: anche autostrade, ferrovie e aeroporti). Il problema è sempre l’amministrazione pubblica, «la peggiore di tutta l’Asia» come la definisce la classifica redatta dalla Political and Economic Risk Consultancy (con sede a Hong Kong) per confrontare le nazioni del “miracolo d’Oriente”. L’India è ultima, dopo Vietnam, Indonesia, Filippine, Cina. Il governo non è incisivo e la crescita degli anni ‘90, di cui proprio l’attuale primo ministro Manmohan Singh fu uno dei maggiori protagonisti in veste di ministro delle Da Parma a New Delhi, col supporto di Bill Gates “Passaggio in India” di un ingegnere aerospaziale parmigiano che, con in tasca la maturità classica e la laurea al Politecnico di Milano, è diventato imprenditore di successo di Eko, innovativa società indiana di sistemi informatici e intermediazione finanziaria. Passando prima dalla telemetria in Formula 1 e da qualche anno di attività manageriale negli Stati Uniti. Matteo Chiampo, 46 anni, moglie americana e due figli, Stefano di 8 anni e Lodovico di 6, sintetizza in sé le dinamiche imprevedibili ma attivabili in un Paese emergente come l’India. Un Paese che non solo produce a basso costo beni e servizi di base, ma investe sempre più in tecnologia. Cosa l’ha spinta ad andare in India? Con mia moglie Ashley, nel 2007, ho iniziato a sentire l’esigenza di nuove sfide, dopo 10 anni a Boston. Abbiamo elencato tutte le nazioni nel mondo dove ci sarebbe piaciuto trasferirci e, sulla base di vari parametri quali democrazia come forma di governo, inglese come lingua di business, crescita economica, abbiamo ristretto la scelta a 4-5 nazioni, e alla fine abbiamo preferito l’India. Una volta 74 PARMA economica decisa la città, abbiamo comprato quattro biglietti di sola andata e ci siamo trasferiti. Arrivati qui, abbiamo avuto la possibilità di conoscere a fondo una cultura fondamentalmente diversa da quella occidentale, con disparità socioeconomiche estreme. In realtà Chiampo, tramite un caro amico, aveva già sondato il terreno e conosciuto il team che stava sviluppando l’idea di Eko, con i fondatori Abhishek Sinha e suo fratello Abhinav. Da prototipo di software concepito in un garage, oggi Eko, con sede a New Delhi, è diventata una società che, sfruttando le reti di telefonia esistenti, consente a tutti di avere un conto in banca e di trasferire denaro in ogni angolo del Paese. Perchè aprire in India un sistema di branchless banking come Eko? Eko è un sistema di branchless banking. Dà la possibilità alla popolazione meno abbiente di aprire un conto corrente e fare operazioni bancarie di base (transazioni anche di 2-5 dollari) in uno dei 2.000 negozi convenzionati, utilizzando il telefono cellulare. L’idea è nata osservando da un lato la straordinaria diffusione della telefonia cellulare e dall’altro la mancanza quasi totale di servizi finanziari di base per la popolazione meno abbiente: c’era un bisogno non soddisfatto che richiedeva una soluzione innovativa e a basso costo. Un cliente può avvicinare un Eko Customer Service Point, o Eko CSP – tipicamente un piccolo negozio di alimentari o telefonia - e con un minimo di documentazione aprire un conto corrente, depositare e prelevare contante, fare bonifici. A costi contenuti e alla portata delle masse. E l’operatore del CSP è incentivato con commissioni sulle transazioni. Avete investito da soli nel progetto? Abbiamo avuto un supporto fantastico dalla Bill & Melinda Gates Foundation che, venuta a conoscenza del progetto, ci ha creduto e ha fornito una sovvenzione di 1,82 milioni di dollari. Bill Gates in persona ha passato una mezza giornata visitando il sito del nostro progetto pilota nel 2009. Questo ci ha permesso di sviluppare la tecnologia e il modello di business, e di ottenere poi un altro finanziamento da un fondo di venture ca- mercati esteri La città-tempio di Srirangam, sul fiume Kaveri. È circondata da sette cinte murarie, con splendidi portali d'ingresso Finanze, sembra lasciata alle spalle. In realtà il miracolo indiano non può essere dimenticato, la sua scomparsa potrebbe addirittura avere effetti negativi sul processo di pace di recente avviato con il Pakistan, sotto la spinta magari di partiti nazionalisti, in vista delle prossime elezioni. Di recente un’indagine Onu ha individuato nell’India la terza destinazione favorita per gli investimenti esteri diretti, dopo Cina e Stati Uniti. E tuttavia proprio quell’indagine, della United Nations Economic and Social Commission for Asia, rivela un paradosso: l’India si piazza terza quando si rilevano le intenzioni d’investimento, ma in realtà fino al 2011 gli investimenti erano ben più consistenti negli altri Paesi Brics: 124 miliardi di dollari in Cina, 67 in Brasile, 53 in Russia, contro i 32 miliardi affluiti in India. È come se ci pital di Chicago per 5,5 milioni di dollari nel 2011. Quale difficoltà avete incontrato? Le maggiori le abbiamo incontrate nel creare un modello di business sostenibile. Trattando con una fascia di popolazione con reddito attorno ai 2-3 dollari al giorno, è estremamente complesso creare un sistema che mantenga costi bassissimi e allo stesso tempo fornisca il servizio richiesto. È stato difficile anche creare un senso di fiducia nella clientela, ma a tal fine è venuta in aiuto la partnership con la State Bank of India, la principale banca indiana, che abbiamo siglato nel 2009. Il mercato è ancora in espansione? Dal 2007 il business si è sviluppato fino ad avere oggi più di due milioni di utenti - erano 180mila nel 2010 - con volume di “transato” di quasi 20 milioni di euro al mese. Il mercato è in forte espansione, con una crescita del 50-100% annua e varie politiche del governo indiano contribuiscono a creare un ambiente propizio per lo sviluppo di sistemi di branchless banking come Eko. Quando torna a Parma, cosa prova? Ha nostalgia di qualcosa? Cerchiamo di visitare Parma almeno una volta all’anno, anche più di frequente se possibile. Tutta la mia famiglia e i miei amici più cari sono a Parma, quindi abbiamo molte buone ragioni per tornarvi – non possiamo permetterci di non portare i nipotini a trovare la nonna Gabriella! – e sia io che la mia famiglia più veniamo a contatto con culture e luoghi diversi in giro per il mondo, più apprezziamo la bellezza e piacevolezza della città. Intende proseguire la sua esperienza in India? L’India è una nazione con un potenziale eccezionale e per il prossimo futuro non ho in programma di muovermi. Dopo 4 anni in Eko, prima come chief product architech e poi come chief operating officer, equivalente ad un direttore generale italiano, ho deciso di cambiare: dall’inizio del 2012, pur mantenendo le mie quote azionarie, non sono più coinvolto nel management day-by-day della società. Come definirmi? Un osservatore estremamente interessato e un tifoso. Per capi- talizzare l’opportunità indiana ho investito negli ultimi nove mesi in tre start-up cui ho fornito capitali iniziali e supporto nella formulazione di strategie per market entry, sviluppo di prodotto, crescita della base di utenza e raccolta di capitali. Sto anche finalizzando con alcuni soci una value proposition innovativa che superi il tradizionale approccio consulenziale all’internazionalizzazione delle Pmi. L’idea è stata creare un nucleo forte di professionisti che come me hanno vissuto con successo "la prova" dell’internazionalizzazione, in grado di agire sia come tutor dell’imprenditore sia di alimentare con informazioni, contatti e numeri corretti i piani di sviluppo dell’impresa. Allo stato attuale siamo operativi con resident partner in Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, coprendo così tutti i Brics. La cosa che voglio far notare è che l’Italia resta il cuore dell’iniziativa, promossa da ex docenti della Bocconi e da un primario studio legale a Milano, e sono per lo più coinvolti dei parmigiani. Questo naturalmente mi fa molto piacere e la dice lunga sullo spirito imprenditoriale e sul dinamismo della nostra gente. PARMA economica 75 mercati esteri Boing 787 di Air India, compagnia aerea a controllo statale fosse un divario permanente tra il sogno indiano, le opportunità potenziali, e ciò che si può fare davvero. La chiave, come sempre ancora una volta, sta nella “dittatura dei Babu”, espressione con cui si identificano tutti i divieti, ostacoli, intralci frapposti dai burocrati a chiunque voglia investire. Ma i cambiamenti in corso potrebbero invertire la rotta. L’ottuagenario primo ministro indiano Manmohan Singh si è recentemente reso conto della disperata necessità di un nuovo impulso. Gli economisti di tutto il mondo hanno preso nota dell’arrivo di Raghuram Rajan, economista statunitense di origini indiane (uno dei pochi economisti al mondo ad avvertire la comunità internazionale della crisi imminente prima che si manifestasse), come capo economista nel Ministero indiano delle Finanze. Rajan è uno dei più famosi tra i ricercatori accademici: già professore di finanza alla Booth school of business dell’università di Chicago, dal 2008 consigliere economico onorario del primo ministro indiano Manmohan Singh e già economista del Fmi alla guida di un comitato incaricato dalla Planning Commission sul tema delle riforme finanziarie in India, nonché brillante scrittore di economia politica. Ma è tutt’altro che ovvio il fatto che Sonia Gandhi, presidente del Congresso nazionale indiano e politico più potente del Paese, condivida il programma di riforme di Singh. Dal 2006, anno in cui la l'india si è affacciata in maniera prepotente sulla scena mondiale alla riunione annuale a Davos del 76 PARMA economica World economic forum, la crescita del Paese è stata rapidissima. Ma le performance negative a partire dalla fine del 2011, aggravate da un deficit della bilancia commerciale di 10 miliardi di dollari - praticamente unico caso tra i Brics e tra gran parte delle economie emergenti - hanno reso ancora più allarmante la situazione. Secondo il Financial Times il deficit è dovuto in parte a una scelta politica di favorire il mercato interno rispetto alle esportazioni e in parte al costo delle importazioni energetiche: ha bisogno infatti di acquistare all’estero petrolio e carbone ma lo fa con una moneta debolissima (la rupia). Il Paese esporta poco e il governo continua a stampare rupie nel tentativo di stimolare l’economia, causando però impennate nell’inflazione ormai quasi fuori controllo. Come uscire dall’impasse e recuperare il terreno perduto, affinché l’India non venga etichettata come “il più debole mattone nel muro delle grandi potenze” (the weakest bric(k) in the wall)? Secondo Raghuram Rajan la soluzione si trova nel «ciò che dobbiamo fare è dimostrare che siamo un’economia sana, un buon rifugio come mercato emergente, piuttosto che qualcosa da cui scappare. Fatto questo, ne trarremo beneficio. Ogni Paese ha i suoi problemi: il Brasile ha problemi col credito, la Cina sta rallentando, mettendo in discussione il suo modello di crescita. In questa circostanza cosa possiamo fare per differenziarci e diventare più attrattivi? Gli investitori sono sempre alla ricerca di alti tassi di crescita. Se saremo in grado di mercati esteri creare le giuste condizioni, una parte dei flussi di denaro attualmente in uscita rientrerà. Questo dovrà essere un obiettivo, rafforzato e confortato nel lungo termine da un ritorno degli investimenti diretti esteri e da riserve adeguate». Esportare o investire in India Il mercato indiano può sembrare ancora chiuso e protetto relativamente agli standard internazionali. Eppure il volume di esportazioni e importazioni è cresciuto Alte barriere tariffarie in modo sostanziale nell’ultimo decennio. In particolare le impore scarse agevolazioni tazioni indiane sono aumentate per investimenti di cinque volte, portando il valore esteri limitano dell’import al 30% circa del Pil e l’interscambio quello dell’export al 25%. I dati forniti dal Ministero del Commercio indiano relativi al periodo aprile 2011-gennaio 2012 mostrano che l’interscambio commerciale è salito del 48%. L’Unione europea nel suo complesso è al primo posto tra i principali acquirenti con il 18%, pari a 44,23 miliardi di dollari, rispetto a un totale di 242,88 miliardi di dollari. L’Italia è 15esima nel dettaglio Paesi con 4,1 miliardi di dollari, pari all’1,69%, quinto posto all’interno della Ue. A seguire l’Asean (Associazione delle Nazioni del Matteo Chiampo in un Sud-Est asiatico) con il 13%, gli Usa con momento di pendolarismo il 12%, gli Emirati Arabi Uniti con il 12%, quotidino a New Dehli (foto di Marco Gualazzini) la Cina con il 6%. Tra i principali prodotti esportati dall’India ricordiamo in ordine decrescente: petrolio e derivati, gioielleria e pietre preziose, mezzi di trasporto, macchinari e apparecchiature, prodotti chimici e farmaceutici, in cotone e accessori, in metallo, altri, filati e tessuti, ecc. Tra i principali fornitori dell’India, sempre nel periodo aprile 2011-gennaio 2012: la Cina con il 12,04% (14,46% se si considera anche Hong Kong), l’Ue con l’11,9% (al suo interno: Germania al 1° posto, Italia al 4°). L’Italia è al 24° posto assoluto con una quota dell’1,13%. Da notare che la marcata dipendenza energetica dall’estero dell’India fa sì che oltre un quarto delle importazioni provengano dai Paesi arabi produttori di petrolio. I retaggi del passato sopravvivono in India nelle alte barriere tariffarie, in un sistema di licenze all’importazione macchinoso e lento, nel tuttora limitato accesso degli investitori stranieri a settori critici quali i servizi finanziari e il retail, nel permanere di una riserva per le piccole e medie imprese; tutti aspetti che di fatto limitano le imprese straniere a operare direttamente nel Paese. Al superamento di questi ostacoli mira l’Ue, attraverso la finalizzazione dell’accordo di libero scambio (FTA Ue-India). L’India, membro del WTO dal 1 gennaio 1995, ha consolidato il 71% delle linee tariffarie per prodotti industriali. La maggior parte di queste è a un livello piuttosto PARMA economica 77 mercati esteri alto e su questa fascia si concentra l’export italiano. Tra le barriere tariffarie: dazi attorno al 150% su vini e liquori, 40% sul segmento lusso, dal 30% al 60% nel settore automotive, altri sui prodotti del caffè, marmi e lapidei. Inoltre ricorso massiccio a misure anti dumping a scopo protezionistico. Tra quelle non tariffarie: differente imposizione fiscale tra uno stato e l’altro, grande mutevolezza del quadro normativo nazionale, etichettatura dei prodotti confezionati con indicazione del prezzo massimo che prevede anche costi di trasporto, assicurazioni e tasse locali. Particolarmente delicato il comparto alimentare, a causa delle misure sanitarie e fitosanitarie richieste dall’India che spesso vanno ben oltre i requisiti adottati a livello di Oms (parecchie difficoltà, ad esempio, per prosciutto, prodotti caseari, ecc). L’interscambio con l’Italia Negli ultimi 20 anni, dal 1991 al 2011, l’interscambio commerciale Italia-India è cresciuto di 12 volte, passando da 708 milioni di euro a 8,5 miliardi. Nel corso delle due decadi le esportazioni verso l’India sono complessivamente aumentate più delle importazioni dall’India, ma nel biennio 2010/2011 si è assistito a un’inversione di tendenza, con una performance delle esportazioni indiane particolarmente brillante. Nel 2011 l’export italiano, pari a circa 3,7 miliardi di euro, è aumentato del 10,4% e quello indiano in Italia, per un valore di 4,7 miliardi, è cresciuto del 25,1%. I macchinari rappresentano tradizionalmente la prima voce export per il nostro Paese con una quota del 44,4% nel 2011 (due punti percentuali in più rispetto al 2010), all’11,3% trovia- Nonostante la mo i metalli e i prodotti in metallo, seguiti da mezzi di trasporto povertà dilagante, con il 9%, questi ultimi in con- la concentrazione trazione. Facendo un confronto di miliardari è la più con altri mercati di destinazione alta dell’Asia delle merci italiane, l’export italiano verso India è aumentato a un ritmo (+10,4%) inferiore all’incremento complessivo dell’export verso altri Paesi emergenti, quali Brasile (+23,4%) e Cina (+16,2%) o verso mercati consolidati come USA (+12,4%) e Giappone (+18,1%). L’Ue complessivamente continua a essere comunque il principale mercato di destinazione delle merci italiane (56% del to- Quasi un continente Gigante asiatico, repubblica federale e settimo per estensione geografica al mondo (3.287.590 kmq), è anche il secondo più popolato, con 1,205 miliardi di abitanti (345 abitanti per kmq) e secondo alcune statistiche potrebbe superare la Cina nel 2037. È la più grande democrazia (parlamentare) fondata sul multipartitismo, con una pluralità di lingue, religioni, caste e classi sociali. Con un’età media degli abitanti di 25,3 anni (contro i 34 della Cina, i 37 degli Stati Uniti, i 38 della Russia, i 43,7 dell’Italia, i 44 del Giappone), un tasso di alfabetizzazione del 74% (censimento 2010, rispetto al 65% del 2000), 250 università, 13.000 scuole superiori e 2,1 milioni di laureati all’anno (di cui 300.000 ingegneri e 150.000 tecnici informatici). Le importanti riforme in senso liberista a partire già dagli anni ‘80, via via più incisive a livello di politica economica negli anni ‘90, finalizzate a stabilizzare il mercato, liberalizza- 78 PARMA economica re il commercio, incentivare l’afflusso degli investimenti e sviluppare il mercato finanziario, hanno trasformato il Paese in una delle economie a più rapida crescita (è uno dei cinque Paesi a cui ci si riferisce con l’acronimo Brics, insieme a Brasile, Russia, Cina e Sud-Africa), confermandolo decima potenza al mondo per industrializzazione e quarta economia mondiale per Ppp (purchasing power parity, ovvero Pil a parità di potere d’acquisto) pari, nel 2011, a 4.463 miliardi di dollari. Il Pil indiano, sulla base dei principali settori produttivi, è composto per il 16% dall’agricoltura, per il 21% dall’industria e per il 63% dai servizi, con una crescita particolarmente sostenuta nei settori secondario e terziario. L’India riunisce in sé fortissimi contrasti, profonda ricchezza ed estrema povertà, con alti livelli di analfabetismo e malnutrizione. Una concentrazione altissima di popolazione nelle aree urbane con oltre 100.000 abitanti e presenza di varie metropoli tra le città di prima fascia: Delhi con 12.565.901 abitanti nella capitale e 18.916.890 nell’area metropolitana (capitale politica, settori principali: telecomunicazioni, IT, banche, media, turismo); Mumbai con 13.830.884 abitanti e 21.900.967 nell’area metropolitana (capitale finanziaria e del cinema con Bollywood, telecomunicazioni, infrastrutture e costruzioni); Bangalore con 5.438.065 abitanti (capitale dell’IT); Chennai con 4.616.639 abitanti (settori: automotive, industria, industria pellame); Kolkata con 5.138.208 abitanti (settori principali: industria del pellame, IT, prodotti agricoli). Tra le città di seconda fascia: Ludhiana, 1.740.247 abitanti, Pune con 3.446.330 (automotive, IT), Pondicherry con 220.749 (produzione condizionatori, turismo), Goa con 1.457.723 (turismo, industria mineraria, farmaceutica). mercati esteri tale), mentre in India va circa l’1% delle nostre esportazioni. Secondo la rivista Forbes, l’India vanta il più alto numero di miliardari rispetto al resto dell’Asia e i cosiddetti “besono già oggi stimabili In India sono nestanti” in 60 milioni. Il prodotto italiapresenti 175 società no è percepito come sinonimo di servizi e 147 di qualità e moda e per questo impianti produttivi apprezzato dalla classe alta e medio-alta dei consumatori. In italiani particolare moda e lusso made in Italy, anche se i dazi contribuiscono naturalmente a far lievitare i prezzi, incentivando il consumatore ad acquistarli sulle piazze mediorientali più vicine e più competitive (Abu Dhabi e Dubai soprattutto). Comunque c’è un buon mercato per i settori macchinari e macchine utensili (soprattutto per lavorazione e taglio di metalli e pietre preziose, con un’ipotesi di crescita del 10-15% nei prossimi 5 anni), componentistica auto (in forte espansione, passata da 9 miliardi di dollari nel 20042005 a 22 miliardi nel 2009-2010 - dati del Ministero degli Affari Esteri), e alta tecnologia. Gli investimenti italiani in India, seppur in crescita, sono ancora fortemente al di sotto delle potenzialità e non solo per i grandi gruppi. L’India infatti, per la struttura del suo sistema economico, si candida a diventare partner preferenziale anche per Elefanti decorati per la parata del festival annuale degli elefanti di Jaipur la piccola e media impresa italiana. Guarda, per i suoi 26 milioni di piccole e medie imprese, ai nostri distretti industriali, anche in termini di know-how logistico e gestionale tipico delle reti di impresa che l’India sta cercando di sviluppare. I settori potenzialmente più attraenti per gli investitori italiani restano automotive e componentistica auto, infrastrutture (strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, sviluppo: Banca mondiale e Banca asiatica di sviluppo hanno stanziato complessivamente finora quasi 30 miliardi di dollari in investimenti infrastrutturali), energie rinnovabili (in particolare eolico – dove l’India è già quinto Paese al mondo per capacità installata – solare e altre), biotecnologie (agroalimentari, farmaceutiche, mediche, ambientali), moda, industria dei macchinari e della lavorazione dei gioielli. L’India, ormai riconosciuta capitale mondiale per la lavorazione dei diamanti e molto forte nel procurement di gioielleria di alta qualità, avrebbe bisogno di accordi con l’Italia in particolare per i macchinari tecnologicamente avanzati utili per la realizzazione di nuove forme di alto design. Il governo dovrebbe poter permettere a breve investimenti diretti esteri al 100% del capitale, approvazione automatica degli investimenti, creazione di zone economiche speciali per la lavorazione. PARMA economica 79 mercati esteri Mercato delle spezie nella città di Jodhpur, nel Nord-Ovest della penisola indiana Competitività, UNA strada ancora lunga Nell’elaborare la classifica 20122013 sulla competitività, stilata dal World Economic Forum di Davos, gli esperti hanno analizzato la situazione economica in 144 Paesi e ne hanno misurato la capacità di crescita nel medio e lungo periodo, escludendo le previsioni del prossimo biennio. La Cina è stata posizionata al 29° posto come altri Paesi dei Brics: Brasile (48°), Sud Africa (52°), India (59°) e Russia (67°). Per la prima volta la Francia è esclusa dalle prime 20 posizioni (quest’anno è risultata alla 21°) e tutti i Paesi dell’area mediterranea scivolano, oberati dai deficit, collocandosi un po’ più in basso: Spagna (36°), Italia (42°, conquistando una posizione dallo scorso anno, ma tallonata dalla Turchia che risulta al 43° posto e guadagna 16 posizioni). Altre economie asiatiche hanno invece fatto registrare importanti performance come il Giappone (9°) e Hong Kong (11°). Il dossier del Wef comprende 600 pagine e si basa su 12 misure di competitività e su un sondaggio di opinione tra gli imprenditori. Standard and Poor’s (S&P), non citando la recente spinta delle riforme da parte del governo indiano, ha abbassato le previsioni di crescita per l’India al 5,5% (dal 6,5% inizialmen- 80 PARMA economica te previsto), indicando come “volatile” la situazione economica globale per l’anno fiscale in corso. Il rapporto evidenzia anche come gli investitori globali siano diventati più critici nei confronti della politica dell’India e delle carenze infrastrutturali che sono state recentemente evidenziate dalla mancanza di corrente elettrica ai primi di agosto 2011, interessando 20 su 28 Stati dell’India. Fitch ha rivisto le previsioni di crescita al 6%, Morgan Stanley al 5,1% (settembre 2012). Comunque si parla sempre di un rating assegnato da S&P equivalente a BBB, mentre Moody’s ha dato Baa3 e Fitch BBB-. Quindi, anche se l’India ha un deficit pari al 5,9% del Pil (che è pur sempre inferiore a quello che si registra mediamente tra i Paesi occidentali ed è una caratteristica un po’ di tutti i Brics), il debito è comunque sostenibile grazie alle robuste prospettive di crescita e dall’elevato stock di risparmi. Alla luce della valutazione del rischio politico, economico, finanziario e operativo dell’India, il country risk rating complessivo assegnato al Paese da Sace, invariato rispetto al precedente rapporto, è M1, equivalente a 4 in una scala di rischio da 1 a 9 in ordine crescente. Le valutazioni Sace classificano l’India nel- la classe A, fra i Paesi assicurabili senza restrizioni, con categoria di rischio Ocse 3/7. Il Fondo monetario internazionale, dal canto suo, nel World economic outlook 2012 di aprile ha raccomandato al governo indiano di proseguire con le riforme e gli investimenti, prevedendo una crescita reale del Pil al 6,7% nel 2011-12, che diventerà 7% nel 2012-13. Il capo della missione del Fmi per l’India, Masahiko Takeda, ha confermato infatti che, «mentre questo è comunque un risultato di tutto rispetto, l’India ha un potenziale ancora maggiore da sfruttare per tendere al benessere economico di tutta la popolazione, compresa quella indigente. Oltre all’incertezza globale, l’inflazione elevata e l’inasprimento della politica monetaria, le carenze strutturali hanno contribuito pesantemente al rallentamento. I responsabili delle politiche devono poter contare su riforme strutturali per tornare a un livello di crescita superiore. Il governo dell’India ora deve considerare le crescenti minacce al rating creditizio di tipo investmentgrade del Paese. Le principali agenzie di rating lamentano sempre più la mancanza di una strategia di crescita e gli enormi deficit di bilancio del Paese». mercati esteri Per il settore agroalimentare e food processing, infine, è importante ricordare che il settore agricolo contribuisce per circa il 16% al Pil e assorbe il 60% della forza lavoro, però meno del 10% della produzione alimentare viene trasformata: il 40% deperisce prima di raggiungere il consumatore. Sono quindi necessari grossi investimenti in macchine agricole, tecnologie di trasformazione e conservazione dei prodotti, packaging, catena del freddo, infrastrutture logistiche, biotecnologie e laboratori per controllo qualità. Il modello Italia nel settore agro-food potrebbe avere quindi ottime opportunità di business, se si pensa solo al valore del settore macchine che si aggira già sui 200 miliardi di dollari e tenderà a 310 miliardi nel 2015. C’è addirittura un Ministero indiano sul food processing che punta sugli investimenti stranieri (ammessi con il 100% di proprietà), sia per macchinari sia per la costituzione di “parchi agro-tecnologici” a regimi fiscali vantaggiosi. Qualche numero sulla presenza italiana in India: più di 300 società italiane presenti in maniera radicata nel Paese (147 con impianti produttivi, 175 società di servizi); sei uffici di rappresentanza di banche italiane; attività bancarie e attività finanziarie e commerciali, consulenza alle imprese italiane. L’Italia è il 12° Paese in termini di investimenti diretti all’estero (0,74% del totale) e si classifica al quinto posto per i trasferimenti di tecnologia con 484 collaborazioni tecniche già avviate. Fonti Ministero degli Affari Esteri (rapporto Paese congiunto sull’India) Assocamerestero Fondo monetario internazionale (World economic outlook 2012) World Economic Forum di Davos 2012 (classifica sulla competitività) Sace (scheda Paese 2012 e www.sace.it) Il Sole 24 Ore The Indu The Economist Indo-Italian Chamber of Commerce & Industry di Mumbai (Business Atlas 2011 e dossier 2012) Ufficio Studi CCIAA di Parma (report esportazioni primo semestre 2012) Strade di Mumbai: la città più popolosa dell'India, con più di 13 milioni di abitanti PARMA economica 81 mercati esteri Il fattore energetico nella competizione internazionale La crescente domanda di energia, la maggiore rigidità dell’offerta e la concentrazione delle fonti in pochi Paesi originano uno scenario di tensioni latenti per il controllo delle forniture Maurizio Caggiati Paesi fornitori, di transito, consumatori Senza disponibilità di energia abbondante e regolare, la società nella quale viviamo non esisterebbe. L’energia serve per far funzionare gli stabilimenti dove vengono prodotte le merci e per trasportarle dove saranno vendute; serve per illuminare le strade, le abitazioni e gli uffici; serve per riscaldare gli ambienti durante la stagione fredda o rinfrescarli d’estate; serve nei trasporti di superficie, via mare e aerea; serve per inviare segnali televisivi e comunicare a distanza; serve per far funzionare il gran numero di elettrodomestici che riempiono le nostre case. Senza l’energia tutto si fermerebbe e il nostro benessere andrebbe in fumo. Lo stretto legame tra benessere e consumo di energia non è valido solo a livello indi- 82 PARMA economica viduale, ma anche a livello di nazioni. Se si confronta il prodotto interno lordo con il consumo di L’esaurimento delle energia dei diversi Paesi, si può fonti energetiche constatare che al crescere della crea conflitti ricchezza aumenta in modo quasi internazionali per il corrispondente il quantitativo di energia consumata. La disugua- loro possesso glianza nei consumi energetici pro capite evidenzia quindi molto bene le grandi differenze esistenti tra i livelli di benessere sul pianeta. D’altronde il progressivo esaurirsi di fonti energetiche quali il petrolio e il gas dà origine a rendite e provoca conflitti internazionali per impossessarsene. La dimensione geopolitica è dunque una delle variabili centrali che bisogna tenere presente nell’esame dei mercati energetici. mercati esteri L'area strategica dal punto di vista energetico La crescente competizione internazionale nell’accesso alle fonti energetiche, la fluttuazione dei prezzi delle materie prime e la forte politicizzazione dei rapporti tra Paesi fornitori, di transito e consumatori, hanno generato una crescente attenzione sulla questione della sicurezza energetica. Garantire la fornitura dell’energia necessaria ai propri cittadini è sempre stata una delle preoccupazioni fondamentali dei governi dei Paesi importatori, i quali hanno posto sempre un’attenzione particolare ai rapporti con i Paesi esportatori e con i Paesi di transito. Molti dei conflitti internazionali recenti (la guerra in Iraq del 2003 e il conflitto georgiano del 2008) sono stati interpretati, al di là delle ragioni ufficiali, come conflitti per controllare le forniture o le vie di passaggio delle fonti energetiche. Dal punto di vista dei Paesi produttori di energia, invece, il mantenimento dei flussi d’esportazione, la diversificazione dei mercati di sbocco e la sostenibilità delle attività di esplorazione e produzione di idrocarburi assumono una valenza strategica non trascurabile, tanto sul piano delle relazioni internazionali, quanto su quello delle dinamiche sociali, politiche ed economiche interne. La sicurezza energetica Il concetto di sicurezza energetica convenzionalmente è definito come “la disponibilità di rifornimenti energetici affidabili a prezzi ragionevoli”. Questa definizione si compone di due diversi aspetti, tra loro collegati. Il primo è quello dell’affidabilità dell’approvvigionamento di materie prime energetiche, ossia del loro flusso fisico dal luogo di produzione a quello di consumo. Il secondo aspetto è quello della ragionevolezza economica di questi approvvigionamenti, ovvero del fatto che la variazione dei prezzi delle risorse energetiche non sia tanto imprevedibile o marcata da tradursi in una destabilizzazione delle economie coinvolte. Solitamente nella visione dei Paesi sviluppati importatori la definizione di sicurezza energetica risente in modo evidente della loro situazione di dipendenza. Ma specularmente anche i Paesi produttori ed esportatori si trovano in una situazione di dipendenza, perché anche per loro la continuità dei flussi energetici programmati rappresenta una questione di sicurezza. Nei Paesi esportatori, infatti, l’industria energetica tende a rappresentare una quota rilevante del Pil, nonché la gran parte delle esportazioni. Di conseguenza, spesso gli altri settori economici stentano a svilupparsi e a diventare competitivi. Inoltre, i proventi delle esportazioni tendono a costituire una parte consistente delle entrate statali: di fatto, sono lo strumento indispensabile tramite il quale le élite si mantengono al potere. Per i Paesi produttori come per quelli consumatori, le risorse energetiche sono dun- PARMA economica 83 mercati esteri que tanto importanti da porre le parti in una situazione di dipendenza reciproca. La sicurezza energetica può essere minacciata da due diversi tipi di rischio: fisico ed economico. Il primo è quello relativo al regolare flusso delle risorse: le infrastrutture di trasporto possono avere guasti, oppure provocare disastri ambientali o addirittura essere oggetto di attentati. Nei Paesi di transito possono verificarsi un blocco o perdite consistenti: vedi gli avvenimenti di questi ultimi anni occorsi ai gasdotti posati in territorio ucraino e che trasportano il gas russo. Tutti questi casi comportano un’interruzione dei flussi, danneggiando indifferentemente esportatori e importatori. Il secondo tipo di rischio riguarda il prezzo. Va precisato che nel caso in cui esso aumenti, sussiste una significativa rigidità dei consumi rispetto alla sua variazione. Questa rigidità ha due implicazioni: nel breve periodo i consumatori non variano i consumi in proporzione alle variazioni. Nel lungo periodo, invece, essi rispondono modificando strutturalmente la propria domanda di energia, reagendo alla crescita dei prezzi con un aumento dell’efficienza energetica e il risparmio rispetto agli sprechi, e con una contestuale diversificazione delle fonti. Per i Paesi esportatori, le variazioni dei prezzi implicano un rischio sia quando sono positive, sia quando sono negative, soprattutto se risultano impreviste ed eccessive. Un crollo dei prezzi pone un problema di consistenza dei pagamenti e 84 PARMA economica un rischio per la stabilità politica delle élite che su quei proventi Storicamente le crisi hanno consolidato il loro potere. petrolifere hanno In parallelo si riduce la disponibilità finanziaria per effettuare provocato il crollo nuovi investimenti destinati ad dei prezzi nel breve ampliare e modernizzare tecno- periodo logicamente la propria capacità produttiva. Un rischio analogo alla contrazione dei prezzi è quello rappresentato dalle conseguenze delle crisi economiche in alcuni Paesi importatori: in questo caso si assiste a una contrazione dei volumi scambiati e a una riduzione delle rendite per il Paese esportatore. I rischi che derivano ai Paesi produttori da un aumento sostenuto dei prezzi sono meno evidenti, ma altrettanto gravi. Se nel breve periodo prezzi alti significano un aumento contingente delle rendite, la reazione successiva dei Paesi importatori può danneggiarli. Infatti, l’aumento di efficienza energetica o la diversificazione delle fonti da parte dei consumatori si traduce in una contrazione permanente della domanda con diminuzione delle entrate. Storicamente le crisi petrolifere del 1973 (guerra arabo-israeliana del Kippur) e 1979 (rivoluzione in Iran e ascesa di Ruhollah Khomeini) provocarono nel medio periodo (nella seconda metà degli anni Ottanta) il crollo dei prezzi petroliferi, determinato dagli investimenti effettuati dalle economie industrializzate in maggior efficienza e differenziazione delle fonti. mercati esteri L’azione dei Paesi produttori L’azione dei Paesi produttori, esercitata dalle imprese statali o direttamente dai governi, si è posta su diverse dimensioni: tecnica, economica e politica. La dimensione tecnica è quella più legata alla sicurezza fisica dei flussi: infrastrutture di produzione e trasporto. Per i Paesi esportatori si tratta, in primo luogo, di garantire un controllo politico e militare del proprio territorio. In alcuni casi, come quello delle rotte marittime, i Paesi esportatori sono costretti dai costi proibitivi del controllo della sicurezza delle rotte a delegare la protezione dei flussi ai Paesi importatori, come nel caso del controllo americano degli oceani. Un’altra misura tecnica, soprattutto nel caso del gas naturale, è la diversificazione delle infrastrutture di trasporto, fondamentale per ridurre il rischio che un Paese di transito possa bloccare le esportazioni. La diversificazione risulta fondamentale anche per quanto riguarda la dimensione economica e può essere intesa su due piani diversi. In primo luogo, differenziazione di settori produttivi: favorire lo sviluppo di settori manifatturieri e dei servizi è dunque una priorità per ogni decisore politico che voglia favorire la stabilità socioeconomica nel lungo periodo. diversificare anche la Partecipare al Occorre clientela finale per evitare le conmercato globale seguenze negative della crisi ecodell’energia implica nomica in un singolo Paese imcondividere una base portatore. Questa strategia può alti costi, come nel caso dei di regole comuni avere gasdotti: l’indubbia economia di scala della loro costruzione deve però avere come obiettivo la distribuzione a un’ampia platea di Paesi. La partecipazione a un mercato globale mette tuttavia in evidenza la terza dimensione dell’azione dei decisori: quella politica. I mercati internazionali sono meccanismi fondati sulla cooperazione fra Stati, con la condivisione di un minimo di regole e di valori. Per un Paese esportatore accedere ai mercati richiede una certa conformità a queste regole; le alternative sono un relativo isolamento e una ridotta possibilità di esportare risorse e incassare rendite. Il caso dell’Iran è in questo senso paradigmatico: la mancata accettazione di alcuni valori condivisi dagli Stati più forti del sistema internazionale da parte del governo di Teheran limita l’accesso al mercato internazionale e costringe il Paese a esportare solo verso quei clienti, come le imprese statali cinesi, che sono nella posizione politica e geografica di agire in modo bilaterale e che pagano all’Iran solo una frazione dei prezzi di mercato. La dimensione politica non riguarda solo i mercati, ma anche l’uso delle forniture a prezzo politico quale strumento d’influenza sulle scelte di altri Paesi. È il caso della Russia con alcune repubbliche ex-sovietiche. I decisori politici dei Paesi produttori hanno davanti a loro un periodo complesso, ricco di potenzialità ed esposto a rischi. Dalla loro prospettiva la questione della sicurezza energetica è un problema di mantenimento delle rendite e della capacità di trasformarle in stabilità politica. Alcune tendenze in atto, come l’aumento stabile dei prezzi del petrolio e delle fonti energetiche, collegato all’ampliamento delle dimensioni del mercato globale dell’energia, sono fattori di stabilità di lungo periodo. Viceversa, altre tendenze provocano un impatto destabilizzante: esiste il fondato rischio che la difficile congiuntura economica che colpisce i Paesi occidentali si stia diffondendo a tutte le economie mondiali, comportando livelli di domanda inferiori alle aspettative e quindi un calo delle rendite. Certamente un ulteriore fattore di rischio per gli equilibri geopolitici mondiali in una situazione che rivela ogni giorno nuove incertezze e fragilità di fondo. PARMA economica 85 mercati esteri Lo snodo strategico dell’Asia centrale Dedichiamo ora un capitolo all’Asia centrale e alle cinque repubbliche che la costituiscono. Parliamo di un’area che è snodo strategico delle politiche e degli interventi concreti per la sicurezza energetica. Analizzare la situazione politico-economica di questi Paesi e come essi sono attualmente incardinati nel sistema delle relazioni internazionali è importante per capire quale ruolo possono assumere nell’evoluzione delle strategie energetiche dei grandi Paesi produttori e compratori. Le cinque repubbliche sono Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan. Costituitesi in epoca sovietica, sono divenute indipendenti all’inizio degli anni ‘90. Questo immenso territorio ha avuto per secoli un ruolo quanto mai decisivo come via di transito privilegiata dei commerci tra Oriente e Occidente, lungo la cosiddetta “via della seta”. Islamizzata a partire dal X secolo e abitata prevalentemente da popolazioni turche, ma con un’importante componente iranica, l’Asia centrale ha avuto a lungo un posto importante nel mondo musulmano, in particolare grazie a centri come Samarcanda e Bukhara. Agli albori dell’età moderna, il mutamento delle rotte commerciali ha comportato un lento e profondo declino della regione. In seguito tale area è stata interessata dalla rivalità geopolitica tra l’impero russo e quello britannico. La definitiva conquista russa (e sovietica, poi) ha comportato uno sfruttamento di natura coloniale, emarginando tali nazioni 86 PARMA economica dai processi decisionali in ambito internazionale. In questo periodo è da segnalare, oltre alle consuete politiche antireligiose e di collettivizzazione forzata, un pesante processo di “ingegneria etnica” sul territorio che ha portato alla nascita delle cinque repubbliche citate, sulla base di confini alquanto problematici. Per non parlare dell’intensa azione di russificazione perseguita, soprattutto nel periodo staliniano, in alcune di queste repubbliche. Nonostante tali difficoltà, l’evoluzione politica dell’Asia centrale nei primi due decenni post-sovietici appare relativamente tranquilla e stabile, soprattutto se confrontata con le violente convulsioni della regione del Caucaso (Cecenia e Georgia). All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, in tutti i Paesi dell’area le posizioni dominanti sono risultate sostanzialmente controllate dall’antica classe dirigente comunista, riciclatasi nel nuovo contesto politico con modalità di governo di tipo clanico e autoritario. Dal punto di vista politico è possibile distinguere nell’area centroasiatica alcuni Paesi retti da regimi particolarmente repressivi (Uzbekistan e Turkmenistan) e altri relativamente più liberali (Kirghizistan, Kazakistan e Tagikistan). Elemento maggiormente significativo di differenziazione è quello tra Paesi dotati d’importanti risorse energetiche (Kazakistan e Turkmenistan) e quelli che ne sono privi (Tagikistan e Kirghizistan), con l’Uzbekistan che si colloca in una posizione intermedia. Il Kazakistan è il secondo produttore di mercati esteri La Lonely Road, in Kyrgyzstan petrolio nell’area post-sovietica, dopo la Federazione russa, e vanta anche una notevole produzione di gas naturale. Questa ricchezza ha consentito al Paese conseguire tassi significativi di Se il progetto andrà di crescita economica e di affermare in porto, il gas un ruolo riconosciuto in campo turkmeno arriverà internazionale, grazie a una linea all’Europa tramite un equilibrata in politica estera, culnel 2010 col raggiungigasdotto minata mento della presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce: assieme a Stati Uniti e Canada vi partecipano tutti i Paesi europei, i Paesi del Caucaso e dell’Asia centrale). Tuttavia, dopo l’ennesima – la quarta – elezione plebiscitaria presidenziale di Nursultan Nazarbayev, nell’aprile 2011, il Kazakistan è stato scosso da alcuni attentati terroristici d’ispirazione islamista, quindi dagli scioperi delle maestranze petrolifere con violenti scontri (dicembre 2011). L’Uzbekistan occupa un posto molto particolare nella regione: al suo interno si trovano i maggiori centri culturali dell’Asia centrale (Samarcanda e Bukhara). È uno dei primi produttori al mondo di gas naturale e uno dei maggiori esportatori di cotone. La sua struttura economica rimane comunque disarmonica, mentre nella sfera politica continua a essere caratterizzato da una situazione stabile, ma particolarmente repressiva. Possiede l’esercito più numeroso dell’Asia centrale, utile a contrastare il pericolo dell’instabilità delle sue frontiere e pronto a reprimere le minacce del fon- damentalismo islamico. Durante la guerra civile in Tagikistan (1992–1997) il governo di Taskent è intervenuto direttamente con un contingente militare per riaffermare con decisione le proprie posizioni su alcune dispute territoriali per l’espansione di una centrale idroelettrica. Nonostante le sue notevoli ricchezze energetiche (gas in particolare), il Turkmenistan è ancora lontano da accettabili livelli di sviluppo socio-economico: si è consolidato un sistema dirigistico monopartitico, con un tasso di democratizzazione tra i più bassi a livello regionale. Sul piano internazionale il governo turkmeno ha perseguito una strategia di diversificazione degli acquirenti e delle rotte d’esportazione, siglando contratti d’esportazione e di sfruttamento dei maggiori giacimenti del Paese con compagnie occidentali, mediorientali, coreane e cinesi, intensificando parallelamente i negoziati in vista della costruzione di reti di gasdotti che spezzassero il tradizionale monopolio russo sull’acquisto del gas turkmeno. Interlocutore più rilevante nella strategia di diversificazione è stata la Cina. L’inaugurazione, nel dicembre 2009, del gasdotto Central Asia-China Gas Pipeline (della portata di 40 miliardi di metri cubi di gas su base annua) tra Turkmenistan e la regione autonoma cinese dello Xinjiang, attraverso Uzbekistan e Kazakistan, ha rappresentato il principale risultato della strategia energetica di Asgabat. Il governo turkmeno è inoltre impegnato, oltre che nel rafforzamento della partnership con l’Iran, anche in due ulteriori PARMA economica 87 mercati esteri Astana, la capitale del Kazakistan progetti infrastrutturali. Il primo di questi consiste nella costruzione di una rete di gasdotti trans-caspica (Trans-Caspian Gas Pipeline, TCGP) in grado di collegare il Turkmenistan con le coste dell’Azerbaigian e, da qui, con i mercati europei. L’irrisolta questione dello status legale dei giacimenti del Mar Caspio e la tradizionale opposizione russa alla costruzione del TCGP costituiscono i maggiori ostacoli alla sua realizzazione. Altro tradizionale obiettivo della strategia turkmena di diversificazione degli acquirenti di gas è la costruzione di un gasdotto verso l’India, attraverso Afghanistan e Pakistan (TAPI). Progetto congelato per oltre un decennio a causa delle difficoltà di transito in territorio afgano e dalle tensioni indo-pakistane, il TAPI torna oggi a catalizzare l’attenzione dei Paesi coinvolti, forti del sostegno garantito dagli Stati Uniti e dalla Banca di Sviluppo Asiatica, nell’ottica del progressivo processo di stabilizzazione del teatro afgano. Il Kirghizistan si presenta come un Paese relativamente pluralista, caratterizzato da tutta una serie di problemi irrisolti: persistente fragilità economica; instabilità politica; forte e crescente spaccatura tra Nord e Sud del Paese; contrasti con la consistente minoranza uzbeka. Il Paese dispone, infatti, di scarse risorse naturali, tra cui le maggiori sono l’oro – che costituisce più di un terzo delle sue esportazioni – e l’acqua. Le abbondanti risorse idriche hanno permesso al Paese di avviare importanti progetti idroelettrici e restano moneta di scambio sul piano energetico: il Kirghi- 88 PARMA economica zistan permuta i diritti all’utilizzo a valle delle acque che effluiscono dal suo territorio con carbone e gas, provenienti dal Kazakistan e dall’Uzbekistan. Sul piano delle relazioni internazionali, il Paese resta ancora sul filo di un difficile equilibrio tra gli interessi russi e quelli statunitensi nell’area centro-asiatica. In questi ultimi anni infatti ha concesso prima agli Usa l’utilizzo dell’aeroporto di Manas come scalo per raggiungere l’Afghanistan, e successivamente alla Russia una base aerea. Un attore di crescente rilevanza in questo scacchiere geopolitico è la Cina, la quale ha rafforzato in modo significativo i legami sul piano commerciale in quest’area. Una situazione analoga presenta il Tagikistan, la più arretrata fra tutte le repubbliche dell’Asia centrale post-sovietica. Lacerato dalla guerra civile dei primi anni dopo il crollo dell’Urss tra ribelli islamici e forze governative sostenute da Mosca, privo di risorse importanti (a parte quelle idriche), questo Paese rimane sostanzialmente nell’orbita politica e militare della Russia, al cui interno vive una consistente immigrazione tagika, la quale con le sue rimesse contribuisce in misura notevole alla sopravvivenza della popolazione rimasta in madrepatria. La Federazione Russa continua a rivestire un ruolo militare di primo piano: maggior garante della sicurezza nazionale tagika, è presente nel Paese con una divisione dell’Armata Rossa, dislocata a breve distanza dalla capitale. Dal canto loro gli Stati Uniti – ai quali il Tagikistan ha prestato una forte coopera- mercati esteri zione nella guerra afgana del 2002, aprendo le proprie basi aeree agli Usa e consentendo il trasporto d’ingenti rifornimenti a Kabul - contribuiscono a sostenere economicamente il Paese. La vicinanza geografica e culturale con l’Iran non fornisce prospettive positive a un Paese in grave e strutturale sofferenza. La diseguale distribuzione delle risorse nei diversi Paesi dell’area è inoltre aggravata dalla limitata collaborazione regionale. Le repubbliche dell’Asia centrale sono infatti assai poco disposte a cedere porzioni anche minime della propria sovranità a organizzazioni regionali o super-regionali. Una situazione che deriva proprio dalla debolezza degli ordinamenti statali di questi Paesi, che pure avrebbero bisogno di collaborare strettamente per affrontare una serie di problemi di carattere politico, economico e ambientale, la cui soluzione è fondamentale per sfruttare pienamente la favorevole posizione strategica della regione. L’instabilità dello scenario energetico L’importanza dell’Asia centrale nella competizione internazionale per la sicurezza energetica appare in forte crescita, ma la regione non è ancora riuscita a al meglio la situazione Per gli investitori sfruttare vantaggiosa in cui si è venuta a internazionali trovare all’indomani della fine la paura della dell’Urss. Fortemente condiziovolatilità dei prezzi nati dal negativo lascito sovietico, i governi locali faticano notevoldel greggio sta mente a risolvere i numerosi prorimpiazzando quello blemi politici, economici e sociali della crisi europea – oltre che di integrazione regionale – che ne frenano in maniera considerevole lo sviluppo. Questo vale soprattutto per i Paesi più deboli, la cui persistente fragilità può avere effetti destabilizzanti su tutta l’area. Ma anche i Paesi maggiormente dotati di risorse dovrebbero individuare un percorso di sviluppo nel quale la ricerca della stabilità non debba escludere maggiori spazi di libertà politica e culturale. D’altro canto, però, è di cruciale importanza che i numerosi attori esterni che interagiscono nell’area si muovano in maniera equilibrata, in una logica di collaborazione, invece che di perseverante competizione. Inoltre, secondo gli analisti di economia internazionale il timore per la volatilità dei prezzi del petrolio sta prendendo il posto della crisi europea nella preoccupazione degli investitori e del Fondo Monetario Internazionale. In un momento in cui le economie avanzate sembrano entrate in un tunnel recessivo e le economie asiatiche stanno crescendo meno delle attese, il prezzo del greggio è in aumento anche sulla scorta di un rischio difficilmente calcolabile: quello di un conflitto in Iran. Seppure lo scenario concreto di una guerra che avrebbe dimensioni globali sia realisticamente remoto, a fare salire il prezzo del petrolio basta la possibilità che si prolunghi lo stato di tensione. All’aumento dei prezzi contribuirebbero varie altre motivazioni, tra le quali il possibile aumento della domanda di greggio dall’Asia, la scarsa flessibilità del sistema di produzione mondiale nella presente congiuntura e la forte liquidità immessa nel sistema dalle banche centrali. Tuttavia il rialzo non sarebbe pienamente giustificabile secondo il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, primo fornitore a livello globale, che sta cercando di rassicurare i mercati dimostrando la propria capacità di supplire a una riduzione degli approvvigionamenti da parte dell’Iran e a un possibile blocco dello stretto di Hormuz, una delle rotte principali per il commercio d’idrocarburi. Gli scenari energetici restano difficilmente prevedibili. Secondo molti analisti, comunque, un prezzo superiore ai 100 dollari a barile appare la normalità, almeno nel medio termine. È plausibile che i costi più alti per il consumo d’energia si ripercuotano su molti aspetti della vita economica: dalla produzione ai trasporti alle derrate agricole, con il rischio di ritardare ulteriormente la ripresa globale. PARMA economica 89 mercati esteri I ritardi del made in Italy alimentare nella sfida tra globale e locale Nonostante il prestigio di cui gode nel mondo, il nostro patrimonio enogastronomico non ha avuto, storicamente, adeguata valorizzazione. Un gap che si è cominciato a colmare solo di recente Barbara Bocci “M ade in Italy”, “fatto in Italia”, “prodotto italiano” o espressioni simili attribuite ad alimenti e vino non dovrebbero suscitare perplessità: si garantisce che l’origine del prodotto sia italiana anche se questo è vero solo in parte, poiché non è detto che ai consumatori interessi sempre sapere se il prodotto che consumano sia fatto in Italia. Gli asparagi a Natale vengono dal Perù e nonostante ciò sia ben visibile sulla confezione si vendono ugualmente1. Lo stesso discorso può essere fatto per la mozzarella “blu”, che nonostante il nome ingannevole italiano riporta sulla confezione made in Germany2. In sostanza, dal punto di vista del consumatore tutte le possibilità sono accettate, la maggior parte delle volte sen- za prestare particolare attenzione alle indicazioni riportate in etichetta, correndo il rischio così di consumare un prodotto per il fatto che sia distribuito dal supermercato di fiducia. Ma è bene non generalizzare: anche secondo il report sui prodotti biologici realizzato dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), sembra che una quota crescente di consumatori italiani consideri importante mangiare prodotti di origine certa, soprat- Sinonimo di buono tutto freschi di stagione e prove- e sano, il “mangiare nienti da agricoltura italiana3. Di italiano” è un questi, inoltre, molti preferiscono concetto riconosciuto prodotti biologici. Si tratta – non solo in Italia – di segmenti di il tutto il mondo consumatori sensibili ai problemi 1 www.acquabuona.it/2010/12/ occhio-alla-spesa-per-natalepensiamoci/ 2 Mozzarelle blu tedesche: 70mila in mano ai Nas. Procura apre inchiesta, in «Il Giornale», (19 giugno 2010) 3 Prodotti biologici: focus sulla domanda nazionale e internazionale, report di ISMEA, maggio 2012 90 PARMA economica mercati esteri che riguardano la salute personale e delle proprie famiglie, che sentono la necessità di sapere qual è il luogo da cui proviene ciò che mangiano. Osservando il grande mercato globale, diciamo che il “mangiare e bere italiano” riscuote un successo importante sia di consumo che di riscontri sui media. Ristoranti, trattorie, pizzerie italiani si trovano ovunque, così come negozi e supermercati che vendono cibi e vini italiani: «C’è una vera tempesta globale, che riguarda profondamente […] il made in Italy alimentare e le sue possibili strategie future», osserva l’economista Ampelio Bucci4. Tuttavia, nonostante il mangiare italiano nel mondo sia senz’altro in crescita, il “vero” cibo made in Italy arriva sui mercati finali (in Italia e all’estero) solo in parte. 4 A. Bucci, V. Codeluppi, M. Ferraresi, Il Made in Italy, Roma, Carocci, 2011, p. 64 5 M. Montanari, Il cibo come cultura, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp.75-83; M. Montanari, L’identità italiana in cucina, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 109-116; V. Teti, Le culture alimentari nel Mezzogiorno continentale in età contemporanea, in «Storia d’Italia, annali» (XIII), Torino, Einaudi, 1998, pp.159160; J. Flandrin e M. Montanari (a cura di), Storia dell’alimentazione, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp.658-664 6 M. Montanari, 2004, cit., pp.73-104 7 F. La Cecla, La pasta e la pizza, Bologna, Il Mulino, 1998 Mangiare italiano Fra le varie cucine del mondo quella italiana occupa senza dubbio una posizione privilegiata per le sue caratteristiche di produzione e per le sue qualità. La storia del cibo e della cucina italiana si lega a quella del nostro Paese unito solo da poco più di 150 anni. Da questo discende una prima osservazione: non c’è una cucina italiana ben definita e riconoscibile, ma ne esistono almeno 10 varianti. Ognuna di queste infatti ha caratteristiche proprie perché legata alle differenze storiche e culturali delle regioni che due secoli fa erano state diverse, con influenze e dominazioni diverse5. Questa grande varietà deriva anche dalla diversificazione delle produzioni agricole italiane – legate alle caratteristiche geofisiche e climatiche delle varie zone del nostro Paese – ed è quasi una peculiarità nel panorama mondiale. Ciononostante una matrice comune che attraversa tutte le diverse cucine italiane può essere riconosciuta nella semplicità, nell’uso di ingredienti naturali e senza troppe manipolazioni, che ancora una volta testimoniano la grande qualità e la cura all’origine. Un altro punto fondamentale del cibo italiano è il gusto6. La cucina italiana ha molti piatti che non solo hanno successo nella propria regione di origine o in Italia, ma sono diventati quasi “patrimonio culinario dell’umanità”, essendo apprezzati nella maggior parte dei Paesi del mondo. Come sostiene La Cecla7, invenzioni come la pizza, la pasta (con i vari sughi, dal pomodoro semplice al pesto) sono probabilmente i piatti più conosciuti al mondo (oltre naturalmente alla ciotola di riso). A questi occorre aggiungere i cibi già pronti al consumo e in particolare i salumi (dal prosciutto crudo a quello cotto, ai salami) e i formaggi (dal Parmigiano alla mozzarella, per citare i più noti e utilizzati). Siamo inoltre il Paese produttore delle migliori qualità di olio di oliva al mondo, prodotto italiano per antonomasia nell’immaginario di gran parte dell’Occidente. L’incapacità di fare impresa globale È ormai noto che le grandi multinazionali globali si siano affermate prima di tutto proprio nel settore alimentare. I loro nomi si presentano quotidianamente in termini di notorietà, pubblicità, numero di presenze in negozi e supermercati e in termini di PARMA economica 91 mercati esteri consumo. Nestlé, Unilever, Kraft, CocaCola, McDonald’s, Danone, Heinz sono alcuni. Tuttavia, di queste grandi multinazionali globali del cibo sono di proprietà italiana ormai solo Barilla, Ferrero e pochissime altre aziende. Altri nomi noti italiani diffusi anche all’estero sono da decenni di proprietà delle sopraddette o di altre multinazionali. Ciononostante i loro prodotti conservano gelosamente il nome e l’immagine italiani, a conferma che utilizzare una marca alimentare italiana premia. Ma, come si può ben comprendere, questo elemento non gioca certo a favore del made in Italy agroalimentare: proprio il fatto che molti marchi italiani del food siano stati ceduti a grandi multinazionali straniere dimostra l’incapacità degli italiani di creare imprese globali in grado di competere negli enormi mercati mondiali, in questo caso quello alimentare. È mancata la capacità di agire in chiave di strategia di marketing. Sempre Bucci osserva come questa difficoltà a pensare e agire globalmente sia presente anche in altri settori e sia una caratteristica italiana che ha portato non solo a vendere a stranieri marchi già affermati, ma anche a un “non fare” imprenditoriale, non cercando, ad esempio, di moltiplicare un successo finalizzato a realizzare dei veri business. Esemplare è lo studio condotto dallo scrittore Taylor Clark (2009) sull’espresso italiano e sulle sue varianti, dal cappuccino al “marocchino” al latte macchiato. Infatti, pur essendo questi ultimi noti in tutto il mondo, è stato un americano, Howard 92 PARMA economica Schultz, ad avere l’idea di aprire Starbucks, la catena di Seattle che serve espresso e cappuccino nelle città grandi e piccole del pianeta partendo dalla constatazione di quanto sia piacevole bere il caffè, fare colazione e incontrare gente nei bar italiani. Starbucks infatti è ormai un brand universalmente noto e forse solo McDonald’s può rivaleggiare con la sua diffusione mondiale. È soprattutto grazie a Starbucks se nello spazio di un decennio l’America e il mondo sono diventati amanti del caffè, ridefinendo l’esperienza di consumo delle classi medie globali, con le sue caffetterie che accolgono impiegati, single, professionisti, studenti seduti a leggere un libro o a scrivere sui propri pc mentre In Italia l’industria del sorbiscono una delle tante bevan- food non ha avuto la de a base di caffeina della multina- capacità di pensare e zionale dalla sirena stellata. E tutto agire a livello globale ebbe inizio quando Schultz giunse a Milano nel 1983 per il suo primo viaggio d’affari in Europa e vi scoprì la cultura italiana. Dedicò gli anni successivi a creare una catena di ristorazione che esprimesse la devozione italiana per il caffè, dotandosi di una strategia di marketing volta a creare spazi di socialità in cui vendere i propri prodotti. Da non sottovalutare come nei primi anni del nuovo secolo anche Nespresso (Nestlé) sembra essere entrato con grande forza nel campo italiano del caffè espresso. Altro caso da citare è quello della pizza industrializzata da Pizza Hut, una catena americana di fast food: nessuna azienda italiana si è mai cimentata in un’attività del mercati esteri genere e per quel che riguarda la Diversamente da altri pizza surgelata fra i primi produttori troviamo Findus di Unilever. Paesi, spesso non E poi ci sono le migliaia di pizabbiamo difeso le zerie nel mondo dove di italiano nostre eccellenze a c’è ben poco. A questo riguardo 8 livello legislativo sempre Bucci commenta: «La mozzarella è ormai così poco made in Italy che molti ristoranti americani inseriscono orgogliosamente sul menu home made mozzarella». Stesso discorso per i salumi, che spesso provengono da maiali allevati all’estero, dei quali sono acquistate le carni per la stagionatura, mentre i concorrenti spagnoli stanno raccogliendo un grande successo gestendo la filiera intera dall’allevamento alla macellazione, alla lunga stagionatura. 8 A. Bucci, V. Codeluppi, M. Ferraresi, cit., p. 68 9 C. J. Levy, Many Olive Oils Prove to Be italian in Name Only, in «International Herald Tribune», (9 maggio 2004) 10 C. J. Levy, Many Olive Oils Prove to Be italian in Name Only, in «International Herald Tribune», (9 maggio 2004) Made in Italy e legislazione Oltre all’inadeguatezza delle imprese italiane del food di raggiungere la massa d’urto per competere sui mercati globali e per imporre i propri marchi e i propri prodotti, è esistita per molti anni a livello politico e istituzionale anche un’incapacità, rispetto agli altri Paesi, di difendere le proprie eccellenze. Un tema che ha condizionato e condiziona il made in Italy alimentare è relativo alla legislazione europea. Un esempio interessante è quello dell’olio d’oliva, perché ha rappresentato l’origine di tutti gli interro- gativi e dei vari inconvenienti intorno al made in Italy del food. Quando si acquista olio d’oliva extravergine etichettato “prodotto in Italia” (o made in Italy o equivalente) nella maggior parte dei casi, soprattutto se il prezzo sembra molto conveniente, questo olio non proviene da olive italiane9. Questo è ammesso dalla legge europea secondo cui il “made in” deve corrispondere al Paese dove avviene l’ultimo confezionamento e non al luogo di origine delle componenti. Posto ciò, si comprende chiaramente come spesso l’ultimo Paese sia proprio l’Italia, che in termini di immagine per l’olio d’oliva risulta vincente rispetto ad altri Paesi. Questa legge, assai pericolosa per l’olivicoltura italiana, è stata proposta da famosi marchi dell’industria olearia, poi quasi tutti acquistati dalle grandi multinazionali, che li hanno gelosamente conservati per vendere nel mondo “olio di oliva italiano” che italiano spesso non era. Si tratta di una legge che ha consentito anche una pubblicità ingannevole per il consumatore medio (paesaggi toscani, donne vestite con costumi rinascimentali toscani). Anche oggi il giro dei marchi italiani dell’olio d’oliva non accenna ad arrestarsi10. Il risultato pratico è che l’industria compra olio o olive dai Paesi nei quali il costo del lavoro è più basso e sono allevati olivi più produttivi, ma di minore qualità. Qualun- PARMA economica 93 mercati esteri que olio (greco, libanese, siriano, turco, tunisino, marocchino) può quindi diventare olio italiano. Oltretutto gli industriali e i commercianti dell’olio possono “lavorare” l’olio di oliva in modo da eliminarne sapori e odori sgradevoli e quindi correggerlo11. Commercianti e industriali hanno ottenuto molti anni fa, nel 1960, anche la classificazione “olio extravergine”, “vergine”, “olio d’oliva”, “olio di sansa d’oliva”, ecc., aumentando la confusione dei consumatori, come sempre passivi12. Il risultato è che i marchi italiani dell’olio di oliva continuano a essere italiani di nome, di immagine, ma non di proprietà, e tanto meno per quello che riguarda l’origine delle olive. Negli ultimi anni, a più riprese si è cercato di ottenere l’obbligo di riportare in etichetta la provenienza vera degli oli e delle olive (ad esempio 40% tunisina, 30% greca, ecc.). Alcune modifiche sono avvenute: una sicurezza in relazione all’origine, ad esempio, è possibile acquistando oli d’oliva DOP, che garantiscono la provenienza delle olive. Recentemente è stato approvato all'unanimità dal Senato il disegno di legge ribattezzato “salva-olio”, che resta così in attesa di ottenere l'ultimo definitivo via libera dalla Camera. Il provvedimento bipartisan contiene norme molto importanti per la difesa dell'olio d'oliva italiano. Infatti sembra essere rafforzata la tutela dell'olio made in Italy con l’applica- 94 PARMA economica zione di regole che riguardano in particolare il valore probatorio delle analisi basate sui panel test (ovvero gruppi di assaggio) e fissano il nuovo ridotto limite sugli alchil esteri (che passano da 75 milligrammi/chilo a 30)13. La disciplina contiene anche misure di contrasto alla pubblicità ingannevole e alla illiceità dei marchi. Il via libera del Senato alla legge “salva olio” rappresenta quindi un fondamentale passo avanti nella battaglia a difesa del vero made in Italy dalle frodi e dagli inganni. Le strategie politiche italiane Inoltre risulta ancora più difficile correggere la situazione anche per il manifestarsi di fattori dannosi per l’identità del Paese produttore, come il ruolo giocato dalle lobby e dai “Paesi compratori” a livello comunitario. Per quanto riguarda le prime, industriali e commercianti hanno interesse a trasformare le materie prime agricole in commodity senza luogo di origine, in maniera da poterle acquistare dove conviene di più. D’altra parte la maggioranza dei Paesi compratori generalmente non ha un interesse specifico alla produzione di un particolare prodotto, alle sue qualità organolettiche, al sapore, o all’origine, ma considera più importanti le norme di igiene del processo e il fatto che il prodotto sia sicuro. Altro deficit è quello legato alla contraf- 11 Sull’olio “deodorato” si è aperta recentemente una polemica per una nuova normativa europea che pare aumentare le possibilità di frodi (regolamento UE 61 del 24 gennaio 2011). Cfr. http://sportelloconsumatori.org/blog/2011/02/25/ alimentazione-scandalo-olio-deodorato-spacciato-per-extraverginepolemica-su-regolamento-ue/ e http://www.helpconsumatori.it/ news.php?id=31711 12 www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/1010219602010-buon-compleanno-extravergine-tributo-al-a.htm 13 L’analisi degli alchil esteri, oltre a fornire informazioni sulla qualità delle materie prime utilizzate e sullo stato di conservazione degli oli, consente di appurare se un olio è stato sottoposto a eventuali processi di cosiddetta deodorazione, con il quale spesso prodotti di scarsa qualità vengono trasformati in extravergine mercati esteri fazione e all’agropirateria. Nonostante la grande visibilità dei marchi della moda contraffatti, probabilmente è il made in Italy del cibo il più colpito. Il falso made in Italy alimentare è valutato, infat14 Il falso made in Italy ti, in oltre 60 miliardi di euro . Sui giornali compaiono ormai alimentare è stimato periodicamente segnalazioni di in oltre 60 miliardi falsi prodotti italiani. Il camdi euro su scala pione assoluto è il parmigiano, mondiale simile sorte tocca a gorgonzola, asiago, pecorino romano, ecc. Come il chianti vendemmiato in California o il prosecco in Germania e nei Paesi dell’Est e il San Daniele prodotto in Canada15. La contraffazione dei prodotti italiani è un fenomeno doppio: si manifesta da una parte con l’utilizzo a livello nazionale di materie prime importate da vendere come italiane e, dall’altra, con la pirateria internazionale che usa parole, località, immagini, denominazioni italiane per prodotti che hanno ben poco di italiano. all’individuo la possibilità di conservare la sua autonomia di scelta e di decisione16. Il consumo critico si fonda sulla riflessione intorno al rapporto tra imprese e consumi e sull’idea che, dietro alla simulazione del consumatore sovrano e dei bisogni cui le imprese cercano di rispondere, si nascondono comportamenti antiecologici, manipolatori e politicamente scorretti. Tali comportamenti sono agevolati dai consumatori e dalla loro acriticità, incoraggiata e modellata dalle imprese attraverso molteplici strategie manipolatorie. Il fine del consumo critico o responsabile è dunque quello di condurre i consumatori a riappropriarsi dell’autonomia decisionale e di prendere coscienza del potere che possiedono per condizionare le imprese17. Rispetto agli altri comparti del made in Italy, nel food la reazione contro l’appiattimento del gusto, l’omologazione e la massificazione dei consumi è stata più lenta, meno appariscente, ma comunque decisa e progressiva. Primi cambiamenti: il consumo critico In questa situazione da tempo trascurata, qualcosa ha iniziato a muoversi progressivamente negli ultimi decenni del secolo scorso. I fenomeni più rilevanti di natura sociale e culturale sono stati la nascita dei consumi postmoderni segmentati e l’avvento della cultura estetica e sensoriale, che hanno portato alla ribalta mondiale il made in Italy nella moda e nel design. Con la postmodernità viene attribuita Da un mercato di massa a una massa di mercati Questi cambiamenti sociali e culturali sono comparsi prima nelle grandi imprese multinazionali. Come osserva Bucci18, tutte le più sofisticate tecniche di analisi e di ricerca hanno fatto percepire per tempo la necessità di segmentare anche sui mercati di massa. Segmentare il più possibile: per salubrità, per dietetica, per gusto. Il trend di curare e di prevenire con il cibo fa gola 14 www.coldiretti.it/docindex/cncd/ informazioni/322_%2012.htm 15 www.ciamilano.it/cia/index. php?option=com_content&view=a rticle&id=381:agroalimentare-atavola-vince-leconomia-dellinganno &catid=42:rokstories&Itemid=115 16 U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci, 2000; U. Beck, A. Giddens, S. Lash (a cura di P. Marrone), Modernizzazione riflessiva. Politica, tradizione ed estetica nell’ordine socialedella modernità, Trieste, Asterios, 1999; A. Giddens (a cura di M. Guani), Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Bologna, Il Mulino, 1994 17 F. Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale, Milano, Feltrinelli, 1999 18 A. Bucci, V. Codeluppi, M. Ferraresi, cit. PARMA economica 95 mercati esteri alle grandi industrie. La sostenibilità e l’ecologia sono temi interessanti e politically correct e quindi se ne parla sui siti, si commissionano ricerche e si istituiscono fondazioni. La Coca-Cola è stata prodotta in più gusti (zero, light, senza caffeina, cherry coke, ecc.); McDonald’s ha proposto un ampliamento dei piatti e prodotti speciali più vicini al gusto dei singoli Paesi come, in Italia, il Mcltaly, con formaggio asiago e carne italiana sempre secondo la formula di tutte le vere multinazionali: think global, act local. L’importanza della dieta sia per la salute sia per l’estetica ha portato Danone al lancio di yogurt per migliorare la linea (Vitasnella), per aumentare la regolarità dell’intestino (Activia), per ridurre il colesterolo (Danacol, Actimel, ecc.), per aumentare il calcio nelle ossa (Danaos). Globalizzazione e il caso Slow Food Altro fenomeno da prendere in considerazione è la globalizzazione del food. Proprio l’accettabilità di cibi nuovi è stata oggetto di misurazione attraverso la Scala di Atteggiamento della Neofobia Alimentare (Food Neofobia Scale)19 al fine di poter predire le probabilità di successo di varie tipologie di cibo, tra cui anche i cibi etnici considerati non familiari. Il grado di familiarità del cibo nella spiegazione del rifiuto o dell’accettazione dei prodotti alimentari acquisisce notevole importanza rispetto alla globalizzazione del sistema agroalimentare. Il concetto di globalizzazione rimanda alla distribuzione a livello globale dei medesimi prodotti alimentari a opera di aziende multinazionali e a scapito delle produzioni locali. Paradossalmente, la rivalutazione culturale della cucina di territorio si deve proprio al concomitante processo di globalizzazione. Montanari20 nota che, a dispetto di ciò che pare più logico, il concetto di cucina del territorio che salvaguarda le tradizioni e che mira a un certo conservatorismo locale è un’idea nuova, mentre già la cucina romana mediterranea e quella medievale europea aspiravano a conquistare tutto il mondo conosciuto ai tempi. La globalizzazione moderna si caratterizzerebbe in modo originale solo per la quantità di persone che raggiunge, non per il modello dell’internazionalità. Si tratta, sempre secondo Montanari, di un nuovo universalismo di massa anziché elitario. Dopo aver scoperto i cibi etnici, ovvero essersi esposta al modello di cucina internazionale del passato, la nostra 96 PARMA economica élite gastronomica ha iniziato a rifiutare le produzioni che potevano raggiungere la massa, dando così il via a un processo culturale di rivalutazione dei prodotti tipici e rari del territorio. A questo riguardo è doveroso citare il movimento internazionale Slow Food21, non tanto come anticipazione e novità, ma senz’altro come forza di impatto, al punto da avere ormai oggi una risonanza mondiale e vantare 86.000 membri in 130 Paesi tra cui Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito. Nato con la finalità di contrapporre la ricchezza della tradizio- Le multinazionali ne gastronomica italiana all’omologazione del cibo proposto hanno integrato la nei fast food, si è imposto in poco propria gamma in tempo come un movimento in chiave salutista, grado di contribuire in modo sostenibile e costruttivo al decision making in campo agroalimentare a livello politically correct internazionale. La principale mission dell’organizzazione è stata da sempre l’educazione al gusto come difesa contro il rischio, la cattiva qualità e la frode alimentare. Slow Food si fa promotore delle tradizioni culinarie locali, delle produzioni tipiche e delle specie vegetali e animali che rischiano l’estinzione a causa di forze economiche orientate alla globalizzazione e alla massificazione delle produzioni. Uscendo dal caso Slow Food, sembra che si siano aperte nuove possibilità anche al made in Italy alimentare, essenzialmente proveniente da aziende di dimensioni medie o piccole le quali precedentemente non hanno avuto il coraggio, la possibilità e la capacità di lanciarsi nel grande mercato mondiale che chiedeva soprattutto prodotti di massa, cioè industriali, non differenziati. Il ruolo fondamentale dei media Da qui lo sviluppo del cibo e del bere ha iniziato ad assumere nuove dimensioni culturali: i cuochi diventano nuovi personaggi, le rubriche di ricette sono su tutte le riviste, prolificano le cucine creative, le trasmissioni televisive sul cibo e sul vino, i canali dedicati, le guide, ecc. Il mondo dei media ha contribuito molto allo sviluppo dei prodotti alimentari legati al territorio e alle tradizioni. Oltre a Slow Food, anche giornali e riviste hanno agito in contemporanea sullo stesso tema: Paolo Massobrio con il Club di Papillon, Davide 19 P. Pliner, K. Hobden, Development of a scale to measure the trait of food neophobia in humans, in «Appetite» (XIX), 1992 20 M. Montanari, 2004, cit., pp.117-125 21 www.slowfood.it mercati esteri Paolini settimanalmente su Il Sole Slow Food è ormai 24 Ore e su Radio News 24 con il Gastronauta, Licia Granello ogni presente in 130 domenica su la Repubblica, come Paesi, con 86.000 Edoardo Raspelli su La Stampa e aderenti così le varie trasmissioni televisive (Linea verde, La prova del cuoco, Gusto) e i canali dedicati come quello del Gambero rosso22. È evidente che le decine di riviste specializzate, le rubriche su quotidiani e settimanali d’opinione, le trasmissioni radio e tv, i libri sulla cultura del cibo non sarebbero mai stati così numerosi se non ci fosse stata una corrispondenza con l’accentuazione della sensibilità dei consumatori su questi temi. Lo stesso vale per lo sviluppo di siti internet e riviste online su cibo e vino, come Teatro Naturale, Wine News. Ciò può essere letto come una cartina di tornasole dei grandi cambiamenti in atto rispetto ai quali la grande industria dei prodotti di massa, il marketing e la pubblicità tradizionali non hanno strumenti massimamente efficaci. Come la pubblicità non può essere utilizzata dai prodotti artigianali di nicchia anche per problemi di dimensione, così i prodotti industriali, pur avendo segmentato la propria gamma, 22 M. Rubino, Fornelli e padelle, non hanno sufficienti argomenti per alioltre 20 programmi: esplode in tv la cucina-mania, in «la Repubblimentare di continuo le rubriche redazioca» (20 settembre 2011) nali (di giornali, riviste, trasmissioni radio 23 A. Pastore, M. Vernuccio, Impresa e comunicazione. Principi e tv). In questo senso il cibo, il vino, le rie strumenti per il management, cette, i prodotti tradizionali e di territoMilano, Apogeo, 2008menti per il management, Milano, Apogeo, 2008 rio, che cambiano anche con l’andamento dell’annata, sono una miniera inesauribile di notizie. Global vs. local I prodotti made in Italy oggi esistono e persistono nell’immaginario collettivo: riscoperti, protetti (DOP, DOC, IGP), raccontati sulla stampa, dalla tv e dai cuochi. In uno scenario competitivo sempre più acceso, possiamo rilevare come da una parte sia indispensabile che a livello istituzionale siano approntati meccanismi di valorizzazione e di difesa del made in Italy, dall’altra quanto sarebbe opportuno per le imprese italiane perseguire delle strategie di posizionamento che facciano leva maggiormente sui valori dell’italianità. Il vantaggio del prodotto tipico rispetto a quello globale è di rimandare alle dimensioni di unicità. Infatti l’idea di un mercato globale e della standardizzazione sono state spesso lo stimolo per un forte cambiamento di approccio strategico d’impresa verso una maggiore efficienza ed efficacia, ma è ormai diffusamente riconosciuto che «una “sovraglobalizzazione” (Overglobalization) può portare a una perdita di “rilevanza” della principale risorsa strategica: la marca23». Da ciò deriva che un prodotto globale punti all’aspetto funzionale, all’utilità a discapito della cultura, dei valori e dell’immaginario di significati, che accompagnandolo, ne ostacolerebbero la piena affermazione e comprensione da parte dei consumatori globali. PARMA economica 97 mercati esteri Come Ritzer24 aveva ben evidenziato, l’organizzazione McDonald’s può essere considerata l’emblema della moderna impresa, in grado di sviluppare un sistema efficiente basato sulla standardizzazione delle procedure operative. La razionalizzazione non riguarda quindi solo i procedimenti di produzione delle materie prime e di preparazione dei pasti, ma coinvolge anche il processo di vendita – inclusa la relazione con il cliente – standardizzato e razionalizzato all’estremo. Il cliente diventa un mero consumatore, privato della sua individualità: non è previsto il soddisfacimento di desideri individuali e non sono pensabili cambiamenti alle procedure per accontentare clienti diffìcili. Ma Ariès25 fa notare che in questi ultimi anni McDonald’s, nell’ambito della politica di rilancio della propria immagine, tende in misura sempre maggiore a presentarsi in opposizione al fast food. Emblema tipico della disumanizzazione e dell’offerta di un prodotto privo di personalità, il fast food, che pure in un passato relativamente recente era sinonimo di modernità, diventa anche per McDonald’s uno stereotipo negativo da cui allontanarsi. Questa riflessione evidenzia come una promozione basata sull’esaltazione dell’efficienza non sia sufficiente a garantire un duraturo successo commerciale. Nel dopoguerra si diffonde un certo sentimento di nostalgia nei confronti di una tradizione rurale sopraffatta dall’urbanizzazione: si cerca di consumare alcuni oggetti non in quanto tali, bensì per le emo- 98 PARMA economica zioni che si possono evocare con essi. Come Bourdieu26 fa notare, Dal dopoguerra quello che si consuma, come e quando, sono parte di un sistema il cibo non è più culturale specifico, che viene ac- solo un bisogno quisito come parte del processo nutrizionale ma di socializzazione. Lungo tale continuum va, quindi, anche simbolico: inserito il discorso relativo alla diventa “cultura” diffusione dell’interesse per una modalità di fruizione del cibo attenta al ritrovato legame tra quest’ultimo, il territorio e la tradizione. Lo si può considerare dunque come momento e mezzo di soddisfazione di bisogni altri rispetto a quelli legati alla nutrizione, bisogni di natura simbolica prima che fisiologica. Sempre più si afferma il principio che il cibo sia cultura: la degustazione di un piatto o di un vino tipico diventa anche la spinta motivazionale allo spostamento e alla scoperta di territori prima sconosciuti. 24 G. Ritzer, Il mondo alla McDoPaolini27 ha coniato il concetto di “giacinald’s, Bologna, Il Mulino, 1997 menti gastronomici”, che rimanda a pro25 P. Ariès, I figli di McDonald’s. La globalizzazione dell’hamburger, dotti con un contenuto simbolico dato Bari, Dedalo, 2000 dalla qualità, strettamente legati al terri26 P. Bourdieu, La distinzione, Per torio e che hanno la loro ragione di esiuna critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1983 stere proprio in questo legame. Prodotti 27 D. Paolini, I luoghi del gusto. che riflettono le peculiarità del territorio Cibo e territorio come risorsa di marketing, Milano, Baldini e Castoldi, e lo esprimono attraverso un mosaico ali2000 28 mentare non riproducibile su larga scala . 28 M. Antonioli Corigliano, G. Viganò (a cura di), Turisti per Il consumatore di questi prodotti è attento gusto. Enogastronomia, territorio, a ciò che le merci riescono a dargli in tersostenibilità, Novara, De Agostini, 2004, pp. 91-113 mini di soddisfazione e quindi attribuisce 29 M. Antonioli Corigliano, Stragrande importanza ai processi di scelta e de del vino ed enoturismo. Distretti 29 turistici e vie di comunicazione, di acquisizione dei beni . Milano, Franco Angeli, 1999, pp. L’interesse verso un consumo che guarda 102-3 mercati esteri al globale si accompagna a un analogo interesse verso il locale: lungi dall’essere in totale antitesi, questi due elementi rappresentano le due facce della stessa medaglia, due aspetti complementari di un universo complesso. Superficialmente si potrebbe pensare che McDonald’s non lasci spazio alla gastronomia tipica, la quale a sua volta non vuole avere nulla a che fare con la standardizzazione. Idealmente è così. Nella pratica quotidiana invece il rapporto si complica e comportamenti di consumo contrapposti si mescolano; così anche il giovane frequentatore di ristoranti commerciali sceglie per alcune occasioni particolari un locale in grado di offrire cucina tradizionale e di qualità. L’alimentazione è uno dei campi dove si disputa la sfida tra globale e locale. Da un lato il prodotto tipico viene visto come oggetto fragile che deve essere protetto – il cibo è il simbolo di un’identità da salvaguardare - ma Think local, act allo stesso tempo e per sua natura global vuol dire anche terreno della contaminapensare a qualcosa zione. globalizzazione, lontana di unico, legato al La dall’essere un fenomeno da desolo elemento che monizzare30, ha favorito il renon si può spostare: cupero del locale. La barriera il luogo “locale-globale” non esiste: il McDonald’s adotta i prodotti locali così come il locale sbircia 30 P. Ariès, cit. continuamente all’ambito globale. Le culture globali rafforzano quelle locali attraverso lo scontro. In primis è fondamentale la conoscenza del mercato globale e delle culture alimentari con le quali si entra in contatto nel momento in cui si cerca di diffondere un prodotto tipico. Risulta necessario essere percettivi, ascoltare i consumatori, osservare i loro atteggiamenti e indagare le loro motivazioni e le loro aspettative. Non devono essere ignorate le nuove tendenze di consumo dirette alla riscoperta della naturalità, della genuinità e dell’artigianalità che, dal punto di vista specifico del made in Italy alimentare, possono rappresentare il nuovo trampolino di lancio, la vera occasione per riaffermare la propria immagine. Una strategia che può risultare vincente, date le premesse, è il rovesciamento di quella adottata dalle multinazionali: think local, act global. Il principio è quello di seguire la strada inversa a quella dell’omologazione. Quindi pensare a qualcosa di “locale”, non imitabile, non riproducibile, qualcosa legato all’unico elemento che non si può spostare: il luogo, la sua storia, il suo genius loci. Bisogna essere consapevoli del fatto che i prodotti alimentari di origine locale e i metodi tradizionali e artigianali di produzione in Italia (e in altri Paesi) esistono e occorre conservarli e farli conoscere. Nel- PARMA economica 99 mercati esteri le gastronomie e anche nei supermercati grandi e piccoli, in città e nei centri commerciali, a fianco dei prodotti industriali guadagnano sempre più spazio prodotti tradizionali e artigianali: paste secche e fresche, salumi, formaggi, yogurt, cioccolato, aceti, biscotti, ecc. Compaiono sul mercato - con la rapidità sempre sorprendente dell’imprenditoria italiana - marche artigianali che recuperano le produzioni tradizionali. Anche la legge ha aiutato questa definizione di diversità e specificità di produzioni locali italiane con le DOP e le IGP, che stabiliscono territorio, prodotto originale, tecniche produttive e che concedono un marchio utilizzabile sulla confezione. In questo modo diventa primario riscoprire il significato del locale e il suo vantaggio di esclusività. Una volta riconosciuta la natura profonda del prodotto tipico made in Italy, è doveroso da una parte pianificare delle misure atte a tutelarlo e a conservarne i metodi tradizionali e artigianali di produzione, dall’altra promuovere la cultura delle sapienze locali. Si può pensare allora che un fattore importante su cui agire sia acquistare una maggiore forza contrattuale aggregandosi. Questa è l’idea della cooperativa e dei consorzi. Il principio di mettersi insieme oggi 100 PARMA economica acquista un’importanza sempre maggiore. Alcune cooperative e alcuni consorzi gestiti imprenditorialmente, infatti, funzionano molto bene: prendendo in considerazione la nostra zona possono essere citati quello del Parmigiano-Reggiano o quello del Prosciutto di Parma. Cominciano quindi a esserci esempi virtuosi di associazionismo imprendito- La promozione del riale. La crisi attuale dei consumi made in Italy deve deve servire da acceleratore. Altri obiettivi commerciali e di passare anche per comunicazione sono più facil- l’aggregazione, la mente perseguibili insieme: asso- filiera corta, l’eciarsi per raggiungere una massa critica visibile e portarsi diretta- commerce mente il più vicino possibile al mercato sono due risorse importanti per i produttori di made in Italy, che oggi più che mai hanno la possibilità di accorciare le distanze con il consumatore: i farmer market (come Agri Service) sono evidentemente un’occasione per chi coltiva vicino alle grandi città di partecipare alle sagre e alle fiere locali. In questo modo è possibile anche avvicinare il consumatore facendo leva sulla relazione diretta e sul forte coinvolgimento esperienziale dato da questi luoghi di consumo unici. Tuttavia si rimane ancora su una dimensione e un approccio troppo provinciali. I mercati esteri prodotti di territorio, dei piccoli produttori artigianali possono diventare strumenti anche di comunicazione e di esclusività oltre che di vendita. Di ciò all’estero stanno approfittando anche direttamente i produttori per tentare l’avventura della distribuzione monomarca, con negozi e vendite in e-commerce. Alcune recenti catene francesi come La cure gourmande e la Conserverie la Belle-Iloise dimostrano come pensare a un progetto distributivo diretto sia possibile. La prima infatti propone negozi che riproducono un’ideale vecchia pasticceria artigianale con biscotti, cioccolatini, caramelle in vendita anche sciolti e da confezionare in scatole di latta appositamente disegnate, anch’esse con un look retro. La seconda presenta negozi in stile marinaro in cui vende scatolette di tonno, sardine e vari paté a base di pesce con una grafica artigianale molto invitante e una storia legata a un peschereccio che naviga sulle coste atlantiche francesi. Concludendo, è necessario operare molto concretamente e imprenditorialmente, per esempio iniziando a produrre in loco, e quindi esportare il savoir faire italiano e l’importanza per il controllo ferreo della qualità delle materie prime. Non si tratta di vero made in Italy, chiaramente, ma la qualità finale di queste produzioni, realizzate all’estero con know how italiano, è senz’altro nettamente migliore di quella dei prodotti che attualmente sono contrabbandati come italiani senza alcun controllo. Bibliografia V. Buccheri (a cura di), Design della comunicazione ed esperienze d’acquisto, Roma, Franco Angeli, 2004 T. Clark (a cura di U. Mangialaio), Starbucks: il buono e il cattivo caffè, Milano, Egea, 2009 L. Granello, Mai fragole a dicembre. Il piacere della tavola secondo le stagioni, Milano, Mondadori, 2007 M. Gregori, Nostro pane quotidiano, Udine, Forum, 2006 S. Manzocchi, B. Quintelli (a cura di), Il mondo è cambiato: Le opportunità per il Made in Italy, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009 Nomisma, Quale Made in Italy?, Roma, A.G.R.A., 2008 N. Olivero, V. Russo, Manuale di Psicologia dei Consumi – Individuo, società, comunicazione, Milano, McGraw-Hill Education, 2008 C. Petrini, Buono, Pulito e Giusto. Principi di una nuova gastronomia, Milano, Einaudi, 2005 J. Pine, J. Gilmore (a cura di A. Scott Monkhouse), L’economia delle esperienze, Milano, Etas Libri, 2000 B. Quintelli (a cura di), La sfida della qualità: Il futuro delle aziende italiane sui mercati internazionali, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007 Saroldi, Costruire economie solidali, Bologna, EMI, 2003 P. Sorcinelli, Gli italiani e il cibo: dalla polenta ai cracker, Milano, Mondadori, 1999 PARMA economica 101 cultura E TERRITORIO Un vanto rosa per la città Maria Luigia d’Asburgo-Lorena e Anna Maria Adorni: due donne di origini diverse, due personalità legate dall’amore per la nostra città, due biografie inedite per raccontare la Parma dell’Ottocento Stefania Delendati T ra le pieghe della storia, la vita di due donne ci accompagna in un viaggio indietro nel tempo, nella Parma del XIX secolo. Maria Luigia d’Asburgo-Lorena e Anna Maria Adorni non sono originarie del nostro territorio, sono arrivate qui prese per mano da un destino che le ha rese protagoniste di iniziative capaci di suscitare nella gente un affetto che continua dopo un secolo e mezzo. Hanno vissuto la stessa epoca, condividendo un pezzo di strada. Se una, Maria Luigia, racconta i fasti di corte, l’altra, Anna Maria, ci porta tra gli ultimi della società. Nel loro carattere scopriremo tratti di inaspettata modernità, attraverso le loro vicende personali capiremo meglio la storia sociale, politica e del costume della nostra città, ritrovando scorci dimenticati ancora presenti nella Parma odierna. La duchessa che si curava con l’omeopatia Il 29 dicembre 1847 la Gazzetta di Parma esce con un supplemento dedicato agli ultimi giorni di vita e alle esequie di Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla per oltre 30 anni. Una copia di quel numero speciale del quotidiano cittadino è conservata nel Museo Luigi Musini di Fidenza ed è lì a testimonianza dell’enorme affetto che i sudditi del parmense nutrivano per la loro sovrana, capace di dar vita a un governo moderato che ancor oggi si fa ricordare per le numerose opere pubbliche e gli interventi di carattere sociale. Ma nel privato Una raffigurazione di Anna Maria Adorni 102 PARMA economica cultura E TERRITORIO chi è Maria Luigia, questa nobile austriaca che, al contrario della prozia Maria Antonietta, all’estero ha trovato una seconda casa? E davvero la politica da lei voluta non è mai attraversata da ombre? Maria Luigia è la primogenita dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa delle Due Sicilie. Da quando viene alla luce, il 12 dicembre 1791, e per tutta la giovinezza respira nella corte paterna un certo disprezzo per un uomo cui il destino la legherà: Napoleone Bonaparte. Un borghese, quindi già per questo da considerare con distacco, oltretutto colpevole di aver ridotto l’Austria a un “satellite” della Francia e pronto a sovvertire l’ordine dinastico europeo. Insomma, quanto di peggio per la giovane figlia di un imperatore. Sennonché Maria Luigia, oltre a essere educata all’obbedienza, è mite per natura e non si oppone alle nozze combinate proprio con l’inviso Napoleone, desideroso di assicurarsi un erede al trono dopo fallito matrimonio con GiusepMaria Luigia ilpina Beauharnais. La ragion di d’Asburgo-Lorena, stato non ha quindi difficoltà ad duchessa di Parma, avere la meglio sul sentimento e Piacenza e Guastalla, nel 1810 si celebra il matrimonio. L’arciduchessa d’Austria ha 19 per oltre 30 anni anni, 22 in meno di Bonaparte, arricchisce la città non è una bellezza rara ma ha un di opere che ci sono aspetto florido e in salute, il che ancora care lascia ben sperare sulle sue capacità generative. Passa soltanto un anno e Maria Luigia ottempera al “contratto” dando alla luce il figlio tanto desiderato, Napoleone Francesco re di Roma, detto Franz. Malgrado la nascita del bambino gli sposi mantengono rapporti formali. D’altra parte Napoleone è essenzialmente un rude soldato, mentre Maria Luigia ha un’ottima cultura e proviene da una corte raffinata. Il senso del dovere e la fede religiosa non le permettono tuttavia di tradire il marito, anzi, si dice che quando la sorte volta le spalle al grande condottiero lei chiede ma non ottiene di seguirlo all’isola d’Elba. Le decisioni politiche successive al congresso di Vienna le assegnano a vita il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Il 19 aprile 1816 Maria Luigia passa il Po a Casalmaggiore su un ponte di barche costruito per l’occasione. La simpatia del popolo è subito dalla sua parte quando decide di devolvere ai poveri la somma destinata ai festeggiamenti per l’insediamento. Al suo fianco c’è il conte Adam Albrecht Maria Luigia in un quadro d'epoca di Neipperg, aitante quarantenne colto e intelligente che Metternich ha scelto per supportarla nel governo del ducato. Neipperg ha anche un altro ordine: conquistare il cuore di Maria Luigia e favorire così la sua permanenza a Parma. Compito tutt’altro che difficile, il conte ama l’arte, la musica e la letteratura come la duchessa, ha modi cavallereschi molto diversi da quelli di Napoleone e presto diventa il suo amante. Si sposano l’8 agosto 1821 e hanno due figli, Albertina e Guglielmo conti di Montenuovo, nati prima del matrimonio e perciò inizialmente impossibilitati a vivere a palazzo, particolare che farà molto soffrire la madre. Ma facciamo un passo indietro, all’arrivo di Maria Luigia. La prima notte nel parmense la trascorre nel palazzo ducale di Colorno, sua futura residenza estiva, che apprezza dal primo istante al punto che anni dopo, quando deve muoversi in incognito, assume il falso nome di contessa di Colorno. Si può dire che anche il titolo di duchessa di Parma è più di facciata che di sostanza, è Neipperg a governare il ducato in modo da rendere ben accetta la dominazione austriaca, portando i sudditi a riconoscersi nella loro sovrana. Maria Luigia dal canto suo non mostra mai particolare interesse per gli affari di stato neppure quando è costretta a essere reggente di Francia durante la campagna di Russia PARMA economica 103 cultura E TERRITORIO di Napoleone. Solo con l’aiuto del fidato Neipperg promuove quelle iniziative per le quali è ancora ricordata, mostrando ancora una volta un innato bisogno di aver accanto una persona a cui appoggiarsi. La realtà parmigiana che trova non è delle migliori, i primi interventi sono volti alla ripresa delle attività produttive, a partire dall’agricoltura, e vengono rilanciate le opere pubbliche con la costruzione del ponte in muratura sul Taro lungo la via Emilia. I “lavori in corso” comprendono il cimitero della Villetta, le beccherie nell’odierna piazza Ghiaia e il foro boario. Sul fronte culturale, acquista tutti i volumi dell’orientalista Gianbernardo Rossi per la Biblioteca Palatina, sistema il Collegio dei Nobili che oggi porta il suo nome e proprio nel centro della città fa erigere il Teatro Regio. Mostra attenzione per i più bisognosi fondando istituzioni avanzate per l’epoca, come l’ospizio della maternità per le ragazze madri, e restituisce i beni patrimoniali agli ordini religiosi. È ricordata anche per il codice civile pubblicato nel 1820, uno dei più avanzati del XIX secolo. Non è di quelle sovrane che si limitano a deliberare, la duchessa di Parma vuole controllare con i propri occhi la situazione delle sue terre. Di questo “essere un po’ San Tommaso” è rimasto il “sentiero di Maria Luigia”, nei pressi del Lago Santo, costruito per consentirle di controllare le risorse idriche della valle e ancora in gran parte ricoperto dalla pavimentazione originaria. Tanto impegno per il popolo è ricambiato con calore nel corso delle visite nei quattro angoli del Ducato, come quella a Bardi di cui narra la Gazzetta di Parma dell’8 giugno 1836. Nonostante il clima pessimo del periodo, Maria Luigia mantiene la promessa di conoscere i sudditi dell’alto appennino per informarsi personalmente delle loro necessità. Chissà se anche durante questo viaggio porta con sé la sua farmacia portatile di manifattura francese, oggi esposta nel Museo Glauco Lombardi. Maria Luigia soffre di disturbi respiratori, reumatismi e febbre ricorrente, oltre all’emicrania che nel 1839 la porta a tentare un rischioso intervento chirurgico. Quindi un po’ per necessità, un po’ per ipocondria, non si sposta mai senza una scorta di medicinali che comprende rimedi naturali (è una delle prime a credere nell’omeopatia, nella farmacia portatile ci sono 24 provette di soluzioni a base di erbe) e medicine più 104 PARMA economica Lo stemma del Ducato di Parma forti come oppiacei e assenzio. Non mancano garze e cerotti in Maria Luigia non questa casetta del pronto soccorso ante litteram, certo più elegan- mostra mai interesse te di quelle odierne, con boccette per gli affari di Stato, in cristallo di Boemia e vasetti in nemmeno quando terracotta invetriata. deve fare la reggente Il “mestiere” di sovrana non sembra scalfire più di tanto l’animo di Francia tranquillo di Maria Luigia, l’inclinazione quieta e forse un po’ superficiale le consente di distaccarsi da pensieri tristi e affanni, trovando vari modi per evadere, a partire dalle feste che organizza a corte con valletti e cortigiani vestiti di viola, il suo colore preferito. Amante della vita semplice, riflette questa attitudine in numerosi hobby o, come li chiama lei, «gusto dell’occupazione». Adora sporcarsi le mani nell’orto e chiede alla marchesa Montebello «il più completo assortimento di legumi e di tutte le specie d’insalata e di radicchi che esistono in Francia». L’orto botanico, anch’esso nato per sua volontà, e la residenza di Colorno sono i luoghi deputati alla coltivazione della famosa violetta di Parma, un’ossessione per Maria Luigia ancor prima dell’arrivo nella nostra città, probabilmente l’unico punto in comune con Napoleone che in esilio a Sant’Elena coltiva violette. La passione per questo fiore si respira nelle sale del Museo Lombardi che conserva alcune lettere dove la duchessa sostituisce la firma con il disegno di una viola. Nelle ore libere apre i suoi nécessaire dedicandosi a cucito e ricamo con risultati apprezzabili, come dimostra l’ampio tappeto da tavolo da lei decorato, e riadattando vecchi abiti non più alla moda, come quello con decori in lamina d’argento modificato per la figlia Albertina. I suoi strumenti di lavoro, con i quali realizza anche fiori di carta e cultura E TERRITORIO stoffa, per sua volontà testamentaria sono lasciati alle allieve del Collegio del Sacro Cuore di San Paolo presso cui la figlia li recupera quando il convento viene chiuso. I cani da compagnia sono un altro passatempo prediletto che trova conferma nella corrispondenza privata e nei suoi disegni ad acquerello. Tra un hobby e l’altro la storia procede. Nel 1821 iniziano i moti carbonari che a Parma non provocano grandi sconvolgimenti, al contrario della morte di Neipperg nel 1829. Con lui se ne va il perno del ducato e il compagno di una vita, ma a Maria Luigia è concesso di portare il lutto solo in privato. Al suo posto Vienna manda il barone Joseph von Werklein, molto simile a certi personaggi dei giorni nostri. Ambizioso e accentratore, si dimostra subito uno squalo nell’amministrazione della cosa pubblica, indirizzando gli appalti in modo da avvantaggiare se stesso e gli interessi privati di persone a lui vicine. La situazione dello Stato risente di quotidiane manovre speculative, favorite dal licenziamento di controllori e periti finanziari. L’immagine fino ad allora cristallina del ducato si appanna. Soltanto i moti patriottici del 1831 riescono a Werklein che scampa Le carte dimostrano fermare a un attentato all’arma bianca e che rimane estranea fugge in Austria, mentre a Parma alla “tangentopoli” di Gaetano Testa, suo compagno di corte sotto il dominio malaffare, viene obbligato a reini fondi illegalmente preaustriaco tegrare levati dalle casse ducali. Le carte custodite nell’Archivio di Stato cittadino dimostrano che Maria Luigia non è coinvolta nella “tangentopoli ducale”, ma per il suo animo tranquillo, abituato ad affrontare solo un problema alla volta, quelli sono anni che segnano l’inizio di una serie di vicissitudini che si susseguono una dopo l’altra. Nel 1831 non solo vengono alla luce i danni del governo corrotto di Werklein, ma Maria Luigia abbandona la città per l’avanzare dei patrioti. Al rientro, con il potere ristabilito dagli austriaci, è lei a mitigare la reazione contro gli esponenti delle nuove dottrine politiche che auspicano l’unità d’Italia. Nel 1832 si reca a Vienna al capezzale del figlio avuto da Napoleone e dal quale è stata costretta ad allontanarsi nel 1816. Sebbene alcuni biografi l’accusino di non averlo amato, lei rimpiange sempre di non aver potuto vederlo crescere e quando Franz muore il colpo è tanto duro da minare la salute della duchessa. Tre anni dopo, un altro distacco doloroso, quello dall’amatissimo padre. Nel mezzo di questi eventi luttuosi, Maria Luigia trova la forza di continuare le intense attività a favore di Parma, soprattutto nell’ambito delle istituzioni culturali. Rinsalda così il rapporto con la città che, riconoscente, le intitola la congregazione religiosa delle Maestre Luigine. Intanto le idee liberali si fanno strada in tutti i ceti sociali e l’Austria, nel tentativo di porvi freno, manda a Parma il conte di Bombelles in qualità di custode di quegli interessi austriaci sempre meno tollerati dalla popolazione. A Maria Luigia viene ordinato di sposarlo e lei ancora una volta accetta senza spinta sentimentale. La vecchiaia della duchessa è precoce, aiutata dal suo proverbiale appetito, con una predilezione per i dolci, che le causa problemi di salute e di linea. Gli ultimi anni sono sereni, trascorsi quasi in isolamento con l’unica compagnia della figlia e dei nipoti. Dopo una vita intensa, il 17 dicembre 1847 Maria Luigia si spegne e con il ritorno dei Borboni a Parma si chiude un’epoca. Dopo l’esposizione della salma per Una moneta del Ducato con l'effigie della duchessa Maria Luigia PARMA economica 105 cultura E TERRITORIO sei giorni a Palazzo Ducale, la vigilia di Natale si svolgono i funerali. La duchessa viene sepolta nella cripta dei Cappuccini a Vienna, accanto al figlio Franz. Se un parmigiano contemporaneo va nella capitale austriaca non può esimersi dal portare sulla tomba di Maria Luigia un mazzo di violette, posandolo accanto ai tanti omaggi floreali con cui la gente di Parma, dopo oltre un secolo e mezzo, continua a salutarla con immutata simpatia affettuosa. L’amica delle donne Parma, prima metà del XIX secolo. Una bella signora bionda cammina nel centro della città avvolta in abiti alla moda. È Anna Maria Adorni, moglie del dottor Antonio Domenico Botti, impiegato del controllo della casa ducale presso la corte di Maria Luigia. Insieme vivono in un’ampia casa in vicolo Sant’Ambrogio con il figlioletto Leopoldo, l’unico dei loro sei figli che raggiunge l’età adulta. Hanno una domestica, sono amici della nobiltà parmigiana, partecipano con piacere alla vita mondana cittadina. Anna Maria arriva in città nel 1820, a 15 anni, insieme alla mamma Antonietta. Devono abbandonare la natia Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, in seguito alla morte del padre di famiglia e al conseguente dissesto finanziario. La scelta di un luogo dove ricominciare cade su Parma perché qui vive la potente famiglia Ortalli, stretta parente degli Ortalli di Fivizzano. In una modesta casa in via della Peschiera (oggi piazzale Battisti) le due donne ritrovano un po’ di serenità, aiutate dal clima tranquillo che si respira in città. Anna Maria, per tutti Carolina, è graziosa, intelligente e il suo carattere amabile la fa benvolere dagli Ortalli che la assumono come istitutrice delle figlie. Malgrado non abbia frequentato che alcune classi elementari, è in grado di leggere e scrivere, oltre ad essere abile nel cucito, ai tempi considerato essenziale per una ragazza a modo. In casa Ortalli, si presume ubicata nel vicolo omonimo nelle vicinanze di via Mazzini, Anna Maria impara l’arte di comportarsi in pubblico e inizia a tessere legami che più avanti le tornano utili per concretizzare il progetto di riabilitazione materiale e spirituale delle giovani disagiate. Frequenta la chiesa di San Pietro, poco distante da piazza Garibaldi, e il monastero delle cappuccine, nella zona oggi chiamata barriera Farini. Nei colloqui privati 106 PARMA economica con la badessa alimenta quella fede nella quale i genitori l’hanno educata, tanto da meditare di entrare in convento. Ma il dovere di figlia non le permette di lasciare sola la madre. Quello con il dottor Botti non è però un matrimonio forzato: come una ragazza moderna Anna Maria si sposa per amore e già da questo dettaglio si manifesta l’apertura mentale di una donna che le biografie ufficiali ci consegnano come una figura mistica, trascurando un po’ quella determinazione che le ha fatto anticipare i tempi. E poi Anna Maria, in quegli anni felici di cui dicevamo prima, si compiace della propria bellezza, apprezza molto la vita che le consente il suo status sociale e con tutta l’aristocrazia parmigiana assiste alla prima della Zaira di Bellini messa in scena per l’inaugurazione del Teatro Regio il 16 maggio 1829. Nel 1831 qualcosa si incrina in questo quadro perfetto, Parma Anna Maria Adorni non è più l’oasi felice che ha acè la moglie di un colto Anna Maria e sua madre. Ci sono le rivolte dei cosiddetti impiegato ducale “patrioti” che obbligano Maria presso la corte di Luigia ad abbandonare tempo- Maria Luigia. Tempi raneamente la città. Corrono dei rischi tutte le persone che in di ristrettezze qualche modo gravitano intorno la avvicinano alla corte ducale; Botti chiede alle persone più alla moglie di esprimersi in dia- sfortunate letto parmigiano, abbandonando il suo italiano della Lunigiana, per non vedersi accomunati a coloro che reclamano l’unità d’Italia. Anche sul piano personale il percorso si fa difficile. Nel 1844 Anna Maria rimane vedova con quattro figli da crescere. Cominciano le ristrettezze economiche, il sussidio disposto dalla duchessa (433,35 lire all’anno) non basta per mantenere la famiglia che si trasferisce in un appartamento più piccolo nell’attuale Borgo Riccio al civico 34. Le nuove condizioni, molto meno favorevoli, avvicinano Adorni alle persone più sfortunate. Ha sempre fatto l’elemosina ai mendicanti che bussano alla sua porta, ma la povertà autentica è nei quartieri più popolari che la signora Botti non frequenta. Si reca spesso nella chiesa di San Rocco e conosce dom Attilano José Oliveros, un benedettino spagnolo del convento di San Giovanni. È quest’uomo il primo a intuire il grande potenziale di Anna Maria, indirizzandola a insegnare catechismo alle recluse nel carcere di Sant’Elisabetta. Lei accetta con riluttanza e non possiamo cultura E TERRITORIO darle torto. Il contesto sociale parmigiano nella seconda metà dell’800 è tutt’altro che roseo. La maggior parte delle persone è ridotta in miseria. In Oltretorrente la gente vive letteralmente in strada, facile vittima delle frequenti epidemie che si aggiungono alla tubercolosi, alla pellagra e alla malaria, ormai endemiche. Si può dire che la Sono giunte fino a noi relazioni del Ministero del Buon Governo Adorni abbia di fatto dell’epoca di Maria Luigia che inventato la terapia parlano di tre-quattro reati al occupazionale nelle giorno, perlopiù furti. Le retate carceri antiprostituzione sono numerose quanto vane. Il carcere è lo specchio della città, ospita in media 800-1.000 persone, tra cui un centinaio di donne che finiscono nella sezione femminile di Sant’Elisabetta, vicino a piazzale San Francesco. Sono piene di miseria e rabbia, alcune si sono macchiate di crimini orribili, ma Anna Maria non si lascia scoraggiare. Anzi, osservandole ha un’intuL'ingresso del convento di izione lungimirante: quelle donne hanno San Cristoforo bisogno di tenersi occupate con qualcosa di utile, perché quel luogo di punizione diventi il trampolino per un futuro migliore. Così si arma di ago e filo e insegna alle detenute a cucire. Si può dire che Anna Maria Adorni è stata l’inventrice della terapia occupazionale in carcere. Il successo della sua idea è immediato, al punto che si rende necessario trovare un aiuto per far fronte alle richieste delle prigioniere. Adorni si rivolge alle nobildonne di Parma, quelle stesse signore cui fino a poco tempo prima l’accomunava un’agiatezza ormai dimenticata. Sul finire del 1846 una ventina di pie dame, con una fascia bianca orlata di rosso posata sulla spalla destra quale segno distintivo, comincia a far visita giornaliera al carcere. Il gruppo viene denominato “Pia Unione delle Dame Visitatrici delle carceri, sotto la protezione dei Sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria” e continua la sua attività fino al 1892. Il giorno di San Martino del 1848 tre ex detenute accompagnate da un’istitutrice entrano in un appartamento preso in affitto nell’attuale via XXII luglio. Così ha inizio la storia di quello che ancor oggi è conosciuto come l’Istituto del Buon Pastore per l’accoglienza delle giovani in stato di abbandono. Ma Anna Maria non è il tipo che si accontenta facilmente, raggiunto questo obiettivo già ne accarezza un altro più ambizioso: riabilitare un numero maggiore di giovani. La soluzione è in una casa rossa in Borgo della Canadella (ora via Primo Groppi) dove a partire dal 1852 trovano ospitalità otto ragazze, a fronte di un affitto annuo di 400 lire pagato grazie al sussidio mensile elargito dalla duchessa Luisa Maria, moglie del duca di Parma Carlo III. Non senza subire critiche e tentativi di dissuasione da parte degli amici più intimi, la stessa Anna Maria un anno dopo si trasferisce nella “casa rossa”. Nel luglio 1855 a Parma arriva il colera che in soli quattro mesi porta via 8.200 persone su una popolazione di 45mila. Un evento tragico che segna tuttavia una svolta positiva per i progetti della Adorni che da tempo ha messo gli occhi sull’ex convento di San Cristoforo, un grande edificio in quella che oggi è la via dedicata a lei. Un luogo perfetto non solo per accogliere le ragazze bisognose, ma anche per ospitare un vero e proprio ordine religioso. Anna Maria entra in San Cristoforo il 18 gennaio 1856. Vi rimane da sola per otto PARMA economica 107 cultura E TERRITORIO giorni, in una condizione disastrosa che lei stessa descrive con queste parole: «Molto freddo, senza finestre e senza porte alle stanze». Dalle note amministrative risulta che per risistemare i locali occorrono, nel corso di diversi anni, 70mila lire, una somma enorme per l’epoca. Le difficoltà economiche non scalfiscono le intenzioni di Madre Adorni. Il 9 novembre 1856, cinque giorni dopo la morte della figlia Celestina, Anna Maria presenta alla duchessa un memoriale in cui chiede ufficialmente l’autorizzazione a fondare un nuovo ordine religioso. Con un piccolo sotterfugio, ovvero presentandosi come una derivazione delle Religiose di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Angers, l’opera di Madre Adorni viene riconosciuta come società di pie donne, non come congregazione religiosa, un attestato difficile da ottenere. Il 1° maggio 1857, il convento è finalmente adattato e si avvera il sogno di Anna Maria con l’ingresso in San Cristoforo di sette aspiranti suore, sette giovani ravvedute e nove orfanelle. Tra le regole che le ragazze devono seguire, una stupisce per intelligente senso pratico: le preghiere passano in secondo piano se i bisogni della comunità richiedono di rimboccarsi le maniche e dare una mano. E le occupazioni non mancano: le visite alle prigioni, l’assistenza agli ammalati a domicilio, l’insegnamento del catechismo ai bambini, il soccorso ai poveri e la carità ai nobili decaduti, quest’ultima messa in atto con delicatezza in modo da non farla apparire come un’elemosina. Con l’annessione di Parma al Regno d’Italia nel 1860 cominciano tempi duri. La città è trattata come terreno di conquista, i suoi palazzi vengono spogliati delle opere d’arte e la povertà si fa più dilagante. La soppressione della corte ducale e di tutti i titoli nobiliari provoca una drastica diminuzione delle offerte al Buon Pastore. Ma il favore di cui gode l’istituzione religiosa fa sì che anche i momenti più bui vengano superati, come durante il colera nel 1867 quando Madre Adorni e le sue compagne sono costrette a lasciare San Cristoforo per trasferirsi nella villa San Lazzaro, appena fuori città, messa a disposizione dal Cavaliere Mattia Ortalli, fratello delle ragazze cui Anna Maria ha insegnato da giovane. Due anni e mezzo dopo, con il definitivo ritorno a San Cristoforo, l’attività dell’istituto è ormai ben avviata. Manca solo un 108 PARMA economica tassello per rendere pienamente felice Anna Maria, ormai resa Proclamata beata quasi immobile dalla malattia: il pieno riconoscimento come con- il 3 ottobre 2010, gregazione religiosa per le sue la Adorni ha Ancelle dell’Immacolata. Una attraversato quasi soddisfazione che arriva poco tutta la seconda prima che spiri, il 7 febbraio metà del XIX secolo, 1893. Anna Maria Adorni, proclamata divenendo una delle beata il 3 ottobre 2010, attraversa figure più amate di quasi tutta la seconda metà del Parma XIX secolo divenendo una delle figure più amate di Parma. Le sue spoglie riposano nella Casa Generalizia delle Ancelle dell’Immacolata, in via Domenico Maria Villa. Rimangono quanto mai attuali le sue idee e la preziosa opera che le sue Ancelle proseguono ai giorni nostri. Bibliografia P. Agnetti, Il miracolo di Anna Maria, Parma, Grafiche Step editrice, 2010 L. Augusto, Far rifiorire la speranza, Roma, Città Nuova Editrice, 1982 L. Togninelli, All’ombra della corona. Manovre istituzionali e speculative nel Ducato di Maria Luigia dal 1814 al 1831, Parma, Editrice Alessandro Farnese, 2012 Webgrafia www.ancelleparma.wordpress.com www.gazzettadiparma.it www.museolombardi.it www.parma.repubblica.it La tomba della beata Anna Maria Adorni cultura E TERRITORIO L’Oltretorrente ai tempi del fascismo La storia del popolare quartiere cittadino durante il Ventennio, tra repressione politica, trasformazioni urbane e disgregazione sociale William Gambetta Q uando Benito Mussolini arrivò al potere nell’ottobre 1922, la situazione di Parma era molto diversa da quella di tante altre città italiane. Qui, il movimento dei lavoratori era ancora robusto e il Partito nazionale fascista iniziava a gettare radici con fatica, soprattutto nei rioni popolari che, al contrario, rimanevano pronti allo scontro armato e orgogliosi dall’esperienza vittoriosa delle barricate dell’agosto precedente. Una nuova spedizione punitiva contro l’Oltretorrente e il Naviglio e la soppressione dell’anomalia parmigiana – «isola di bolscevismo armato e delinquente», come ebbe a definirla Italo Balbo1 – rientravano La struttura urbana infatti nei progetti mussoliniani marcava nettamente già prima della marcia su Roma. i confini tra quartieri Tuttavia, dopo aver assunto la cadi primo ministro, il capo del operai e quelli rica fascismo mise momentaneamenborghesi te da parte i metodi squadristi e, per piegare i “sovversivi” della città, puntò direttamente sull’apparato poliziesco. Il controllo dei rioni ribelli, però, risultava ancora particolarmente difficoltoso. La struttura urbana della città marcava con precisione i confini tra i quartieri operai e quelli delle zone residenziali borghesi. Il fiume Parma segnava il limite: di là dall’acqua l’Oltretorrente, “Parma vecchia”, con il suo fitto reticolo di borghi e vicoli, di case misere e fatiscenti, buie e umide, accartocciate l’una all’altra con corridoi e passaggi interni, osterie e mescite di vino; con le sedi delle organizzazioni operaie, le camere del lavoro, i circoli, le cooperative e i partiti; con i conventi e le chiese degli ordini religiosi dediti alla carità cristiana. Di qua, “Parma nuova”, la città dei signori, delle piazze e dei palazzi, centro amministrativo e finanziario, con la prefettura, il comune, il vescovado, l’università, il tribunale, gli studi dei professionisti, i caffè e le vetrine delle passeg- I. Balbo, Diario 1922, Milano, Mondadori, 1932 PARMA economica 109 cultura E TERRITORIO giate pomeridiane. Ai suoi margini ancora quartieri popolari, propaggini dell’Oltretorrente nella città borghese: i rioni Naviglio e Saffi, vicini alla ferrovia e alle prime fabbriche, e il rione San Silvestro, zona di prostituzione caratterizzata dalla più alta componente di sottoproletariato. Una città ne accoglieva due, incomunicabili e diffidenti l’una dell’altra: i ponti sul torrente univano e, al tempo stesso, dividevano. La frammentazione del tessuto economico provinciale (senza grandi insediamenti produttivi e composto da una trama di piccole e medie officine artigianali, ditte edili e aziende agricole) si rispecchiava nell’eterogeneità delle professioni dei ceti popolari del capoluogo: muratori, operai, braccianti, facchini, cassonisti, venditori ambulanti, piccoli artigiani e commercianti. Spesso si trattava di lavoratori senza un posto fisso, costretti a cavarsela con occupazioni precarie e, secondo le stagioni, a passare da impieghi nei cantieri edili a lavori nelle campagne oltre le porte della città. Inoltre, nelle fasi recessive e nei mesi invernali, quando trovare un posto era più difficile, ci si arrangiava anche con una diffusa illegalità. All’inizio del Novecento, dunque, quando già una tradizione di rivolte operaie e bracciantili aveva distinto il popolo di Parma nei primi decenni dell’unità, in questo ribollente e indisciplinato mondo gettò le proprie radici il sindacalismo rivoluzionario. La pratica dell’azione diretta, con l’esperienza dello sciopero agrario del 1908, delle mobilitazioni contro la guerra in Libia nel 1912 e, poi, a favore dell’interventismo rivoluzionario nel 1914-15, segnò 110 PARMA economica il quadro locale anche nel dopoguerra. In primo luogo, la presenza del sindacalismo interventista sottrasse al fascismo il monopolio dell’eredità del combattentismo patriottico e anzi, una volta che (a partire dalla primavera del 1921) i dirigenti della Camera del lavoro corridoniana scelsero di opporsi alle squadre nere, queste non conquistarono nel capoluogo che una dimensione minoritaria; in secondo luogo, la radicalità delle forme di lotta di matrice sindacalista divenne uno dei tratti caratterizzanti del proletariato urbano, che nel contesto della “guerra civile” del 1921-22 si tradusse immediatamente nella contrapposizione armata al fascismo. Questa cultura ribelle, ostile all’autorità e pronta a esplodere in rivolte urbane, era dunque la componente principale dell’antifascismo parmigiano. Dopo il successo delle “giornate d’agosto”, la strategia dell’opposizione armata sedimentò e nei borghi continuarono a persistere vere e proprie forme di contropotere, possibili anche grazie all’illegalità diffusa, alla solidarietà sociale e alla diffidenza ancestrale verso ogni forma di autorità nutrita dai “miserabili” di questi borghi. Solo con le leggi eccezionali del 1925-26, l’instaurazione della dittatura e l’arresto dell’intera leadership dell’antifascismo locale, il regime riuscì a piegarli e, con un continuo sforzo di uomini, mezzi e spie, a tenere sotto controllo la situazione. Tuttavia, gli uomini del nuovo potere fascista erano consapevoli che la sola coercizione poliziesca non sarebbe stata sufficiente. La dittatura chiedeva ben di più: la conquista cultura E TERRITORIO delle menti di quei lavoratori ostili con esse, del tessuto sociale delUn monumento a e, le classi subalterne. Se da un lato, Corridoni nel punto dunque, era necessario continuare in cui le camicie nere nella radicale opera di vigilanza e non erano riuscite a persecuzione politica, dall’altro il fascismo doveva iniziare la costruentrare nell'agosto zione di una propria egemonia cul1922 era un atto di turale. Il progetto più emblematico di pacificazione, di questa volontà fu l’edificazione, stavolta però sotto il all’imbocco del quartiere dell’Oltretorrente, del monumento a Fitallone del fascismo lippo Corridoni. Sebbene non originario della città, questo dirigente sindacalista era molto amato nei rioni popolari poiché, con Alceste De Ambris e i vertici della Camera del lavoro, aveva diretto il grande sciopero agrario del 1908 e, successivamente, altre battaglie e mobilitazioni, l’ultima delle quali fu quella per l’ingresso dell’Italia in guerra. Partito poi volontario per il fronte, morì in una trincea sul Carso nell’ottobre 1915. La notizia della sua morte rese la sua figura leggendaria e lo trasformò in un simbolo politico che avrebbe potuto tenere insieme l’anima popolare, il sogno rivoMario Mantovani (foto di Luigi Vaghi) luzionario e lo spirito patriottico. A favorire la diffusione di una tale rappresentazione, oltre ai sindacalisti rivoluzionari, contribuì anche il nascente movimento fascista. Mussolini, infatti, che aveva combattuto insieme a Corridoni la battaglia interventista, utilizzò la sua figura come emblema di sintesi tra tensione antiborghese, orgoglio del lavoro e memoria dei combattenti. Il fascismo, insomma, poteva esprimere la patria – e dunque guidare lo Stato – poiché ne rappresentava la sua parte migliore, quella degli «uomini nuovi» forgiati nella lotta contro la «borghesia fiacca e decadente», quella del mondo delle «classi produttive» e quella dei reduci dalle trincee. Corridoni, per il Partito nazionale fascista e per il nuovo regime, era dunque «il tribuno del popolo», «l’apostolo del lavoro», «l’eroe delle patria» e, in definitiva, un fascista ante litteram. Valorizzandolo, il fascismo mirava a valorizzare se stesso. Fu questo il grimaldello ideologico con il quale il nascente regime tese la mano ai borghi ancora indomiti. Nonostante le incomprensioni del passato e la contrapposizione armata, il fascismo indicava al popolo “sovversivo” che l’eroe da onorare era il medesimo, la matrice ideologica comune, la “nuova patria” da costruire la stessa. In questo senso, edificare un monumento a Corridoni all’imbocco del quartiere delle “barricate antifasciste”, là dove le camicie nere non erano riuscite a entrare nell’agosto 1922, significava proporre un nuovo patto di pacificazione, questa volta però sotto il tallone del fascismo. Anche sul piano urbanistico la piazza aveva tutte le caratteristiche per rispondere a queste esigenze: per chi proveniva dal centro essa costituiva l’ingresso al quartiere e, affacciandosi alla via Emilia, era un passaggio obbligato per attraversare la città. Sul piano simbolico, inoltre, in quella piazza il monumento sarebbe venuto a trovarsi a metà strada tra il palazzo della vecchia organizzazione sindacalista (ora occupato dal gruppo rionale fascista “Corridoni”) e la nuova casa del fascio “Corridoni” in strada Bixio, entrambe a poche decine di metri. Infine, per valorizzare il monumento e rendere più aperto il quartiere verso il centro della città, il podestà Mario Mantovani fece abbattere l’antico ponte di Mezzo, ancora a schiena d’asino, e al suo posto erigere il rettilineo e largo ponte Dux (1934). Nel frattempo alcuni edifici che si affacciavano sul torrente ven- PARMA economica 111 cultura E TERRITORIO nero demoliti, così che l’ingresso in Parma vecchia si fece più largo e spazioso, attenuando l’impressione di entrare in un altro luogo, in un’altra “città”. Per il monumento progettato da Mario Monguidi, il regime organizzò due cerimonie: una per l’inizio dei lavori, svoltasi in occasione del decimo anniversario della morte di Corridoni, il 23 ottobre 1925, e una alla loro conclusione, con l’inaugurazione solenne il 30 ottobre 1927. Per la prima, arrivò a Parma lo stesso Mussolini che, in una città adornata con centinaia di bandiere tricolori e striscioni che lo inneggiavano, fu accolto da una manifestazione organizzata nel minimo dettaglio, con migliaia di persone mobilitate, ex combattenti, militanti del vecchio sindacalismo, schiere della milizia volontaria. Davanti agli stendardi delle associazioni dei reduci e d’arma, alle bandiere dei sindacati fascisti, ai gagliardetti delle milizie, il duce appuntò sul petto della madre di Corridoni la medaglia al valore, per la quale egli stesso si era attivato presso il re per commutarla in oro e, sceso dal palco, murò una pergamena con la sua firma sotto la “prima pietra” del monumento. Poi proseguì la sua visita nell’”altra” città. Accompagnato dai vertici del partito e dai comandi militari si recò nelle principali caserme e poi sotto il campanile di San Paolo in via Melloni, dove presenziò all’inaugurazione della lapide dedicata ai caduti fascisti. In tal modo, ancora una volta, venne segnata una continuità tra l’interventismo corridoniano, il nuovo stato e il fascismo. Due anni dopo, il 30 ottobre 1927, impegnato nelle celebrazioni del quinto anniversario della marcia su Roma, Mussolini 112 PARMA economica non poté partecipare all’inaugurazione del monumento terminato. Al suo posto giunse Edmondo Rossoni, il segretario della confederazione sindacale fascista. I caratteri della cerimonia furono sostanzialmente gli stessi, forse con una retorica ancora più ridondante, determinata dalla nuova fase autoritaria che, peraltro, fece coincidere l’inaugurazione del monumento con la ricorrenza della marcia su Roma. Il rito si svolse in un clima politico profondamente diverso da quello che aveva caratterizzato la cerimonia di due anni prima: dopo le “leggi fascistissime”, infatti, la dittatura si era ormai concretizzata e ogni forma di dissenso era stata repressa. Da allora in poi, negli anni Trenta e nella prima metà dei Quaranta, sotto il monumento di Monguidi e la statua di Alessandro Marzaroli si sarebbe celebrata l’apparente intesa tra popolo e ordine fascista. Apparente, perché in realtà il fascismo sapeva bene che la conquista di quel popolo riottoso non poteva Mussolini volle avvenire solo con qualche opera essere presente di propaganda. Un articolo del 1923 di Luigi di persona alla Passerini, uno dei dirigenti più cerimonia cittadina importanti della federazione faper commemorare scista cittadina, giustificava la rabbia e le violenze del popolo Corridoni di “Parma vecchia” con il degrado e la miseria in cui viveva. Per questo, concludeva l’esponente fascista, non si potevano evitare i pericoli di insubordinazioni, tumulti e rivolte solo ricorrendo alla vigilanza e alla repressione: «Oggi, a mio avviso, il Fascismo parmense deve conquistare e dominare l’Oltretorrente con mezzi indiretti; dandogli salute, lavoro, dignità civile; donandogli tutto quello che di bello e di buono la bugiarda predicazione socialista ha loro demagogicamente promesso – e soltanto promesso – per anni e decenni. Occorre insomma far toccare con mano anche all’Oltretorrente che il Fascismo, in persona di Benito Mussolini, del Governo, delle Amministrazioni locali, è la più alta espressione della moderna civiltà». Passerini, insomma, indicava esplicitamente che occorreva mettere mano al “piccone risanatore”. Di “risanamento dell’Oltretorrente” si parlava già dagli ultimi anni del XIX secolo e operazioni di abbattimento e rieA destra, un'immagine che dificazione di aree limitate erano già state documenta la demolizione compiute dal sindaco Giovanni Mariotti, del borgo Cappuccini (foto che aveva guidato la città per oltre 20 anni Luigi Pisseri) cultura E TERRITORIO Obiettivo del piano di abbattimento era favorire quella confusione di classi cercata dal fascismo – salvo qualche breve intervallo – dal 1889 al 1909. I progetti di Mariotti avevano avuto l’obiettivo di risanare i quartieri più malsani, quelli dove la tubercolosi e la polmonite mietevano più abbondantemente le loro vittime. Era un’idea di risanamento che seguiva i princìpi igienico-sanitari del tempo, secondo cui la salubrità di case e strade sarebbe migliorata con la circolazione dell’aria e per l’influsso dei raggi solari. Chiaramente per il regime fascista e per il podestà Mario Mantovani – che resse la città per oltre 13 anni, dal 1926 al 1939 – queste motivazioni erano secondarie rispetto alle esigenze di controllo dei rioni popolari, ancora segnati da una radicata cultura antifascista. Obiettivo del nuovo piano di abbattimento, infatti, era quello di destrutturare socialmente il quartiere, spostando parti consistenti della sua popolazione in altre zone, fuori dal suo insediamento tradizionale, e al suo posto promuovere la residenza di famiglie della piccola borghesia e di lavoratori del pubblico impiego, così da favorire «quella cordiale confusione di classi che è fermamente voluta dal fascismo2». Questo progetto avrebbe permesso al nuovo Stato una maggiore vigilanza del territorio, non solo per la disgregazione di una comunità socialmente e politicamente pericolosa, ma anche per il suo più semplice controllo in zone delimitate e lontane dal centro storico. Inoltre, per diversi anni – cioè per l’intero periodo di sventramento e di riedificazione del quartiere – la disoccupazione cronica delle classi popolari sarebbe stata in parte alleviata, con l’impiego di un numero consistente di operai e manovali, e avrebbe sedato possibili tensioni sociali. Infine, il progetto andava incontro anche agli interessi degli imprenditori edili, segnalando loro che con il nuovo regime gli affari non sarebbero mancati. Il piano urbanistico, approvato e finanziato dal governo centrale, si realizzò tra il 1928 e il 1935. A Parma, dunque, il “piccone risanatore” si abbatté sui rioni miseri e fatiscenti dell’Oltretorrente nel nome della “modernizzazione” e della “razionalità”, sconvolgendo l’antico quartiere medievale. Le zone più colpite furono quelle più famose per il loro antico spirito ribelle e, ora, per la tenace ostilità al regime, come 2 Il risanamento dell’Oltretorrente, Parma, Stamperia Bodoniana, 1929, p. 13 PARMA economica 113 cultura E TERRITORIO borgo dei Minelli e borgo Carra. Al posto di quelle torte e strette viuzze, dove era così facile fare barricate e scappare alle retate della polizia, passando dai tetti o dagli androni, sorsero nuove abitazioni e larghe e rettilinee strade, munite di tutti i servizi primari (fognature, acqua, luce e gas). E nei nuovi edifici residenziali, in quelli scolastici e per i servizi pubblici che vi vennero innalzati, l’autorità del regime divenne più evidente, tanto nell’abbondanza dei fasci littorei e di motti mussoliniani quanto nello sventolio del tricolore sabaudo. Il fascismo, insomma, attraverso quell’imponente opera urbanistica, volle segnare indelebilmente di sé la città popolare. Ne erano testimonianza anche i nomi delle nuove strade, molti dei quali richiamarono direttamente l’esperienza della Grande guerra, come via Piave, via Monte Nero o via Gorizia – nella zona tra strada Bixio e viale Maria Luigia – o via Corridoni nella zona di borgo dei Minelli (oggi via della Costituente), mentre altre furono più marcatamente segnate dalla toponomastica politica, come piazza Italo Balbo (l’attuale piazza Guido Picelli, sorta intorno alla chiesa di Santa Maria del Quartiere dopo l’abbattimento di alcune case di strada Imbriani) o piazza XXVIII ottobre (oggi piazza Matteotti), nella zona edificata ex novo sugli antichi orti interni alle mura della città. Nelle nuove e accoglienti case, dunque, 114 PARMA economica non tornarono i vecchi abitanti del quartieCapannoni al Cornocchio re (salvo una parte estremamente esigua) ma giunsero famiglie di settori sociali già conquistati al fascismo, come i ceti medi delle professioni e gli impiegati dell’amministrazione pubblica. Come in altre città, insomma, anche a Parma oggettive necessità di risanamento urbano divennero l’occasione per interventi di controllo sociale e di politiche La popolazione repressive: la popolazione delle case demolite, infatti, fu spostata delle case abbattute in fabbricati ultrapopolari fuori fu spostata nei dal centro storico, innalzati in di- “capannoni”, rozzi verse aree della periferia. caseggiati popolari Questi rozzi caseggiati, a uno o due piani, soprannominati presto “capannoni” per la loro forma allungata e il tetto a capanna, vennero costruiti fuori dai confini dell’ex cinta muraria, in zone lontane l’una dall’altra e dallo stesso Oltretorrente. Affiancati in file di tre o quattro edifici, circondati dalle recinzioni di filo spinato e sottoposti a un rigido regolamento comunale, i capannoni sorsero in sette punti diversi della periferia: al Cornocchio, in via Verona, in via Paullo, al Castelletto, in via Varese, in via Navetta e, unico caso interno alla città, in via Rismondo. I funzionari del fascismo li concepirono come una sistemazione provvisoria per gli ex abitanti dell’Oltretorrente per cui era necessario che quelle abitazioni non fossero né comode né confortevoli. Per cultura E TERRITORIO 3 Opere di risanamento dell’Oltretorrente. Costruzione case per sfrattati in località Navetta. Relazione dell’Ufficio tecnico, Parma 18 maggio 1929, Anno VII, carteggio amministrativo dell’archivio storico comunale, Sanità 1928-1938, risanamento dell’Oltretorrente, b. 13 questo, non solo gli insediamenti furono scelti lontani dal centro e a esso malamente collegati, ma anche in zone dove non vi era la presenza di negozi o esercizi pubblici: «Questi locali […]», osservò il capo dell’ufficio tecnico del comune, Giovanni Uccelli, «pur rispondendo a tutte le esigenze di salubrità ed igiene, dovranno essere tali da non presentare troppe comodità e da richiedere qualche sacrificio per vivere in essi, così da indurre la famiglia sfrattata a trovarsi un’abitazione più comoda, ché se così non fosse l’abitazione provvisoria si trasformerebbe presto in definitiva, occorrerebbero altri numerosi fabbricati, altri quartieri da destinare a tale scopo e nei quali si addenserebbe la parte peggiore di quella popolazione che ora si vuole ripartire nelle varie parti della città, ed il Comune si troverebbe nella condizione di alimentare anziché di reprimere quel parassitismo dell’abitazione, che già in piccola parte esiste nei quartieri da demolire. […] La ristrettezza dello spazio assegnato a ciascuna famiglia, la mancanza di comodità interne, l’obbligo dell’uso del lavandino in promiscuità con gli altri, per turno, e distante dall’abitazione, la latrina pure essa lontana e promiscua, la necessità di attingere direttamente l’acqua, sono incomodi che accoppiati direttamente alla disciplina che sarà imposta col regolamento e al fatto della eccentricità della località, si ritiene indurranno la maggior parte dei ricoverati a trovarsi sollecitamente un altro alloggio più prossimo alla città e più comodo3». E difatti, i “capannoni” si trasformarono presto in luoghi di degrado e abbruttimento, segnando indelebilmente la disperata umanità che vi si ritrovò a vivere. Il nomignolo con cui vennero chiamati quei caseggiati divenne in breve tempo anche l’appellativo con cui si denominarono i loro abitanti e, poi, sinonimo di rozzezza, volgarità e soprattutto miseria, profonda miseria. Rispetto alla vita in Oltretorrente, queste famiglie non avevano affatto migliorato il loro tenore di vita, avevano invece perso l’umanità e la solidarietà che quel quartiere, con i suoi antichi legami comunitari, riusciva a creare. I “capannoni”, dunque, furono l’altro volto della “modernizzazione” urbana del fascismo: nel centro della città i nuovi viali per le parate politiche e le adunate militaresche; fuori, nella periferia più lontana e nascosta, in quegli edifici razionalmente inospitali, gli “avanzi” sociali di un regime che non li voleva e non li considerava come propri. Ci volle il ritorno della democrazia, con le amministrazioni dell’Italia repubblicana, per porre fine a quella palese miseria umana: uno dopo l’altro i capannoni vennero abbattuti e i loro abitanti spostati in nuove e accoglienti case popolari. Gli ultimi a cadere furono quelli del Castelletto, nel 1969. Bibliografia V. Banzola (a cura di), Parma la città storica, Parma, Silva, 1978 M. Franchi, Intervento e edilizia pubblica a Parma nel ventennio fascista, tesi di laurea, Università di Bologna, a.a. 1997-1998 M. Giuffredi (a cura di), Nella rete del regime. Gli antifascisti del Parmense nelle carte di polizia (19221943), Roma, Carocci, 2004 F. Pagani (a cura di), Don Erminio Lambertini “al prèt di capanòn”, Parma, Comune di Parma, 2005 B. Bini, Mario Mantovani podestà e gentiluomo, in «Aurea Parma», (2007), pp. 327-354 W. Gambetta, Il “tribuno” in Oltretorrente. Monumento a Filippo Corridoni e politica del consenso fascista in un quartiere di Parma, in Fascismo e antifascismo nella Valle Padana, a cura dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, Bologna, Clueb, 2007, pp. 107-127 R. Montali (a cura di), Le due città. Parma dal dopoguerra al fascismo 1919-1926, Parma, Silva, 2008 F. Sicuri e R. Montali (a cura di), Storia di ieri. Parma dal regime fascista alla Liberazione 1927-1945, Reggio Emilia, Diabasis, 2011 PARMA economica 115 cultura E TERRITORIO Il grande fiume Po Intervista a Guido Conti, autore di un ponderoso saggio dedicato al più importante corso d’acqua italiano Rita Guidi Q uel legame con la terra che si fa forza narrante, grumo vitale. Anche quando l’orizzonte è liquido, e trasforma in irrefrenabile immagine il tempo che scorre. Guido Conti è un autore così, che ascolta le radici dei luoghi, per restituircene la voce ruvida e colta. Anche quando è acqua. Anche (e più che mai) quando è Po. Nome unico e minimo, al quale affidiamo la suggestione eterna e immediata del mito. E antiche paure, antiche speranze. Qualcosa che compie il miracolo di concedere all’effimero un respiro infinito. Guido Conti, il Po, lo percorre e lo racconta in questo suo Il grande fiume Po appena pubblicato (Mondadori, 430 p., 21 euro). Volume elegante, ponderoso e sapido, alle cui pagine fibrose, dal prezioso spessore, non manca il segno accennato, in bianco e nero, di una mappa. Perché, senza dubbio, quello di Conti è un lungo diario di viaggio; indagine personalissima e generosa nella quale il racconto affiora, riordinato 116 PARMA economica ed esatto, dalla sorgente al delta. E il suo inizio non può che trovarsi ed esser(n)e la fonte… «I racconti vivono grazie alla voce degli uomini che intonano il canto», scrive Conti nelle prime pagine, «ma gli uomini non possiedono le storie a cui danno vita. Ecco la verità del Po, l’antico Eridano, che attraversa la letteratura fin dalle sue origini remote. Le storie appartengono ai luoghi e i luoghi hanno l’anima delle storie che si tramandano di generazione in generazione. Il tempo del racconto scorre come un fiume verso la foce, ma le sorgenti appartengono al mito che vive fuori dal tempo». Fuori dal tempo, eppure in quello spazio: le nostre consuete cornici si confondono e annullano reciprocamente. Il grande fiume consente di spezzarne i confini e originare con l’acqua tutto il proprio passato. Il Monviso ed Esiodo. Il viaggio di Conti inizia da lì. Scarpe comode tra i muschi, a ricordare dove cadde Fetonte e a ripassare Plinio. Una descrizione, quella che si Il delta del fiume Po cultura E TERRITORIO trova nel libro III delle Naturalis historiae, che l’autore riferisce non dissimile all’oggi; quantomeno nella flora protetta del parco che conduce a Pian del Re (la provincia è quella di Cuneo), dove il Po sgorga neonato. Impossibile fermare l’eco di questi luoghi a ogni passo: la natura e il silenzio che amplificano i fatti, le storie, le leggende pulsanti come polle. Impossibile non pensare che la purezza e la fragilità iniziale lasceranno il posto al fragore possente delle acque; a volte utile; spesso spaventoso. Si racconta che una piena devastante abbia segnato, come un’orrenda profezia, l’assassinio di Cesare, nel 44 a.C. Lo ricorda Cassio Dione; mentre per Virgilio questo Padus è soprattutto orizzonte di pace. Confine e luogo magico per eccellenza, dove è possi- bile dialogare con l’eterno. «Enea conversa con il padre Anchise e guarda gli inferi», scrive Conti. «Le sponde dei fiumi sono luoghi dove possono accadere fatti straordinari. Il Po, in particolare, mette in contatto i vivi e i morti, come dirà Cesare Zavattini all’inizio del poema dedicato ad Antonio Ligabue: le anime escono dalle crepe della terra seguendo il fumo della nebbia. Oppure i morti possono parlare con i vivi: accade nei racconti di Giovannino Guareschi – come fosse la cosa più naturale del mondo». Sarà questo il timore (reverenziale), il brivido che ci accompagna – sempre – su queste sponde? L’eco delle raccomandazioni materne che vincono il desiderio dell’acqua, e raccontano di vortici mortali? Pesci mostruosi e sinistri predatori? C’è anche Da due millenni fonte di ispirazione per la letteratura Eridano, Pades, Bodinco… o semplicemente Po: il grande fiume è da sempre protagonista di pagine antiche e nuove della letteratura. Dalle ancestrali suggestioni che affondano nel mito (di Eridano, appunto), a quella Naturalis historia di Plinio che lo descrive nella sua impressionante forza e navigabilità, il Po scorre continuo ben oltre la classicità, per giungere intatto fino a noi. Nelle splendide ambientazioni, in quel di Brescello, accanto a Peppone e a un Don Camillo che «camminava verso l'argine grande, con un grande fazzoletto bianco tra il cranio e il cappello, ed era l'una e mezzo di un pomeriggio d'agosto, e a guardarlo così solo in mezzo alla strada bianca, sotto il sole, non si poteva immaginare niente di più nero e di più prete». E poi in Riccardo Bacchelli, che nel suo Il mulino del Po ne fa motore e umore del romanzo, perché «dal mulino, si scorgeva la corrente, l'immane flusso della piena, fremere e ribollire infuriando sulla punta, scrosciare e rimbalzare, fuggire con una fila di gorghi e di risucchi avidi e astiosi, che segnavano il margine fra le acque vive e grosse del filone, e le semimorte della lanca». Ancora, il Po è un’immagine – ahinoi – perduta: «La chiara sfera d'aere e d'acque» che loderà Gabriele D’Annunzio. Un Po che «si beveva», come ebbe a dire in un saggio Domenico Rea. Le nuove impronte, oggi, sono altre. Come documenta lo straordinario viaggio per immagini di Paolo Rumiz, Il risveglio del fiume segreto. Percorso filmato da Isola Serafin, tra Piacenza e Cremona, e continuato nei tratti navigabili fino al Delta. Testimonianza per vincere il pregiudizio e riaffermarne, contro la violenza di un universo depredato e addomesticato, la primitiva bellezza. «Prima delle riprese», spiega il regista Alessandro Scillitani, «abbiamo fatto un percorso in bicicletta dalle parti di Torino e ci siamo resi conto che in molti punti il fiume non si vede, è negato qualunque accesso, la sua presenza si avverte solo dai cartelli «Pericolo piene». In un mondo pieno di brutture, di insediamenti aggressivi, disastri ambientali, il Po in alcuni tratti del suo corso si è negato all'uomo e dunque ha mantenuto la sua capacità di rigenerarsi malgrado lo sfruttamento e, tra i suoi grandi argini, ostenta spazi meravigliosi di bellezza segreta, selvaggia, incontaminata, trionfante». Di nuovo Eridano, dunque; e anche, di nuovo, mito e confine. Insomma “il dio Po”, per dirla con il saggio – di gusto più politico – di Gian Antonio Stella; che poi è il nome scelto anche per l’ultimogenito di Umberto Bossi… Di nuovo un’altra storia che scorre (e sedimenta) nell’alveo immobile del grande fiume. PARMA economica 117 cultura E TERRITORIO del poema in dialetto Il viaggio. E insiste (di nuovo documentato, di nuovo attento): «Gli scrittori, alla fine del Po, raccontano più che altro il senso di smarrimento e di malinconia, perché il delta è un posto dove non si arriva da nessuna parte». «Giunto alla fine del fiume e della terra», aggiunge, «anche la parola si perde. Finito il viaggio è finito il racconto. L’orizzonte piatto del mare assomiglia al silenzio». Serve il respiro del Po, per tornare a parlare. Il grande fiume Po è dunque un viaggio/indagine che merita a sua volta un’indagine. Per questo abbiamo voluto scambiare due parole e rivolgere due quesiti sulla genesi del libro direttamente all’autore, Guido Conti. questo, nel viaggio e nel libro di Conti. I ricordi sussurrati dai vecchi incontrati nei bar; i racconti di chi abita in golena; i fatti crudi che bagnano di sangue il grande fiume nel conflitto: lo sciacallo che aspetta i cadaveri in un’ansa, di notte, per strappare denti, catene, anelli d’oro… C’è anche il dramma della storia, in quest’acqua che scende a valle, trascinando orrori e miserie e sporcizie della nostra modernità. Pavia, Piacenza, Cremona, la Bassa, Mantova, Ferrara… e poi ancora più giù, verso la terra dei sette mari. Sempre ricordando gli autori del tempo, i protagonisti dei luoghi, la vita di un’umanità segnata dalle secche e dalle piene. Ambiente vivo. Ricchissimo. Silenzioso. Spina dorsale liquida di un universo che ha scelto questa latitudine. Che scorre (eraclitianamente) inesausto, perché visto da qui è finzione anche il mare. Di nuovo in ascolto, l’autore ci regala il ricordo di Tonino Guerra e del viaggio verso la costa (verso il mare, verso la morte) di due suoi protagonisti, Rico e Zaira, Come, quando e perché è nata l’idea di questo libro? Il libro è nato da una mia idea condivisa con la Mondadori. Volevo progettare con loro un libro nuovo, diverso, importante. È nato così Il grande fiume Po. Avevo già da parte diverse pagine scritte: le ho fatte leggere e sono piaciute molto. Parte di quelle pagine, poi, non è entrata nel romanzo finale: ho tagliato quasi 400 pagine dalla prima bozza. In ogni caso, quello che resta, quello che c’è, dentro, sono un’idea di temporalità e molte idee sulla scrittura e lo scrivere; così come credo debba essere un vero romanzo. Quello su cui ho lavorato è stata un’idea di “opera mondo”. E il riscontro continuo che ho con il pubblico sta dando ragione all’importanza del progetto. I lettori comuni capiscono bene la possibilità di diverse letture del romanzo. Quanti giorni, quanti dubbi, quante energie, quanti studi e viaggi è costato? Il libro mi è costato almeno due anni di lavoro. Mi sono licenziato da direttore editoriale della Mup per inseguire alla fine i L’autore Da sempre, lo scrittore parmigiano Guido Conti, classe 1965, lega fortemente la sua produzione letteraria al territorio. Dopo l’esordio in Papergang (1990), antologia under 25 curata da Pier Vittorio Tondelli, Conti ha firmato un primo successo con Il coccodrillo sull’altare (2003), raccolta di racconti ambientata nella campagna emiliana (e intorno al Po); così come Un medico all’opera. Accanto ai successivi 118 PARMA economica romanzi I cieli di vetro, Il taglio della lingua, Il tramonto sulla pianura e La palla contro il muro, lo scrittore ha investigato altri autori dalla sensibilità “padana”, come Guareschi e Zavattini; da qui i suoi interventi in riviste, saggi critici, e pubblicazioni loro dedicate. Con Giovannino Guareschi, biografia di un autore (2008) si è aggiudicato il premio Hemingway per la critica. cultura E TERRITORIO miei sogni di narratore. Io sono uno scrittore, sono nato per fare questo. La parentesi editoriale è stata molto importante per la mia formazione di scrittore, ma non si possono fare due lavori. E poi troppe delusioni da gente – per cosi’ dire - "poco esperta" di editoria che voleva guidare e decidere libri, copertine... un disastro! Con il crollo della banca e dei vecchi editori è finito un mondo. Quando l’editore vuol decidere tutto, gli equilibri sono compromessi, e infatti me ne sono andato. La Mup in questi due anni è sopravvissuta a se stessa con grandi debiti, pochissime idee e anche poco interessanti, mentre il mercato e il mondo del libro corrono veloci. Oggi lavoro per diverse case editrici milanesi. E il tema del viaggio? Il tema del viaggio è complesso. Viaggiare vuol dire non attraversare da turista un territorio ma viverlo anche tutti i giorni. La Bassa resta sempre un luogo di sorprese. I parmigiani non amano la bassa, amano la collina. Quindi andare e ritornare in un luogo nelle diverse stagioni e per anni diversi vuol dire conoscere davvero un territorio. Forse si può solo viaggiare davvero stando in un posto per tutta la vita. Non amo la vita da turista, ma da viaggiatore sì. L’orizzonte più inatteso ed entusiasmante, sia in senso spaziale che in senso temporale? E invece il luogo o l’evento legato al grande fiume che si è rivelato meno intrigante, addirittura deludente? Il Po è stato una continua sorpresa. Sco- nosciuto e maestoso il Po del basso lodigiano, che non è frequentatissimo: ma là il fiume è davvero qualcosa di spettacolare. Deludente nel piacentino, tra canalizzazioni, dighe e quant’altro. Qualche aneddoto occorso nella preparazione e nella stesura del libro? Lo ripeto, ho buttato quasi quattrocento pagine di materiale, tra storie e racconti, pezzi e poesie di diversi personaggi. L’incontro con il “re del Po” (Alberto Manetti, autore di un capanno di rami in riva al fiume, molto noto alla gente del posto, ndr), sotto Boretto, quando si è tuffato di fronte a me in fiume, è stato qualcosa di molto divertente. Molti di questi materiali sono finiti proprio nel libro. Il rapporto fra letteratura e territorio: perché certe pagine non potrebbero essere diverse? Non possono essere diverse perché se uno scrittore è vero e si radica al proprio territorio, è il genius loci che parla attraverso di te. È il territorio che comanda. Ho conosciuto a Viadana una ragazza brasiliana che vive in Italia da dieci anni: si vantava di fare i migliori tortelli del posto. Questo la dice lunga sulla forza del territorio. Guido Conti ieri, oggi e domani. Ero uno scrittore, sono uno scrittore, continuerò a farlo spero fino alla fine dei miei giorni. Di storie e di romanzi da raccontare ne ho parecchi. E adesso uscirà la versione elettronica del libro per l’eBook. PARMA economica 119 cultura E TERRITORIO Il re dei formaggi Breve storia, caratteristiche e aneddoti del Parmigiano-Reggiano, uno dei prodotti più celebrati (e imitati) del patrimonio alimentare italiano Marco Epifani La storia Possiamo immaginare le cinque provincie in cui si produce il Parmigiano-Reggiano - Bologna (sinistra del fiume Reno), Mantova (alla destra del fiume Po), Modena, Parma e Reggio Emilia - come una grande sfoglia che copre tutti i comuni e prende varie forme. Forme che diventano parte indispensabile per le ricette di tradizione: disegni di pasta che si accompagnano a tanti e tanti condimenti o che possono contenere sublimi ripieni e navigare in oceani di brodo. Ma nessuna ricetta può ritenersi completa o perfetta senza la sublimazione finale, senza l’indispensabile nevicata di Parmigiano-Reggiano. Già al tempo del Boccaccio apprezzavano la bontà di questo originale formaggio e sapevano come meglio utilizzarlo in cucina: iniziava il cammino di un formaggio mito. «Eravi una montagna tutta di formaggio 120 PARMA economica parmigiano grattugiato sopra la quale stavano genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi». All’inizio il formaggio in genere era considerato alimento da contadini e non adatto alle nobiliari tavole. Ma a partire dal Medioevo iniziò una len- Fino al Medioevo ta emancipazione e, pian piano, arrivò nelle case dei signori. Da il formaggio fu cibo contadino divenne degno di considerato cibo per essere presente alle mense signo- contadini, inadatto rili. alle tavole nobili Anche il Parmigiano-Reggiano ha vissuto un percorso che ha unito classi sociali e ha messo d’accordo tutti: oggi è il formaggio a pasta dura “più buono dell’universo”. La storia recente racconta che il 28 maggio del 1928 fu costituito il Consorzio volontario di difesa del formaggio grana cultura E TERRITORIO reggiano. Seguì, il 27 luglio 1934, la costituzione del Consorzio volontario interprovinciale del grana tipico. E il 24 luglio del 1954 nacque l’attuale consorzio del Parmigiano-Reggiano. Il consorzio vigila, tutela, promuove e difende, in Italia e nel Mondo, la produzione, l’immagine e il corretto uso della denominazione del Parmigiano-Reggiano, che è tra i prodotti alimentari più imitati. Il latte Si utilizza il latte di due mungiture: una della sera e una del mattino, con parziale scrematura per affioramento. Il latte proviene dagli allevamenti situati nelle zone di produzione del Parmigiano. La cottura Il latte crudo, nelle caldaie di acciaio e rame, è portato a una temperatura di 33 gradi; in seguito sono aggiunti prima il siero innesto poi il caglio di vitello. Nella produzione del Parmigiano-Reggiano è vietato l’uso di sostanze antifermentative. La coagulazione del latte avviene in circa 15 minuti. Il casaro, con l’utilizzo di uno speciale attrezzo denominato spino, rompe la cagliata della dimensione di un chicco di riso, per poi iniziare una prima cottura a una temperatura di 45 gradi e una seconda a una temperatura di 55 gradi. Terminata l’operazione, la massa caseosa è lasciata riposare per circa 30 minuti sul fondo della caldaia. Passato il tempo, con l’aiuto di una pala si porta in superficie la massa, che è poi sostenuta da un telo di canapa o lino annodato a un sostegno di legno o acciaio. A questo punto il casaro, con l’utilizzo di un lungo e speciale coltello, divide in due parti uguali la massa e le due forme vengono avvolte da altrettanti teli di lino, sono sciacquate in acqua e messe nelle fascere per essere pressate, spurgate e, prima di essere avvolte, segnate con le placche di caseina le quali, con un numero unico e progressivo, le identificheranno per tutto il corso della loro vita. Passate alcune ore, le forme sono avvolte da speciali fascere che stampiglieranno i dati: matricola del caseificio, anno e mese di produzione. Dopo due o tre giorni, la forma passa alla salatura, che avviene in una soluzione di acqua a sale e ci resta per circa 24 giorni. In seguito le forme sono asciugate e poste nelle stanze di stagionatura, dove restano per almeno un anno. PARMA economica 121 cultura E TERRITORIO La stagionatura Il formaggio, affinché possa fregiarsi della denominazione di Parmigiano-Reggiano, deve sostare nel locale di stagionatura per almeno un anno e superare le periodiche espertizzazioni effettuate dai responsabili del consorzio. Le caratteristiche Di forma cilindrica, con scalzo leggermente convesso, ha un’altezza di circa 24 centimetri; il diametro è tra 35 e 45 centimetri e il peso tra 24 e 40 chilogrammi. La crosta, di colore giallo dorato, è dura e leggermente oleata. La pasta, di colore giallo paglierino, è morbida e leggermente granulosa. A seconda della stagionatura ha aromi che possono ricordare il burro, il fieno, l’erba fresca, i fiori, la frutta, gli agrumi, le spezie, la crosta di pane. Al gusto deve risultare morbido, saporito, ma non avere delle punte di piccante. Tutto quel che c’è da sapere dalla A alla Z Acqua Costituisce l’87% del latte vaccino, ed è la parte liquida in cui sono presenti tutte le sostanze del latte. Aroma Gli aromi sono gli odori delle sostanze che si sprigionano durante la fase di masticazione e sono percepiti per via retronasale attraverso il bulbo olfattivo. Astringenza È la sensazione di asciutto che si percepisce in fase di masticazione, come mordendo un caco acerbo. È imputabile a fermentazioni anomale. Adesività Non è, come qualcuno erroneamente è convinto, la capacità del formaggio di rimanere attaccato all’indice e al pollice, ma quella di restare attaccato alle pareti della cavità orale e della lingua (sensazione di caramella mou). Aspetto L’insieme delle analisi del formaggio: visive e sensoriali. Il Parmigiano-Reggiano ha una crosta di colore variabile tra il giallo dorato e il marrone. La pasta varia dal bianco 122 PARMA economica avorio al giallo paglierino. Le facce sono piane. Batteri lattici I lactobacilli convertono il lattosio e altri zuccheri in acido lattico per mezzo della fermentazione lattica. Battitura È l’azione che l’espertizzatore compie con il martelletto percussore per capire se la forma ha dei difetti interni. Caglio Sostanza di origine animale (esiste anche un caglio vegetale: estratto di fiore di carciofo, selvatico o lattice di fico), denominato anche presame, che attraverso i suoi enzimi determina la coagulazione del latte. Il più usato è estratto dall’abomaso del vitello, dell’agnello o del capretto. Per la produzione di ParmigianoReggiano è usato l’abomaso di vitello. Dal tipo di coagulazione, acida o presamica, e di coagulante, si determina la composizione della cagliata e si formano consistenza e gusto. Il caglio può esser liquido quando è ottenuto macerando pelli di abomaso essiccate o congelate e questo è usato nella produzione del Parmigiano-Reggiano; il caglio in polvere si ottiene evaporando il caglio liquido a basse temperature, sottovuoto. Il caglio in pasta è generalmente di origine ovina o caprina e si ottiene dagli abomasi interi, essiccati o conservati sotto sale, degli agnelli o capretti. Cagliata Si forma con la coagulazione della caseina del latte per mezzo di un’azione acidificante causata da microorganismi o dall’aggiunta di acidi organici. Casaro È un termine tutto emiliano che indica l’addetto alla produzione del Parmigiano-Reggiano. È il fulcro del caseificio e il detentore di secolari saperi. La sua è una grande responsabilità perché l’economia di un’intera filiera dipende dal suo lavoro. Caseina È la proteina più importante del latte, di elevato valore biologico e ricca di sostanze essenziali quali, ad esempio, aminoacidi, fosforo e calcio. In un litro di latte per fare il cultura E TERRITORIO Il calendario di produzione Il Parmigiano-Reggiano è prodotto tutto l’anno. I bollini Il Parmigiano-Reggiano a seconda della stagionatura esprime aromi e gusti diversi. È per questo che il consorzio, per aiutare nella scelta i consumatori, ha applicato alle confezioni dei bollini di diverso colore che identificano la stagionatura. Bollino aragosta: formaggio che supera i 18 mesi di stagionatura. Bollino argento: formaggio che supera i 22 mesi. Bollino oro: oltre 30 mesi di stagionatura. Le curiosità La stagionatura minima è di 12 mesi. Occorrono 16 litri di latte per produrne 1 kg e 550 litri per produrne una forma. Il peso medio di una forma è di 39 chilogrammi. I caseifici che lo producono sono 383. Parmigiano-Reggiano varia tra 27 e 32 grammi. Con la sua coagulazione si ottiene il formaggio. Coagulazione presamica Prende il nome dal presame, il caglio, e avviene per mezzo della chimosina, un’enzima contenuto nel caglio. La chimosina destabilizza la struttura molecolare delle caseine presenti nel latte. La coagulazione presamica ha una maggiore consistenza rispetto alla coagulazione acida. Colore È uno degli aspetti dell’esame visivo. Nel formaggio si valutano l’uniformità della colorazione e la tonalità. La grammatica del gusto prevede le seguenti indicazioni di colori: bianco latte, bianco avorio, bianco grigio, giallo paglierino, giallo dorato, giallo ambrato, ocra, rossiccio, marrone, grigio, nero. Sulla superficie esterna sono impressi i marchi identificativi del formaggio. Durezza Sensazione tattile durante la masticazione, definisce la durezza di un formaggio. Elasticità È la tendenza di un formaggio a riprendere lo spessore iniziale dopo avere subito una compressione. Granulosità/sabbiosità La tirosina, presente nel Parmigiano-Reggiano di lunga stagionatura, si può percepire durante la masticazione. Forma È l’aspetto esteriore e interiore di un formaggio. Le caratteristiche specifiche sono: forma geometrica, taglia, scalzo, facce, pelle, buccia, crosta, aspetto, colore, aspetto al taglio, unghia, occhiatura, erborinatura. Friabilità È la caratteristica attitudine a sbriciolarsi di un formaggio. Latte Si definisce latte alimentare, secondo le norme, il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di salute e di nutrizione. Con la parola “latte” si definisce il solo latte proveniente dalla vacca. Persistenza Con questa definizione si stabi- lisce empiricamente per quanto tempo le sensazioni aromatiche sono presenti a livello olfattivo e retrolfattivo. Piccantezza Sensazione pungente che si può trovare nei Parmigiano-Reggiano di lunga stagionatura. Solubilità Definisce in che modo e in quanto tempo la pasta del formaggio si scioglie nella saliva. Spillatura Con questa azione, l’espertizzatore estrae una piccola quantità di pasta utilizzando un ago a vite. In base alla resistenza della pasta l’esperto capisce la consistenza e percepisce aromi e grado di maturazione. Tirosina Aminoacidi presenti nel Parmigiano-Reggiano, stagionati in conseguenza della digestione delle proteine. Si presenta nella pasta sotto forma di minuscoli cristalli bianchi. Umidità È la sensazione tattile dovuta alla presenza di acqua e siero. PARMA economica 123 cultura E TERRITORIO RICETTE Dolci e salate Il Parmigiano-Reggiano è anche ingrediente di numerosi piatti, torte comprese. Ecco due ricette esclusive di Alberto Rossetti, cuoco del ristorante Al Tramezzo di Parma Tortino al cacao con salsa di cioccolato, Parmigiano-Reggiano e tartufo nero di Fragno Composizione per circa 10 tortini 150 g di burro 150 g di farina 150 g di zucchero 15 g di lievito di birra 2 uova 35 g di cacao Base della salsa 500 cl di panna da montare 300 g di cioccolato bianco 100 g di Parmigiano-Reggiano grattugiato 150 g di tartufo nero di Fragno In una ciotola o bastardella amalgamare il burro, la farina, lo zucchero, il lievito stemperato in un dito di acqua tiepida, le uova e il cacao. Disporre il preparato negli stampini usa e getta. Cuocere il composto in forno preriscaldato a 170° per circa 11 minuti. Mentre i tortini cuociono in forno, preparare la salsa che servirà come gustosissima guarnizione. In un pentolino scaldare la panna; appena inizierà a bollire toglierla dal fuoco; sciogliervi il cioccolato, 124 PARMA economica unire il Parmigiano-Reggiano grattugiato e le fette di tartufo nero di Fragno. Quando i tortini saranno cotti toglierli dagli stampini, disporli al centro del piatto di portata, guarnirli con la salsa e completare la preparazione con alcune fette di tartufo nero di Fragno. Cialde di Parmigiano-Reggiano croccanti con semifreddo e prosciutto di Parma flakes Per le cialde 200 g di Parmigiano-Reggiano grattugiato Una padella antiaderente Per il semifreddo 300 g di Parmigiano-Reggiano grattugiato 300 cl di panna fresca da montare 3 albumi 50 g di zucchero 2 fogli di colla di pesce Per il prosciutto di Parma flakes 8 fette di Prosciutto di Parma Olio extravergine di oliva Burro In una bastardella montare a neve la panna e riporla in frigo. Montare gli albumi e lo zucchero sino a che non hanno raggiunto una ottima consistenza e riporli in frigo. Sciogliere i fogli di gelatina di pesce nell’acqua. Prendere la panna dal frigo e unirvi il Parmigiano-Reggiano e la colla di pesce precedentemente sciolta, infine aggiungere, molto delicatamente, le uova precedentemente montate. Lasciare riposare il semifreddo in frigorifero per almeno tre ore. Scaldare a fiamma alta la padella antiaderente, ungerla con l’olio, cospargervi uno strato sottile di Parmigiano-Reggiano e lasciare cuocere per circa due minuti. Togliere il Parmigiano-Reggiano dalla padella e con l’aiuto di alcuni stampi realizzare dei cestini. In una seconda padella scaldare l’olio extravergine di oliva e il burro, rosolarvi le fette di prosciutto fino a che diventano di colore bruno. Asciugarle con carta assorbente e seccarle in forno preriscaldato a 120° per circa 15 minuti. Comporre il piatto disponendo il semifreddo nel centro della cialda di Parmigiano-Reggiano e sbriciolandovi i flakes di prosciutto. Hanno collaborato Barbara Bocci Laureata in scienze della comunicazione presso l'Università di Parma, sta ultimando il corso di laurea magistrale in business communication presso l'Università Cattolica di Milano. Ha svolto recentemente attività di ufficio stampa e promozione presso la Camera di Commercio di Parma e collabora da aprile 2012 con un'agenzia di comunicazione di Milano. Stefania Delendati Giornalista pubblicista freelance, scrive dal 1996 per diverse riviste di carattere sociale e non, interessandosi soprattutto di argomenti quali la disabilità, il terzo settore, l’ambiente e le politiche connesse. Monica Domenichelli Laureata in giurisprudenza presso l’Università di Parma, ha maturato una notevole esperienza lavorativa in campo amministrativo contabile in aziende private. Negli ultimi cinque anni, ha collaborato con la Camera di Commercio di Parma. Marco Epifani È giornalista specializzato in enogastronomia, agricoltura e turismo. Consulente per aziende e enti è anche autore e conduttore televisivo e documentarista, i suoi format sono trasmessi dai principali network regionali italiani. William Gambetta Dottore di ricerca in storia presso l’Università di Parma e di scienze sociali presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, è docente di materie letterarie presso la scuola secondaria di primo grado del convitto Maria Luigia. È ricercatore presso il Centro studi movimenti. Giancarlo Gonizzi Giornalista pubblicista e consulente aziendale. Dopo gli studi in biblioteconomia ha collaborato con fondazioni ed enti pubblici per mostre, pubblicazioni ed eventi in ambito locale e nazionale. È consigliere di Museimpresa e, dal 1987, curatore dell'Archivio storico Barilla, che ha contribuito a fondare. Rita Guidi È nata e vive a Parma. Docente di lettere e di storia dell’arte, è giornalista culturale e freelance per quotidiani, periodici locali e nazionali ed agenzie di stampa. 126 PARMA economica Prima classificata al premio giornalistico Pietro Bianchi 2005, si occupa anche di editoria elettronica e ha pubblicato per Newton & Compton L’ABC di Internet. Tommaso Meli Laureato in comunicazione. Occupazione graphic designer, con passione per la fotografia e il fotoreportage, ma anche per il copywriting. Si occupa della creazione di contenunti visivi e testuali. Stefano Magagnoli Insegna storia economica nella facoltà di economia dell'Università di Parma. Laureato in storia contemporanea all'Università di Bologna, nel 2009 è stato tra i fondatori di Food Lab (laboratorio per la storia dell'alimentazione) che opera all'interno del dipartimento di economia di Parma. Giordana Olivieri Funzionario della Camera di commercio di Parma da diversi anni, ha svolto incarichi nel settore economicostatistico, anagrafico e regolazione del mercato; ha frequentato corsi di formazione in materia statistica ed economica. Attualmente responsabile dell'Ufficio Studi. Orietta Piazza Laureata in scienze agrarie, lavora da anni presso il sistema delle camere di commercio, con incarichi relativi ad agricoltura, ambiente, promozione del territorio e prodotti tipici. Attualmente, si occupa del servizio comunicazioni e stampa della CCIAA di Parma. Sabrina Sabatini Laureata in economia e commercio all'Università degli studi di Parma. Attualmente lavora presso la Cciaa di Parma nell'ufficio settore promozione economica. Da vari anni nella pubblica amministrazione occupandosi di relazioni internazionali e cooperazione internazionale decentrata allo sviluppo. Andrea Zanlari Laureato in giurisprudenza, consulente di impresa, ha ricoperto incarichi nel mondo dell’associazionismo parmense. Storico dell’età moderna, insegna storia e cultura dell’alimentazione presso la facoltà di agraria dell’Università di Parma. Presiede la Camera di Commercio di Parma, è presidente di Indis e vicepresidente di Borsa Merci Telematica Italiana S.p.a. di Lodi e UNICREDIT Borsa Merci Parma La Borsa Merci di Parma è stata istituita dalla Camera di Commercio nel 1967. Prima di spostarsi nell’attuale sede presso Fiere di Parma, dove sono ospitate anche le CUN, ha operato all’interno della stessa Camera di Commercio. È aperta il venerdì, dalle 9 alle 15. Nel corso delle contrattazioni sono rilevati i prezzi di undici tipologie di prodotti agroalimentari: salumi, carni fresche suine, suini, carni grassine, derivati del pomodoro, foraggi, granaglie farine e sottoprodotti, zangolato, siero di latte, formaggio e uve. Numero e qualità dei prodotti rilevati ben rappresentano l’importanza della piazza di Parma legata alla straordinaria vocazione agroalimentare del suo territorio. I listini settimanali dei prezzi rilevati sono pubblicati sul sito Internet www.borsamerci.pr.it. Presidente delle Commissioni Prezzi della Borsa Merci è il Segretario Generale della Camera di Commercio o un suo delegato. L’Ufficio Borsa Merci si trova nella sede della Camera di Commercio di Via Verdi, nel centro storico di Parma. Modalità di ingresso alla Borsa Merci Nella localizzazione, di 1.200 mq, sono disponibili: • n. 400 posti auto • 90 box • area ristoro Sede contrattazioni: Borsa Merci della Camera di Commercio presso Fiere di Parma Via Fortunato Rizzi 67/a 43126 Parma Le Commissioni Uniche Nazionali La “Commissione Unica Nazionale dei tagli di carne suina” e la “Commissione Unica Nazionale grasso e strutto” si riuniscono settimanalmente a Parma. Le Commissioni Uniche Nazionali (CUN) nascono in attuazione del Protocollo d’intesa sottoscritto il 5 dicembre 2007 dal tavolo tecnico della filiera suinicola. Le due CUN operano il venerdì mattina parallelamente alle attività della Borsa Merci; il loro compito è di prendere atto di una panoramica del mercato dei tagli di carne suina e di grasso e strutto, fissandone i relativi prezzi per la settimana successiva. L’attività di segreteria è svolta da Borsa Merci Telematica Italiana, su incarico del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. www.borsamerci.pr.it