QUI - Camera di Commercio di Parma

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QUI - Camera di Commercio di Parma
3
economica
2012
PARMA
€ 5,00
Poste Italiane - Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 DCB Parma - Rivista quadrimestrale, n° 3-2012
QUADRIMESTRALE della camera di commercio industria artigianato agricoltura di Parma Fondato nel 1869
Alla ricerca del futuro
La Stazione Sperimentale per
l'Industria delle Conserve di Parma
è un modello di eccellenza da 90 anni
Made in Italy alimentare
Un patrimonio unico, ma
tutelato con troppi ritardi
Prodotti tipici e marketing
La promozione del ParmigianoReggiano dalle origini agli
anni ‘70
L’Oltretorrente ai tempi del
fascismo
La storia del popolare quartiere
cittadino durante il Ventennio
Borsa Merci Parma
La Borsa Merci di Parma è stata istituita dalla Camera di Commercio nel 1967. Prima di spostarsi nell’attuale sede presso Fiere di Parma,
dove sono ospitate anche le CUN, ha operato all’interno della stessa
Camera di Commercio.
È aperta il venerdì, dalle 9 alle 15. Nel corso delle contrattazioni sono
rilevati i prezzi di undici tipologie di prodotti agroalimentari: salumi,
carni fresche suine, suini, carni grassine, derivati del pomodoro, foraggi, granaglie farine e sottoprodotti, zangolato, siero di latte, formaggio
e uve. Numero e qualità dei prodotti rilevati ben rappresentano l’importanza della piazza di Parma legata alla straordinaria vocazione agroalimentare del suo territorio.
I listini settimanali dei prezzi rilevati sono pubblicati sul sito Internet
www.borsamerci.pr.it.
Presidente delle Commissioni Prezzi della Borsa Merci è il Segretario
Generale della Camera di Commercio o un suo delegato.
L’Ufficio Borsa Merci si trova nella sede della Camera di Commercio di
Via Verdi, nel centro storico di Parma.
Modalità di ingresso alla nuova
Borsa Merci di Parma
Da venerdì 15 aprile 2011, in concomitanza con l’istituzione delle Cun ”Tagli di suino” e “Grasso e Strutto”, la Borsa Merci della Camera di Commercio si è
trasferita presso Fiere di Parma, all’interno del padiglione 8 del complesso fieristico.
Nella nuova localizzazione, di 1.200 mq, sono disponibili:
• n. 400 posti auto
• oltre 80 box
• area ristoro
• sportello bancario (di prossima attivazione)
Le condizioni di accesso sono le seguenti:
Le condizioni di accesso sono le seguenti:
• biglietto di ingresso singolo: € 10,00
•• biglietto di ingresso singolo: € 10,00
• abbonamento dal 15/4/2011 al 31/12/2011:
•• abbonamento anno 2012: € 450,00
€ 300,00 (250,00 + Iva)
Sede contrattazioni:
Borsa Merci della CCIAA di Parma
presso ENTE FIERE - Padiglione n° 8
Via Fortunato Rizzi 67/a
43126 Parma
Le Commissioni Uniche Nazionali
Il 15 aprile 2011 si sono insediate a Parma la “Commissione Unica Nazionale dei tagli di carne suina” e la “Commissione Unica Nazionale grasso e strutto”.
Le Commissioni Uniche Nazionali (CUN) nascono in attuazione del Protocollo d’intesa sottoscritto il 5 dicembre 2007 dal tavolo tecnico della filiera suinicola. Le due
CUN operano il venerdì mattina parallelamente alle attività della Borsa Merci; il loro compito è di prendere atto
di una panoramica del mercato dei tagli di carne suina
e di grasso e strutto, fissandone i relativi prezzi per la
settimana successiva.
L’attività di segreteria è svolta da Borsa Merci Telematica
Italiana, su incarico del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e forestali.
http://www.borsamerci.pr.it/
sommario
Associata all'Unione
Stampa
Periodica Italiana (U.S.P.I.)
PARMA ECONOMICA N° 3/2012
Chiuso in redazione il giorno 4 febbraio 2013
FOCUS
2
16
Giancarlo Gonizzi
Da 90 anni un modello di eccellenza
Giancarlo Gonizzi
Una finestra sul futuro
ECONOMIA E TERRITORIO
21
32
44
Giordana Olivieri
A Parma assume solo il 13,2% delle imprese
Stefano Magagnoli
Prodotti tipici e marketing: il Parmigiano-Reggiano
Monica Domenichelli
Parma e il cavallo: dall’allevamento alla cucina
ECONOMIA E società
53
66
Orietta Piazza
Volontariato: lo sforzo più grande è crederci
Tommaso Meli
Project financing: come investire in tempo di crisi
mercati esteri
73
82
90
Sabrina Sabatini
La tigre ha il fiato corto?
Maurizio Caggiati
Il fattore energetico nella competizione internazionale
Barbara Bocci
I ritardi del made in Italy alimentare nella sfida tra
globale e locale
cultura e territorio
102
109
116
120
Stefania Delendati
Un vanto rosa per la città
William Gambetta
L’Oltretorrente ai tempi del fascismo
Rita Guidi
Il grande fiume Po
Marco Epifani
Il re dei formaggi
Direttore responsabile
Andrea Zanlari
Comitato di redazione
Lorenzo Bonazzi
Paolo Cavalieri
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Gianpaolo Gatti
Marco Granelli
Gian Paolo Lombardo
Enzo Malanca
Giancarlo Menta
Giovanni Mora
Coordinamento redazionale
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Ha collaborato Elena Olloqui
Redazione
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Registrazione Tribunale di Parma n. 324
del 21 marzo 1960
Stampa
Mattioli 1885 srl - Fidenza (PR)
Copertina
Il manifesto in copertina si riferisce alla
V mostra internazionale delle conserveParma 8-25 settembre 1950
Gli articoli firmati o siglati rispecchiano il pensiero
degli autori e non impegnano la Direzione della
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È vietata la riproduzione anche parziale degli
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La redazione si riserva la scelta degli articoli
che verranno inviati; i manoscritti non vengono
restituiti.
Questa rivista viene inviata in omaggio agli
addetti commerciali presso le rappresentanze
diplomatiche e alle Camere di Commercio estere
in Italia e italiane all’estero, nonché a numerosi
enti ed associazioni italiani ed esteri.
focus economia
Da 90 anni un modello
di eccellenza
Excursus sulla storia della Stazione Sperimentale per l’Industria delle
Conserve, fiore all’occhiello della ricerca alimentare, che si avvia verso il
secolo di vita con rinnovato slancio
Giancarlo Gonizzi
L
a Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari
compie 90 anni di vita. Istituita ufficialmente il 2 luglio 1922 con il Regio
Decreto 1396, la Regia Stazione Sperimentale, all’atto della sua nascita, è un
vanto per l’Italia e soprattutto per Parma
ed è considerata un vero e proprio fattore
di progresso.
Costituita dopo un lungo iter - già tracciato
in un precedente numero di Parma Economica1 - che ha coinvolto, sotto la guida della
Camera di Commercio e del suo presidente, l’ingegner Romano Righi Riva (18731956)2, le principali istituzioni locali, riceve
il battesimo ufficiale il 12 maggio 1923, alle
ore 15, quando, presso la sede della Camera
di Commercio di Parma, in Borgo Zaccagni
3, si riunisce per la prima volta il consiglio
di amministrazione alla presenza di tutti i
suoi componenti: Romano Righi Riva, presidente e delegato del governo; il cavalier
Ercole Azzali (1870-1936), industriale conserviero, consigliere e La mission della
delegato della Provincia di Parma; SSICA come fattore
il cavalier Ferdinando Magnani di progresso per
(1870-1957), consigliere e dele- l’Italia è chiara fin
gato del Comune di Parma; l’in- dalla fondazione
gegner Carlo Brizzolara (18781953), consigliere e delegato della
1 G. Gonizzi, Conserve alla parmiCamera di Commercio di Parma; il presigiana: la nascita della Stazione Sperimentale, in «Parma Economica», II
dente onorario (e futuro podestà di Par(2011), pp. 70-79.
ma), commendator Giuseppe Mantovani
2 Romano Righi Riva (1873-1956) è
modenese di nascita. La sua attività è
(1888-1972); il cavalier Umberto Cavatore,
sempre stata legata all’industria meccanica e a quella delle arti grafiche.
segretario.
Nel 1900 fonda le Officine MeccaDalle parole del presidente Righi Riva,
niche Reggiane e successivamente
diventa amministratore delegato
trascritte fedelmente dal segretario, tradelle Arti grafiche di Reggio Emilia e
consigliere di amministrazione della
pela l’emozione per avere finalmente dato
Società Emiliana Esercizi Elettrici.
avvio a un’iniziativa perseguita tenaceSi trasferisce a Parma per assumere
la direzione della Società Parmense
mente nel corso dei decenni precedenti
Conserve Alimentari, divenuta, in
ma, fino a quel momento, mai realizzata
seguito alla fusione con la Società
Parmigiana Prodotti Alimentari, la
concretamente: l’organizzazione scientifiIndustrie Parmigiane Conserve Alimentari. Nel 1919 viene eletto preca e tecnica dell’industria alimentare considente dell’Associazione Nazionale
serviera italiana.
produttori di conserve alimentari.
Parallelamente promuove la creazione
della Società Cooperativa di Esportazione del Doppio Estratto di Pomodoro (Scedep). In questo ambito crea
la prima fabbrica di scatole di latta
litografata del Parmense, importando
direttamente dalla Germania i macchinari automatici, e la presiede dalla
fondazione, nel 1919, fino al 1952.
È anche presidente della Camera di
Commercio di Parma (1923-1924)
che dota della nuova sede di via Cavestro, decorata dai pittori Paolo Baratta (allegoria del commercio, affreschi
esterni, 1924) e Daniele de Strobel
(sala del consiglio, 1924-1925). Nel
1929 è anche presidente per un anno
della Cassa di Risparmio di Parma.
La sua opera è legata soprattutto alla
formazione ex novo della legge sulle
conserve alimentari e alla creazione
della Stazione Sperimentale per
l’industria delle conserve alimentari
in Parma, di cui è fondatore e primo
presidente. Nel 1919 gli è conferito
il titolo di Cavaliere del Lavoro al
merito del lavoro Industriale. Muore
a Parma il 27 novembre 1956.
Una immagine della palazzina
uffici della Stazione Sperimentale, ricavata dalla sistemazione
di un preesistente corpo delle
Officine Callegari, alla fine degli
anni Venti del Novecento (archivio SSICA, Parma).
2 PARMA economica
focus ECONOMIA
Il prospetto per la sistemazione
della palazzina uffici della Stazione Sperimentale del 1925
firmato dall’ingegner Pilade
Colla (archivio SSICA, Parma).
3 «Industria delle Conserve», (1925),
p.7.
4 Disposizioni per l’industria e il
commercio delle conserve alimentari
preparate con sostanze vegetali. Fra le
disposizioni più significative figurano: «È vietato di fabbricare conserve
alimentari in locali in cui non siano
osservate e mantenute le necessarie
condizioni igieniche e sanitarie; con
sostanze vegetali non genuine, guaste, infette, colpite da malattia, che
ne alteri la composizione, o comunque non adatte alla alimentazione;
con un processo di lavorazione che
non garantisca la igienica preparazione e la buona conservazione del
prodotto; con aggiunta di antifermentativi, edulcoranti artificiali, acidi, coloranti nocivi e qualunque altra
sostanza nociva alla salute. Ogni
fabbricante di conserve alimentari è
tenuto a far analizzare annualmente
la sua produzione da uno dei laboratori chimici autorizzati dallo Stato.
Le conserve di provenienza estera
destinate al consumo interno devono
vendersi con il loro nome di origine.
Esse non potranno essere messe in
commercio nel Regno, se non riconosciute rispondenti a tutti i requisiti
voluti dal presente decreto».
L’industria alimentare italiana
La giovane industria italiana, nata nella
seconda metà dell’Ottocento, pur avendo
conosciuto un grande sviluppo, determinato dalle fortunate condizioni ambientali
e dall’ottima qualità dei prodotti, manca
ancora di un coordinamento e di una disciplina capaci di migliorarne la produzione dal punto di vista igienico e tecnologico. La creazione di un organismo tecnico
per la risoluzione dei problemi specifici
dell’industria, come la Stazione Sperimentale, vuole porre termine al disordine esistente nelle fabbriche e nei mercati,
aspirando a diventare il centro di attenzione degli industriali che vogliono migliorare la qualità delle produzioni.
A quell’epoca le conoscenze scientifiche
sui principi della conservazione degli alimenti sono ancora a uno stadio rudimentale e la produzione si avvale soprattutto di
nozioni di carattere empirico.
Per quanto possa sembrare strano, manca
perfino la definizione stessa di “conserve
alimentari” che non è ancora contemplata nella legislazione. Obiettivo della Stazione Sperimentale è risolvere in maniera
definitiva il problema della sicurezza dei
prodotti alimentari conservati e trasformare la tecnologia alimentare in una vera
e propria scienza.
In Europa e negli Stati Uniti, già da tempo
ormai, si assiste alla diffusione di pubblicazioni di importanti riviste specializzate
che affrontano i problemi della conservazione degli alimenti dal punto di vista te-
orico e scientifico, ma l’Italia è, da questo
punto di vista, molto più arretrata rispetto
agli altri Paesi europei e, soprattutto, rispetto al suo concorrente più temibile, gli
Stati Uniti d’America.
Occorre far maturare negli industriali la
convinzione che l’indubbia superiorità
qualitativa dei prodotti italiani non è, di
per sé, sufficiente a dominare il mercato, se
non accompagnata da un adeguato processo igienico di lavorazione. La Regia Stazione di Parma richiede l’applicazione per
le conserve italiane di una legge analoga
alla legge Howard, o legge dei microbi, varata nel 1906 negli Stati Uniti d’America,
affinché i prodotti italiani siano competitivi anche all’estero3.
Il R.D. 501 dell’8 febbraio 19234 costituisce un passo avanti in materia di disposizioni legislative sulle conserve alimentari
e la sua applicazione porta immediati benefici, ma la strada da compiere è ancora
lunga.
I primi passi della Stazione Sperimentale
Il consiglio d’amministrazione della SSICA affronta nella sua prima seduta i due
problemi più urgenti: la scelta del professionista da mettere alla guida dell’istituto
e l’individuazione dei locali per la propria
sede.
Per poter imprimere alla Regia Stazione
un indirizzo non solo scientifico ma pratico, che consenta di affrontare e risolvere
i problemi a carattere industriale, la scelta
dovrebbe cadere su una persona dotata di
PARMA economica
3
focus economia
queste competenze e con una formazione
adeguata. Ma si deve ammettere unanimemente che una figura professionale in
grado di assumere la direzione dell’ente
non esiste ancora in Italia, dove manca
ogni preparazione al riguardo per i giovani
laureati.
Il consiglio - con scelta di grande lungimiranza che prefigura scenari per noi attuali
- decide di istituire due borse di studio per
due giovani ingegneri, che possano recarsi all’estero per completare i loro studi e
acquisire quelle conoscenze e competenze
non ancora disponibili nel nostro Paese.
I due prescelti, come dettagliatamente
descritto nel regolamento delle borse di
studio5, devono recarsi negli Stati Uniti
per studiare i metodi di coltura e i trattamenti agricoli, i processi di selezione delle
migliori qualità e di maggior rendimento
agricolo-industriale, i sistemi di approvvigionamento delle materie prime, i sistemi di trasporto e di ricevimento nelle
fabbriche, la preparazione delle conserve,
la conservazione prima della lavorazione,
i mezzi meccanici di lavorazione e di utilizzazione dei sottoprodotti e quelli relativi ai prodotti ausiliari, i metodi di analisi,
le sofisticazioni e le adulterazioni dei vari
prodotti, i controlli sulla produzione e sullo smercio, la legislazione sanitaria e industriale, i trattamenti doganali, la normativa
e i dati sulla produzione, i programmi delle scuole di formazione tecniche e scientifiche, le pubblicazioni e le organizzazioni
industriali.
Dopo un’accurata selezione, la scelta cade
su due candidati, entrambi laureati in ingegneria, il siciliano Francesco
Emanuele e il barese Nicola Ric- Prima di insediarsi,
co. Entrambi partono per la Ca- il primo direttore
lifornia per un periodo di studio, è mandato negli
alla fine del quale devono compi- USA ad apprendere
lare una relazione contenente un le competenze
programma di massima da svol- necessarie
gersi dalla Regia Stazione e un
progetto per il suo funzionamento.
I lavori presentati dai due ingegneri evi5 Verbale del consiglio di amministrazione della R. Stazione Sperimendenziano le criticità del settore consertale, 1923 (archivio SSICA, Parma).
viero italiano e forniscono al consiglio gli
6 Francesco Emanuele (1896-1976),
nato ad Alcamo (Trapani), si laurea
elementi per la formazione del programin ingegneria chimica industriale nel
1922 al Politecnico di Torino. Nel
ma dell’istituto, che si può sintetizzare in
corso dello stesso anno, sempre al
tre direttive: organizzare i produttori e gli
Politecnico, ottiene un diploma di
specializzazione in “chimica coloniaindustriali con leggi coercitive; dettar loro
le” e il 2 luglio partecipa a Parma al
norme di coltivazione del frutto e prepaconcorso per la borsa di studio indetto dalla Regia Stazione Sperimentale
razione del prodotto lavorato; insegnare
per l’Industria delle Conserve, vincendolo. Trascorre così due anni negli
come si vende e fornire il maggior numero
Stati Uniti, dove entra a contatto con
di notizie sui Paesi di esportazione.
la realtà dell’industria del pomodoro
e della tecnologia conserviera di quel
Alla fine la scelta del consiglio di ammiPaese. Rientrato in Italia, e vinto il
nistrazione cade sull’ingegner Francesco
concorso da direttore della Stazione
Sperimentale, si stabilisce a Parma.
Emanuele6 che, dal 1° gennaio 1925, viene
Le sue competenze tecniche, unitachiamato a dirigere la Regia Stazione in
mente all’esperienza acquisita negli
USA e all’analisi della situazione delle
via di esperimento per un anno, al termine
fabbriche, portano Emanuele a ideare
il prototipo di una nuova macchina
del quale il consiglio si riserverà se confer“separasemi”; costituirà la soluzione
marlo o licenziarlo.
a un serio problema tecnologico
provocato dai sistemi di lavorazione
Il confronto con la realtà dell’industria
del pomodoro. Emanuele, nella
conserviera americana porta Emanuele
sua qualità di direttore, è uno degli
ideatori dell’Ente per la Mostra delle
all’elaborazione di un programma di laConserve, luogo privilegiato per l’incontro e lo scambio delle esperienze
voro da utilizzare, una volta rientrato in
più avanzate sul versante tecnologico
patria, per l’industria conserviera del Pare alimentare. La manifestazione, che
prende il nome di Prima Mostra delle
mense. Si tratta di un semplice foglietto
Conserve Alimentari, viene inaugurata
a quadretti, con tracciati cinque punti esil 1° settembre 1942 e dà inizio alla
tradizione fieristica alimentare di Parma. Nel 1952 l’ingegner Emanuele,
dopo 30 anni, lascia la direzione della
Stazione Sperimentale, accettando
l’incarico ministeriale di coordinatore
del Comitato Nazionale Produttività.
Questo nuovo compito lo porta a
Roma, dove trascorre gli ultimi 22
anni della sua vita. Si spegne il 10
agosto 1976 ad Ardea (Roma) all’età
di 80 anni. Il 25 settembre 2010 il
Comune di Parma gli intitola una
strada nella zona di Vicofertile.
Sul suo ruolo si veda: G. Gonizzi,
Fantasia e imprenditorialità. Francesco
Emanuele e i progetti per il comparto
conserviero parmense, in «Parma
Economica», (settembre 2000), pp.
49-90; G. Gonizzi, Una vita all’insegna del pomodoro. Francesco Emanuele
e lo sviluppo parmense delle conserve di
pomodoro, in «Cibo buono da vivere»,
II (2011), p. 3.
Una veduta d’insieme della
“fabbrica” della Stazione
Sperimentale con i laboratori
tecnologici e gli impianti sperimentali in una foto panoramica
degli anni Trenta del Novecento
(archivio SSICA, Parma).
4 PARMA economica
focus ECONOMIA
senziali, che informerebbero l’intera attività di Emanuele alla Stazione Sperimentale: 1) migliorare geneticamente le specie
di pomodori utilizzati, grazie a un’attenta
selezione delle sementi e delle modalità di
lavorazione dei terreni, in collaborazione
con i “Campi sperimentali”; 2) migliorare
le tecnologie di produzione della conserva,
attraverso l’innovazione dei sistemi di produzione dell’industria meccanica,
materiali, e delle macchine;
La prima sede è l’ex dei
3) migliorare l’igiene e il procesfabbrica Callegari, so di lavorazione all’interno delle
opportunamente aziende conserviere; 4) contribuirestaurata re alla crescita (qualitativa e quantitativa) dell’industria del settore,
attraverso appositi incontri, congressi scientifici, manifestazioni, esposizioni; 5) promuovere la divulgazione scientifica e tra gli addetti ai lavori attraverso la
creazione di appositi canali (rivista periodica specializzata, convegni, ecc.)7.
Il primo verbale del consiglio di
amministrazione della Stazione
Sperimentale, 12 maggio 1923
(archivio SSICA, Parma).
7 G. Gonizzi, Fantasia e imprenditorialità. Francesco Emanuele e i progetti
per il comparto conserviero parmense,
in in «Parma Economica», (settembre
2000), p. 57.
8 Verbale del consiglio di amministrazione della R. Stazione Sperimentale, 1923 (archivio SSICA, Parma).
9 B. Zilocchi, M. Iotti, Gli anni del
Liberty a Parma, Parma, Battei, 1993,
pp. 128-129.
La prima sede
Per quanto riguarda la scelta della sede,
abbandonata l’idea della costruzione di un
nuovo edificio sul terreno all’angolo tra
viale Milazzo e viale Villetta inizialmente
messo a disposizione dal Comune di Parma, perché giudicata troppo onerosa, si
procede all’acquisto dello stabilimento che
ha ospitato le ex officine Callegari, contraendo un mutuo trentennale di 1.200.000
lire con la Cassa di Risparmio di Parma8.
La Stazione Sperimentale ha così a disposizione un grande fabbricato e un ampio
terreno circostante per il suo futuro sviluppo. Il primo obiettivo è ora quello di
ristrutturare la fabbrica per le esigenze del
nuovo istituto.
Il presidente Righi Riva incarica così l’architetto Alfredo Provinciali (1869-1929),
che nel 1923 ha curato su mandato dello
stesso Righi Riva la trasformazione della
nuova sede della Camera di Commercio
(nell’attuale via Cavestro, oggi ceduta alla
Cassa di Risparmio), di redigere un progetto con relativo computo e preventivo
di spesa per la costruzione della sede della
Stazione Sperimentale. Il progetto prevede la trasformazione dell’edificio civile
già esistente, la demolizione della tettoia
aperta centrale, la parziale demolizione
della seconda tettoia e la costruzione di un
nuovo edificio per gli uffici, la presidenza,
la direzione e la biblioteca.
Il progetto del nuovo edificio, presentato
dall’architetto Provinciali il 20 settembre
1924, sconosciuto ai repertori,9 è conservato presso l’archivio della SSICA e presenta una pianta a forma di H con distribuzione degli spazi intorno al vestibolo
centrale e a un corridoio ortogonale. Gli
stilemi, venati di un certo eclettismo, sono
quelli propri del liberty, di cui Provinciali
ha dato già eccellenti espressioni in città
con le Case Bormioli presso il parco ducale
(1905), il padiglione agricolo della mostra
verdiana (1913), la tipolitografia Zafferri
in via Farini (1920), il palazzo Battioni su
piazza della Steccata (1923). L’operazione, tuttavia, è valutata troppo costosa per
le casse dell’ente. Si apre un contenzioso
con il progettista e, abbandonata momentaneamente l’idea della nuova costruzione,
il lavoro di adattamento dell’esistente è
affidato a un altro professionista, l’ingegner Pilade Colla (1871-1957) laureatosi
a Bologna nel 1897, che ha studio in via
Romagnosi. Gli interventi, affidati alla
ditta Roberto Cavazzini di Parma, sono
contenuti al minimo e prevedono solo la
ristrutturazione degli immobili esistenti:
iniziati nel 1925, si concludono nel 1926.
L’ex fabbrica Callegari diventa così la sede
della Regia Stazione Sperimentale e dei
nuovi laboratori industriali, che comprendono un impianto di produzione di vapo-
PARMA economica
5
focus economia
re, di derivazione di forza elettrica, di trasmissione del moto; gli impianti speciali
per ogni ricerca a carattere industriale e i
laboratori per allievi.
Solo in una fase successiva si procede alla
costruzione dei laboratori scientifici veri e
propri strutturati in sezione analisi generale, sezione ricerche, sezione microscopia
e batteriologia, sezione casearia.
Gli uffici amministrativi comprendono i
locali della direzione generale, della presidenza e del consiglio d’amministrazione,
nonché quelli dell’amministrazione finanziaria, la biblioteca e la sala per le conferenze.
I laboratori sono inaugurati il 19 aprile
1926 in occasione del 1° Congresso nazionale degli industriali conservieri, un evento
particolarmente significativo per la città.
L’inaugurazione ha luogo alla presenza del
prefetto e delle autorità locali10. Per l’occasione viene commissionato al noto fotografo Marcello Pisseri (1882-1961) un
servizio sulla manifestazione e sui nuovi
laboratori11.
Nel 1926, dunque, inizia l’attività della
Regia Stazione Sperimentale nei nuovi
locali e laboratori in viale Tanara, sotto
la direzione dell’ingegner Emanuele e del
nuovo presidente Antonio Bizzozero12,
subentrato a Righi Riva alla guida del
consiglio di amministrazione. Con il 1926,
dopo il numero unico di prova compilato da Emanuele nel dicembre del 1925,
inizia anche la pubblicazione mensile del
bollettino Industria delle Conserve, che riporta l’attività dell’istituto e gli articoli più
importanti sulla ricerca nel mondo, ancor
oggi autorevole voce della Stazione.
Viene anche approvata la prima pianta
organica del personale dell’istituto, che
comprende il direttore, un capo chimico,
un assistente chimico, un segretario, un vicesegretario economo, un capofficina, un
custode e due inservienti.
La crisi finanziaria
Ma la Stazione Sperimentale è afflitta da
seri problemi economici e il 1926, primo
anno di effettivo funzionamento dell’istituto, si chiude con un grave deficit di bilancio a causa della criticità del meccanismo
di finanziamento da parte della aziende
conserviere. Criticità che si protraggono
anche nel 1927, così che l’istituto rischia
la chiusura prima ancora di veder pienamente avviata la sua attività. Il 3 dicembre
1927, il consiglio di amministrazione rassegna le dimissioni con il preciso scopo di
agevolare la definitiva sistemazione economica dell’ente. Al consiglio dimissionario subentra un commissario straordinario
nella persona del marchese Lupo Corradi
Cervi13, già vicepresidente del Consiglio
provinciale dell’Economia. Sotto la sua
guida vengono finalmente messi a punto
i ruoli di contribuzione degli industriali
e risolti i problemi di finanziamento così
che, seppur lentamente, la situazione si avvia a una normalizzazione.
10 Il congresso nazionale dei conservieri,
in «Gazzetta di Parma», (20 gennaio
1926), p. 2; «Industria delle Conserve», IV (1926), pp. 1-17.
11 Il servizio fotografico verrà poi
pubblicato sulla rivista L’industria
italiana delle conserve alimentari nel
corso del 1927, un’immagine per
ogni fascicolo: 1-2, 3-4, 5, 6-7, 8-9,
10-11 con esclusione del numero 12.
Le tavole con le immagini non sono
numerate.
12 Antonio Bizzozero (1857-1934),
nato a Sant’Artien (Treviso) l’8 ottobre 1857, si diploma alla scuola superiore di agraria di Milano dedicandosi
poi all’insegnamento e alla sperimentazione presso la scuola agraria
di Lonigo (Vicenza). Nel 1892 è
chiamato a dirigere la cattedra ambulante di agricoltura di Parma, fondata
in quell’anno dall’onorevole Cornelio
Guerci (1857-1949), che guiderà
per un trentennio. Insegna scienze
naturali e agraria in varie scuole di
Parma. È un propagandista delle idee
di Stanislao Solari (1829-1906), promotore a Parma della riforma agraria.
Nel 1893 fonda il Consorzio Agrario
Cooperativo che diventa uno dei più
importanti d’Italia e tra le primissime
realtà economiche della provincia
di Parma. È tra i fondatori della
Stazione Sperimentale per l’Industria
delle Conserve Alimentari di Parma
e ne diventa presidente dal 1925 al
1927. Viene eletto cittadino onorario
di Parma e nominato cavaliere del
lavoro. Muore a Cles (Trento) il 15
ottobre 1934. Nel 1951 il Comune
di Parma gli intitolerà un viale nella
zona Sud della città ove si estendevano, all’inizio del secolo, i campi
sperimentali da lui stesso voluti. In
suo ricordo nel 1967 viene fondata
presso l’ispettorato dell’agricoltura
di Parma la Biblioteca Antonio Bizzozero, specializzata nelle tematiche
agricole, gestita dal 1981 dal Comune
di Parma.
Una veduta aerea del complesso della Stazione Sperimentale
nel 1935. Sulla sinistra il grande edificio dei laboratori tecnologici con la ciminiera, a destra
il reparto biologico e, di fronte,
oltre il cortile, la palazzina degli
uffici (CSAC, Parma).
6 PARMA economica
focus ECONOMIA
Il laboratorio di microscopia nel
1926 (archivio SSICA, Parma).
13 Lupo Corradi Cervi (1892-1984),
figlio di Alberto, della nobile casata
dei Corradi Cervi, nasce a Parma il 3
gennaio 1892. È presidente della Camera di Commercio di Parma. Presidente della Federazione Provinciale
degli Industriali di Parma dal 1923 al
1944, nel 1929 è vicepresidente del
Consiglio Provinciale dell’Economia
Nazionale. È presidente della Stazione Sperimentale di Parma dal 1931 al
1944. Muore a Parma il 18 dicembre
1984. Riposa nella cappella di famiglia nella galleria Nord inferiore del
cimitero monumentale della Villetta
di Parma.
14 La visita di S.E. Bottai alle zone
petrolifere della nostra provincia, in
«Gazzetta di Parma», (21 novembre
1929), p. 3.
15 Il Ministro Rossoni visita la Mostra
del Correggio e importanti istituti di
credito e agricoli della Provincia, in
«Gazzetta di Parma», (21 maggio
1935), p. 3.
16 La conferenza di S. E. Lantini al
Regio. La visita del Ministro alla R.
Stazione Sperimentale di Conserve
Alimentari, in «Gazzetta di Parma»,
(12 luglio 1938), p. 4.
17 R.D.L. 25 agosto 1932, n. 1260.
Disciplina della conservazione degli
estratti o concentrati e dei succhi di pomodoro (convertito in legge dalla legge
2057 del 20 dicembre 1932). Alcuni
passaggi della normativa ci paiono
ancor oggi significativi: «Gli estratti o
concentrati di pomodoro in conserva
e i succhi di pomodoro debbono
essere prodotti direttamente dal frutto
fresco, maturo, sano e ben lavato, e
conservati, subito dopo la produzione, e, in ogni caso, non oltre il 31
ottobre di ciascun anno, in recipienti
di bande stagnate o di vetro, idonei,
ermeticamente chiusi, di capacità non
superiore ai litri 20 […]. I residui
della lavorazione dei pomodori pelati
dovranno essere immediatamente ed
esclusivamente utilizzati dalla stessa
fabbrica produttrice di pomodori
pelati […]. I prodotti semilavorati
non possono essere messi in commercio per la preparazione successiva di
conserve».
Il 20 novembre del 1929 i laboratori della Stazione Sperimentale vengono visitati
dal ministro delle corporazioni, Giuseppe
Bottai (1895-1959), in città per sopralluoghi agli impianti petroliferi del Parmense14.
Le cronache registrano negli anni successivi la visita di altri due ospiti illustri: il 19
maggio 1935 il ministro dell’agricoltura,
senatore Edmondo Rossoni (1884-1965),
a Parma per la mostra del Correggio15, e
l’11 luglio 1938 il ministro delle corporazioni, Ferruccio Lantini (1886-1958),
oratore a una conferenza sulla Autarchia
produttiva organizzata al Teatro Regio16.
Il commissariamento della Regia Stazione
cessa nel 1931, quando ormai i problemi
finanziari dell’istituto possono considerarsi superati e l’attività scientifica definitivamente decollata. Il marchese Lupo
Corradi Cervi è confermato presidente del
nuovo consiglio di amministrazione.
I primi anni di attività
L’attività scientifica e tecnica, nonostante
i problemi finanziari, non si arreLa ricerca aiuta sta mai e i servizi della Stazione
in quel periodo più
subito a migliorare sicherivelano
mai utili all’industria consergli standard igienici viera, i cui problemi di carattere
delle imprese, igienico provocano gravi danni
agevolandole economici, soprattutto per l’edelle conserve italianell’export sportazione
ne all’estero, in particolare negli
Stati Uniti.
Nella seduta del 3 settembre 1931, il consiglio di amministrazione, sentita la rela-
zione tecnica del direttore, ingegner Emanuele, considerato che l’uso dei fusti di
legno è causa di grave danno all’economia
in quanto deteriorano gravemente le conserve, decide di trasmettere al Ministero
richiesta affinché emani urgentemente un
provvedimento per la proibizione dell’uso dei fusti e imponga la sostituzione con
bidoni di latta non permeabili a chiusura
ermetica. Nel 1932 viene promulgato il
R.D.L. 1260 (convertito successivamente
nella legge 2057) che disciplina la conservazione degli estratti e dei succhi di pomodoro17.
L’esigenza di garantire prodotti conservati, sicuri dal punto di vista igienico-sanitario, fa convergere la ricerca sullo studio
dei metodi di sterilizzazione e sui contenitori. I reparti imballaggi e microbiologia
registrano, assieme al settore agronomico
legato al pomodoro, i maggiori interventi
di potenziamento.
Nel 1933 viene così inaugurato il nuovo
reparto biologico, interamente predisposto
per lo studio dei problemi microbiologici
degli alimenti e dei metodi di sterilizzazione più all’avanguardia per la sicurezza
e il mantenimento della qualità degli alimenti.
Ma i nuovi problemi dell’industria conserviera e soprattutto dell’economia nazionale fanno convergere le ricerche sullo studio
degli imballaggi.
Dopo la guerra d’Etiopia del 1935, a causa
della quale l’Italia subisce le sanzioni economiche da parte della Società delle Na-
PARMA economica
7
focus economia
zioni, il regime impone l’autarchia, cioè il
raggiungimento della massima autonomia
economica; anche se nel 1936 le sanzioni economiche sull’Italia sono rimosse, la
politica di indipendenza economica non
viene mutata e le importazioni sono scoraggiate.
Per l’industria delle conserve alimentari
diventa difficile procurarsi lo stagno e i
metalli per la fabbricazione dei contenitori e le scatole di latta o lamierino stagnato, fino a quel momento largamente
usato, devono essere sostituite con lamierino nero verniciato da speciali vernici
inattaccabili dalle varie conserve o con
recipienti di altra natura. Su questo indirizzo si concentra l’attività della Stazione
che porta un contributo non indifferente
alla soluzione del problema che interessa
l’economia nazionale e l’alimentazione in
tempo di guerra.
Con l’entrata in guerra dell’Italia il problema riveste un carattere di sopravvivenza, essendo le conserve alimentari più che
mai necessarie all’alimentazione della nazione e dell’esercito.
La Stazione si fa portavoce di queste esigenze e, oltre a mobilitare ogni sua attività di laboratorio, pur nelle circostanze
disagiate del momento, indice una Mostra
8 PARMA economica
Autarchica dello Scatolame e degli
Imballaggi per Conserve Alimentari. L’iniziativa raggiunge i suoi
obiettivi e la manifestazione,
sorta da un problema tecnico, si
evolve nella prima Mostra delle
Conserve di Parma18.
La situazione
postbellica è
disastrosa ma
tutti concordano:
rilanciare la SSICA
è essenziale per
l’industria e il Paese
Dalla guerra alla ricostruzione
Ma gli anni del conflitto sono
particolarmente difficili per l’industria alimentare che deve sottostare ai condizionamenti bellici e la Stazione Sperimentale, privata dei contributi degli industriali,
deve affrontare nuovamente la crisi finanziaria e altri commissariamenti.
Dalla fine della guerra il primo consiglio è
convocato nell’ottobre 1947 a Roma, presso la sede del Consiglio Superiore di Sanità: l’ingegner Luciano Fantelli19, commissario straordinario uscente, lascia la guida
della Stazione Sperimentale al professor
Domenico Marotta20, nominato nuovo
presidente. La sede di Parma, posta non
lontano dalla ferrovia, a causa degli eventi
bellici versa in condizioni disastrate, il bilancio dell’istituto presenta un gravissimo
deficit finanziario, ai dipendenti non sono
state pagate diverse mensilità e, nonostante i sacrifici compiuti dal personale per
svolgere la normale attività, appare evidente a tutti che senza adeguati contributi
la vita dell’ente non può proseguire.
Ma l’opinione condivisa è che la Stazione
Sperimentale deve vivere e che il suo ruolo
è più che mai fondamentale per il rilancio
di quell’industria alimentare da cui dipendono le sorti del Paese uscito distrutto dal
conflitto mondiale. Per favorire lo sviluppo
dell’industria conserviera meridionale si
propone, inoltre, l’istituzione di due sezioni meridionali della Stazione Sperimentale, a Salerno e in Sicilia. La proposta, già
avanzata dalla Camera di Commercio di
Salerno, ottiene l’unanime approvazione
del consiglio di amministrazione.
Per il rilancio della Stazione Sperimentale,
si fa esplicita richiesta al ministro per l’Industria e il Commercio perché i contributi
industriali siano riscossi direttamente dalla Stazione Sperimentale e non più attraverso il contributo dell’Istituto Nazionale
per le Conserve Alimentari di Roma. La
risposta del Ministero, nonostante ripetute sollecitazioni, si fa attendere e nel giugno 1948 il professor Marotta comunica le
sue dimissioni da presidente del consiglio
18 Chiusa la triste parentesi della
guerra, l’Ente Mostra gradatamente
estende la sua attività all’esposizione
delle materie prime, delle macchine
di trasformazione, dei prodotti finiti
e degli imballaggi con le relative
macchine di produzione. Viene così
realizzato un nuovo tipo di mostra
comprendente tutto il ciclo industriale
della produzione conserviera che in
pochi anni può contare sull’adesione
di Paesi stranieri industrialmente all’avanguardia. Il successo della Mostra
delle Conserve porrà i presupposti per
la nascita, nel 1985, della manifestazione internazionale Cibus, ancor oggi
ospitata a cadenza biennale dalle Fiere
di Parma.
19 Luciano Fantelli (1908-1972),
nato a Parma il 1 gennaio 1908,
secondogenito di Gisella Palmieri e
di Mario, uomo politico intelligente
e moderato, nel dopoguerra è per
molti anni vicesindaco della città e
presidente della commissione teatrale
del Regio. Laureatosi in ingegneria
meccanica al Politecnico di Milano
negli anni Trenta, in virtù delle sue
competenze presta il servizio militare
nel Genio pontieri a Piacenza. Nel
1939 sposa Lucilla Beduzzi, da cui ha
due figli, Mario e Renata. Richiamato
nel Genio durante la seconda guerra
mondiale, viene fatto prigioniero dai
tedeschi dopo l’8 settembre 1944 e
internato in campo di concentramento
in Germania. Rientrato a Parma
con la fine del conflitto, vi esercita la
libera professione per oltre 20 anni,
dedicandosi prevalentemente, in una
città che ha bisogno di ricucire le ferite
della guerra e di espandersi, alla progettazione civile. Tra le sue principali
realizzazioni si ricordano i cinema
cittadini Centrale, Pace e Roma e la
progettazione di un importante complesso saccarifero in Piemonte. Sua
anche la sede dell’Artegrafica Silva ai
Cavalli di Collecchio. Poco dopo il suo
rientro a Parma è nominato presidente
della Stazione Sperimentale dall’ottobre 1945 all’ottobre 1947. Di carattere
riservato ma gioioso, eredita la passione per la musica dal padre: melomane
assiduo, frequenta la stagione lirica
del Teatro Regio e suona con abilità il
mandolino. Insegna per qualche tempo
materie tecniche all’istituto di avviamento professionale cittadino. Muore
a Parma il 23 marzo 1972.
20 Domenico Marotta (1886-1974),
nato a Palermo il 28 luglio 1886,
conseguita la laurea in chimica nel
1910 all’Università della sua città,
diventa chimico e scienziato di fama.
Nel 1911 viene assunto presso l’Istituto
di Sanità Pubblica. Dopo aver vinto
per concorso la cattedra di chimica
analitica all’università di Firenze, il
25 luglio 1935 è nominato direttore
dell’Istituto Superiore di Sanità, che
guida fino al 29 luglio 1961. Marotta
è considerato l’inventore dell’ISS, del
quale durante i 26 anni di direzione
ottimizzerà la qualità e la quantità dei
risultati del lavoro di ricerca. Marotta,
inoltre, fonda nel 1938 la prestigiosa
rivista scientifica Rendiconto dell’Istituto Superiore di Sanità, ribattezzata nel
1965 Annali dell’Istituto Superiore di
Sanità. Alla fine della Seconda Guerra
focus ECONOMIA
La sala apparecchi di precisione
della Stazione Sperimentale nel
1926 (archivio SSICA, Parma).
Mondiale Marotta gestisce l’Istituto
Superiore di Sanità risollevandone
il prestigio e modernizzandone le
attrezzature. Porta in Italia figure
importanti quali i premi Nobel Ernst
Boris Chain e Daniel Bovet e crea il
Centro Internazionale di Chimica e
Biologia che, dopo la costruzione nel
1948 del cosiddetto “fermentatore”
(un impianto pilota per la produzione
della penicillina), dal 1951 diventa
operativo a pieno ritmo. È presidente
della Stazione Sperimentale di Parma
dal 1947 al 1950. Muore a Roma il 30
marzo 1974.
21 Francesco Marchini Càmia (18911960), nato a Borgo Val di Taro (Parma) il 28 febbraio 1891 da una delle
più antiche e stimate famiglie del luogo, dopo avere perso entrambi i genitori in tenera età, trascorre gli anni della giovinezza a Bologna dove si laurea
in giurisprudenza. Partecipa alla prima
guerra mondiale, prima come soldato
nell’artiglieria alpina e poi come
ufficiale di artiglieria da campagna. È
promotore del Partito Popolare, sin dal
sorgere del movimento di don Sturzo.
È sindaco di Borgotaro dal 1920 fino
all’avvento del fascismo. Durante il
ventennio si ritira dalla vita politica e si
dedica attivamente all’Azione Cattolica, promuovendo lo sviluppo di opere
assistenziali quali le Conferenze di
San Vincenzo e attivandosi per salvare
alcune opere del patrimonio culturale
di Borgotaro, come il castello, il teatro
settecentesco e la chiesa di San Rocco.
Nel 1927 si laurea anche in farmacia
aprendone quindi una a Borgotaro in
via Nazionale. La Resistenza segna per
lui il ritorno al mondo della politica e
a guerra finita è consigliere provinciale
e di nuovo sindaco di Borgotaro; nel
1948 viene eletto senatore per la
Democrazia Cristiana nel collegio
di Borgotaro-Salsomaggiore, dove
viene rieletto fino al 1960, anno della
sua scomparsa. È presidente della
Stazione Sperimentale di Parma dal
1950 al 1952. Dal 1956 è sindaco di
Valmozzola e si impegna anche nelle
organizzazioni di categoria in campo
agricolo e industriale. Muore a Roma
il 28 febbraio 1960.
22 Rolando Cultrera (1906-1984),
nato a Caltagirone (Catania) il 7 gennaio 1906, si laurea in chimica presso
l’università di Parma nel 1928 ed entra
l’anno dopo come sperimentatore di
ruolo alla Stazione Sperimentale per
l’Industria delle Conserve Alimentari,
dove rimane fino al 1934, per trasferirsi a Modena come vicedirettore
della locale Stazione Agraria (19351940). Dopo una lunga esperienza
nel campo dell’industria alimentare e
dell’insegnamento universitario, nel
1952 viene nominato presidente della
Stazione Sperimentale (fino al 1983)
con funzioni anche di direttore (fino
al 1970). A lui si devono lo sviluppo
e la completa trasformazione della
sede di Parma e la realizzazione della
sede meridionale di Angri (Salerno),
fondamentale presidio per le industrie
conserviere del Mezzogiorno. Tra
gli incarichi di maggior prestigio
si ricorda la sua attività di membro
della Commissione Economica del
Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno (1951), di vicepresidente del
Comité International permanent de la
Conserve (1954-1968), del Comitato
esperti per lo studio del ritardo tecnologico europeo (1962) e del Comitato
consultivo del Ministero dell’Industria
per i problemi della piccola e media
industria (1972). Muore a Parma il
30 giugno 1984. Il 25 settembre 2010
il Comune di Parma gli intitola una
strada nella zona di Vicofertile.
di amministrazione, constatando l’inutilità
della sua carica e ritenendo la sua opera
esautorata dal silenzio del Ministero. A
questo punto il Ministero risponde invitandolo a ritirare le sue dimissioni e varando un provvedimento mirante all’autonomia amministrativa della Stazione
Sperimentale.
La Stazione Sperimentale raggiunge l’obiettivo da tempo auspicato della propria
autonomia finanziaria, ma i suoi problemi non sono terminati: l’indebitamento
che deve sostenere è diventato altissimo,
l’Istituto Nazionale per l’Industria delle
Conserve non si dimostra collaborativo, i
rapporti con il personale e, in alcuni casi,
con gli industriali sono diventati molto
conflittuali e il percorso da compiere è ancora molto lungo.
Rinnovando un’attenzione del governo
all’attività della Stazione Sperimentale, il
12 settembre 1951 il ministro dell’Agricoltura, Amintore Fanfani (1908-1999), a
Parma per l’inaugurazione della IV Mostra
delle Conserve, visita laboratori e reparti
della Stazione Sperimentale accompagnato dal direttore Emanuele.
Intanto, il 6 aprile 1950 la presidenza della
Stazione è assunta dal senatore Francesco
Marchini Càmia21 che, dopo soli due anni,
nell’ottobre del 1952 si dimette per facilitare la risoluzione delle difficoltà sorte nei
rapporti tra il consiglio uscente e quello
nuovo. Il 15 ottobre il professor Rolando
Cultrera22 è nominato nuovo presidente.
L’1 novembre del 1952, dopo 27 anni di
servizio, Francesco Emanuele lascia la direzione della Stazione Sperimentale, chiamato a Roma dal ministro dell’Economia
a dirigere il Comitato Nazionale Produttività. Gli succede lo stesso Cultrera che
somma così le due cariche di direttore e
presidente fino al 1970.
Con lui si pongono le basi per la “ricostruzione” dell’istituzione: è ricostituito il consiglio di amministrazione, che si riunisce
per la prima volta il 9 novembre 1952, con
la partecipazione del direttore generale
della produzione industriale del Ministero dell’Industria e del prefetto di Parma a
sottolineare la volontà del governo di far
risorgere l’istituto.
Lo sviluppo del dopoguerra
L’apporto della Stazione Sperimentale è
fondamentale per la piccola e media industria che non possiede laboratori propri e
che ha bisogno di risolvere continuamente nuovi problemi; ma anche alle imprese
industriali modernamente attrezzate, con
tecnici di valore e laboratori sperimentali
di primo piano, la Stazione Sperimentale
può offrire il frutto di nuovi risultati sperimentali e rimane comunque la sede più
opportuna per realizzare un’ampia collaborazione tra ricercatori e tecnici.
Da questo momento i consigli di amministrazione si susseguono con regolarità e
PARMA economica
9
focus economia
Il laboratorio imballaggi
negli anni Sessanta, nel nuovo
edificio dei laboratori (archivio
SSICA, Parma).
senza fratture. Del consiglio fanno parte
ininterrottamente dal 1952 e per i successivi 25 anni, oltre al professor Cultrera, gli
industriali Amilcare Bertozzi, Giovanni
Locatelli, Paolo Negroni e per 22 anni
Aldo Barattini, dimessosi nel 1974 per ragioni di salute. Si tratta di un nucleo compatto che condivide una certa visione e un
ideale della Stazione che portano in breve
tempo a trasformare la vecchia sede in un
istituto perfettamente attrezzato per qualsiasi ricerca scientifica e tecnica nel campo
dell’alimentazione, rinomato a livello universitario e con un prestigio nazionale e
internazionale.
Nel maggio 1953 inizia la costruzione del
nuovo edificio per laboratori e uffici, nonché la sistemazione del vecchio fabbricato
posto a sinistra dell’ingresso, per adattarlo
a portineria, casa del custode, servizi vari.
La ristrutturazione fisica della sede della
Stazione Sperimentale costituisce l’occasione per creare e differenziare i vari reparti di competenza con dotazione specifica e personale altamente specializzato. Il
1954, oltre a registrare la ristrutturazione
dei laboratori, vede partire l’iter per la costituzione della tanto auspicata sezione
meridionale della Stazione Sperimentale,
che ha la sua sede in Salerno e che entra in
funzione nel 195723.
Nello stesso anno, a complemento dei reparti industriali già esistenti, apre presso
la sede di Parma un nuovo reparto per la
lavorazione delle carni, costituito da una
sala principale per lo spolpo e la prepara-
10 PARMA economica
23 La sezione di Salerno viene
zione degli impasti, soprattutto insaccati,
costituita grazie a una convenzione
da una moderna cella per la cottura delstipulata tra la Stazione Sperimentale,
il Comitato Nazionale per la Prole mortadelle, da una cassa termica per la
duttività e la Camera di Commercio
cottura dei prosciutti, da due celle di stadi Salerno, in locali attrezzati per
lo svolgimento dell’attività chimica,
gionatura, da un frigorifero con tre celle a
microbiologica e agronomica. Il laboratorio verrà inaugurato ufficialmente
varia temperatura e da normali attrezzatuil 27 aprile 1958 in occasione del 1°
re ausiliarie.
convegno meridionale sull’industria
delle conserve vegetali alla presenza
Nel 1961 vengono realizzati i nuovi ladell’onorevole Fiorentino Sullo
boratori per le conserve vegetali e per gli
(1921-2000), sottosegretario al Ministero per l’Industria ed il Commercio.
imballaggi e nuovi laboratori di analisi
24 Inaugurati i nuovi laboratori della
strumentale. Il nuovo edificio che li ospiStazione Sperimentale delle Conserve,
in «Gazzetta di Parma», (2 dicembre
ta, progettato dall’ingegner Otello Popoli
1961), p. 5.
(1906-1997), è inaugurato il 1° dicembre
1961, alla presenza dell’ispettore generale
del Ministero dell’Industria, Morgetano,
di industriali, tecnici e studiosi. Nell’occasione, gli industriali italiani consegnano
al professor Cultrera una medaglia d’oro
opera dello scultore reggiano Armando
Giuffredi (1909-1986)24. Nel
1968 sono poi ampliati la biblioDal 1952 si insedia
teca e gli uffici direzionali.
un cda compatto
Grande impulso è dato allo studio
che eleva la SSICA
delle conserve animali, vera novità
a centro di prestigio
della ricerca della Stazione Speriinternazionale
mentale negli anni Sessanta.
La collaborazione tra Consorzio
del Prosciutto di Parma (istituito nel 1963) e
Stazione Sperimentale porta nel 1970, dopo
anni di studi, al riconoscimento giuridico del
nome Prosciutto di Parma e alla legge di tutela della denominazione di origine.
L’istituto ormai vive immerso nel clima
industriale e su questo terreno svolge la
delicata funzione della sperimentazione,
della raccolta e divulgazione delle notizie
focus ECONOMIA
riguardanti i progressi tecnici realizzati in
tutti i Paesi, dell’assistenza nello studio dei
problemi che singoli industriali o gruppi
d’industrie possono proporre.
Vanno ricordate in questi anni anche
le visite di due ministri, a Parma per l’inaugurazione della Mostra delle Conserve, che varcano i cancelli della Stazione
Sperimentale accompagnati dal
Il terremoto del professor Cultrera: il ministro
senatore Giu1971 impone la dell’Agricoltura,
seppe Medici25 (1907-2000), il
costruzione di una 20 settembre 1964, e il ministro
nuova sede, più dell’Industria, senatore Carlo
moderna e adeguata Donat Cattin (1919-1991), il 18
settembre 1976.
ai tempi
25 Il ministro Medici esalta la Mostra
delle Conserve, rassegna pilota nel settore dell’alimentazione, in «Gazzetta di
Parma», (21 settembre 1964), p. 5.
26 Antonino Porretta (1927-), nato a
Sciara (Palermo) il 14 ottobre 1927,
si laurea in chimica presso l’università di Palermo. Dal 1952 al 1954 è
assistente ordinario presso l’istituto
di chimica agraria dell’università di
Palermo. Dal 1954 presta servizio
presso la Stazione Sperimentale per
l’Industria delle Conserve Alimentari
di Parma e già dal 1964 ricopre la
qualifica di vicedirettore. Nel 1962
è abilitato alla libera docenza, confermata definitivamente nel 1968, in
tecnologia della conservazione degli
alimenti. Dal 24 novembre 1970
diventa direttore della Stazione Sperimentale di Parma ricoprendo l’incarico fino al 1992. Dal 1992 al 1996 è
consigliere di amministrazione della
Stazione Sperimentale, per conto del
Ministero dell’Industria, Commercio
e Artigianato. Dal 1970 al 1995 è
stato consigliere di amministrazione
dell’Ente Fiere di Parma.
L’attività negli anni Settanta
La Stazione Sperimentale apporta contributi di ricerche originali attraverso la partecipazione a congressi o comitati di studio, confrontandosi anche con il mondo
della tecnologia internazionale per verificare il livello di preparazione e la qualità
del lavoro dell’istituto.
Al momento in cui, nel 1970, il professor
Cultrera rinuncia all’incarico di direttore a
favore del professor Antonino Porretta26,
l’istituto sta vivendo il suo periodo di massima grandezza che continua per altri due
decenni.
Nel luglio del 1971, una forte scossa di
terremoto danneggia seriamente la vecchia fabbrica della Stazione Sperimentale.
Poiché la riparazione sarebbe ben più onerosa, si decide per la sua demolizione e per
la costruzione con moduli prefabbricati di
una nuova fabbrica moderna e adeguata
ai tempi, comprendente i nuovi laboratori
per le conserve animali, per le conserve di
pomodoro e per i prodotti vegetali.
Sono allestiti al suo interno anche un nuovo laboratorio per la ricerca e le analisi dei
prodotti ittici e un reparto interamente
dedicato alle problematiche degli effluenti
industriali: acque di scarico, depurazione
dei fanghi.
La crescente importanza nell’economia
territoriale del prosciutto e dei salumi stagionati porta a un incremento della ricerca
e alla necessità di ampliamento dello spazio destinato al reparto dei prodotti carnei.
Così nel 1985 viene costruito e inaugurato
un altro edificio che ospita i nuovi e moderni laboratori tecnologici delle conserve
di carne.
La nuova sede di Angri
Nel 1979, per colmare la disparità di trattamento delle industrie del Mezzogiorno,
il consiglio di amministrazione decide
l’ampliamento della sede meridionale della Stazione Sperimentale27 e nel 1981 approva il progetto esecutivo della costruzione della sede della Stazione Sperimentale
per l’Industria delle Conserve Alimentari
in Angri (Salerno). Nel dicembre 1982
iniziano i lavori di costruzione e contemporaneamente viene effettuata la selezione
del personale tecnico, costituito da 22 unità da addestrare presso la Stazione di Parma e da trasferire, dopo un triennio, alla
27 Nel 1979 la Stazione fa istanza
alla Cassa per il Mezzogiorno per
un adeguato potenziamento del
laboratorio di Salerno, nel quadro del
progetto speciale Ricerca scientifica e
applicata nel Mezzogiorno, approvato
dal CIPE il 20 luglio 1979. Il consiglio di amministrazione della Casmez
nel 1981 approva il progetto esecutivo
della “Costruzione della Sezione meridionale della Stazione sperimentale
per l’industria delle conserve alimentari” in Angri (Salerno).
Una veduta della sede di Angri
(Salerno), sorta su un’area di
30.000 mq, di cui 3.600 coperti,
destinati ad accogliere uffici,
servizi, laboratori chimici e industriali (archivio SSICA, Parma).
PARMA economica
11
focus economia
sede di Angri. La nuova sede di Angri28
entra in funzione nel maggio 1987; sorge
su un’area di circa 30.000 mq e si sviluppa
su una superficie costruita di circa 3.600
mq destinati a uffici, servizi, laboratori
chimici e strumentali.
Lo scenario degli anni Ottanta e Novanta
Nel frattempo il consiglio di amministrazione della Stazione Sperimentale cambia
in seguito alle dimissioni del professor
Cultrera che, per motivi di salute, lascia
l’istituto dopo 30 anni di ininterrotta attività.
Lo scenario politico e sociale del Paese sta
cambiando ancora e l’economia nazionale entra in una fase diversa, coinvolgendo
anche gli assetti industriali. L’epoca che si
vive negli anni Ottanta e Novanta è considerata come una fase di transizione che
prelude a un nuovo ciclo di sviluppo economico. Si pensa che un adeguato sfruttamento delle potenzialità dell’informatica
e di altre risorse energetiche possa dare
L’origine delle stazioni sperimentali italiane
Nella seconda metà dell’Ottocento
l’industria napoletana del guanto, già
floridissima, attraversa una crisi molto
acuta a causa della perdita progressiva dei mercati esteri e perfino di quello
interno, che vengono, a mano a mano,
conquistati dalla migliore produzione
tedesca e francese. La gravità della
situazione ha echi in Parlamento con
la proposta di inviare in Austria degli
operai, accompagnati da tecnici, per
studiare i metodi per la concia, la tintura, il taglio e la cucitura dei guanti. L’iniziativa trova scarse adesioni da parte
dei fabbricanti, che accolgono invece
favorevolmente la proposta del ministro
dell’Agricoltura, Industria e Commercio per la creazione di un istituto che
fornisca insegnamenti tecnici e pratici
sull’industria delle pelli. Sorge così, con
il finanziamento dello Stato e degli enti
locali, la Stazione Sperimentale per l’Industria delle Pelli, istituita con R.D. 1596
dell’8 febbraio 1885, con il compito di
«fornire insegnamenti tecnici e pratici a
coloro che si dedicano ai diversi rami
dell’industria guantaria e di eseguire
esperimenti e ricerche sulla concia e la
coloritura delle pelli, esami e saggi di
materie concianti e tintoria».
A distanza di alcuni anni, anche l’arte
della seta lombarda viene dotata di una
specifica stazione sperimentale, trasformazione istituzionale del Laboratorio di studi ed esperienze sulla seta,
istituito nel 1894 presso la cooperativa
per la stagionatura e l’assaggio delle
sete a Milano.
Attraverso il D.L. 896 del 10 maggio
1917, che autorizza il governo a istituire
stazioni sperimentali1 per tutti i settori
industriali, con l’unica esclusione delle
«industrie che hanno per solo scopo
la produzione di energia elettrica e di
12 PARMA economica
forza motrice», il tema riceve un inquadramento normativo generale. Lo stesso decreto legge detta, tra le norme di
organizzazione, quella che assicura il finanziamento degli istituti «chiamando a
contribuire anche le industrie dei settori
rispettivi». Sulla base delle disposizioni
del decreto legge vengono riordinate
le due stazioni Sperimentali esistenti e,
negli anni successivi, ne sono istituite
altre quattro: essenze e derivati dagli
agrumi, a Reggio Calabria; oli e grassi,
a Milano; conserve alimentari, a Parma;
e carta, a Milano. Norme più particolareggiate sulle stazioni sperimentali per
l’industria vengono poi emanate con
i due testi legislativi fondamentali, e
cioè il Regio Decreto 2523 del 31 ottobre 1923, concernente il riordinamento
dell’istruzione industriale, e il relativo
regolamento d’applicazione, approvato
con il Regio Decreto 969 del 3 giugno
1924.
A quelle sei stazioni se ne aggiungono poi, in oltre 40 anni, solo due: quella
sui Combustibili, a Milano, che risponde a una necessità primaria anche per
l’influenza che ha sulla vita economica
di tutte le altre aziende, oltre che sulla salute pubblica; e quella del vetro,
un’attività tradizionale del nostro Paese, almeno per la parte artistica, tanto
che, anche con un po’ di romanticismo,
la stazione sorge a Murano, dove il vetro ebbe la sua gloria europea e dove,
ancora oggi, trova la possibilità di aggiornarsi al gusto e alla tecnica più moderni.
1
Sulla genesi delle Stazioni Sperimentali in Italia,
si rimanda a E. Carbone, Le Stazioni Sperimentali
per l’industria, in «Industria Conserve», LXI (1966),
pp. 73-81, e R. Cultrera, Le Stazioni Sperimentali
per l’industria nel quadro della ricerca scientifica
e tecnologica in Italia, in «Industria Conserve», LXI
(1966), pp. 81-87.
28 F. Caiazzo, Angri: una realtà al
servizio delle industrie, Angri, Il gabbiano, 2010.
29 Demetrio Corno (1924-), nato a
Carnate (Milano), l’8 novembre 1924,
ricopre la carica di sindaco del suo
paese natale nel corso degli anni Ottanta del Novecento. Amministratore
delegato della Star con vasta competenza nelle tematiche dell’industria
alimentare e vicepresidente della
Stazione Sperimentale durante il
mandato del professor Rolando Cultrera, con le sue dimissioni per motivi
di salute subentra alla guida dell’ente
dal 1983 al 1985. Ricopre numerosi
incarichi in ambito confindustriale ed
è presidente dell’Associazione Italiana
Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA) dal 1999 al 2000, vicepresidente
di Federalimentare (2000-2002)
nonché presidente di Federalimentare
Servizi e di Tecnoalimenti.
30 Antonio Braibanti (1927-) nasce a
Parma, il 5 maggio 1927, dove compie i suoi studi laureandosi in chimica
presso la locale università. Dal 1951
al 1974 tiene i corsi di chimica generale e inorganica, di fisica tecnica
(per chimici) e di chimica (per ingegneri) presso la Facoltà di Scienze
dell’Università di Parma. Ordinario di
chimica fisica nella facoltà di farmacia
dell’Università di Parma, dove tiene
la cattedra di metodi fisici in chimica
organica dal 1973 al 1981, è autore di
oltre 120 pubblicazioni scientifiche
nei campi della strutturistica chimica,
della termodinamica delle soluzioni,
della biotermodinamica e della bioenergetica. Fa parte degli organi direttivi di diverse associazioni scientifiche
nazionali. È membro del consiglio
di amministrazione dell’università di
Parma dal 1975 al 1978 e dell’Opera
universitaria di Parma dal 1978.
Dal 1985 al 1990 è presidente della
Stazione Sperimentale per l’Industria
delle Conserve Alimentari.
31 Mario Pretti (1929-2004) nasce a
Milano, l’11 luglio 1929, dove consegue il diploma in ragioneria. Nel corso delle sue molteplici attività legate
in prevalenza all’industria alimentare,
approfondisce maggiormente le aree
riguardanti la programmazione strategica, la ricerca, la determinazione
del potenziale sviluppo dei segmenti
di mercato e l’integrazione agricoltura-industria. Nel 1960 è chiamato a
interessarsi della società Spica di Napoli, produttrice di gelati industriali;
il l° gennaio 1964 entra a far parte del
consiglio di amministrazione e nel
giugno 1966 diventa amministratore
delegato e direttore generale della
stessa società. Nel 1967, in seguito
all’alleanza della Spica con il gruppo
Eldorado, è nominato amministratore
delegato della Vallese-Eldorado e
della Eldorado Sud. Nel 1968 diviene amministratore delegato della
Genepesca, Società Generale per la
pesca, e nel novembre dello stesso
anno della Società Invito, produttrice
di surgelati. All’inizio del 1969 è
nominato amministratore delegato
della Findus Commerciale, con sede
a Milano, e della Findus, con sede a
Cisterna (Latina). Nel 1974 è nominato amministratore delegato della
Toseroni con sede in Roma. Infine
dal 1980 fino al 1989 è presidente del
consiglio di amministrazione delegato
della Società Alimentare Generale
Italiana (SAGIT) che gestisce nell’area di Napoli, lo stabilimento più
grande del mondo per la produzione
di gelati e in provincia di Latina uno
dei maggiori d’Europa per la prepara-
focus ECONOMIA
luogo a profonde trasformazioni dell’organizzazione sociale, portando a una società
opulenta. Ci si attende quindi una seconda
rivoluzione industriale che rafforzi il legame tra scienza e tecnologia.
Ma cominciano anche a emergeDagli anni ’80, la re i nuovi Paesi industrializzati
globalizzazione mina che attuano la concorrenza attraalla base il sistema verso la riduzione dei prezzi. Il
comparto conserviero italiano è
agroalimentare e gravato dai costi elevati delle maSSICA continua a terie prime e le aziende conserstare al fianco delle viere sono, per lo più, di piccole
aziende o medie dimensioni e prive al
loro interno di laboratori necessari per la ricerca; tuttavia, l’unica strada da percorrere per l’affermazione
del prodotto nazionale è quella che punta
all’innovazione e alla qualità. La Stazione
Sperimentale, attenta alle esigenze dell’industria, si presenta, ancora una volta,
come un tramite per affrontare e risolvere
i problemi tecnologici della conservazione, senza trascurare gli aspetti analitici e
qualitativi.
Ma nella società moderna le cose cambiano molto rapidamente e in modo non
zione dei surgelati. Negli stessi anni è
anche vicepresidente dell’associazione
sempre prevedibile. La globalizzazione dei
italiana industriali prodotti alimentari
mercati mina le fondamenta del sistema
surgelati. È presidente della Stazione
Sperimentale di Parma dal 1990
agroalimentare che un secolo prima ha
al 1995. Diviene quindi presidente
portato all’industrializzazione parmense e
dell’Istituto Italiano Alimenti Surgelati (fondato nel 1963) che guida fino
nazionale. Il mutare delle abitudini e dei
alla sua scomparsa. Pretti muore a
Roma il 4 luglio 2004.
consumi alimentari, indirizzati verso al32 Stazione Sperimentale, festa dei 75
tri prodotti più adatti ai moderni stili di
anni: bilanci e progetti. La ricerca per la
consumo, porta i salumi, i formaggi e il
qualità, in «Gazzetta di Parma», (20
giugno 1999), p. 8 [inserto speciale di
pomodoro a una crisi di sovrapproduzio«Industria Conserve», III (1999)]
La Stazione Sperimentale oggi:
veduta d'insieme degli uffici e
dei laboratori della sede di Parma (archivio SSICA, Parma).
ne e l’industria delle macchine alimentari,
dopo essere stata in gran parte acquisita
da imprese multinazionali, deve fare i conti con la globalizzazione delle produzioni.
La crisi dell’industria alimentare coinvolge
anche la Stazione Sperimentale che deve
iniziare ad affrontare una fase discendente.
In questi anni si succedono, alla presidenza dell’istituto, Demetrio Corno29 (19831985), già vicepresidente della SSICA,
con vaste esperienze in ambito imprenditoriale, il professor Antonio Braibanti30
(1985-1990), docente di chimica all’università di Parma, e Mario Pretti31 (19901997), con ampia esperienza in campo
industriale alimentare.
Verso il nuovo millennio
Nel 1999, alle soglie del nuovo millennio,
entra in funzione il nuovo, modernissimo
reparto di microbiologia della Stazione Sperimentale. Il 19 giugno la SSICA
celebra il compimento del settantacinquesimo anno di attività. L’occasione per
celebrare degnamente l’anniversario è offerta dall'inaugurazione, alla presenza del
sottosegretario al Ministero dell'Industria,
Commercio e Artigianato, Gianfranco
Morgando, del nuovo dipartimento di
microbiologia, intitolato alla memoria del
professor Rolando Cultrera, suo storico
presidente32.
Il nuovo laboratorio di microbiologia occupa una superficie di 532 mq e si estende
su due piani e un locale seminterrato, per
una superficie complessiva di 767 mq, dei
PARMA economica
13
focus economia
quali 520 destinati a laboratori e 120 a uffici, sale riunioni e aule di addestramento.
Il complesso, che ospita 11 differenti laboratori, è progettato da un gruppo associato formato dall'architetto Quintilio Prodi
e dagli ingegneri Giovanni Borrini, Gian
Luigi Capra, Ubaldo Nocera e Luciano
Zanni. La realizzazione, opera dell'impresa Colgem di Roma, richiede un investimento complessivo di 4.100 milioni di lire
(circa 2,5 milioni di euro attuali).
Nel 1999 viene anche emanata una nuova
normativa di riforma delle Stazioni Sperimentali33, che vengono giuridicamente
trasformate in enti pubblici economici
sottoposti alla vigilanza del Ministero
dell’Industria, Commercio e Artigianato.
Le fonti di finanziamento rimangono sostanzialmente le stesse previste dalle normative precedenti e viene confermato il principio dell’obbligatorietà dei contributi a carico
dell'imprese, così come il principio dell’autonomia del consiglio di amministrazione nel
fissare l’ammontare di tali contributi.
In concreto, non si registrano variazioni
sostanziali all’attività della Stazione Sperimentale, che continua a confermarsi,
sotto la presidenza dell’ingegner Franco
Santini34 prima (1997-2000) e del professor Giovanni Ballarini35 poi (2000-2010),
fra le più importanti istituzioni europee di
ricerca applicata nel settore della conservazione degli alimenti.
Il trasferimento del reparto di
microbiologia nella nuova sede Nel 2010 la
rende disponibili i locali occupati SSICA diventa
in precedenza, consentendo l’ela- azienda speciale
borazione di un nuovo progetto della Camera di
di ristrutturazione che riguarda Commercio di Parma
la biblioteca36 e i gli uffici amministrativi.
Viene così conferito mandato37 all’ingegner
Giovanni Borrini di stendere il progetto
preliminare di trasformazione e messa in
33 D. Lgs. 540/1999.
sicurezza, approvato dal consiglio di am34 Franco Santini (1941-), nasce a
ministrazione nella seduta del 24 giugno
Demonte (Cuneo) il 16 luglio 1941.
2003. I lavori hanno luogo nel corso del
È presidente di Aiman ed Efms
(European Federation Maintanance
2003 e i nuovi uffici e la nuova biblioteca,
Society) e chairman del Technical
Committee TC 319 Maintenance del
trasferita a piano terreno, entrano in funComitato Europeo di Normalizzaziozione all’inizio del 2004.
ne (CEN). Ricopre incarichi direttivi
Le ultime trasformazioni
Poco più di un decennio dopo, nel 2010,
il governo stabilisce la soppressione delle
stazioni sperimentali38 e identifica nelle
Camere di Commercio territoriali le nuove amministrazioni subentranti nell’esercizio dei relativi compiti e attribuzioni.
In base al decreto ministeriale, le Camere
di Commercio devono tenere conto delle
specificità delle attività già svolte dalle stazioni sperimentali, garantendo l’apporto
delle relative competenze tecniche.
La Stazione Sperimentale per l’Industria
delle Conserve Alimentari diventa così
azienda speciale della Camera di Com-
in Petrofina, Dow Chemical, Uniliver
italiana, Nestlé e Star. Autore di
numerose memorie, svolge attività di
consulenza industriale e di docenza
in master e seminari. È presidente
della Stazione Sperimentale dal 1997
al 2000.
35 Giovanni Ballarini (1927-) nasce
a Roma il 25 dicembre 1927 da una
famiglia originaria di Bologna. Si
laurea in medicina veterinaria presso
l’università di Bologna nel 1949 e
si abilita alla professione di medico
veterinario. Dal 1958 è libero docente
di patologia speciale e clinica medica.
È preside della facoltà di medicina
veterinaria dell’università di Parma
dal 1987 al 1993. È autore di oltre
900 pubblicazioni scientifiche. Da
oltre 20 anni s’interessa di storia,
antropologia e alimentazione umana,
con particolare attenzione agli aspetti
antropologici. Dal 2000 al 2010 è
presidente della Stazione Sperimentale. Svolge un’intensa attività di
divulgazione sui temi dell’alimentazione, collaborando con quotidiani e
partecipando a trasmissioni televisive.
Dal 2008 è presidente dell’Accademia
Italiana della Cucina.
36 Sorta per volontà e cura del primo direttore, l’ingegner Francesco
Emanuele, in 20 anni era venuta a
custodire diverse migliaia di volumi
sia italiani che stranieri e oltre 200 testate periodiche scelte tra le più significative su scienza dell’alimentazione
e industria conserviera pubblicate nel
mondo. Nel dopoguerra si era ulteriormente arricchita, ma la sua natura
era venuta cambiando nel corso degli
anni, con l’evolversi della ricerca.
Nel 1968, a fianco della biblioteca
principale, era stata allestita ex novo
un’elegante biblioteca con la raccolta
dei volumi più antichi e prestigiosi,
utilizzata anche per le riunioni e le
sedute dei consigli di amministrazione. La nuova struttura (progettata
dell’architetto Luigi Varvaro e realizzata dalla ditta Primo Camellini)
era stata finanziata dall’industriale
e consigliere Amilcare Bertozzi
(1899-1986), in memoria del fratello
Carlo (1896-1962), e inaugurata il 26
Una veduta d'insieme delle
attrezzature industriali della fabbrica della Stazione Sperimentale (archivio SSICA, Parma).
14 PARMA economica
focus ECONOMIA
novembre 1968 [cfr. «Industria Conserve», XLIII (1968), p. 284]. Negli
anni Ottanta la biblioteca arriverà a
disporre di oltre 5.000 testi scientifici
e 300 abbonamenti a periodici.
37 Verbale della riunione del CdA del
24 giugno 2003.
38 D.L. 78 del 31 maggio 2010
convertito, con modificazioni, dalla
legge 122 del 30 luglio 2010 e quindi
dal D.M. concertato tra il ministro
dello sviluppo economico e il ministro dell’economia e delle finanze,
pubblicato sulla G.U. 141 del 20
giugno 2011.
39 Andrea Zanlari (1951-), nasce a
Parma il 26 novembre 1951. Si laurea
in giurisprudenza. È titolare di uno
studio di consulenza aziendale in
strategie d’impresa. è consigliere di
AIDA (1992-1998), membro della
giunta camerale dal 1987 e dal 1999
è presidente della Camera di Commercio di Parma. È anche presidente
dal 2003 al 2011 di Unioncamere
Emilia Romagna, di Parma Alimentare (1999-), della Fondazione
Collegio Europeo di Parma (2010-)
ed è consigliere e componente del
comitato esecutivo di Unioncamere
(1999-) e della Camera di Commercio internazionale ICC Italia. È
membro permanente dell’Advisory
Group on Food Chain and Animal and
Plant Health presso la Commissione
Europea di Bruxelles. Presidente di
Camcom Universitas Mercatorum
(2008-) e vicepresidente di Borsa
Merci Telematica Italiana (2000-).
Siede anche nel consiglio di diverse
società del parmense: Aeroporto di
Parma (1995- 2001); Centro AgroAlimentare di Parma (1997-2002);
Autocamionale della Cisa (2002-);
Consorzio del Parmigiano Reggiano
(2002-2012); ALMA, Scuola Internazionale di Cucina Italiana (2006-).
Membro del consiglio di amministrazione della Stazione Sperimentale per
l’Industria delle Conserve Alimentari
di Parma dal 1993 al 2000, dal giugno
del 2010 ne è presidente.
mercio di Parma, creata dalla giunta della
Camera di Commercio. L’azienda speciale,
divenuta operativa il 1° giugno 2010, ha i
medesimi compiti e funzioni della cessata
SSICA, mantenendo lo stesso personale e
garantendo la continuità dell’attività nelle
stesse sedi. La decisione è presa in sintonia con le indicazioni dell'Unioncamere
nazionale e il coordinamento delle varie
Camere di Commercio (Milano, Venezia,
Napoli, Reggio Calabria), alle quali il decreto legislativo ha trasferito le competenze delle otto stazioni sperimentali presenti
in tutta Italia.
Essendo l'azienda speciale un'emanazione
dell'ente camerale, l'amministratore unico
della Stazione Sperimentale di Parma diventa il presidente della Camera di Commercio, Andrea Zanlari39.
La Camera di Commercio di Parma, che
nel lontano 1919 è la protagonista del
comitato promotore per l’istituenda Stazione Sperimentale in Parma, ne raccoglie
ora l’eredità. Quasi un ritorno alle origini
per affrontare le sfide del futuro.
Nota - Alla storia della Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari è stato dedicato un volume, con testi di M.
Gloria Attolini, Marta Dall’Orto e Andrea
Zanlari, curato da Giancarlo Gonizzi, in
corso di pubblicazione, di cui il presente lavoro è una sintetica rielaborazione.
Bibliografia
SSICA, Verbali dei Consigli di Amministrazione,
1925-1950 (archivio SSICA, Parma).
Industria delle conserve, 1925-1952.
B. Righi, L’industria delle conserve ed il consorzio
obbligatorio parmense, in «La riforma Agraria»,
(febbraio 1920).
Il compito della Stazione Sperimentale per l’Industria
delle Conserve alimentari a Parma, in «Gazzetta di
Parma», (24 marzo 1927), p. 3.
Mazzotta, La R. Stazione Sperimentale per
l’industria delle conserve alimentari, in «Parma», III
(1933), pp. 134-140.
M. Dall’Acqua (a cura di), Enciclopedia di Parma:
dalle origini ai nostri giorni, Milano, Franco Maria
Ricci, 1991, p. 638.
F. Gennari Daneri, Il processo di industrializzazione
a Parma tra Ottocento e Novecento, Parma, Tecnografica per Comune di Parma, 1992.
Saguatti, Le origini della formazione di un polo
agro-alimentare nella provincia di Parma, in «Parma
Economica», II (1994), pp. 25-29.
L. Farinelli, G. Pelosi, G. Uccelli, Cento anni di
associazionismo industriale a Parma, Parma, Silva,
1996, pp. 66, 88, 173, 180, 185, 211, 240, 276, 406.
Omaggio alla Stazione Sperimentale. Il Consiglio
dice sì all’intitolazione di due strade a Emanuele
e Cultrera, in «Gazzetta di Parma», (12 marzo
2005), p. 6.
G. Gonizzi, Dalla terra alla tavola. La tradizione
gastronomica parmense nella storia, in Storia di Parma I: i caratteri originali, Parma, MUP, 2008, pp.
449-450.
G. Ballarini, M. Gelati (a cura di), Le tecnologie
agroalimentari nel Parmense, Parma, Edicta, 2009,
pp. 11-13.
G. Gonizzi (a cura di), Alla ricerca del futuro.
I novant’anni della Stazione Sperimentale per
l’Industria delle Conserve Alimentari, Parma, Edicta, 2012.
Il 19 giugno 1999, in occasione
del 75° anno di attività della
SSICA, viene inaugurato il nuovo dipartimento di microbiologia
intitolato alla memoria del
professor Rolando Cultrera,
suo storico presidente (archivio
SSICA, Parma).
PARMA economica
15
focus economia
Una finestra sul futuro
Le riflessioni del presidente della Camera di Commercio, Andrea Zanlari,
sulla Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari
Testo raccolto da Giancarlo Gonizzi
«P
er “vedere” il futuro della Stazione Sperimentale sono tornato nelle stanze dove era nata
l’idea della sua creazione. Ho salito lentamente i gradini della scala monumentale
della vecchia sede della Camera di Commercio di Parma. Mi ha accompagnato la
bella ringhiera in ferro battuto, opera degli
artigiani locali eredi di quei maestri d’arte
al servizio di una corte di livello europeo,
per secoli artefici del gusto e della bellezza,
e ho varcato la soglia della vasta Sala del
Consiglio, dalle eleganti boiserie in legno
intagliato e dalle pareti dipinte con monumentale ed enfatico realismo da Daniele
de Strobel (1873-1942) secondo un preciso programma iconografico.
Il trasporto del latte verso il vicino caseificio per la trasformazione in formaggio
Parmigiano, e la raccolta del pomodoro
destinato alla non lontana industria di
trasformazione che segna l’orizzonte con
la solida ciminiera, raffigurati sulle pare-
16 PARMA economica
ti, raccontano ancor oggi, a distanza di 90
anni, l’economia del territorio. In questo
ambiente dall’atmosfera agreste, dove il
tempo pare essersi fermato, è forse possibile ragionare con intelligenza sulle strategie e gli obiettivi che i tempi attuali ci
chiedono pressantemente per disegnare il
nostro domani.
Può forse parere strano che Romano Righi Riva (1873-1956), capace imprenditore chiamato a guidare le sorti della
Camera di Commercio nei primi decenni del Novecento, artefice di questa sede
e primo presidente della Stazione Sperimentale - dapprima sognata e poi tenacemente realizzata - avesse chiamato degli
artisti per illustrare le glorie dell’economia
parmense, quasi che l’ideale umanistico
del Rinascimento giungesse, ininterrottamente, fino alle soglie del “secolo breve”.
La stessa persona che aveva tenacemente
cercato i finanziamenti per far nascere la
Stazione Sperimentale non aveva avuto
In questa pagina e in quelle
seguenti i dipinti di Daniele
De Strobel per la Sala del
Consiglio della Camera di
Commercio terminati nel
1925 con le scene agresti
raffiguranti il trasporto
del latte al caseificio e la
raccolta del pomodoro
(per gentile concessione
Collezioni d’Arte Cariparma
– Crédit Agricole)
focus ECONOMIA
dubbi a destinare all’arte - agli affreschi
di Paolo Baratta (1874-1940) nei riquadri
delle facciate esterne, agli squillanti dipinti
di De Strobel nella Sala del Consiglio importanti risorse economiche. Perché è la
cultura che muove tutto. Sempre.
E la penombra della sala illumina, con i
suoi linguaggi e le sue visioni, un lungo
cammino che nella sua ciclicità virtuosa
pare tornato sui propri passi: la Stazione
Sperimentale, sorta per l’impegno della
Camera di Commercio, unitamente ad altri enti e intelligenze locali, dopo 90 anni
torna alla sua origine, nell’ambito camerale, senza perdere il suo ruolo a livello nazionale. E anche noi, ora, siamo chiamati
a disegnarne il futuro - quasi una seconda
fondazione - partendo, ancora una volta,
dalla cultura.
Nella mutata realtà del Duemila,
Riproporre il valore a darci quella solida base cultudi partenza indispensabile a
della scienza e dello rale
delineare il futuro della Stazione
studio è l’impegno Sperimentale non saranno più,
della SSICA forse, i dipinti, ma strumenti di
anche nel tempo comunicazione della cultura alo forse ancor più effidella modernità trettanto
caci: una scuola internazionale
tecnologica di cucina - ALMA - che promuove il saper fare della nostra
gastronomia sugli scenari internazionali
e un circuito museale - i Musei del Cibo
- che raccontano identità, storia e valore
dei nostri prodotti al turista e alle giovani
generazioni.
Il primo grande impegno che attende oggi
la SSICA in una modernità tecnologica
sì, ma disillusa, avara di coraggio e pove-
ra di speranze e di passione per l’avvenire,
è riproporre con fermezza la fiducia nel
valore della scienza e dello studio per la
vita dell’uomo e della Terra. Le proiezioni ci dicono che a metà del nostro secolo
10 miliardi di uomini abiteranno il pianeta. Solo la scienza e lo studio potranno
consentire di migliorare e risolvere il problema dell’approvvigionamento alimentare e idrico dell’umanità, attraverso una
revisione radicale delle attuali tecnologie
produttive e distributive, e l’inserimento
del controllo della filiera nelle procedure
abituali. La Stazione Sperimentale stessa è
destinata a divenire una delle tappe necessarie della filiera alimentare italiana.
Se oggi, dopo 90 anni di ricerca e sperimentazione, l’industria alimentare italiana
ha acquisito tecnologie in grado di assicurare una sicurezza alimentare di elevato livello, ora si spalanca l’orizzonte delle ricerche destinate a individuare nuove
soluzioni per l’alimentazione delle future
generazioni. Lo sfruttamento delle risorse
naturali ha superato il limite di sostenibilità. È necessario lavorare per individuare
metodiche di produzione a impatto zero
e tecnologie di integrazione degli alimenti
adeguati ai mutati sistemi di vita.
Nel giro di pochi decenni si è trasformato
lo stile di vita, caratterizzato per millenni da una forte attività fisica e manuale,
oggi sostituita dall’attività intellettuale e
da una spiccata sedentarietà. Nello stesso periodo è “nato” il tempo libero, quel
tempo liberato dalla necessità ossessiva
di placare la fame, grazie alla evoluzione
dell’agricoltura, alla nascita dell’industria
PARMA economica
17
focus economia
di trasformazione, alle nuove tecniche di
conservazione e alla conseguente abbondanza delle disponibilità alimentari. Ma il
punto di equilibrio è scivolato rapidamente verso l’eccesso alimentare e calorico e i
problemi dell’obesità, oggi vera piaga sociale dell’Occidente.
La ricerca dovrà condurci a una rimodulazione degli stili alimentari e a una nuova definizione nutrizionale degli alimenti, ridimensionati nell’apporto calorico e
opportunamente integrati con elementi
destinati a favorire la salute del nostro organismo.
La “nutriceutica” si propone di consentire
all’uomo di curarsi nutrendosi, di conservare la salute attraverso un'alimentazione
equilibrata, capace di trasformare in realtà
quotidiana l’insegnamento della gloriosa
scuola salernitana e di prevenire le malattie degenerative integrando le componenti
alimentari.
Alla ricerca si apre l’opportunità di raggiungere questi traguardi, sgretolando la
componente “punitiva” che ancor oggi viene percepita dal consumatore in tutti gli
alimenti dietetici, orientando la produzione verso cibi rispettosi del sapore, a elevata
qualità reale e percepita, in cui il legame
con il territorio e la sua tradizione gastro-
18 PARMA economica
nomica vengano salvaguardati ed esaltati.
Parallelamente si amplierà la ricerca sugli imballaggi, che oggi costituiscono una
percentuale elevatissima dei nostri “rifiuti
domestici”, per ridurne l’impatto ambientale, facilitarne il recupero con azioni economicamente sostenibili, amplificarne le
funzioni di servizio, allungare la vita del
prodotto.
Anche la consumer science giocherà un ruolo significativo nell’attività di ricerca, per
raggiungere l’obiettivo di soddisfazione
del consumatore e offrire una qualità, oggettiva ma percepibile, nei prodotti.
È, infatti, sul tema della qualità che si
gioca il nostro futuro. Abituati da secoli a
garantire la qualità delle nostre produzioni
tradizionali, nate dall’intelligente impiego
delle risorse nel rispetto della natura e
dei suoi cicli, dovremo puntare
a trasformare questa “capacità
di produrre qualità” in brevetti In futuro servirà
rimodulare gli
esclusivi.
Le condizioni geografiche di stili alimentari,
altre zone del mondo consen- limitando le calorie
tono produzioni estensive, con e introducendo
costi decisamente inferiori, per elementi salutari
noi impossibili. La tutela delle
produzioni di qualità attraverso specifici brevetti, frutto della ricerca scientifica
applicata, difendibili sull’orizzonte internazionale, potrà consentire all’industria
agroalimentare italiana di consolidare una
posizione specifica e non conflittuale e di
tornare alla guida del segmento agroalimentare di qualità.
Il comparto dei derivati del pomodoro,
ferito nel recente passato dai colpi di una
politica comunitaria che ha rimesso in discussione la convenienza agricola legata
alla coltivazione dei frutti e da una concorrenza straniera non sempre leale e competitiva, ha bisogno di una forte azione di
sviluppo di nuovi prodotti e dell’aggiornamento degli attuali, come peraltro hanno
saputo fare comparti merceologici altrettanto maturi (latte, succhi di frutta), per
ritornare nella posizione di leadership qualitativa a livello mondiale. Un’azione che
sia capace altresì di soddisfare e d’interpretare le mutate esigenze del consumatore verso prodotti pur sempre legati alla
tradizione e al territorio, ma con maggiori
contenuti di servizio e attenzione ai temi
della sostenibilità ambientale.
Per quanto riguarda il settore delle carni,
temi etici come il benessere animale, l’im-
focus ECONOMIA
patto sulla salute e sull’ambiente, possono
avere una duplice lettura e, grazie a ricerca e sperimentazione, diventare punti di
forza del settore. Indicatori di benessere
animale e di sostenibilità di processo riconoscibili dal consumatore, conversione di
prodotti di scarto in nuovi prodotti edibili,
individuazione di principi attivi delle carni
con prospettive favorevoli per la salute, introduzione di estratti vegetali nei prodotti
carnei per alimenti con una demarcazione
meno netta tra animale e vegetale, sono
solo alcuni dei temi in cui il settore carni dovrà impegnarsi. Dovrà mantenere un
ruolo centrale il supporto scientifico alle
produzioni tipiche italiane, periodicamente al centro di criticità legate alla filiera,
alla qualità e alla sicurezza, cardini su cui
si basa il successo sia dei consumi interni
che dell’export.
La filiera dei prodotti ittici, a partire dal
pesce fresco fino al trasformato, oltre a valorizzare i cicli produttivi tradizionali che
hanno segnato profondamente l’economia del Paese, si è impegnata nello stesso
tempo per creare parchi marini naturali e
oasi idriche protette dove implementare
acquacoltura. Un notevole sforzo è stato
fatto per la valorizzare di alimenti che, anche se conservati, preservassero le caratteristiche di freschezza tipiche del pesce non
prescindendo dalla sua sicurezza. Inoltre,
ad oggi, la ricerca ha implementato l’utilizzo delle mild technologies (tecnologie
minimali) nel settore della trasformazione
dei prodotti ittici, e, in un’ottica sempre
più esigente di regimi alimentari a basso
contenuto di grassi, ha favorito sistemi
di conservazione che riducono l’aggiunta di grassi e altri additivi. Le aziende di
trasformazione dei prodotti ittici saranno
sempre più interessate al recupero e alla
valorizzazione degli scarti e dei prodotti
secondari di lavorazione per ridurre l’impatto ambientale e sgravare il costo che
deriva dal loro smaltimento, proponendo
soluzioni a un mercato che ha sempre minori risorse, ma che non può e non deve
rinunciare all’approvvigionamento di alimenti sicuri e nutrizionalmente validi.
Anche la comunicazione giocherà un ruolo essenziale nel futuro della ricerca scientifica e della Stazione Sperimentale. Se
il glorioso bollettino a stampa Industria
delle conserve, nato nel 1925 e oggi autorevole punto di riferimento internazionale
per la ricerca agroalimentare, resterà uno
PARMA economica
19
focus economia
strumento “storico” per segnare le tappe
dell’evoluzione tecnologica, dovrà essere
affiancato da mezzi più veloci, che trovano
nel web l’infrastruttura di servizio ottimale per la rapida diffusione delle idee: una
newsletter capace di inserirsi con rapidità
nel dibattito scientifico internazionale e
uno spazio di social network, riservato ai
soci della Stazione Sperimentale, per favorire il confronto sulle problematiche
scientifiche e l’incontro tra necessità della
produzione e risposte della ricerca applicata.
L’inserimento della Stazione Sperimentale
nella rete camerale italiana, con 104 sedi
italiane e 76 internazionali, consentirà di
estendere il ruolo operativo della SSICA,
avvicinando gli sportelli Unioncamere alle
imprese del territorio e veicolando in maniera coordinata le esigenze del mercato al
polo sempre più specializzato della ricerca. In quest’ottica si apre la possibilità che
la ricerca di base sia gestita dalle imprese
stesse o da laboratori privati, diffondendo così i luoghi dell’attività scientifica sul
territorio e destinando alla SSICA e a organismi paralleli presenti in altri Paesi la
ricerca d’alto livello e la specialistica.
Questa diffusione della “ricerca di base”,
oltre che vantaggiosa dal punto di vista
economico, avrà ricadute significative anche sulla diffusione della cultura scientifica sul territorio italiano. In quest’ottica,
i laboratori della Stazione Sperimentale
dovranno aprirsi periodicamente al mondo della scuola e della didattica universitaria, per favorire la diffusione del potenziale
scientifico nelle nuove generazioni - vero
investimento per il Paese - e nel contempo
comunicare al territorio il proprio ruolo e
la propria funzione: solo dalla condivisione possono scaturire le risorse per il lavoro
futuro.
Un ulteriore ambito di sviluppo della ricerca della Stazione Sperimentale sarà la
tutela ambientale, con particolare riferimento all’industria agroalimentare: il contenimento dei consumi energetici nei processi di trasformazione, la riduzione delle
attività inquinanti, con recupero di CO2 e
riutilizzo dei reflui porterà a definire imprese alimentari sempre più “verdi”, con
bilancio energetico a pareggio, anticicliche
ed essenziali per il sostegno economico del
territorio.
Un raggio di luce, rosata dal tramonto
ormai imminente, filtra dalle finestre e
20 PARMA economica
colpisce sul muro l’immagine dipinta di
Mercurio, messaggero e patrono del commercio. Alle sue spalle robuste navi con
le vele gonfie di vento e le stive sature
di merci sono pronte a salpare verso lidi
lontani. E a portare il nostro “saper fare”
al mondo. La “visione” di Romano Righi
Riva è anche la mia.
Il “sistema Italia” potrà riconquistare,
all’insegna della qualità, i suoi spazi nello
scenario internazionale. La Stazione Sperimentale saprà confermarsi un pilastro nell’ambito L’ingresso nella rete
agroalimentare e il suo lavoro camerale estenderà
permetterà alle imprese di aprire, il ruolo operativo
proprio con l’alta qualità dei pro- della SSICA,
dotti, nuove opportunità, nuovi avvicinandola alle
imprese
mercati, nuove sensibilità.
Ancora una volta sarà la cultura quella fatta di identità, competenza e storia - a tracciare le rotte per il nostro futuro.
È ora di andare. Mentre chiudo la porta,
lo sguardo si posa sulla parete: un branco
di oche candide starnazzano sulla riva dello stagno. Dopo 90 anni sono ancora lì. Il
domani è oltre la porta…».
ECONOMIA E TERRITORIO
A Parma assume solo
il 13,2% delle imprese
I risultati dell’indagine Excelsior parlano chiaro: il quadro occupazionale è in
deciso peggioramento. Ma cresce la domanda di laureati e diplomati
Giordana Olivieri
L’
incertezza circa gli esiti della crisi dell’area euro e gli scenari dei
mercati si ripercuote sulle scelte
occupazionali delle imprese. La fotografia
scattata quest’anno dal Sistema Informativo Excelsior evidenzia un quadro occupazionale in deciso peggioramento. Nel
2012 nessuna provincia evidenzia saldi
positivi e per ben 85 province il saldo previsto risulta peggiore di quello del 2011.
In flessione la propensione ad assumere
Dopo la ripresa registrata nel 2011 si ridimensiona nettamente la quota di imprese che prevede di assumere nel corso del
2012. In provincia di Parma tale quota si
è infatti ridotta dal 25,9% circa
Solo il 9% delle (previsioni 2011) al 13,2% nel
assunzioni è 2012. Si tratta di una caduta particolarmente significativa che fa
legato a strategie registrare la minor propensione
di espansione sul da parte delle imprese parmensi
mercato ad assumere personale nel corso
dell’ultimo decennio. Il dato è
ancora più basso nelle imprese artigiane,
fermo all’8,6%, e nel settore delle costruzioni e del commercio, rispettivamente al
7,7% e 7,6%. In ambito regionale e nazionale la quota diminuisce meno intensamente e si attesta a oltre il 14%.
Le assunzioni programmate dalle imprese
sono soprattutto di natura “sostitutiva”: il
45,2% sono indirizzate alla sostituzione di
dipendenti in uscita o temporaneamente
assenti (maternità, ferie, malattie o aspettative), mentre per il 22,3% sono legate a
una domanda in crescita o in ripresa.
La maggior parte delle assunzioni preventivate nel 2012 dalle imprese parmensi è
dunque legata a esigenze organizzative interne o all’andamento stagionale delle attività, mentre coprono un ruolo minore le
strategie di espansione sul mercato (9%).
Con riferimento alla dimensione aziendale sono prevalentemente le imprese di
maggiore dimensione (oltre 50 dipendenti) a ricorrere a nuovo personale, con una
quota che arriva al 73,7%.
PARMA economica
21
ECONOMIA E TERRITORIO
Forte calo per le assunzioni previste
In base alle previsioni delle imprese, in
Italia nel 2012 si perderanno oltre 130mila
posti di lavoro, con un tasso di ingresso
pari al 5,5% (corrispondente a 631mila
unità) e d’uscita del 6,7% (circa 762mila
unità). Il saldo che ne deriva continua a
essere negativo (-1,1%) e peggiora rispetto allo scorso anno (era a -0,7%). Risulta
analoga la flessione attesa in Emilia-Romagna (-1%), equivalente a una perdita di
circa 11.230 unità.
Le imprese dell’industria e dei servizi della provincia di Parma prevedono di effettuare 5.590 assunzioni a fronte di 6.330
uscite, con un corrispondente calo di 740
unità di lavoro dipendente sullo stock di
fine 2011, pari a una variazione percentuale del -0,7%. Il tasso di entrata atteso
nel 2012 (vale a dire le entrate nel mercato
del lavoro ogni 100 dipendenti occupati al
31 dicembre dell’anno precedente) nella
provincia di Parma dovrebbe diminuire di
oltre 3 punti percentuali rispetto all’8,1%
nel 2011, e attestarsi al 5%, mentre il tasso
di uscita provinciale calerebbe di 2 punti
percentuali, fermandosi al 5,6%.
Nessuna provincia evidenzia saldi positivi
e per ben 85 province il saldo previsto nel
2012 risulta più pesante rispetto a quello
del 2011. Per la nostra provincia il tasso di
variazione occupazionale ritorna negativo:
-0,7%, e risulta il più pesante registrato dal
Sistema Informativo Excelsior, arrivato
alla sua quindicesima annualità. Dopo due
anni (2009 e 2010) di decisa contrazione
della base occupazionale, coincisi con il
calo del Pil a livello nazionale, Parma nel
2011 aveva, infatti, invertito la tendenza
con un tasso di crescita positivo di circa
mezzo punto percentuale.
22 PARMA economica
Il calo occupazionale più intenso in valore
assoluto è nell’industria, dove si prevede
un saldo a fine anno di -700 unità, di cui
330 nell’industria in senso stretto e 370
nelle costruzioni. Le imprese edili, che risentono pesantemente della crisi, segnano
un tasso di variazione occupazionale del
-4,3%. I servizi operativi esprimono un
saldo positivo di 230 unità, che compensa
le perdite previste nei settori del commercio e di alberghi e ristoranti.
Quasi la metà del saldo negativo è espresso dalle imprese artigiane (-330
unità) e il tasso di variazione oc- Le imprese
cupazionale risulta il più pesante
degli ultimi cinque anni (-2,4%). edili accusano
Nei quattro anni (2009-2012) pesantemente la
successivi alla crisi finanziaria crisi e il tasso di
globale le previsioni delle im- occupazione segna
prese di Parma implicano una
riduzione complessiva di 1.780 -4,3%
lavoratori dipendenti nei settori
coperti dall’indagine Excelsior, il cui campo di osservazione riguarda la quasi totalità dell’economia con esclusione del settore
agricolo, della pubblica amministrazione,
delle istituzioni non profit e delle libere
professioni. Si tratta di dati di previsione,
dunque con ampio margine di imprecisione, e non di risultati verificati a consuntivo. La rilevazione presso le imprese risale
al periodo marzo-aprile di quest’anno, e
l’accentuarsi della crisi nei mesi successivi potrebbe comportare un ulteriore ridimensionamento dei programmi di assunzione.
Quasi il 73% delle assunzioni di non stagionali avverrà nei servizi, principalmente
nel comparto degli “altri servizi” con 2.600
assunzioni previste e una quota sul totale
pari al 63,3%.
ECONOMIA E TERRITORIO
Opportunità per diplomati e laureati
Con riferimento ai livelli di istruzione,
rispetto al 2011 la provincia di Parma
registra un aumento di 9 punLa richiesta di ti percentuali della domanda di
diplomati e la quota raggiunge il
personale laureato 43% del totale delle assunzioni di
vale il 15,2% del non stagionali: la più alta rilevata
totale: la quota più dal Sistema Informativo Excelalta da 5 anni sior, nei suoi 15 anni di indagini.
La richiesta di personale laureato
cresce di oltre 4 punti percentuali
rispetto allo scorso anno e arriva a rappre-
sentare il 15,2%, quota più elevata degli
ultimi cinque anni. Nel contempo si riduce notevolmente la richiesta di lavoratori
con qualifica professionale, che passa dal
18,1% del 2011 al 6,2% del 2012, mentre
risulta pressoché stabile quella di persone
senza formazione specifica.
Nel confronto con l’Emilia-Romagna e
l’Italia, la provincia parmense evidenzia
una quota maggiore di richiesta di laureati e diplomati e minore di personale con
qualifica professionale.
Sono previsti 620 ingressi di laureati nel
PARMA economica
23
ECONOMIA E TERRITORIO
2012 (contro 720 dei 12 mesi precedenti)
e la richiesta si orienta per il 27,4%, pari a
170 unità, verso gli indirizzi di ingegneria, e per il 24,2%, pari a 150 unità, verso
l’indirizzo economico. Rispetto al 2011 si
mantiene stabile la domanda di ingegneri,
mentre si riduce di oltre il 53% quella dei
laureati a indirizzo economico.
24 PARMA economica
La domanda di 1.760 diplomati rappresenta la quota più alta delle 4.090 assunzioni di non stagionali previste dalle
imprese parmensi. In un contesto di forte calo delle entrate (-34,3% rispetto al
2011), la richiesta di diplomati subisce una
flessione minore (-18,1%). È soprattutto
il comparto dei servizi a richiedere diplo-
ECONOMIA E TERRITORIO
mati, per 1.260 unità, mentre l’industria
prevede solo 500 ingressi. Gli indirizzi più
richiesti sono quelli amministrativo-commerciale (380 unità), turistico-alberghiero
(240 unità) e socio-sanitario (230), ma la
richiesta più numerosa riguarda 570 diplomati senza indirizzo specifico.
Risulta in forte calo la domanda di risorse
umane munite di qualifica e formazione
professionale: 250 unità contro le 1.130
del 2011, vale a dire quasi il 78%
in meno. La richiesta si orienta
Cresce la domanda verso gli indirizzi socio-sanitario
di professioni (110 unità) e meccanico (80).
intellettuali, Permane stabile al 35,6%, invece,
diminuisce quella di la quota di personale meno qualificato, dotato solo della scuola
professioni tecniche dell’obbligo: in totale saranno
1.460 lavoratori.
Come cambia la domanda di professioni
Nonostante il contesto generale di forte
riduzione, in termini assoluti, delle assunzioni non stagionali previste per il 2012, i
risultati dell’indagine Excelsior per la provincia di Parma evidenziano alcune positive novità nelle strategie di acquisizione
di nuovo personale da parte delle imprese,
spesso diverse in base all’attività economica o alla dimensione di impresa.
Nella provincia di Parma si prevede che
il 17,6% rientri nel gruppo con maggiore
specializzazione, ovvero dirigenti (0,4%),
professioni intellettuali scientifiche (7,8%)
e ruoli tecnici di alto profilo (9,4%). Si
tratta di un risultato inferiore al dato regionale (22,6%) e nazionale (21,7%). Cre-
sce la domanda di professioni intellettuali,
scientifiche e di elevata specializzazione,
che in totale saranno 320 unità, mentre diminuisce il ricorso a professioni tecniche:
solo 380 unità (erano 670 lo scorso anno).
Le professioni intellettuali e scientifiche
presentano percentuali decisamente superiori alla media provinciale nell’industria
(dove rappresentano l’11,5% del totale
delle nuove assunzioni previste), in particolare nel settore della chimica-plastica,
metallurgia, estrazione e lavorazione minerali non metalliferi (27,1%). Le professioni tecniche assumono particolare rilievo
nelle industrie alimentari (21%) e fabbricazione di macchinari e apparecchiature
(22,2%).
Si mantiene elevata la domanda di professioni esecutive d’ufficio e quelle qualificate
del commercio e servizi. La richiesta di
1.910 «impiegati e professioni qualificate
nelle attività commerciali e nei servizi»
arriva a rappresentare il 46,7% del totale
delle assunzioni previste. La quota che tale
gruppo rappresenta nella regione EmiliaRomagna si ferma al 41,5% e nell’intero
Paese al 40,9%. All’interno del gruppo
professionale si nota un calo degli impiegati (750 assunzioni contro 1.100 del
2011) mentre si mantiene, pur in flessione, la previsione di 1.160 professioni qualificate nel commercio e nei servizi. Tali
assunzioni si concentrano, com’è facile
immaginare, nelle imprese del commercio
all’ingrosso e al dettaglio e nella categoria
degli alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e turistici.
PARMA economica
25
ECONOMIA E TERRITORIO
Cala dal 30,2% al 17,1% la quota di operai specializzati e conduttori di impianti e
macchine: saranno 430 operai specializzati e
270 conduttori di impianti e addetti a macchinari fissi e mobili. I primi sono richiesti
in tutti i settori dell’industria ma le richieste
superiori alla media sono per la fabbricazione di prodotti in metallo (63,8%), la fabbricazione di macchinari e apparecchiature
(51,1%) e le costruzioni (42,3%).
La domanda di professioni non qualificate si mantiene stabile, con una previsione
di assunzioni di 760 unità. Oltre ai servizi
operativi, dove le professioni non qualificate raggiungono il 70,8% del totale delle
nuove assunzioni previste nel 2012, si devono segnalare anche i trasporti (46,6%).
26 PARMA economica
Più facile trovare profili idonei
A livello nazionale, nel 2012 la maggior
disponibilità di offerta nel mercato del lavoro ha determinato una diminuzione di
oltre 6 punti percentuali della
quota di assunzioni previste non
stagionali di difficile reperimen- Poiché la domanda
to (15,5% rispetto al 21,8% del di lavoro supera
2011). Nella provincia di Parma l’offerta, per le
tale fenomeno si accentua, evi- imprese è più facile
denziando per l’anno in corso
una diminuzione di oltre 15 punti trovare profili idonei
percentuali: il 12,4% delle nuove
assunzioni comporterà qualche
difficoltà di reperimento dei profili idonei
e rispondenti alle esigenze professionali,
contro il 27,9% nel 2011.
ECONOMIA E TERRITORIO
Si tratta nel complesso di 510 posizioni,
che richiedono mediamente un tempo di
ricerca per le imprese di quattro mesi. Le
difficoltà di reperimento sono imputabili
sia all’inadeguatezza (6,3%) che al ridotto
numero di candidati (6,1%). Maggiori difficoltà sono segnalate dall’industria, dove
la percentuale sale al 26,1% delle assunzioni previste nel comparto ed è dovuta,
nel 15,7% dei casi, all’inadeguatezza dei
candidati.
I contratti offerti dalle imprese
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali offerte dalle imprese per le assunzioni
di personale non stagionale, in provincia
di Parma registrano un calo i contratti a
tempo indeterminato (1.670 nel 2012 rispetto ai 2.980 del 2011) con un’incidenza
sul totale delle assunzioni in flessione del
40,8%. Diminuiscono anche i contratti a
tempo determinato (1.660 nel 2012 contro 2.890 nel 2011) che scendono al 40,6%
del totale. I contratti a tempo determinato arriveranno, invece, a rappresentare la
quota più alta in Emilia-Romagna: 51,2%,
rispetto al 45,3% dell’Italia.
Tra le diverse tipologie di contratti a tempo determinato utilizzate dalle imprese
parmensi spicca il deciso calo dei contratti
finalizzati alla sostituzione temporanea di
personale, dalle 1.360 unità previste nel
2011 alle 420 del 2012, con la quota sul
totale delle assunzioni che scende al 7,5%
(era al 21,8% nel 2011). Altra casistica da
analizzare è il ricorso a contratti a tempo
determinato finalizzati alla prova di nuovo personale in vista della loro potenziale
integrazione a titolo definitivo: nella provincia di Parma il 7,1% delle assunzioni va
in questa direzione, in Emilia-Romagna la
quota sale al 7,3% mentre in Italia scende
al 6,5%.
I contratti di apprendistato, circa 470, pesano per l’11,5% delle assunzioni di non
stagionali; le “altre forme contrattuali” valgono il 7,1%.
In base alla dimensione d’impresa, sono le
grandi imprese a prevedere maggiormente
l’utilizzo del contratto a tempo indeterminato (51,5%) mentre la quota scende al
29% nelle medie imprese (10-19 dipendenti) e solo al 20% nelle piccole imprese
(fino a 9 dipendenti).
Quindi, nel complesso del totale di 5.590
assunzioni previste, il 73,2%, pari a 4.090
unità, saranno lavoratori non stagionali.
Le assunzioni a tempo parziale
Aumenta, rispetto allo scorso anno, il ricorso ad assunzioni a tempo parziale. Probabilmente le imprese utilizzano maggiormente
questo strumento per alleggerire i costi
destinati al personale senza disperdere le
competenze o privarsi di figure importanti
per lo svolgimento delle proprie attività.
In base alle previsioni effettuate dalle imprese della provincia di Parma, nel 2012
vi saranno complessivamente 1.240 assunzioni part-time, ovvero il 30,3% del
totale, quota superiore rispetto al 22,2%
del 2011. Nel corso degli anni la richiesta
di assunzioni a tempo parziale nei diversi
settori economici ha mostrato un andamento variabile, anche se i servizi hanno
sempre evidenziato una propensione superiore rispetto all’industria. Il terziario,
infatti, negli ultimi tre anni ha registrato
percentuali attese di assunzioni part-time
sul totale delle assunzioni stabilmente al di
sopra del 30%, superando il 39% nel 2012,
mentre l’industria si trova al 5,8%.
PARMA economica
27
ECONOMIA E TERRITORIO
Nel 2012 è il settore dei servizi operativi
che, nella provincia, presenta le richieste
maggiori: 440 unità, pari al 56,1% del totale delle proprie assunzioni. Seguono alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e
servizi turistici, con 410 richieste (57,3%),
e il commercio, con 170 unità (45,5%).
Con riferimento alla dimensione aziendale, sono le imprese della classe intermedia
(10-49 dipendenti) a manifestare l’interesse minore, visto che l’incidenza sul totale
delle loro assunzioni si ferma al 10,1%. Per
le imprese con meno di 10 dipendenti e
per quelle con oltre 50 dipendenti, viceversa, tale percentuale è rispettivamente al
30,8% e 34,7%.
Inoltre, il ruolo dei giovani in questi inserimenti è piuttosto rilevante, visto che il
27,9% delle assunzioni part-time riguarda
persone fino a 29 anni e che, come nel caso
di alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione e servizi turistici, questo fatto diventa
28 PARMA economica
maggioritario (50,2%).
In conclusione, le previsioni di
assunzioni part-time risultano in
crescita sia a livello provinciale
che regionale e nazionale; in particolare, l’utilizzo di questa forma
contrattuale appare più marcato
a livello regionale e provinciale,
dove si attesta rispettivamente al
30,3% e 31,2%, mentre in Italia
la quota non arriva al 27% del totale assunzioni.
Le imprese
parmensi sono di
nuovo propense ad
assumere personale
con meno di 30 anni
Giovani, aumentano le opportunità
Torna a crescere, nelle previsioni delle
imprese parmensi, la propensione ad assumere personale con meno di 30 anni.
La quota delle assunzioni non stagionali
di giovani supera il 35% del totale, livello
superiore di circa 8 punti rispetto al 2011.
Si tratta di un balzo significativo con il
quale la provincia di Parma supera il dato
ECONOMIA E TERRITORIO
registrato a livello regionale ed eguaglia la
quota nazionale.
La domanda di personale sotto i 30 anni
cresce nei servizi, dove la quota arriva al
37,1%, mentre scende al 31,7% nell’industria.
Sono le piccolissime imprese (fino a 9
dipendenti) le più propense ad assumere
i giovani, che registrano un forL’assunzione di te aumento della percentuale in
superiore al 61%. Nelle
under 30 vale oltre il entrata,
imprese di media dimensione la
35% del totale: +8% quota si attesta al 39% e scende
rispetto al 2011 al 24,8% nelle imprese con oltre
50 dipendenti.
La richiesta di personale straniero
Nella nostra provincia, in termini assoluti,
rispetto al 2011 diminuisce del 31,3% la
domanda di personale con nazionalità non
italiana, ma la flessione risulta inferiore al
calo complessivo delle assunzioni di non
stagionali previste dalle imprese (-34,3%).
Delle 990 assunzioni di personale immigrato, il 29,1% non ha bisogno di un’espe-
rienza specifica e ben il 94,6% necessita di
ulteriore formazione. Altro dato interessante è che solo il 10,8% di questi lavoratori è cercato fra i giovani con meno di
30 anni. Questi elementi esprimono una
richiesta di professionalità non particolarmente qualificate.
Le assunzioni di personale immigrato saranno al massimo 140 nell’industria e 850
nei servizi, rappresentando rispettivamente il 12,1% e il 28,6% del totale delle assunzioni di non stagionali dei due macro
settori. Nel terziario la richiesta di immigrati è particolarmente elevata nei servizi
alle persone (48,6%) e nei servizi operativi
(40%).
Emergono particolari differenze nelle previsioni di assunzioni di personale immigrato in base alla dimensione d’impresa: si
passa dall’8% relativo alle imprese fino a 9
dipendenti al 21,8% di quelle con un numero di dipendenti fra 10 e 49, per arrivare alla previsione del 30,9% per le imprese
con oltre 50 dipendenti.
Sempre più necessaria la formazione
post entry
Cresce la necessità delle imprese di dare
una formazione ulteriore dopo l’ingresso
in azienda, attraverso corsi interi o esterni:
la quota, che nel 2010 era intorno all’80%,
sale nel 2011 al 90,7%. Il dato appare alto
e conferma come molto spesso gli imprenditori avvertono una lontananza tra i fabbisogni lavorativi aziendali e le competenze in possesso dei neoassunti.
Si mantiene elevata la quota di imprese
che, con diverse modalità, hanno effettuato nel 2011 corsi di formazione per il
proprio personale. Nel 2011 il 44,5% delle
PARMA economica
29
ECONOMIA E TERRITORIO
na l’11,5% delle piccole. Come per altri
aspetti, è proprio la dimensione stessa che
rende più possibili e fruttuose queste collaborazioni, considerate anche come un
possibile canale di reclutamento del personale.
Il numero di tirocini e stage attivati dalle
imprese nel 2011 è pari a 2.880, mentre
il numero medio per impresa è pari a 1,4
(riferito solo alle imprese che li effettuano
anziché al totale delle imprese).
imprese della provincia di Parma vi ha fatto ricorso. È un segnale che mostra come
esse credano fortemente che la formazione
sia uno dei punti fondamentali nel quale
continuare a investire nonostante le difficoltà dell’attuale congiuntura economica.
L’anno precedente, infatti, il 40% delle
aziende aveva effettuato corsi di formazione ai propri dipendenti e la nostra provincia continua ad evidenziare anche nel
2011 un dato più elevato rispetto alla media regionale (38,2%) e nazionale (35%).
Sono soprattutto le imprese di maggiore
dimensione, con più di 50 dipendenti, a
fare corsi di formazione: qui la percentuale supera il 78% mentre nelle imprese con
meno di 10 dipendenti scende al 39,5%.
Nel corso del 2011 il 36,5% dei dipendenti
ha partecipato a corsi di formazione effettuati dalla propria impresa.
Il 16,1% delle imprese parmensi ha ospitato persone esterne per un periodo di tirocinio oppure per uno stage (17,9% nel
2010); si tratta quasi sempre di studenti
delle scuole secondarie e dell’università o
di partecipanti a corsi di formazione professionale post scolastica. Sono soprattutto le grandi imprese a rendersi disponibili
per questo approccio al mondo del lavoro
e infatti il 57,8% delle stesse ha ospitato
personale in tirocinio a fronte di appe-
30 PARMA economica
Più contratti atipici
Nel 2012 le imprese parmensi utilizzeranno un numero rilevante di lavoratori con
contratti atipici (5.010 unità), con i quali hanno già stipulato o stipuleranno un
contratto secondo la normativa vigente, e
cioè: lavoratori interinali (dipendenti dalle
agenzie di somministrazione), collaboratori a progetto e altri lavoratori (a partita
IVA, occasionali) non alle dipendenze.
Il 4,2% delle imprese di Parma (contro il
7% nel 2011) ha dichiarato che utilizzerà
nell’anno complessivamente 2.410 lavoratori interinali (erano 3.120 nel 2011),
1.240 nell’industria e 1.170 nei servizi.
I collaboratori a progetto previsti, con
contratto in corso e nuovi ingressi, sono
in tutto 1.270 nel 2012, in aumento rispetto alla precedente previsione (1.110
nel 2011). Le imprese che intendono
farvi ricorso sono il 5,2% del
totale, contro il 6% della scorsa 9 neoassunti su 10
rilevazione. Si tratta in buona
misura di figure professionali di ricevono formazione,
alta qualificazione: per il 39,1% a conferma del
è previsto un livello d’istruzione distacco tra
universitario.
competenze cercate
L’indagine di quest’anno ha permesso anche di precisare per la e competenze in
prima volta il fabbisogno di “altri possesso
lavoratori non alle dipendenze”
(collaboratori a partita IVA e occasionali):
si tratta di 1.330, un flusso consistente nei
servizi (840) e in misura minore nell’industria (490). Infine i tirocinanti e gli stagisti
retribuiti previsti nel corso del 2012 saranno 790.
Dato il carattere temporaneo e la durata
spesso limitata dei contratti atipici utilizzati dalle imprese, i contratti attivati, cioè
i nuovi ingressi previsti nel 2012, rappresentano una quota elevata dello stock.
Considerati insieme alle assunzioni di dipendenti, i nuovi “atipici” - 740 collaboratori a progetto, 1.680 lavoratori interinali
ECONOMIA E TERRITORIO
e altri 690 “non dipendenti” - costituiscono più di un terzo (35,7%) del totale dei
nuovi ingressi previsti nel 2012.
Conoscenza diretta e banche dati, i canali più usati
Il principale canale utilizzato nel corso
del 2011 per la selezione del personale è
la conoscenza diretta dei candidati (46,6%
dei casi). Assimilabili a questo tipo di reclutamento anche le “segnalazioni da conoscenti e fornitori”, utilizzate nell’11,9%
delle assunzioni effettuate. La rete informale delle conoscenze personali è molto
meno rilevante nelle imprese di maggiore
dimensione, che vi fanno ricorso solo per
il 10,4% delle assunzioni, contro quote del
51,3% tra le imprese minori e del 38,4%
per le imprese di medie dimensioni.
Alle banche dati aziendali, dove vengono
conservati i curriculum dei candidati, si è
fatto ricorso nel 23,7% dei casi, ma il peso
di questo canale è marcato (44,6%) per le
imprese con oltre 50 dipendenti. Queste
ultime ricorrono anche con maggior frequenza delle altre alle società di lavoro
interinale (16,4%) e a società di selezione
del personale, associazioni di categoria o
internet (15,2%), canali scarsamente frequentati dalle imprese più piccole.
Quotidiani, stampa specializzata e centri
per l’impiego sono utilizzati rispettivamente nel 3,2% e 3,7% delle assunzioni
effettuate lo scorso anno.
PARMA economica
31
ECONOMIA E TERRITORIO
Prodotti tipici e marketing:
il Parmigiano-Reggiano
La crisi produttiva tra '700 e '800 ha richiesto una lunga campagna di
rilancio dell’immagine del formaggio, che ha fatto leva sulla genuinità e la
tipicità territoriale
Stefano Magagnoli
L’industria di fronte ai prodotti tipici
A cavallo tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e la prima guerra mondiale l’industria agro-alimentare italiana conosce
una fase di significativa espansione, che si
collega strettamente agli albori della cosiddetta retailing revolution.
La transizione dei prodotti alimentari da
produzione artigianale a industriale porta
con sé numerosi elementi d’innovazione, che abbracciano sia le modalità con
cui i consumatori si pongono di fronte al
“cibo” diventato “prodotto alimentare”, sia
32 PARMA economica
le strategie comunicative dei produttori,
chiamati a elaborare nuovi schemi con cui
presentare i propri beni in un mercato caratterizzato da un numero crescente di referenze; strategie che in molti casi rappresentano un punto d’incontro, una sintesi,
tra tradizione e innovazione.
La necessità di individuare nuove strategie
comunicative riguarda in modo particolare quei prodotti che hanno nella “tipicità”
il proprio principale punto di forza, e che
dal rapporto strettissimo con uno specifico territorio (con cui condividono storia,
ECONOMIA E TERRITORIO
tradizione, simboli) traggono le proprie
peculiarità in termini di “reputazione” e
capacità competitiva.
L’industrializzazione del prodotCon la retailing to alimentare, e in particolare di
quello “tipico”, determina quindi
revolution divenne una situazione in cui il prodotto
fondamentale tipico potrebbe entrare nel cono
trovare strategie d’ombra dell’anonimato. Rischio
che porterebbe alla dicomunicative per i rilevante,
spersione di quell’universo di vaprodotti tipici lori immateriali e simbolici intorno a cui si definisce l’identità dei
prodotti tipici, determinato da tre fattori
complementari:
1. la serialità e la moltiplicazione numerica
(che supera il vincolo secolare della scarsità del bene offrendo al produttore nuove opportunità di profitto) garantiscono
uniformità e ripetizione costante dei risultati, ma inevitabilmente si oppongono
all’unicità e all’individualità, rendendo il
prodotto anonimo e meno associabile a
precise specificità territoriali;
2. l’affermarsi di un nuovo modello distributivo comporta la necessità di confezionamento del prodotto, processo che
cela il contenuto agli occhi del consumatore e lo disperde negli affollati
punti vendita di un mercato geograficamente sempre più ampio, e proprio
per ciò proporzionalmente sempre
meno capace di distinguere e apprezzare le specificità di un prodotto tipico;
3. il prevalere della marca sul prodotto,
e sul nome del produttore: si tratta di
un’evoluzione capace nel tempo di produrre valore, ma che nelle fasi iniziali
rischia di mettere in ombra, di occultare, il differenziale positivo di un prodotto tipico.
L’industria agro-alimentare di prodotti tipici si trova dunque a fronteggiare questa
situazione in numerosi modi, variabili a
seconda della natura del prodotto e dello
specifico momento storico, tenendo conto
delle continue e rilevanti trasformazioni
che abbracciano l’arco del Novecento. Prima di vederli nel dettaglio, possiamo però
enunciarli in modo sintetico: la costante
innovazione dell’imballaggio, trasformatosi via via in packaging dotato in modo crescente di specifiche valenze “comunicative”; il crescente ricorso alla comunicazione
pubblicitaria per “mostrare” ai consumatori
le “virtù” del prodotto; la costruzione di un
canone narrativo (che abbraccia i linguaggi
del packaging comunicativo come pure della
comunicazione pubblicitaria) fondato sulla
presentazione dei valori della tradizione
(che permeano il prodotto) e del richiamo
alla sedimentazione di una “storia lunga”
(che ha generato il prodotto) ancorata a un
preciso territorio.
PARMA economica
33
ECONOMIA E TERRITORIO
Gli elementi costitutivi di questo canone
sono ovviamente il prodotto di un disegno
strumentale, spesso risultano “inventati”,
frequentemente sono invece il risultato di
un “adattamento” che miscela valori evocativi molti forti, quali antichità, storicità e naturalità, rappresentati e trasferiti al
consumatore da paesaggi, racconti, volti
del passato, luoghi storici.
Il marketing del Parmigiano-Reggiano
L’evoluzione degli strumenti di marketing
del Parmigiano-Reggiano nell’età contemporanea può essere suddivisa in due
macro-periodi: dagli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento sino alla vigilia della
seconda guerra mondiale, in cui si registra
l’inizio della produzione industriale del
formaggio e la lenta ripresa della sua diffusione sui mercati dopo l’arretramento settecentesco; dalla fine della seconda guerra
mondiale in poi, fase in cui ha inizio la
ripresa dei mercati dopo la brusca battuta
d’arresto (misurabile sia in quantità che in
qualità) provocata dagli eventi bellici.
In linea di estrema sintesi, si può affermare
che in ambedue i periodi l’esigenza principale cui ci si trova a dover fornire risposta è
sostanzialmente la medesima: riaccreditare
il prodotto dopo una fase di difficoltà, rivitalizzare il settore produttivo locale, riconquistare la fiducia dei mercati attraverso la
promozione pubblicitaria del prodotto.
34 PARMA economica
Di fronte a esigenze sostanzialmente similari (benché diverse ne siano le cause)
si assiste però a strategie comunicative relativamente difformi, da contestualizzare
tuttavia all’interno delle specifiche situazioni determinate dal differente livello di
integrazione dei mercati e dalla diversa
strutturazione del sistema dei consumi.
La ripresa produttiva dell’Ottocento
L’espulsione dei gesuiti dal ducato di Parma, nel 1768, arreca gravi danni al sistema
di produzione del formaggio grana di Parma. Abili innovatori delle tecniche produttive, essi avevano dato L’espulsione dei
un impulso importante alla produzione e al miglioramento della gesuiti dal ducato e il
qualità del prodotto. L’economia dominio napoleonico
parmense, peraltro, è esposta per furono un danno per
tutto il Settecento alla crescente
la filiera del grana
competizione del ducato di Modena, che modernizza le tecniche
di produzione, permettendo all’agricoltura modenese e reggiana di divenire un’agguerrita concorrente di quella parmense,
che perde in competitività e vede diminuire
quantità e qualità del prodotto. L’amputazione territoriale subita con la dominazione
napoleonica arreca ulteriori danni alla filiera
produttiva del grana di Parma, poiché sottrae al dominio ducale i territori del lodigiano e del bibbianese (corona pedemontana di
Reggio Emilia), due aree che storicamente
ECONOMIA E TERRITORIO
avevano contribuito alla reputazione del
prodotto.
Una parziale ripresa si registra nei primi
decenni dell’Ottocento, caratterizzati da
un’evoluzione delle tecniche agricole cui
corrisponde un significativo incremento della resa lattea del bestiame (da 750
a 1.600 kg/annui per vacca), grazie anche
all’introduzione della razza bruna svizzera. Pur in presenza di un significativo
rinvigorimento del settore caseario, per
tutto l’Ottocento continua a spiccare sui
mercati la qualità di grana “reggiano” e
in particolare dell’area di Bibbiano, dove
nel 1868 operano 14 caseifici sostenuti dall’attività della Società
Obiettivo storico bibbianese per il commercio del
della promozione formaggio, che si fa carico deldel Parmigiano è la la promozione del prodotto nel
ricostruzione della mercato interno e in quello internazionale.
sua immagine In realtà, sul finire del xix secolo, coesistono sul mercato del
grana due prodotti sostanzialmente equivalenti, cui si affiancano le “imitazioni”
(molto simili peraltro) realizzate nel modenese e in alcune aree del bolognese e del
mantovano. Una situazione di ambiguità e
frammentazione che rischia di indebolire
il potenziale competitivo del prodotto, superata soltanto negli anni Trenta del Novecento con la costituzione del Consorzio
del Grana Tipico.
Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste dunque alla ripartenza del settore
produttivo del formaggio grana, messo
di fronte a una duplice necessità: a) l’introduzione di profonde innovazioni delle
tecniche di lavorazione; b) la definizione
di un’efficace strategia comunicativa per
riposizionare il prodotto sui mercati incentrandosi sulla valorizzazione della sua
“reputazione”.
Per tutta questa prima fase la strategia
adottata fa leva sul prestigio del marchio del
singolo produttore. Le forme di grana sono
ancora le “forme nere” della tradizione, sulle
quali viene affissa una piccola placca metallica con il nome dell’impresa produttrice.
Rilevanti appaiono gli investimenti nel
campo della cartellonistica nei primi decenni del Novecento, tra cui spiccano alcune vere e proprie opere d’arte, come quelle
di Achille Luciano Mauzan per la ditta
Bertozzi e di Gino Boccasile per la ditta
Tavella. Senza dimenticare le affiche anonime, ma di spiccato buon gusto, realizzate per la ditta Pelagatti, che si configura
come l’impresa pioniera nel campo della
commercializzazione del Parmigiano in età
contemporanea.
Gli stilemi comunicativi di Mauzan e Boccasile, antesignani del futuro marketing, si
caratterizzano per un’insistenza quasi maniacale sull’elemento sensoriale dell’olfatto.
Nella pubblicità di Boccasile è il cuoco dal
viso porcino a perdersi estasiato tra le braccia della forma di Parmigiano. Occhi chiusi
per conferire al senso olfattivo assoluta priorità, lo chef sembra aprirsi alla concupiscenza carnale col Parmigiano, pregustando
col naso quegli aromi sapidi e speziati che
più tardi avrebbero soddisfatto anche il suo
gusto, metaforicamente rappresentato dalle
labbra strette e protese a invocare dal pro-
PARMA economica
35
ECONOMIA E TERRITORIO
co porcino” col tocco di Boccasile. Lusso e
distinzione – ma anche evocazione di un
affresco parigino, col muretto in mattoni su
cui stanno accucciati una forma di grana e
un gatto bianco dallo sguardo malizioso –
che sono comunicati anche con le medaglie
dei premi ottenuti e le onorificenze, come
mostra la cartolina dell’impresa Pelagatti,
che sulla reputazione basa molta parte della
propria strategia comunicativa.
dotto il bacio tanto atteso. Nell’altrettanto
suggestivo manifesto di Mauzan (dedito
in questi anni a un’intensa attività pubblicitaria sia in Italia che all’estero; attività
che ci ha consegnato numerose decine di
prodotti dall’elevatissimo spessore comunicativo) troviamo invece il Parmigiano al
centro dell’attenzione olfattiva di tre uomini dal naso enorme. Evocativa come la
precedente, questa scena si caratterizza per
una maggiore “materialità”. I volti dei tre
uomini, che evocano inconsciamente protagonisti rabelaisiani se non addirittura gli
anziani viziosi dei racconti del marchese
De Sade, appaiono infatti accaldati ed eccitati dall’odorosa vicinanza del formaggio.
Pronti a sfamarsene, appagano però prima
collettivamente i loro bisogni olfattivi che
fanno crescere il desiderio del consumo.
La pubblicità di Pelagatti propone invece una stretta equivalenza tra Parmigiano
e lusso. Si tratta di un’assonanza esplicita,
che mostra il maître di un ristorante per
l’alta borghesia che grattugia un’abbondante spolverata di formaggio su una pietanza, probabilmente proprio quella “pasta al
sugo” che a cavallo tra Otto e Novecento
cessa di essere prerogativa della cucina popolare e viene ammessa tra le ricette della
“buona” società borghese. Lusso che diviene quindi un importante strumento di
comunicazione. Mercato del lusso che in
questa fase storica è probabilmente il target
primario dei produttori e commercializzatori delle “forme nere” marchiate e cui in
fin dei conti allude anche la figura del “cuo-
36 PARMA economica
Il marketing del Dopoguerra
L’inizio di un’effettiva strategia comunicativa del prodotto si registra agli inizi
degli anni Sessanta, in concomitanza con
l’allargamento dei mercati determinato
dal boom economico, facendo leva anche
sui “nuovi media” quali radio e televisione. Tuttavia, già verso la metà degli anni
Cinquanta sono da registrare alcuni importanti segnali della volontà del
Consorzio di promuovere l’imLe prime pubblicità
magine del Parmigiano sui mercati. Possiamo comunque notare degli anni ’50
che si tratta di forme comuni- restavano
cative ancora molto “primitive”, “primitive”, basate
incentrate su un generico richiamo alla genuinità e al rapporto di sul generico richiamo
fiducia face-to-face tra venditore e alla genuinità
consumatore e imperniate su tre
elementi fondamentali: a) la reputazione
universale del prodotto (“tutto il mondo
conosce e apprezza il Parmigiano-Reggiano”); b) il richiamo alla genuinità della
lavorazione artigianale (“la buona riuscita
di una ricetta dipende […] dalla genuinità delle materie prime”); c) la garanzia
offerta dal marchio collettivo del Consor-
ECONOMIA E TERRITORIO
zio (“solo il marchio di garanzia garantisce
l’origine e l’autenticità”).
Si può tuttavia osservare come gli strumenti di persuasione siano molto flebili.
Assente è la definizione precisa di un canone comunicativo in grado di scongiurare il rischio dell’anonimato del prodotto.
Nel 1953 non c’è nessuna immagine; nel
1954 si riproduce quella del formaggiaio tradizionale che offre alla consumatrice
un anonimo pezzo di formaggio. Assente
appare inoltre un richiamo esplicito alla
dimensione territoriale. Dove sono Parma,
Reggio Emilia o il resto del comprensorio?
L’indirizzo del Consorzio è confinato in un
pay-off dall’efficacia discutibile, che più che
a una funzione evocativa o suasiva sembra
corrispondere alla funzione di “firmare” la
comunicazione, così come si firmano le fatture di vendita o la carta intestata.
Da sottolineare infine l’assenza di qualsiasi richiamo alla lunga tradizione del prodotto. Probabilmente si tratta della scelta
di “destoricizzare” il prodotto nella convinzione che un packaging pubblicitario
“industriale” possa risultare più efficace,
tanto più in un momento storico in cui
le campagne, simbolo del passato, stanno
scomparendo. Celebrazione del progresso,
dunque, affidata all’immagine di un prodotto “moderno”, acquistato da una donna
della borghesia cittadina. In filigrana, la
rappresentazione della città che sta soppiantando la campagna.
«ballata di un antico e nobile formaggio da
sette secoli famoso […] con due secchi di
buon latte si fa un chilo di formaggio genuino e prelibato […] chi lo mangia è un
uomo saggio, son le forme garantite da un
inciso marchio a fuoco, è il marchio che
più vale, ce lo dice ogni buon cuoco».
Al di là dell’impianto metrico un po’ claudicante, tre sono gli elementi da segnalare: il richiamo al suo antico lignaggio di
prodotto di lusso; la sottolineatura della
genuinità e delle tecniche di lavorazione artigianali; il prodotto è garantito dal
Consorzio con la marchiatura a fuoco. Più
sofisticata appare la comunicazione dei
cartelloni pubblicitari e delle inserzioni
sulla stampa.
Nella campagna del 1963 compare esplicitamente il richiamo alla tradizione («da
sette secoli un gran formaggio»). Non è
ancora un canone narrativo compiuto, ma
si colmano le lacune del passato. Al moderno si affianca la tradizione, raffigurando per la prima volta un esplicito sincretismo tra tradizione e innovazione.
Complessivamente, è un manifesto molto elegante ed estremamente equilibrato.
La parte testuale riporta un’unica headline: «Parmigiano-Reggiano: da sette secoli
L’universo comunicativo del boom economico
Nel 1962, uno dei primi passaggi radiofonici associa il Parmigiano-Reggiano alla
PARMA economica
37
ECONOMIA E TERRITORIO
un gran formaggio». Da notare che non
ci sono elementi testuali che distraggano
da quest’asserzione, che apostrofa molto schiettamente il consumatore, lasciando implicita l’ipotetica conclusione («… e
quindi vedete voi…»). Significativa anche
l’elisione della sillaba finale di “grande”.
Quel «gran» utilizzato nel testo non solo
conferisce musicalità e ritmo alla frase, ma
“gioca” anche con l’allusione a “Grana”,
storica denominazione del Parmigiano, ma
anche il nome di quello che ne sarebbe diventato il principale concorrente (Grana
padano).
Cromaticamente, le tre componenti (nero
della crosta, giallo paglierino del formaggio, rosso della campitura di sfondo) si
“impastano” molto bene tra loro, risultando molto eleganti e facendo sì che l’insieme iconografico evochi inconsciamente la
percezione visiva di un interno abitativo
borghese. È in questo modo che la tradizione (rappresentata nel testo) e l’innovazione (rappresentata dalla tipologia di
consumatore) si incontrano felicemente e
verosimilmente con notevole efficacia comunicativa.
Il messaggio del 1964, in cui si ha un
significativo ricorso al tradizionale
black&white, appare invece di notevole
complessità. Numerosi sono infatti gli elementi da sottolineare:
1. si dissocia il gradimento del gusto
dall’azione del consumo («comprarlo è
già pregustarlo»). Prima ancora di uti-
38 PARMA economica
lizzare la sensorialità gustativa, il consumatore trae piacere dall’atto dell’acquisto. Non siamo ancora al packaging
che conferisce identità al prodotto,
quel packaging capace di definire gusto
e qualità prima o in assenza dell’atto
del consumo, ma l’incipit del messaggio
testuale vorrebbe persuadere il consumatore che è proprio così;
2. utilizzo dell’allusione alla memoria («vi
ritrovate in bocca quel suo sapore […]
così stuzzicante anche alla memoria»).
C’è un evidente richiamo a Proust in
questa affermazione. Addentato un
boccone di Parmigiano-Reggiano il sapore stuzzica nel consumatore una madeleine: in questo modo il consumatore
è attratto dal gusto del prodotto, ma
anche dall’associazione a qualche emozione positiva del passato;
3. il prodotto si “sdoppia” («come condimento o come formaggio da tavola»):
al tempo stesso il Parmigiano è cibo e
condimento; specie per i consumatori
geograficamente più lontani si tratta di
un piccolo “manuale d’uso”;
4. un prodotto familiare («perché voi lo
conoscete bene»): la frase suggerisce
estrema familiarità, propone cioè l’immagine di un alimento conosciuto, appartenente alla memoria di tutti;
5. richiamo alla naturalità («è un prodotto naturale, fatto oggi con gli stessi sistemi artigianali di sette secoli fa»): in
questo modo si dichiara che il prodotto
non solo ha sette secoli di storia, ma
che anche le tecniche di lavorazione
sono rimaste invariate;
ECONOMIA E TERRITORIO
6. sottolineatura dell’unicità («unico al
mondo»): il Parmigiano-Reggiano è
“unico” ed “eccezionale”. Si intende far
leva anche su questo fattore di competizione: gli altri formaggi (i competitor)
possono essere buoni, ma non sono unici;
7. fattore prezzo («e lo pagate volentieri»):
il prodotto costa più dei concorrenti. Si
chiede al consumatore lo sforzo di corrispondere un premium-price perché il
prodotto gratifica il consumatore e gli
conferisce status sociale.
Complessivamente, il cartellone è complesso e di non immediata lettura, anche
in virtù del fatto che tutti questi elementi
comunicativi sono affidati al testo scritto,
che risulta particolarmente lungo. Non si
presta, cioè, a una decifrazione immediata.
Occorre smontarlo, analizzarlo e ricomporlo. L’impressione è che l’efficacia rispetto alla funzione comunicativa sia blanda se
non addirittura scarsa. Possiamo
considerarlo come la summa
L’evoluzione della però
programmatica dell’universo cosocietà negli anni municativo del Consorzio in que’60 obbliga la sto scorcio iniziale del decennio.
comunicazione a Nel 1965, sempre con l’utilizzo
di un elegante bianco e nero, è
variare di continuo da segnalare una campagna pubblicitaria che fa leva su alcuni
elementi significativi. Da una parte, il già
evocato radicamento in una “storia lunga”
(«il Parmigiano ha compiuto i sette secoli»), che conferisce al prodotto quell’aura
di tradizionalità che, in questa fase, si intende utilizzare quale arma principale di
competizione sui mercati. Tra le altre cose,
in questo prodotto pubblicitario si fa esplicito riferimento alla presenza del Parmigiano-Reggiano nella letteratura. Citando
un non meglio identificato scrittore elisabettiano del 1600, si sottolinea come la reputazione del prodotto fosse in quell’epoca già consolidata, tanto da spingere i profughi di una città in fiamme, protagonisti
dell’opera, a cercare in ogni modo di mettere in salvo le forme di “parmesan cheese”.
Dall’altra, è degna di nota la sottolineatura
che il prodotto debba essere inteso come
un ingrediente importante per la realizzazione di preparazioni alimentari. Rotoli di
prosciutto, tartellette al formaggio e asparagi al formaggio diventano così le portate
consigliate dai produttori di Parmigiano,
che iniziano a sostituire i piatti più grevi delle tradizioni della cucina regionale
italiana, segnando un punto a favore del
progressivo rinnovamento dei comportamenti alimentari della nazione, alla ricerca
di pasti più leggeri e più adatti alla nuova
organizzazione del tempo di una società in
via di rapido sviluppo. Un processo di rinnovamento in cui il Parmigiano-Reggiano
intende giocare un ruolo importante.
L’head-line del manifesto comparso nel
1966 è molto netta e introduce alcuni elementi di novità. Con la dicitura «il Parmigiano-Reggiano è il marito della cucina italiana» il prodotto diviene sessuato e acquisisce una precisa identità associata al ruolo
sociale di “marito”. Giocando sulla funzione evocativa radicata nella cultura tradizionale, il prodotto si carica così di un ruolo
importante, qual è quello che in questi anni
è attribuito al “marito capofamiglia”.
Si tratta di una mimesi imperniata sul
messaggio metaforico, ulteriormente rafforzata dalla comunicazione iconografica,
che rappresenta il Parmigiano-Reggiano
“marito” accanto a una curata figura femminile, sorridente casalinga di una famiglia cittadina, alle prese con la pentola di
coccio del ragù e il mestolo di legno.
Testo e immagine appaiono strettamente
legati, dando vita a un messaggio “rassicurante” incentrato sui valori tradizionali
della famiglia. Richiamo alla tradizione,
quindi, che si incarna nel prodotto pubblicizzato. Parmigiano-marito, che si fa
garante degli equilibri tradizionali a difesa
dell’integrità di un modello sociale in via
di progressivo sgretolamento, nel quadro
di quell’ondata di trasformazioni culturali che fanno seguito al boom economico e
PARMA economica
39
ECONOMIA E TERRITORIO
precedono gli eventi del Sessantotto.
Emblematica anche la rappresentazione
iconografica. L’accostamento del prodotto
a una pentola e a un mestolo sta a indicare una precisa opzione di consumo: prima
ancora che alimento primario, il Parmigiano-Reggiano deve essere inteso come condimento, con cui “completare” preparazioni gastronomiche. Richiamo e indicazione
del resto già presentati nelle campagne
pubblicitarie degli anni precedenti.
Due anni dopo si registra un ulteriore sviluppo rispetto alla campagna del 1966, pur
rimanendo all’interno dello stesso paradigma culturale. «Per lui che merita il meglio
questo è il formaggio da tavola». Il testo,
che si sviluppa occupando sia l’headline che
il pay-off, si collega strettamente alla grafica
del manifesto, che presenta due elementi
centrali: il torso di un uomo seduto davanti
a una forma di Parmigiano, sovrastata da un
piatto con uno spicchio di formaggio e il
coltellino per frantumarne piccoli pezzi, e
le braccia di una donna – verosimilmente
la moglie – che gli cinge amorevolmente le
spalle con le braccia. Singolare è l’assenza
dei volti dei due personaggi, che occupano
solo una piccola parte della scena ed esclusivamente con alcuni dettagli.
Pur nell’incompletezza della rappresentazione (che conferisce però centralità alla
forma e al piatto), molto chiare appaiono le identità dei protagonisti. Giacca e
cravatta testimoniano che l’uomo appartiene al ceto borghese cittadino, impegnato in un lavoro d’ufficio di una certa
40 PARMA economica
responsabilità e di altrettanto prestigio.
In realtà, altro non è che un altro modo
di rappresentare il “marito” comparso nel
linguaggio scritto nel 1966. Accanto a
lui la moglie amorevole, tratteggiata con
pochi segni, che indicano l’identità della
figura femminile. La fede nuziale testimonia del suo status di coniuge; il bracciale
all’avambraccio destro quello di donna di
famiglia benestante; le sue mani curate e
le unghie smaltate, infine, dicono che non
sono quelle di una persona che si
occupa di lavori manuali.
Con la modernità
Le innovazioni comunicative
sono molteplici, ma analogo ri- il Parmigiano
mane il solco culturale entro il si sgancia dalla
quale si collocano. L’evocazione pasta diventando
della dimensione familiare rimaingrediente
ne esplicita sebbene l’impianto
comunicativo appaia più “raf- autonomo di pasti
finato”, facendo leva su alcuni leggeri
elementi visivi di “dettaglio” (la
fede, la cravatta, ecc.), e concentrando
nell’incipit «per lui» la funzione associativa Parmigiano-marito, troppo esplicita e
grossolana nella precedente campagna.
Un certo rilievo è invece da attribuire alla
“chiusa” del testo concentrata nel pay-off,
che appare in sostanziale controtendenza
rispetto al passato. In questo caso il prodotto non è più proposto al consumatore esclusivamente come condimento, ma
quale alimento da consumarsi come piatto principale. Si cavalca così l’onda della
“modernità”, che, soprattutto per le persone non più occupate in gravosi e faticosi
ECONOMIA E TERRITORIO
lavori manuali, suggerisce lunch sempre
più leggeri, e compatibili con lo svolgimento di attività professionali intellettuali
nelle ore pomeridiane.
Il Parmigiano-Reggiano si dissocia quindi
dalla pasta al sugo, e acquisisce una propria identità di “portata principale”, che,
magari accompagnata da una porzione di
verdure o di frutta, può costituire da solo
un pasto completo.
Nel 1969 l’Italia è attraversata da un’ondata senza precedenti di proteste operaie,
che fanno seguito alle perturbazioni sociali dell’anno precedente determinate dalle
grandi contestazioni studentesche. Nello
stesso anno la comunicazione pubblicitaria
del Parmigiano sembra strizzare l’occhio a
quella parte “silenziosa” del Paese, avversa
sia all’una che all’altra manifestazione di
contestazione.
«A tavola fa pranzo»: in quest’unico elemento testuale si coglie il messaggio comunicativo della camNegli anni ’70 la pagna, che segna una sostanziale
pubblicità fa leva per discontinuità rispetto agli stilemi
la prima volta sulle del passato. Sparisce l’issue della
come pure la centralità
virtù del territorio famiglia,
della figura maschile del marito
quale perno della comunicazione. Nel bel mezzo della protesta sociale
si assiste a un ribaltamento di piani, con
la comparsa nel manifesto pubblicitario
di un gruppo di uomini disposti lungo
un tavolo su cui troneggia una forma di
Parmigiano-Reggiano. Numerosi sono gli
elementi da sottolineare:
1. si tratta di uomini adulti vestiti in
abito scuro da sera, camicia bianca e
papillon nero. Uomini d’affari, colti e
benestanti, che si ritrovano a un convivio gastronomico a margine di una
riunione d’affari (la mancanza di personaggi femminili accredita quest’ultima considerazione: non solo si registra
l’assenza delle “mogli”, ma anche delle
“segretarie” escluse di norma dalle cene
di lavoro “ai vertici”);
2. l’iconografia allude però alla tradizione, riproducendo l’immagine classica
dei matrimoni o degli incontri familiari
dell’epoca, in cui la comitiva era ripresa
dal posto del capotavola;
3. la forma di Parmigiano siede al posto dell’ospite più importante (il capotavola) e conferisce al prodotto
un’“autorevolezza” mai attribuitagli in
passato. Il Parmigiano-Reggiano si fa
ospite divenendo alimento che siede
a tavola “alla pari” con gli altri invitati
importanti. E tutto ciò avviene in un
convivio di “alto rango”, testimoniando così dell’importanza e del lignaggio
che s’intende conferire al prodotto;
4. propone un preciso target di consumatori: professionisti “in carriera”, del
tutto insensibili al fattore prezzo del
prodotto.
L’isola del tesoro
Nel 1971 viene varata la prima campagna
pubblicitaria che, in modo esplicito, fa leva
sulle “virtù” del territorio per promuovere
il prodotto. È una campagna articolata su
diversi livelli: da una parte la tradizionale
comunicazione cartellonistica; dall’altra il
ricorso, come negli anni passati, al format
televisivo Carosello proponendo uno spot
televisivo, però, che questa volta appare in
piena sintonia con i contenuti della comunicazione a stampa.
L’impianto comunicativo è semplice ma al
contempo sofisticato: la forma di Parmigiano-Reggiano, già tagliata per mostrare
la grana sabbiosa della pasta del formaggio, è adagiata su una pergamena che riproduce la mappa della zona d’origine del
prodotto, che comprende i territori di Parma, Reggio Emilia, Modena, una parte del
mantovano e del bolognese.
Pochi elementi, che conferiscono tuttavia
grande forza comunicativa allo strumento
pubblicitario, che fa leva su alcuni elemen-
PARMA economica
41
ECONOMIA E TERRITORIO
ti simbolici per trasmettere al consumatore il senso di “tradizione” e di “lunga storia” del prodotto. Pochi elementi-chiave,
decisivi però per mostrare che non si tratta
soltanto di un prodotto alimentare, ma che
si sta “celebrando” un’entità su cui convergono le virtù migliori di un territorio ricco
e prosperoso, immortalato da numerosi resoconti di viaggio già nell’epoca del Grand
tour in Italia.
La frase dell’head-line («l’isola del tesoro: la
zona d’origine del Parmigiano-Reggiano»)
è evidentemente assertiva e può essere compresa solo se messa in relazione con l’immagine sottostante. È tuttavia significativo
che a tale frase sia assegnato il compito di
definire il “genere” comunicativo, fornendo
al destinatario della pubblicità gli strumenti
necessari per decifrare e interpretare i segnali metaforici proposti dall’iconografia:
1. si noti anzitutto la mappa: è un rotolo di pergamena antica (aperto solo
in parte con il formaggio a impedirne
l’arrotolamento) su cui è disegnata (con
i tratti e i colori degli antichi mappali)
la zona di produzione del ParmigianoReggiano. L’effetto è di sicuro impatto
emozionale: l’isola del tesoro – si afferma tra le righe – non è una componente del messaggio pubblicitario, ma rappresenta un oggettivo e inconfutabile
dato storico, con profondi ancoraggi
nella memoria e nella storia;
2. un elemento di potente associazione
evocativa è costituito dal contrasto creato tra il colore pastoso e un po’ irregolare della pergamena e la sabbiosità
altrettanto irregolare del ParmigianoReggiano. Si tratta di un’associazione evocativa che si intende suscitare
nell’inconscio del consumatore sotto forma di assonanza cromatica. La
triangolazione è semplice: la mappa testimonia del radicamento del prodotto
in un dato territorio che ha alle spalle
una “lunga storia”, fatta di simboli e
tradizioni. Tutto ciò trova conferma
nella pergamena antica mostrata su cui
è adagiato il prodotto tagliato, il cui
“cuore” – la parte destinata ad appagare
il gusto del consumatore – si presenta con gli stessi colori e sembra quasi costituito della stessa materia della
pergamena. O meglio, in un processo
di mimesi, è la pergamena che sembra
fatta di parmigiano. Alla fine di questo
processo mentale il cerchio si chiude,
42 PARMA economica
e l’obiettivo di “vendere” la tradizione
prima ancora del prodotto è sostanzialmente raggiunto.
Una rielaborazione della campagna del ’71,
con l’aggiunta di alcuni nuovi elementi evocativi, fa la sua comparsa nel 1973, con l’utilizzo di un testo che esplicita quali siano
le ricchezze disponibili nell’isola del tesoro:
«Dall’isola del tesoro l’antica genuinità del
Parmigiano-Reggiano». L’elemento innovativo è rappresentato dalla stretta associazione proposta tra tradizione, genuinità e
territorio. La ricchezza dell’isola, quindi,
va oltre l’elemento sensoriale del gusto e
abbraccia anche gli aspetti legati
alla salubrità del prodotto. Del re- Il consumatore,
sto, è proprio in questi anni che il
consumatore, dopo essersi saziato “saziato” dal boom
con abbondanza durante il boom economico, inizia
economico, sta iniziando a inter- a interrogarsi sulla
rogarsi sui contenuti salutistici
genuinità degli
degli alimenti. Un cambiamento
ovviamente molto importante, alimenti
che viene colto dai produttori di
Parmigiano e che accompagnerà anche alcune campagne negli anni successivi.
L’iconografia della campagna del 1973
presenta però altre innovazioni, che è importante sottolineare, sia per la loro valenza evocativa, sia per il comportamento
alimentare che suggeriscono. Osservando
la fotografia si può infatti notare la presenza, accanto alla punta di formaggio, di altri
alimenti: un grappolo d’uva, una noce, una
ECONOMIA E TERRITORIO
nocciola, una pesca e alcune bacche di ribes. Si tratta ovviamente di un’indicazione
gastronomica (che suggerisce peraltro un
consumo del Parmigiano estremamente
innovativo, destinato a essere protagonista
non solo di pasti “convenzionali”, ma anche di momenti conviviali meno formali in
cui il formaggio può assumere la funzione
di appetizer o di complemento di un happy
hour fuori programma) ma non solo.
L’accostamento di questi prodotti alimentari – oltre all’innegabile efficace cromatica
– ha infatti la capacità di evocare rappresentazioni pittoriche del passato,
suggestive, come
La crescita del estremamente
lo sanno essere tutte le nature
Consorzio impone morte della tradizione figurativa
lo sbarco sulla europea. In questo caso, però, il
televisione di stato messaggio subliminale contenuto
nella fotografia trascende l’emocon uno spot ad hoc zionalità contenuta in una “natura
morta”, insinuando nel consumatore la curiosità di accostare alla sapida dolcezza di una scaglia di Parmigiano il retrogusto amarognolo del gheriglio di noce, per
sperimentare nuove sensazioni gustative.
In realtà, si tratta di un messaggio iconografico che cerca di stimolare curiosità:
quale sarà il gusto della pesca con il Parmigiano? E quello della nocciola? E attraverso
queste curiosità gettare una nuova passerella tra tradizione e innovazione, suggerendo
inoltre l’estrema versatilità del formaggio
di Parma.
Tesori e pirati negli sketch di Carosello
Sulla scia della spenta serie Il torneo, trasmessa da Carosello nel 1968 (siparietti in
cui sono rappresentate improbabili analogie tra il mondo d’oggi e i tornei medievali:
comunque un tentativo di creare un ponte virtuale per ancorare il prodotto all’olografia del passato), tra il 1969 e il 1972
il Consorzio del Parmigiano-Reggiano
proietta il binomio comunicativo Parmigiano-tesoro sulla scena televisiva, commissionando prima all’agenzia Linea e poi
alla Lambert la realizzazione di una nuova
campagna promozionale da trasmettere
sempre dentro il principale contenitore
pubblicitario della televisione di Stato.
Si tratta della serie a cartoni Briganti
mattacchioni, impersonata da quattro improbabili briganti della tradizione italiana (l’oculista di Benevento, l’indovino di
Gallarate, ecc.) alla costante ricerca di un
tesoro da rubare. I protagonisti tentano di
realizzare il proprio intento introducen-
dosi in un accampamento di soldati per
rubare le paghe, oppure cercando di forzare il portone d’ingresso di una fortezza,
o anche provando a introdursi in una piramide egizia per forzare la stanza segreta
del tesoro. I quattro briganti mattacchioni,
però, incarnano in realtà la figura classica degli antieroi dei cartoon e, come il più
celebre “Wile il coyote”, finiscono sempre
vittima di ciò che hanno escogitato. Pestati, rincorsi e malconci dopo un’esplosione
imprevista, i quattro mattacchioni si danno a una rapida fuga, lasciando spazio al
“codino” finale dello spot nel quale vengono esaltate le vere virtù della padana “isola
del tesoro”, che da tanti secoli rappresenta
la patria del Parmigiano-Reggiano. L’unico vero “tesoro” per cui valga la pena darsi
così tanto da fare.
L’efficacia della serie è molto elevata, grazie soprattutto alla bellezza delle musiche,
all’originalità delle avventure e alla grande
originalità dell’idea comunicativa. Forte ed esplicito risulta il canone narrativo
generale, che fa appello alla storia e alla
tradizione per apostrofare il consumatore,
senza tuttavia rinunciare all’ironia (incarnata nelle disavventure dei protagonisti) e
alla giocosità, riuscendo perciò a proiettare nello strumento pubblicitario quei segni che indicano l’ancoraggio del prodotto
alla tradizione senza scadere nel retorico
e nell’artefatto. Understatement comunicativo estremamente efficace e suggestivo,
come è del resto testimoniato dalla vita relativamente lunga della serie.
PARMA economica
43
ECONOMIA E TERRITORIO
Parma e il cavallo:
dall’allevamento alla cucina
Non solo parte delle tradizioni alimentari locali, ma anche specie da
tutelare e valorizzare. Storia di un rapporto secolare tra uomo e animale
Monica Domenichelli
I
l cavallo è un animale importante nella storia, nella cultura e nell’economia
del nostro territorio. Lo testimoniano
la tradizione culinaria ad esso legata, che
trova nel “cavallo pesto” la sua espressione
più celebre, ma anche l’allevamento, grazie
a cui, in particolare, è stata recuperata la
razza autoctona del bardigiano.
Un piatto tipico regionale riconosciuto
Parma è considerata una delle capitali
mondiali dell’alimentazione e della buona
tavola; non a caso, infatti, il 13 dicembre
2003 è stata scelta come sede permanente dell’Autorità Europea per la Sicurez-
44 PARMA economica
za Alimentare (EFSA), che fornisce alla
Commissione Europea consulenze scientifiche su tutto ciò che ha ripercussioni
sulla sicurezza alimentare.
Con la sua vocazione gastronomica e alimentare, la nostra provincia si è guadagnata l’appellativo di food valley, in quanto
terra di sapori per eccellenza e con tradizioni secolari. Nel corso degli anni queste
tradizioni sono state via via affiancate dalla
moderna industria agroalimentare, in un
sapiente equilibrio teso a cogliere le diverse opportunità del mercato e a tutelare la
qualità e le proprietà alimentari dei prodotti tipici.
ECONOMIA E TERRITORIO
Il cavallo pesto è
riconosciuto tra i piatti tipici
regionali emiliani
La cucina parmigiana, di antichissima tradizione, è una cucina sostanziosa ma non
pesante, ricca di sapori e profumi, e comprendente specialità che la rendono famosa in tutto il mondo. Le specialità locali
abbinano la genuinità dei prodotti tipici
alla bravura e alla passione delle rezdore,
ossia le vecchie massaie parmigiane, con
piatti ricchi e gustosi.
Tra i suoi piatti cult, non si può non annoverare il famosissimo “cavallo pesto”,
chiamato in dialetto parmigiano caval pist,
ossia carne di cavallo macinata, da mangiare cruda e condita semplicemente con
sale, pepe e un filo d’olio e/o limone. È
sicuramente un piatto amatissimo dai parmigiani: molti di loro sono soliti recarsi in
macelleria il sabato mattina per consumare
il pesto come piatto unico a pranzo, un pasto veloce, fresco e invitante. Il macellaio
esperto prepara un cavallo pesto di prima
scelta e uno di seconda scelta: la differenza
riguarda la percentuale di grasso e la scelta
del taglio destinato alla macinatura. Il pesto di prima scelta è decisamente più magro e lo si riconosce dal colore rosso vivo,
dal gusto delicato e dalla consistenza più
compatta, mentre quello di seconda scelta
risulta più grasso e più morbido, ha una
nuance di rosso meno intenso, vagamente
tendente al rosa e si scioglie in bocca con
più facilità.
Un’ulteriore nota di merito: il cavallo pesto è stato ufficialmente incluso nell’elenco dei piatti tipici regionali dell’Emilia
Romagna: riconoscimento che riempie di
gioia i tanti parmigiani cresciuti a pane e
caval pist! L’assessorato regionale all’agricoltura, infatti, ha accettato la richiesta
dell’Associazione per la Tutela del Cavallo
Pesto di Parma e della Fiesa Confesercenti
di Parma, col sostegno della Provincia di
Parma. Alla notizia, Fabio Ferraroni, presidente dell’Associazione per la Tutela del
Cavallo Pesto, ha espresso grande soddisfazione per il risultato raggiunto, dichiarando: «Parma ora ha un’altra eccellenza
gastronomica di cui vantarsi, un marchio
di tradizione importante che mettiamo a
disposizione del territorio».
Tutte le rivendite che aderiranno al rigoroso protocollo di produzione, quindi, potranno fregiarsi del marchio dell’associazione. Domandando consigli alle vecchie
signore parmigiane, vi verrà insegnato che
il pesto di cavallo può anche impreziosire la tradizionale vècia alla pramzana: un
secondo piatto particolarmente ricco e so-
PARMA economica
45
ECONOMIA E TERRITORIO
stanzioso, dove la carne equina viene scaldata e abbinata a un contorno fumante di
pomodoro, patate, cipolle, peperoni e sedano. Il tutto accompagnato da un robusto
vino rosso.
L’uso di alimentarsi con la carne di cavallo è molto recente e dovunque ha trovato
forte opposizione per tabu alimentari perpetuati nel tempo che ne resero difficile
l’introduzione e il consumo. La prima macelleria aperta in Italia - a Torino, nel 1865
- fu assalita dalla popolazione e difesa a
stento dalle guardie. A Parma, il Comune
aveva autorizzato fin dal 1873 la macella-
con la reclusione. Tale divieto andrebbe a
ripercuotersi in maniera pesante sulle attività commerciali locali, generalmente a
conduzione famigliare, che si vedrebbero
costrette a cessare l’attività, da anni portata avanti attraverso un naturale passaggio
generazionale, di padre in figlio. Sarebbe
auspicabile, quindi, condurre un progetto
di comunicazione affinché sia mantenuta
intatta questa importante realtà, storicamente riconosciuta.
Le caratteristiche della carne di cavallo
La carne di cavallo possiede alcune caEsemplare di cavallo
bardigiano
zione di carne equina, ma solo nel 1881 un
certo Orlandelli aprì la prima beccheria in
via Farnese, nell’Oltretorrente, dove si trova ancora, sormontata da una scultura di
testa di cavallo. Da allora, i consumi sono
aumentati e non manca chi non disdegna
di usarla anche per gli anolini.
Attualmente, le macellerie equine nella
nostra provincia sono oltre 40 e rappresentano un’importante e radicata realtà
per il territorio. La categoria è stata, negli
ultimi anni, oggetto di diverse proposte
di legge che ostacolerebbero l’attività di
macellazione e di vendita di carne equina.
“Norme per la tutela degli equini e loro
riconoscimento come animali d’affezione” è il titolo della bozza della proposta di
legge dell’onorevole Paola Frassinetti, che
prevede sanzioni salatissime per i trasgressori che potrebbero essere anche puniti
46 PARMA economica
ratteristiche che la differenziano
nettamente dalla carne bovina e Il consumo del
ha un valore nutritivo tale da poter giustificare un aumento del cavallo fu a lungo
suo consumo, ancor oggi poco osteggiato: la prima
diffuso. Ha un’umidità piuttosto macelleria equina
elevata e alto è anche il contenu- aprì nel 1865 fra le
to proteico, a conferma del suo
valore nutritivo. Adatta a tutti, è proteste
fondamentale per l’alimentazione di molte categorie di persone: per il suo
alto contenuto di proteine e di aminoacidi
essenziali (che l’organismo cioè non è in
grado di produrre) è ottima per la crescita
e lo sviluppo dei bambini, per l’aumento
delle masse muscolari degli atleti e per
sopperire alla perdita di efficienza del ricambio azotato nelle persone anziane. Per
le stesse categorie di persone, inoltre, il suo
elevato contenuto di vitamina D e di vita-
ECONOMIA E TERRITORIO
Un esemplare di razza
avelignese
mine del gruppo B la rende preziosa nel
mantenere l’efficienza del metabolismo
corporeo.
Poiché negli adolescenti e nei bambini di
pochi anni si assiste spesso a una diffusa
sindrome ferrocarenziale, la carne equina
influisce positivamente fornendo alti livelli di ferro assimilabile. L’elevato tasso di
ferro (valore medio 4,5 mg/100 g) influisce sul rapido imbrunimento della carne di
cavallo quando viene a contatto con l’aria.
Possiede inoltre una difesa naturale contro
lo sviluppo batterico, costituita dall’acido
lattico, presente in quantità due o tre volte più elevata di quella riscontrabile nelle
carni di altri animali da macello. Infine,
si differenzia dalle carni rosse per il tasso
zero di colesterolo e il basso contenuto di
grassi, quindi è ideale per chi è a dieta, per
gli anemici, per chi ha problemi di colesterolo alto e pressione bassa.
La caratteristica più apprezzata dal consumatore è senza dubbio la tenerezza.
Tuttavia, occorre fare molta attenzione
nella scelta del macellaio da cui acquistare carne equina. Esistono infatti cavalli
allevati solo per produrre carne, destinati
al macello in giovane età e pertanto in ottimo stato di nutrizione e sviluppo muscolare. Al contrario, numerosi controlli
posti in essere dalle Ausl hanno evidenziato l’esistenza di vaste organizzazioni
che destinano la carne di cavalli da cor-
sa a fine carriera al consumo umano, con
tutto quello che essa può contenere dopo
anni di “bombe” a base di cortisonici,
antinfiammatori, broncodilatatori e altri
cocktail dopanti. Tutto ciò si accompagna
all’ingresso fraudolento di cavalli dall’Est
europeo, dove malattie come la salmonellosi e la terribile trichinellosi non sono
oggetto di controlli con standard europeo
e dove quasi ogni farmaco è legalmente
utilizzabile a discrezione del proprietario
dell’animale.
Le razze più diffuse e il caso Ortalli
Premesso che per razza si intende un nucleo di soggetti della stessa specie aventi
caratteristiche simili e proprie che saranno
trasmesse alle successive generazioni, possiamo affermare che esistono due possibilità in merito alla formazione della stessa:
la cosiddetta selezione naturale, dovuta
principalmente a fattori di tipo climatico,
e la selezione operata dall’uomo per ottenere nuove specie in grado di soddisfare
meglio le sue esigenze. I cavalli hanno da
sempre dimostrato una peculiare facilità di
adattamento alle condizioni imposte dalla
natura e dal clima in particolare. Di questa importantissima caratteristica si ebbe
coscienza già nell’antichità, quando si
comprese come razze provenienti da zone
diverse presentassero aspetti fisici diversi,
che si prestavano a impieghi differenti.
PARMA economica
47
ECONOMIA E TERRITORIO
Da queste considerazioni presero spunto
i tentativi di incrocio di razze, con l’obiettivo di creare soggetti dotati delle caratteristiche volute.
Per quanto riguarda le razze più diffuse
in Italia, possiamo senza dubbio citare il
cavallo maremmano, le cui origini risalgono al tempo degli antichi etruschi. Ori-
La doma del cavallo
Dalla conoscenza del comportamento
del cavallo, di come vive in natura, di
come si relaziona con i suoi simili e di
come comunica con essi, si può trarre spunto per cercare di instaurare un
rapporto diverso con questo animale.
Proprio su questo si basa la cosiddetta “doma etologica”, detta anche
“doma dolce”: una tecnica che negli
ultimi anni ha suscitato un interesse
sempre maggiore, grazie anche alla
crescente attenzione verso il benessere dell’animale.
Questa tecnica prevede di instaurare
un dialogo tra uomo e cavallo, utilizzando comportamenti analoghi a quelli
che usano i cavalli tra di loro allo stato
selvatico; in particolare, l’uomo adotta il
comportamento di soggetto dominante. Il cavallo è per natura un animale
gregario e si sente in pericolo quando
è isolato dal branco: nella doma etologica l’uomo rappresenta il branco a cui
il cavallo decide di aggregarsi per non
rimanere solo e per cercare protezione. Questo tipo di doma non prevede
metodi coercitivi e l’animale durante
il lavoro è sempre libero di mettere in
atto la fuga, che in natura è il mezzo
di difesa primario. In questo modo, è il
cavallo che decide di stare con l’uomo,
senza che ne sia obbligato con la forza.
Il centro del tondino rappresenta il luogo dove può aggregarsi all’uomo, ricevere carezze e sentirsi al sicuro.
Il metodo cerca di realizzare un legame
basato sulla fiducia e sull’accettazione
da parte del cavallo della leadership
umana. Per ottenere ciò, l’uomo deve
adottare atteggiamenti comprensibili
dall’animale, non potendo pretendere
che sia il cavallo ad adeguarsi al suo
modo di comunicare. Questa tecnica,
che si svolge con un solo cavallo per
volta all’interno del tondino, prevede
varie fasi: allontanamento del cavallo,
avvicinamento, contatto e associazione. Nella prima fase l’addestratore si
posiziona al centro del tondino e mediante particolari posture e movimenti
48 PARMA economica
induce l’animale a correre alla periferia
del recinto (reazione di fuga) finché
non manifesta la volontà di “dialogare”
con lui attraverso vari atteggiamenti,
come movimenti di masticazione, abbassamento della testa verso il terreno, orecchie portate leggermente di
lato e rivolte verso l’addestratore, gambe anteriori divaricate, ecc. La successiva fase di avvicinamento consiste
nel permettere al cavallo di avvicinarsi all’uomo al centro del tondino e di
annusarlo. In seguito si ha il contatto
tramite carezze da parte dell’addestratore, prima sulla testa, poi su collo, torace e infine posteriore. L’ultima
fase si ha quando il cavallo palesa la
volontà di stare vicino all’uomo, e lo segue quando questi cammina. Tale fase
indica che l’animale riconosce l’uomo
come capobranco ed è disposto a collaborare con lui.
Durante i vari stadi, se il cavallo si distrae o rifiuta di relazionarsi, l’addestratore lo allontana e lo induce di nuovo a
correre lungo il perimetro del tondino
ponendolo in una situazione di disagio,
finché non mostra di essere disposto a
collaborare. Con la doma dolce, quindi,
si porta il cavallo a obbedire all’uomo
attraverso l’acquisizione di una fiducia
che andrà man mano crescendo, assieme alla consapevolezza che l’uomo
non rappresenta un pericolo o un predatore. Senza considerare che in questo modo il cavallo subisce uno stress
molto inferiore a quello della doma tradizionale, basata su premi e punizioni
a volte anche violente. In quest’ultima,
infatti, solitamente si procede con l’isolamento del cavallo dal branco. L’animale viene poi chiuso in un box in
modo che non possa fuggire, situazione che gli crea molta tensione e paura
perché non può mettere in atto la sua
risposta naturale, cioè la fuga. Le fasi
successive prevedono l’imposizione
progressiva dei finimenti, ai quali il cavallo si ribella ma che dovrà accettare
per forza di cose.
ECONOMIA E TERRITORIO
ginario della Maremma tosco-laziale, è il
tipico cavallo impiegato dai butteri per la
gestione del bestiame bovino allevato allo
stato brado. Recentemente ingentilito mediante l’incrocio con il purosangue inglese
per aumentarne la taglia e farne un animale da sella, ha in parte perso la sua tipica
rusticità. Robusto e resistente alla fatica e
alle condizioni climatiche avverse, è adatto, come cavallo da sella, ad adeguarsi alle
più svariate esigenze. Per la sua docilità
è molto apprezzato come compagno per
escursioni e passeggiate sia per adulti che
per bambini. È diffuso ormai non solo in
Maremma ma anche in pianura padana
ed è senza dubbio un cavallo che
ha bisogno di essere rilanciato,
Robusto, versatile e avendo grandissime potenzialità.
docile, il maremmano Merita di essere citato il cavallo
è tra le razze più avelignese, originario di Avelendiffuse in Italia go, in provincia di Bolzano. Tale
razza presenta caratteri straordinari di docilità, intelligenza e
capacità di apprendimento. Le caratteristiche di resistenza, robustezza, rusticità e
la capacità di produrre buona carne fanno
sì che possa essere definito a triplice attitudine: lavoro, turismo equestre e produzione di carne.
È invece originario degli Usa il cavallo
appaloosa. Resistente e duttile, viene im-
piegato nei rodei e negli spettacoli equestri, oltre a essere un eccellente cavallo da
turismo.
Abbiamo poi il cavallo murgese. Originario delle Murge (Puglia), ha origini arabe e berbere che risalgono ai tempi della
dominazione spagnola. Razza rustica, allevata spesso allo stato brado, è utilizzato
come cavallo da sella. Per la sua robustezza
e il suo carattere vivace ma docile, è attualmente utilizzato per il turismo equestre e
il tiro leggero.
Molto diffuso è il franches-montagnes, originario della Svizzera, la cui storia risale
alla fine dell’Ottocento. L’eccellente carattere dei franches-montagnes è sicuramente
la loro principale qualità, frutto di una rigorosa selezione.
Vicino a Scandiano (Re) la famiglia Ortalli ha avviato dalla fine degli anni ’60 il
più grande allevamento privato italiano
di questa razza. È una storia lunga e affascinante quella degli Ortalli: a metà degli
anni Sessanta, allora poco più che ventenne, Vittorio Ortalli decise di lasciar perdere le vacche da latte e i suini per percorrere
una via nuova. Alla ricerca, dunque, di una
valida alternativa economico-produttiva
per la sua azienda di media collina, con
terreni poveri ed argillosi, Ortalli prima
provò con l’allevamento di pecore da lat-
Cavallo di razza
maremmana
PARMA economica
49
ECONOMIA E TERRITORIO
te, ma capì subito che era una strada senza
prospettive. Allora pensò ai cavalli, anche
se l’inizio non fu affatto promettente: cominciò con una razza della zona, il massiccio tiro pesante rapido (Tpr), poi con
l’avelignese e il murgese, ma nessuno di
questi equini si adattava alle condizioni pedo-climatiche dell’appennino, con
pascoli poveri e grandi sbalzi termici tra
estate e inverno. L’imprenditore modenese
non si scoraggiò davanti alle prime difficoltà; riprese in mano i libri, si documentò
a destra e manca, viaggiò molto alla ricerca dell’idea giusta e alla fine, dopo tanto
penare, si imbatté nel franches-montagnes,
il cavallo che sembrò proprio fare al caso
suo: docile, frugale, massiccio, ottimo da
lavoro e al tempo stesso idoneo anche
per la sella. Con in più un requisito fondamentale: si adattava bene alla difficile
vita all’aria aperta nelle zone calanchive
dell’appennino emiliano, dalle caratteristiche per molti versi simili a quelle della sua
terra d’origine.
Da allora fu un crescendo. Oggi l’azienda
Ortalli vanta una mandria di alcune centinaia di franches-montagnes puri, tutti iscritti
al libro genealogico. Si fa pure vanto di aver
“piazzato” un suo cavallo presso lo “squadrone” dei Corazzieri del Quirinale.
Ci sono cavalli e persone che passano
nella nostra vita troppo velocemente.
Regalano uno sguardo, un’emozione che
agguantiamo al volo: una di queste me-
50 PARMA economica
teore capaci di regalare sorrisi ha il lustro
mantello baio di una puledra franchesmontagnes e il bel nome di Fleur de Lys: il
geometra Vittorio Ortalli la regalò a papa
Giovanni Paolo II nel 1988 in occasione
di una visita pastorale a Modena e sarà
difficile per chi era presente dimenticare
la gioia stupita di Karol Woityla, quando
per un attimo era sembrato tornare bambino ed esclamava: «Pensate, mi hanno
regalato un cavallo!».
Il bardigiano, prezioso per l’Appennino
Le prime notizie sulle origini del cavallo
bardigiano risalgono al 1864, con descrizione da fonte storica di una varietà di cavalli,
sufficientemente omogenea, che si estendeva dall’appennino dell’Emilia occidentale
sino alla Lunigiana. La popolazione era
fornita di qualità eccellenti per robustezza
e resistenza, testa leggera, orecchie corte,
folta criniera, zampe robuste e forti. Dalla
zona di origine, Bardi, in provincia di Parma, la razza prende il
Diffusione estesa
nome.
Questa antica razza equina deve e valorizzazione
il suo recupero allo sforzo com- economica sono
piuto dall’Associazione Provin- i primi obiettivi
ciale Allevatori (APA) di Parma,
dell’allevamento del
in collaborazione con le APA di
Piacenza, Genova, La Spezia e bardigiano
Massa Carrara, oltre che con le
comunità montane parmensi e piacentine,
per salvarlo dall’estinzione e dalla conta-
ECONOMIA E TERRITORIO
Una storia di coppia
Fra i molti animali domestici che
hanno affiancato l’uomo nella sua
evoluzione e nella storia, il cavallo ha
avuto indubbiamente il ruolo di protagonista. Inizialmente considerato
alimento, alla stregua di tutti gli animali predati, col tempo è divenuto il
principale strumento del progresso
dell’uomo. Possiamo dire con certezza che, senza il suo contributo, il
corso dell’evoluzione e della storia
umana sarebbe stato diverso. Come
per gli altri animali sottomessi, anche
sul cavallo l’intervento dell’uomo ha
influito in modo sostanziale sull’evoluzione delle razze, avvenuta seguendo anche in questo caso un concetto
prettamente utilitaristico. Pensiamo a
tutte le attività in cui il cavallo ha affiancato l’uomo: il lavoro nei campi, il
trasporto di persone e cose, la guerra
e la conquista, l’arte e la cultura. Per
non dimenticare che il cavallo viene,
ancora oggi, utilizzato come alimento.
Nei Paesi in via di sviluppo, tutto ciò
è ancora di attualità (tranne l’utilizzo
nelle guerre), mentre nei Paesi occidentali il cavallo ricopre oggi sostanzialmente una dimensione ecologica,
sportiva ed economica.
Guardando il comportamento naturale del cavallo, si percepisce che è un
animale dalle complesse e raffinate
capacità comunicative, per il quale le
relazioni sociali hanno una notevole importanza. Nel suo rapporto con
l’uomo, dimostra notevoli capacità di
adattamento: riesce infatti a stringere
forti relazioni con esso, a vivere confinato in spazi limitati e a lavorare in
minazione con altre razze. I cavalli bardigiani addestrati per l’utilizzo da sella sono
ancora, percentualmente, troppo pochi e
soprattutto ancora da affermare è la mentalità che vede nel bardigiano un ottimo
candidato per lo sport equestre. È inoltre necessario adeguare anche le strutture e la professionalità degli allevatori, per
selezionare e produrre animali di elevata
tipicità e di corretta conformazione o attitudine, per poterli vendere a un giusto
prezzo. Il tradizionale allevatore di bardigiani, generalmente non più in giovane
età, raramente svolge questa attività come
maniera molto intensa, dimostrando
una grande generosità e volontà di
collaborare. È un animale mite, docile
e stupisce davvero come si adatti ad
attività di tipo competitivo, lontanissime dalla sua natura. Se si desidera
avere con lui una relazione rispettosa,
è necessario riconoscere e comprendere le sue esigenze essenziali, senza le quali la sua qualità di vita non si
può considerare accettabile. Tali esigenze riguardano il cibo, che deve essere costituito prevalentemente non
da mangimi ma da foraggi freschi o
essiccati, cui il cavallo deve poter accedere liberamente. Un’altra esigenza
fondamentale è la socializzazione con
altri cavalli, con l’uomo o con altri animali. È impensabile tenere un cavallo
in solitudine. Ci sono varie patologie
comportamentali legate alla noia e allo
stress della vita in box, come la gastrite o problemi cutanei. Importantissime
sono l’igiene, la cura del corpo e dello
zoccolo e l’utilizzo di selle e finimenti
adatti al tipo di costituzione fisica. Il
cavallo ha una stupefacente capacità
di sopportare dolore, fatica, cambi di
ambiente e di relazione e per questo è
dovere dell’uomo essere responsabile
del suo benessere.
Questo animale rappresenta per molti
di noi energia, movimento, competitività nelle attività sportive, emozioni condivise. Ma cosa rappresentiamo noi
per lui? Il cavallo vive profonde emozioni, è sensibilissimo e quindi stressabile. Sta a noi trattarlo con rispetto,
al fine di garantirgli una condizione di
vita ragguardevole.
principale; normalmente l’allevamento del
cavallo avviene in aziende di piccole dimensioni nelle aree di montagna marginali
e più svantaggiate, interessate in questi ultimi anni da intensi processi di abbandono
dell’agricoltura, ed è spesso subordinato
ad altri tipi di allevamento e ad altre coltivazioni, altrimenti sarebbe antieconomico
in quanto l’attività tradizionale dell’impiego del bardigiano nel lavoro risulta ormai
scomparsa e la produzione di carne sempre
meno remunerativa.
Sono questi i presupposti alla base della più
recente azione degli enti preposti alla salva-
PARMA economica
51
ECONOMIA E TERRITORIO
guardia e allo sviluppo del cavallo, la quale,
attraverso un rinnovato impulso all’attività
di selezione e controllo e per mezzo di iniziative promozionali e di valorizzazione, intende incrementare lo spazio del bardigiano
all’interno del mercato dell’equitazione, per
creare nuove opportunità di reddito, per
promuovere il territorio e per favorire la
permanenza delle attività di allevamento
nelle zone montane dell’appennino.
Durante il primo weekend di agosto si
svolge, in località Lago Monti, a Bardi, la
mostra nazionale del cavallo di razza bardigiana. La manifestazione, che beneficia
del contributo finanziario del Ministero
per le Politiche Agricole, è organizzata per
far conoscere il livello selettivo raggiunto
dal cavallo bardigiano e promuovere la
sua diffusione e valorizzazione economica. I risultati si possono constatare in base
alle valutazioni morfologiche effettuate in
questa occasione da una giuria di esperti.
All’organizzazione collaborano il Comune
di Bardi, la Comunità Montana Valli Taro
e Ceno, la Camera di Commercio di Parma, la Regione Emilia-Romagna, la Provincia di Parma e le APA associate.
Un’altra rassegna del cavallo bardigiano si
tiene ogni anno in maggio nel comune di
Bedonia, sempre in provincia di Parma. Si
tratta di un appuntamento fisso per agricoltori e contadini, ma soprattutto per allevatori e appassionati di cavalli.
A questo punto non si può non menzionare un’altra fiera-mercato della provincia
parmigiana, anche se non riguarda esclusivamente i cavalli bardigiani. Si tratta della famosa fiera di Pianadetto, organizzata
ogni anno in settembre con la collaborazione di Comune di Monchio, Parco dei
Cento Laghi, Associazione Monte Navert,
e con il patrocinio di Provincia e Distretto
Turistico Parma Est. Per due giorni, Pianadetto viene trasformata nell’ombelico
del meraviglioso mondo equestre.
Akhal-teke, cavallo celeste
L’akhal-teke è una delle più belle e antiche razze equine del mondo e discende
direttamente dal cavallo turcomanno, oggi
estinto. È stata creata dalle tribu tekè che
vivevano nelle oasi del deserto del Turkmenistan, dove è un simbolo nazionale.
Allevato in zone molto aride, in condizioni di vita molto dure, l’akhal-teke risulta un
cavallo molto agile e resistente, ottimo per
varie discipline quali l’endurance, il trekking e il salto ad ostacoli. In occidente è
52 PARMA economica
apprezzato per la sua eleganza e per la tipicità del suo pelo il quale nei secoli ha assunto una particolare forma conica che gli
permette di riflettere i raggi solari in modo
spettacolare. Si dice che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno, fosse un akhalteke. Il più grande allevamento di cavalli di
razza akhal-teke in Italia, di proprietà della
famiglia Ferraguti, si trova sulle prime colline dall’appennino parmense, nel comune di Medesano. Il loro obiettivo è quello
di allevare cavalli da impiegare, anche in
Italia come nei suoi Paesi d’origine, negli
classici sport quali l’endurance, il completo
(una disciplina sportiva equestre olimpica,
ndr) e il salto ostacoli, cercando di mantenere il più possibile la tipicità che contraddistingue questa meravigliosa razza.
Webgrafia
www.cavalli.it
www.asetra.it
www.armoniabenessere.it
www.aromatario.it
www.agraria.org
www.tesionline.it
www.valcenoweb.it
www.carniequine.it
www.pubblicitaitalia.com
www.turismo.comune.parma.it
www.gazzettadiparma.it
ECONOMIA E società
Volontariato: lo sforzo
più grande è crederci
Complici la crisi del pubblico e l’indifferenza del mercato, il terzo settore
cresce, soprattutto nell’assistenza e nell’autorganizzazione. Anche a Parma,
da sempre terra di associazionismo e solidarietà
Orietta Piazza
S
e stiamo male chiamiamo la Pubblica Assistenza. Magari abbiamo
in casa un cane adottato, che viveva in un canile. Oppure nostro figlio va a
giocare a calcio con la squadra locale. O,
ancora, leggiamo un libro preso a prestito dalla biblioteca di quartiere. Ci sono
mille “servizi” che rendono la nostra vita
quotidiana più sicura, più piena socialmente o culturalmente, e ai quali magari
accediamo senza nemmeno riflettere più
di tanto su come e da chi sono stati organizzati e resi pubblicamente fruibili. Molti vengono dal mondo
Il volontariato colma del volontariato o del cosiddetto
lacune nei servizi “terzo settore”, una galassia di
che il pubblico non organizzazioni non sempre così
e strutturate, come la Croce
sempre può o vuole note
Rossa, la Pubblica Assistenza, o
gestire la Lega antivivisezione. Anzi, ve
ne sono di piccolissime e magari
inspiegabilmente efficienti nonostante la
scarsità di fondi, strutture e personale a
disposizione. A volte davvero il mondo
del volontariato opera piccoli “miracoli”,
andando a colmare lacune nei servizi che
il pubblico non sempre può e vuole gestire, a maggior ragione in tempi di spending review, quando la spesa pubblica è
falcidiata dalle logiche dei tagli imposte
dalle istituzioni europee. E si sa: le spese le fa il cittadino, che sempre più deve
“inventarsi” un modo per resistere e organizzarsi. Allora il volontariato esce anche
dai binari più “tradizionali”, come quelle
dell’assistenza a uomini e animali o della diffusione della cultura: e ci si inventa
le “banche del tempo”, o i gruppi di acquisto solidale, per fare fronte al sempre
maggiore carico di stress che consegue al
moltiplicarsi degli impegni lavorativi e
sociali.
Il volontariato al servizio dei
bambini
PARMA economica
53
ECONOMIA E società
Perché si fa volontariato
Non sempre il volontariato è mosso da
motivazioni esclusivamente altruistiche,
anzi esistono anche dinamiche di pro-
tagonismo personale che certo possono
danneggiare il servizio che si rende. Coloro che, a qualsiasi titolo, si avvicinano
al contesto del volontariato, molto proba-
Il progetto Tutti Dentro E LA GUIDA "PAGINE APERTE"
è stata presentata nel giugno 2012
Pagine Aperte, una guida al volontariato parmense realizzata dalla Provincia con Forum Solidarietà (il Consorzio delle Associazioni di volontariato
di Parma), dove hanno trovato posto
456 associazioni censite e operanti
sul territorio, con una platea di volontari che raggiunge quota 27mila, di
cui almeno la metà attivi. Una guida
al passo con i tempi, non di carta ma
su chiavetta usb (disponibile gratuitamente all’Assessorato provinciale alle
Politiche sociali o scaricabile dal sito
www.sociale.parma.it) e tradotta in
cinque lingue: oltre all’italiano, francese, inglese, rumeno e arabo.
«Dalla prima edizione di Pagine Aperte, vent’anni fa, sono cambiate molte
cose. Nel 1992 le associazioni erano
220, per circa 7mila volontari: il volontariato in questi vent’anni è cresciuto,
si è rafforzato, si è differenziato, ha
saputo moltiplicarsi andando a coprire
segmenti scoperti e intercettando bisogni», ha osservato alla presentazione
Arnaldo Conforti di Forum solidarietà,
rimarcando che «Pagine Aperte ha
una funzione strategica molto significativa: si rivolge soprattutto ai giovani,
che speriamo siano anche i volontari di
domani. Auspichiamo che molti giovani
decidano di diventare corresponsabili
del nostro territorio, perché questo è
veramente molto importante».
Lo scorso 2011 correva l’anno europeo del volontariato, e così il progetto
Tutti Dentro, promosso dalla Provincia nell’ambito del Fondo europeo per
l’integrazione di cittadini di Paesi terzi (FEI), è partito con lo scopo di far
incontrare le nuove generazioni con
quel mondo, coinvolgendo più di 2mila
giovani. In particolare, il progetto ha
avuto come protagonisti privilegiati i
giovani immigrati, per i quali l’associazionismo può costituire un ponte per il
radicamento nella nostra realtà.
Oltre a Pagine Aperte vi sono stati diverse iniziative e prodotti, realizzati in
collaborazione con le scuole e le asso-
54 PARMA economica
ciazioni di volontariato. Fra questi Giornate Aperte (dal 12 al 18 ottobre 2011),
in cui più di 1.000 studenti provenienti dagli istituti scolastici del territorio
hanno potuto ascoltare e intervistare i
testimoni di una cinquantina di associazioni di volontariato. Dal 23 aprile al
9 maggio si sono anche tenute le Gite
del volontariato: visite guidate dentro
25 associazioni, cui hanno partecipato
683 studenti di sei istituti superiori.
Il progetto Tutti Dentro ha poi coinvolto 2.000 allievi degli istituti secondari
di secondo grado di Parma e provincia. Un video dei momenti più significativi di Tutti Dentro è stato realizzato dalla classe IV B del Liceo Toschi,
seguita dal professor Michele Putorti.
Qualche curiosità dalla guida Pagine
Aperte.
• 401 sono le associazioni iscritte al
registro provinciale, per un totale di
circa 27.000 volontari, di cui si stima che gli attivi siano 13.500.
• Delle 401 associazioni, 359 sono
nate dopo il 1950, mentre 10 sono
quelle costituite prima del 1950.
Le due più “vecchie” sono nate
nel 1902: l’Assistenza Pubblica di
Parma e l’Acisjf - Protezione della
Giovane. La più recente è Donne di
qua e di là, iscritta al registro provinciale a maggio 2012 con l’obiettivo
sostenere e valorizzare i diversi saperi culturali e promuovere il ruolo
delle donne migranti come attrici di
comunicazione socio–culturale.
• 8 sono le associazioni fondate da
giovani under 30.
• 38 quelle fondate da stranieri: di
queste 17 sono iscritte al registro
provinciale con oltre 1.130 volontari;
toccano quota 22 le associazioni
di promozione sociale (Aps) fondate da stranieri iscritte al registro
provinciale con 1.900 volontari. Avis
Provinciale segnala una presenza
sul territorio di 694 donatori stranieri, di cui 322 donne, mentre i
tesserati stranieri Aido a Parma e
provincia sono il 10%.
ECONOMIA E società
Cane da soccorso in
esercitazione tra le macerie
bilmente stanno cercando una dimensione esistenziale alternativa a quella della
società contemporanea. Si può arrivare a
questi ambiti per cercare un “rimedio” a
risultati deludenti ottenuti nella propria
esistenza: non è infatti negabile che alcuni
tipi di volontariato presuppongano organizzazioni di tipo gerarchico quasi “militare” (con tanto di uniformi, gradi, ecc.)
che possono dare l’illusione ai militanti
di giocare un ruolo di prestigio e che si
distingua per carattere e capacità. Molto
spesso in questo tipo di organizzazioni,
che pure svolgono la propria opera in ambiti molto particolari che presuppongono
capacità specifiche, vengono affidati ai volontari compiti molto ripetitivi e c’è una
gestione dell’organizzazione di tipo molto
Il valore della gratuità
Luca Stanca, economista dell’università di Milano Bicocca, è autore di una ricerca il cui obiettivo di partenza è misurare quello che per definizione è incommensurabile: il valore della gratuità. E lo studio, basato su
indici di “life satisfaction” registrati nelle città di tutto
il mondo, ha degli esiti che fanno riflettere.
Ad esempio, a Milano e Roma, le prime due città d’Italia, le reti di amicizia, di volontariato e di relazioni
disinteressate sono più fragili che nel resto d’Italia. E
questo si traduce in un minore livello di soddisfazione
della popolazione, che è risultato più alto in città come
Isernia, Vibo Valentia e Ragusa, non certo nella top
ten italiana quanto a livello di reddito, sviluppo, servizi.
Ma si sa, il bisogno aguzza l’ingegno e così accade
che si tende a unirsi in reti volontarie per supplire a
quello che in loco non si trova: e, forse inaspettatamente, rispetto a un indice di soddisfazione medio,
risulta che la popolazione mondiale che ha un ruolo
nel terzo settore si sente più felice rispetto agli altri,
ottenendo un valore dell’indice che l’economista valuta in 1,17 punti. Più di quanto non accada a chi ottiene
un aumento salariale di 8mila euro l’anno, che ha un
punteggio di soddisfazione dell’1,15.
Se il valore cardine resta la salute, che quadruplica il
livello di soddisfazione della propria vita, un forte incentivo alla felicità è anche il matrimonio, a cui Stanca
attribuisce il valore di 3,67.
Al contrario, la disoccupazione segna un valore negativo dell’indice pari a –3,94, la voce più consistente
tra i fattori che creano infelicità. Certo, in momenti di
forte crisi come questo, quando nessuna certezza occupazionale né di reddito si profila all’orizzonte, viene
da chiedersi se questi valori possano ancora essere
quantificati in questo modo. Ma tant’è. E comunque il
ricercare occupazioni solidali e volontarie può certo
aiutare a percepire meno il vuoto e la disperazione.
Dentro il contenitore del volontariato, è la solidarietà
pura ciò che crea più soddisfazione (il valore dell’indice è 1,78), seguita dalle azioni nelle comunità religiose
(1,14). Molto più contenuta la soddisfazione di chi si
dedica alla politica (0,14): «Segno che quanto più l’attività è gratuita e meno strumentale, tanto più il suo
effetto è positivo», commenta Stanca.
Fonte: Redattore sociale.
PARMA economica
55
ECONOMIA E società
gerarchico. Nulla di male se l’organizzazione non punta su un fattore del genere
per reclutare i suoi volontari (e ce ne sono
diverse) creando ambiti chiusi e che poco
arricchiscono la società. Certamente c’è da
dire che risulta molto funzionale, a quei
poteri che governano il sistema e che detengono le leve economiche, dare un ruolo
sociale a organizzazioni e individui che
non hanno alcuna capacità o intenzione di
mettere in discussione chi sta nella “stanza
dei bottoni”: così è più facile emarginare e
controllare quegli individui che si sentono
fuori o delusi dal sistema e che potrebbero
alimentare il dissenso. D’altro canto, esiste
una tipologia di persone che non intendono “darsi una calmata”, ma vogliono, al
contrario, capire, affrontare direttamente
i problemi e cercare soluzioni nuove. Per
costoro, solo un’organizzazione aperta
all’esplorazione e all’aggressività insita
nei processi di cambiamento può fornire
gli strumenti, i programmi e gli spazi di
dibattito che canalizzino gli sforzi individuali verso un prodotto di autentica rilevanza sociale.
Per concludere questi pochi accenni alle
problematiche di tipo socio-relazionale
che stanno dietro alle scelte individuali è
utile sottolineare come, in ogni caso, senza
il volontariato la qualità della nostra vita
privata e sociale sarebbe davvero molto
sminuita. E questo vale soprattutto per
Parma e l’Emilia-Romagna, da sempre
terre di solidarietà fattiva e associazionismo spontaneo in tutti i settori: dalla
protezione civile1 all’ambito sanitario, da
quello culturale o della solidarietà a quelli
che soddisfano i bisogni più vari.
Ma prima di dare un’occhiata a questo
complesso e variegato universo cerchiamo
di capire cosa si intende per il cosiddetto “terzo settore”. Ci facciamo aiutare da
Wikipedia, l’enciclopedia libera, anch’essa
frutto di un lavoro volontario e condiviso.
Cos’è il terzo settore
Secondo Wikipedia, «il terzo settore è
quel complesso di istituzioni che all’interno del sistema economico si collocano tra
lo Stato e il mercato, ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro; sono cioè
soggetti organizzativi di natura privata,
ma volti alla produzione di beni e servizi
a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato,
organizzazioni non governative, ONLUS,
56 PARMA economica
ecc.)». L’espressione terzo settore è nata per differenziare questo Il terzo settore
macrocosmo dal primo (lo Stato)
identifica quei
che eroga beni e servizi pubblici,
e dal secondo (il mercato, o set- soggetti privati che
tore for profit) che produce beni producono beni o
privati destinati alla vendita per servizi di interesse
profitto. Azione volontaria, terzo
sistema, economia civile, terza pubblico, non a
dimensione, privato sociale, set- scopo di profitto
tore non profit sono le diverse denominazioni attribuite al terzo settore. In
Italia, almeno nel linguaggio istituzionale,
ha prevalso l’espressione “terzo settore”.
Non esiste una chiarezza totale riguardo
a quali organizzazioni o gruppi lo rappresentino: alcuni vi comprendono un po’
tutte le organizzazioni che offrono servizi che colmano le lacune dello Stato e del
mercato; altri, invece, ritengono che solo
le organizzazioni di privato sociale, come
le associazioni di volontariato, le associazioni di famiglie, le cooperative sociali, le
fondazioni, le banche etiche, ne siano reali
rappresentanti.
Si tratta, in ogni caso, di una realtà sociale,
1 Ne abbiamo parlato sul numero
economica e culturale in continua evolu3/2011 di questa rivista.
ECONOMIA E società
zione, piuttosto refrattaria, anche per sua
stessa natura spontaneistica, alle definizioni. L’Istat prova a fornire un quadro il più
possibile completo con il 9° Censimento
generale dell’industria e dei servizi, che nel
2012 è stato abbinato al Censimento delle
istituzioni non profit. La scelta di unificare le due indagini, se pure impegnativa
per le piccole organizzazioni, può d’altro
canto suonare come un riconoscimento
all’evidenza che il terzo settore fornisce
al benessere della società un contributo
non inferiore, anche se di natura diversa,
da quello di Stato e mercato. Infatti, non
a caso, se il volontariato è stato sempre
una realtà importante per i nostri territori, le ricerche basate sul concetto di terzo
settore si sviluppano soprattutto a partire dagli anni della “crisi del welfare” e in
Italia l’espressione si è diffusa verso la fine
degli anni Ottanta, attirando su di sé l’interesse degli studiosi che si occupano delle
organizzazioni non profit (Onp); tanto che
molti economisti ne hanno studiato e ne
Un emporio contro la povertà
Emporio solidale è un progetto per contrastare le
nuove povertà. L’idea nasce in seno a un gruppo di
associazioni di volontariato, in collaborazione con il
Centro di Servizi per il Volontariato in Parma - Forum
Solidarietà, ed esce dai confini locali per raggiungere
valenza regionale, ma è un’esperienza che si vive in
molte province italiane.
Perché
Emporio solidale ha come obiettivo primario il contrasto
delle povertà, vecchie e nuove, attraverso le competenze, gli strumenti e le sensibilità proprie del volontariato,
in sinergia con le realtà del pubblico e del privato. A
livello locale le associazioni di volontariato, che da anni
si occupano di povertà, si sono riunite per dar vita a un
coordinamento che ha prodotto un progetto operativo
originale, condiviso con la città, che trova consenso e
collaborazione a livello istituzionale e di privato sociale.
Anche un territorio attivo e industrializzato come quello
di Parma sta soffrendo il perdurare di una situazione
economica critica. Il Rapporto 2009 su povertà ed
esclusione sociale, a cura di Fondazione Zancan e
Caritas, mette in luce alcuni dati preoccupanti, come la
riduzione dei fondi pubblici a disposizione per il sostegno delle povertà assolute, o la richiesta di supporto,
anche dopo anni di presenza in Italia, da parte dei cittadini immigrati che sono colpiti dal drammatico aumento
di incidenza dell’usura, viste le loro difficoltà ad accedere ai finanziamenti del settore bancario. Dall’inizio della
crisi (ottobre 2008) sono andati persi migliaia di posti
di lavoro, in parte senza ammortizzatori sociali. Si tratta
di migliaia di potenziali concittadini in difficoltà che si
aggiungono a quelli già esistenti.
Gli attori
Dall’inizio del processo progettuale a oggi è stata costruita una rete a supporto del progetto che vede il
coinvolgimento di importanti soggetti del nostro territorio, che partecipano con ruoli differenti: Fondazione
Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su
Pegno di Busseto; Coop Consumatori Nordest; Provincia di Parma; Comune di Parma; Caritas parmense;
Forum Solidarietà - Centro Servizi al Volontariato nella provincia di Parma.
È stato anche aperto un dialogo con gli industriali e le
loro associazioni di categoria; con le rappresentanze
sindacali si è già avviata una collaborazione operativa
per l’individuazione delle persone e delle famiglie che
potrebbero fruire delle opportunità offerte dall’Emporio
e si sta lavorando in sinergia intorno ai temi della casa
e del lavoro.
Partner e supporto
Emporio conta, da luglio 2010, numerose collaborazioni con aziende molto note che garantiscono l’approvvigionamento (ad oggi) di circa 700 nuclei familiari
(quasi 2.500 persone), con un numero di richieste di
supporto pervenute di quasi il doppio. Ci sono difficoltà a garantire in quantità sufficienti alcuni generi
di prima necessità. Emporio lancia quindi un appello
alle aziende del settore food che vogliano diventare
fornitrici solidali. È sufficiente la disponibilità a donare i propri prodotti in eccedenza o non più destinabili
alla grande distribuzione perché in via di scadenza
o danneggiati nella confezione. Le donazioni di prodotti effettuate a favore di Emporio - CentoperUno
onlus godono di benefici fiscali. La cessione gratuita
di beni prodotti o commercializzati dall’impresa non è
considerata reddito (ed è esente anche da IVA). Tutti
i contatti e le modalità si trovano sul sito www.emporioparma.org.
Un appello alla città
Nel dicembre scorso il Progetto Emporio ha lanciato
un forte appello alla città, perché a Parma oltre 1.000
famiglie vivono il dramma della fame. E Parma ha risposto: nell’arco di soli quattro mesi, infatti, sono state raccolte oltre 26 tonnellate di generi alimentari di
prima necessità, a disposizione gratuita di famiglie e
persone in grave difficoltà economica. Ma la crisi continua per molte famiglie: altre 1.500 persone si sono
rivolte a Emporio e le domande aumentano al ritmo
di 15 alla settimana. Per questo i volontari di Centoperuno onlus (l’”associazione di associazioni” nata dalla
sinergia di 15 organizzazioni parmensi) rinnovano l’appello alla città affinché Emporio possa far fronte alla
crescente richiesta di aiuto.
PARMA economica
57
ECONOMIA E società
La nuova sede di Forum
Solidarietà.
Ciac, gli stranieri in scena
Ciac, ovvero Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale di
Parma e provincia, è un’associazione
che offre servizi ai cittadini stranieri.
Queste sono le pratiche per cui ci
si può rivolgere a Ciac: accoglienza,
regolarizzazione, permesso di soggiorno, ricongiungimento familiare,
compilazione modulistica per vari uffici pubblici, consulenza legale, mediazione. Una funzione preziosa e fondamentale, visto che è sempre più difficile per i cittadini stranieri, precari con
la casa e il lavoro, in difficoltà con la
lingua, orientarsi nei meandri della nostra burocrazia. Che per loro è, magari
anche volutamente, molto complessa.
Ciac è attivo da giugno 2000 ed è
stato promosso da: Associazione Immigrati Parma e Provincia (Aipp), Associazione di donne immigrate e italiane (Mwasi), Coordinamento pace e
solidarietà, Gruppo Volontariato Civile
(Gvc), Consorzio Italiano di Solidarietà
(Ics), Ufficio immigrati Cgil, Anolf-Cisl.
Aderisce all’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi).
Oggi Ciac supporta, avvalendosi di
uno staff di legali esperti in materia, 22 sportelli comunali rivolti agli
stranieri per l’orientamento, l’aiuto
58 PARMA economica
e l’informazione giuridica, aperti nei
Comuni di: Busseto, Collecchio, Felino, Fidenza, Fontanellato, Fontevivo,
Fornovo Taro, Langhirano, Lesignano
Bagni, Montechiarugolo, Noceto, Polesine Parmense, Roccabianca, Sala
Baganza, Salsomaggiore Terme, San
Secondo Parmense, Sissa, Soragna,
Tizzano Val Parma, Traversetolo, Trecasali, Zibello.
È poi ente gestore del progetto Terra d’asilo, cui partecipano 27 comuni
della Provincia di Parma, che rientra
nel sistema nazionale di protezione
per richiedenti asilo e rifugiati.
Ma il Ciac è anche un centro di documentazione sui temi dell’immigrazione,
asilo e cooperazione internazionale;
promuove inoltre attività di formazione
e aggiornamento professionale degli
operatori pubblici e privati del mondo
dell’immigrazione. Altra, fondamentale
funzione sono la promozione e il sostegno delle politiche per l’asilo e la
realizzazione di momenti di informazione giuridica rivolta agli immigrati.
Un’attenzione particolare è rivolta alle
problematiche del Sud del mondo,
tramite la solidarietà e la cooperazione internazionale, anche con la Provincia e Amnesty International.
ECONOMIA E società
studiano il ruolo all’interno del sistema di
welfare, soprattutto in termini di servizi
di cura e accudimento delle fasce deboli
della popolazione. Si analizzano inoltre le
fonti di finanziamento delle Onp e i flussi
economico-finanziari intercorrenti tra queste e gli enti pubbliOggi tutti ci. Per i dati sulla consistenza del
concordano: terzo settore nel nostro Paese, si
l’attuale legge sul confronti il riquadro Qualche
volontariato è datata numero sul terzo settore in Italia.
La legislazione italiana ha finoe va modificata ra disciplinato alcuni aspetti del
terzo settore ma non li ha definiti
unitariamente dal punto di vista giuridico. Studi recenti hanno evidenziato delle
caratteristiche comuni alle organizzazioni
che operano nel terzo settore: 1) assenza
di distribuzione di profitti, che è il criterio
principale di distinzione dal mondo delle
imprese, e presenza di una certa quota di
lavoro volontario; 2) natura giuridica privata (anche se alcune organizzazioni hanno ancora un forte controllo pubblico); 3)
atto di costituzione formale e base democratica (elezione delle cariche e partecipazione effettiva degli aderenti).
In effetti la legge-quadro non prevede al-
QUALCHE NUMERO SUL TERZO SETTORE IN ITALIA
Numero di associazioni
Il terzo settore in Italia, sulla base dei
dati Istat, conta oltre 235mila organizzazioni non profit, pari al 5,4% di
tutte le unità istituzionali.
Personale coinvolto
Circa 488mila lavoratori, pari al 2,5%
del totale degli addetti e di circa 4
milioni di volontari.
Entrate
Un recente studio effettuato dalla
fondazione Unicredit (Ricerca sul valore economico del Terzo Settore in
Italia) quantifica un volume di entrate
stimato di 67 miliardi di euro, corrispondente al 4,3% del Pil, in deciso
aumento rispetto ai dati Istat del 2001
- 38 miliardi di euro, il 3,3% del Pil.
Nelle organizzazioni di volontariato le
entrate provenienti dal settore pubblico rappresentano poco meno della metà di quelle complessive, nelle
associazioni di promozione sociale i
contributi pubblici si attestano attorno al 7%.
L’articolazione del settore e la difficoltà di reperire le informazioni rendono complesso il confronto di dati
provenienti da fonti e studi differenti: l’ultimo Censimento delle attività
economiche, che comprendeva anche il no profit, dovrebbe fornire dati
più precisi. L’osservatorio Unioncamere sul terzo settore – circoscritto
alle organizzazioni con addetti e limitato agli ambiti dell’educazione, ricreativo-culturale, sociale, sociosanita-
rio e sportivo – individua, a fine 2010,
circa 3.600 organizzazioni distribuite
in quasi 6.000 unità locali per un numero complessivo di addetti prossimo alle 52mila unità, di cui circa tre
quarti riconducibili a cooperative sociali. Dati più aggiornati sono disponibili per le cooperative sociali. A fine
2011 ne risultavano attive in regione
890 con un numero di dipendenti pari
a 37.537 unità. In questi anni di crisi
economica la cooperazione sociale
ha evidenziato una maggior tenuta rispetto al sistema produttivo e il
confronto con il 2010 lo conferma: le
cooperative sociali sono aumentate
del 3,4%, gli addetti del 4,5%. A crescere maggiormente le cooperative
di tipo A (comprendente quelle che
gestiscono servizi socioassistenziali,
sanitari ed educativi) e quelle di tipo
B (inserimento lavorativo delle persone svantaggiate).
Un’analisi effettuata sulle cooperative sociali di Brescia ha evidenziato
che per ogni soggetto svantaggiato
inserito la cooperativa produce un
valore (più correttamente, garantisce un risparmio) medio alla pubblica
amministrazione di 7.717 euro.
In Emilia-Romagna vi sono circa
2.700 lavoratori svantaggiati inseriti
nelle cooperative sociali, vale a dire
un risparmio per la Pubblica amministrazione regionale quantificabile in
oltre 20 milioni di euro.
Fonte: Rapporto 2012 sull’economia regionale (Unioncamere Emilia Romagna e
Regione)
PARMA economica
59
ECONOMIA E società
cun obbligo di registrazione per le organizzazioni di volontariato: la scelta viene
lasciata alla libera iniziativa di ognuna di
esse, purché ci siano i requisiti della volontarietà, dei fini solidaristici, della trasparenza con l’obbligo di formazione del
bilancio, dal quale devono risultare i beni,
i contributi o i lasciti ricevuti nonché le
modalità di approvazione dello stesso da
parte dell’assemblea degli aderenti. La forma giuridica assunta è indifferente, a patto
che tale forma sia rispettosa del limite di
compatibilità con lo scopo solidaristico.
La stessa legge, però, stabilisce che se
un’organizzazione vuole convenzionarsi
con lo Stato, le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici, e godere di tutti gli altri vantaggi
previsti, è necessario che si iscriva in un
apposito registro – il registro generale delle organizzazioni di volontariato – istituito e tenuto dalle regioni e dalle province
autonome.
La legge quadro sul volontariato, approvata dal Parlamento italiano nell’agosto del
1991 con la finalità di regolare i rapporti
tra le organizzazioni di volontariato e lo
Stato, è stata, per alcuni, una delle legislazioni più avanzate in Europa, ma non
per questo è stata esente da pesanti critiche: per esempio, avrebbe “ingabbiato” il
volontariato con pastoie burocratiche e
procedure senza senso. Su un fatto, comunque, da due anni a questa parte, tutti
concordano: la legge ha fatto il suo tempo
e va modificata.
È stato lo stesso mondo del volontariato
a porre la questione convocando appositi
convegni sull’argomento; il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali ha così
nominato una commissione mista, che ha
redatto una bozza di modifica della legge.
La realtà di Parma
Nel 1993 nasceva il Registro Regionale
delle Associazioni di Volontariato previsto dalla legge 266/1991. Successivamente, nel 1996, la Regione Emilia-Romagna
istituì anche il Registro Provinciale delle
Associazioni di Volontariato, per mappare
tutte le associazioni che operavano a livello locale (legge regionale 37/1996).
Il registro rimane uno strumento importante a tutela delle associazioni di volonKuminda, che si tiene ogni anno a Parma, è il primo
festival in Italia dedicato al cibo equo, critico e
sostenibile
60 PARMA economica
ECONOMIA E società
La nuova sede di Forum
Solidarietà
1 Cfr. sempre il numero 3/2011 di
questa rivista.
tariato, pur nel limite di essere solo un
“elenco” parziale rispetto al vasto panorama di organizzazioni con fini di solidarietà
e sostegno sociale. L’iscrizione al registro
per le organizzazioni significa anche che
si è compiuto un lavoro organizzativo per
rispettare i requisiti vigenti e rendersi più
trasparenti e magari efficienti; in altre parole, l’iscrizione al registro provinciale può
essere intesa come il «riconoscimento di
un marchio di qualità o di responsabilità
sociale dell’associazione» da parte della
pubblica amministrazione (sono parole
della Provincia stessa scritte sulle Pagine aperte 2012); un riconoscimento importante e di garanzia nei confronti della
società civile, visto il ruolo irrinunciabile
che il volontariato è chiamato ad assumere a supporto delle istituzioni, sempre
più a corto, come già si diceva, di mezzi
economici e strumenti per fornire i servizi
alla comunità. Bisogna infatti considerare
che non sempre il pubblico può avere a disposizione quel patrimonio di conoscenze
specifiche e di attrezzatura e motivazione
che il volontariato riesce a mettere in campo in molti settori, dalla ricerca alla protezione civile all’accoglienza e sostegno
sociale in situazioni complesse e delicate,
come quelle che si vanno creando in seno
a una società sempre più fragile e multietnica.
A conferma di questo ruolo così delicato
e sempre più importante possiamo sottolineare come in Emilia-Romagna la legge
che disciplina i rapporti fra le istituzioni
pubbliche e le organizzazioni (legge re-
gionale 12 del febbraio 2005), riconosce al
volontariato nel nuovo sistema integrato
dei servizi un ruolo proprio nella capacità
di auto-organizzazione della società civile, improntato alla piena applicazione del
principio di sussidiarietà.
Ma tornando alla nostra provincia, che
quadro fotografa il Registro Provinciale
delle Associazioni di Volontariato, gestito
dal 2007 dalla Provincia? Al 31 dicembre
2011 erano state iscritte 457 associazioni
e ne sono state poi cancellate 56, per un
totale attuale di 401. Dalla tabella 1 si evidenzia un andamento in crescita nei diversi anni, con una stabilizzazione nell’ultimo triennio. L’elevato aumento registrato
negli anni 2005 e 2007 è dovuto in parte
al trasferimento del registro dalla Regione
Emilia–Romagna alle province. Importante evidenziare l’alto numero di cancellazioni nel 2010 e nel 2011, avvenute a seguito della revisione del registro attuato in
occasione del censimento Istat/revisione
2008, e il costante trend all’aumento delle
iscrizioni.
Le associazioni iscritte operano per la grande maggioranza negli ambiti delle attività
socioassistenziali (140) e sanitarie (143):
segue la protezione civile, con 37 associazioni iscritte, formate a loro volta da molti
gruppi operanti in svariate specializzazioni1 e le attività di tutela e valorizzazione
dei diritti con 29; immediatamente dietro
la tutela e valorizzazione del patrimonio
ambientale; poi, in numero di qualche unità ciascuno, gli ambiti di attività culturali e
di tutela e valorizzazione dei beni culturali,
PARMA economica
61
ECONOMIA E società
centri di servizio e organi di coordinamento, le attività educative e, infine, quelle di
profilassi e prevenzione veterinaria.
L’associazionismo volontario è una realtà
presente un po’ in tutta la provincia, anche
se ovviamente in percentuale maggiore in
città: il 57,35% delle realtà (230) sono attive nel distretto di Parma; il 20,95% (84)
in quello di Fidenza; segue, con percentuali più basse, la zona montana dove 53
associazioni operano nel distretto Sud-Est
e 34 nel distretto Valli Taro-Ceno. Sono
comunque presenze importanti, che testimoniano come anche le nostre vallate
montane registrano presenze di
impegno sociale importanti e L’associazionismo
diffuse.
volontario è una
Rispetto alla situazione regionale, possiamo dire che nella banca realtà presente in
dati del portale “Emilia-Roma- tutta la provincia,
gna Sociale” risultavano iscritte, incluso l’Appennino
all’1 marzo 2012, 2.923 associazioni di volontariato sia regionali che provinciali, così suddivise: 608 a Bologna (20,8%), 401 a Parma
(13,72%), 368 a Modena (12,59%), 316
a Forlì-Cesena (10,81%), 272 a Ravenna
(9,31%), 273 a Reggio-Emilia (9,34%),
Volontariato è anche
l'impegno con le Ong che
operano nelle zone di
conflitto ricordo di Vittorio
Arrigoni
62 PARMA economica
ECONOMIA E società
257 a Ferrara (8,79%), 231 a Piacenza
(7,9%), 197 a Rimini (6,74%). Rapportando questo dato al numero abitanti di
ogni provincia si evidenzia come la provincia di Parma risulta essere seconda in
Regione per numero di Associazioni di
Volontariato iscritte nel registro, con una
percentuale a livello regionale del 13,72%.
La provincia di Parma inoltre si conferma
come il territorio con il maggior numero
di associazioni in relazione al numero di
abitanti.
Parlare, anche solo in sintesi, del complesso e articolato universo di attività di queste
nostre preziose realtà, parallele al sistema
della pubblica amministrazione e delle imprese che rendono particolarmente attiva e
socialmente inclusiva la provincia di Parma, è difficile. Scorrendo le pagine aperte
della guida si leggono nomi affascinanti,
come Sulle ali delle menti o Timbuctu
cani e dintorni. C’è chi si occupa di disagio, chi di tutela di animali, domestici e
non, ma c’è anche l’archeoclub o l’unione
somala di Parma. Ogni realtà è rappresentata davvero, a ogni bisogno si cerca
di dare una risposta. Quello che possiamo
fare in questo spazio è tratteggiare alcune
esperienze originali e significative (cfr. anche i riquadri in questo articolo).
Vogliamo concludere dedicando il giusto
spazio a quella struttura che coordina e
sostiene l’attività di questo arcipelago di
attività volontarie: il Forum Solidarietà,
un’associazione di associazioni di volontariato, costituita da circa 100 realtà di
Parma e provincia. Ha esclusivi fini di solidarietà ed è priva di scopo di lucro; l’attività inizia nel febbraio del 1994, mentre
è del gennaio del 1997 l’idea di iniziare a
gestire il Centro di Servizi per il volontariato per la provincia di Parma. Una storia
nata dal basso: Forum Solidarietà nasce
con un censimento delle associazioni di
solidarietà del territorio. La ricerca, condotta da volontari obiettori di coscienza
in congedo, inizia nel 1990 e si conclude
nel giugno del 1992 con la pubblicazione
di Pagine Aperte, che raccoglie i profili di
200 gruppi. Nell’aprile del 1993 si svolge
Giornate Aperte, la prima mostra-convegno del volontariato parmense, della durata di tre giorni, con la partecipazione di
90 associazioni: un’occasione che rende il
volontariato protagonista di dibattiti, tavole rotonde, spettacoli e animazione per
un intero mese. È del febbraio del 1994
il progetto Forum, che prevede la nascita
di un organismo di collegamento per favorire il dialogo tra le associazioni locali,
per rispondere alla loro richiesta di servizi
e strumenti operativi. E così, già nel primo anno nasce Forum Notizie, il mensile
inviato alle associazioni per informare su
normative, iniziative e servizi. Poi vengono aperti sportelli di consulenza giuridica
e fiscale e si avvia il settore formazione.
Si organizzano giornate di studio. Come
coronamento di quest’intensa attività,
nell’aprile del 1995 l’assemblea provinciale delle associazioni delibera la costituzione dell’Associazione Forum Solidarietà,
ispirandosi ai principi della legge 266 del
1991 e alla normativa regionale (legge 26
del 1993).
Oggi, Forum Solidarietà si riconosce pienamente nella carta dei valori del volontariato e opera in stretta collaborazione
con le organizzazioni di volontariato (oltre 100, in svariati settori: sanitario, disagio sociale, accoglienza, ecc.) con le quali
definisce programmi e progetti. Lavora
in rete e favorisce la nascita di reti tra le
organizzazioni di volontariato e altre realtà pubbliche e private. Altra, importante funzione del Forum è quella di fornire
servizi professionalmente qualificati e fruibili da parte di ogni organizzazione di volontariato. È un coordinamento presente
in tutta la provincia: la sede principale è
a Parma, ma ci sono sportelli periferici a
Borgo Val di Taro, Fidenza e Traversetolo.
Il senso di quest’esperienza ce lo restituisce il presidente Fabio Fabbro, che ci parla
anche di cosa ci si può aspettare dal futuro: «Di fronte a una società sempre più in
crisi, il nostro sistema economico e sociale
scricchiola e mostra una grande fragilità.
Il volontariato si trova ad accogliere e sostenere un carico di sofferenze sempre più
grande. La sfida è quella di dare sì risposte
pertinenti a bisogni anche nuovi e sempre
più urgenti, ma anche quella di moltiplicare la ricchezza che sta nelle relazioni, accrescendo il capitale sociale. Il volontariato deve testimoniare in modo concreto la
cultura del dono e della gratuità, infondere
speranza e costruire fiducia e attenzione al
prossimo, a partire dal più debole».
Webgrafia
www.volontariato.org
www.sociale.parma.it
www.forumsolidarieta.it
PARMA economica
63
Unifidi opera sul territorio attraverso le proprie Filiali, una in ogni provincia della
regione.
La Filiale di Parma è ubicata presso la Camera di Commercio in Via Verdi, 2
Per la diffusione dei propri prodotti, Unifidi si avvale di una rete
promozionale di vendita rappresentata dalle Agenzie in attività
finanziaria
Le Agenzie, valutate le esigenze
finanziare dell’impresa, raccolgono ed istruiscono le pratiche
di richiesta di garanzia per conto di Unifidi.
Le Agenzie operanti in provincia
di Parma sono le seguenti:
Confartigianato APLA
Servizi Finanziari
Viale Mentana, 139/A – Parma
Tel. 0521 219277, 0521 219289
GIA
Strada Al Ponte Caprazucca, 6/A – Parma
Tel. 0521 226469, 0521 226473
Prefina
Via Spezia, 75 – Parma
Tel. 0521 227244, 0521 227292, 0521 227283
ECONOMIA E società
Project financing: come
investire in tempo di crisi
Un convegno presso la CCIAA ha sviluppato il tema del partenariato
pubblico-privato, in provincia di Parma ma non solo, mettendo in luce
opportunità e prospettive di sviluppo e raccontando alcuni casi del territorio
Tommaso Meli
Il convegno di Parma
Il 25 settembre 2012 si è tenuto a Parma, presso la Camera di Commercio, un
seminario dal titolo Il project financing e il
partenariato pubblico-privato (PPP) nella
Provincia di Parma, con la finalità di focalizzare le prospettive di sviluppo dello
strumento e analizzare i progetti che si
sono realizzati nel territorio parmense e in
Emilia-Romagna.
I relatori hanno presentato temi di grande interesse per un confronto tra istituzioni e soggetti privati, perché la finanza
di progetto è in grado di muovere capitali
ingenti e quindi di sostenere l’economia.
Riprendiamo i temi fondamentali degli
interventi per alcuni spunti di approfondimento e riflessioni.
Nella relazione di Lorenzo Bellicini, direttore del Centro ricerche economiche e
sociali e di mercato per l’edilizia e il territorio (Cresme), l’Emilia-Romagna appare attiva nell’utilizzo di forme di PPP,
guadagnando il quarto posto per il periodo gennaio-agosto 2012 con 158 gare
66 PARMA economica
bandite, restando in vetta alla
classifica anche delle gare aggiudicate, nello stesso periodo, con
il dato di 45.
A Parma le aggiudicazioni censite sono cinque, con gare bandite
per oltre 15 milioni di euro; questo rende l’idea di come lo strumento possa creare opportunità
di lavoro.
Nel periodo gennaioagosto 2012 l’EmiliaRomagna era al
quarto posto per
gare bandite (158)
La finanza di progetto: caratteristiche e
presupposti di sostenibilità
Ma cos’è il project financing? Per i non addetti ai lavori è bene illustrarne, con parole
semplici, le caratteristiche, perché è uno
strumento che, normalmente, non è conosciuto. È un modello giuridico a struttura
complessa, che consente di finanziare e
realizzare opere senza oneri per la pubblica amministrazione. Particolarmente utile
in situazioni di carenza di fondi pubblici,
criticità infrastrutturali e congiunture economiche negative, è un’operazione economica e finanziaria che consente, attraverso
ECONOMIA E società
il partenariato pubblico-privato, di realizzare un investimento pubblico senza gravare di spese dirette sui bilanci degli enti.
Il privato, infatti, si impegna sul fronte
del finanziamento e della realizzazione
delle opere, contando sugli utili derivanti dall’attività economica che l’opera farà
realizzare. Vengono così soddisfatti due
presupposti: l’utilità pubblica dell’opera
per la comunità amministrata dall’ente e
l’interesse economico del privato.
La materia è regolata dalla legge che, al fine
di promuovere l’utilizzo del project financing, ha previsto nell’ambito del Comitato
interministeriale per la programmazione
economica (Cipe) l’istituzione dell’Unità
tecnica finanza di progetto (Utfp). Si tratta di un organo di tipo tecnico, investito
del compito di promuovere, all’interno
delle pubbliche amministrazioni, l’utilizzo
di tecniche di finanziamento di infrastrutture con ricorso a capitali privati. Nel convegno del 25 settembre è intervenuta in
proposito un’autorevole relatrice, Giuliana
Bo, che ha illustrato il ruolo dell’Utfp quale struttura in ambito Cipe (dipartimento
per la programmazione e il coordinamento
della politica economica) e la sua missione
di accompagnamento della pubblica amministrazione in percorsi di realizzazione
efficace di investimenti, dalla fase della
programmazione a quella di gara.
Un aspetto non trascurabile è la sostenibilità del progetto dal punto di vista delle
aspettative, sia pubbliche che private. L’opera deve, una volta finanziata e realizzata, produrre utilità sociale ed economica,
quindi occorre prevedere flussi di entrata
attraverso ipotesi tariffarie e di oneri per
l’utenza. Per questo, come emerso durante
il convegno, le opere che sono comprese in
queste ipotesi o che sono già state realizzate
riguardano principalmente impianti sportivi, parcheggi, teatri, cinema, cimiteri, erogazione di energia alternativa. Tutte infrastrutture che possono assicurare un ritorno
economico proveniente dall’utenza.
Anche nel campo dell’energia sostenibile
Capitali privati in soccorso del pubblico
Per Andrea Baghi, vicepresidente di ANCE Parma, il punto di forza primario del project financing è
la capacità di raccogliere risorse destinate a realizzare opere per la collettività. Ecco il punto di vista
dei costruttori edili.
A cura di Andrea Della Valentina
Tradizionalmente il project financing è stato applicato proprio nel
settore delle costruzioni, più che
in altri: quali sono secondo lei i
punti di forza di questo strumento
e quali invece i limiti?
Il principale punto di forza dello strumento del project financing è
proprio il coinvolgimento del capitale privato nella realizzazione di
opere pubbliche: laddove mancano
le risorse pubbliche il coinvolgimento del privato è fondamentale
per mantenere un livello accettabile
di infrastrutturazione del Paese.
I limiti sono quelli tipici del “sistema Italia”: la farraginosità della normativa; i tempi lunghi di esecuzione
delle procedure concorsuali; l’incompetenza diffusa nell’applicare
tale strumento normativo.
Com’è la situazione attuale in ma-
teria, vista la congiuntura sfavorevole, e quali invece le prospettive
nel breve, medio e lungo periodo?
Attualmente la crisi finanziaria che
ha colpito l’area euro, e l’Italia in
particolare, ha messo in grave difficoltà gli istituti di credito costringendoli, anche in applicazione delle
regole di Basilea 3, a “faticose” ricapitalizzazioni: questo ha determinato pressoché un blocco delle procedure di project financing, sostanzialmente per l’impossibilità degli stessi
istituti a pianificare la provvista economica per lunghi periodi di tempo.
Di fatto nel breve e medio periodo non si intravvedono soluzioni a
tale blocco: nel lungo periodo (oltre
i 5 anni) può essere che il sistema
finanziario europeo, insieme all’Unione Europea e alla Banca Centrale Europea, trovino le modalità
operative per tornare a finanziare
le opere pubbliche tramite lo strumento del project financing.
Può raccontare e descrivere brevemente qualche caso concreto
particolarmente significativo che
ha interessato/sta interessando la
provincia di Parma?
Ad esempio la riqualificazione di
piazza Ghiaia a Parma è un caso
concreto - nella fattispecie si tratta
di una concessione di costruzione
e gestione. Un intervento del valore di 30 milioni di euro, finanziato
solamente per il 10% dall’amministrazione comunale. Tengo tuttavia
a precisare che la gara pubblica è
del 2006 mentre i lavori, per vicissitudini varie, sono stati ultimati nel
2012. Non sono invece a conoscenza di iniziative attivate dopo la crisi
finanziaria che ha colpito l’Italia a
partire da luglio 2011.
PARMA economica
67
ECONOMIA E società
si stanno realizzando partenariati pubblico-privato, come è emerso nell’intervento
dell’assessore provinciale Giancarlo Castellani, che ha presentato il progetto della
Provincia “Fotovoltaico Insieme”, nel cui
ambito si prevede, quale corrispettivo per
l’attività di realizzazione e di gestione, che
i comuni cedano al concessionario, per i
20 anni di gestione, il credito derivante dal
Conto Energia e i proventi della vendita
dell’energia prodotta sul libero mercato.
Non a caso sono ritenute meno fattibili in
PPP opere nel settore della cultura o del
sociale, ove le entrate spesso non coprono
i costi della gestione.
L’intervento di Giuliana Bo ha ben rappresentato i due aspetti imprescindibili della
convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, intendendo per il primo la
capacità di creare valore e di generare un
livello di redditività del capitale investito,
e per il secondo la capacità di creare flussi
monetari sufficienti a garantire il rimborso
dei finanziamenti e la remunerazione degli
investitori privati.
Scopo e opportunità di sviluppo
In questi anni gli enti locali hanno dovuto
fare i conti con i rigidi vincoli del Patto
di stabilità interno, che obbligano a perseguire saldi finanziari (in estrema sintesi,
differenza tra entrate e uscite) pre-definiti,
rispetto ai quali le spese per investimenti incidono negativamente. La principale finalità di queste regole è la riduzione
complessiva del debito pubblico nazionale,
inducendo quindi la pubblica amministrazione a una drastica riduzione del ricorso
a mutui e a utilizzare le proprie entrate
esclusivamente per erogare servizi pubblici indispensabili o per autofinanziare
infrastrutture (ipotesi, questa, di difficile
realizzo, date le scarse risorse comunali).
L’economia italiana ha fortemente risentito di questo blocco totale di progettualità,
con una crisi avvertita soprattutto nell’edilizia. Anche i vincoli del Patto di stabilità hanno drammaticamente influito sulla
liquidità delle imprese, con un mancato
ciclo di flussi monetari e ritardi nei pagamenti, causando la violazione delle regole
europee in materia di termini di pagamento. Il project financing può costituire una
via d’uscita da questa palude economica,
con la cautela che ogni strumento finanziario deve indurre a utilizzare.
Gli attori
68 PARMA economica
Una volta terminata, l’opera
deve produrre utilità sociale
ed economica
ECONOMIA E società
Le iniziative della Provincia di Parma
Il progetto “Fotovoltaico insieme” sostiene i Comuni nel realizzare impianti a energia solare di
proprietà pubblica con ricorso a capitali privati
Andrea Della Valentina
Al convegno dello scorso 25 settembre è intervenuto anche Giancarlo Castellani, assessore all’Ambiente, Energie alternative e Società
partecipate della Provincia di Parma, che ha presentato le iniziative
provinciali per la realizzazione di
opere in partenariato pubblico-privato. In particolare, la case history al
centro dell’intervento è stata quella
del progetto “Fotovoltaico insieme”,
nato per sostenere i comuni nella realizzazione di impianti fotovoltaici
di proprietà pubblica con ricorso a
capitali privati e mediante selezione
pubblica del promotore finanziario.
L’iniziativa, sorta in seno alla giunta
provinciale, ha previsto la stipula di
un’apposita convenzione tra Provincia
di Parma e i comuni interessati, con
la possibilità per questi ultimi, ai sensi
del Codice Appalti, di avvalersi delle
competenze tecniche del servizio Ambiente, Parchi, Sicurezza e Protezione
Civile della Provincia di Parma per la
progettazione, la direzione dei lavori e
lo svolgimento delle fasi d’appalto.
La Provincia ha curato, con personale interno specializzato, la redazione dei progetti definitivi delle
opere, il rilascio dell’autorizzazione,
la predisposizione delle pratiche di
connessione alla rete elettrica, le
procedure di gara, l’aggiudicazione provvisoria, la direzione lavori
e il collaudo finale. Hanno aderito
all’iniziativa i comuni di Bore, Busseto, Colorno, Fidenza, Fontanellato, Medesano, Mezzani, Noceto,
Pellegrino Parmense, Polesine Parmense, Roccabianca, Sala Baganza,
Salsomaggiore Terme, San Secondo, Sissa, Solignano, Sorbolo, Terenzo, Trecasali, Valmozzola, Varsi
e Zibello, oltre alla società pubblica
Emiliambiente. Finora sono stati
realizzati 21 impianti, per una potenza complessiva installata di circa
21 MW e un investimento di oltre
60 milioni di euro. Tutti gli impian-
ti sono connessi alla rete e ammessi
all’incentivo del Gestore dei Servizi
Energetici (GSE), tranne uno che è
in via di ultimazione.
Le modalità di realizzazione
Gli impianti sono stati realizzati
attraverso bandi di concessione di
costruzione e gestione con progettazione esecutiva e ricorso a capitali privati. Sin dalla realizzazione,
gli impianti sono di proprietà dei
comuni. Tutti gli oneri relativi alla
realizzazione e alla gestione dell’impianto sono a carico del concessionario, che si è assunto anche il rischio
di impresa relativo alla mancata
ultimazione degli impianti nei termini previsti dal cronoprogramma
approvato. I bandi prevedevano un
doppio criterio di valutazione delle
offerte presentate: una valutazione
economica dell’importo annuale offerto ai comuni, e una valutazione
tecnica delle migliorie apportate in
fase di redazione del progetto esecutivo presentato in gara. Nel primo
caso si è proceduto a valutare l’offerta in rialzo rispetto a un valore iniziale posto a base di gara e indicato
nel piano finanziario dell’opera (tale
importo sarà corrisposto ai comuni
per la durata ventennale di gestione
dell’opera pubblica). La valutazione
tecnica delle migliorie apportate ha
considerato l’aumento della potenzialità dell’impianto o diminuzione
della superficie occupata, la qualità
dei componenti forniti e le proposte
migliorative.
Quale corrispettivo per l’attività di
realizzazione e di gestione i comuni
cedono al concessionario, per i 20
anni di gestione, il credito derivante
dal Conto Energia, nonché i proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta sul libero mercato.
Al termine del periodo di gestione i
Comuni potranno decidere se proseguire nella gestione dell’impianto,
rinnovando il contratto al concessionario; se proseguire autonomamente nella gestione dell’impianto;
oppure se dismettere definitivamente l’impianto, con oneri di ripristino
a carico del concessionario.
Infine, dal punto di vista dei benefici ambientali la realizzazione degli
impianti fotovoltaici pubblici consentirà una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 10.200 tonnellate
l’anno per i prossimi 20 anni. Consentirà, inoltre, di risparmiare ogni
anno circa 4.516 tonnellate equivalenti di petrolio (TEP), 9,5 t di SO2,
10 t di NOx e 483 kg di polveri.
PARMA economica
69
ECONOMIA E società
La finanza di progetto prevede una collaborazione fra diversi attori abbastanza
complicata, che fa prevedere una struttura
giuridica multi-contrattuale a cui partecipano di norma il promotore, l’ente titolare
del progetto, il privato che ha interesse al
ritorno economico, il finanziatore, la società di progetto. Per questa stratificazione
di soggetti è necessario curare particolarmente l’aspetto contrattualistico e le forme di tutela.
I cittadini sono pure attori del progetto,
anche se non titolari di rapporti contrattuali: sono nello stesso tempo portatori di
interesse e finanziatori finali del progetto.
Occorre quindi prevedere una costante
rendicontazione sociale dell’investimento in tutte le fasi, dalla programmazione
all’iter, dall’avanzamento alla gestione del
bene e dei servizi pubblici correlati. La
trasparenza nei flussi e nel rapporto costobenefici è fondamentale, perché il ruolo
del contributo pubblico dell’utente è essenziale e imprescindibile.
Coloro che hanno approcciato o guardato da vicino questo sistema sono molto
prudenti nel giudizio, perché molte sono
le variabili da considerare per giudicare
la validità progettuale: interesse pubblico
e sociale dell’opera, salvaguardia del ruolo dell’ente locale, affidabilità dei privati,
70 PARMA economica
sponsor e imprese coinvolti, equo rapporto
tra “futuri guadagni” dei finanziatori e “future contribuzioni” dell’utenza.
I reciproci vantaggi e rischi
L’ente che promuove il progetto ha il vantaggio già citato di programmare
l’investimento di un’opera pub- L’ente che promuove
blica senza gravare il proprio bilancio di oneri e di flussi finan- il progetto non grava
ziari. Si può avvalere di un per- il proprio bilancio
corso condiviso con altri soggetti di oneri e flussi
per sostenere nello stesso tempo
finanziari
l’economia del proprio territorio,
la qualità dei servizi rivolti ai cittadini e anche migliorare il loro benessere
sociale.
Fondamentale il collegamento tra l’opera
e la sua funzione. Un’opera pubblica destinata a servizi sociali, con utenza a reddito
tale da non garantire i costi dell’opera e la
sua gestione remunerativa, non può essere considerata appetibile per il modello di
project financing. Di contro, tutti gli investimenti che verranno utilizzati per servizi
che consentono di svolgere un’attività imprenditoriale, con costi e ricavi e ipotesi
di “guadagno nella gestione”, diventano
interessanti per questo modello di realizzazione e di partenariato.
Poiché i flussi di cassa non transitano dal
ECONOMIA E società
Un’opportunità per tutti
Il project financing può portare vantaggi alla PA, agli investitori e ai cittadini. Intervista a Luca
Clarizia, responsabile dell’ufficio Origination e Sindacazione di Cariparma Crédit Agricole
A cura di Andrea Della Valentina
Dal vostro punto di vista quali sono gli elementi di forza del
project financing e quali invece i
limiti?
Il project financing rappresenta un’opportunità che avvantaggia molteplici
soggetti: la pubblica amministrazione perché consente di incrementare,
a parità di risorse pubbliche impiegate, la capacità di dotare il Paese di
nuove e più efficienti infrastrutture;
il settore privato in quanto può svolgere la propria attività imprenditoriale potendo preordinare una giusta
remunerazione del capitale investito;
gli utenti perché possono godere di
servizi efficienti senza che ciò determini un aggravio fiscale.
Il principale limite del project financing risiede probabilmente nella
complessità intrinseca di tali operazioni e nei costi elevati in termini di
tempo e risorse finanziarie da sostenere già nelle fasi preliminari di implementazione dei progetti. I costi
di consulenze tecniche, finanziarie e
fiscali possono risultare spesso difficilmente sostenibili per i progetti
più piccoli.
Una recente indagine ha rivelato
che in Italia su 100 bandi pubblicati
da enti pubblici per realizzare opere in partenariato con i privati 66
vengono aggiudicate; 38 arrivano
ai lavori; 25, infine, li concludono e
avviano la gestione privata dell’opera. In pratica il 75% delle iniziative
si perde per strada. Quali sono a suo
avviso le cause?
La selezione è figlia sia della complessità intrinseca del project financing sia della non corrispondenza, a
volte, tra le proposte degli enti pubblici e le esigenze dei privati - sponsor e finanziatori.
In altri termini quali caratteristiche devono avere le operazioni e i
progetti per attrarre l’interesse degli investitori? A quali condizioni
è possibile oggi per un investitore
allocare fondi su un investimento
infrastrutturale?
La giusta ripartizione dei rischi/opportunità tra pubblica amministrazione, sponsor privati e finanziatori
è un ottimo punto di partenza. La
scelta di sponsor adeguati è fondamentale. Per applicare le tecniche
del project financing è necessario che
la componente gestionale del progetto sia preponderante e che i flussi di ricavi siano facilmente prevedibili. Su queste basi, ad oggi è stato
più agevole finanziare opere quali
parcheggi, strade, asili, i cui flussi di
ricavi sono (relativamente) facili da
prevedere.
L’attenzione verso il finanziamento delle infrastrutture sembra concentrarsi sugli strumenti finanziari, tra cui i project bond: di cosa si
tratta e qual è la loro importanza?
I project bond sono nuovi strumenti
finanziari (obbligazioni) promossi
dalla Commissione Europea il cui
obiettivo è quello di stimolare gli
investimenti in alcuni settori chiave
delle infrastrutture: trasporti, energia, comunicazione e IT. I project
bond, pensati soprattutto per opere
di medie e grandi dimensioni, hanno l’ulteriore obiettivo di ampliare
la platea di possibili finanziatori dei
progetti (oggi solo banche, domani investitori qualificati) grazie a
un trattamento fiscale di favore e al
miglioramento del merito creditizio
delle società veicolo, attraverso un
meccanismo di garanzia esterna.
Come si profila quindi il ruolo
delle banche nelle operazioni di
finanza di progetto e come è destinato a evolversi?
Con riferimento ai project bond, la
materia è ancora in evoluzione e il
successo dello strumento dipenderà da fattori oggi ancora non del
tutto ponderabili. Le banche - e
qui intendiamo banche d’affari - si
occuperanno della valutazione del
progetto, della creazione e della
successiva distribuzione del project
bond.
Com’è la situazione attuale in materia, vista la congiuntura sfavorevole, e quali invece le prospettive
nel breve, medio e lungo periodo?
Il mondo del project financing in
Italia paga la dimensione relativamente contenuta dei progetti e la
crisi finanziaria internazionale degli
ultimi anni, che ha impattato negativamente sul settore mettendo in
difficoltà molti progetti. Siamo tuttavia convinti che il comparto abbia
margini di crescita e possa risultare
fondamentale per il rinnovamento e
potenziamento delle infrastrutture
del Paese.
Come si sta muovendo Cariparma
su questo terreno?
Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole aggrega tre banche commerciali
- Cariparma, Carispezia e FriulAdria
- tutte con forte radicamento nelle
proprie aree di presenza. Siamo attenti alle esigenze dei nostri territori
e vogliamo favorire la realizzazione
di progetti, ad esempio, nei settori
dell’energia rinnovabile, ambiente o dei trasporti e viabilità, come i
parcheggi. Il nostro team di finanza
d’impresa, costituito da professionisti specializzati, si occupa di strutturare operazioni di project financing
di media e piccola caratura. Per le
operazioni maggiori ci coordiniamo
con Crédit Agricole Corporate and
Investment Banking, la società della
capogruppo specializzata nelle operazioni di project financing.
PARMA economica
71
ECONOMIA E società
bilancio dell’ente, l’investimento non incide sui fattori rilevanti ai fini del rispetto
del Patto di stabilità, vincolo temuto e criticato da tutti i sindaci italiani, in quanto
spesso vanifica le promesse elettorali, le
necessità delle città e i giusti diritti delle
imprese a essere pagate in tempi ragionevoli per il lavori effettuati. Questo è un
aspetto di assoluta rilevanza da valutare
rispetto ai fattori positivi del modello PPP.
L’operazione, essendo di natura pluriennale nella sua realizzazione, può presentare aspetti di rischio e di aleatorietà che
pure vanno valutati. I flussi monetari
vanno previsti realisticamente, perché il
progetto deve essere dotato di un piano
economico a pareggio. I piani tariffari e
gli oneri per gli utenti devono essere equi,
appetibili per i partner privati, ma non eccessivamente gravosi per i cittadini che,
come utenti finali, rappresentano l’anello
più debole nell’organigramma degli attori.
Fondamentale è anche la valutazione dei
vincoli paesaggistici, di destinazione, architettonici e archeologici contenuti in
normative e piani strutturali comunali.
Abbiamo esempi di progetti in ritardo di
anni per problemi legati a tali vincoli o a
cambi di destinazione di beni monumentali, ricorsi di associazioni, indagini delle
procure sulla correttezza delle procedure.
I ritardi nelle realizzazioni possono pregiudicare la sostenibilità economica dei
progetti e alterare le previsioni dei flussi.
Esempi di questo tipo sono presenti purtroppo anche nella nostra città: uno per
tutti, l’Ospedale vecchio.
Diffusione della finanza di progetto: diffidenze e condivisioni
La complessità della finanza di progetto,
la molteplicità degli attori, le dinamiche
economiche e del mercato finanziario, l’interesse dei cittadini, i piani tariffari e dei
flussi monetari richiedono un approccio
ad alto contenuto specialistico, nell’ambito del quale senza dubbio si inserisce con
indubbio vantaggio il supporto dell’Unità tecnica finanza di progetto, oltre che le
indispensabili e alte specializzazioni degli
attori coinvolti e dei partner pubblici.
L’iter burocratico è un altro aspetto rilevante. Il recente Decreto sviluppo ha
cercato di semplificarlo, introducendo
modifiche al Codice dei contratti pubblici
nell’intento di «incentivare maggiormente
l’intervento di capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche, attraverso
72 PARMA economica
l’introduzione di una procedura caratterizzata da snellezza e celerità». Sono stati
introdotti anche incentivi fiscali per i concessionari e l’obbligo di indire una conferenza di servizi in fase di studio di fattibilità del progetto presentato dal promotore.
La novità è importante, perché permette
di anticipare prima della gara osservazioni
o eventuali conflitti istituzionali
relativi al progetto infrastruttuLa complessità
rale. Affrontare le problematiche con eventuali modifiche allo del tema richiede
stesso studio di fattibilità prima un approccio ad
che questo sia messo in gara con- alto contenuto
ferisce maggiore certezza dell’inspecialistico
vestimento.
Salvaguardia dell’interesse pubblico
Gli spunti che abbiamo offerto si pongono
l’obiettivo di “ragionare” su un’opportunità
notevole in uno scenario di sviluppo preoccupante e in forte stallo, per cui si pensa
che gli aspetti positivi prevalgano senza
dubbio sulle diffidenze ai fini di realizzare
progetti che consentano di rivitalizzare il
lavoro e i servizi. Ma un principio al quale
gli attori non si devono sottrarre è quello di considerare il più centrale possibile
il ruolo dei cittadini-fruitori, con la tutela
del loro interesse sociale e soprattutto di
un livello sostenibile del loro contributo
economico.
mercati esteri
La tigre ha il fiato corto?
Dopo la crescita dirompente nel primo decennio del Duemila, l’India appare
oggi in rallentamento. Colpa della crisi, ma soprattutto di mali storici che
continuano ad affliggere il Paese
Sabrina Sabatini
E
conomia in frenata e riforme bloccate nel mezzo di una profonda paralisi politica. Dopo oltre 10 anni di
rapida crescita l’economia indiana rallenta
parzialmente il suo corso, attestandosi attualmente intorno al 5%. La causa? Burocrazia lenta e macchinosa, riforme promesse e mai realmente implementate, scandali
e corruzione. Tutte le principali economie
emergenti stanno affrontando
indebolimento della domanBurocrazia, mancate un
da esterna, ma la congiuntura
riforme, corruzione: dell’India è stata inasprita da un
i problemi storici calo degli investimenti che rifletdell’India sono te una più profonda mancanza di
direzione ufficiale e fiducia delle
ancora sul tavolo imprese. Anche le previsioni del
Fondo monetario internazionale
(Fmi) di un miglioramento modesto nel
2013 si basano sulla capacità del governo
La notte di Mumbai,
di dare vita a una gran quantità di riforme
capitale dello stato del
economiche in stallo. Gli investitori sono
Maharashtra, in India
occidentale
diffidenti: gli investimenti stranieri, a con-
fronto con il 2011, sono diminuiti pesantemente nel primo trimestre del 2012.
La politica ha risposto in maniera inadeguata, tra le proteste della popolazione
in diverse parti del Paese. La più grande
democrazia al mondo e la terza economia
asiatica dopo Cina e Giappone è sotto
pressione, deve dimostrare che non rimarrà
indietro rispetto agli altri Paesi emergenti.
Deve tornare a crescere, politicamente ed
economicamente. Fenomeni quali la corruzione e forse un uso un po’ “disinvolto”
dei fondi pubblici non rappresentano una
novità per il Paese, ma erano sinora stati
offuscati da una crescita economica che
dal 1997 al 2011 si era attestata su una
media del 7%. Lo scorso inverno, invece,
si è registrato un primo rallentamento,
confermato anche nel periodo successivo.
Nel 2012, il livello di crescita non dovrebbe superare il 6%, valore in gran parte neutralizzato dallo sviluppo demografico della
popolazione. Troppo poco per uno stato in
PARMA economica
73
mercati esteri
cui circa il 20% degli abitanti vive ancora in una situazione di forte insicurezza
alimentare e il 40% continua a non avere
accesso alla rete elettrica. Il terribile black
out (l’ultimo di una serie) dell'estate 2011
ha lasciato al buio mezza India, sintomo
di spaventosi ritardi nelle infrastrutture
(energia, ma non solo: anche autostrade,
ferrovie e aeroporti). Il problema è sempre
l’amministrazione pubblica, «la peggiore
di tutta l’Asia» come la definisce la classifica redatta dalla Political and Economic Risk Consultancy (con sede a Hong
Kong) per confrontare le nazioni del “miracolo d’Oriente”. L’India è ultima, dopo
Vietnam, Indonesia, Filippine, Cina. Il
governo non è incisivo e la crescita degli
anni ‘90, di cui proprio l’attuale primo ministro Manmohan Singh fu uno dei maggiori protagonisti in veste di ministro delle
Da Parma a New Delhi, col supporto di Bill Gates
“Passaggio in India” di un ingegnere aerospaziale parmigiano che,
con in tasca la maturità classica e
la laurea al Politecnico di Milano, è
diventato imprenditore di successo di Eko, innovativa società indiana di sistemi informatici e intermediazione finanziaria. Passando
prima dalla telemetria in Formula 1
e da qualche anno di attività manageriale negli Stati Uniti. Matteo
Chiampo, 46 anni, moglie americana e due figli, Stefano di 8 anni
e Lodovico di 6, sintetizza in sé le
dinamiche imprevedibili ma attivabili in un Paese emergente come
l’India. Un Paese che non solo produce a basso costo beni e servizi
di base, ma investe sempre più in
tecnologia.
Cosa l’ha spinta ad andare in
India?
Con mia moglie Ashley, nel 2007,
ho iniziato a sentire l’esigenza di
nuove sfide, dopo 10 anni a Boston. Abbiamo elencato tutte le
nazioni nel mondo dove ci sarebbe piaciuto trasferirci e, sulla base
di vari parametri quali democrazia
come forma di governo, inglese
come lingua di business, crescita
economica, abbiamo ristretto la
scelta a 4-5 nazioni, e alla fine abbiamo preferito l’India. Una volta
74 PARMA economica
decisa la città, abbiamo comprato quattro biglietti di sola andata
e ci siamo trasferiti. Arrivati qui,
abbiamo avuto la possibilità di conoscere a fondo una cultura fondamentalmente diversa da quella
occidentale, con disparità socioeconomiche estreme.
In realtà Chiampo, tramite un caro
amico, aveva già sondato il terreno
e conosciuto il team che stava sviluppando l’idea di Eko, con i fondatori Abhishek Sinha e suo fratello
Abhinav. Da prototipo di software
concepito in un garage, oggi Eko,
con sede a New Delhi, è diventata
una società che, sfruttando le reti
di telefonia esistenti, consente a
tutti di avere un conto in banca e
di trasferire denaro in ogni angolo
del Paese.
Perchè aprire in India un sistema di branchless banking
come Eko?
Eko è un sistema di branchless
banking. Dà la possibilità alla popolazione meno abbiente di aprire
un conto corrente e fare operazioni bancarie di base (transazioni anche di 2-5 dollari) in uno dei
2.000 negozi convenzionati, utilizzando il telefono cellulare. L’idea
è nata osservando da un lato la
straordinaria diffusione della telefonia cellulare e dall’altro la mancanza quasi totale di servizi finanziari di base per la popolazione
meno abbiente: c’era un bisogno
non soddisfatto che richiedeva
una soluzione innovativa e a basso costo. Un cliente può avvicinare un Eko Customer Service
Point, o Eko CSP – tipicamente
un piccolo negozio di alimentari
o telefonia - e con un minimo di
documentazione aprire un conto
corrente, depositare e prelevare contante, fare bonifici. A costi contenuti e alla portata delle
masse. E l’operatore del CSP è
incentivato con commissioni sulle
transazioni.
Avete investito da soli nel
progetto?
Abbiamo avuto un supporto fantastico dalla Bill & Melinda Gates
Foundation che, venuta a conoscenza del progetto, ci ha creduto e ha fornito una sovvenzione
di 1,82 milioni di dollari. Bill Gates
in persona ha passato una mezza
giornata visitando il sito del nostro
progetto pilota nel 2009. Questo ci
ha permesso di sviluppare la tecnologia e il modello di business, e
di ottenere poi un altro finanziamento da un fondo di venture ca-
mercati esteri
La città-tempio di Srirangam, sul fiume Kaveri. È
circondata da sette cinte
murarie, con splendidi portali d'ingresso
Finanze, sembra lasciata alle spalle.
In realtà il miracolo indiano non può essere dimenticato, la sua scomparsa potrebbe addirittura avere effetti negativi sul
processo di pace di recente avviato con il
Pakistan, sotto la spinta magari di partiti
nazionalisti, in vista delle prossime elezioni. Di recente un’indagine Onu ha individuato nell’India la terza destinazione
favorita per gli investimenti esteri diretti,
dopo Cina e Stati Uniti. E tuttavia proprio
quell’indagine, della United Nations Economic and Social Commission for Asia,
rivela un paradosso: l’India si piazza terza
quando si rilevano le intenzioni d’investimento, ma in realtà fino al 2011 gli investimenti erano ben più consistenti negli
altri Paesi Brics: 124 miliardi di dollari in
Cina, 67 in Brasile, 53 in Russia, contro i
32 miliardi affluiti in India. È come se ci
pital di Chicago per 5,5 milioni di
dollari nel 2011.
Quale difficoltà avete incontrato?
Le maggiori le abbiamo incontrate
nel creare un modello di business
sostenibile. Trattando con una fascia di popolazione con reddito
attorno ai 2-3 dollari al giorno, è
estremamente complesso creare
un sistema che mantenga costi
bassissimi e allo stesso tempo fornisca il servizio richiesto. È stato
difficile anche creare un senso di
fiducia nella clientela, ma a tal fine
è venuta in aiuto la partnership
con la State Bank of India, la principale banca indiana, che abbiamo
siglato nel 2009.
Il mercato è ancora in espansione?
Dal 2007 il business si è sviluppato
fino ad avere oggi più di due milioni di utenti - erano 180mila nel
2010 - con volume di “transato” di
quasi 20 milioni di euro al mese.
Il mercato è in forte espansione,
con una crescita del 50-100% annua e varie politiche del governo
indiano contribuiscono a creare un
ambiente propizio per lo sviluppo
di sistemi di branchless banking
come Eko.
Quando torna a Parma, cosa
prova? Ha nostalgia di qualcosa?
Cerchiamo di visitare Parma almeno una volta all’anno, anche
più di frequente se possibile.
Tutta la mia famiglia e i miei amici più cari sono a Parma, quindi
abbiamo molte buone ragioni per
tornarvi – non possiamo permetterci di non portare i nipotini a
trovare la nonna Gabriella! – e
sia io che la mia famiglia più veniamo a contatto con culture e
luoghi diversi in giro per il mondo, più apprezziamo la bellezza e
piacevolezza della città.
Intende proseguire la sua
esperienza in India?
L’India è una nazione con un potenziale eccezionale e per il prossimo futuro non ho in programma
di muovermi. Dopo 4 anni in Eko,
prima come chief product architech e poi come chief operating
officer, equivalente ad un direttore generale italiano, ho deciso
di cambiare: dall’inizio del 2012,
pur mantenendo le mie quote
azionarie, non sono più coinvolto nel management day-by-day
della società. Come definirmi?
Un osservatore estremamente
interessato e un tifoso. Per capi-
talizzare l’opportunità indiana ho
investito negli ultimi nove mesi in
tre start-up cui ho fornito capitali
iniziali e supporto nella formulazione di strategie per market entry, sviluppo di prodotto, crescita
della base di utenza e raccolta di
capitali. Sto anche finalizzando
con alcuni soci una value proposition innovativa che superi
il tradizionale approccio consulenziale all’internazionalizzazione
delle Pmi. L’idea è stata creare
un nucleo forte di professionisti
che come me hanno vissuto con
successo "la prova" dell’internazionalizzazione, in grado di agire
sia come tutor dell’imprenditore
sia di alimentare con informazioni, contatti e numeri corretti
i piani di sviluppo dell’impresa.
Allo stato attuale siamo operativi
con resident partner in Brasile,
Russia, India, Cina e Sud Africa,
coprendo così tutti i Brics. La
cosa che voglio far notare è che
l’Italia resta il cuore dell’iniziativa, promossa da ex docenti della
Bocconi e da un primario studio
legale a Milano, e sono per lo più
coinvolti dei parmigiani. Questo
naturalmente mi fa molto piacere e la dice lunga sullo spirito
imprenditoriale e sul dinamismo
della nostra gente.
PARMA economica
75
mercati esteri
Boing 787 di Air India,
compagnia aerea a
controllo statale
fosse un divario permanente tra il sogno
indiano, le opportunità potenziali, e ciò
che si può fare davvero.
La chiave, come sempre ancora una volta, sta nella “dittatura dei Babu”, espressione con cui si identificano tutti i divieti,
ostacoli, intralci frapposti dai burocrati a
chiunque voglia investire. Ma i cambiamenti in corso potrebbero invertire la rotta. L’ottuagenario primo ministro indiano
Manmohan Singh si è recentemente reso
conto della disperata necessità di un nuovo
impulso. Gli economisti di tutto il mondo
hanno preso nota dell’arrivo di Raghuram
Rajan, economista statunitense di origini
indiane (uno dei pochi economisti al mondo ad avvertire la comunità internazionale
della crisi imminente prima che si manifestasse), come capo economista nel Ministero indiano delle Finanze. Rajan è uno
dei più famosi tra i ricercatori accademici:
già professore di finanza alla Booth school of business dell’università di Chicago,
dal 2008 consigliere economico onorario
del primo ministro indiano Manmohan
Singh e già economista del Fmi alla guida
di un comitato incaricato dalla Planning
Commission sul tema delle riforme finanziarie in India, nonché brillante scrittore
di economia politica. Ma è tutt’altro che
ovvio il fatto che Sonia Gandhi, presidente del Congresso nazionale indiano e politico più potente del Paese, condivida il
programma di riforme di Singh.
Dal 2006, anno in cui la l'india si è affacciata in maniera prepotente sulla scena
mondiale alla riunione annuale a Davos del
76 PARMA economica
World economic forum, la crescita del Paese è stata rapidissima. Ma le performance
negative a partire dalla fine del 2011, aggravate da un deficit della bilancia commerciale di 10 miliardi di dollari - praticamente
unico caso tra i Brics e tra gran parte delle
economie emergenti - hanno reso ancora più allarmante la situazione. Secondo il
Financial Times il deficit è dovuto in parte
a una scelta politica di favorire il mercato
interno rispetto alle esportazioni e in parte
al costo delle importazioni energetiche: ha
bisogno infatti di acquistare all’estero petrolio e carbone ma lo fa con una moneta debolissima (la rupia). Il Paese esporta
poco e il governo continua a stampare rupie
nel tentativo di stimolare l’economia, causando però impennate nell’inflazione ormai
quasi fuori controllo.
Come uscire dall’impasse e recuperare il
terreno perduto, affinché l’India non venga etichettata come “il più debole mattone nel muro delle grandi potenze” (the
weakest bric(k) in the wall)? Secondo Raghuram Rajan la soluzione si trova nel
«ciò che dobbiamo fare è dimostrare che
siamo un’economia sana, un buon rifugio
come mercato emergente, piuttosto che
qualcosa da cui scappare. Fatto questo, ne
trarremo beneficio. Ogni Paese ha i suoi
problemi: il Brasile ha problemi col credito, la Cina sta rallentando, mettendo in
discussione il suo modello di crescita. In
questa circostanza cosa possiamo fare per
differenziarci e diventare più attrattivi?
Gli investitori sono sempre alla ricerca di
alti tassi di crescita. Se saremo in grado di
mercati esteri
creare le giuste condizioni, una parte dei
flussi di denaro attualmente in uscita rientrerà. Questo dovrà essere un obiettivo,
rafforzato e confortato nel lungo termine
da un ritorno degli investimenti diretti
esteri e da riserve adeguate».
Esportare o investire in India
Il mercato indiano può sembrare ancora
chiuso e protetto relativamente agli standard
internazionali. Eppure il volume di esportazioni e importazioni è cresciuto
Alte barriere tariffarie in modo sostanziale nell’ultimo
decennio. In particolare le impore scarse agevolazioni tazioni indiane sono aumentate
per investimenti di cinque volte, portando il valore
esteri limitano dell’import al 30% circa del Pil e
l’interscambio quello dell’export al 25%. I dati
forniti dal Ministero del Commercio indiano relativi al periodo aprile 2011-gennaio 2012 mostrano che l’interscambio commerciale è salito del 48%.
L’Unione europea nel suo complesso è al
primo posto tra i principali acquirenti con
il 18%, pari a 44,23 miliardi di dollari, rispetto a un totale di 242,88 miliardi di dollari. L’Italia è 15esima nel dettaglio Paesi
con 4,1 miliardi di dollari, pari all’1,69%,
quinto posto all’interno della Ue. A seguire l’Asean (Associazione delle Nazioni del
Matteo Chiampo in un
Sud-Est asiatico) con il 13%, gli Usa con
momento di pendolarismo
il 12%, gli Emirati Arabi Uniti con il 12%,
quotidino a New Dehli (foto
di Marco Gualazzini)
la Cina con il 6%. Tra i principali prodotti
esportati dall’India ricordiamo in ordine
decrescente: petrolio e derivati, gioielleria e pietre preziose, mezzi di trasporto,
macchinari e apparecchiature, prodotti
chimici e farmaceutici, in cotone e accessori, in metallo, altri, filati e tessuti, ecc.
Tra i principali fornitori dell’India, sempre
nel periodo aprile 2011-gennaio 2012: la
Cina con il 12,04% (14,46% se si considera anche Hong Kong), l’Ue con l’11,9% (al
suo interno: Germania al 1° posto, Italia
al 4°). L’Italia è al 24° posto assoluto con
una quota dell’1,13%. Da notare che la
marcata dipendenza energetica dall’estero
dell’India fa sì che oltre un quarto delle
importazioni provengano dai Paesi arabi
produttori di petrolio.
I retaggi del passato sopravvivono in India
nelle alte barriere tariffarie, in un sistema di
licenze all’importazione macchinoso e lento, nel tuttora limitato accesso degli investitori stranieri a settori critici quali i servizi
finanziari e il retail, nel permanere di una
riserva per le piccole e medie imprese; tutti
aspetti che di fatto limitano le imprese straniere a operare direttamente nel Paese. Al
superamento di questi ostacoli mira l’Ue,
attraverso la finalizzazione dell’accordo di
libero scambio (FTA Ue-India).
L’India, membro del WTO dal 1 gennaio 1995, ha consolidato il 71% delle linee
tariffarie per prodotti industriali. La maggior parte di queste è a un livello piuttosto
PARMA economica
77
mercati esteri
alto e su questa fascia si concentra l’export
italiano. Tra le barriere tariffarie: dazi attorno al 150% su vini e liquori, 40% sul
segmento lusso, dal 30% al 60% nel settore automotive, altri sui prodotti del caffè,
marmi e lapidei. Inoltre ricorso massiccio
a misure anti dumping a scopo protezionistico. Tra quelle non tariffarie: differente
imposizione fiscale tra uno stato e l’altro,
grande mutevolezza del quadro normativo
nazionale, etichettatura dei prodotti confezionati con indicazione del prezzo massimo che prevede anche costi di trasporto,
assicurazioni e tasse locali. Particolarmente delicato il comparto alimentare, a
causa delle misure sanitarie e fitosanitarie
richieste dall’India che spesso vanno ben
oltre i requisiti adottati a livello di Oms
(parecchie difficoltà, ad esempio, per prosciutto, prodotti caseari, ecc).
L’interscambio con l’Italia
Negli ultimi 20 anni, dal 1991 al 2011,
l’interscambio commerciale Italia-India
è cresciuto di 12 volte, passando da 708
milioni di euro a 8,5 miliardi. Nel corso delle due decadi le esportazioni verso
l’India sono complessivamente aumentate
più delle importazioni dall’India, ma nel
biennio 2010/2011 si è assistito a un’inversione di tendenza, con una performance
delle esportazioni indiane particolarmente
brillante. Nel 2011 l’export italiano, pari a
circa 3,7 miliardi di euro, è aumentato del
10,4% e quello indiano in Italia, per un valore di 4,7 miliardi, è cresciuto del 25,1%.
I macchinari rappresentano tradizionalmente la prima voce export per il nostro
Paese con una quota del 44,4% nel 2011
(due punti percentuali in più rispetto al 2010), all’11,3% trovia- Nonostante la
mo i metalli e i prodotti in metallo, seguiti da mezzi di trasporto povertà dilagante,
con il 9%, questi ultimi in con- la concentrazione
trazione. Facendo un confronto di miliardari è la più
con altri mercati di destinazione
alta dell’Asia
delle merci italiane, l’export italiano verso India è aumentato a
un ritmo (+10,4%) inferiore all’incremento complessivo dell’export verso altri Paesi
emergenti, quali Brasile (+23,4%) e Cina
(+16,2%) o verso mercati consolidati come
USA (+12,4%) e Giappone (+18,1%).
L’Ue complessivamente continua a essere
comunque il principale mercato di destinazione delle merci italiane (56% del to-
Quasi un continente
Gigante asiatico, repubblica federale e settimo per estensione geografica al mondo (3.287.590 kmq),
è anche il secondo più popolato,
con 1,205 miliardi di abitanti (345
abitanti per kmq) e secondo alcune statistiche potrebbe superare
la Cina nel 2037. È la più grande
democrazia (parlamentare) fondata
sul multipartitismo, con una pluralità di lingue, religioni, caste e classi
sociali.
Con un’età media degli abitanti di
25,3 anni (contro i 34 della Cina, i
37 degli Stati Uniti, i 38 della Russia, i 43,7 dell’Italia, i 44 del Giappone), un tasso di alfabetizzazione
del 74% (censimento 2010, rispetto
al 65% del 2000), 250 università,
13.000 scuole superiori e 2,1 milioni
di laureati all’anno (di cui 300.000
ingegneri e 150.000 tecnici informatici). Le importanti riforme in senso
liberista a partire già dagli anni ‘80,
via via più incisive a livello di politica
economica negli anni ‘90, finalizzate
a stabilizzare il mercato, liberalizza-
78 PARMA economica
re il commercio, incentivare l’afflusso degli investimenti e sviluppare il
mercato finanziario, hanno trasformato il Paese in una delle economie a più rapida crescita (è uno dei
cinque Paesi a cui ci si riferisce con
l’acronimo Brics, insieme a Brasile,
Russia, Cina e Sud-Africa), confermandolo decima potenza al mondo per industrializzazione e quarta
economia mondiale per Ppp (purchasing power parity, ovvero Pil
a parità di potere d’acquisto) pari,
nel 2011, a 4.463 miliardi di dollari.
Il Pil indiano, sulla base dei principali settori produttivi, è composto
per il 16% dall’agricoltura, per il 21%
dall’industria e per il 63% dai servizi, con una crescita particolarmente
sostenuta nei settori secondario e
terziario.
L’India riunisce in sé fortissimi
contrasti, profonda ricchezza ed
estrema povertà, con alti livelli di
analfabetismo e malnutrizione.
Una concentrazione altissima di
popolazione nelle aree urbane
con oltre 100.000 abitanti e presenza di varie metropoli tra le
città di prima fascia: Delhi con
12.565.901 abitanti nella capitale e
18.916.890 nell’area metropolitana
(capitale politica, settori principali: telecomunicazioni, IT, banche, media, turismo); Mumbai con
13.830.884 abitanti e 21.900.967
nell’area metropolitana (capitale
finanziaria e del cinema con Bollywood, telecomunicazioni, infrastrutture e costruzioni); Bangalore con 5.438.065 abitanti (capitale
dell’IT); Chennai con 4.616.639
abitanti (settori: automotive, industria, industria pellame); Kolkata con 5.138.208 abitanti (settori
principali: industria del pellame, IT,
prodotti agricoli). Tra le città di seconda fascia: Ludhiana, 1.740.247
abitanti, Pune con 3.446.330 (automotive, IT), Pondicherry con
220.749 (produzione condizionatori, turismo), Goa con 1.457.723
(turismo, industria mineraria, farmaceutica).
mercati esteri
tale), mentre in India va circa l’1% delle
nostre esportazioni.
Secondo la rivista Forbes, l’India vanta il
più alto numero di miliardari rispetto al
resto dell’Asia e i cosiddetti “besono già oggi stimabili
In India sono nestanti”
in 60 milioni. Il prodotto italiapresenti 175 società no è percepito come sinonimo
di servizi e 147 di qualità e moda e per questo
impianti produttivi apprezzato dalla classe alta e
medio-alta dei consumatori. In
italiani particolare moda e lusso made in
Italy, anche se i dazi contribuiscono naturalmente a far lievitare i prezzi,
incentivando il consumatore ad acquistarli
sulle piazze mediorientali più vicine e più
competitive (Abu Dhabi e Dubai soprattutto). Comunque c’è un buon mercato
per i settori macchinari e macchine utensili (soprattutto per lavorazione e taglio di
metalli e pietre preziose, con un’ipotesi di
crescita del 10-15% nei prossimi 5 anni),
componentistica auto (in forte espansione,
passata da 9 miliardi di dollari nel 20042005 a 22 miliardi nel 2009-2010 - dati
del Ministero degli Affari Esteri), e alta
tecnologia.
Gli investimenti italiani in India, seppur
in crescita, sono ancora fortemente al di
sotto delle potenzialità e non solo per i
grandi gruppi. L’India infatti, per la struttura del suo sistema economico, si candida
a diventare partner preferenziale anche per
Elefanti decorati per la
parata del festival annuale
degli elefanti di Jaipur
la piccola e media impresa italiana. Guarda, per i suoi 26 milioni di piccole e medie imprese, ai nostri distretti industriali,
anche in termini di know-how logistico e
gestionale tipico delle reti di impresa che
l’India sta cercando di sviluppare.
I settori potenzialmente più attraenti per
gli investitori italiani restano automotive
e componentistica auto, infrastrutture
(strade, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, sviluppo: Banca mondiale e Banca
asiatica di sviluppo hanno stanziato complessivamente finora quasi 30 miliardi di
dollari in investimenti infrastrutturali),
energie rinnovabili (in particolare eolico
– dove l’India è già quinto Paese al mondo per capacità installata – solare e altre),
biotecnologie (agroalimentari, farmaceutiche, mediche, ambientali), moda, industria dei macchinari e della lavorazione
dei gioielli. L’India, ormai riconosciuta
capitale mondiale per la lavorazione dei
diamanti e molto forte nel procurement di
gioielleria di alta qualità, avrebbe bisogno
di accordi con l’Italia in particolare per
i macchinari tecnologicamente avanzati
utili per la realizzazione di nuove forme
di alto design. Il governo dovrebbe poter
permettere a breve investimenti diretti
esteri al 100% del capitale, approvazione
automatica degli investimenti, creazione
di zone economiche speciali per la lavorazione.
PARMA economica
79
mercati esteri
Mercato delle spezie
nella città di Jodhpur, nel
Nord-Ovest della penisola
indiana
Competitività, UNA strada ancora lunga
Nell’elaborare la classifica 20122013 sulla competitività, stilata dal
World Economic Forum di Davos,
gli esperti hanno analizzato la situazione economica in 144 Paesi
e ne hanno misurato la capacità di
crescita nel medio e lungo periodo,
escludendo le previsioni del prossimo biennio.
La Cina è stata posizionata al 29°
posto come altri Paesi dei Brics:
Brasile (48°), Sud Africa (52°), India (59°) e Russia (67°). Per la prima volta la Francia è esclusa dalle
prime 20 posizioni (quest’anno è risultata alla 21°) e tutti i Paesi dell’area mediterranea scivolano, oberati
dai deficit, collocandosi un po’ più
in basso: Spagna (36°), Italia (42°,
conquistando una posizione dallo scorso anno, ma tallonata dalla
Turchia che risulta al 43° posto e
guadagna 16 posizioni). Altre economie asiatiche hanno invece fatto
registrare importanti performance
come il Giappone (9°) e Hong Kong
(11°). Il dossier del Wef comprende
600 pagine e si basa su 12 misure di
competitività e su un sondaggio di
opinione tra gli imprenditori. Standard and Poor’s (S&P), non citando
la recente spinta delle riforme da
parte del governo indiano, ha abbassato le previsioni di crescita per
l’India al 5,5% (dal 6,5% inizialmen-
80 PARMA economica
te previsto), indicando come “volatile” la situazione economica globale
per l’anno fiscale in corso. Il rapporto evidenzia anche come gli investitori globali siano diventati più critici
nei confronti della politica dell’India
e delle carenze infrastrutturali che
sono state recentemente evidenziate dalla mancanza di corrente
elettrica ai primi di agosto 2011,
interessando 20 su 28 Stati dell’India. Fitch ha rivisto le previsioni di
crescita al 6%, Morgan Stanley al
5,1% (settembre 2012). Comunque
si parla sempre di un rating assegnato da S&P equivalente a BBB,
mentre Moody’s ha dato Baa3 e
Fitch BBB-. Quindi, anche se l’India ha un deficit pari al 5,9% del Pil
(che è pur sempre inferiore a quello che si registra mediamente tra i
Paesi occidentali ed è una caratteristica un po’ di tutti i Brics), il debito
è comunque sostenibile grazie alle
robuste prospettive di crescita e
dall’elevato stock di risparmi.
Alla luce della valutazione del rischio politico, economico, finanziario e operativo dell’India, il country
risk rating complessivo assegnato
al Paese da Sace, invariato rispetto
al precedente rapporto, è M1, equivalente a 4 in una scala di rischio da
1 a 9 in ordine crescente. Le valutazioni Sace classificano l’India nel-
la classe A, fra i Paesi assicurabili
senza restrizioni, con categoria di
rischio Ocse 3/7. Il Fondo monetario internazionale, dal canto suo, nel
World economic outlook 2012 di
aprile ha raccomandato al governo
indiano di proseguire con le riforme e gli investimenti, prevedendo
una crescita reale del Pil al 6,7%
nel 2011-12, che diventerà 7% nel
2012-13. Il capo della missione del
Fmi per l’India, Masahiko Takeda,
ha confermato infatti che, «mentre
questo è comunque un risultato di
tutto rispetto, l’India ha un potenziale ancora maggiore da sfruttare per
tendere al benessere economico
di tutta la popolazione, compresa
quella indigente.
Oltre all’incertezza globale, l’inflazione elevata e l’inasprimento della
politica monetaria, le carenze strutturali hanno contribuito pesantemente al rallentamento. I responsabili delle politiche devono poter
contare su riforme strutturali per
tornare a un livello di crescita superiore. Il governo dell’India ora deve
considerare le crescenti minacce al
rating creditizio di tipo investmentgrade del Paese. Le principali
agenzie di rating lamentano sempre più la mancanza di una strategia di crescita e gli enormi deficit di
bilancio del Paese».
mercati esteri
Per il settore agroalimentare e food processing, infine, è importante ricordare che il
settore agricolo contribuisce per circa il
16% al Pil e assorbe il 60% della forza lavoro, però meno del 10% della produzione
alimentare viene trasformata: il 40% deperisce prima di raggiungere il consumatore.
Sono quindi necessari grossi investimenti
in macchine agricole, tecnologie di trasformazione e conservazione dei prodotti,
packaging, catena del freddo, infrastrutture logistiche, biotecnologie e laboratori
per controllo qualità. Il modello Italia nel
settore agro-food potrebbe avere quindi ottime opportunità di business, se si pensa
solo al valore del settore macchine che si
aggira già sui 200 miliardi di dollari e tenderà a 310 miliardi nel 2015. C’è addirittura un Ministero indiano sul food processing che punta sugli investimenti stranieri
(ammessi con il 100% di proprietà), sia per
macchinari sia per la costituzione di “parchi agro-tecnologici” a regimi fiscali vantaggiosi. Qualche numero sulla presenza
italiana in India: più di 300 società italiane presenti in maniera radicata nel Paese
(147 con impianti produttivi, 175 società
di servizi); sei uffici di rappresentanza di
banche italiane; attività bancarie e attività
finanziarie e commerciali, consulenza alle
imprese italiane. L’Italia è il 12° Paese in
termini di investimenti diretti all’estero
(0,74% del totale) e si classifica al quinto
posto per i trasferimenti di tecnologia con
484 collaborazioni tecniche già avviate.
Fonti
Ministero degli Affari Esteri (rapporto Paese congiunto sull’India)
Assocamerestero
Fondo monetario internazionale (World economic
outlook 2012)
World Economic Forum di Davos 2012 (classifica
sulla competitività)
Sace (scheda Paese 2012 e www.sace.it)
Il Sole 24 Ore
The Indu
The Economist
Indo-Italian Chamber of Commerce & Industry di
Mumbai (Business Atlas 2011 e dossier 2012)
Ufficio Studi CCIAA di Parma (report esportazioni
primo semestre 2012)
Strade di Mumbai: la città più popolosa dell'India,
con più di 13 milioni di abitanti
PARMA economica
81
mercati esteri
Il fattore energetico nella
competizione internazionale
La crescente domanda di energia, la maggiore rigidità dell’offerta e la
concentrazione delle fonti in pochi Paesi originano uno scenario di tensioni
latenti per il controllo delle forniture
Maurizio Caggiati
Paesi fornitori, di transito, consumatori
Senza disponibilità di energia abbondante
e regolare, la società nella quale viviamo
non esisterebbe. L’energia serve per far
funzionare gli stabilimenti dove vengono
prodotte le merci e per trasportarle dove
saranno vendute; serve per illuminare le
strade, le abitazioni e gli uffici; serve per
riscaldare gli ambienti durante la stagione
fredda o rinfrescarli d’estate; serve nei trasporti di superficie, via mare e aerea; serve
per inviare segnali televisivi e comunicare
a distanza; serve per far funzionare il gran
numero di elettrodomestici che riempiono le nostre case. Senza l’energia tutto si
fermerebbe e il nostro benessere andrebbe
in fumo.
Lo stretto legame tra benessere e consumo
di energia non è valido solo a livello indi-
82 PARMA economica
viduale, ma anche a livello di nazioni. Se si confronta il prodotto
interno lordo con il consumo di L’esaurimento delle
energia dei diversi Paesi, si può fonti energetiche
constatare che al crescere della crea conflitti
ricchezza aumenta in modo quasi internazionali per il
corrispondente il quantitativo di
energia consumata. La disugua- loro possesso
glianza nei consumi energetici
pro capite evidenzia quindi molto bene le
grandi differenze esistenti tra i livelli di
benessere sul pianeta.
D’altronde il progressivo esaurirsi di fonti energetiche quali il petrolio e il gas dà
origine a rendite e provoca conflitti internazionali per impossessarsene. La dimensione geopolitica è dunque una delle variabili centrali che bisogna tenere presente
nell’esame dei mercati energetici.
mercati esteri
L'area strategica dal punto
di vista energetico
La crescente competizione internazionale
nell’accesso alle fonti energetiche, la fluttuazione dei prezzi delle materie prime e
la forte politicizzazione dei rapporti tra
Paesi fornitori, di transito e consumatori,
hanno generato una crescente attenzione
sulla questione della sicurezza energetica.
Garantire la fornitura dell’energia necessaria ai propri cittadini è sempre stata una
delle preoccupazioni fondamentali dei governi dei Paesi importatori, i quali hanno
posto sempre un’attenzione particolare ai
rapporti con i Paesi esportatori e con i Paesi di transito. Molti dei conflitti internazionali recenti (la guerra in Iraq del 2003 e
il conflitto georgiano del 2008) sono stati
interpretati, al di là delle ragioni ufficiali,
come conflitti per controllare le forniture o
le vie di passaggio delle fonti energetiche.
Dal punto di vista dei Paesi produttori di
energia, invece, il mantenimento dei flussi d’esportazione, la diversificazione dei
mercati di sbocco e la sostenibilità delle
attività di esplorazione e produzione di
idrocarburi assumono una valenza strategica non trascurabile, tanto sul piano delle
relazioni internazionali, quanto su quello
delle dinamiche sociali, politiche ed economiche interne.
La sicurezza energetica
Il concetto di sicurezza energetica convenzionalmente è definito come “la disponibilità di rifornimenti energetici affidabili
a prezzi ragionevoli”. Questa definizione
si compone di due diversi aspetti, tra loro
collegati.
Il primo è quello dell’affidabilità dell’approvvigionamento di materie prime energetiche, ossia del loro flusso fisico dal luogo di produzione a quello di consumo.
Il secondo aspetto è quello della ragionevolezza economica di questi approvvigionamenti, ovvero del fatto che la variazione
dei prezzi delle risorse energetiche non sia
tanto imprevedibile o marcata da tradursi
in una destabilizzazione delle economie
coinvolte.
Solitamente nella visione dei Paesi sviluppati importatori la definizione di sicurezza
energetica risente in modo evidente della
loro situazione di dipendenza. Ma specularmente anche i Paesi produttori ed
esportatori si trovano in una situazione di
dipendenza, perché anche per loro la continuità dei flussi energetici programmati
rappresenta una questione di sicurezza.
Nei Paesi esportatori, infatti, l’industria
energetica tende a rappresentare una quota rilevante del Pil, nonché la gran parte
delle esportazioni. Di conseguenza, spesso
gli altri settori economici stentano a svilupparsi e a diventare competitivi. Inoltre,
i proventi delle esportazioni tendono a costituire una parte consistente delle entrate
statali: di fatto, sono lo strumento indispensabile tramite il quale le élite si mantengono al potere.
Per i Paesi produttori come per quelli consumatori, le risorse energetiche sono dun-
PARMA economica
83
mercati esteri
que tanto importanti da porre le parti in
una situazione di dipendenza reciproca.
La sicurezza energetica può essere minacciata da due diversi tipi di rischio: fisico ed
economico. Il primo è quello relativo al regolare flusso delle risorse: le infrastrutture
di trasporto possono avere guasti, oppure
provocare disastri ambientali o addirittura essere oggetto di attentati. Nei Paesi
di transito possono verificarsi un blocco o
perdite consistenti: vedi gli avvenimenti di
questi ultimi anni occorsi ai gasdotti posati
in territorio ucraino e che trasportano il gas
russo. Tutti questi casi comportano un’interruzione dei flussi, danneggiando indifferentemente esportatori e importatori.
Il secondo tipo di rischio riguarda il prezzo. Va precisato che nel caso in cui esso
aumenti, sussiste una significativa rigidità
dei consumi rispetto alla sua variazione.
Questa rigidità ha due implicazioni: nel
breve periodo i consumatori non variano
i consumi in proporzione alle variazioni.
Nel lungo periodo, invece, essi rispondono modificando strutturalmente la propria
domanda di energia, reagendo alla crescita
dei prezzi con un aumento dell’efficienza
energetica e il risparmio rispetto agli sprechi, e con una contestuale diversificazione
delle fonti.
Per i Paesi esportatori, le variazioni dei
prezzi implicano un rischio sia quando
sono positive, sia quando sono negative, soprattutto se risultano impreviste ed
eccessive. Un crollo dei prezzi pone un
problema di consistenza dei pagamenti e
84 PARMA economica
un rischio per la stabilità politica delle élite che su quei proventi Storicamente le crisi
hanno consolidato il loro potere.
petrolifere hanno
In parallelo si riduce la disponibilità finanziaria per effettuare provocato il crollo
nuovi investimenti destinati ad dei prezzi nel breve
ampliare e modernizzare tecno- periodo
logicamente la propria capacità
produttiva.
Un rischio analogo alla contrazione dei
prezzi è quello rappresentato dalle conseguenze delle crisi economiche in alcuni
Paesi importatori: in questo caso si assiste
a una contrazione dei volumi scambiati e
a una riduzione delle rendite per il Paese
esportatore.
I rischi che derivano ai Paesi produttori
da un aumento sostenuto dei prezzi sono
meno evidenti, ma altrettanto gravi. Se
nel breve periodo prezzi alti significano
un aumento contingente delle rendite, la
reazione successiva dei Paesi importatori può danneggiarli. Infatti, l’aumento di
efficienza energetica o la diversificazione
delle fonti da parte dei consumatori si traduce in una contrazione permanente della
domanda con diminuzione delle entrate.
Storicamente le crisi petrolifere del 1973
(guerra arabo-israeliana del Kippur) e
1979 (rivoluzione in Iran e ascesa di
Ruhollah Khomeini) provocarono nel medio periodo (nella seconda metà degli anni
Ottanta) il crollo dei prezzi petroliferi,
determinato dagli investimenti effettuati
dalle economie industrializzate in maggior
efficienza e differenziazione delle fonti.
mercati esteri
L’azione dei Paesi produttori
L’azione dei Paesi produttori, esercitata
dalle imprese statali o direttamente dai
governi, si è posta su diverse dimensioni:
tecnica, economica e politica.
La dimensione tecnica è quella più legata
alla sicurezza fisica dei flussi: infrastrutture di produzione e trasporto. Per i Paesi esportatori si tratta, in primo luogo,
di garantire un controllo politico e militare del proprio territorio. In alcuni casi,
come quello delle rotte marittime, i Paesi
esportatori sono costretti dai costi proibitivi del controllo della sicurezza delle rotte
a delegare la protezione dei flussi ai Paesi
importatori, come nel caso del controllo
americano degli oceani. Un’altra misura
tecnica, soprattutto nel caso del gas naturale, è la diversificazione delle infrastrutture di trasporto, fondamentale per ridurre
il rischio che un Paese di transito possa
bloccare le esportazioni.
La diversificazione risulta fondamentale
anche per quanto riguarda la dimensione
economica e può essere intesa su due piani
diversi. In primo luogo, differenziazione
di settori produttivi: favorire lo sviluppo di settori manifatturieri e dei servizi è
dunque una priorità per ogni decisore politico che voglia favorire la stabilità socioeconomica nel lungo periodo.
diversificare anche la
Partecipare al Occorre
clientela finale per evitare le conmercato globale seguenze negative della crisi ecodell’energia implica nomica in un singolo Paese imcondividere una base portatore. Questa strategia può
alti costi, come nel caso dei
di regole comuni avere
gasdotti: l’indubbia economia di
scala della loro costruzione deve
però avere come obiettivo la distribuzione
a un’ampia platea di Paesi.
La partecipazione a un mercato globale mette tuttavia in evidenza la terza dimensione dell’azione dei decisori: quella
politica. I mercati internazionali sono
meccanismi fondati sulla cooperazione fra
Stati, con la condivisione di un minimo di
regole e di valori. Per un Paese esportatore accedere ai mercati richiede una certa
conformità a queste regole; le alternative
sono un relativo isolamento e una ridotta
possibilità di esportare risorse e incassare
rendite. Il caso dell’Iran è in questo senso
paradigmatico: la mancata accettazione di
alcuni valori condivisi dagli Stati più forti
del sistema internazionale da parte del governo di Teheran limita l’accesso al mercato internazionale e costringe il Paese a
esportare solo verso quei clienti, come le
imprese statali cinesi, che sono nella posizione politica e geografica di agire in
modo bilaterale e che pagano all’Iran solo
una frazione dei prezzi di mercato.
La dimensione politica non riguarda solo
i mercati, ma anche l’uso delle forniture a
prezzo politico quale strumento d’influenza sulle scelte di altri Paesi. È il caso della
Russia con alcune repubbliche ex-sovietiche.
I decisori politici dei Paesi produttori
hanno davanti a loro un periodo complesso, ricco di potenzialità ed esposto a rischi.
Dalla loro prospettiva la questione della sicurezza energetica è un problema di mantenimento delle rendite e della capacità di
trasformarle in stabilità politica. Alcune
tendenze in atto, come l’aumento stabile
dei prezzi del petrolio e delle fonti energetiche, collegato all’ampliamento delle dimensioni del mercato globale dell’energia,
sono fattori di stabilità di lungo periodo.
Viceversa, altre tendenze provocano un
impatto destabilizzante: esiste il fondato
rischio che la difficile congiuntura economica che colpisce i Paesi occidentali si stia
diffondendo a tutte le economie mondiali,
comportando livelli di domanda inferiori
alle aspettative e quindi un calo delle rendite. Certamente un ulteriore fattore di rischio per gli equilibri geopolitici mondiali
in una situazione che rivela ogni giorno
nuove incertezze e fragilità di fondo.
PARMA economica
85
mercati esteri
Lo snodo strategico dell’Asia centrale
Dedichiamo ora un capitolo all’Asia centrale e alle cinque repubbliche che la costituiscono. Parliamo di un’area che è snodo
strategico delle politiche e degli interventi
concreti per la sicurezza energetica. Analizzare la situazione politico-economica di
questi Paesi e come essi sono attualmente
incardinati nel sistema delle relazioni internazionali è importante per capire quale
ruolo possono assumere nell’evoluzione
delle strategie energetiche dei grandi Paesi
produttori e compratori.
Le cinque repubbliche sono Kazakistan,
Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan
e Tagikistan. Costituitesi in epoca sovietica, sono divenute indipendenti all’inizio
degli anni ‘90. Questo immenso territorio
ha avuto per secoli un ruolo quanto mai
decisivo come via di transito privilegiata
dei commerci tra Oriente e Occidente,
lungo la cosiddetta “via della seta”. Islamizzata a partire dal X secolo e abitata
prevalentemente da popolazioni turche,
ma con un’importante componente iranica, l’Asia centrale ha avuto a lungo un
posto importante nel mondo musulmano,
in particolare grazie a centri come Samarcanda e Bukhara. Agli albori dell’età moderna, il mutamento delle rotte commerciali ha comportato un lento e profondo
declino della regione. In seguito tale area
è stata interessata dalla rivalità geopolitica tra l’impero russo e quello britannico.
La definitiva conquista russa (e sovietica,
poi) ha comportato uno sfruttamento di
natura coloniale, emarginando tali nazioni
86 PARMA economica
dai processi decisionali in ambito internazionale. In questo periodo è da segnalare,
oltre alle consuete politiche antireligiose
e di collettivizzazione forzata, un pesante
processo di “ingegneria etnica” sul territorio che ha portato alla nascita delle cinque
repubbliche citate, sulla base di confini
alquanto problematici. Per non parlare
dell’intensa azione di russificazione perseguita, soprattutto nel periodo staliniano,
in alcune di queste repubbliche.
Nonostante tali difficoltà, l’evoluzione politica dell’Asia centrale nei primi due decenni post-sovietici appare relativamente
tranquilla e stabile, soprattutto se confrontata con le violente convulsioni della
regione del Caucaso (Cecenia e Georgia).
All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, in tutti i Paesi dell’area
le posizioni dominanti sono risultate sostanzialmente controllate dall’antica classe
dirigente comunista, riciclatasi nel nuovo
contesto politico con modalità di governo
di tipo clanico e autoritario.
Dal punto di vista politico è possibile distinguere nell’area centroasiatica alcuni
Paesi retti da regimi particolarmente repressivi (Uzbekistan e Turkmenistan) e altri relativamente più liberali (Kirghizistan,
Kazakistan e Tagikistan). Elemento maggiormente significativo di differenziazione
è quello tra Paesi dotati d’importanti risorse energetiche (Kazakistan e Turkmenistan) e quelli che ne sono privi (Tagikistan e Kirghizistan), con l’Uzbekistan che
si colloca in una posizione intermedia.
Il Kazakistan è il secondo produttore di
mercati esteri
La Lonely Road,
in Kyrgyzstan
petrolio nell’area post-sovietica, dopo la
Federazione russa, e vanta anche una notevole produzione di gas naturale. Questa
ricchezza ha consentito al Paese
conseguire tassi significativi di
Se il progetto andrà di
crescita economica e di affermare
in porto, il gas un ruolo riconosciuto in campo
turkmeno arriverà internazionale, grazie a una linea
all’Europa tramite un equilibrata in politica estera, culnel 2010 col raggiungigasdotto minata
mento della presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa (Osce: assieme a
Stati Uniti e Canada vi partecipano tutti i Paesi europei, i Paesi del Caucaso e
dell’Asia centrale).
Tuttavia, dopo l’ennesima – la quarta – elezione plebiscitaria presidenziale di Nursultan Nazarbayev, nell’aprile 2011, il Kazakistan è stato scosso da alcuni attentati
terroristici d’ispirazione islamista, quindi
dagli scioperi delle maestranze petrolifere
con violenti scontri (dicembre 2011).
L’Uzbekistan occupa un posto molto particolare nella regione: al suo interno si trovano i maggiori centri culturali dell’Asia
centrale (Samarcanda e Bukhara). È uno
dei primi produttori al mondo di gas naturale e uno dei maggiori esportatori di cotone. La sua struttura economica rimane
comunque disarmonica, mentre nella sfera
politica continua a essere caratterizzato da
una situazione stabile, ma particolarmente
repressiva. Possiede l’esercito più numeroso dell’Asia centrale, utile a contrastare il
pericolo dell’instabilità delle sue frontiere
e pronto a reprimere le minacce del fon-
damentalismo islamico. Durante la guerra
civile in Tagikistan (1992–1997) il governo di Taskent è intervenuto direttamente
con un contingente militare per riaffermare con decisione le proprie posizioni su
alcune dispute territoriali per l’espansione
di una centrale idroelettrica.
Nonostante le sue notevoli ricchezze energetiche (gas in particolare), il Turkmenistan è ancora lontano da accettabili livelli
di sviluppo socio-economico: si è consolidato un sistema dirigistico monopartitico,
con un tasso di democratizzazione tra i più
bassi a livello regionale. Sul piano internazionale il governo turkmeno ha perseguito
una strategia di diversificazione degli acquirenti e delle rotte d’esportazione, siglando contratti d’esportazione e di sfruttamento dei maggiori giacimenti del Paese
con compagnie occidentali, mediorientali,
coreane e cinesi, intensificando parallelamente i negoziati in vista della costruzione
di reti di gasdotti che spezzassero il tradizionale monopolio russo sull’acquisto del
gas turkmeno. Interlocutore più rilevante
nella strategia di diversificazione è stata la
Cina. L’inaugurazione, nel dicembre 2009,
del gasdotto Central Asia-China Gas Pipeline (della portata di 40 miliardi di metri cubi di gas su base annua) tra Turkmenistan e la regione autonoma cinese dello
Xinjiang, attraverso Uzbekistan e Kazakistan, ha rappresentato il principale risultato della strategia energetica di Asgabat.
Il governo turkmeno è inoltre impegnato, oltre che nel rafforzamento della partnership con l’Iran, anche in due ulteriori
PARMA economica
87
mercati esteri
Astana, la capitale del
Kazakistan
progetti infrastrutturali. Il primo di questi
consiste nella costruzione di una rete di
gasdotti trans-caspica (Trans-Caspian Gas
Pipeline, TCGP) in grado di collegare il
Turkmenistan con le coste dell’Azerbaigian
e, da qui, con i mercati europei. L’irrisolta
questione dello status legale dei giacimenti
del Mar Caspio e la tradizionale opposizione russa alla costruzione del TCGP costituiscono i maggiori ostacoli alla sua realizzazione. Altro tradizionale obiettivo della
strategia turkmena di diversificazione degli
acquirenti di gas è la costruzione di un gasdotto verso l’India, attraverso Afghanistan
e Pakistan (TAPI). Progetto congelato per
oltre un decennio a causa delle difficoltà di
transito in territorio afgano e dalle tensioni
indo-pakistane, il TAPI torna oggi a catalizzare l’attenzione dei Paesi coinvolti, forti
del sostegno garantito dagli Stati Uniti e
dalla Banca di Sviluppo Asiatica, nell’ottica
del progressivo processo di stabilizzazione
del teatro afgano.
Il Kirghizistan si presenta come un Paese
relativamente pluralista, caratterizzato da
tutta una serie di problemi irrisolti: persistente fragilità economica; instabilità politica; forte e crescente spaccatura tra Nord
e Sud del Paese; contrasti con la consistente minoranza uzbeka. Il Paese dispone,
infatti, di scarse risorse naturali, tra cui le
maggiori sono l’oro – che costituisce più
di un terzo delle sue esportazioni – e l’acqua. Le abbondanti risorse idriche hanno
permesso al Paese di avviare importanti
progetti idroelettrici e restano moneta di
scambio sul piano energetico: il Kirghi-
88 PARMA economica
zistan permuta i diritti all’utilizzo a valle
delle acque che effluiscono dal suo territorio con carbone e gas, provenienti dal
Kazakistan e dall’Uzbekistan. Sul piano
delle relazioni internazionali, il Paese resta ancora sul filo di un difficile equilibrio
tra gli interessi russi e quelli statunitensi
nell’area centro-asiatica. In questi ultimi
anni infatti ha concesso prima agli Usa
l’utilizzo dell’aeroporto di Manas come
scalo per raggiungere l’Afghanistan, e successivamente alla Russia una base aerea.
Un attore di crescente rilevanza in questo
scacchiere geopolitico è la Cina, la quale
ha rafforzato in modo significativo i legami sul piano commerciale in quest’area.
Una situazione analoga presenta il Tagikistan, la più arretrata fra tutte le repubbliche dell’Asia centrale post-sovietica.
Lacerato dalla guerra civile dei primi anni
dopo il crollo dell’Urss tra ribelli islamici
e forze governative sostenute da Mosca,
privo di risorse importanti (a parte quelle
idriche), questo Paese rimane sostanzialmente nell’orbita politica e militare della
Russia, al cui interno vive una consistente
immigrazione tagika, la quale con le sue
rimesse contribuisce in misura notevole alla sopravvivenza della popolazione
rimasta in madrepatria. La Federazione
Russa continua a rivestire un ruolo militare di primo piano: maggior garante della
sicurezza nazionale tagika, è presente nel
Paese con una divisione dell’Armata Rossa, dislocata a breve distanza dalla capitale.
Dal canto loro gli Stati Uniti – ai quali il
Tagikistan ha prestato una forte coopera-
mercati esteri
zione nella guerra afgana del 2002, aprendo le proprie basi aeree agli Usa e consentendo il trasporto d’ingenti rifornimenti a
Kabul - contribuiscono a sostenere economicamente il Paese. La vicinanza geografica e culturale con l’Iran non fornisce
prospettive positive a un Paese in grave e
strutturale sofferenza.
La diseguale distribuzione delle risorse nei
diversi Paesi dell’area è inoltre aggravata
dalla limitata collaborazione regionale. Le
repubbliche dell’Asia centrale sono infatti
assai poco disposte a cedere porzioni anche
minime della propria sovranità a organizzazioni regionali o super-regionali. Una situazione che deriva proprio dalla debolezza
degli ordinamenti statali di questi Paesi,
che pure avrebbero bisogno di collaborare strettamente per affrontare una serie di
problemi di carattere politico, economico e
ambientale, la cui soluzione è fondamentale
per sfruttare pienamente la favorevole posizione strategica della regione.
L’instabilità dello scenario energetico
L’importanza dell’Asia centrale nella competizione internazionale per la sicurezza
energetica appare in forte crescita, ma la
regione non è ancora riuscita a
al meglio la situazione
Per gli investitori sfruttare
vantaggiosa in cui si è venuta a
internazionali trovare all’indomani della fine
la paura della dell’Urss. Fortemente condiziovolatilità dei prezzi nati dal negativo lascito sovietico,
i governi locali faticano notevoldel greggio sta mente a risolvere i numerosi prorimpiazzando quello blemi politici, economici e sociali
della crisi europea – oltre che di integrazione regionale – che ne frenano in maniera
considerevole lo sviluppo.
Questo vale soprattutto per i Paesi più deboli, la cui persistente fragilità può avere
effetti destabilizzanti su tutta l’area. Ma
anche i Paesi maggiormente dotati di risorse dovrebbero individuare un percorso
di sviluppo nel quale la ricerca della stabilità non debba escludere maggiori spazi di
libertà politica e culturale. D’altro canto,
però, è di cruciale importanza che i numerosi attori esterni che interagiscono nell’area si muovano in maniera equilibrata, in
una logica di collaborazione, invece che di
perseverante competizione.
Inoltre, secondo gli analisti di economia
internazionale il timore per la volatilità dei
prezzi del petrolio sta prendendo il posto
della crisi europea nella preoccupazione
degli investitori e del Fondo Monetario
Internazionale. In un momento in cui le
economie avanzate sembrano entrate in
un tunnel recessivo e le economie asiatiche stanno crescendo meno delle attese,
il prezzo del greggio è in aumento anche
sulla scorta di un rischio difficilmente calcolabile: quello di un conflitto in Iran.
Seppure lo scenario concreto di una guerra
che avrebbe dimensioni globali sia realisticamente remoto, a fare salire il prezzo del
petrolio basta la possibilità che si prolunghi lo stato di tensione. All’aumento dei
prezzi contribuirebbero varie altre motivazioni, tra le quali il possibile aumento della domanda di greggio dall’Asia, la scarsa
flessibilità del sistema di produzione mondiale nella presente congiuntura e la forte
liquidità immessa nel sistema dalle banche
centrali.
Tuttavia il rialzo non sarebbe pienamente
giustificabile secondo il ministro del petrolio dell’Arabia Saudita, primo fornitore
a livello globale, che sta cercando di rassicurare i mercati dimostrando la propria
capacità di supplire a una riduzione degli
approvvigionamenti da parte dell’Iran e a
un possibile blocco dello stretto di Hormuz, una delle rotte principali per il commercio d’idrocarburi.
Gli scenari energetici restano difficilmente prevedibili. Secondo molti analisti, comunque, un prezzo superiore ai 100 dollari a barile appare la normalità, almeno nel
medio termine. È plausibile che i costi più
alti per il consumo d’energia si ripercuotano su molti aspetti della vita economica:
dalla produzione ai trasporti alle derrate
agricole, con il rischio di ritardare ulteriormente la ripresa globale.
PARMA economica
89
mercati esteri
I ritardi del made in Italy
alimentare nella sfida tra
globale e locale
Nonostante il prestigio di cui gode nel mondo, il nostro patrimonio
enogastronomico non ha avuto, storicamente, adeguata valorizzazione.
Un gap che si è cominciato a colmare solo di recente
Barbara Bocci
“M
ade in Italy”, “fatto in Italia”, “prodotto italiano” o
espressioni simili attribuite
ad alimenti e vino non dovrebbero suscitare perplessità: si garantisce che l’origine
del prodotto sia italiana anche se questo è
vero solo in parte, poiché non è detto che
ai consumatori interessi sempre sapere se
il prodotto che consumano sia fatto in Italia. Gli asparagi a Natale vengono dal Perù
e nonostante ciò sia ben visibile sulla confezione si vendono ugualmente1. Lo stesso
discorso può essere fatto per la mozzarella
“blu”, che nonostante il nome ingannevole
italiano riporta sulla confezione made in
Germany2. In sostanza, dal punto di vista
del consumatore tutte le possibilità sono
accettate, la maggior parte delle volte sen-
za prestare particolare attenzione alle indicazioni riportate in etichetta, correndo
il rischio così di consumare un prodotto
per il fatto che sia distribuito dal supermercato di fiducia. Ma è bene non generalizzare: anche secondo il report sui
prodotti biologici realizzato dall’Istituto
di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), sembra che una quota
crescente di consumatori italiani
consideri importante mangiare
prodotti di origine certa, soprat- Sinonimo di buono
tutto freschi di stagione e prove- e sano, il “mangiare
nienti da agricoltura italiana3. Di italiano” è un
questi, inoltre, molti preferiscono concetto riconosciuto
prodotti biologici. Si tratta – non
solo in Italia – di segmenti di il tutto il mondo
consumatori sensibili ai problemi
1 www.acquabuona.it/2010/12/
occhio-alla-spesa-per-natalepensiamoci/
2 Mozzarelle blu tedesche: 70mila in
mano ai Nas. Procura apre inchiesta,
in «Il Giornale», (19 giugno 2010)
3 Prodotti biologici: focus sulla
domanda nazionale e internazionale, report di ISMEA, maggio 2012
90 PARMA economica
mercati esteri
che riguardano la salute personale e delle
proprie famiglie, che sentono la necessità
di sapere qual è il luogo da cui proviene ciò
che mangiano.
Osservando il grande mercato globale,
diciamo che il “mangiare e bere italiano”
riscuote un successo importante sia di
consumo che di riscontri sui media. Ristoranti, trattorie, pizzerie italiani si trovano
ovunque, così come negozi e supermercati
che vendono cibi e vini italiani: «C’è una
vera tempesta globale, che riguarda profondamente […] il made in Italy alimentare e le sue possibili strategie future», osserva l’economista Ampelio Bucci4. Tuttavia,
nonostante il mangiare italiano nel mondo
sia senz’altro in crescita, il “vero” cibo made
in Italy arriva sui mercati finali (in Italia e
all’estero) solo in parte.
4 A. Bucci, V. Codeluppi, M.
Ferraresi, Il Made in Italy, Roma,
Carocci, 2011, p. 64
5 M. Montanari, Il cibo come
cultura, Roma-Bari, Laterza,
2004, pp.75-83; M. Montanari,
L’identità italiana in cucina,
Roma-Bari, Laterza, 2010, pp.
109-116; V. Teti, Le culture
alimentari nel Mezzogiorno continentale in età contemporanea,
in «Storia d’Italia, annali» (XIII),
Torino, Einaudi, 1998, pp.159160; J. Flandrin e M. Montanari
(a cura di), Storia dell’alimentazione, Laterza, Roma-Bari, 1997,
pp.658-664
6 M. Montanari, 2004, cit.,
pp.73-104
7 F. La Cecla, La pasta e la pizza,
Bologna, Il Mulino, 1998
Mangiare italiano
Fra le varie cucine del mondo quella italiana occupa senza dubbio una posizione privilegiata per le sue caratteristiche di produzione e per le sue qualità. La storia del
cibo e della cucina italiana si lega a quella
del nostro Paese unito solo da poco più di
150 anni. Da questo discende una prima
osservazione: non c’è una cucina italiana
ben definita e riconoscibile, ma ne esistono
almeno 10 varianti. Ognuna di queste infatti
ha caratteristiche proprie perché legata alle
differenze storiche e culturali delle regioni
che due secoli fa erano state diverse, con
influenze e dominazioni diverse5. Questa
grande varietà deriva anche dalla diversificazione delle produzioni agricole italiane
– legate alle caratteristiche geofisiche e
climatiche delle varie zone del nostro Paese – ed è quasi una peculiarità nel panorama mondiale. Ciononostante una matrice
comune che attraversa tutte le diverse cucine italiane può essere riconosciuta nella
semplicità, nell’uso di ingredienti naturali
e senza troppe manipolazioni, che ancora
una volta testimoniano la grande qualità e
la cura all’origine.
Un altro punto fondamentale del cibo italiano è il gusto6. La cucina italiana ha molti piatti che non solo hanno successo nella
propria regione di origine o in Italia, ma
sono diventati quasi “patrimonio culinario dell’umanità”, essendo apprezzati nella
maggior parte dei Paesi del mondo. Come
sostiene La Cecla7, invenzioni come la pizza, la pasta (con i vari sughi, dal pomodoro semplice al pesto) sono probabilmente i
piatti più conosciuti al mondo (oltre naturalmente alla ciotola di riso). A questi occorre aggiungere i cibi già pronti al consumo e in particolare i salumi (dal prosciutto
crudo a quello cotto, ai salami) e i formaggi
(dal Parmigiano alla mozzarella, per citare i
più noti e utilizzati). Siamo inoltre il Paese
produttore delle migliori qualità di olio di
oliva al mondo, prodotto italiano per antonomasia nell’immaginario di gran parte
dell’Occidente.
L’incapacità di fare impresa globale
È ormai noto che le grandi multinazionali globali si siano affermate prima di tutto
proprio nel settore alimentare. I loro nomi
si presentano quotidianamente in termini
di notorietà, pubblicità, numero di presenze in negozi e supermercati e in termini di
PARMA economica
91
mercati esteri
consumo. Nestlé, Unilever, Kraft, CocaCola, McDonald’s, Danone, Heinz sono
alcuni. Tuttavia, di queste grandi multinazionali globali del cibo sono di proprietà
italiana ormai solo Barilla, Ferrero e pochissime altre aziende. Altri nomi noti
italiani diffusi anche all’estero sono da decenni di proprietà delle sopraddette o di
altre multinazionali. Ciononostante i loro
prodotti conservano gelosamente il nome
e l’immagine italiani, a conferma che utilizzare una marca alimentare italiana premia. Ma, come si può ben comprendere,
questo elemento non gioca certo a favore
del made in Italy agroalimentare: proprio
il fatto che molti marchi italiani del food
siano stati ceduti a grandi multinazionali
straniere dimostra l’incapacità degli italiani di creare imprese globali in grado di
competere negli enormi mercati mondiali,
in questo caso quello alimentare.
È mancata la capacità di agire in chiave
di strategia di marketing. Sempre Bucci
osserva come questa difficoltà a pensare
e agire globalmente sia presente anche in
altri settori e sia una caratteristica italiana
che ha portato non solo a vendere a stranieri marchi già affermati, ma anche a un
“non fare” imprenditoriale, non cercando,
ad esempio, di moltiplicare un successo finalizzato a realizzare dei veri business.
Esemplare è lo studio condotto dallo scrittore Taylor Clark (2009) sull’espresso italiano e sulle sue varianti, dal cappuccino
al “marocchino” al latte macchiato. Infatti, pur essendo questi ultimi noti in tutto
il mondo, è stato un americano, Howard
92 PARMA economica
Schultz, ad avere l’idea di aprire Starbucks,
la catena di Seattle che serve espresso e
cappuccino nelle città grandi e piccole del
pianeta partendo dalla constatazione di
quanto sia piacevole bere il caffè, fare colazione e incontrare gente nei bar italiani.
Starbucks infatti è ormai un brand universalmente noto e forse solo McDonald’s può
rivaleggiare con la sua diffusione mondiale.
È soprattutto grazie a Starbucks se nello
spazio di un decennio l’America e il mondo
sono diventati amanti del caffè, ridefinendo
l’esperienza di consumo delle classi medie
globali, con le sue caffetterie che accolgono impiegati, single, professionisti,
studenti seduti a leggere un libro
o a scrivere sui propri pc mentre In Italia l’industria del
sorbiscono una delle tante bevan- food non ha avuto la
de a base di caffeina della multina- capacità di pensare e
zionale dalla sirena stellata. E tutto agire a livello globale
ebbe inizio quando Schultz giunse
a Milano nel 1983 per il suo primo viaggio d’affari in Europa e vi scoprì la
cultura italiana. Dedicò gli anni successivi a
creare una catena di ristorazione che esprimesse la devozione italiana per il caffè, dotandosi di una strategia di marketing volta
a creare spazi di socialità in cui vendere i
propri prodotti. Da non sottovalutare come
nei primi anni del nuovo secolo anche Nespresso (Nestlé) sembra essere entrato con
grande forza nel campo italiano del caffè
espresso.
Altro caso da citare è quello della pizza
industrializzata da Pizza Hut, una catena
americana di fast food: nessuna azienda italiana si è mai cimentata in un’attività del
mercati esteri
genere e per quel che riguarda la
Diversamente da altri pizza surgelata fra i primi produttori troviamo Findus di Unilever.
Paesi, spesso non E poi ci sono le migliaia di pizabbiamo difeso le zerie nel mondo dove di italiano
nostre eccellenze a c’è ben poco. A questo riguardo
8
livello legislativo sempre Bucci commenta: «La
mozzarella è ormai così poco
made in Italy che molti ristoranti
americani inseriscono orgogliosamente sul
menu home made mozzarella».
Stesso discorso per i salumi, che spesso
provengono da maiali allevati all’estero,
dei quali sono acquistate le carni per la stagionatura, mentre i concorrenti spagnoli
stanno raccogliendo un grande successo
gestendo la filiera intera dall’allevamento
alla macellazione, alla lunga stagionatura.
8 A. Bucci, V. Codeluppi, M.
Ferraresi, cit., p. 68
9 C. J. Levy, Many Olive Oils
Prove to Be italian in Name Only,
in «International Herald Tribune»,
(9 maggio 2004)
10 C. J. Levy, Many Olive Oils
Prove to Be italian in Name Only,
in «International Herald Tribune»,
(9 maggio 2004)
Made in Italy e legislazione
Oltre all’inadeguatezza delle imprese italiane del food di raggiungere la massa d’urto per competere sui mercati globali e per
imporre i propri marchi e i propri prodotti, è esistita per molti anni a livello politico
e istituzionale anche un’incapacità, rispetto
agli altri Paesi, di difendere le proprie eccellenze.
Un tema che ha condizionato e condiziona il made in Italy alimentare è relativo alla
legislazione europea. Un esempio interessante è quello dell’olio d’oliva, perché ha
rappresentato l’origine di tutti gli interro-
gativi e dei vari inconvenienti intorno al
made in Italy del food.
Quando si acquista olio d’oliva extravergine etichettato “prodotto in Italia” (o made in
Italy o equivalente) nella maggior parte dei
casi, soprattutto se il prezzo sembra molto conveniente, questo olio non proviene
da olive italiane9. Questo è ammesso dalla
legge europea secondo cui il “made in” deve
corrispondere al Paese dove avviene l’ultimo
confezionamento e non al luogo di origine
delle componenti. Posto ciò, si comprende
chiaramente come spesso l’ultimo Paese sia
proprio l’Italia, che in termini di immagine
per l’olio d’oliva risulta vincente rispetto ad
altri Paesi.
Questa legge, assai pericolosa per l’olivicoltura italiana, è stata proposta da famosi marchi dell’industria olearia, poi quasi
tutti acquistati dalle grandi multinazionali, che li hanno gelosamente conservati per
vendere nel mondo “olio di oliva italiano”
che italiano spesso non era. Si tratta di una
legge che ha consentito anche una pubblicità ingannevole per il consumatore medio
(paesaggi toscani, donne vestite con costumi rinascimentali toscani). Anche oggi il
giro dei marchi italiani dell’olio d’oliva non
accenna ad arrestarsi10.
Il risultato pratico è che l’industria compra
olio o olive dai Paesi nei quali il costo del
lavoro è più basso e sono allevati olivi più
produttivi, ma di minore qualità. Qualun-
PARMA economica
93
mercati esteri
que olio (greco, libanese, siriano, turco, tunisino, marocchino) può quindi diventare
olio italiano. Oltretutto gli industriali e i
commercianti dell’olio possono “lavorare”
l’olio di oliva in modo da eliminarne sapori e odori sgradevoli e quindi correggerlo11.
Commercianti e industriali hanno ottenuto
molti anni fa, nel 1960, anche la classificazione “olio extravergine”, “vergine”, “olio
d’oliva”, “olio di sansa d’oliva”, ecc., aumentando la confusione dei consumatori, come
sempre passivi12. Il risultato è che i marchi
italiani dell’olio di oliva continuano a essere italiani di nome, di immagine, ma non
di proprietà, e tanto meno per quello che
riguarda l’origine delle olive.
Negli ultimi anni, a più riprese si è cercato di ottenere l’obbligo di riportare in etichetta la provenienza vera degli oli e delle
olive (ad esempio 40% tunisina, 30% greca, ecc.). Alcune modifiche sono avvenute:
una sicurezza in relazione all’origine, ad
esempio, è possibile acquistando oli d’oliva DOP, che garantiscono la provenienza
delle olive. Recentemente è stato approvato all'unanimità dal Senato il disegno di
legge ribattezzato “salva-olio”, che resta
così in attesa di ottenere l'ultimo definitivo via libera dalla Camera. Il provvedimento bipartisan contiene norme molto
importanti per la difesa dell'olio d'oliva
italiano. Infatti sembra essere rafforzata la
tutela dell'olio made in Italy con l’applica-
94 PARMA economica
zione di regole che riguardano in particolare il valore probatorio delle analisi basate
sui panel test (ovvero gruppi di assaggio)
e fissano il nuovo ridotto limite sugli alchil esteri (che passano da 75 milligrammi/chilo a 30)13. La disciplina contiene
anche misure di contrasto alla pubblicità
ingannevole e alla illiceità dei marchi. Il
via libera del Senato alla legge “salva olio”
rappresenta quindi un fondamentale passo avanti nella battaglia a difesa del vero
made in Italy dalle frodi e dagli inganni.
Le strategie politiche italiane
Inoltre risulta ancora più difficile correggere la situazione anche per il manifestarsi
di fattori dannosi per l’identità del Paese
produttore, come il ruolo giocato dalle
lobby e dai “Paesi compratori” a livello comunitario. Per quanto riguarda le prime,
industriali e commercianti hanno interesse
a trasformare le materie prime agricole in
commodity senza luogo di origine, in maniera da poterle acquistare dove conviene
di più. D’altra parte la maggioranza dei
Paesi compratori generalmente non ha un
interesse specifico alla produzione di un
particolare prodotto, alle sue qualità organolettiche, al sapore, o all’origine, ma considera più importanti le norme di igiene
del processo e il fatto che il prodotto sia
sicuro.
Altro deficit è quello legato alla contraf-
11 Sull’olio “deodorato” si è aperta
recentemente una polemica per
una nuova normativa europea che
pare aumentare le possibilità di
frodi (regolamento UE 61 del 24
gennaio 2011). Cfr. http://sportelloconsumatori.org/blog/2011/02/25/
alimentazione-scandalo-olio-deodorato-spacciato-per-extraverginepolemica-su-regolamento-ue/ e
http://www.helpconsumatori.it/
news.php?id=31711
12 www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/1010219602010-buon-compleanno-extravergine-tributo-al-a.htm
13 L’analisi degli alchil esteri,
oltre a fornire informazioni sulla
qualità delle materie prime utilizzate e sullo stato di conservazione
degli oli, consente di appurare
se un olio è stato sottoposto a
eventuali processi di cosiddetta
deodorazione, con il quale spesso
prodotti di scarsa qualità vengono
trasformati in extravergine
mercati esteri
fazione e all’agropirateria. Nonostante la
grande visibilità dei marchi della moda
contraffatti, probabilmente è il made in
Italy del cibo il più colpito. Il falso made in
Italy alimentare è valutato, infat14
Il falso made in Italy ti, in oltre 60 miliardi di euro .
Sui giornali compaiono ormai
alimentare è stimato periodicamente segnalazioni di
in oltre 60 miliardi falsi prodotti italiani. Il camdi euro su scala pione assoluto è il parmigiano,
mondiale simile sorte tocca a gorgonzola,
asiago, pecorino romano, ecc.
Come il chianti vendemmiato in
California o il prosecco in Germania e nei
Paesi dell’Est e il San Daniele prodotto in
Canada15. La contraffazione dei prodotti
italiani è un fenomeno doppio: si manifesta da una parte con l’utilizzo a livello
nazionale di materie prime importate da
vendere come italiane e, dall’altra, con la
pirateria internazionale che usa parole, località, immagini, denominazioni italiane
per prodotti che hanno ben poco di italiano.
all’individuo la possibilità di conservare la
sua autonomia di scelta e di decisione16. Il
consumo critico si fonda sulla riflessione
intorno al rapporto tra imprese e consumi
e sull’idea che, dietro alla simulazione del
consumatore sovrano e dei bisogni cui le
imprese cercano di rispondere, si nascondono comportamenti antiecologici, manipolatori e politicamente scorretti. Tali
comportamenti sono agevolati dai consumatori e dalla loro acriticità, incoraggiata
e modellata dalle imprese attraverso molteplici strategie manipolatorie. Il fine del
consumo critico o responsabile è dunque
quello di condurre i consumatori a riappropriarsi dell’autonomia decisionale e di
prendere coscienza del potere che possiedono per condizionare le imprese17.
Rispetto agli altri comparti del made in
Italy, nel food la reazione contro l’appiattimento del gusto, l’omologazione e la massificazione dei consumi è stata più lenta,
meno appariscente, ma comunque decisa
e progressiva.
Primi cambiamenti: il consumo critico
In questa situazione da tempo trascurata,
qualcosa ha iniziato a muoversi progressivamente negli ultimi decenni del secolo
scorso. I fenomeni più rilevanti di natura
sociale e culturale sono stati la nascita dei
consumi postmoderni segmentati e l’avvento della cultura estetica e sensoriale,
che hanno portato alla ribalta mondiale il
made in Italy nella moda e nel design.
Con la postmodernità viene attribuita
Da un mercato di massa a una massa di
mercati
Questi cambiamenti sociali e culturali
sono comparsi prima nelle grandi imprese
multinazionali. Come osserva Bucci18, tutte le più sofisticate tecniche di analisi e di
ricerca hanno fatto percepire per tempo la
necessità di segmentare anche sui mercati
di massa. Segmentare il più possibile: per
salubrità, per dietetica, per gusto. Il trend
di curare e di prevenire con il cibo fa gola
14 www.coldiretti.it/docindex/cncd/
informazioni/322_%2012.htm
15 www.ciamilano.it/cia/index.
php?option=com_content&view=a
rticle&id=381:agroalimentare-atavola-vince-leconomia-dellinganno
&catid=42:rokstories&Itemid=115
16 U. Beck, La società del rischio.
Verso una seconda modernità, Roma,
Carocci, 2000; U. Beck, A. Giddens, S. Lash (a cura di P. Marrone),
Modernizzazione riflessiva. Politica,
tradizione ed estetica nell’ordine
socialedella modernità, Trieste,
Asterios, 1999; A. Giddens (a cura
di M. Guani), Le conseguenze della
modernità. Fiducia e rischio, sicurezza
e pericolo, Bologna, Il Mulino, 1994
17 F. Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio
al commercio equo e solidale, Milano,
Feltrinelli, 1999
18 A. Bucci, V. Codeluppi, M. Ferraresi, cit.
PARMA economica
95
mercati esteri
alle grandi industrie. La sostenibilità e l’ecologia sono temi interessanti e politically
correct e quindi se ne parla sui siti, si commissionano ricerche e si istituiscono fondazioni. La Coca-Cola è stata prodotta in
più gusti (zero, light, senza caffeina, cherry
coke, ecc.); McDonald’s ha proposto un
ampliamento dei piatti e prodotti speciali
più vicini al gusto dei singoli Paesi come,
in Italia, il Mcltaly, con formaggio asiago
e carne italiana sempre secondo la formula
di tutte le vere multinazionali: think global,
act local. L’importanza della dieta sia per la
salute sia per l’estetica ha portato Danone
al lancio di yogurt per migliorare la linea
(Vitasnella), per aumentare la regolarità
dell’intestino (Activia), per ridurre il colesterolo (Danacol, Actimel, ecc.), per aumentare il calcio nelle ossa (Danaos).
Globalizzazione e il caso Slow Food
Altro fenomeno da prendere in considerazione è la globalizzazione del food. Proprio
l’accettabilità di cibi nuovi è stata oggetto
di misurazione attraverso la Scala di Atteggiamento della Neofobia Alimentare (Food Neofobia Scale)19 al fine di poter
predire le probabilità di successo di varie
tipologie di cibo, tra cui anche i cibi etnici considerati non familiari. Il grado di
familiarità del cibo nella spiegazione del
rifiuto o dell’accettazione dei prodotti alimentari acquisisce notevole importanza
rispetto alla globalizzazione del sistema
agroalimentare. Il concetto di globalizzazione rimanda alla distribuzione a livello
globale dei medesimi prodotti alimentari a
opera di aziende multinazionali e a scapito
delle produzioni locali. Paradossalmente,
la rivalutazione culturale della cucina di
territorio si deve proprio al concomitante
processo di globalizzazione. Montanari20
nota che, a dispetto di ciò che pare più
logico, il concetto di cucina del territorio
che salvaguarda le tradizioni e che mira
a un certo conservatorismo locale è un’idea nuova, mentre già la cucina romana
mediterranea e quella medievale europea
aspiravano a conquistare tutto il mondo
conosciuto ai tempi. La globalizzazione
moderna si caratterizzerebbe in modo originale solo per la quantità di persone che
raggiunge, non per il modello dell’internazionalità. Si tratta, sempre secondo Montanari, di un nuovo universalismo di massa
anziché elitario. Dopo aver scoperto i cibi
etnici, ovvero essersi esposta al modello di
cucina internazionale del passato, la nostra
96 PARMA economica
élite gastronomica ha iniziato a rifiutare le
produzioni che potevano raggiungere la
massa, dando così il via a un processo culturale di rivalutazione dei prodotti tipici e
rari del territorio.
A questo riguardo è doveroso citare il movimento internazionale Slow Food21, non
tanto come anticipazione e novità, ma
senz’altro come forza di impatto, al punto
da avere ormai oggi una risonanza mondiale e vantare 86.000 membri in 130 Paesi tra cui Italia, Germania, Svizzera, Stati
Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito.
Nato con la finalità di contrapporre la ricchezza della tradizio- Le multinazionali
ne gastronomica italiana all’omologazione del cibo proposto hanno integrato la
nei fast food, si è imposto in poco propria gamma in
tempo come un movimento in chiave salutista,
grado di contribuire in modo sostenibile e
costruttivo al decision making in
campo agroalimentare a livello politically correct
internazionale.
La principale mission dell’organizzazione è stata da sempre l’educazione al gusto come difesa contro il rischio, la cattiva
qualità e la frode alimentare. Slow Food si
fa promotore delle tradizioni culinarie locali, delle produzioni tipiche e delle specie
vegetali e animali che rischiano l’estinzione a causa di forze economiche orientate
alla globalizzazione e alla massificazione
delle produzioni.
Uscendo dal caso Slow Food, sembra che
si siano aperte nuove possibilità anche al
made in Italy alimentare, essenzialmente proveniente da aziende di dimensioni
medie o piccole le quali precedentemente
non hanno avuto il coraggio, la possibilità
e la capacità di lanciarsi nel grande mercato mondiale che chiedeva soprattutto
prodotti di massa, cioè industriali, non
differenziati.
Il ruolo fondamentale dei media
Da qui lo sviluppo del cibo e del bere ha
iniziato ad assumere nuove dimensioni
culturali: i cuochi diventano nuovi personaggi, le rubriche di ricette sono su tutte
le riviste, prolificano le cucine creative, le
trasmissioni televisive sul cibo e sul vino, i
canali dedicati, le guide, ecc.
Il mondo dei media ha contribuito molto
allo sviluppo dei prodotti alimentari legati
al territorio e alle tradizioni. Oltre a Slow
Food, anche giornali e riviste hanno agito
in contemporanea sullo stesso tema: Paolo
Massobrio con il Club di Papillon, Davide
19 P. Pliner, K. Hobden, Development of a scale to measure the trait of
food neophobia in humans, in «Appetite» (XIX), 1992
20 M. Montanari, 2004, cit.,
pp.117-125
21 www.slowfood.it
mercati esteri
Paolini settimanalmente su Il Sole
Slow Food è ormai 24 Ore e su Radio News 24 con il
Gastronauta, Licia Granello ogni
presente in 130 domenica su la Repubblica, come
Paesi, con 86.000 Edoardo Raspelli su La Stampa e
aderenti così le varie trasmissioni televisive (Linea verde, La prova del cuoco, Gusto) e i canali dedicati come
quello del Gambero rosso22.
È evidente che le decine di riviste specializzate, le rubriche su quotidiani e settimanali d’opinione, le trasmissioni radio e tv,
i libri sulla cultura del cibo non sarebbero
mai stati così numerosi se non ci fosse stata una corrispondenza con l’accentuazione
della sensibilità dei consumatori su questi temi. Lo stesso vale per lo sviluppo di
siti internet e riviste online su cibo e vino,
come Teatro Naturale, Wine News.
Ciò può essere letto come una cartina di
tornasole dei grandi cambiamenti in atto
rispetto ai quali la grande industria dei
prodotti di massa, il marketing e la pubblicità tradizionali non hanno strumenti
massimamente efficaci. Come la pubblicità non può essere utilizzata dai prodotti
artigianali di nicchia anche per problemi
di dimensione, così i prodotti industriali,
pur avendo segmentato la propria gamma,
22 M. Rubino, Fornelli e padelle,
non hanno sufficienti argomenti per alioltre 20 programmi: esplode in tv
la cucina-mania, in «la Repubblimentare di continuo le rubriche redazioca» (20 settembre 2011)
nali (di giornali, riviste, trasmissioni radio
23 A. Pastore, M. Vernuccio, Impresa e comunicazione. Principi
e tv). In questo senso il cibo, il vino, le rie strumenti per il management,
cette, i prodotti tradizionali e di territoMilano, Apogeo, 2008menti per il
management, Milano, Apogeo, 2008
rio, che cambiano anche con l’andamento
dell’annata, sono una miniera inesauribile
di notizie.
Global vs. local
I prodotti made in Italy oggi esistono e
persistono nell’immaginario collettivo: riscoperti, protetti (DOP, DOC, IGP), raccontati sulla stampa, dalla tv e dai cuochi.
In uno scenario competitivo sempre più
acceso, possiamo rilevare come da una
parte sia indispensabile che a livello istituzionale siano approntati meccanismi di
valorizzazione e di difesa del made in Italy,
dall’altra quanto sarebbe opportuno per le
imprese italiane perseguire delle strategie
di posizionamento che facciano leva maggiormente sui valori dell’italianità.
Il vantaggio del prodotto tipico rispetto
a quello globale è di rimandare alle dimensioni di unicità. Infatti l’idea di un
mercato globale e della standardizzazione
sono state spesso lo stimolo per un forte cambiamento di approccio strategico
d’impresa verso una maggiore efficienza
ed efficacia, ma è ormai diffusamente riconosciuto che «una “sovraglobalizzazione”
(Overglobalization) può portare a una perdita di “rilevanza” della principale risorsa
strategica: la marca23». Da ciò deriva che
un prodotto globale punti all’aspetto funzionale, all’utilità a discapito della cultura,
dei valori e dell’immaginario di significati,
che accompagnandolo, ne ostacolerebbero
la piena affermazione e comprensione da
parte dei consumatori globali.
PARMA economica
97
mercati esteri
Come Ritzer24 aveva ben evidenziato,
l’organizzazione McDonald’s può essere
considerata l’emblema della moderna impresa, in grado di sviluppare un sistema
efficiente basato sulla standardizzazione
delle procedure operative. La razionalizzazione non riguarda quindi solo i procedimenti di produzione delle materie prime
e di preparazione dei pasti, ma coinvolge
anche il processo di vendita – inclusa la
relazione con il cliente – standardizzato
e razionalizzato all’estremo. Il cliente diventa un mero consumatore, privato della
sua individualità: non è previsto il soddisfacimento di desideri individuali e non
sono pensabili cambiamenti alle procedure per accontentare clienti diffìcili. Ma
Ariès25 fa notare che in questi ultimi anni
McDonald’s, nell’ambito della politica di
rilancio della propria immagine, tende in
misura sempre maggiore a presentarsi in
opposizione al fast food. Emblema tipico
della disumanizzazione e dell’offerta di un
prodotto privo di personalità, il fast food,
che pure in un passato relativamente recente era sinonimo di modernità, diventa
anche per McDonald’s uno stereotipo negativo da cui allontanarsi. Questa riflessione evidenzia come una promozione basata
sull’esaltazione dell’efficienza non sia sufficiente a garantire un duraturo successo
commerciale.
Nel dopoguerra si diffonde un certo sentimento di nostalgia nei confronti di una
tradizione rurale sopraffatta dall’urbanizzazione: si cerca di consumare alcuni oggetti non in quanto tali, bensì per le emo-
98 PARMA economica
zioni che si possono evocare con
essi. Come Bourdieu26 fa notare,
Dal dopoguerra
quello che si consuma, come e
quando, sono parte di un sistema il cibo non è più
culturale specifico, che viene ac- solo un bisogno
quisito come parte del processo nutrizionale ma
di socializzazione.
Lungo tale continuum va, quindi, anche simbolico:
inserito il discorso relativo alla diventa “cultura”
diffusione dell’interesse per una
modalità di fruizione del cibo attenta al
ritrovato legame tra quest’ultimo, il territorio e la tradizione. Lo si può considerare
dunque come momento e mezzo di soddisfazione di bisogni altri rispetto a quelli legati alla nutrizione, bisogni di natura
simbolica prima che fisiologica. Sempre
più si afferma il principio che il cibo sia
cultura: la degustazione di un piatto o di
un vino tipico diventa anche la spinta motivazionale allo spostamento e alla scoperta di territori prima sconosciuti.
24 G. Ritzer, Il mondo alla McDoPaolini27 ha coniato il concetto di “giacinald’s, Bologna, Il Mulino, 1997
menti gastronomici”, che rimanda a pro25 P. Ariès, I figli di McDonald’s.
La globalizzazione dell’hamburger,
dotti con un contenuto simbolico dato
Bari, Dedalo, 2000
dalla qualità, strettamente legati al terri26 P. Bourdieu, La distinzione, Per
torio e che hanno la loro ragione di esiuna critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino, 1983
stere proprio in questo legame. Prodotti
27 D. Paolini, I luoghi del gusto.
che riflettono le peculiarità del territorio
Cibo e territorio come risorsa di marketing, Milano, Baldini e Castoldi,
e lo esprimono attraverso un mosaico ali2000
28
mentare non riproducibile su larga scala .
28 M. Antonioli Corigliano, G.
Viganò (a cura di), Turisti per
Il consumatore di questi prodotti è attento
gusto. Enogastronomia, territorio,
a ciò che le merci riescono a dargli in tersostenibilità, Novara, De Agostini,
2004, pp. 91-113
mini di soddisfazione e quindi attribuisce
29 M. Antonioli Corigliano, Stragrande importanza ai processi di scelta e
de del vino ed enoturismo. Distretti
29
turistici e vie di comunicazione,
di acquisizione dei beni .
Milano, Franco Angeli, 1999, pp.
L’interesse verso un consumo che guarda
102-3
mercati esteri
al globale si accompagna a un analogo interesse verso il locale: lungi dall’essere in
totale antitesi, questi due elementi rappresentano le due facce della stessa medaglia,
due aspetti complementari di un universo
complesso.
Superficialmente si potrebbe pensare che
McDonald’s non lasci spazio alla gastronomia tipica, la quale a sua volta non vuole
avere nulla a che fare con la standardizzazione. Idealmente è così. Nella pratica
quotidiana invece il rapporto si complica
e comportamenti di consumo contrapposti si mescolano; così anche il giovane
frequentatore di ristoranti commerciali
sceglie per alcune occasioni particolari un
locale in grado di offrire cucina tradizionale e di qualità. L’alimentazione è uno dei
campi dove si disputa la sfida tra globale e
locale. Da un lato il prodotto tipico viene
visto come oggetto fragile che deve essere
protetto – il cibo è il simbolo di
un’identità da salvaguardare - ma
Think local, act allo stesso tempo e per sua natura
global vuol dire anche terreno della contaminapensare a qualcosa zione.
globalizzazione, lontana
di unico, legato al La
dall’essere un fenomeno da desolo elemento che monizzare30, ha favorito il renon si può spostare: cupero del locale. La barriera
il luogo “locale-globale” non esiste: il
McDonald’s adotta i prodotti
locali così come il locale sbircia
30 P. Ariès, cit.
continuamente all’ambito globale. Le culture globali rafforzano quelle locali attraverso lo scontro.
In primis è fondamentale la conoscenza
del mercato globale e delle culture alimentari con le quali si entra in contatto
nel momento in cui si cerca di diffondere un prodotto tipico. Risulta necessario
essere percettivi, ascoltare i consumatori,
osservare i loro atteggiamenti e indagare le
loro motivazioni e le loro aspettative. Non
devono essere ignorate le nuove tendenze
di consumo dirette alla riscoperta della naturalità, della genuinità e dell’artigianalità
che, dal punto di vista specifico del made
in Italy alimentare, possono rappresentare
il nuovo trampolino di lancio, la vera occasione per riaffermare la propria immagine.
Una strategia che può risultare vincente,
date le premesse, è il rovesciamento di
quella adottata dalle multinazionali: think
local, act global. Il principio è quello di seguire la strada inversa a quella dell’omologazione. Quindi pensare a qualcosa di
“locale”, non imitabile, non riproducibile, qualcosa legato all’unico elemento che
non si può spostare: il luogo, la sua storia,
il suo genius loci.
Bisogna essere consapevoli del fatto che
i prodotti alimentari di origine locale e i
metodi tradizionali e artigianali di produzione in Italia (e in altri Paesi) esistono e
occorre conservarli e farli conoscere. Nel-
PARMA economica
99
mercati esteri
le gastronomie e anche nei supermercati
grandi e piccoli, in città e nei centri commerciali, a fianco dei prodotti industriali
guadagnano sempre più spazio prodotti
tradizionali e artigianali: paste secche e
fresche, salumi, formaggi, yogurt, cioccolato, aceti, biscotti, ecc. Compaiono sul
mercato - con la rapidità sempre sorprendente dell’imprenditoria italiana - marche
artigianali che recuperano le produzioni
tradizionali. Anche la legge ha aiutato
questa definizione di diversità e specificità
di produzioni locali italiane con le DOP
e le IGP, che stabiliscono territorio, prodotto originale, tecniche produttive e che
concedono un marchio utilizzabile sulla
confezione.
In questo modo diventa primario riscoprire il significato del locale e il suo vantaggio di esclusività. Una volta riconosciuta la
natura profonda del prodotto tipico made
in Italy, è doveroso da una parte pianificare delle misure atte a tutelarlo e a conservarne i metodi tradizionali e artigianali di
produzione, dall’altra promuovere la cultura delle sapienze locali.
Si può pensare allora che un fattore importante su cui agire sia acquistare una
maggiore forza contrattuale aggregandosi.
Questa è l’idea della cooperativa e dei consorzi. Il principio di mettersi insieme oggi
100 PARMA economica
acquista un’importanza sempre maggiore.
Alcune cooperative e alcuni consorzi gestiti imprenditorialmente, infatti, funzionano molto bene: prendendo in considerazione la nostra zona possono essere citati
quello del Parmigiano-Reggiano o quello del Prosciutto di Parma. Cominciano
quindi a esserci esempi virtuosi
di associazionismo imprendito- La promozione del
riale. La crisi attuale dei consumi
made in Italy deve
deve servire da acceleratore.
Altri obiettivi commerciali e di passare anche per
comunicazione sono più facil- l’aggregazione, la
mente perseguibili insieme: asso- filiera corta, l’eciarsi per raggiungere una massa
critica visibile e portarsi diretta- commerce
mente il più vicino possibile al
mercato sono due risorse importanti per i
produttori di made in Italy, che oggi più
che mai hanno la possibilità di accorciare le distanze con il consumatore: i farmer
market (come Agri Service) sono evidentemente un’occasione per chi coltiva vicino alle grandi città di partecipare alle
sagre e alle fiere locali. In questo modo è
possibile anche avvicinare il consumatore
facendo leva sulla relazione diretta e sul
forte coinvolgimento esperienziale dato
da questi luoghi di consumo unici.
Tuttavia si rimane ancora su una dimensione e un approccio troppo provinciali. I
mercati esteri
prodotti di territorio, dei piccoli produttori artigianali possono diventare strumenti
anche di comunicazione e di esclusività oltre che di vendita. Di ciò all’estero
stanno approfittando anche direttamente
i produttori per tentare l’avventura della
distribuzione monomarca, con negozi e
vendite in e-commerce. Alcune recenti catene francesi come La cure gourmande e
la Conserverie la Belle-Iloise dimostrano
come pensare a un progetto distributivo
diretto sia possibile. La prima infatti propone negozi che riproducono un’ideale
vecchia pasticceria artigianale con biscotti, cioccolatini, caramelle in vendita anche
sciolti e da confezionare in scatole di latta
appositamente disegnate, anch’esse con un
look retro. La seconda presenta negozi in
stile marinaro in cui vende scatolette di
tonno, sardine e vari paté a base di pesce
con una grafica artigianale molto invitante
e una storia legata a un peschereccio che
naviga sulle coste atlantiche francesi.
Concludendo, è necessario operare molto concretamente e imprenditorialmente,
per esempio iniziando a produrre in loco,
e quindi esportare il savoir faire italiano e l’importanza per il controllo ferreo
della qualità delle materie prime. Non si
tratta di vero made in Italy, chiaramente,
ma la qualità finale di queste produzioni,
realizzate all’estero con know how italiano, è senz’altro nettamente migliore di
quella dei prodotti che attualmente sono
contrabbandati come italiani senza alcun
controllo.
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PARMA economica 101
cultura E TERRITORIO
Un vanto rosa per la città
Maria Luigia d’Asburgo-Lorena e Anna Maria Adorni: due donne di origini
diverse, due personalità legate dall’amore per la nostra città, due biografie
inedite per raccontare la Parma dell’Ottocento
Stefania Delendati
T
ra le pieghe della storia, la vita di due
donne ci accompagna in un viaggio
indietro nel tempo, nella Parma del
XIX secolo. Maria Luigia d’Asburgo-Lorena e Anna Maria Adorni non sono originarie del nostro territorio, sono arrivate
qui prese per mano da un destino che le ha
rese protagoniste di iniziative capaci di suscitare nella gente un affetto che continua
dopo un secolo e mezzo. Hanno vissuto
la stessa epoca, condividendo un pezzo
di strada. Se una, Maria Luigia, racconta i fasti di corte, l’altra, Anna Maria, ci
porta tra gli ultimi della società. Nel loro
carattere scopriremo tratti di inaspettata
modernità, attraverso le loro vicende personali capiremo meglio la storia sociale,
politica e del costume della nostra città,
ritrovando scorci dimenticati ancora presenti nella Parma odierna.
La duchessa che si curava con l’omeopatia
Il 29 dicembre 1847 la Gazzetta di Parma esce con un supplemento dedicato agli
ultimi giorni di vita e alle esequie di Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, duchessa di
Parma, Piacenza e Guastalla per oltre 30
anni. Una copia di quel numero speciale
del quotidiano cittadino è conservata nel
Museo Luigi Musini di Fidenza ed è lì
a testimonianza dell’enorme affetto che i
sudditi del parmense nutrivano per la loro
sovrana, capace di dar vita a un governo
moderato che ancor oggi si fa ricordare per
le numerose opere pubbliche e gli interventi di carattere sociale. Ma nel privato
Una raffigurazione di Anna
Maria Adorni
102 PARMA economica
cultura E TERRITORIO
chi è Maria Luigia, questa nobile austriaca
che, al contrario della prozia Maria Antonietta, all’estero ha trovato una seconda
casa? E davvero la politica da lei voluta
non è mai attraversata da ombre?
Maria Luigia è la primogenita dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa
delle Due Sicilie. Da quando viene alla
luce, il 12 dicembre 1791, e per tutta la
giovinezza respira nella corte paterna un
certo disprezzo per un uomo cui il destino la legherà: Napoleone Bonaparte. Un
borghese, quindi già per questo da considerare con distacco, oltretutto colpevole di
aver ridotto l’Austria a un “satellite” della
Francia e pronto a sovvertire l’ordine dinastico europeo. Insomma, quanto di peggio per la giovane figlia di un imperatore.
Sennonché Maria Luigia, oltre a essere
educata all’obbedienza, è mite per natura
e non si oppone alle nozze combinate proprio con l’inviso Napoleone, desideroso di
assicurarsi un erede al trono dopo
fallito matrimonio con GiusepMaria Luigia ilpina
Beauharnais. La ragion di
d’Asburgo-Lorena, stato non ha quindi difficoltà ad
duchessa di Parma, avere la meglio sul sentimento e
Piacenza e Guastalla, nel 1810 si celebra il matrimonio.
L’arciduchessa d’Austria ha 19
per oltre 30 anni anni, 22 in meno di Bonaparte,
arricchisce la città non è una bellezza rara ma ha un
di opere che ci sono aspetto florido e in salute, il che
ancora care lascia ben sperare sulle sue capacità generative. Passa soltanto un
anno e Maria Luigia ottempera
al “contratto” dando alla luce il figlio tanto desiderato, Napoleone Francesco re di
Roma, detto Franz.
Malgrado la nascita del bambino gli sposi mantengono rapporti formali. D’altra
parte Napoleone è essenzialmente un rude
soldato, mentre Maria Luigia ha un’ottima
cultura e proviene da una corte raffinata.
Il senso del dovere e la fede religiosa non
le permettono tuttavia di tradire il marito,
anzi, si dice che quando la sorte volta le
spalle al grande condottiero lei chiede ma
non ottiene di seguirlo all’isola d’Elba. Le
decisioni politiche successive al congresso
di Vienna le assegnano a vita il ducato di
Parma, Piacenza e Guastalla. Il 19 aprile
1816 Maria Luigia passa il Po a Casalmaggiore su un ponte di barche costruito
per l’occasione. La simpatia del popolo è
subito dalla sua parte quando decide di
devolvere ai poveri la somma destinata
ai festeggiamenti per l’insediamento. Al
suo fianco c’è il conte Adam Albrecht
Maria Luigia in un quadro
d'epoca
di Neipperg, aitante quarantenne colto
e intelligente che Metternich ha scelto
per supportarla nel governo del ducato.
Neipperg ha anche un altro ordine: conquistare il cuore di Maria Luigia e favorire
così la sua permanenza a Parma. Compito
tutt’altro che difficile, il conte ama l’arte,
la musica e la letteratura come la duchessa, ha modi cavallereschi molto diversi da
quelli di Napoleone e presto diventa il suo
amante. Si sposano l’8 agosto 1821 e hanno due figli, Albertina e Guglielmo conti
di Montenuovo, nati prima del matrimonio e perciò inizialmente impossibilitati a
vivere a palazzo, particolare che farà molto
soffrire la madre.
Ma facciamo un passo indietro, all’arrivo
di Maria Luigia. La prima notte nel parmense la trascorre nel palazzo ducale di
Colorno, sua futura residenza estiva, che
apprezza dal primo istante al punto che
anni dopo, quando deve muoversi in incognito, assume il falso nome di contessa
di Colorno. Si può dire che anche il titolo di duchessa di Parma è più di facciata
che di sostanza, è Neipperg a governare il
ducato in modo da rendere ben accetta la
dominazione austriaca, portando i sudditi a riconoscersi nella loro sovrana. Maria
Luigia dal canto suo non mostra mai particolare interesse per gli affari di stato neppure quando è costretta a essere reggente
di Francia durante la campagna di Russia
PARMA economica 103
cultura E TERRITORIO
di Napoleone. Solo con l’aiuto del fidato
Neipperg promuove quelle iniziative per
le quali è ancora ricordata, mostrando ancora una volta un innato bisogno di aver
accanto una persona a cui appoggiarsi.
La realtà parmigiana che trova non è delle
migliori, i primi interventi sono volti alla
ripresa delle attività produttive, a partire
dall’agricoltura, e vengono rilanciate le
opere pubbliche con la costruzione del
ponte in muratura sul Taro lungo la via
Emilia. I “lavori in corso” comprendono il
cimitero della Villetta, le beccherie nell’odierna piazza Ghiaia e il foro boario. Sul
fronte culturale, acquista tutti i volumi
dell’orientalista Gianbernardo Rossi per
la Biblioteca Palatina, sistema il Collegio
dei Nobili che oggi porta il suo nome e
proprio nel centro della città fa erigere il
Teatro Regio. Mostra attenzione per i più
bisognosi fondando istituzioni avanzate
per l’epoca, come l’ospizio della maternità
per le ragazze madri, e restituisce i beni
patrimoniali agli ordini religiosi. È ricordata anche per il codice civile pubblicato
nel 1820, uno dei più avanzati del XIX
secolo. Non è di quelle sovrane che si limitano a deliberare, la duchessa di Parma
vuole controllare con i propri occhi la situazione delle sue terre. Di questo “essere
un po’ San Tommaso” è rimasto il “sentiero di Maria Luigia”, nei pressi del Lago
Santo, costruito per consentirle di controllare le risorse idriche della valle e ancora in
gran parte ricoperto dalla pavimentazione
originaria. Tanto impegno per il popolo è
ricambiato con calore nel corso delle visite nei quattro angoli del Ducato, come
quella a Bardi di cui narra la Gazzetta di
Parma dell’8 giugno 1836. Nonostante
il clima pessimo del periodo, Maria Luigia mantiene la promessa di conoscere i
sudditi dell’alto appennino per informarsi
personalmente delle loro necessità.
Chissà se anche durante questo viaggio porta con sé la sua farmacia portatile
di manifattura francese, oggi esposta nel
Museo Glauco Lombardi. Maria Luigia
soffre di disturbi respiratori, reumatismi
e febbre ricorrente, oltre all’emicrania che
nel 1839 la porta a tentare un rischioso
intervento chirurgico. Quindi un po’ per
necessità, un po’ per ipocondria, non si
sposta mai senza una scorta di medicinali che comprende rimedi naturali (è una
delle prime a credere nell’omeopatia, nella
farmacia portatile ci sono 24 provette di
soluzioni a base di erbe) e medicine più
104 PARMA economica
Lo stemma del Ducato di
Parma
forti come oppiacei e assenzio.
Non mancano garze e cerotti in Maria Luigia non
questa casetta del pronto soccorso ante litteram, certo più elegan- mostra mai interesse
te di quelle odierne, con boccette per gli affari di Stato,
in cristallo di Boemia e vasetti in nemmeno quando
terracotta invetriata.
deve fare la reggente
Il “mestiere” di sovrana non sembra scalfire più di tanto l’animo di Francia
tranquillo di Maria Luigia, l’inclinazione quieta e forse un po’ superficiale le consente di distaccarsi da pensieri tristi e affanni, trovando vari modi per
evadere, a partire dalle feste che organizza
a corte con valletti e cortigiani vestiti di
viola, il suo colore preferito. Amante della vita semplice, riflette questa attitudine
in numerosi hobby o, come li chiama lei,
«gusto dell’occupazione». Adora sporcarsi le mani nell’orto e chiede alla marchesa
Montebello «il più completo assortimento di legumi e di tutte le specie d’insalata e di radicchi che esistono in Francia».
L’orto botanico, anch’esso nato per sua
volontà, e la residenza di Colorno sono i
luoghi deputati alla coltivazione della famosa violetta di Parma, un’ossessione per
Maria Luigia ancor prima dell’arrivo nella
nostra città, probabilmente l’unico punto
in comune con Napoleone che in esilio a
Sant’Elena coltiva violette. La passione
per questo fiore si respira nelle sale del
Museo Lombardi che conserva alcune
lettere dove la duchessa sostituisce la firma con il disegno di una viola. Nelle ore
libere apre i suoi nécessaire dedicandosi a
cucito e ricamo con risultati apprezzabili,
come dimostra l’ampio tappeto da tavolo
da lei decorato, e riadattando vecchi abiti
non più alla moda, come quello con decori
in lamina d’argento modificato per la figlia Albertina. I suoi strumenti di lavoro,
con i quali realizza anche fiori di carta e
cultura E TERRITORIO
stoffa, per sua volontà testamentaria sono
lasciati alle allieve del Collegio del Sacro
Cuore di San Paolo presso cui la figlia li
recupera quando il convento viene chiuso.
I cani da compagnia sono un altro passatempo prediletto che trova conferma nella
corrispondenza privata e nei suoi disegni
ad acquerello.
Tra un hobby e l’altro la storia procede.
Nel 1821 iniziano i moti carbonari che a
Parma non provocano grandi sconvolgimenti, al contrario della morte di Neipperg nel 1829. Con lui se ne va il perno
del ducato e il compagno di una vita, ma a
Maria Luigia è concesso di portare il lutto
solo in privato. Al suo posto Vienna manda il barone Joseph von Werklein, molto
simile a certi personaggi dei giorni nostri.
Ambizioso e accentratore, si dimostra subito uno squalo nell’amministrazione della cosa pubblica, indirizzando gli appalti
in modo da avvantaggiare se stesso e gli
interessi privati di persone a lui vicine.
La situazione dello Stato risente di quotidiane manovre speculative, favorite dal
licenziamento di controllori e periti finanziari. L’immagine fino ad allora cristallina del ducato si appanna. Soltanto i moti
patriottici del 1831 riescono a
Werklein che scampa
Le carte dimostrano fermare
a un attentato all’arma bianca e
che rimane estranea fugge in Austria, mentre a Parma
alla “tangentopoli” di Gaetano Testa, suo compagno di
corte sotto il dominio malaffare, viene obbligato a reini fondi illegalmente preaustriaco tegrare
levati dalle casse ducali. Le carte
custodite nell’Archivio di Stato
cittadino dimostrano che Maria Luigia
non è coinvolta nella “tangentopoli ducale”, ma per il suo animo tranquillo, abituato ad affrontare solo un problema alla volta, quelli sono anni che segnano l’inizio di
una serie di vicissitudini che si susseguono
una dopo l’altra.
Nel 1831 non solo vengono alla luce i
danni del governo corrotto di Werklein,
ma Maria Luigia abbandona la città per
l’avanzare dei patrioti. Al rientro, con il
potere ristabilito dagli austriaci, è lei a mitigare la reazione contro gli esponenti delle nuove dottrine politiche che auspicano
l’unità d’Italia. Nel 1832 si reca a Vienna
al capezzale del figlio avuto da Napoleone
e dal quale è stata costretta ad allontanarsi
nel 1816. Sebbene alcuni biografi l’accusino di non averlo amato, lei rimpiange
sempre di non aver potuto vederlo crescere e quando Franz muore il colpo è tanto
duro da minare la salute della duchessa.
Tre anni dopo, un altro distacco doloroso,
quello dall’amatissimo padre. Nel mezzo
di questi eventi luttuosi, Maria Luigia trova la forza di continuare le intense attività
a favore di Parma, soprattutto nell’ambito delle istituzioni culturali. Rinsalda così
il rapporto con la città che, riconoscente,
le intitola la congregazione religiosa delle
Maestre Luigine.
Intanto le idee liberali si fanno strada in
tutti i ceti sociali e l’Austria, nel tentativo
di porvi freno, manda a Parma il conte di
Bombelles in qualità di custode di quegli
interessi austriaci sempre meno tollerati
dalla popolazione. A Maria Luigia viene
ordinato di sposarlo e lei ancora una volta
accetta senza spinta sentimentale. La vecchiaia della duchessa è precoce, aiutata dal
suo proverbiale appetito, con una predilezione per i dolci, che le causa problemi
di salute e di linea. Gli ultimi anni sono
sereni, trascorsi quasi in isolamento con
l’unica compagnia della figlia e dei nipoti.
Dopo una vita intensa, il 17 dicembre
1847 Maria Luigia si spegne e con il ritorno dei Borboni a Parma si chiude un’epoca. Dopo l’esposizione della salma per
Una moneta del Ducato
con l'effigie della duchessa
Maria Luigia
PARMA economica 105
cultura E TERRITORIO
sei giorni a Palazzo Ducale, la vigilia di
Natale si svolgono i funerali. La duchessa
viene sepolta nella cripta dei Cappuccini
a Vienna, accanto al figlio Franz. Se un
parmigiano contemporaneo va nella capitale austriaca non può esimersi dal portare
sulla tomba di Maria Luigia un mazzo di
violette, posandolo accanto ai tanti omaggi floreali con cui la gente di Parma, dopo
oltre un secolo e mezzo, continua a salutarla con immutata simpatia affettuosa.
L’amica delle donne
Parma, prima metà del XIX secolo. Una
bella signora bionda cammina nel centro della città avvolta in abiti alla moda.
È Anna Maria Adorni, moglie del dottor Antonio Domenico Botti, impiegato
del controllo della casa ducale presso la
corte di Maria Luigia. Insieme vivono in
un’ampia casa in vicolo Sant’Ambrogio
con il figlioletto Leopoldo, l’unico dei loro
sei figli che raggiunge l’età adulta. Hanno
una domestica, sono amici della nobiltà
parmigiana, partecipano con piacere alla
vita mondana cittadina. Anna Maria arriva in città nel 1820, a 15 anni, insieme
alla mamma Antonietta. Devono abbandonare la natia Fivizzano, in provincia di
Massa Carrara, in seguito alla morte del
padre di famiglia e al conseguente dissesto
finanziario. La scelta di un luogo dove ricominciare cade su Parma perché qui vive
la potente famiglia Ortalli, stretta parente
degli Ortalli di Fivizzano. In una modesta
casa in via della Peschiera (oggi piazzale
Battisti) le due donne ritrovano un po’ di
serenità, aiutate dal clima tranquillo che si
respira in città.
Anna Maria, per tutti Carolina, è graziosa, intelligente e il suo carattere amabile la
fa benvolere dagli Ortalli che la assumono come istitutrice delle figlie. Malgrado
non abbia frequentato che alcune classi
elementari, è in grado di leggere e scrivere, oltre ad essere abile nel cucito, ai tempi
considerato essenziale per una ragazza a
modo. In casa Ortalli, si presume ubicata nel vicolo omonimo nelle vicinanze di
via Mazzini, Anna Maria impara l’arte di
comportarsi in pubblico e inizia a tessere
legami che più avanti le tornano utili per
concretizzare il progetto di riabilitazione
materiale e spirituale delle giovani disagiate. Frequenta la chiesa di San Pietro, poco
distante da piazza Garibaldi, e il monastero delle cappuccine, nella zona oggi chiamata barriera Farini. Nei colloqui privati
106 PARMA economica
con la badessa alimenta quella fede nella
quale i genitori l’hanno educata, tanto da
meditare di entrare in convento.
Ma il dovere di figlia non le permette di
lasciare sola la madre. Quello con il dottor
Botti non è però un matrimonio forzato:
come una ragazza moderna Anna Maria si
sposa per amore e già da questo dettaglio
si manifesta l’apertura mentale di una donna che le biografie ufficiali ci consegnano
come una figura mistica, trascurando un
po’ quella determinazione che le ha fatto
anticipare i tempi. E poi Anna Maria, in
quegli anni felici di cui dicevamo prima, si
compiace della propria bellezza, apprezza
molto la vita che le consente il suo status
sociale e con tutta l’aristocrazia parmigiana assiste alla prima della Zaira di Bellini
messa in scena per l’inaugurazione del Teatro Regio il 16 maggio 1829.
Nel 1831 qualcosa si incrina in
questo quadro perfetto, Parma Anna Maria Adorni
non è più l’oasi felice che ha acè la moglie di un
colto Anna Maria e sua madre.
Ci sono le rivolte dei cosiddetti impiegato ducale
“patrioti” che obbligano Maria presso la corte di
Luigia ad abbandonare tempo- Maria Luigia. Tempi
raneamente la città. Corrono
dei rischi tutte le persone che in di ristrettezze
qualche modo gravitano intorno la avvicinano
alla corte ducale; Botti chiede alle persone più
alla moglie di esprimersi in dia- sfortunate
letto parmigiano, abbandonando il suo italiano della Lunigiana, per non vedersi accomunati a coloro
che reclamano l’unità d’Italia. Anche sul
piano personale il percorso si fa difficile.
Nel 1844 Anna Maria rimane vedova con
quattro figli da crescere. Cominciano le ristrettezze economiche, il sussidio disposto
dalla duchessa (433,35 lire all’anno) non
basta per mantenere la famiglia che si trasferisce in un appartamento più piccolo
nell’attuale Borgo Riccio al civico 34.
Le nuove condizioni, molto meno favorevoli, avvicinano Adorni alle persone più
sfortunate. Ha sempre fatto l’elemosina ai
mendicanti che bussano alla sua porta, ma
la povertà autentica è nei quartieri più popolari che la signora Botti non frequenta.
Si reca spesso nella chiesa di San Rocco
e conosce dom Attilano José Oliveros,
un benedettino spagnolo del convento di
San Giovanni. È quest’uomo il primo a
intuire il grande potenziale di Anna Maria, indirizzandola a insegnare catechismo
alle recluse nel carcere di Sant’Elisabetta.
Lei accetta con riluttanza e non possiamo
cultura E TERRITORIO
darle torto. Il contesto sociale parmigiano nella seconda metà dell’800 è tutt’altro
che roseo. La maggior parte delle persone è ridotta in miseria. In Oltretorrente
la gente vive letteralmente in strada, facile vittima delle frequenti epidemie che si
aggiungono alla tubercolosi, alla pellagra
e alla malaria, ormai endemiche.
Si può dire che la Sono giunte fino a noi relazioni
del Ministero del Buon Governo
Adorni abbia di fatto dell’epoca di Maria Luigia che
inventato la terapia parlano di tre-quattro reati al
occupazionale nelle giorno, perlopiù furti. Le retate
carceri antiprostituzione sono numerose
quanto vane. Il carcere è lo specchio della città, ospita in media
800-1.000 persone, tra cui un centinaio di
donne che finiscono nella sezione femminile di Sant’Elisabetta, vicino a piazzale
San Francesco. Sono piene di miseria e
rabbia, alcune si sono macchiate di crimini
orribili, ma Anna Maria non si lascia scoraggiare. Anzi, osservandole ha un’intuL'ingresso del convento di
izione lungimirante: quelle donne hanno
San Cristoforo
bisogno di tenersi occupate con qualcosa
di utile, perché quel luogo di punizione diventi il trampolino per un futuro migliore.
Così si arma di ago e filo e insegna alle
detenute a cucire. Si può dire che Anna
Maria Adorni è stata l’inventrice della terapia occupazionale in carcere.
Il successo della sua idea è immediato, al
punto che si rende necessario trovare un
aiuto per far fronte alle richieste delle prigioniere. Adorni si rivolge alle nobildonne
di Parma, quelle stesse signore cui fino a
poco tempo prima l’accomunava un’agiatezza ormai dimenticata. Sul finire del
1846 una ventina di pie dame, con una
fascia bianca orlata di rosso posata sulla
spalla destra quale segno distintivo, comincia a far visita giornaliera al carcere.
Il gruppo viene denominato “Pia Unione
delle Dame Visitatrici delle carceri, sotto
la protezione dei Sacratissimi Cuori di
Gesù e di Maria” e continua la sua attività fino al 1892. Il giorno di San Martino
del 1848 tre ex detenute accompagnate da
un’istitutrice entrano in un appartamento
preso in affitto nell’attuale via XXII luglio.
Così ha inizio la storia di quello che ancor
oggi è conosciuto come l’Istituto del Buon
Pastore per l’accoglienza delle giovani in
stato di abbandono.
Ma Anna Maria non è il tipo che si accontenta facilmente, raggiunto questo obiettivo già ne accarezza un altro più ambizioso:
riabilitare un numero maggiore di giovani.
La soluzione è in una casa rossa in Borgo
della Canadella (ora via Primo Groppi)
dove a partire dal 1852 trovano ospitalità
otto ragazze, a fronte di un affitto annuo
di 400 lire pagato grazie al sussidio mensile elargito dalla duchessa Luisa Maria,
moglie del duca di Parma Carlo III. Non
senza subire critiche e tentativi di dissuasione da parte degli amici più intimi, la
stessa Anna Maria un anno dopo si trasferisce nella “casa rossa”.
Nel luglio 1855 a Parma arriva il colera
che in soli quattro mesi porta via 8.200
persone su una popolazione di 45mila. Un
evento tragico che segna tuttavia una svolta positiva per i progetti della Adorni che
da tempo ha messo gli occhi sull’ex convento di San Cristoforo, un grande edificio in quella che oggi è la via dedicata a
lei. Un luogo perfetto non solo per accogliere le ragazze bisognose, ma anche per
ospitare un vero e proprio ordine religioso.
Anna Maria entra in San Cristoforo il 18
gennaio 1856. Vi rimane da sola per otto
PARMA economica 107
cultura E TERRITORIO
giorni, in una condizione disastrosa che lei
stessa descrive con queste parole: «Molto
freddo, senza finestre e senza porte alle
stanze». Dalle note amministrative risulta
che per risistemare i locali occorrono, nel
corso di diversi anni, 70mila lire, una somma enorme per l’epoca. Le difficoltà economiche non scalfiscono le intenzioni di
Madre Adorni. Il 9 novembre 1856, cinque giorni dopo la morte della figlia Celestina, Anna Maria presenta alla duchessa
un memoriale in cui chiede ufficialmente
l’autorizzazione a fondare un nuovo ordine religioso. Con un piccolo sotterfugio,
ovvero presentandosi come una derivazione delle Religiose di Nostra Signora della
Carità del Buon Pastore di Angers, l’opera
di Madre Adorni viene riconosciuta come
società di pie donne, non come congregazione religiosa, un attestato difficile da
ottenere.
Il 1° maggio 1857, il convento è finalmente adattato e si avvera il sogno di Anna
Maria con l’ingresso in San Cristoforo
di sette aspiranti suore, sette giovani ravvedute e nove orfanelle. Tra le regole che
le ragazze devono seguire, una stupisce
per intelligente senso pratico: le preghiere passano in secondo piano se i bisogni
della comunità richiedono di rimboccarsi
le maniche e dare una mano. E le occupazioni non mancano: le visite alle prigioni, l’assistenza agli ammalati a domicilio,
l’insegnamento del catechismo ai bambini, il soccorso ai poveri e la carità ai nobili
decaduti, quest’ultima messa in atto con
delicatezza in modo da non farla apparire
come un’elemosina.
Con l’annessione di Parma al Regno d’Italia nel 1860 cominciano tempi duri. La
città è trattata come terreno di conquista, i
suoi palazzi vengono spogliati delle opere
d’arte e la povertà si fa più dilagante. La
soppressione della corte ducale e di tutti i
titoli nobiliari provoca una drastica diminuzione delle offerte al Buon Pastore. Ma
il favore di cui gode l’istituzione religiosa
fa sì che anche i momenti più bui vengano
superati, come durante il colera nel 1867
quando Madre Adorni e le sue compagne
sono costrette a lasciare San Cristoforo per
trasferirsi nella villa San Lazzaro, appena
fuori città, messa a disposizione dal Cavaliere Mattia Ortalli, fratello delle ragazze
cui Anna Maria ha insegnato da giovane.
Due anni e mezzo dopo, con il definitivo
ritorno a San Cristoforo, l’attività dell’istituto è ormai ben avviata. Manca solo un
108 PARMA economica
tassello per rendere pienamente
felice Anna Maria, ormai resa Proclamata beata
quasi immobile dalla malattia: il
pieno riconoscimento come con- il 3 ottobre 2010,
gregazione religiosa per le sue la Adorni ha
Ancelle dell’Immacolata. Una attraversato quasi
soddisfazione che arriva poco tutta la seconda
prima che spiri, il 7 febbraio
metà del XIX secolo,
1893.
Anna Maria Adorni, proclamata divenendo una delle
beata il 3 ottobre 2010, attraversa figure più amate di
quasi tutta la seconda metà del
Parma
XIX secolo divenendo una delle
figure più amate di Parma. Le
sue spoglie riposano nella Casa Generalizia delle Ancelle dell’Immacolata, in via
Domenico Maria Villa. Rimangono quanto mai attuali le sue idee e la preziosa opera che le sue Ancelle proseguono ai giorni
nostri.
Bibliografia
P. Agnetti, Il miracolo di Anna Maria, Parma, Grafiche Step editrice, 2010
L. Augusto, Far rifiorire la speranza, Roma, Città
Nuova Editrice, 1982
L. Togninelli, All’ombra della corona. Manovre istituzionali e speculative nel Ducato di Maria Luigia dal
1814 al 1831, Parma, Editrice Alessandro Farnese,
2012
Webgrafia
www.ancelleparma.wordpress.com
www.gazzettadiparma.it
www.museolombardi.it
www.parma.repubblica.it
La tomba della beata Anna
Maria Adorni
cultura E TERRITORIO
L’Oltretorrente ai tempi
del fascismo
La storia del popolare quartiere cittadino durante il Ventennio, tra
repressione politica, trasformazioni urbane e disgregazione sociale
William Gambetta
Q
uando Benito Mussolini arrivò al
potere nell’ottobre 1922, la situazione di Parma era molto diversa
da quella di tante altre città italiane. Qui, il
movimento dei lavoratori era ancora robusto e il Partito nazionale fascista iniziava
a gettare radici con fatica, soprattutto nei
rioni popolari che, al contrario, rimanevano pronti allo scontro armato e orgogliosi
dall’esperienza vittoriosa delle barricate
dell’agosto precedente. Una nuova spedizione punitiva contro l’Oltretorrente e il
Naviglio e la soppressione dell’anomalia
parmigiana – «isola di bolscevismo armato
e delinquente», come ebbe a definirla Italo Balbo1 – rientravano
La struttura urbana infatti nei progetti mussoliniani
marcava nettamente già prima della marcia su Roma.
i confini tra quartieri Tuttavia, dopo aver assunto la cadi primo ministro, il capo del
operai e quelli rica
fascismo mise momentaneamenborghesi te da parte i metodi squadristi
e, per piegare i “sovversivi” della
città, puntò direttamente sull’apparato poliziesco.
Il controllo dei rioni ribelli, però, risultava ancora particolarmente difficoltoso. La
struttura urbana della città marcava con
precisione i confini tra i quartieri operai e
quelli delle zone residenziali borghesi.
Il fiume Parma segnava il limite: di là
dall’acqua l’Oltretorrente, “Parma vecchia”, con il suo fitto reticolo di borghi
e vicoli, di case misere e fatiscenti, buie
e umide, accartocciate l’una all’altra con
corridoi e passaggi interni, osterie e mescite di vino; con le sedi delle organizzazioni operaie, le camere del lavoro, i circoli, le cooperative e i partiti; con i conventi
e le chiese degli ordini religiosi dediti alla
carità cristiana. Di qua, “Parma nuova”,
la città dei signori, delle piazze e dei palazzi, centro amministrativo e finanziario,
con la prefettura, il comune, il vescovado,
l’università, il tribunale, gli studi dei professionisti, i caffè e le vetrine delle passeg-
I. Balbo, Diario 1922, Milano,
Mondadori, 1932
PARMA economica 109
cultura E TERRITORIO
giate pomeridiane. Ai suoi margini ancora
quartieri popolari, propaggini dell’Oltretorrente nella città borghese: i rioni Naviglio e Saffi, vicini alla ferrovia e alle prime
fabbriche, e il rione San Silvestro, zona di
prostituzione caratterizzata dalla più alta
componente di sottoproletariato. Una città ne accoglieva due, incomunicabili e diffidenti l’una dell’altra: i ponti sul torrente
univano e, al tempo stesso, dividevano.
La frammentazione del tessuto economico provinciale (senza grandi insediamenti
produttivi e composto da una trama di piccole e medie officine artigianali, ditte edili
e aziende agricole) si rispecchiava nell’eterogeneità delle professioni dei ceti popolari
del capoluogo: muratori, operai, braccianti,
facchini, cassonisti, venditori ambulanti,
piccoli artigiani e commercianti. Spesso si
trattava di lavoratori senza un posto fisso,
costretti a cavarsela con occupazioni precarie e, secondo le stagioni, a passare da impieghi nei cantieri edili a lavori nelle campagne oltre le porte della città. Inoltre, nelle
fasi recessive e nei mesi invernali, quando
trovare un posto era più difficile, ci si arrangiava anche con una diffusa illegalità.
All’inizio del Novecento, dunque, quando già una tradizione di rivolte operaie e
bracciantili aveva distinto il popolo di Parma nei primi decenni dell’unità, in questo
ribollente e indisciplinato mondo gettò le
proprie radici il sindacalismo rivoluzionario. La pratica dell’azione diretta, con l’esperienza dello sciopero agrario del 1908,
delle mobilitazioni contro la guerra in Libia nel 1912 e, poi, a favore dell’interventismo rivoluzionario nel 1914-15, segnò
110 PARMA economica
il quadro locale anche nel dopoguerra. In
primo luogo, la presenza del sindacalismo
interventista sottrasse al fascismo il monopolio dell’eredità del combattentismo
patriottico e anzi, una volta che (a partire
dalla primavera del 1921) i dirigenti della
Camera del lavoro corridoniana scelsero
di opporsi alle squadre nere, queste non
conquistarono nel capoluogo che una dimensione minoritaria; in secondo luogo,
la radicalità delle forme di lotta di matrice
sindacalista divenne uno dei tratti caratterizzanti del proletariato urbano, che nel
contesto della “guerra civile” del 1921-22
si tradusse immediatamente nella contrapposizione armata al fascismo.
Questa cultura ribelle, ostile all’autorità e
pronta a esplodere in rivolte urbane, era
dunque la componente principale dell’antifascismo parmigiano. Dopo il successo delle “giornate d’agosto”, la strategia
dell’opposizione armata sedimentò e nei
borghi continuarono a persistere vere e
proprie forme di contropotere, possibili
anche grazie all’illegalità diffusa, alla solidarietà sociale e alla diffidenza ancestrale
verso ogni forma di autorità nutrita dai
“miserabili” di questi borghi. Solo con le
leggi eccezionali del 1925-26, l’instaurazione della dittatura e l’arresto dell’intera
leadership dell’antifascismo locale, il regime riuscì a piegarli e, con un continuo
sforzo di uomini, mezzi e spie, a tenere
sotto controllo la situazione.
Tuttavia, gli uomini del nuovo potere fascista erano consapevoli che la sola coercizione
poliziesca non sarebbe stata sufficiente. La
dittatura chiedeva ben di più: la conquista
cultura E TERRITORIO
delle menti di quei lavoratori ostili
con esse, del tessuto sociale delUn monumento a e,
le classi subalterne. Se da un lato,
Corridoni nel punto dunque, era necessario continuare
in cui le camicie nere nella radicale opera di vigilanza e
non erano riuscite a persecuzione politica, dall’altro il
fascismo doveva iniziare la costruentrare nell'agosto zione di una propria egemonia cul1922 era un atto di turale. Il progetto più emblematico
di pacificazione, di questa volontà fu l’edificazione,
stavolta però sotto il all’imbocco del quartiere dell’Oltretorrente, del monumento a Fitallone del fascismo lippo Corridoni.
Sebbene non originario della città, questo dirigente sindacalista era molto
amato nei rioni popolari poiché, con Alceste De Ambris e i vertici della Camera
del lavoro, aveva diretto il grande sciopero
agrario del 1908 e, successivamente, altre
battaglie e mobilitazioni, l’ultima delle
quali fu quella per l’ingresso dell’Italia in
guerra. Partito poi volontario per il fronte,
morì in una trincea sul Carso nell’ottobre
1915. La notizia della sua morte rese la
sua figura leggendaria e lo trasformò in un
simbolo politico che avrebbe potuto tenere insieme l’anima popolare, il sogno rivoMario Mantovani (foto di
Luigi Vaghi)
luzionario e lo spirito patriottico.
A favorire la diffusione di una tale rappresentazione, oltre ai sindacalisti rivoluzionari, contribuì anche il nascente movimento fascista. Mussolini, infatti, che
aveva combattuto insieme a Corridoni la
battaglia interventista, utilizzò la sua figura come emblema di sintesi tra tensione
antiborghese, orgoglio del lavoro e memoria dei combattenti. Il fascismo, insomma, poteva esprimere la patria – e dunque
guidare lo Stato – poiché ne rappresentava la sua parte migliore, quella degli «uomini nuovi» forgiati nella lotta contro la
«borghesia fiacca e decadente», quella del
mondo delle «classi produttive» e quella
dei reduci dalle trincee. Corridoni, per il
Partito nazionale fascista e per il nuovo regime, era dunque «il tribuno del popolo»,
«l’apostolo del lavoro», «l’eroe delle patria»
e, in definitiva, un fascista ante litteram.
Valorizzandolo, il fascismo mirava a valorizzare se stesso.
Fu questo il grimaldello ideologico con il
quale il nascente regime tese la mano ai
borghi ancora indomiti. Nonostante le incomprensioni del passato e la contrapposizione armata, il fascismo indicava al popolo “sovversivo” che l’eroe da onorare era il
medesimo, la matrice ideologica comune,
la “nuova patria” da costruire la stessa. In
questo senso, edificare un monumento a
Corridoni all’imbocco del quartiere delle
“barricate antifasciste”, là dove le camicie
nere non erano riuscite a entrare nell’agosto 1922, significava proporre un nuovo
patto di pacificazione, questa volta però
sotto il tallone del fascismo.
Anche sul piano urbanistico la piazza aveva tutte le caratteristiche per rispondere
a queste esigenze: per chi proveniva dal
centro essa costituiva l’ingresso al quartiere e, affacciandosi alla via Emilia, era
un passaggio obbligato per attraversare la
città. Sul piano simbolico, inoltre, in quella piazza il monumento sarebbe venuto a
trovarsi a metà strada tra il palazzo della
vecchia organizzazione sindacalista (ora
occupato dal gruppo rionale fascista “Corridoni”) e la nuova casa del fascio “Corridoni” in strada Bixio, entrambe a poche
decine di metri. Infine, per valorizzare il
monumento e rendere più aperto il quartiere verso il centro della città, il podestà
Mario Mantovani fece abbattere l’antico
ponte di Mezzo, ancora a schiena d’asino,
e al suo posto erigere il rettilineo e largo
ponte Dux (1934). Nel frattempo alcuni
edifici che si affacciavano sul torrente ven-
PARMA economica 111
cultura E TERRITORIO
nero demoliti, così che l’ingresso in Parma
vecchia si fece più largo e spazioso, attenuando l’impressione di entrare in un altro
luogo, in un’altra “città”.
Per il monumento progettato da Mario
Monguidi, il regime organizzò due cerimonie: una per l’inizio dei lavori, svoltasi
in occasione del decimo anniversario della
morte di Corridoni, il 23 ottobre 1925, e
una alla loro conclusione, con l’inaugurazione solenne il 30 ottobre 1927. Per la
prima, arrivò a Parma lo stesso Mussolini
che, in una città adornata con centinaia di
bandiere tricolori e striscioni che lo inneggiavano, fu accolto da una manifestazione organizzata nel minimo dettaglio, con
migliaia di persone mobilitate, ex combattenti, militanti del vecchio sindacalismo,
schiere della milizia volontaria. Davanti
agli stendardi delle associazioni dei reduci
e d’arma, alle bandiere dei sindacati fascisti, ai gagliardetti delle milizie, il duce
appuntò sul petto della madre di Corridoni la medaglia al valore, per la quale egli
stesso si era attivato presso il re per commutarla in oro e, sceso dal palco, murò una
pergamena con la sua firma sotto la “prima
pietra” del monumento. Poi proseguì la
sua visita nell’”altra” città. Accompagnato dai vertici del partito e dai comandi
militari si recò nelle principali caserme e
poi sotto il campanile di San Paolo in via
Melloni, dove presenziò all’inaugurazione
della lapide dedicata ai caduti fascisti. In
tal modo, ancora una volta, venne segnata
una continuità tra l’interventismo corridoniano, il nuovo stato e il fascismo.
Due anni dopo, il 30 ottobre 1927, impegnato nelle celebrazioni del quinto anniversario della marcia su Roma, Mussolini
112 PARMA economica
non poté partecipare all’inaugurazione
del monumento terminato. Al suo posto
giunse Edmondo Rossoni, il segretario
della confederazione sindacale fascista. I
caratteri della cerimonia furono sostanzialmente gli stessi, forse con una retorica
ancora più ridondante, determinata dalla
nuova fase autoritaria che, peraltro, fece
coincidere l’inaugurazione del monumento con la ricorrenza della marcia su Roma.
Il rito si svolse in un clima politico profondamente diverso da quello che aveva
caratterizzato la cerimonia di due anni
prima: dopo le “leggi fascistissime”, infatti, la dittatura si era ormai concretizzata e
ogni forma di dissenso era stata repressa.
Da allora in poi, negli anni Trenta e nella
prima metà dei Quaranta, sotto il monumento di Monguidi e la statua di Alessandro Marzaroli si sarebbe celebrata l’apparente intesa tra popolo e ordine fascista.
Apparente, perché in realtà il fascismo
sapeva bene che la conquista di
quel popolo riottoso non poteva Mussolini volle
avvenire solo con qualche opera
essere presente
di propaganda.
Un articolo del 1923 di Luigi di persona alla
Passerini, uno dei dirigenti più cerimonia cittadina
importanti della federazione faper commemorare
scista cittadina, giustificava la
rabbia e le violenze del popolo Corridoni
di “Parma vecchia” con il degrado e la miseria in cui viveva. Per questo,
concludeva l’esponente fascista, non si
potevano evitare i pericoli di insubordinazioni, tumulti e rivolte solo ricorrendo alla
vigilanza e alla repressione: «Oggi, a mio
avviso, il Fascismo parmense deve conquistare e dominare l’Oltretorrente con mezzi indiretti; dandogli salute, lavoro, dignità
civile; donandogli tutto quello che di bello
e di buono la bugiarda predicazione socialista ha loro demagogicamente promesso
– e soltanto promesso – per anni e decenni. Occorre insomma far toccare con mano
anche all’Oltretorrente che il Fascismo, in
persona di Benito Mussolini, del Governo,
delle Amministrazioni locali, è la più alta
espressione della moderna civiltà».
Passerini, insomma, indicava esplicitamente che occorreva mettere mano al “piccone risanatore”.
Di “risanamento dell’Oltretorrente” si
parlava già dagli ultimi anni del XIX secolo e operazioni di abbattimento e rieA destra, un'immagine che
dificazione di aree limitate erano già state
documenta la demolizione
compiute dal sindaco Giovanni Mariotti,
del borgo Cappuccini (foto
che aveva guidato la città per oltre 20 anni
Luigi Pisseri)
cultura E TERRITORIO
Obiettivo del piano di
abbattimento era favorire
quella confusione di classi
cercata dal fascismo
– salvo qualche breve intervallo – dal 1889
al 1909.
I progetti di Mariotti avevano avuto l’obiettivo di risanare i quartieri più malsani,
quelli dove la tubercolosi e la polmonite
mietevano più abbondantemente le loro
vittime. Era un’idea di risanamento che
seguiva i princìpi igienico-sanitari del
tempo, secondo cui la salubrità di case e
strade sarebbe migliorata con la circolazione dell’aria e per l’influsso dei raggi solari.
Chiaramente per il regime fascista e per il
podestà Mario Mantovani – che resse la
città per oltre 13 anni, dal 1926 al 1939
– queste motivazioni erano secondarie rispetto alle esigenze di controllo dei rioni
popolari, ancora segnati da una radicata
cultura antifascista. Obiettivo del nuovo
piano di abbattimento, infatti, era quello
di destrutturare socialmente il quartiere,
spostando parti consistenti della sua popolazione in altre zone, fuori dal suo insediamento tradizionale, e al suo posto promuovere la residenza di famiglie della piccola borghesia e di lavoratori del pubblico
impiego, così da favorire «quella cordiale
confusione di classi che è fermamente voluta dal fascismo2».
Questo progetto avrebbe permesso al nuovo Stato una maggiore vigilanza del territorio, non solo per la disgregazione di una
comunità socialmente e politicamente pericolosa, ma anche per il suo più semplice
controllo in zone delimitate e lontane dal
centro storico. Inoltre, per diversi anni –
cioè per l’intero periodo di sventramento
e di riedificazione del quartiere – la disoccupazione cronica delle classi popolari sarebbe stata in parte alleviata, con l’impiego
di un numero consistente di operai e manovali, e avrebbe sedato possibili tensioni
sociali. Infine, il progetto andava incontro
anche agli interessi degli imprenditori edili, segnalando loro che con il nuovo regime
gli affari non sarebbero mancati.
Il piano urbanistico, approvato e finanziato dal governo centrale, si realizzò tra il
1928 e il 1935. A Parma, dunque, il “piccone risanatore” si abbatté sui rioni miseri
e fatiscenti dell’Oltretorrente nel nome
della “modernizzazione” e della “razionalità”, sconvolgendo l’antico quartiere medievale. Le zone più colpite furono quelle
più famose per il loro antico spirito ribelle
e, ora, per la tenace ostilità al regime, come
2 Il risanamento dell’Oltretorrente, Parma, Stamperia
Bodoniana, 1929, p. 13
PARMA economica 113
cultura E TERRITORIO
borgo dei Minelli e borgo Carra.
Al posto di quelle torte e strette viuzze,
dove era così facile fare barricate e scappare alle retate della polizia, passando dai
tetti o dagli androni, sorsero nuove abitazioni e larghe e rettilinee strade, munite
di tutti i servizi primari (fognature, acqua,
luce e gas). E nei nuovi edifici residenziali, in quelli scolastici e per i servizi pubblici che vi vennero innalzati, l’autorità
del regime divenne più evidente, tanto
nell’abbondanza dei fasci littorei e di motti mussoliniani quanto nello sventolio del
tricolore sabaudo. Il fascismo, insomma,
attraverso quell’imponente opera urbanistica, volle segnare indelebilmente di sé la
città popolare.
Ne erano testimonianza anche i nomi
delle nuove strade, molti dei quali richiamarono direttamente l’esperienza della
Grande guerra, come via Piave, via Monte
Nero o via Gorizia – nella zona tra strada
Bixio e viale Maria Luigia – o via Corridoni nella zona di borgo dei Minelli (oggi
via della Costituente), mentre altre furono
più marcatamente segnate dalla toponomastica politica, come piazza Italo Balbo
(l’attuale piazza Guido Picelli, sorta intorno alla chiesa di Santa Maria del Quartiere dopo l’abbattimento di alcune case di
strada Imbriani) o piazza XXVIII ottobre
(oggi piazza Matteotti), nella zona edificata ex novo sugli antichi orti interni alle
mura della città.
Nelle nuove e accoglienti case, dunque,
114 PARMA economica
non tornarono i vecchi abitanti del quartieCapannoni al Cornocchio
re (salvo una parte estremamente esigua)
ma giunsero famiglie di settori sociali già
conquistati al fascismo, come i ceti medi
delle professioni e gli impiegati dell’amministrazione pubblica. Come in altre
città, insomma, anche a Parma oggettive
necessità di risanamento urbano divennero l’occasione per interventi di
controllo sociale e di politiche La popolazione
repressive: la popolazione delle
case demolite, infatti, fu spostata delle case abbattute
in fabbricati ultrapopolari fuori fu spostata nei
dal centro storico, innalzati in di- “capannoni”, rozzi
verse aree della periferia.
caseggiati popolari
Questi rozzi caseggiati, a uno o
due piani, soprannominati presto
“capannoni” per la loro forma allungata e il tetto a capanna, vennero costruiti
fuori dai confini dell’ex cinta muraria, in
zone lontane l’una dall’altra e dallo stesso Oltretorrente. Affiancati in file di tre o
quattro edifici, circondati dalle recinzioni
di filo spinato e sottoposti a un rigido regolamento comunale, i capannoni sorsero in sette punti diversi della periferia: al
Cornocchio, in via Verona, in via Paullo,
al Castelletto, in via Varese, in via Navetta
e, unico caso interno alla città, in via Rismondo.
I funzionari del fascismo li concepirono
come una sistemazione provvisoria per
gli ex abitanti dell’Oltretorrente per cui
era necessario che quelle abitazioni non
fossero né comode né confortevoli. Per
cultura E TERRITORIO
3 Opere di risanamento
dell’Oltretorrente. Costruzione case
per sfrattati in località Navetta.
Relazione dell’Ufficio tecnico,
Parma 18 maggio 1929, Anno
VII, carteggio amministrativo
dell’archivio storico comunale,
Sanità 1928-1938, risanamento
dell’Oltretorrente, b. 13
questo, non solo gli insediamenti furono
scelti lontani dal centro e a esso malamente collegati, ma anche in zone dove
non vi era la presenza di negozi o esercizi
pubblici: «Questi locali […]», osservò il
capo dell’ufficio tecnico del comune, Giovanni Uccelli, «pur rispondendo a tutte le
esigenze di salubrità ed igiene, dovranno
essere tali da non presentare troppe comodità e da richiedere qualche sacrificio per
vivere in essi, così da indurre la famiglia
sfrattata a trovarsi un’abitazione più comoda, ché se così non fosse l’abitazione
provvisoria si trasformerebbe presto in
definitiva, occorrerebbero altri numerosi
fabbricati, altri quartieri da destinare a tale
scopo e nei quali si addenserebbe la parte
peggiore di quella popolazione che ora si
vuole ripartire nelle varie parti della città,
ed il Comune si troverebbe nella condizione di alimentare anziché di reprimere
quel parassitismo dell’abitazione, che già
in piccola parte esiste nei quartieri da demolire. […] La ristrettezza dello spazio
assegnato a ciascuna famiglia, la mancanza
di comodità interne, l’obbligo dell’uso del
lavandino in promiscuità con gli altri, per
turno, e distante dall’abitazione, la latrina
pure essa lontana e promiscua, la necessità di attingere direttamente l’acqua, sono
incomodi che accoppiati direttamente alla
disciplina che sarà imposta col regolamento e al fatto della eccentricità della località,
si ritiene indurranno la maggior parte dei
ricoverati a trovarsi sollecitamente un altro alloggio più prossimo alla città e più
comodo3».
E difatti, i “capannoni” si trasformarono
presto in luoghi di degrado e abbruttimento, segnando indelebilmente la disperata umanità che vi si ritrovò a vivere. Il
nomignolo con cui vennero chiamati quei
caseggiati divenne in breve tempo anche
l’appellativo con cui si denominarono i
loro abitanti e, poi, sinonimo di rozzezza,
volgarità e soprattutto miseria, profonda
miseria. Rispetto alla vita in Oltretorrente, queste famiglie non avevano affatto
migliorato il loro tenore di vita, avevano
invece perso l’umanità e la solidarietà che
quel quartiere, con i suoi antichi legami
comunitari, riusciva a creare. I “capannoni”, dunque, furono l’altro volto della “modernizzazione” urbana del fascismo: nel
centro della città i nuovi viali per le parate
politiche e le adunate militaresche; fuori,
nella periferia più lontana e nascosta, in
quegli edifici razionalmente inospitali, gli
“avanzi” sociali di un regime che non li voleva e non li considerava come propri.
Ci volle il ritorno della democrazia, con le
amministrazioni dell’Italia repubblicana,
per porre fine a quella palese miseria umana: uno dopo l’altro i capannoni vennero
abbattuti e i loro abitanti spostati in nuove
e accoglienti case popolari. Gli ultimi a cadere furono quelli del Castelletto, nel 1969.
Bibliografia
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Silva, 1978
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nel ventennio fascista, tesi di laurea, Università di
Bologna, a.a. 1997-1998
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prèt di capanòn”, Parma, Comune di Parma, 2005
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«Aurea Parma», (2007), pp. 327-354
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Reggio Emilia, Diabasis, 2011
PARMA economica 115
cultura E TERRITORIO
Il grande fiume Po
Intervista a Guido Conti, autore di un ponderoso saggio dedicato al più
importante corso d’acqua italiano
Rita Guidi
Q
uel legame con la terra che si fa
forza narrante, grumo vitale. Anche quando l’orizzonte è liquido,
e trasforma in irrefrenabile immagine il
tempo che scorre. Guido Conti è un autore così, che ascolta le radici dei luoghi,
per restituircene la voce ruvida e colta.
Anche quando è acqua. Anche (e più che
mai) quando è Po. Nome unico e minimo,
al quale affidiamo la suggestione eterna e
immediata del mito. E antiche paure, antiche speranze. Qualcosa che compie il miracolo di concedere all’effimero un respiro
infinito.
Guido Conti, il Po, lo percorre e lo racconta in questo suo Il grande fiume Po appena
pubblicato (Mondadori, 430 p., 21 euro).
Volume elegante, ponderoso e sapido, alle
cui pagine fibrose, dal prezioso spessore,
non manca il segno accennato, in bianco e
nero, di una mappa. Perché, senza dubbio,
quello di Conti è un lungo diario di viaggio; indagine personalissima e generosa
nella quale il racconto affiora, riordinato
116 PARMA economica
ed esatto, dalla sorgente al delta. E il suo
inizio non può che trovarsi ed esser(n)e la
fonte…
«I racconti vivono grazie alla voce degli uomini che intonano il canto», scrive
Conti nelle prime pagine, «ma gli uomini
non possiedono le storie a cui danno vita.
Ecco la verità del Po, l’antico Eridano, che
attraversa la letteratura fin dalle sue origini
remote. Le storie appartengono ai luoghi
e i luoghi hanno l’anima delle storie che si
tramandano di generazione in generazione. Il tempo del racconto scorre come un
fiume verso la foce, ma le sorgenti appartengono al mito che vive fuori dal tempo».
Fuori dal tempo, eppure in quello spazio:
le nostre consuete cornici si confondono e
annullano reciprocamente. Il grande fiume
consente di spezzarne i confini e originare con l’acqua tutto il proprio passato. Il
Monviso ed Esiodo. Il viaggio di Conti
inizia da lì. Scarpe comode tra i muschi,
a ricordare dove cadde Fetonte e a ripassare Plinio. Una descrizione, quella che si
Il delta del fiume Po
cultura E TERRITORIO
trova nel libro III delle Naturalis historiae,
che l’autore riferisce non dissimile all’oggi;
quantomeno nella flora protetta del parco
che conduce a Pian del Re (la provincia è
quella di Cuneo), dove il Po sgorga neonato.
Impossibile fermare l’eco di questi luoghi a
ogni passo: la natura e il silenzio che amplificano i fatti, le storie, le leggende pulsanti
come polle. Impossibile non pensare che
la purezza e la fragilità iniziale lasceranno
il posto al fragore possente delle acque; a
volte utile; spesso spaventoso. Si racconta che una piena devastante abbia segnato, come un’orrenda profezia, l’assassinio
di Cesare, nel 44 a.C. Lo ricorda Cassio
Dione; mentre per Virgilio questo Padus
è soprattutto orizzonte di pace. Confine e
luogo magico per eccellenza, dove è possi-
bile dialogare con l’eterno. «Enea conversa
con il padre Anchise e guarda gli inferi»,
scrive Conti. «Le sponde dei fiumi sono
luoghi dove possono accadere fatti straordinari. Il Po, in particolare, mette in
contatto i vivi e i morti, come dirà Cesare
Zavattini all’inizio del poema dedicato ad
Antonio Ligabue: le anime escono dalle
crepe della terra seguendo il fumo della
nebbia. Oppure i morti possono parlare
con i vivi: accade nei racconti di Giovannino Guareschi – come fosse la cosa più
naturale del mondo».
Sarà questo il timore (reverenziale), il brivido che ci accompagna – sempre – su queste sponde? L’eco delle raccomandazioni
materne che vincono il desiderio dell’acqua, e raccontano di vortici mortali? Pesci
mostruosi e sinistri predatori? C’è anche
Da due millenni fonte di ispirazione per la letteratura
Eridano, Pades, Bodinco… o semplicemente Po: il grande fiume è da
sempre protagonista di pagine antiche e nuove della letteratura. Dalle
ancestrali suggestioni che affondano
nel mito (di Eridano, appunto), a quella
Naturalis historia di Plinio che lo descrive nella sua impressionante forza
e navigabilità, il Po scorre continuo
ben oltre la classicità, per giungere
intatto fino a noi.
Nelle splendide ambientazioni, in quel
di Brescello, accanto a Peppone e
a un Don Camillo che «camminava
verso l'argine grande, con un grande
fazzoletto bianco tra il cranio e il cappello, ed era l'una e mezzo di un pomeriggio d'agosto, e a guardarlo così
solo in mezzo alla strada bianca, sotto
il sole, non si poteva immaginare niente di più nero e di più prete».
E poi in Riccardo Bacchelli, che nel suo
Il mulino del Po ne fa motore e umore del romanzo, perché «dal mulino, si
scorgeva la corrente, l'immane flusso
della piena, fremere e ribollire infuriando sulla punta, scrosciare e rimbalzare,
fuggire con una fila di gorghi e di risucchi avidi e astiosi, che segnavano il
margine fra le acque vive e grosse del
filone, e le semimorte della lanca».
Ancora, il Po è un’immagine – ahinoi –
perduta: «La chiara sfera d'aere e d'acque» che loderà Gabriele D’Annunzio.
Un Po che «si beveva», come ebbe a
dire in un saggio Domenico Rea.
Le nuove impronte, oggi, sono altre.
Come documenta lo straordinario
viaggio per immagini di Paolo Rumiz, Il
risveglio del fiume segreto. Percorso
filmato da Isola Serafin, tra Piacenza e
Cremona, e continuato nei tratti navigabili fino al Delta. Testimonianza per
vincere il pregiudizio e riaffermarne,
contro la violenza di un universo depredato e addomesticato, la primitiva
bellezza. «Prima delle riprese», spiega
il regista Alessandro Scillitani, «abbiamo fatto un percorso in bicicletta dalle parti di Torino e ci siamo resi conto
che in molti punti il fiume non si vede,
è negato qualunque accesso, la sua
presenza si avverte solo dai cartelli
«Pericolo piene». In un mondo pieno
di brutture, di insediamenti aggressivi,
disastri ambientali, il Po in alcuni tratti
del suo corso si è negato all'uomo e
dunque ha mantenuto la sua capacità
di rigenerarsi malgrado lo sfruttamento e, tra i suoi grandi argini, ostenta
spazi meravigliosi di bellezza segreta,
selvaggia, incontaminata, trionfante».
Di nuovo Eridano, dunque; e anche, di
nuovo, mito e confine. Insomma “il dio
Po”, per dirla con il saggio – di gusto più
politico – di Gian Antonio Stella; che poi
è il nome scelto anche per l’ultimogenito di Umberto Bossi… Di nuovo un’altra
storia che scorre (e sedimenta) nell’alveo immobile del grande fiume.
PARMA economica 117
cultura E TERRITORIO
del poema in dialetto Il viaggio. E insiste
(di nuovo documentato, di nuovo attento):
«Gli scrittori, alla fine del Po, raccontano
più che altro il senso di smarrimento e di
malinconia, perché il delta è un posto dove
non si arriva da nessuna parte». «Giunto
alla fine del fiume e della terra», aggiunge,
«anche la parola si perde. Finito il viaggio
è finito il racconto. L’orizzonte piatto del
mare assomiglia al silenzio». Serve il respiro del Po, per tornare a parlare.
Il grande fiume Po è dunque un viaggio/indagine che merita a sua volta un’indagine.
Per questo abbiamo voluto scambiare due
parole e rivolgere due quesiti sulla genesi del libro direttamente all’autore, Guido
Conti.
questo, nel viaggio e nel libro di Conti. I
ricordi sussurrati dai vecchi incontrati nei
bar; i racconti di chi abita in golena; i fatti
crudi che bagnano di sangue il grande fiume nel conflitto: lo sciacallo che aspetta i
cadaveri in un’ansa, di notte, per strappare
denti, catene, anelli d’oro…
C’è anche il dramma della storia, in
quest’acqua che scende a valle, trascinando orrori e miserie e sporcizie della nostra
modernità. Pavia, Piacenza, Cremona, la
Bassa, Mantova, Ferrara… e poi ancora più giù, verso la terra dei sette mari.
Sempre ricordando gli autori del tempo,
i protagonisti dei luoghi, la vita di un’umanità segnata dalle secche e dalle piene.
Ambiente vivo. Ricchissimo. Silenzioso.
Spina dorsale liquida di un universo che
ha scelto questa latitudine. Che scorre
(eraclitianamente) inesausto, perché visto
da qui è finzione anche il mare.
Di nuovo in ascolto, l’autore ci regala il
ricordo di Tonino Guerra e del viaggio
verso la costa (verso il mare, verso la morte) di due suoi protagonisti, Rico e Zaira,
Come, quando e perché è nata l’idea di
questo libro?
Il libro è nato da una mia idea condivisa
con la Mondadori. Volevo progettare con
loro un libro nuovo, diverso, importante. È nato così Il grande fiume Po. Avevo
già da parte diverse pagine scritte: le ho
fatte leggere e sono piaciute molto. Parte
di quelle pagine, poi, non è entrata nel
romanzo finale: ho tagliato quasi 400
pagine dalla prima bozza. In ogni caso,
quello che resta, quello che c’è, dentro,
sono un’idea di temporalità e molte idee
sulla scrittura e lo scrivere; così come credo debba essere un vero romanzo. Quello
su cui ho lavorato è stata un’idea di “opera
mondo”. E il riscontro continuo che ho
con il pubblico sta dando ragione all’importanza del progetto. I lettori comuni
capiscono bene la possibilità di diverse
letture del romanzo.
Quanti giorni, quanti dubbi, quante
energie, quanti studi e viaggi è costato?
Il libro mi è costato almeno due anni di lavoro. Mi sono licenziato da direttore editoriale della Mup per inseguire alla fine i
L’autore
Da sempre, lo scrittore parmigiano Guido
Conti, classe 1965, lega fortemente la sua
produzione letteraria al territorio. Dopo
l’esordio in Papergang (1990), antologia
under 25 curata da Pier Vittorio Tondelli,
Conti ha firmato un primo successo con
Il coccodrillo sull’altare (2003), raccolta
di racconti ambientata nella campagna
emiliana (e intorno al Po); così come Un
medico all’opera. Accanto ai successivi
118 PARMA economica
romanzi I cieli di vetro, Il taglio della lingua, Il tramonto sulla pianura e La palla
contro il muro, lo scrittore ha investigato altri autori dalla sensibilità “padana”,
come Guareschi e Zavattini; da qui i suoi
interventi in riviste, saggi critici, e pubblicazioni loro dedicate. Con Giovannino
Guareschi, biografia di un autore (2008)
si è aggiudicato il premio Hemingway per
la critica.
cultura E TERRITORIO
miei sogni di narratore. Io sono uno scrittore, sono nato per fare questo. La parentesi
editoriale è stata molto importante per la
mia formazione di scrittore, ma non si possono fare due lavori. E poi troppe delusioni
da gente – per cosi’ dire - "poco esperta" di
editoria che voleva guidare e decidere libri,
copertine... un disastro! Con il crollo della
banca e dei vecchi editori è finito un mondo. Quando l’editore vuol decidere tutto, gli
equilibri sono compromessi, e infatti me ne
sono andato. La Mup in questi due anni è
sopravvissuta a se stessa con grandi debiti,
pochissime idee e anche poco interessanti, mentre il mercato e il mondo del libro
corrono veloci. Oggi lavoro per diverse case
editrici milanesi.
E il tema del viaggio?
Il tema del viaggio è complesso. Viaggiare vuol dire non attraversare da turista un
territorio ma viverlo anche tutti i giorni.
La Bassa resta sempre un luogo di sorprese. I parmigiani non amano la bassa, amano la collina. Quindi andare e ritornare in
un luogo nelle diverse stagioni e per anni
diversi vuol dire conoscere davvero un territorio. Forse si può solo viaggiare davvero
stando in un posto per tutta la vita. Non
amo la vita da turista, ma da viaggiatore sì.
L’orizzonte più inatteso ed entusiasmante, sia in senso spaziale che in senso
temporale? E invece il luogo o l’evento
legato al grande fiume che si è rivelato
meno intrigante, addirittura deludente?
Il Po è stato una continua sorpresa. Sco-
nosciuto e maestoso il Po del basso lodigiano, che non è frequentatissimo: ma là il
fiume è davvero qualcosa di spettacolare.
Deludente nel piacentino, tra canalizzazioni, dighe e quant’altro.
Qualche aneddoto occorso nella preparazione e nella stesura del libro?
Lo ripeto, ho buttato quasi quattrocento
pagine di materiale, tra storie e racconti,
pezzi e poesie di diversi personaggi. L’incontro con il “re del Po” (Alberto Manetti,
autore di un capanno di rami in riva al fiume, molto noto alla gente del posto, ndr),
sotto Boretto, quando si è tuffato di fronte
a me in fiume, è stato qualcosa di molto
divertente. Molti di questi materiali sono
finiti proprio nel libro.
Il rapporto fra letteratura e territorio:
perché certe pagine non potrebbero essere diverse?
Non possono essere diverse perché se uno
scrittore è vero e si radica al proprio territorio, è il genius loci che parla attraverso
di te. È il territorio che comanda. Ho conosciuto a Viadana una ragazza brasiliana
che vive in Italia da dieci anni: si vantava
di fare i migliori tortelli del posto. Questo
la dice lunga sulla forza del territorio.
Guido Conti ieri, oggi e domani.
Ero uno scrittore, sono uno scrittore, continuerò a farlo spero fino alla fine dei miei
giorni. Di storie e di romanzi da raccontare ne ho parecchi. E adesso uscirà la versione elettronica del libro per l’eBook.
PARMA economica 119
cultura E TERRITORIO
Il re dei formaggi
Breve storia, caratteristiche e aneddoti del Parmigiano-Reggiano, uno dei
prodotti più celebrati (e imitati) del patrimonio alimentare italiano
Marco Epifani
La storia
Possiamo immaginare le cinque provincie
in cui si produce il Parmigiano-Reggiano
- Bologna (sinistra del fiume Reno), Mantova (alla destra del fiume Po), Modena,
Parma e Reggio Emilia - come una grande
sfoglia che copre tutti i comuni e prende
varie forme. Forme che diventano parte
indispensabile per le ricette di tradizione: disegni di pasta che si accompagnano
a tanti e tanti condimenti o che possono
contenere sublimi ripieni e navigare in
oceani di brodo. Ma nessuna ricetta può
ritenersi completa o perfetta senza la sublimazione finale, senza l’indispensabile
nevicata di Parmigiano-Reggiano. Già
al tempo del Boccaccio apprezzavano la
bontà di questo originale formaggio e sapevano come meglio utilizzarlo in cucina:
iniziava il cammino di un formaggio mito.
«Eravi una montagna tutta di formaggio
120 PARMA economica
parmigiano grattugiato sopra la quale stavano genti che niuna altra cosa facevan
che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli
in brodo di capponi».
All’inizio il formaggio in genere era considerato alimento da contadini e non adatto
alle nobiliari tavole. Ma a partire dal Medioevo iniziò una len- Fino al Medioevo
ta emancipazione e, pian piano,
arrivò nelle case dei signori. Da il formaggio fu
cibo contadino divenne degno di considerato cibo per
essere presente alle mense signo- contadini, inadatto
rili.
alle tavole nobili
Anche il Parmigiano-Reggiano
ha vissuto un percorso che ha
unito classi sociali e ha messo d’accordo
tutti: oggi è il formaggio a pasta dura “più
buono dell’universo”.
La storia recente racconta che il 28 maggio del 1928 fu costituito il Consorzio
volontario di difesa del formaggio grana
cultura E TERRITORIO
reggiano. Seguì, il 27 luglio 1934, la costituzione del Consorzio volontario interprovinciale del grana tipico. E il 24 luglio
del 1954 nacque l’attuale consorzio del
Parmigiano-Reggiano. Il consorzio vigila, tutela, promuove e difende, in Italia e
nel Mondo, la produzione, l’immagine e
il corretto uso della denominazione del
Parmigiano-Reggiano, che è tra i prodotti
alimentari più imitati.
Il latte
Si utilizza il latte di due mungiture: una
della sera e una del mattino, con parziale
scrematura per affioramento. Il latte proviene dagli allevamenti situati nelle zone
di produzione del Parmigiano.
La cottura
Il latte crudo, nelle caldaie di acciaio e
rame, è portato a una temperatura di 33
gradi; in seguito sono aggiunti prima il
siero innesto poi il caglio di vitello. Nella produzione del Parmigiano-Reggiano è
vietato l’uso di sostanze antifermentative.
La coagulazione del latte avviene in circa
15 minuti. Il casaro, con l’utilizzo di uno
speciale attrezzo denominato spino, rompe
la cagliata della dimensione di un chicco di
riso, per poi iniziare una prima cottura a
una temperatura di 45 gradi e una seconda
a una temperatura di 55 gradi. Terminata l’operazione, la massa caseosa è lasciata riposare per circa 30 minuti sul fondo
della caldaia. Passato il tempo, con l’aiuto
di una pala si porta in superficie la massa,
che è poi sostenuta da un telo di canapa
o lino annodato a un sostegno di legno o
acciaio. A questo punto il casaro, con l’utilizzo di un lungo e speciale coltello, divide
in due parti uguali la massa e le due forme
vengono avvolte da altrettanti teli di lino,
sono sciacquate in acqua e messe nelle fascere per essere pressate, spurgate e, prima
di essere avvolte, segnate con le placche
di caseina le quali, con un numero unico
e progressivo, le identificheranno per tutto il corso della loro vita. Passate alcune
ore, le forme sono avvolte da speciali fascere che stampiglieranno i dati: matricola
del caseificio, anno e mese di produzione.
Dopo due o tre giorni, la forma passa alla
salatura, che avviene in una soluzione di
acqua a sale e ci resta per circa 24 giorni.
In seguito le forme sono asciugate e poste
nelle stanze di stagionatura, dove restano
per almeno un anno.
PARMA economica 121
cultura E TERRITORIO
La stagionatura
Il formaggio, affinché possa fregiarsi della
denominazione di Parmigiano-Reggiano,
deve sostare nel locale di stagionatura per
almeno un anno e superare le periodiche
espertizzazioni effettuate dai responsabili
del consorzio.
Le caratteristiche
Di forma cilindrica, con scalzo leggermente convesso, ha un’altezza di circa 24
centimetri; il diametro è tra 35 e 45 centimetri e il peso tra 24 e 40 chilogrammi.
La crosta, di colore giallo dorato, è dura
e leggermente oleata. La pasta, di colore
giallo paglierino, è morbida e leggermente
granulosa. A seconda della stagionatura ha
aromi che possono ricordare il burro, il fieno, l’erba fresca, i fiori, la frutta, gli agrumi, le spezie, la crosta di pane. Al gusto
deve risultare morbido, saporito, ma non
avere delle punte di piccante.
Tutto quel che c’è da sapere dalla A alla Z
Acqua
Costituisce l’87% del latte vaccino, ed è la parte liquida in cui sono
presenti tutte le sostanze del latte.
Aroma
Gli aromi sono gli odori delle sostanze che si sprigionano durante
la fase di masticazione e sono percepiti per via retronasale attraverso il bulbo olfattivo.
Astringenza
È la sensazione di asciutto che si
percepisce in fase di masticazione,
come mordendo un caco acerbo.
È imputabile a fermentazioni anomale.
Adesività
Non è, come qualcuno erroneamente è convinto, la capacità del
formaggio di rimanere attaccato
all’indice e al pollice, ma quella di
restare attaccato alle pareti della
cavità orale e della lingua (sensazione di caramella mou).
Aspetto
L’insieme delle analisi del formaggio: visive e sensoriali. Il Parmigiano-Reggiano ha una crosta di colore variabile tra il giallo dorato e il
marrone. La pasta varia dal bianco
122 PARMA economica
avorio al giallo paglierino. Le facce
sono piane.
Batteri lattici
I lactobacilli convertono il lattosio
e altri zuccheri in acido lattico per
mezzo della fermentazione lattica.
Battitura
È l’azione che l’espertizzatore
compie con il martelletto percussore per capire se la forma ha dei
difetti interni.
Caglio
Sostanza di origine animale (esiste
anche un caglio vegetale: estratto
di fiore di carciofo, selvatico o lattice di fico), denominato anche presame, che attraverso i suoi enzimi
determina la coagulazione del latte. Il più usato è estratto dall’abomaso del vitello, dell’agnello o del
capretto.
Per la produzione di ParmigianoReggiano è usato l’abomaso di vitello. Dal tipo di coagulazione, acida o presamica, e di coagulante, si
determina la composizione della
cagliata e si formano consistenza
e gusto. Il caglio può esser liquido
quando è ottenuto macerando pelli
di abomaso essiccate o congelate
e questo è usato nella produzione
del Parmigiano-Reggiano; il caglio
in polvere si ottiene evaporando
il caglio liquido a basse temperature, sottovuoto. Il caglio in pasta
è generalmente di origine ovina o
caprina e si ottiene dagli abomasi
interi, essiccati o conservati sotto
sale, degli agnelli o capretti.
Cagliata
Si forma con la coagulazione della caseina del latte per mezzo di
un’azione acidificante causata da
microorganismi o dall’aggiunta di
acidi organici.
Casaro
È un termine tutto emiliano che indica l’addetto alla produzione del
Parmigiano-Reggiano. È il fulcro
del caseificio e il detentore di secolari saperi. La sua è una grande
responsabilità perché l’economia
di un’intera filiera dipende dal suo
lavoro.
Caseina
È la proteina più importante del
latte, di elevato valore biologico e
ricca di sostanze essenziali quali,
ad esempio, aminoacidi, fosforo e
calcio. In un litro di latte per fare il
cultura E TERRITORIO
Il calendario di produzione
Il Parmigiano-Reggiano è prodotto tutto
l’anno.
I bollini
Il Parmigiano-Reggiano a seconda della
stagionatura esprime aromi e gusti diversi.
È per questo che il consorzio, per aiutare
nella scelta i consumatori, ha applicato alle
confezioni dei bollini di diverso colore che
identificano la stagionatura. Bollino aragosta: formaggio che supera i 18 mesi di
stagionatura. Bollino argento: formaggio
che supera i 22 mesi. Bollino oro: oltre 30
mesi di stagionatura.
Le curiosità
La stagionatura minima è di 12 mesi. Occorrono 16 litri di latte per produrne 1 kg
e 550 litri per produrne una forma. Il peso
medio di una forma è di 39 chilogrammi. I
caseifici che lo producono sono 383.
Parmigiano-Reggiano varia tra 27
e 32 grammi. Con la sua coagulazione si ottiene il formaggio.
Coagulazione presamica
Prende il nome dal presame, il caglio, e avviene per mezzo della chimosina, un’enzima contenuto nel
caglio. La chimosina destabilizza la
struttura molecolare delle caseine
presenti nel latte. La coagulazione
presamica ha una maggiore consistenza rispetto alla coagulazione
acida.
Colore
È uno degli aspetti dell’esame visivo. Nel formaggio si valutano
l’uniformità della colorazione e la
tonalità. La grammatica del gusto
prevede le seguenti indicazioni di
colori: bianco latte, bianco avorio,
bianco grigio, giallo paglierino,
giallo dorato, giallo ambrato, ocra,
rossiccio, marrone, grigio, nero.
Sulla superficie esterna sono impressi i marchi identificativi del formaggio.
Durezza
Sensazione tattile durante la masticazione, definisce la durezza di
un formaggio.
Elasticità
È la tendenza di un formaggio a riprendere lo spessore iniziale dopo
avere subito una compressione.
Granulosità/sabbiosità
La tirosina, presente nel Parmigiano-Reggiano di lunga stagionatura, si può percepire durante la
masticazione.
Forma
È l’aspetto esteriore e interiore di un
formaggio. Le caratteristiche specifiche sono: forma geometrica, taglia,
scalzo, facce, pelle, buccia, crosta,
aspetto, colore, aspetto al taglio, unghia, occhiatura, erborinatura.
Friabilità
È la caratteristica attitudine a sbriciolarsi di un formaggio.
Latte
Si definisce latte alimentare, secondo le norme, il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare,
ininterrotta e completa della mammella di animali in buono stato di
salute e di nutrizione. Con la parola
“latte” si definisce il solo latte proveniente dalla vacca.
Persistenza
Con questa definizione si stabi-
lisce empiricamente per quanto
tempo le sensazioni aromatiche
sono presenti a livello olfattivo e
retrolfattivo.
Piccantezza
Sensazione pungente che si può
trovare nei Parmigiano-Reggiano
di lunga stagionatura.
Solubilità
Definisce in che modo e in quanto tempo la pasta del formaggio si
scioglie nella saliva.
Spillatura
Con questa azione, l’espertizzatore estrae una piccola quantità di
pasta utilizzando un ago a vite. In
base alla resistenza della pasta
l’esperto capisce la consistenza e
percepisce aromi e grado di maturazione.
Tirosina
Aminoacidi presenti nel Parmigiano-Reggiano, stagionati in conseguenza della digestione delle
proteine. Si presenta nella pasta
sotto forma di minuscoli cristalli
bianchi.
Umidità
È la sensazione tattile dovuta alla
presenza di acqua e siero.
PARMA economica 123
cultura E TERRITORIO
RICETTE Dolci e salate
Il Parmigiano-Reggiano è anche ingrediente di numerosi piatti, torte comprese. Ecco due ricette esclusive di
Alberto Rossetti, cuoco del ristorante Al Tramezzo di Parma
Tortino al cacao con salsa di
cioccolato, Parmigiano-Reggiano e tartufo nero di Fragno
Composizione per circa 10 tortini
150 g di burro
150 g di farina
150 g di zucchero
15 g di lievito di birra
2 uova
35 g di cacao
Base della salsa
500 cl di panna da montare
300 g di cioccolato bianco
100 g di Parmigiano-Reggiano
grattugiato
150 g di tartufo nero di Fragno
In una ciotola o bastardella amalgamare il burro, la farina, lo zucchero, il lievito stemperato in un
dito di acqua tiepida, le uova e il
cacao. Disporre il preparato negli
stampini usa e getta. Cuocere il
composto in forno preriscaldato a
170° per circa 11 minuti.
Mentre i tortini cuociono in forno, preparare la salsa che servirà
come gustosissima guarnizione.
In un pentolino scaldare la panna;
appena inizierà a bollire toglierla
dal fuoco; sciogliervi il cioccolato,
124 PARMA economica
unire il Parmigiano-Reggiano grattugiato e le fette di tartufo nero di
Fragno.
Quando i tortini saranno cotti toglierli dagli stampini, disporli al
centro del piatto di portata, guarnirli con la salsa e completare la
preparazione con alcune fette di
tartufo nero di Fragno.
Cialde di Parmigiano-Reggiano croccanti con semifreddo e
prosciutto di Parma flakes
Per le cialde
200 g di Parmigiano-Reggiano
grattugiato
Una padella antiaderente
Per il semifreddo
300 g di Parmigiano-Reggiano
grattugiato
300 cl di panna fresca da montare
3 albumi
50 g di zucchero
2 fogli di colla di pesce
Per il prosciutto di Parma flakes
8 fette di Prosciutto di Parma
Olio extravergine di oliva
Burro
In una bastardella montare a neve
la panna e riporla in frigo. Montare
gli albumi e lo zucchero sino a che
non hanno raggiunto una ottima
consistenza e riporli in frigo. Sciogliere i fogli di gelatina di pesce
nell’acqua.
Prendere la panna dal frigo e
unirvi il Parmigiano-Reggiano e la
colla di pesce precedentemente
sciolta, infine aggiungere, molto
delicatamente, le uova precedentemente montate. Lasciare riposare il semifreddo in frigorifero
per almeno tre ore.
Scaldare a fiamma alta la padella antiaderente, ungerla con l’olio,
cospargervi uno strato sottile di
Parmigiano-Reggiano e lasciare cuocere per circa due minuti.
Togliere il Parmigiano-Reggiano
dalla padella e con l’aiuto di alcuni
stampi realizzare dei cestini.
In una seconda padella scaldare
l’olio extravergine di oliva e il burro,
rosolarvi le fette di prosciutto fino
a che diventano di colore bruno.
Asciugarle con carta assorbente
e seccarle in forno preriscaldato a
120° per circa 15 minuti.
Comporre il piatto disponendo il
semifreddo nel centro della cialda
di Parmigiano-Reggiano e sbriciolandovi i flakes di prosciutto.
Hanno collaborato
Barbara Bocci
Laureata in scienze della comunicazione presso l'Università di Parma, sta ultimando il corso di laurea magistrale in business communication presso l'Università
Cattolica di Milano. Ha svolto recentemente attività di
ufficio stampa e promozione presso la Camera di Commercio di Parma e collabora da aprile 2012 con un'agenzia di comunicazione di Milano.
Stefania Delendati
Giornalista pubblicista freelance, scrive dal 1996 per
diverse riviste di carattere sociale e non, interessandosi
soprattutto di argomenti quali la disabilità, il terzo settore, l’ambiente e le politiche connesse.
Monica Domenichelli
Laureata in giurisprudenza presso l’Università di Parma, ha maturato una notevole esperienza lavorativa
in campo amministrativo contabile in aziende private.
Negli ultimi cinque anni, ha collaborato con la Camera
di Commercio di Parma.
Marco Epifani
È giornalista specializzato in enogastronomia, agricoltura e turismo. Consulente per aziende e enti è anche
autore e conduttore televisivo e documentarista, i suoi
format sono trasmessi dai principali network regionali
italiani.
William Gambetta
Dottore di ricerca in storia presso l’Università di Parma e di scienze sociali presso l’Università di Modena e
Reggio Emilia, è docente di materie letterarie presso
la scuola secondaria di primo grado del convitto Maria
Luigia. È ricercatore presso il Centro studi movimenti.
Giancarlo Gonizzi
Giornalista pubblicista e consulente aziendale. Dopo gli
studi in biblioteconomia ha collaborato con fondazioni
ed enti pubblici per mostre, pubblicazioni ed eventi in
ambito locale e nazionale. È consigliere di Museimpresa e, dal 1987, curatore dell'Archivio storico Barilla, che
ha contribuito a fondare.
Rita Guidi
È nata e vive a Parma. Docente di lettere e di storia
dell’arte, è giornalista culturale e freelance per quotidiani, periodici locali e nazionali ed agenzie di stampa.
126 PARMA economica
Prima classificata al premio giornalistico Pietro Bianchi
2005, si occupa anche di editoria elettronica e ha pubblicato per Newton & Compton L’ABC di Internet.
Tommaso Meli
Laureato in comunicazione. Occupazione graphic designer, con passione per la fotografia e il fotoreportage,
ma anche per il copywriting. Si occupa della creazione
di contenunti visivi e testuali.
Stefano Magagnoli
Insegna storia economica nella facoltà di economia
dell'Università di Parma. Laureato in storia contemporanea all'Università di Bologna, nel 2009 è stato tra i
fondatori di Food Lab (laboratorio per la storia dell'alimentazione) che opera all'interno del dipartimento di
economia di Parma.
Giordana Olivieri
Funzionario della Camera di commercio di Parma da
diversi anni, ha svolto incarichi nel settore economicostatistico, anagrafico e regolazione del mercato; ha frequentato corsi di formazione in materia statistica ed economica. Attualmente responsabile dell'Ufficio Studi.
Orietta Piazza
Laureata in scienze agrarie, lavora da anni presso il sistema delle camere di commercio, con incarichi relativi
ad agricoltura, ambiente, promozione del territorio e
prodotti tipici. Attualmente, si occupa del servizio comunicazioni e stampa della CCIAA di Parma.
Sabrina Sabatini
Laureata in economia e commercio all'Università degli
studi di Parma. Attualmente lavora presso la Cciaa
di Parma nell'ufficio settore promozione economica. Da
vari anni nella pubblica amministrazione occupandosi di
relazioni internazionali e cooperazione internazionale
decentrata allo sviluppo.
Andrea Zanlari
Laureato in giurisprudenza, consulente di impresa, ha
ricoperto incarichi nel mondo dell’associazionismo parmense. Storico dell’età moderna, insegna storia e cultura
dell’alimentazione presso la facoltà di agraria dell’Università di Parma. Presiede la Camera di Commercio di
Parma, è presidente di Indis e vicepresidente di Borsa
Merci Telematica Italiana S.p.a.
di Lodi e UNICREDIT
Borsa
Merci
Parma
La Borsa Merci di Parma è stata
istituita dalla Camera di Commercio nel 1967. Prima di spostarsi nell’attuale sede presso Fiere di Parma, dove
sono ospitate anche le CUN, ha operato all’interno della stessa Camera di Commercio.
È aperta il venerdì, dalle 9 alle 15. Nel corso delle contrattazioni sono
rilevati i prezzi di undici tipologie di prodotti agroalimentari: salumi, carni fresche suine, suini, carni grassine, derivati del pomodoro,
foraggi, granaglie farine e sottoprodotti, zangolato, siero di latte,
formaggio e uve. Numero e qualità dei prodotti rilevati ben rappresentano l’importanza della piazza di Parma legata alla straordinaria vocazione agroalimentare del suo territorio.
I listini settimanali dei prezzi rilevati sono pubblicati sul sito
Internet www.borsamerci.pr.it.
Presidente delle Commissioni Prezzi della Borsa Merci è il
Segretario Generale della Camera di Commercio o un
suo delegato.
L’Ufficio Borsa Merci si trova nella sede
della Camera di Commercio di Via Verdi,
nel centro storico di Parma.
Modalità di ingresso
alla Borsa Merci
Nella localizzazione, di 1.200 mq, sono disponibili:
• n. 400 posti auto
• 90 box
• area ristoro
Sede contrattazioni:
Borsa Merci della Camera di Commercio
presso Fiere di Parma
Via Fortunato Rizzi 67/a 43126 Parma
Le Commissioni
Uniche Nazionali
La “Commissione Unica Nazionale dei tagli
di carne suina” e la “Commissione Unica Nazionale
grasso e strutto” si riuniscono settimanalmente a Parma.
Le Commissioni Uniche Nazionali (CUN) nascono in attuazione del Protocollo d’intesa sottoscritto il 5 dicembre 2007
dal tavolo tecnico della filiera suinicola. Le due CUN operano il
venerdì mattina parallelamente alle attività della Borsa Merci; il
loro compito è di prendere atto di una panoramica del mercato
dei tagli di carne suina e di grasso e strutto, fissandone i relativi
prezzi per la settimana successiva.
L’attività di segreteria è svolta da Borsa Merci Telematica Italiana, su incarico del Ministero delle Politiche
Agricole Alimentari e Forestali.
www.borsamerci.pr.it