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[email protected] 1 scheda tecnica durata: 148 minuti nazionalità: Stati Uniti anno: 2007 regia: SEAN PENN tratto da nelle terre estreme" di Jon Krakauer (ed. Rizzoli) sceneggiatura: SEAN PENN produzione: PARAMOUNT VANTAGE, RIVER ROAD FILMS, ART LINSON PRODUCTIONS, INTO THE WILD, RIVER ROAD ENTERTAINMENT fotografia: ERIC GAUTIER montaggio: JAY LASH CASSIDY scenografia: DEREK R. HILL costumi: MARY CLAIRE HANNAN musiche: MICHAEL BROOK, EDDIE VEDDER, KAKI KING, LA CANZONE "GUARANTEED" È DI EDDIE VEDDER effetti: DONALD FRAZEE, MARTY TAYLOR, ENTITY FX interpreti: EMILE HIRSCH (CHRISTOPHER MCCANDLESS), MARCIA GAY HARDEN (BILLIE MCCANDLESS), WILLIAM HURT (WALT MCCANDLESS), JENA MALONE (CARINE MCCANDLESS), CATHERINE KEENER (JAN BURRES), BRIAN DIERKER (RAINEY), VINCE VAUGHN (WAYNE WESTERBERG), KRISTEN STEWART (TRACY), HAL HOLBROOK (RON FRANZ), ZACH GALIFIANAKIS (KEVIN), THURE LINDHARDT (THOMAS), ROBIN MATHEWS (GAIL BORAH), SIGNE EGHOLM OLSEN (FIDANZATA DI THOMAS), HALEY RAMM (CARINE GIOVANE), BRYCE WALTERS (CHRIS MCCANDLESS A 4 ANNI), KYLE KWON (TED TURNER), STEVEN WIIG (RANGER STEVE KOEHLER) Vi è un incanto nei boschi senza sentiero Vi è un'estasi sulla spiaggia solitaria Vi è un asilo dove nessun importuno penetra In riva all'acque del mare profondo E vi è un'armonia nel frangersi delle onde Non amo meno gli uomini ma più la natura (Lord Byron) [email protected] 2 Nelle terre estreme –il libro La natura era qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissimo. Guardavo con soggezione la terra che calpestavo per vedere cosa avessero compiuto le Forze - la forma, il modo, il mateirale della loro opera. Questa era la Terra di cui sentiamo parlare, creata dal caos nella notte dei tempi. Qui non c'erano giardini ma il globo incontaminato. Niente prati né pascoli né coltivazioni né boschi né terre arabili né incolte né desolate. Era la superficie fresca e naturale del pianeta Terra, com'era stata creata per i secoli dei secoli - come dimora dell'uomo, diciamo noi -, così la Natura l'ha fatta e che l'uomo la usi se può. (Henry David Thoreau, Ktaadn) Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1996, il libro di Jon Krakauer diventò subito un vero classico della letteratura "di viaggio" e si pose a lungo ai primi posti delle classifiche di vendita, un vero best seller inaspettato e oggi, a tanti anni di distanza, trascinato dall'uscita dell'omonimo film, è di nuovo tra i primi dieci libri più venduti negli Stati Uniti. Il libro racconta la storia di Christopher McCandless che nell'estate del 1990, a ventidue anni, dopo essersi laureato, soddisfacendo così le aspirazioni dei genitori, dà in benef i cenz at ut t iisuoir i spar miepar t ev er so… l anat ur asel v aggi a.Assumer àunanuov a identità, sarà da quel momento Alexander Supertramp, il suo viaggiare durerà due anni e siconc l uder àt r agi cament et r al enev idel l ’ Al askadopo113gi or niv i ssut isf i dandol af ame, il freddo e la natura davvero ostile che lo circondava. Chris/Alexander venne trovato morto da un cacciatore e vicino al suo corpo si trovò un diario su cui aveva annotato, scrivendo sempre in terza persona, giorno per giorno, finché ne ebbe la forza, la vita e la lotta per la sopr av v i v enz ai n queil uoghios t i l i .Pr opr i o da quest ol ’ aut or et r asse i lmat er i al e per raccontare le ultime terribili settimane di vita di Chris. Anche se per quasi un anno, dal maggio 1991al suo arrivo in Alaska , il ragazzo interruppe il diario, in coincidenza con la rottura della sua macchina fotografica. L'autore è riuscito però a "riempire" anche quel periodo, perché quasi tutto il libro è denso di colloqui con le persone che avevano conosciuto e frequentato quel ragazzo nei due anni del suo avventuroso viaggio attraverso gli States e, grazie ai quali, è stato possibile per l'autore ricostruire in modo dettagliato tutto il percorso. Ecco ad esempio il testo di una cartolina che Chris aveva spedito a Westerberg, detenuto della Glory House, casa di detenzione di Sioux Falls, che aveva diritto ad uscire per lavorare all'esterno dove aveva conosciuto Chris, diventandone amico: Come va la vita? Spero meglio dell'ultima volta che ci siamo sentiti. Sto girando per l'Arizona già da un mese. È veramente un grande Stato! Sono circondato da paesaggi stupendi e il clima è meraviglioso. Ma lo scopo principale di questa cartolina, oltre ai saluti, è quello di ringraziarti per l'ospitalità. È raro trovare una persona tanto generosa e buona come te. A volte però rimpiango di averti incontrato, perché con tutti questi soldi è troppo facile viaggiare. Com'erano più eccitanti le giornate senza un becco d'un quattrino, quando dovevo darmi da fare per procurarmi il pasto successivo. In ogni modo, ora come ora non ce la farei proprio a sopravvivere senza soldi, visto che in questo periodo la terra è piuttosto avara di frutti... Krakauer, amante lui stesso di alpinismo e di viaggi avventurosi, di solitudine e di immersioni nella natura, racconta la storia di Christopher, sapendo rappresentarne la psicologia, la sete assoluta di libertà e di rottura di tutti i vincoli che il giovane, sfidando non solo le convenzioni ma gli stessi limiti umani, decide di vivere. Prima della stesura del l i br o Kr akauerav ev a scr i t t o un ar t i col o perl ’ Out si de Magaz i ne i n cuipr esent av al a vicenda affascinante e drammatica di questa sfida assoluta, articolo che ebbe una tale [email protected] 3 r i sonanz achel ospi nseadappr of ondi r e,conl ’ ai ut odel l af ami gl i adiChr i s,is uoidueul t i mi anni di vita e il percorso di questo viaggio sempre più estremo. La domanda che si pone, e cheponeall et t or e,l ’ autore è principalmente questa: perché tanti giovani americani sono cosìat t r at t idalr i schi o?Quant osonoi nf l uenz at idal l edi f f i col t àdel l ef ami gl i ed’ or i gi ne?La r i cer cadiunav i t aaut ent i ca,diunsi gni f i cat odadar eal l ’ es i st enz a,puòc ondur r eas cel t e cosìest r eme?Eancor a:nel l ’ i mmagi nar i oamer i canochepost ohal anat ur asel v aggi a? Ecco in alcune frasi di una lettera inviata nell'aprile del 1992 ad un amico, la filosofia di Chris su cui molti americani sono stati costretti a riflettere: ... C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso... ... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un'esistenza non convenzionale.... I legami familiari e le convenzioni sociali possono diventare una vera schiavitù da cui fuggire ad ogni costo? E poi, la solitudine assoluta può dare la felicità? il libro è denso di citazioni, di poesie e di documenti così da apparire qualcosa di più di una biografia. Inoltre la vicenda di McCandless, un giovane benestante che aveva davanti a sé una promettente carriera e che abbandona tutto per raggiungere la purezza assoluta, diventa così emblema del l ’ i mposs i bi l i t àdidar er i spost eadomandet ant ocompl esse.Scegl i endo sempre la via più difficile, rinunciando a tutte le comodità o agli aiuti che la civiltà moderna offre Chris ha voluto mantenere integra, incorrotta la sua scelta: una purezza estrema, ma anche un individualismo esasperato che gli sono costati la vita. Ecco il testo di una cartolina datata 27 aprile 1992, e indirizzata a Westerberg: Queste saranno le mie ultime righe, Wayne. Sono arrivato due giorni fa ed è stato molto difficile trovare passaggi nello Yukon, ma alla fine ce l'ho fatta lo stesso. Per favore, restituisci tutta la posta che ricevi. Potrebbe passare molto tempo prima che io ritorni al Sud. Se quest'aventura avrà un esito fatale e non dovessi più ricevere mie notizie sappi che per me sei un grand'uomo. Ora entro nella natura. Lo stesso giorno McCandless mandò una cartolina anche a Jan Burres e a Bob: Ciao ragazzi! Questa è l'ultima comunicazione che riceverete da me. Sto per addentrarmi nella natura selvaggia. Riguardatevi, è stato bello conoscervi. Questo fu l'ultimo contatto con il mondo esterno che Chris ebbe e che indica la piena consapevolezza delle difficoltà della sua impresa. Già prima di lui, negli anni Settanta altri giovani si erano addentrati nelle desolate vastità dell'Alaska senza farvi più ritorno e lo stesso autore incontrò l'eccentrica figura di Gene Rosellini, rampollo di una famiglia ricca e famosa, che la gente del luogo chiamava "il sindaco di Hippie Cove", che stava provando l'esperimento antropologico di vivere svincolato da ogni forma di benessere. Ma dopo dieci anni giunse a questa conclusione: "Ho imparato che non è possibile per gli esseri umani così come noi li conosciamo vivere nella natura e della natura". Nel 1991 però Rosellini fu ritrovato morto, con un coltello piantato nel petto, si suppone da lui stesso. Vengono poi presentati altri giovani che, tentando l'impossibile spinti da una forte idealità, finirono col soccombere. Poi Krakauer, per capire e farci capire ancor meglio la psicologia di Chris, [email protected] 4 incontra e si sofferma sulla figura di Walter McCandless, il padre, riportando i ricordi e le mozioni vivissime che ha del figlio. Ma sono le parole di Corine, la sorella amatissima, quelle che riescono meglio a ridare vita all'adolescenza e al percorso interiore di Chris. Scrivere questa biografia, conoscere a fondo il protaognista, addentrarsi nella sua anima e nelle sue motivazioni cambiò non solo molti lettori, ma lo stesso Krakauer che volle, lui stesso sperimentare, scalate impervie, percorsi imbattuti, lo sgomento della solitudine. Il successo del libro denuncia comunque il bisogno di sentimenti assoluti che gli uomini dei nostri tempi nascondono dietro la ricerca di ogni tipo di comodità e di omologazione sociale. Le prime pagine NOTA DELL'AUTORE Nell'aprile del 1992 un ragazzo di buona famiglia della costa orientale degli Stati Uniti raggiunse l'Alaska in autostop e si addentrò nel territorio selvaggio a nord del monte McKinley. Quattro mesi più tardi un gruppo di cacciatori d'alci rinvenne il suo corpo ormai in decomposizione. Poco dopo la scoperta del cadavere, il direttore della rivista Outside mi chiese di scrivere un pezzo sulle misteriose circostanze della morte del giovane. Scoprii così che si chiamava Christopher Johnson McCandless e che era cresciuto in un ricco sobborgo di Washington D.C, distinguendosi sia per gli ottimi risultati accademici sia per quelli sportivi. Nell'estate del 1990, appena conseguita una laurea con lode all'Emery University, McCandless sparì dalla circolazione. Cambiò nome, diede in beneficenza tutti i risparmi - circa ventiquattromila dollari -, abbandonò l'auto con quasi tutti i beni personali, bruciò i contanti nel portafoglio e s'inventò una nuova esistenza ai margini della società, peregrinando attraverso l'America del Nord in cerca di un'esperienza pura e trascendentale. La famiglia non sapeva dove il ragazzo si trovasse né cosa gli fosse capitato, finché un giorno in Alaska non ne fu trovata la salma. In tempi molto stretti, preparai un articolo di novemila parole che fu pubblicato sul numero di Outside del gennaio 1993. Ma anche quando nelle edicole il mensile venne via via sostituito dalle novità, il mio interesse per il caso McCandless non si spense. Ero come tormentato dai particolari della morte per fame di quel giovane e dai vaghi e inquietanti paralleli tra gli eventi della sua e della mia vita. Riluttante ad abbandonare la vicenda, trascorsi più di un anno a ripercorrere con un fervore che rasentava l'ossessione il tortuoso cammino che lo aveva portato a morire nella taiga d'Alaska, in cerca di ogni minimo dettaglio sulle sue peregrinazioni. Cercando di capire McCandless, mi trovai inevitabilmente a riflettere su temi ben più vasti: il fascino che i territori selvaggi suscitano nell'immaginario americano, l'attrattiva che le attività ad alto rischio esercitano su certi ragazzi, il complicato e delicato legame che unisce padri e figli. Il risultato di questa intricata ricerca è il libro che vi accingete a leggere Non sosterrò di essere un biografo imparziale. La strana storia di McCandless aveva risvolti che mi erano familiari al punto da rendere impossibile un approccio distaccato alla tragedia. In buona parte del libro ho cercato - e credo quasi sempre di esserci riuscito - di ridurre al minimo la presenza dell'autore, ma devo avvertire che la storia di McCandless viene frammezzata da episodi della mia giovinezza, che inserisco nella speranza di contribuire a fare luce sul mistero di questa scomparsa. Chris era un ragazzo molto profondo, il cui forte idealismo era difficilmente compatibile con la vita moderna. Affascinato dall'opera di Tolstoj, McCandless ammirava soprattutto il modo in cui il grande romanziere aveva saputo abbandonare una vita di benessere e privilegi per frequentare gli indigenti. All'università il ragazzo cominciò a emulare l'ascetismo e il rigore morale del suo eroe letterario a un punto tale che sulle prime stupì e in seguito preoccupò chi gli stava accanto. Quando si avventurò nelle foreste d'Alaska, McCandless non si illudeva di [email protected] 5 arrivare nel bengodi: al contrario, pericoli, avversità e rinunce tolstoiane erano proprio quello che cercava. Li trovò, e ne trovò anche troppi. Ma per gran parte delle sedici settimane di ardua prova, il ragazzo se la cavò piuttosto bene e se non fosse stato per una o due negligenze apparentemente insignificanti, nell'agosto del 1992 egli sarebbe uscito dai boschi senza clamore, così come vi era entrato nell'aprile dello stesso anno. Invece, le ingenuità commesse lo condannarono, il suo nome finì sulle prime pagine dei tabloid e i familiari sconcertati dovettero rimettere insieme i cocci di un amore intenso e doloroso. Un numero sorprendente di persone è rimasto colpito dalla vicenda di vita e morte di Chris McCandless. Non a caso, nelle settimane e nei mesi successivi alla pubblicazione dell'articolo su Outside, la redazione fu sommersa da tante lettere quante non se ne erano mai viste nella storia della rivista. Com'è prevedibile, la corrispondenza rifletteva punti di vista diametralmente opposti: alcuni lettori ammiravano molto il ragazzo per il coraggio e i nobili ideali, altri lo definivano un idiota imprudente, un folle, un narcisista morto per arroganza e stupidità, e consideravano immeritata l'attenzione riservatagli dai mass media. Sarà presto chiaro quello che io penso in proposito, ma vorrei che fosse il lettore a formarsi una sua opinione su Chris McCandless. JON KRAKAUER Seattle, aprile 1995 © 2008, Casa editrice Corbaccio la parola ai protagonisti Vivere è saper rischiare: intervista a Jon Krakauer Come hai iniziato a scrivere, qual è stata la tua formazione? Non ho mai studiato scrittura ma sono sempre stato un lettore e ho sempre avuto il desiderio segreto di diventare scrittore. Per la mia attività di alpinista sono stato in Alaska per la prima volta nel 1974 a Arrigetch Peaks nel Brooks Range e ho fatto t r esal i t e/ s cal at edic i memais cal at e.L’ Amer i canAl pi neCl ubhaunar i vi st a,The American Alpine Journal, che pubblicano ogni anno e che è una raccolta delle scalate più importanti in tutto il mondo e mi hanno invitato a scrivere un articolo per loro a proposito di queste scalate. Quello fu il primo articolo che scrissi. Tre anni dopof uipagat operl apr i mavol t aperr ac cont ar equandos cal aii lDevi l ’ sThumbe scrissi di questo per la rivista inglese Mountain (ora chiusa). Poi un amico e compagno di scal at e,i lmi o“ ment or edel l as cr i t t ur a”Davi dRober t s,l asc i òi lsuo l avor odii nsegnant eal l ’ Hampshi r eCol l ege,dovesonoandat oanch’ i o,perf ar ei l r edat t or eaHor i z on.Dopounannol as ci òl ar i vi st aperl ’ at t i vi t àf r eel anceemidi ss e come funziona la faccenda delle lettere di proposta convincendomi a seguire il suo esempi o.Hof at t oat empoper soi lgi or nal i st af r eel anceperunpai od’ annienel 1983 ho lasciato il mio lavoro di falegname e da qual momento ho sempre scritto. Come è stato il passaggio alla carta stampata? Sapevo che non avr eipot ut o vi ver e sempl i c ement es cr i vendo diat t i v i t à al l ’ ar i a aperta così ho fatto uno sforzo per scrivere anche di altri temi. Sono stato falegname e ho scritto di architettura per Architectural Digest. Sono stato pescatore cosìhoc ont at t at oSmi t hsoni anapr oposi t odiun’ at t i v i t àdipescai nAl askaemic i hanno mandato. Ho contattato Rolling Stone per le camminate sui carboni ardenti, le passeggiate nel fuoco e hanno deciso di farmi scrivere rischiando. Ho provato a [email protected] 6 scrivere per i giornali locali di Seattle e ho capito che essere pubblicati da un giornale locale è difficile quanto essere pubblicati da un giornale nazionale e i giornali locali pagano un decimo dei nazionali, così ho detto: vaffanculo la roba locale. Stavo raggiungendo la quota di dieci lettere di proposta a settimana, e l avor avodavv er osodo,masonost at of or t unat o.Si c comevol evopagar el ’ af f i t t o, non avevo grandi ambizioni di diventare un artista. Volevo pagare quei maledetti conti, così lavoravo davvero sodo. Capii che quello che scrivevo per Rolling Stone doveva essere ben diverso da quello per Smithsonian, e davo loro quello che vol evano,vol evovender el ’ ar t i col o.Fuut i l e,comescr i t t or e,pr ovar evocidi ver see fu anche intelligente, furbo, dal punto di vista economico. Qual ial t r i ar goment ideiqual ihascr i t t ol ’ hannoi nt er es sat o? I lpr obl ema è che nes suno miha i nt er es sat o come ipez z isul l e at t i vi t à al l ’ ar i a aperta. Gli articoli che ho scritto per Outside magazine sono i migliori e sono tutti sulla natura. Ecco perché la maggior parte dei testi di Eiger Dreams erano stati pubblicati originariamente su Outside o Smithsonian. È difficile pensare a pezzi che davver omipi acc i onoechenonsonosuat t i vi t àal l ’ ar i aaper t a. Com’ èst at oi lpas saggio dai brevi articoli per le riviste al taglio narrativo di un libro? È stato davvero soddisfacente. Mi piace molto fare delle ricerche e, se calcolo tutti gli articoli, ho fatto abbastanza ricerche per scrivere un libro. In quasi ogni articolo che ho scritto, mi sembrava di non aver reso giustizia alla storia, come se fosse solo un commento. Così scrivere un libro e trascorrere un anno o due e raccontare nel modo giusto la storia è davvero soddisfacente e dopo averlo fatto è difficile tornare indietro e scrivere articoli per le riviste. A cosa sta lavorando ora? Sono sei settimane in ritardo su un articolo per National Geographic a proposito di unvi aggi onelcuor edel l ’ Ant ar t i de,i nunpost ochi amat oQueenMaudLand,dov e ho fatto delle scalate con Alex Lowe, probabilmente il miglior alpinista del mondo. Molti lettori di Aria sottile sarebbero sorpresi di sapere che ha fatto altre scalate dopo esser et or nat odal l adr ammat i caspedi z i onesul l ’ Ev er est . Beh,sonot or nat odal l ’ Ev er estcondeiser idubbisul l ’ i nt er af ac cendadel l es cal at e, ma sono molto importanti per me. Smetterò di scrivere prima di smettere con l ’ al pi ni s mo.Hoavut ouni nvi t oaf ar edel l es cal at econi lmi gl i or eeandar ei nun posto fantastico con queste bellissime, enormi pareti di granito che sporgono dal ghi ac ci ochenes sunohamaiscal at opr i ma.È un’ oppor t uni t àchecapi t aunavol t a nel l avi t a,ei ol ’ hocol t a.Hopr esol ’ i mpegnoconunpo’d’ ansi aequandosono partito avevo ancora più ansia ma alla fine è stato uno dei miglior viaggi che abbia mai fatto. È stato tranquillo, la scalata era il tipo di scalata che so fare –granito r i pi do,v er t i cal e,s por gent e.Nonc’ er anul l asopr agl i11000pi edi . Qual è stata la reazione dei suoi familiari e amici alla notizia che avrebbe fatto altre scal at edopol ’ Ev er est ? Capi r ono.Mapermi amogl i e,enonmel ’ hadet t of i nchénonsonot or nat o,er api ù di f f i ci l eac cet t ar equest ascal at ar i spet t oaquel l adel l ’ Ever est .Sul l ’ Ever estpot ev o chi amar l aconi lt el ef onosat el l i t ar e,nel l ’ Ant ar t i denoncisono comunicazioni per sei set t i mane.Esembr avaun’ escal at i on:pr i mal ’ Ever est ,poil ’ Ant ar t i co. . . Comespi egher ebbeaunaper sonaqual unquecosaèc osìaf f asc i nant edel l ’ al pi ni s moda [email protected] 7 valere il rischio? Mi affascina perché mi importa. A differenza del resto della vita, quello che fai ti interessa davvero e non puoi permetterti di incasinarti. Le tue azioni hanno delle conseguenze reali. Devi essere sempre molto attento e concentrato e questo dà soddisfazione. Senza rischio questo non succederebbe, quindi il rischio è parte essenz i al e del l ’ al pi ni s mo ed è di f f i ci l e peral cune per sone capi r l o.Non c isono giustificazioni quando le cose vanno male e le persone muoiono. Più grande è il r i schi o,pi ùgr andeèi lpr ez z o:capi t aanchenel l av i t a,manel l ’ al pi ni s moquesto è certamente vero. È come una partita a scacchi che coinvolge tutto il corpo e porta in posti bellissimi. Qual isonol eal t r eat t i v i t àcheama,ol t r eal l ’ al pi ni s moeal l as cr i t t ur a? Mipi acest ar eal l ’ ar i aaper t a,suimont ioneldeser t o,epi aceanche a mia moglie. Questa è una delle cose che cementa il nostro rapporto. Faccio snowboard, leggo e scrivo. Non sono socievole. Non ho molti amici, perché sto molto via, e quando sono a casa voglio stare con mia moglie e sono felice quando sto da solo per un lungo periodo. Quali sono gli scrittori che ammira di più? Ce ne sono molti. Mi è sempre piaciuto Updike. Il mio romanzo preferito di Updike, non uno dei più conosciuti, è A Month of Sundays. Mi sono sempre piaciuti Joan Didion, E. Annie Proulx, Charles Bowden, David Roberts, Lorrie Moore. Probabilmente leggo più la narrativa che la saggistica, non so perché. Leggo ad esempio un bel romanzo magico e soprannaturale come The Lives of the Monster Dogs e funziona: sembra ridicolo ma è per me fantastico. Non hapor t at ones sunr omanz oconl ei sul l ’ Ev er est ? Ho portato Infinite Jest perché mi piace molto David Forster Fallace ma è stato impossibile leggere al campo base. Il mio cervello non ci riusciva. I corrieri portavano vecchie copie del Time o del Newsweek al campo base, ma non avevo voglia di leggere le notizie; ero concentrato esclusivamente sulla scalata. Come ha fatto a prendere appunti dettagliati e ricordare così tante cose durante quella esperienza straziante? La mia memoria è inattendibile, ma come giornalista sono disciplinato e penso che ci voglia molto lavoro per far bene le cose: così mi sono dato delle regole. Ho riempito nove taccuini. Avevo un taccuino grande su cui scrivevo ogni giorno e ogni notte, registrando quello che osservavo. Ne avevo uno piccolo da reporter che portavo con me durante la scalata, e ogni volta che mi fermavo per riposare o per ber eunbi cchi er ed’ acqua,l ot i r avof uor idal l ami at as caescr i vevo.Avev ounadi quelle penne che scrivono anche sotto lo zero e ha funzionato. Prendevo appunti come i fotografi scattano fotografie. Registri tutto perché non sai mai cosa apparirà inattendibile quando tornerai giù. E non mi preoccupo di come sta andando la storia e di come suonerà, cerco solo di registrare, perché se hai dei pregiudizi e se stai cer candounacer t acosa,f i ni r aiperper der el ecosei mpor t ant i .L’ uni cavol t ache non ho preso appunti è stato il giorno che siamo arrivati in cima alla montagna. Ho pr ovat oa27. 600pi ediquandohor aggi unt o“ TheBal cony”al l e5: 30delmattino ma gli appunti erano illeggibili e non avevano senso perché il mio cervello non f unz i onava.Non ho i ni z i at o a pr ender e appunt if i no al l e seidelmat t i no del l ’ 11 maggi o quando St uar tHut chi nsonmihasvegl i at o.Qui ndic’ è un per i odo,i lpi ù important e,i ncuinonhopr esoappunt i .L’ hor i c ost r ui t odamol t i ss i mei nt er vi st ea [email protected] 8 tutte le persone che erano lassù e, come sai, ho detto cose sbagliate. Non puoi fidarti della tua memoria, è una questione di rimandi e di avvalorare. E anche adesso i lettori più attenti si accorgeranno che la linea temporale non è molto pr eci sa.Tut t iquel l icheer anol assùsonod’ ac cor donels ost ener echei lt empoèl a cosa più ambigua, sfuggente. Scrivere è stato catartico? Credo che lo sarà, eventualmente. Non lo è stato a quel tempo, è stato duro e molto doloroso. Non è il modo in cui scrivo di solito. Scrivo per molte ore ma sono lentissimo e soffro del blocco dello scrittore. Qualche volta lavoro su una singola frase per due o tre giorni. Non ho avuto questo lusso stavolta, ho dovuto darci dent r o.Avevo80 o90 gi or nidis cr i t t ur a ec’ er anoci r ca88. 000par ol enell i br o. Sapevo di dover scrivere circa 1000 parole al giorno e ero un caso disperato, alla fine. Cosa ne pensa del modo in cui i media hanno trattato questa storia? I media sono riduzionisti per natura. Soprattutto la televisione, ma anche le riviste, compr esal ami a,l ’ hannol et t acome“ eccogl iuomi nibuoni ,ec cogl iuomi nicat t i v i ” . El at vhacer cat odidi r e“ eccol at r agedi achenondovevaaccader e”e“ Chièda bi as i mar e?” .È mol t opi ùcompl i cat o.RobHal l ,peresempi o,èmor t o,eunadel l e sue guide e due clienti sono morti. Ma non biasimo Rob, e cerco di capire i suoi sbagli, e molti di loro nascono da motivi altruistici, ma la fine fu tragica. Cosa spera che le persone si portino dietro dopo la lettura del libro? Vol ev o pi ù diognial t r a cosa most r ar el a compl es si t à el ’ ambi gui t à diquest a t r agedi a.Nonèsempl i ce,enonèsempl i cebi as i mar e,enonnascedal l ’ av i di t ào dalla stupidità della ricerca del brivido o dalla caccia al trofeo, ma è molto più pr of ondo.Imot i v iperl eper soneches cal anol ’ Ever estsono,i nunc er t osenso, nobi l i ,eal l ost es sot empof uor v i ant i .È i ldesi der i odiandar eol t r es est ess i .C’ è anche molta arroganza e egoismo. Volevo che il libro fosse un solidale e fiero ritratto dei caratteri coivolti. Volevo raccontare la storia nella sua complessità. Che è quello che cerco di fare quando scrivo, ecco perché sono sempre frustrato dagli ar t i col idel l er i vi st e. C’ èsempr eunaz onad’ ombr anella vita, e in gran parte del giornalismo sei costretto e condensarlo nel bianco e nel nero e il grigio si dissolve. In un libro hai il lusso di sviluppare i personaggi e mostrare che le persone sono sia buone che cattive, e fanno buone cose e si incasinano. Cosahapensat oquandohai saput odel l emor t is ul l ’ Ev er estquest ’ anno? È stato un colpo allo stomaco, non potevo credere che fosse successo ancora. Ha fatto riaffiorare molti ricordi. Sonoper sonechenonhannoi mpar at ol al ez i onedal l ’ annos cor so? Sì ,ass ol ut ament e.L’ Ever es tèperper sonemol t odet er mi nat eepr opr i oper chéè l ’ Ever estl eper s onecor r onor i sc hichenoncor r er ebber osual t r emont agne.Ecc o per chéquest at r agedi asir i pet er àancor aeancor a. È chi amat a“ t hedeat hz one” per una buona ragione, è come giocare alla roulette russa. Cosaav r ebbef at t oChr i sMcCadl es ssef os sest at oconl einel l aspedi z i onesul l ’ Ev er est ? Sar ebbe cor so v i a dal l ’ Ever est .Er a av vent ur os o ma pensava che l ar i cchez z a corrompesse. E delle persone che spendono 65.000dol l ar ipersc al ar el ’ Ever est , avrebbe pensato che si comportanto in modo osceno. Chris era un uomo che non [email protected] 9 appr ez z ava l ez one d’ ombr ael e ambi gui t à e sisar ebbe f or mat o subi t o del l e opinioni precise su di noi, e ci avrebbe puniti tutti. Posso solo immaginare cosa avrebbe detto... (ride). Leisembr aav er eancor aunf or t el egameconChr i s.Chec os’ èdiquest ast or i achel a ossessiona parecchi anni dopo? Mii dent i f i comol t oconl ui ,èunast or i at r i st e.Sonot or nat oal l ’ aut obusperl at er z a volta lo scorso settembre. Sono diventato un buon amico della sua famiglia, abbiamo questo strano vincolo. I suoi genitori sono venuti alla presentazione che ho fatto a Baltimora pochi giorni fa, e era la prima volta che vedevano molte di queste slide e deve essere stato difficile per loro. Molte persone sono andate da loro per dirgli quanto ammiravano Chris, è stato molto toccante. È molto strano per me che non ho mai conosciuto Chris; ho scritto questo libro su di lui e i suoi genitori mi hanno ringraziato per aver spiegato alcuni aspetti di lui che non avevano mai conos ci ut o,ma i o non l ’ homaii ncont r at o.Air eadi ng ad At l ant a e Nashvi l l e,l a gente venne a dirmi essere andati al college con Chris a Emory e di averlo conosciuto. E è stato molto strano. L'intervista è stata concessa da Jon Krakauer a Larry Weissman per la rivista letteraria Bold Type. Traduzione di Claudia Spadoni –tratta da www.wuz.it intervista a Sean Penn Unpo’disol i t udi neèneces sar i a,maal l af i nest ar edasol ièni ent e,per c hécome ha detto Tolstoj: non è vera felicità se non si può dividerla con qualcuno Ci racconti il suo primo impatto con questa storia Ho vi st o,di eciannif a,i ll i br o diKr akaueri n una l i br er i ael ’ i mmagi ne di quel l ’ aut obusnel l anevemihaaf f asc i nat o.Hocompr at oil libro, ho passato la notte a leggerlo e a rileggerlo. Sono andato a dormire e la mattina, quando mi sono alzato mi sono messo subito al lavoro per acquisirne i diritti. Mi sembrava una storia indimenticabile e profondamente cinematografica, sia per i personaggi che per le ambientazioni. Ha toccato in me le stesse corde che credo abbia toccato in tutti coloro che hanno il libro. Tr aquel l apr i mal et t ur ael as cr i t t ur adel f i l m sonopas sat iper òdi ec ianni … Quando mi sono messo a scrivere la prima stesura del film, dieci anni dopo appunto, non ho dovuto nemmeno riprendere in mano il libro. Prima della seconda stesura però ho voluto ripercorrere di persona le tappe del viaggio di Chris e incontrare di persona le persone che lui aveva conosciuto lungo il suo viaggio. Ci sintetizzi in poche parole il messaggio del film e della storia di Christopher McCandless. La sua è stata una fuga, ma anche una ricerca della libertà assoluta. Fuga dal benessere, dalla banalità, da tutto il troppo che portiamo con noi e con cui ci siamo abituati a vivere, fuga dalla stupidità che ci circonda. La nostra società ha creato una ver a di pendenz a dalconf or t .Fuga,ma anchei nsegui ment o:del l ’ aut ent i ci t à, del l a pur ez z a,del l ’ essenz i al i t à.I nsegui ment o delpost o gi ust o,diun l uogo in sintonia con lui. Sono convinto che dentro ogni uomo ci sia un Alaska e negli anni Set t ant aer aanc or apos si bi l er aggi unger l o… [email protected] 10 Chi era, per lei, Chris? Una persona vera, e così ho voluto presentarla. Non ho voluto farne un martire o un eroe. Ho voluto che sivedess el ’ i nt egr i t à del l a sua umani t à.Che ognuno l o scopr i ssenelbenechec’ er ai nl uienei suoidi f et t i . Il film a chi si rivolge principalmente? Ai giovani che oggi sono troppo spesso schiavi del benessere e delle cose materiali. Anche senza affrontare situazioni estreme e rischiose si può cercare di sentire il proprio cuore battere più in fretta. È importante che ci si provi almeno quando davanti si ha tutta la vita. Sembra molto critico con il mondo attuale. Sono tante le cose che mi fanno arrabbiare e che sono una specie di combustibile chemii nf i ammaquandol ast upi di t àr aggi ungedegl ieccess i … Masper ochel ami a creatività non nasca solo da lì. Possiamo dire quindi che Into the Wild sia un film politico? Come è politica ogni storia che parla del nostro tempo e che pone delle domande sulla nostra società. Sono convinto che ci sia bisogno che gli uomini si liberino da tutto ciò che li circonda, e questo deve avvenire in solitudine, ma è indispensabile che poi riportino la loro esperienza al l ’ i nt er nodel l asoc i et à.Sidevees ser esol ii nun primo processo di presa di coscienza, ma è poi indispensabile, per essere felici, che si condividano le conquiste. Il rapporto con la natura è un tema fondamentale in questo film. La natura è un elemento dominante è la guida di Chris e di tutto il film. È stata la nostra priorità. Come ha scelto gli attori che impersonassero le persone incontrate da Chris durante il suo viaggio? Gent e cosìnon l as ii ncont r a nel l a Scr een Act or ’ s Gui l d.Mipi ace vi aggi ar e e trovare per la strada gente meravigliosa, gente che ha qualcosa dentro. E così si è creato sul set un'atmosfera particolare e la troupe nel corso delle riprese è diventata una specie di banda di quartiere dove le persone si guardavano le spalle a vicenda. E il protagonista? Vorrei sottolineare che il film non ci sarebbe senza di lui. Avevo visto Emile in un film e c'erano tante cose di lui, a partire dalla sua fisicità, che mi dicevano che poteva essere perfetto per il ruolo. Abbiamo passato trenta giorni insieme per la preparazione perché dovevo essere sicuro che avrebbe potuto sostenere la parte e passare otto mesi nella natura selvaggia. È stata la scommessa più importante che io abbia fatto. Il montaggio, così complesso, deve aver richiesto tempi molto lunghi. Sì ,cer t ament e.È,comedi c i amonoi ,l a“ t er z ast esur adelf i l m” .I oei lmont at or e abbiamo fatto finta di essere due sceneggiatori e siamo restati sempre chiusi per mesi in una stanza, giorno dopo giorno, a volte stando svegli anche la notte, facendoci portare il mangiare nella stanza per non allontanarci nemmeno un momento, scambiandoci idee, pareri e consigli e così alla fine è venuto fuori un film esattamente come lo avevo in testa dieci anni prima. [email protected] 11 Ci racconti come nasce la colonna sonora del film. A mano a mano che procedevamo con le riprese ho iniziato a sentire la voce di Eddi e Vedder [ par ol i er e e cant ant e deiPear lJam]come l ’ ani ma diChr i s McCandless. E mentre montavamo il film mi sono trovato ad attingere alla musica di Michael Brook. Poi il montatore del suono ci ha consigliato Kaki King. Ho chiesto poi a Eddie Vedder di leggere il libro e subito dopo si è messo a comporre sia canzoni che pezzi strumentali. Poi sono bastate poche sedute di registrazione a Seattle e la colonna sonora era fatta Credo che in ogni caso non siano mancate le difficoltà. È stato un film molto duro da fare, ma anche quando tutto andava storto, quando nessunomisoppor t avapi ù,nonc’ èmaist at ounsol omoment oi ncuiqual cuno abbia smesso di amare questo film. Tutti erano sempre pronti a rischiare la vita per ai ut ar si l ’ unl ’ al t r o. Ha avuto modo di intrecciare un lungo rapporto con la famiglia di Chris. Con i genitori e la sorella di Chris è nato un rapporto di fiducia reciproco. Abbiamo passato insieme dieci anni prima che mi sentissi pronto per fare questo film. Mi hanno aperto la porta della loro casa e mi hanno permesso di portare sullo schermo la vita di loro figlio. Leihav i ssut onel l asuaesi st enz aqual cosadisi mi l eal l ’ esper i enz achehar accont at oin questo film? Per quello che mi riguarda, la mia esperienza personale che si avvicina di più a quella di McCandless è stato crescere nei pressi dell'oceano e fare il surfista. Anche tra le onde si cerca una sorta di solitudine e di libertà interiore. Anche se inizialmente il protagonista fugge da qualcosa - dalla sua famiglia, dagli obblighi, da una situazione di comfort - il fulcro del film sta nella sua ricerca e nella celebrazione della libertà. Ed è un percorso interiore che tutti dovrebbero intraprendere, magari non in una maniera così estrema. recensioni Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 2 gennaio 2008 Si tratta di suicidi stilizzati, metaforizzati: il giovane di Into the wild, film ragionatamente selvaggio di Sean Penn, muore come Heath Ledger nel suo loft a New York: non vuole più saperne del mondo. Prendendola larga, il neo laureato Christopher McCandless nel 1990 fa ciao alla società civile, brucia i dollari, si tiene i libri guida (Tolstoi, Thoreau, London) e s'inerpica in stile Herzog nelle solitudini del mondo, arrivando al finale di partita nella gelo d'Alaska. In flirt con la Natura, si è rifiutato a una ragazzina, ha fatto un po' di amicizia con una coppia di hippie fuori tempo, ha ascoltato la senile saggezza d'un uomo che vuole adottarlo e salvarlo. Ma Penn sa che il rifiuto è esistenziale ma anche politico, meglio into the wild che into the Iraq war. Film freddo e di bellezza visiva estenuante, con un magnifico Emile Hirsch; e per approfondire la storia di Supertramp leggere il libro di Krakauer edito dal Corbaccio. Roberto Nepoti - la Repubblica, 25 gennaio 2008 Ci sono storie dove i personaggi restano uguali a se stessi dall'inizio alla fine; altre, nel corso delle quali evolvono e, insieme, evolve l'opinione che ci facciamo di loro. Ricade nel secondo caso Into the wild, il "film di formazione" diretto da Sean Penn che ci sorprese e ci emozionò alla Festa del Cinema di Roma. A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer, Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista, [email protected] 12 giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un "picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il massimo pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete". All'inizio degli anni 90, il neolaureato Christopher McCandless dà quel che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio, autentica performance dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto a partire dal rifiuto della famiglia d'origine: cellula di giudizio e controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto più spaventosa perché accettata come norma e condizione naturale. Tra Nuovo Messico, Arizona, Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con l'altro, occasioni di conoscenza e comprensione anche reciproca. Alex s'accompagna a una coppia di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in un'azienda agricola, diventando amico di un tale ricercato dalla polizia; flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita, che vuole adottarlo. Già di per sé, intraprendere una tale pista equivale a confrontarsi con la mitologia fondativa della cultura americana, dai pionieri che affrontarono per primi le terre incognite a Thoreau, da London a Kerouac. Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più nella solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la wilderness è libertà e verità, ma rappresenta anche il rischio e la minaccia ultima. In una scena ai limiti del sublime Alex, ormai stremato dalle privazioni, si trova di fronte un gigantesco orso bruno: forse affamato quanto lui, eppure non minaccioso. Qui Penn dà forma definitiva al mito dell'incontro tra due creature libere nel Paradiso Perduto, nostalgia lacerante di un'intera cultura tuttora in lutto per la perdita dell'innocenza e che, promotrice della "civiltà", ad essa annette un irredimibile senso di peccato. Sereno e dolente, stoico e consapevole insieme, refrattario al "nostalgismo" come al manierismo, lo sguardo della macchina da presa annette di diritto Penn - accanto a Clint Eastwood, Paul Haggis e pochi altri - alla pattuglia transgenerazionale di cineasti capaci di raccogliere la grande eredità del cinema classico americano. Appropriate le canzoni di Eddie Vedder dei Pearl Jam. Alberto Crespi - L'Unità, 25 gennaio 2008 Quarto film da regista di Sean Penn, Into the Wild è stato uno degli eventi dell'ultima Festa di Roma, dove in diversi hanno gridato al capolavoro. Sarà bene dire subito che non lo è, ma sarà anche giusto ammettere che è uno di quei film che possono far innamorare. Perché è tenerissimo il protagonista - il giovane Christopher, che molla il benessere e la famiglia borghese per sfidare le «terre selvagge» -, perché sono abbaglianti i paesaggi naturali nei quali si svolge la storia, e perché tutti i riferimenti culturali che Penn dissemina nel film sono quelli giusti, quelli dell'America «che ci piace». Partiamo proprio dal Wild- è un aggettivo («selvaggio», appunto) che nella cultura americana sa farsi sostantivo, e che sostantivo! Si chiama Call of the Wild, in originale, Il richiamo della foresta di Jack London, uno dei libri che Chris legge durante la sua avventura, nonché uno dei testi formativi dell'identità americana più profonda. Ma strada facendo si parla anche di Thoreau e del suo Walden o la vita nei boschi, di Tolstoj e del suo ritiro fra i contadini a Jasnaja Poljana, della cultura hippy che ancora sopravvive negli angoli più sperduti della California; e si allude, magari indirettamente, a On the Road di Kerouac, a tanto cinema (da Ford a Terrence Malick), mentre in colonna sonora Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, ammicca alla grande tradizione del folk e della psichedelia anni '60. Insomma, Into the Wild sembra veramente il pantheon di Sean Penn; ed è un vero peccato che il film sia riuscito, a esser generosi, al 60%. A causa di un eccesso di poesia «programmatica», molto cercata e poco trovata, e di un finale troppo ambizioso in cui la ribellione di Chris si ripiega su se stessa. Anche la struttura stessa del film - che Penn ha scritto da solo, ispirandosi al libro di Jon Krakauer Nelle terre selvagge - è assai ambiziosa, e non poco lambiccata. Suddiviso in capitoli («Nascita», «Adolescenza», «Famiglia», «Conquista della saggezza» ... ), il film si apre con Chris che arriva in Alaska, taglia i ponti con la civiltà e si accinge a passare un'estate in totale solitudine. Con lunghi flash-back, e con una doppia narrazione (le lettere che Chris scrive a un amico, la voce fuori campo di sua sorella), scopriamo che Chris ha abbandonato la famiglia subito dopo essersi diplomato al college, e che per due anni ha girato l'America in autostop, facendo l'agricoltore nel South Dakota e l'hippy in California, discendendo il Colorado in kayak e cuocendo hamburger in un fast-food, sempre con il sogno di seguire le orme di Jack London. Nel frattempo, l'estate di Chris fra i monti dell'Alaska passa di disastro in disastro... Penn è stato il protagonista della Sottile linea rossa e Into the Wild potrebbe [email protected] 13 avere, come sottotitolo, «vorrei essere Terrence Malick». La regia va a caccia di dettagli, si dilunga in digressioni e squarci naturalistici che qua e là sfiorano il sublime, ma più spesso rimangono bellissime fotografie con poca anima. Il risultato è un film di 148 minuti, visivamente bellissimo ma narrativamente zoppicante. La prova del protagonista, Emile Hirsch, è eroica: ma è più sport estremo che cinema. Roberto Escobar - Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2008 È un uomo in rivolta, il protagonista di Into the Wild (Usa, 2007, 140'). Dice no al mondo, e alla sua miseria. Certo, lo fa anche perché ha poco più di vent'anni. Invece Sean Penn ne ha 47. Ma non sembra che la sua rivolta sia meno limpida. È una storia vera quella che Penn ha tratto da un libro di Jon Krakauer. All'inizio degli anni 90, Christopher McCandless (Emile Hirsch) sceglie di abbandonare i soldi e la prepotenza del padre (William Hurt). Rinuncia alla prospettiva di una laurea prestigiosa, sale sulla sua vecchia auto e va verso l'Ovest, luogo del mito americano, e promessa d'una libertà anch'essa mitica. Ma la sua meta ultima è la solitudine fredda dell'Alaska. Non c'è solo né soprattutto l'ideale della frontiera, dietro la rivolta di Christopher. Più forte è il coraggio irrequieto di Henry Thoreau, l'autore di La disobbedienza civile ( 1849) e di Walden, ovvero la vita nei boschi (1854). Come lui, riferimento dei libertari d'America, abbandona la "vita civile" e cerca una dimensione d'autenticità e autonomia morale nella wilderness, nella vastità della natura selvaggia e delle terre deserte. Si somigliano, il ventenne in rivolta e il regista quasi cinquantenne. In un'epoca e in un cinema per lo più dominati da un conformismo che troppo spesso veste i panni fasulli della trasgressione, Penn è tra i pochi "arrabbiati". Lo è quando recita. Lo è quando gira. Lo è quando vive. E lo è ora, nelle immagini e nei dialoghi di questo suo film forte e sincero. È in viaggio, dunque, la rivolta di Christopher. E quello che attraversa nelle immagini e nelle parole di Into the Wild non è solo l'infinito dei paesaggi, ma anche l'infinito della sua anima. È troppo chiuso, è troppo fermo il mondo che lo sta per imprigionare. Giunto alla soglia della vita adulta, vede il suo futuro nel passato del padre e della madre (Marcia Gay Arden). E ne inorridisce. Non si possono avere vent'anni, e sapere come si sarà a cinquanta. Allora, si fa quello che hanno fatto e fanno tanti ventenni, alcuni grandissimi e altri destinati a far naufragio nella propria pochezza. Come un Francesco d'Assisi redivivo, Christopher si spoglia del se stesso che lo minaccia come un dovere, e si mette in cammino nella sua nuova, esaltante nudità interiore. D'altra parte, se è la nudità che si cerca, quasi di certo si finisce per scoprire che non lo si è mai abbastanza, nudi. Così fa anche il giovane in rivolta: ogni tappa del suo viaggio è un avvicinamento impossibile a una perfezione che sempre più si sposta. Chi sono Rainey (Brian Dieker) e Jan (Katherine Keener), i "figli dei fiori" sopravvissuti alla fine del loro mondo, se non la conferma che il cammino è ancora lungo? Per quanto innamorati della libertà, i due si portano addosso il peso della vita. La loro strada si è chiusa, e quello che resta è poco più del ricordo di un'illusione. E chi è la sedicenne Tracy (Kristen Stewart), se non la deliziosa tentazione d'abbandonare il viaggio? Se le cedesse, il suo futuro finirebbe per somigliare a quello di Rainey e Jan, e di tanti altri prima e dopo di loro. Ma Christopher non cede, non si rassegna. Con il coraggio testardo e crudele d'ogni vocazione alla santità, "uccide" l'amore e la speranza di Tracy, e insiste a oltrepassare limiti e confini. Quel che cerca, infatti, non è una nuova frontiera, ma l'assenza di ogni frontiera. Così, man mano, Penn lo segue fino al niente che il ribelle sta cercando. Sta oltre un fiume, quel niente, in mezzo al bianco infinito e intatto di un angolo d'Alaska coperto di neve. Qui Christopher riuscirà a esser solo ( alone, scrive nel suo diario). Qui incontrerà quel se stesso che nessuno deve imporgli d'essere. Alle spalle s'è lasciato il passato e anche il futuro che Ron (Hal Holbrook) gli ha offerto con amore. Lascia che sia per te come un nonno, gli ha detto il vecchio Ron. Ma non si può accettare d'essere amati, se è il niente che ci seduce e chiama. In mezzo alla neve, assurdamente umano, Christopher trova un vecchio bus. Lì inizia l'ultima parte del suo cammino verso se stesso, verso la sua nudità assoluta. Ma lì, nella wilderness, finisce per essere preso e catturato dal niente: la natura è crudele, per quanto la si voglia idealizzare. Ridotto a uno scheletro, si scopre solo come mai è stato, abbandonato (lonely, scrive ora nel diario). E però la sua non è una sconfitta. La felicità non è felicità, se non è condivisa: così scrive e così dice a se stesso, scoprendosi finalmente libero. È questa, dunque, la meta raggiunta del suo viaggio. [email protected] 14