Document 1163079

Transcript

Document 1163079
[email protected]
1
scheda tecnica
durata: 148 minuti
nazionalità: Stati Uniti
anno: 2007
regia: SEAN PENN
tratto da nelle terre estreme" di Jon Krakauer (ed. Rizzoli)
sceneggiatura: SEAN PENN
produzione: PARAMOUNT VANTAGE, RIVER ROAD FILMS, ART LINSON
PRODUCTIONS, INTO THE WILD, RIVER ROAD ENTERTAINMENT
fotografia: ERIC GAUTIER
montaggio: JAY LASH CASSIDY
scenografia: DEREK R. HILL
costumi: MARY CLAIRE HANNAN
musiche: MICHAEL BROOK, EDDIE VEDDER, KAKI KING, LA CANZONE
"GUARANTEED" È DI EDDIE VEDDER
effetti: DONALD FRAZEE, MARTY TAYLOR, ENTITY FX
interpreti: EMILE HIRSCH (CHRISTOPHER MCCANDLESS), MARCIA GAY HARDEN (BILLIE
MCCANDLESS), WILLIAM
HURT (WALT MCCANDLESS), JENA MALONE (CARINE
MCCANDLESS), CATHERINE KEENER (JAN BURRES), BRIAN DIERKER (RAINEY), VINCE
VAUGHN (WAYNE WESTERBERG), KRISTEN STEWART (TRACY), HAL HOLBROOK (RON
FRANZ), ZACH
GALIFIANAKIS (KEVIN), THURE
LINDHARDT (THOMAS), ROBIN
MATHEWS (GAIL BORAH), SIGNE EGHOLM OLSEN (FIDANZATA DI THOMAS), HALEY
RAMM (CARINE GIOVANE), BRYCE WALTERS (CHRIS MCCANDLESS A 4 ANNI), KYLE
KWON (TED TURNER), STEVEN WIIG (RANGER STEVE KOEHLER)
Vi è un incanto nei boschi senza sentiero
Vi è un'estasi sulla spiaggia solitaria
Vi è un asilo dove nessun importuno penetra
In riva all'acque del mare profondo
E vi è un'armonia nel frangersi delle onde
Non amo meno gli uomini ma più la natura
(Lord Byron)
[email protected]
2
Nelle terre estreme –il libro
La natura era qualcosa di selvaggio e terribile benché bellissimo. Guardavo con
soggezione la terra che calpestavo per vedere cosa avessero compiuto le Forze - la
forma, il modo, il mateirale della loro opera. Questa era la Terra di cui sentiamo parlare,
creata dal caos nella notte dei tempi. Qui non c'erano giardini ma il globo incontaminato.
Niente prati né pascoli né coltivazioni né boschi né terre arabili né incolte né desolate. Era
la superficie fresca e naturale del pianeta Terra, com'era stata creata per i secoli dei secoli
- come dimora dell'uomo, diciamo noi -, così la Natura l'ha fatta e che l'uomo la usi se può.
(Henry David Thoreau, Ktaadn)
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1996, il libro di Jon Krakauer diventò
subito un vero classico della letteratura "di viaggio" e si pose a lungo ai primi posti delle
classifiche di vendita, un vero best seller inaspettato e oggi, a tanti anni di distanza,
trascinato dall'uscita dell'omonimo film, è di nuovo tra i primi dieci libri più venduti negli
Stati Uniti. Il libro racconta la storia di Christopher McCandless che nell'estate del 1990, a
ventidue anni, dopo essersi laureato, soddisfacendo così le aspirazioni dei genitori, dà in
benef
i
cenz
at
ut
t
iisuoir
i
spar
miepar
t
ev
er
so… l
anat
ur
asel
v
aggi
a.Assumer
àunanuov
a
identità, sarà da quel momento Alexander Supertramp, il suo viaggiare durerà due anni e
siconc
l
uder
àt
r
agi
cament
et
r
al
enev
idel
l
’
Al
askadopo113gi
or
niv
i
ssut
isf
i
dandol
af
ame,
il freddo e la natura davvero ostile che lo circondava. Chris/Alexander venne trovato morto
da un cacciatore e vicino al suo corpo si trovò un diario su cui aveva annotato, scrivendo
sempre in terza persona, giorno per giorno, finché ne ebbe la forza, la vita e la lotta per la
sopr
av
v
i
v
enz
ai
n queil
uoghios
t
i
l
i
.Pr
opr
i
o da quest
ol
’
aut
or
et
r
asse i
lmat
er
i
al
e per
raccontare le ultime terribili settimane di vita di Chris. Anche se per quasi un anno, dal
maggio 1991al suo arrivo in Alaska , il ragazzo interruppe il diario, in coincidenza con la
rottura della sua macchina fotografica. L'autore è riuscito però a "riempire" anche quel
periodo, perché quasi tutto il libro è denso di colloqui con le persone che avevano
conosciuto e frequentato quel ragazzo nei due anni del suo avventuroso viaggio attraverso
gli States e, grazie ai quali, è stato possibile per l'autore ricostruire in modo dettagliato
tutto il percorso.
Ecco ad esempio il testo di una cartolina che Chris aveva spedito a Westerberg, detenuto
della Glory House, casa di detenzione di Sioux Falls, che aveva diritto ad uscire per
lavorare all'esterno dove aveva conosciuto Chris, diventandone amico:
Come va la vita? Spero meglio dell'ultima volta che ci siamo sentiti. Sto girando per
l'Arizona già da un mese. È veramente un grande Stato! Sono circondato da paesaggi
stupendi e il clima è meraviglioso. Ma lo scopo principale di questa cartolina, oltre ai saluti,
è quello di ringraziarti per l'ospitalità. È raro trovare una persona tanto generosa e buona
come te. A volte però rimpiango di averti incontrato, perché con tutti questi soldi è troppo
facile viaggiare. Com'erano più eccitanti le giornate senza un becco d'un quattrino, quando
dovevo darmi da fare per procurarmi il pasto successivo. In ogni modo, ora come ora non
ce la farei proprio a sopravvivere senza soldi, visto che in questo periodo la terra è
piuttosto avara di frutti...
Krakauer, amante lui stesso di alpinismo e di viaggi avventurosi, di solitudine e di
immersioni nella natura, racconta la storia di Christopher, sapendo rappresentarne la
psicologia, la sete assoluta di libertà e di rottura di tutti i vincoli che il giovane, sfidando
non solo le convenzioni ma gli stessi limiti umani, decide di vivere. Prima della stesura del
l
i
br
o Kr
akauerav
ev
a scr
i
t
t
o un ar
t
i
col
o perl
’
Out
si
de Magaz
i
ne i
n cuipr
esent
av
al
a
vicenda affascinante e drammatica di questa sfida assoluta, articolo che ebbe una tale
[email protected]
3
r
i
sonanz
achel
ospi
nseadappr
of
ondi
r
e,conl
’
ai
ut
odel
l
af
ami
gl
i
adiChr
i
s,is
uoidueul
t
i
mi
anni di vita e il percorso di questo viaggio sempre più estremo. La domanda che si pone, e
cheponeall
et
t
or
e,l
’
autore è principalmente questa: perché tanti giovani americani sono
cosìat
t
r
at
t
idalr
i
schi
o?Quant
osonoi
nf
l
uenz
at
idal
l
edi
f
f
i
col
t
àdel
l
ef
ami
gl
i
ed’
or
i
gi
ne?La
r
i
cer
cadiunav
i
t
aaut
ent
i
ca,diunsi
gni
f
i
cat
odadar
eal
l
’
es
i
st
enz
a,puòc
ondur
r
eas
cel
t
e
cosìest
r
eme?Eancor
a:nel
l
’
i
mmagi
nar
i
oamer
i
canochepost
ohal
anat
ur
asel
v
aggi
a?
Ecco in alcune frasi di una lettera inviata nell'aprile del 1992 ad un amico, la filosofia di
Chris su cui molti americani sono stati costretti a riflettere:
... C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria
situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo,
tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo
avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo
dello spirito vitale di una persona è la passione per l'avventura. La gioia di vivere deriva
dall'incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell'avere un
orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e
diverso... ... Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale
e buttarci in un'esistenza non convenzionale....
I legami familiari e le convenzioni sociali possono diventare una vera schiavitù da cui
fuggire ad ogni costo? E poi, la solitudine assoluta può dare la felicità? il libro è denso di
citazioni, di poesie e di documenti così da apparire qualcosa di più di una biografia. Inoltre
la vicenda di McCandless, un giovane benestante che aveva davanti a sé una promettente
carriera e che abbandona tutto per raggiungere la purezza assoluta, diventa così emblema
del
l
’
i
mposs
i
bi
l
i
t
àdidar
er
i
spost
eadomandet
ant
ocompl
esse.Scegl
i
endo sempre la via
più difficile, rinunciando a tutte le comodità o agli aiuti che la civiltà moderna offre Chris ha
voluto mantenere integra, incorrotta la sua scelta: una purezza estrema, ma anche un
individualismo esasperato che gli sono costati la vita.
Ecco il testo di una cartolina datata 27 aprile 1992, e indirizzata a Westerberg:
Queste saranno le mie ultime righe, Wayne. Sono arrivato due giorni fa ed è stato molto
difficile trovare passaggi nello Yukon, ma alla fine ce l'ho fatta lo stesso. Per favore,
restituisci tutta la posta che ricevi. Potrebbe passare molto tempo prima che io ritorni al
Sud. Se quest'aventura avrà un esito fatale e non dovessi più ricevere mie notizie sappi
che per me sei un grand'uomo. Ora entro nella natura.
Lo stesso giorno McCandless mandò una cartolina anche a Jan Burres e a Bob:
Ciao ragazzi! Questa è l'ultima comunicazione che riceverete da me. Sto per addentrarmi
nella natura selvaggia. Riguardatevi, è stato bello conoscervi.
Questo fu l'ultimo contatto con il mondo esterno che Chris ebbe e che indica la piena
consapevolezza delle difficoltà della sua impresa. Già prima di lui, negli anni Settanta altri
giovani si erano addentrati nelle desolate vastità dell'Alaska senza farvi più ritorno e lo
stesso autore incontrò l'eccentrica figura di Gene Rosellini, rampollo di una famiglia ricca e
famosa, che la gente del luogo chiamava "il sindaco di Hippie Cove", che stava provando
l'esperimento antropologico di vivere svincolato da ogni forma di benessere. Ma dopo dieci
anni giunse a questa conclusione: "Ho imparato che non è possibile per gli esseri umani
così come noi li conosciamo vivere nella natura e della natura". Nel 1991 però Rosellini fu
ritrovato morto, con un coltello piantato nel petto, si suppone da lui stesso. Vengono poi
presentati altri giovani che, tentando l'impossibile spinti da una forte idealità, finirono col
soccombere. Poi Krakauer, per capire e farci capire ancor meglio la psicologia di Chris,
[email protected]
4
incontra e si sofferma sulla figura di Walter McCandless, il padre, riportando i ricordi e le
mozioni vivissime che ha del figlio. Ma sono le parole di Corine, la sorella amatissima,
quelle che riescono meglio a ridare vita all'adolescenza e al percorso interiore di Chris.
Scrivere questa biografia, conoscere a fondo il protaognista, addentrarsi nella sua anima e
nelle sue motivazioni cambiò non solo molti lettori, ma lo stesso Krakauer che volle, lui
stesso sperimentare, scalate impervie, percorsi imbattuti, lo sgomento della solitudine. Il
successo del libro denuncia comunque il bisogno di sentimenti assoluti che gli uomini dei
nostri tempi nascondono dietro la ricerca di ogni tipo di comodità e di omologazione
sociale.
Le prime pagine
NOTA DELL'AUTORE
Nell'aprile del 1992 un ragazzo di buona famiglia della costa orientale degli Stati Uniti
raggiunse l'Alaska in autostop e si addentrò nel territorio selvaggio a nord del monte
McKinley. Quattro mesi più tardi un gruppo di cacciatori d'alci rinvenne il suo corpo ormai
in decomposizione. Poco dopo la scoperta del cadavere, il direttore della rivista Outside mi
chiese di scrivere un pezzo sulle misteriose circostanze della morte del giovane. Scoprii
così che si chiamava Christopher Johnson McCandless e che era cresciuto in un ricco
sobborgo di Washington D.C, distinguendosi sia per gli ottimi risultati accademici sia per
quelli sportivi. Nell'estate del 1990, appena conseguita una laurea con lode all'Emery
University, McCandless sparì dalla circolazione. Cambiò nome, diede in beneficenza tutti i
risparmi - circa ventiquattromila dollari -, abbandonò l'auto con quasi tutti i beni personali,
bruciò i contanti nel portafoglio e s'inventò una nuova esistenza ai margini della società,
peregrinando attraverso l'America del Nord in cerca di un'esperienza pura e
trascendentale. La famiglia non sapeva dove il ragazzo si trovasse né cosa gli fosse
capitato, finché un giorno in Alaska non ne fu trovata la salma. In tempi molto stretti,
preparai un articolo di novemila parole che fu pubblicato sul numero di Outside del
gennaio 1993. Ma anche quando nelle edicole il mensile venne via via sostituito dalle
novità, il mio interesse per il caso McCandless non si spense. Ero come tormentato dai
particolari della morte per fame di quel giovane e dai vaghi e inquietanti paralleli tra gli
eventi della sua e della mia vita. Riluttante ad abbandonare la vicenda, trascorsi più di un
anno a ripercorrere con un fervore che rasentava l'ossessione il tortuoso cammino che lo
aveva portato a morire nella taiga d'Alaska, in cerca di ogni minimo dettaglio sulle sue
peregrinazioni. Cercando di capire McCandless, mi trovai inevitabilmente a riflettere su
temi ben più vasti: il fascino che i territori selvaggi suscitano nell'immaginario americano,
l'attrattiva che le attività ad alto rischio esercitano su certi ragazzi, il complicato e delicato
legame che unisce padri e figli. Il risultato di questa intricata ricerca è il libro che vi
accingete a leggere
Non sosterrò di essere un biografo imparziale. La strana storia di McCandless aveva
risvolti che mi erano familiari al punto da rendere impossibile un approccio distaccato alla
tragedia. In buona parte del libro ho cercato - e credo quasi sempre di esserci riuscito - di
ridurre al minimo la presenza dell'autore, ma devo avvertire che la storia di McCandless
viene frammezzata da episodi della mia giovinezza, che inserisco nella speranza di
contribuire a fare luce sul mistero di questa scomparsa. Chris era un ragazzo molto
profondo, il cui forte idealismo era difficilmente compatibile con la vita moderna.
Affascinato dall'opera di Tolstoj, McCandless ammirava soprattutto il modo in cui il grande
romanziere aveva saputo abbandonare una vita di benessere e privilegi per frequentare gli
indigenti. All'università il ragazzo cominciò a emulare l'ascetismo e il rigore morale del suo
eroe letterario a un punto tale che sulle prime stupì e in seguito preoccupò chi gli stava
accanto. Quando si avventurò nelle foreste d'Alaska, McCandless non si illudeva di
[email protected]
5
arrivare nel bengodi: al contrario, pericoli, avversità e rinunce tolstoiane erano proprio
quello che cercava. Li trovò, e ne trovò anche troppi. Ma per gran parte delle sedici
settimane di ardua prova, il ragazzo se la cavò piuttosto bene e se non fosse stato per una
o due negligenze apparentemente insignificanti, nell'agosto del 1992 egli sarebbe uscito
dai boschi senza clamore, così come vi era entrato nell'aprile dello stesso anno. Invece, le
ingenuità commesse lo condannarono, il suo nome finì sulle prime pagine dei tabloid e i
familiari sconcertati dovettero rimettere insieme i cocci di un amore intenso e doloroso. Un
numero sorprendente di persone è rimasto colpito dalla vicenda di vita e morte di Chris
McCandless. Non a caso, nelle settimane e nei mesi successivi alla pubblicazione
dell'articolo su Outside, la redazione fu sommersa da tante lettere quante non se ne erano
mai viste nella storia della rivista. Com'è prevedibile, la corrispondenza rifletteva punti di
vista diametralmente opposti: alcuni lettori ammiravano molto il ragazzo per il coraggio e i
nobili ideali, altri lo definivano un idiota imprudente, un folle, un narcisista morto per
arroganza e stupidità, e consideravano immeritata l'attenzione riservatagli dai mass media.
Sarà presto chiaro quello che io penso in proposito, ma vorrei che fosse il lettore a
formarsi una sua opinione su Chris McCandless.
JON KRAKAUER
Seattle, aprile 1995
© 2008, Casa editrice Corbaccio
la parola ai protagonisti
Vivere è saper rischiare: intervista a Jon Krakauer
Come hai iniziato a scrivere, qual è stata la tua formazione?
Non ho mai studiato scrittura ma sono sempre stato un lettore e ho sempre avuto il
desiderio segreto di diventare scrittore. Per la mia attività di alpinista sono stato in
Alaska per la prima volta nel 1974 a Arrigetch Peaks nel Brooks Range e ho fatto
t
r
esal
i
t
e/
s
cal
at
edic
i
memais
cal
at
e.L’
Amer
i
canAl
pi
neCl
ubhaunar
i
vi
st
a,The
American Alpine Journal, che pubblicano ogni anno e che è una raccolta delle
scalate più importanti in tutto il mondo e mi hanno invitato a scrivere un articolo per
loro a proposito di queste scalate. Quello fu il primo articolo che scrissi. Tre anni
dopof
uipagat
operl
apr
i
mavol
t
aperr
ac
cont
ar
equandos
cal
aii
lDevi
l
’
sThumbe
scrissi di questo per la rivista inglese Mountain (ora chiusa). Poi un amico e
compagno di scal
at
e,i
lmi
o“
ment
or
edel
l
as
cr
i
t
t
ur
a”Davi
dRober
t
s,l
asc
i
òi
lsuo
l
avor
odii
nsegnant
eal
l
’
Hampshi
r
eCol
l
ege,dovesonoandat
oanch’
i
o,perf
ar
ei
l
r
edat
t
or
eaHor
i
z
on.Dopounannol
as
ci
òl
ar
i
vi
st
aperl
’
at
t
i
vi
t
àf
r
eel
anceemidi
ss
e
come funziona la faccenda delle lettere di proposta convincendomi a seguire il suo
esempi
o.Hof
at
t
oat
empoper
soi
lgi
or
nal
i
st
af
r
eel
anceperunpai
od’
annienel
1983 ho lasciato il mio lavoro di falegname e da qual momento ho sempre scritto.
Come è stato il passaggio alla carta stampata?
Sapevo che non avr
eipot
ut
o vi
ver
e sempl
i
c
ement
es
cr
i
vendo diat
t
i
v
i
t
à al
l
’
ar
i
a
aperta così ho fatto uno sforzo per scrivere anche di altri temi. Sono stato
falegname e ho scritto di architettura per Architectural Digest. Sono stato pescatore
cosìhoc
ont
at
t
at
oSmi
t
hsoni
anapr
oposi
t
odiun’
at
t
i
v
i
t
àdipescai
nAl
askaemic
i
hanno mandato. Ho contattato Rolling Stone per le camminate sui carboni ardenti,
le passeggiate nel fuoco e hanno deciso di farmi scrivere rischiando. Ho provato a
[email protected]
6
scrivere per i giornali locali di Seattle e ho capito che essere pubblicati da un
giornale locale è difficile quanto essere pubblicati da un giornale nazionale e i
giornali locali pagano un decimo dei nazionali, così ho detto: vaffanculo la roba
locale. Stavo raggiungendo la quota di dieci lettere di proposta a settimana, e
l
avor
avodavv
er
osodo,masonost
at
of
or
t
unat
o.Si
c
comevol
evopagar
el
’
af
f
i
t
t
o,
non avevo grandi ambizioni di diventare un artista. Volevo pagare quei maledetti
conti, così lavoravo davvero sodo. Capii che quello che scrivevo per Rolling Stone
doveva essere ben diverso da quello per Smithsonian, e davo loro quello che
vol
evano,vol
evovender
el
’
ar
t
i
col
o.Fuut
i
l
e,comescr
i
t
t
or
e,pr
ovar
evocidi
ver
see
fu anche intelligente, furbo, dal punto di vista economico.
Qual
ial
t
r
i
ar
goment
ideiqual
ihascr
i
t
t
ol
’
hannoi
nt
er
es
sat
o?
I
lpr
obl
ema è che nes
suno miha i
nt
er
es
sat
o come ipez
z
isul
l
e at
t
i
vi
t
à al
l
’
ar
i
a
aperta. Gli articoli che ho scritto per Outside magazine sono i migliori e sono tutti
sulla natura. Ecco perché la maggior parte dei testi di Eiger Dreams erano stati
pubblicati originariamente su Outside o Smithsonian. È difficile pensare a pezzi che
davver
omipi
acc
i
onoechenonsonosuat
t
i
vi
t
àal
l
’
ar
i
aaper
t
a.
Com’
èst
at
oi
lpas
saggio dai brevi articoli per le riviste al taglio narrativo di un libro?
È stato davvero soddisfacente. Mi piace molto fare delle ricerche e, se calcolo tutti
gli articoli, ho fatto abbastanza ricerche per scrivere un libro. In quasi ogni articolo
che ho scritto, mi sembrava di non aver reso giustizia alla storia, come se fosse
solo un commento. Così scrivere un libro e trascorrere un anno o due e raccontare
nel modo giusto la storia è davvero soddisfacente e dopo averlo fatto è difficile
tornare indietro e scrivere articoli per le riviste.
A cosa sta lavorando ora?
Sono sei settimane in ritardo su un articolo per National Geographic a proposito di
unvi
aggi
onelcuor
edel
l
’
Ant
ar
t
i
de,i
nunpost
ochi
amat
oQueenMaudLand,dov
e
ho fatto delle scalate con Alex Lowe, probabilmente il miglior alpinista del mondo.
Molti lettori di Aria sottile sarebbero sorpresi di sapere che ha fatto altre scalate dopo
esser
et
or
nat
odal
l
adr
ammat
i
caspedi
z
i
onesul
l
’
Ev
er
est
.
Beh,sonot
or
nat
odal
l
’
Ev
er
estcondeiser
idubbisul
l
’
i
nt
er
af
ac
cendadel
l
es
cal
at
e,
ma sono molto importanti per me. Smetterò di scrivere prima di smettere con
l
’
al
pi
ni
s
mo.Hoavut
ouni
nvi
t
oaf
ar
edel
l
es
cal
at
econi
lmi
gl
i
or
eeandar
ei
nun
posto fantastico con queste bellissime, enormi pareti di granito che sporgono dal
ghi
ac
ci
ochenes
sunohamaiscal
at
opr
i
ma.È un’
oppor
t
uni
t
àchecapi
t
aunavol
t
a
nel
l
avi
t
a,ei
ol
’
hocol
t
a.Hopr
esol
’
i
mpegnoconunpo’d’
ansi
aequandosono
partito avevo ancora più ansia ma alla fine è stato uno dei miglior viaggi che abbia
mai fatto. È stato tranquillo, la scalata era il tipo di scalata che so fare –granito
r
i
pi
do,v
er
t
i
cal
e,s
por
gent
e.Nonc’
er
anul
l
asopr
agl
i11000pi
edi
.
Qual è stata la reazione dei suoi familiari e amici alla notizia che avrebbe fatto altre
scal
at
edopol
’
Ev
er
est
?
Capi
r
ono.Mapermi
amogl
i
e,enonmel
’
hadet
t
of
i
nchénonsonot
or
nat
o,er
api
ù
di
f
f
i
ci
l
eac
cet
t
ar
equest
ascal
at
ar
i
spet
t
oaquel
l
adel
l
’
Ever
est
.Sul
l
’
Ever
estpot
ev
o
chi
amar
l
aconi
lt
el
ef
onosat
el
l
i
t
ar
e,nel
l
’
Ant
ar
t
i
denoncisono comunicazioni per sei
set
t
i
mane.Esembr
avaun’
escal
at
i
on:pr
i
mal
’
Ever
est
,poil
’
Ant
ar
t
i
co.
.
.
Comespi
egher
ebbeaunaper
sonaqual
unquecosaèc
osìaf
f
asc
i
nant
edel
l
’
al
pi
ni
s
moda
[email protected]
7
valere il rischio?
Mi affascina perché mi importa. A differenza del resto della vita, quello che fai ti
interessa davvero e non puoi permetterti di incasinarti. Le tue azioni hanno delle
conseguenze reali. Devi essere sempre molto attento e concentrato e questo dà
soddisfazione. Senza rischio questo non succederebbe, quindi il rischio è parte
essenz
i
al
e del
l
’
al
pi
ni
s
mo ed è di
f
f
i
ci
l
e peral
cune per
sone capi
r
l
o.Non c
isono
giustificazioni quando le cose vanno male e le persone muoiono. Più grande è il
r
i
schi
o,pi
ùgr
andeèi
lpr
ez
z
o:capi
t
aanchenel
l
av
i
t
a,manel
l
’
al
pi
ni
s
moquesto è
certamente vero. È come una partita a scacchi che coinvolge tutto il corpo e porta in
posti bellissimi.
Qual
isonol
eal
t
r
eat
t
i
v
i
t
àcheama,ol
t
r
eal
l
’
al
pi
ni
s
moeal
l
as
cr
i
t
t
ur
a?
Mipi
acest
ar
eal
l
’
ar
i
aaper
t
a,suimont
ioneldeser
t
o,epi
aceanche a mia moglie.
Questa è una delle cose che cementa il nostro rapporto. Faccio snowboard, leggo e
scrivo. Non sono socievole. Non ho molti amici, perché sto molto via, e quando
sono a casa voglio stare con mia moglie e sono felice quando sto da solo per un
lungo periodo.
Quali sono gli scrittori che ammira di più?
Ce ne sono molti. Mi è sempre piaciuto Updike. Il mio romanzo preferito di Updike,
non uno dei più conosciuti, è A Month of Sundays. Mi sono sempre piaciuti Joan
Didion, E. Annie Proulx, Charles Bowden, David Roberts, Lorrie Moore.
Probabilmente leggo più la narrativa che la saggistica, non so perché. Leggo ad
esempio un bel romanzo magico e soprannaturale come The Lives of the Monster
Dogs e funziona: sembra ridicolo ma è per me fantastico.
Non hapor
t
at
ones
sunr
omanz
oconl
ei
sul
l
’
Ev
er
est
?
Ho portato Infinite Jest perché mi piace molto David Forster Fallace ma è stato
impossibile leggere al campo base. Il mio cervello non ci riusciva. I corrieri
portavano vecchie copie del Time o del Newsweek al campo base, ma non avevo
voglia di leggere le notizie; ero concentrato esclusivamente sulla scalata.
Come ha fatto a prendere appunti dettagliati e ricordare così tante cose durante quella
esperienza straziante?
La mia memoria è inattendibile, ma come giornalista sono disciplinato e penso che
ci voglia molto lavoro per far bene le cose: così mi sono dato delle regole. Ho
riempito nove taccuini. Avevo un taccuino grande su cui scrivevo ogni giorno e ogni
notte, registrando quello che osservavo. Ne avevo uno piccolo da reporter che
portavo con me durante la scalata, e ogni volta che mi fermavo per riposare o per
ber
eunbi
cchi
er
ed’
acqua,l
ot
i
r
avof
uor
idal
l
ami
at
as
caescr
i
vevo.Avev
ounadi
quelle penne che scrivono anche sotto lo zero e ha funzionato. Prendevo appunti
come i fotografi scattano fotografie. Registri tutto perché non sai mai cosa apparirà
inattendibile quando tornerai giù. E non mi preoccupo di come sta andando la storia
e di come suonerà, cerco solo di registrare, perché se hai dei pregiudizi e se stai
cer
candounacer
t
acosa,f
i
ni
r
aiperper
der
el
ecosei
mpor
t
ant
i
.L’
uni
cavol
t
ache
non ho preso appunti è stato il giorno che siamo arrivati in cima alla montagna. Ho
pr
ovat
oa27.
600pi
ediquandohor
aggi
unt
o“
TheBal
cony”al
l
e5:
30delmattino ma
gli appunti erano illeggibili e non avevano senso perché il mio cervello non
f
unz
i
onava.Non ho i
ni
z
i
at
o a pr
ender
e appunt
if
i
no al
l
e seidelmat
t
i
no del
l
’
11
maggi
o quando St
uar
tHut
chi
nsonmihasvegl
i
at
o.Qui
ndic’
è un per
i
odo,i
lpi
ù
important
e,i
ncuinonhopr
esoappunt
i
.L’
hor
i
c
ost
r
ui
t
odamol
t
i
ss
i
mei
nt
er
vi
st
ea
[email protected]
8
tutte le persone che erano lassù e, come sai, ho detto cose sbagliate. Non puoi
fidarti della tua memoria, è una questione di rimandi e di avvalorare. E anche
adesso i lettori più attenti si accorgeranno che la linea temporale non è molto
pr
eci
sa.Tut
t
iquel
l
icheer
anol
assùsonod’
ac
cor
donels
ost
ener
echei
lt
empoèl
a
cosa più ambigua, sfuggente.
Scrivere è stato catartico?
Credo che lo sarà, eventualmente. Non lo è stato a quel tempo, è stato duro e molto
doloroso. Non è il modo in cui scrivo di solito. Scrivo per molte ore ma sono
lentissimo e soffro del blocco dello scrittore. Qualche volta lavoro su una singola
frase per due o tre giorni. Non ho avuto questo lusso stavolta, ho dovuto darci
dent
r
o.Avevo80 o90 gi
or
nidis
cr
i
t
t
ur
a ec’
er
anoci
r
ca88.
000par
ol
enell
i
br
o.
Sapevo di dover scrivere circa 1000 parole al giorno e ero un caso disperato, alla
fine.
Cosa ne pensa del modo in cui i media hanno trattato questa storia?
I media sono riduzionisti per natura. Soprattutto la televisione, ma anche le riviste,
compr
esal
ami
a,l
’
hannol
et
t
acome“
eccogl
iuomi
nibuoni
,ec
cogl
iuomi
nicat
t
i
v
i
”
.
El
at
vhacer
cat
odidi
r
e“
eccol
at
r
agedi
achenondovevaaccader
e”e“
Chièda
bi
as
i
mar
e?”
.È mol
t
opi
ùcompl
i
cat
o.RobHal
l
,peresempi
o,èmor
t
o,eunadel
l
e
sue guide e due clienti sono morti. Ma non biasimo Rob, e cerco di capire i suoi
sbagli, e molti di loro nascono da motivi altruistici, ma la fine fu tragica.
Cosa spera che le persone si portino dietro dopo la lettura del libro?
Vol
ev
o pi
ù diognial
t
r
a cosa most
r
ar
el
a compl
es
si
t
à el
’
ambi
gui
t
à diquest
a
t
r
agedi
a.Nonèsempl
i
ce,enonèsempl
i
cebi
as
i
mar
e,enonnascedal
l
’
av
i
di
t
ào
dalla stupidità della ricerca del brivido o dalla caccia al trofeo, ma è molto più
pr
of
ondo.Imot
i
v
iperl
eper
soneches
cal
anol
’
Ever
estsono,i
nunc
er
t
osenso,
nobi
l
i
,eal
l
ost
es
sot
empof
uor
v
i
ant
i
.È i
ldesi
der
i
odiandar
eol
t
r
es
est
ess
i
.C’
è
anche molta arroganza e egoismo. Volevo che il libro fosse un solidale e fiero
ritratto dei caratteri coivolti. Volevo raccontare la storia nella sua complessità. Che è
quello che cerco di fare quando scrivo, ecco perché sono sempre frustrato dagli
ar
t
i
col
idel
l
er
i
vi
st
e. C’
èsempr
eunaz
onad’
ombr
anella vita, e in gran parte del
giornalismo sei costretto e condensarlo nel bianco e nel nero e il grigio si dissolve.
In un libro hai il lusso di sviluppare i personaggi e mostrare che le persone sono sia
buone che cattive, e fanno buone cose e si incasinano.
Cosahapensat
oquandohai
saput
odel
l
emor
t
is
ul
l
’
Ev
er
estquest
’
anno?
È stato un colpo allo stomaco, non potevo credere che fosse successo ancora. Ha
fatto riaffiorare molti ricordi.
Sonoper
sonechenonhannoi
mpar
at
ol
al
ez
i
onedal
l
’
annos
cor
so?
Sì
,ass
ol
ut
ament
e.L’
Ever
es
tèperper
sonemol
t
odet
er
mi
nat
eepr
opr
i
oper
chéè
l
’
Ever
estl
eper
s
onecor
r
onor
i
sc
hichenoncor
r
er
ebber
osual
t
r
emont
agne.Ecc
o
per
chéquest
at
r
agedi
asir
i
pet
er
àancor
aeancor
a. È chi
amat
a“
t
hedeat
hz
one”
per una buona ragione, è come giocare alla roulette russa.
Cosaav
r
ebbef
at
t
oChr
i
sMcCadl
es
ssef
os
sest
at
oconl
einel
l
aspedi
z
i
onesul
l
’
Ev
er
est
?
Sar
ebbe cor
so v
i
a dal
l
’
Ever
est
.Er
a av
vent
ur
os
o ma pensava che l
ar
i
cchez
z
a
corrompesse. E delle persone che spendono 65.000dol
l
ar
ipersc
al
ar
el
’
Ever
est
,
avrebbe pensato che si comportanto in modo osceno. Chris era un uomo che non
[email protected]
9
appr
ez
z
ava l
ez
one d’
ombr
ael
e ambi
gui
t
à e sisar
ebbe f
or
mat
o subi
t
o del
l
e
opinioni precise su di noi, e ci avrebbe puniti tutti. Posso solo immaginare cosa
avrebbe detto... (ride).
Leisembr
aav
er
eancor
aunf
or
t
el
egameconChr
i
s.Chec
os’
èdiquest
ast
or
i
achel
a
ossessiona parecchi anni dopo?
Mii
dent
i
f
i
comol
t
oconl
ui
,èunast
or
i
at
r
i
st
e.Sonot
or
nat
oal
l
’
aut
obusperl
at
er
z
a
volta lo scorso settembre. Sono diventato un buon amico della sua famiglia,
abbiamo questo strano vincolo. I suoi genitori sono venuti alla presentazione che ho
fatto a Baltimora pochi giorni fa, e era la prima volta che vedevano molte di queste
slide e deve essere stato difficile per loro. Molte persone sono andate da loro per
dirgli quanto ammiravano Chris, è stato molto toccante. È molto strano per me che
non ho mai conosciuto Chris; ho scritto questo libro su di lui e i suoi genitori mi
hanno ringraziato per aver spiegato alcuni aspetti di lui che non avevano mai
conos
ci
ut
o,ma i
o non l
’
homaii
ncont
r
at
o.Air
eadi
ng ad At
l
ant
a e Nashvi
l
l
e,l
a
gente venne a dirmi essere andati al college con Chris a Emory e di averlo
conosciuto. E è stato molto strano.
L'intervista è stata concessa da Jon Krakauer a Larry Weissman per la rivista letteraria Bold Type.
Traduzione di Claudia Spadoni –tratta da www.wuz.it
intervista a Sean Penn
Unpo’disol
i
t
udi
neèneces
sar
i
a,maal
l
af
i
nest
ar
edasol
ièni
ent
e,per
c
hécome
ha detto Tolstoj: non è vera felicità se non si può dividerla con qualcuno
Ci racconti il suo primo impatto con questa storia
Ho vi
st
o,di
eciannif
a,i
ll
i
br
o diKr
akaueri
n una l
i
br
er
i
ael
’
i
mmagi
ne di
quel
l
’
aut
obusnel
l
anevemihaaf
f
asc
i
nat
o.Hocompr
at
oil libro, ho passato la notte
a leggerlo e a rileggerlo. Sono andato a dormire e la mattina, quando mi sono
alzato mi sono messo subito al lavoro per acquisirne i diritti. Mi sembrava una storia
indimenticabile e profondamente cinematografica, sia per i personaggi che per le
ambientazioni. Ha toccato in me le stesse corde che credo abbia toccato in tutti
coloro che hanno il libro.
Tr
aquel
l
apr
i
mal
et
t
ur
ael
as
cr
i
t
t
ur
adel
f
i
l
m sonopas
sat
iper
òdi
ec
ianni
…
Quando mi sono messo a scrivere la prima stesura del film, dieci anni dopo
appunto, non ho dovuto nemmeno riprendere in mano il libro. Prima della seconda
stesura però ho voluto ripercorrere di persona le tappe del viaggio di Chris e
incontrare di persona le persone che lui aveva conosciuto lungo il suo viaggio.
Ci sintetizzi in poche parole il messaggio del film e della storia di Christopher McCandless.
La sua è stata una fuga, ma anche una ricerca della libertà assoluta. Fuga dal
benessere, dalla banalità, da tutto il troppo che portiamo con noi e con cui ci siamo
abituati a vivere, fuga dalla stupidità che ci circonda. La nostra società ha creato
una ver
a di
pendenz
a dalconf
or
t
.Fuga,ma anchei
nsegui
ment
o:del
l
’
aut
ent
i
ci
t
à,
del
l
a pur
ez
z
a,del
l
’
essenz
i
al
i
t
à.I
nsegui
ment
o delpost
o gi
ust
o,diun l
uogo in
sintonia con lui. Sono convinto che dentro ogni uomo ci sia un Alaska e negli anni
Set
t
ant
aer
aanc
or
apos
si
bi
l
er
aggi
unger
l
o…
[email protected]
10
Chi era, per lei, Chris?
Una persona vera, e così ho voluto presentarla. Non ho voluto farne un martire o un
eroe. Ho voluto che sivedess
el
’
i
nt
egr
i
t
à del
l
a sua umani
t
à.Che ognuno l
o
scopr
i
ssenelbenechec’
er
ai
nl
uienei
suoidi
f
et
t
i
.
Il film a chi si rivolge principalmente?
Ai giovani che oggi sono troppo spesso schiavi del benessere e delle cose
materiali. Anche senza affrontare situazioni estreme e rischiose si può cercare di
sentire il proprio cuore battere più in fretta. È importante che ci si provi almeno
quando davanti si ha tutta la vita.
Sembra molto critico con il mondo attuale.
Sono tante le cose che mi fanno arrabbiare e che sono una specie di combustibile
chemii
nf
i
ammaquandol
ast
upi
di
t
àr
aggi
ungedegl
ieccess
i
… Masper
ochel
ami
a
creatività non nasca solo da lì.
Possiamo dire quindi che Into the Wild sia un film politico?
Come è politica ogni storia che parla del nostro tempo e che pone delle domande
sulla nostra società. Sono convinto che ci sia bisogno che gli uomini si liberino da
tutto ciò che li circonda, e questo deve avvenire in solitudine, ma è indispensabile
che poi riportino la loro esperienza al
l
’
i
nt
er
nodel
l
asoc
i
et
à.Sidevees
ser
esol
ii
nun
primo processo di presa di coscienza, ma è poi indispensabile, per essere felici, che
si condividano le conquiste.
Il rapporto con la natura è un tema fondamentale in questo film.
La natura è un elemento dominante è la guida di Chris e di tutto il film. È stata la
nostra priorità.
Come ha scelto gli attori che impersonassero le persone incontrate da Chris durante il suo
viaggio?
Gent
e cosìnon l
as
ii
ncont
r
a nel
l
a Scr
een Act
or
’
s Gui
l
d.Mipi
ace vi
aggi
ar
e e
trovare per la strada gente meravigliosa, gente che ha qualcosa dentro. E così si è
creato sul set un'atmosfera particolare e la troupe nel corso delle riprese è diventata
una specie di banda di quartiere dove le persone si guardavano le spalle a vicenda.
E il protagonista?
Vorrei sottolineare che il film non ci sarebbe senza di lui. Avevo visto Emile in un
film e c'erano tante cose di lui, a partire dalla sua fisicità, che mi dicevano che
poteva essere perfetto per il ruolo. Abbiamo passato trenta giorni insieme per la
preparazione perché dovevo essere sicuro che avrebbe potuto sostenere la parte e
passare otto mesi nella natura selvaggia. È stata la scommessa più importante che
io abbia fatto.
Il montaggio, così complesso, deve aver richiesto tempi molto lunghi.
Sì
,cer
t
ament
e.È,comedi
c
i
amonoi
,l
a“
t
er
z
ast
esur
adelf
i
l
m”
.I
oei
lmont
at
or
e
abbiamo fatto finta di essere due sceneggiatori e siamo restati sempre chiusi per
mesi in una stanza, giorno dopo giorno, a volte stando svegli anche la notte,
facendoci portare il mangiare nella stanza per non allontanarci nemmeno un
momento, scambiandoci idee, pareri e consigli e così alla fine è venuto fuori un film
esattamente come lo avevo in testa dieci anni prima.
[email protected]
11
Ci racconti come nasce la colonna sonora del film.
A mano a mano che procedevamo con le riprese ho iniziato a sentire la voce di
Eddi
e Vedder [
par
ol
i
er
e e cant
ant
e deiPear
lJam]come l
’
ani
ma diChr
i
s
McCandless. E mentre montavamo il film mi sono trovato ad attingere alla musica di
Michael Brook. Poi il montatore del suono ci ha consigliato Kaki King. Ho chiesto
poi a Eddie Vedder di leggere il libro e subito dopo si è messo a comporre sia
canzoni che pezzi strumentali. Poi sono bastate poche sedute di registrazione a
Seattle e la colonna sonora era fatta
Credo che in ogni caso non siano mancate le difficoltà.
È stato un film molto duro da fare, ma anche quando tutto andava storto, quando
nessunomisoppor
t
avapi
ù,nonc’
èmaist
at
ounsol
omoment
oi
ncuiqual
cuno
abbia smesso di amare questo film. Tutti erano sempre pronti a rischiare la vita per
ai
ut
ar
si
l
’
unl
’
al
t
r
o.
Ha avuto modo di intrecciare un lungo rapporto con la famiglia di Chris.
Con i genitori e la sorella di Chris è nato un rapporto di fiducia reciproco. Abbiamo
passato insieme dieci anni prima che mi sentissi pronto per fare questo film. Mi
hanno aperto la porta della loro casa e mi hanno permesso di portare sullo schermo
la vita di loro figlio.
Leihav
i
ssut
onel
l
asuaesi
st
enz
aqual
cosadisi
mi
l
eal
l
’
esper
i
enz
achehar
accont
at
oin
questo film?
Per quello che mi riguarda, la mia esperienza personale che si avvicina di più a
quella di McCandless è stato crescere nei pressi dell'oceano e fare il surfista. Anche
tra le onde si cerca una sorta di solitudine e di libertà interiore. Anche se
inizialmente il protagonista fugge da qualcosa - dalla sua famiglia, dagli obblighi, da
una situazione di comfort - il fulcro del film sta nella sua ricerca e nella celebrazione
della libertà. Ed è un percorso interiore che tutti dovrebbero intraprendere, magari
non in una maniera così estrema.
recensioni
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 2 gennaio 2008
Si tratta di suicidi stilizzati, metaforizzati: il giovane di Into the wild, film ragionatamente selvaggio
di Sean Penn, muore come Heath Ledger nel suo loft a New York: non vuole più saperne del
mondo. Prendendola larga, il neo laureato Christopher McCandless nel 1990 fa ciao alla società
civile, brucia i dollari, si tiene i libri guida (Tolstoi, Thoreau, London) e s'inerpica in stile Herzog
nelle solitudini del mondo, arrivando al finale di partita nella gelo d'Alaska. In flirt con la Natura, si è
rifiutato a una ragazzina, ha fatto un po' di amicizia con una coppia di hippie fuori tempo, ha
ascoltato la senile saggezza d'un uomo che vuole adottarlo e salvarlo. Ma Penn sa che il rifiuto è
esistenziale ma anche politico, meglio into the wild che into the Iraq war. Film freddo e di bellezza
visiva estenuante, con un magnifico Emile Hirsch; e per approfondire la storia di Supertramp
leggere il libro di Krakauer edito dal Corbaccio.
Roberto Nepoti - la Repubblica, 25 gennaio 2008
Ci sono storie dove i personaggi restano uguali a se stessi dall'inizio alla fine; altre, nel corso delle
quali evolvono e, insieme, evolve l'opinione che ci facciamo di loro. Ricade nel secondo caso Into
the wild, il "film di formazione" diretto da Sean Penn che ci sorprese e ci emozionò alla Festa del
Cinema di Roma. A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro "Nelle terre
estreme" di Jon Krakauer, Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro
tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista,
[email protected]
12
giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un
"picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa
realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il massimo
pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete". All'inizio degli anni 90, il
neolaureato Christopher McCandless dà quel che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio,
autentica performance dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il
Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto a partire dal rifiuto della
famiglia d'origine: cellula di giudizio e controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto
più spaventosa perché accettata come norma e condizione naturale. Tra Nuovo Messico, Arizona,
Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con
l'altro, occasioni di conoscenza e comprensione anche reciproca. Alex s'accompagna a una coppia
di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in un'azienda agricola, diventando amico di un
tale ricercato dalla polizia; flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita,
che vuole adottarlo. Già di per sé, intraprendere una tale pista equivale a confrontarsi con la
mitologia fondativa della cultura americana, dai pionieri che affrontarono per primi le terre incognite
a Thoreau, da London a Kerouac. Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più
nella solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la wilderness è libertà e verità,
ma rappresenta anche il rischio e la minaccia ultima. In una scena ai limiti del sublime Alex, ormai
stremato dalle privazioni, si trova di fronte un gigantesco orso bruno: forse affamato quanto lui,
eppure non minaccioso. Qui Penn dà forma definitiva al mito dell'incontro tra due creature libere
nel Paradiso Perduto, nostalgia lacerante di un'intera cultura tuttora in lutto per la perdita
dell'innocenza e che, promotrice della "civiltà", ad essa annette un irredimibile senso di peccato.
Sereno e dolente, stoico e consapevole insieme, refrattario al "nostalgismo" come al manierismo,
lo sguardo della macchina da presa annette di diritto Penn - accanto a Clint Eastwood, Paul
Haggis e pochi altri - alla pattuglia transgenerazionale di cineasti capaci di raccogliere la grande
eredità del cinema classico americano. Appropriate le canzoni di Eddie Vedder dei Pearl Jam.
Alberto Crespi - L'Unità, 25 gennaio 2008
Quarto film da regista di Sean Penn, Into the Wild è stato uno degli eventi dell'ultima Festa di
Roma, dove in diversi hanno gridato al capolavoro. Sarà bene dire subito che non lo è, ma sarà
anche giusto ammettere che è uno di quei film che possono far innamorare. Perché è tenerissimo
il protagonista - il giovane Christopher, che molla il benessere e la famiglia borghese per sfidare le
«terre selvagge» -, perché sono abbaglianti i paesaggi naturali nei quali si svolge la storia, e
perché tutti i riferimenti culturali che Penn dissemina nel film sono quelli giusti, quelli dell'America
«che ci piace». Partiamo proprio dal Wild- è un aggettivo («selvaggio», appunto) che nella cultura
americana sa farsi sostantivo, e che sostantivo! Si chiama Call of the Wild, in originale, Il richiamo
della foresta di Jack London, uno dei libri che Chris legge durante la sua avventura, nonché uno
dei testi formativi dell'identità americana più profonda. Ma strada facendo si parla anche di
Thoreau e del suo Walden o la vita nei boschi, di Tolstoj e del suo ritiro fra i contadini a Jasnaja
Poljana, della cultura hippy che ancora sopravvive negli angoli più sperduti della California; e si
allude, magari indirettamente, a On the Road di Kerouac, a tanto cinema (da Ford a Terrence
Malick), mentre in colonna sonora Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, ammicca alla grande
tradizione del folk e della psichedelia anni '60. Insomma, Into the Wild sembra veramente il
pantheon di Sean Penn; ed è un vero peccato che il film sia riuscito, a esser generosi, al 60%. A
causa di un eccesso di poesia «programmatica», molto cercata e poco trovata, e di un finale
troppo ambizioso in cui la ribellione di Chris si ripiega su se stessa. Anche la struttura stessa del
film - che Penn ha scritto da solo, ispirandosi al libro di Jon Krakauer Nelle terre selvagge - è assai
ambiziosa, e non poco lambiccata. Suddiviso in capitoli («Nascita», «Adolescenza», «Famiglia»,
«Conquista della saggezza» ... ), il film si apre con Chris che arriva in Alaska, taglia i ponti con la
civiltà e si accinge a passare un'estate in totale solitudine. Con lunghi flash-back, e con una doppia
narrazione (le lettere che Chris scrive a un amico, la voce fuori campo di sua sorella), scopriamo
che Chris ha abbandonato la famiglia subito dopo essersi diplomato al college, e che per due anni
ha girato l'America in autostop, facendo l'agricoltore nel South Dakota e l'hippy in California,
discendendo il Colorado in kayak e cuocendo hamburger in un fast-food, sempre con il sogno di
seguire le orme di Jack London. Nel frattempo, l'estate di Chris fra i monti dell'Alaska passa di
disastro in disastro... Penn è stato il protagonista della Sottile linea rossa e Into the Wild potrebbe
[email protected]
13
avere, come sottotitolo, «vorrei essere Terrence Malick». La regia va a caccia di dettagli, si dilunga
in digressioni e squarci naturalistici che qua e là sfiorano il sublime, ma più spesso rimangono
bellissime fotografie con poca anima. Il risultato è un film di 148 minuti, visivamente bellissimo ma
narrativamente zoppicante. La prova del protagonista, Emile Hirsch, è eroica: ma è più sport
estremo che cinema.
Roberto Escobar - Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2008
È un uomo in rivolta, il protagonista di Into the Wild (Usa, 2007, 140'). Dice no al mondo, e alla sua
miseria. Certo, lo fa anche perché ha poco più di vent'anni. Invece Sean Penn ne ha 47. Ma non
sembra che la sua rivolta sia meno limpida. È una storia vera quella che Penn ha tratto da un libro
di Jon Krakauer. All'inizio degli anni 90, Christopher McCandless (Emile Hirsch) sceglie di
abbandonare i soldi e la prepotenza del padre (William Hurt). Rinuncia alla prospettiva di una
laurea prestigiosa, sale sulla sua vecchia auto e va verso l'Ovest, luogo del mito americano, e
promessa d'una libertà anch'essa mitica. Ma la sua meta ultima è la solitudine fredda dell'Alaska.
Non c'è solo né soprattutto l'ideale della frontiera, dietro la rivolta di Christopher. Più forte è il
coraggio irrequieto di Henry Thoreau, l'autore di La disobbedienza civile ( 1849) e di Walden,
ovvero la vita nei boschi (1854). Come lui, riferimento dei libertari d'America, abbandona la "vita
civile" e cerca una dimensione d'autenticità e autonomia morale nella wilderness, nella vastità della
natura selvaggia e delle terre deserte. Si somigliano, il ventenne in rivolta e il regista quasi
cinquantenne. In un'epoca e in un cinema per lo più dominati da un conformismo che troppo
spesso veste i panni fasulli della trasgressione, Penn è tra i pochi "arrabbiati". Lo è quando recita.
Lo è quando gira. Lo è quando vive. E lo è ora, nelle immagini e nei dialoghi di questo suo film
forte e sincero. È in viaggio, dunque, la rivolta di Christopher. E quello che attraversa nelle
immagini e nelle parole di Into the Wild non è solo l'infinito dei paesaggi, ma anche l'infinito della
sua anima. È troppo chiuso, è troppo fermo il mondo che lo sta per imprigionare. Giunto alla soglia
della vita adulta, vede il suo futuro nel passato del padre e della madre (Marcia Gay Arden). E ne
inorridisce. Non si possono avere vent'anni, e sapere come si sarà a cinquanta. Allora, si fa quello
che hanno fatto e fanno tanti ventenni, alcuni grandissimi e altri destinati a far naufragio nella
propria pochezza. Come un Francesco d'Assisi redivivo, Christopher si spoglia del se stesso che
lo minaccia come un dovere, e si mette in cammino nella sua nuova, esaltante nudità interiore.
D'altra parte, se è la nudità che si cerca, quasi di certo si finisce per scoprire che non lo si è mai
abbastanza, nudi. Così fa anche il giovane in rivolta: ogni tappa del suo viaggio è un
avvicinamento impossibile a una perfezione che sempre più si sposta. Chi sono Rainey (Brian
Dieker) e Jan (Katherine Keener), i "figli dei fiori" sopravvissuti alla fine del loro mondo, se non la
conferma che il cammino è ancora lungo? Per quanto innamorati della libertà, i due si portano
addosso il peso della vita. La loro strada si è chiusa, e quello che resta è poco più del ricordo di
un'illusione. E chi è la sedicenne Tracy (Kristen Stewart), se non la deliziosa tentazione
d'abbandonare il viaggio? Se le cedesse, il suo futuro finirebbe per somigliare a quello di Rainey e
Jan, e di tanti altri prima e dopo di loro. Ma Christopher non cede, non si rassegna. Con il coraggio
testardo e crudele d'ogni vocazione alla santità, "uccide" l'amore e la speranza di Tracy, e insiste a
oltrepassare limiti e confini. Quel che cerca, infatti, non è una nuova frontiera, ma l'assenza di ogni
frontiera. Così, man mano, Penn lo segue fino al niente che il ribelle sta cercando. Sta oltre un
fiume, quel niente, in mezzo al bianco infinito e intatto di un angolo d'Alaska coperto di neve. Qui
Christopher riuscirà a esser solo ( alone, scrive nel suo diario). Qui incontrerà quel se stesso che
nessuno deve imporgli d'essere. Alle spalle s'è lasciato il passato e anche il futuro che Ron (Hal
Holbrook) gli ha offerto con amore. Lascia che sia per te come un nonno, gli ha detto il vecchio
Ron. Ma non si può accettare d'essere amati, se è il niente che ci seduce e chiama. In mezzo alla
neve, assurdamente umano, Christopher trova un vecchio bus. Lì inizia l'ultima parte del suo
cammino verso se stesso, verso la sua nudità assoluta. Ma lì, nella wilderness, finisce per essere
preso e catturato dal niente: la natura è crudele, per quanto la si voglia idealizzare. Ridotto a uno
scheletro, si scopre solo come mai è stato, abbandonato (lonely, scrive ora nel diario). E però la
sua non è una sconfitta. La felicità non è felicità, se non è condivisa: così scrive e così dice a se
stesso, scoprendosi finalmente libero. È questa, dunque, la meta raggiunta del suo viaggio.
[email protected]
14